Post on 28-Jan-2016
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Sintesi di intervento al seminario interregionale PdCI “Il diritto alla salute:
tra realtà e possibili prospettive”
Condivido pienamente la relazione del compagno Mauro Alboresi, che pone alla
nostra attenzione, questioni centrali sul fronte della tutela del diritto alla salute.
Negli ultimi vent’anni, la continua propaganda neo liberale e capitalista in Italia, ha
indotto nella popolazione un’assuefazione al pensiero antidemocratico, secondo il
quale bisognerebbe curare in relazione alle risorse economiche disponibili,
accentandolo acriticamente come un dato di fatto. I Comunisti hanno il dovere di
dire che non è così, che uno stato civile e avanzato fa esattamente il contrario:
cerca le risorse economiche in relazione alle necessità di cura. Dobbiamo capire
perché il popolo non si arrabbia, o lo fa solo in parte, di fronte al fatto che i governi
degli ultimi anni hanno preferito spendere in armamenti, in grandi e inutili opere di
cementificazione selvaggia, in iniqui supposti salvataggi delle banche e quant’altro,
piuttosto che nel diritto alla salute. Sicuramente perché vi è una difficoltà,
tristemente soggettiva, a correlare gli sprechi di sistema a favore dei centri di potere
privato con l’effettiva de-strutturazione della sanità pubblica, ma anche perché non
vi sono forze rappresentative di massa che si contrappongano decisamente a questo
scempio. E’ necessaria un’azione su scala nazionale del nostro partito, che deve
costituire un traino per tutte le componenti sociali e politiche che intendano
condividere un percorso di lotta in tal senso. Tutto ciò risulta difficile a causa della
frammentata articolazione regionale della sanità, che ha creato modelli sanitari e
contesti locali molto diversi fra loro. Sembra difficile anche il coinvolgimento degli
enti locali nei territori; in parte, perché essi vengono spesso relegati a semplici
ratificatori di scelte prese più in alto, e in parte, per quella che si manifesta come
un’evidente sudditanza degli amministratori locali agli apparati dirigenziali dei partiti
di appartenenza. Ecco perché iniziative come quella di oggi sono fondamentali per lo
svilupparsi di una linea comune d’intervento, sulla base di un confronto costruttivo
fra realtà regionali diverse. Nella Regione Marche il sistema sanitario sta subendo
rapidissime trasformazioni di tipo strutturale in senso regressivo, non solo per i tagli
operati dal governo centrale, ma per il nuovo indirizzo politico della giunta regionale
dovuto all’atteggiamento del PD, che alle ultime elezioni ha estromesso dalla
coalizione i Comunisti e SEL, cedendo al ricatto dell’UDC e dando luogo ad una
maggioranza composta da PD,UDC e componenti dell’allora IDV ora passati al Centro
Democratico. Sintetizzo in alcuni punti le problematiche che affliggono la sanità
della Regione Marche, maggiormente rapportabili a un contesto su larga scala.
Sostanzialmente i marchigiani stanno subendo una controriforma messa a punto
scientificamente per garantire agibilità al comparto privato, oltre che per mantenere
e potenziare carrozzoni al servizio delle forze politiche. L’assessorato alla sanità è
affiancato dall’Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR), che inizialmente avrebbe
dovuto svolgere funzione di sintesi rispetto alle tredici zone territoriali. Le tredici
zone territoriali sono state accorpate in Aree Vaste (AV), per lo più sovrapponibili
alle province. Attualmente l’ASUR ha personalità giuridica e il proprio ampio quadro
dirigente, le Aree Vaste non hanno personalità giuridica, ma hanno il loro quadro
dirigente, le zone territoriali in linea teorica non dovrebbero più esistere, ma in
pratica hanno mantenuto quasi in toto il loro apparato burocratico. Chiaramente
non finisce qui, perché viene mantenuta anche l’Agenzia Regionale Sanitaria (ARS),
con una moltitudine di motivazioni create “ad hoc”, e il suo bel quadro dirigente.
Basti pensare che l’ARS si occupa della formazione del personale, e lo fa così bene,
che nelle varie assemblee da noi promosse, la larghissima maggioranza dei sanitari
intervenuti non ne conosceva neanche l’esistenza. ASUR e ARS costituiscono un
dispendio di risorse economiche grandissimo fra affitti e stipendi d’oro. Insisto sulla
questione dei dirigenti perché dichiariamo da tempo, come descritto in numerosi
documenti, la nostra piena opposizione ad un sistema di assunzione basato sulla
spartizione delle poltrone in base alle tessere di partito, e non tramite bando
concorsuale atto alla valutazione delle capacità e delle competenze necessarie per
assurgere a ruoli cosi decisivi. Pur affermando con determinazione che il ruolo della
politica deve essere centrale nell’amministrazione della sanità (salute) pubblica,
bisogna che questa si serva di tecnici competenti e preparati al di là
dell’appartenenza politica e non di yes-men a uso e consumo delle convenienze.
Abbiamo presentato una proposta di legge regionale per l’abolizione dell’ASUR e
dell’ARS, l’attribuzione della personalità giuridica alle Aree Vaste e la coincidenza
territoriale fra ambiti sociali e distretti sanitari. La nostra proposta rimane bloccata
da mesi in commissione sanità con uno stop imposto da ragioni politiche, non certo
tecniche. Da un mese circa, abbiamo lanciato una petizione popolare, che individua
nella nostra proposta, un utile strumento per evitare l’aumento dei tickets sanitari e
per limitare i tagli previsti dal nuovo piano sanitario regionale. Riteniamo
inaccettabile, che come soluzione ai tagli del governo centrale, la nostra regione
proceda in senso unilaterale alla chiusura di ospedali e al ridimensionamento della
rete di emergenza e di servizi al cittadino, mentre fondi utili alla comunità vengono
sperperati per mantenere o elargire privilegi.
Sempre nella nostra regione, i favori al comparto privato, che non può che gioire
dello smembramento di quello pubblico, si moltiplicano a vista d’occhio. Il punto più
alto si tocca con il “Progetto Marche distribuzione per conto”, che prese forma
qualche tempo fa grazie ad un accordo fra giunta regionale, Co.D.In e FederFarma.
Tal progetto affida la distribuzione di alcuni farmaci in PHT alle farmacie private, che
riscuotono per questo un margine di guadagno intorno al 7,50% (si parla di milioni di
euro) a discapito della distribuzione diretta nelle strutture pubbliche. Fra l’altro
questo presuppone anche una consegna del farmaco in tempi differiti. Abbiamo
presentato mozioni e dato luogo ad iniziative proponendo un inversione di rotta, un
incentivazione della distribuzione diretta dei farmaci in oggetto, ma per ora la
regione si è limitata ad abbassare leggermente la percentuale di guadagno delle
farmacie e a non inserire nel progetto i farmaci in fascia H come qualcuno
proponeva. A chi poteva essere affidata la supervisione della “distribuzione per
conto” se non all’ARS?
Un ulteriore problema da risolvere è quello concernente l’allungamento delle liste
d’attesa, che coincide inevitabilmente con l’aumento della mobilità passiva fuori
regione e con l’esodo dell’utenza verso il privato. Abbiamo proposto con forza
l’aumento di turni lavorativi che consentissero un utilizzo maggiore di presidi e
macchinari per diagnosi e cura, ma ci è stato risposto che sarebbe troppo oneroso.
Questo concetto rappresenta un vecchio paradosso inaccettabile. La struttura
privata elargisce prestazioni con l’obiettivo di avere utili cospicui, la struttura
pubblica può adagiarsi su un più semplice pareggio fra uscite ed entrate. Per le
strutture private convenzionate è previsto un rimborso sull’utenza esente da ticket.
Se i costi concernenti il personale, il materiale e così via sono gli stessi, come è
possibile che il pubblico perda la competizione con il privato? Nella nostra regione
alcune prestazioni costano addirittura meno nel privato che nel pubblico, basti
pensare alle visite medico-sportive per attività agonista, ma potrei fare diversi altri
esempi. Tornando alle liste d’attesa il “governo Spacca” ha spacciato come soluzione
il Centro Unico di Prenotazione (CUP) Regionale, che in linea di principio era
assolutamente condivisibile, ma nella sua applicazione si è dimostrato ben diverso
dalle aspettative. A nostro giudizio bastava una spesa davvero irrisoria relativa ad un
software di rete e al coinvolgimento graduale delle farmacie e dei piccoli presidi
ambulatoriali sul territorio, invece si sono spesi numerosi milioni di euro per
costruire un nuovo inutile baraccone. Le lunghe liste d’attesa sono causa di una
profonda iniquità: chi può pagare, anche rinunciando al proprio diritto all’esenzione,
riesce ad usufruire di una prestazione in tempi minori, mentre chi non può
permetterselo perde tempo utile per avere un servizio che potrebbe salvargli la vita.
Ultimo punto che voglio affrontare, ma ce ne sarebbero molti altri, riguarda il
profondo cambiamento dei rapporti fra ente e lavoratori. L’introduzione di contratti
che definisco, purtroppo inappropriatamente, “anomali”, ha reso caotico il sistema
delle assunzioni e delle relazioni fra categorie. Vi sono contratti diretti con
professionisti già in servizio su altre strutture private; fenomeno che eleva le
possibilità di utilizzo del pubblico come centro di reclutamento per prestazioni
specifiche in altri siti. Si riassumono operatori (per lo più medici) in pensione, per
fornire prestazioni anche routinarie; questo permette a qualcuno una doppia
entrata remunerativa e ad altri l’impossibilità di accedere al mondo del lavoro,
inoltre influisce negativamente sulla formazione delle nuove unità e quindi, a lungo
termine, sulla qualità dei servizi erogati dalla sanità pubblica. In alcuni casi si
procede addirittura all’assunzione diretta da parte delle stesse unità operative, che
usano l’ente come mezzo compiacente. Spesso si utilizzano modalità folkloristiche di
coinvolgimento popolare quasi accettabili dal punto di vista umano, con iniziative di
raccolta fondi come lotterie, cene, spettacoli teatrali e quant’altro, che consentono
una copertura economica per borse di studio o contratti di lavoro precari e
sottopagati a vantaggio (o svantaggio) di numerose figure professionali, ma si
aumenta drammaticamente la possibilità di donazioni che celano azioni di
sponsorizzazione per contratti “ad personam”. Il tutto coronato da una drastica
riduzione del personale effettivo con il conseguente sfruttamento delle risorse
umane ridotte all’osso.
Non so ancora quante di queste nostre denunce, riflessioni e proposte possano
aiutare ad una convergenza del nostro Partito su azioni a livello nazionale, ma è
fuori da ogni dubbio, che siano necessarie iniziative immediate e dirompenti dei
comunisti su larga scala, contro l’opera distruttiva perpetrata ai danni del diritto
inalienabile alla salute, con la ricerca di un fronte di lotta più ampio possibile.
Bologna, 30 novembre 2013
Sandro Carucci
Partito dei Comunisti Italiani
Comitato Regionale Marche