LA DIFESA DEL POPOLO 23 MAGGIO 2010 - Centro Missionario · ne dei giovani, nell’assisten-za e...

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● dal mondo ●

■ «Confesso che spessonoi missionari ci sentiamonella notte. Nella notte dellenostre idee, creazioni, pos-sibilità, realizzazioni, pro-poste, sconfitte, partecipa-zioni, assenze. Come nondesiderare allora di essereun gufo che intravede spira-gli di luce animatori di spe-ranza?». Suor Anna MariaCrivellari, religiosa padova-na della congregazione dellePiccole Figlie di san Giusep-pe, è missionaria dal 1996in Georgia, paese in cui «èvitale sostenere la speranzacristiana, sono essenziali lacomprensione ecumenica ela costruzione di ponti didialogo». Opera nella parteoccidentale della Georgia,dalla città di Kutaisi a quelladi Bitumi, in altre cinquecomunità di rito latino e an-che tra gli armeni.«Il missionario è sempre inavanguardia per donare ilvangelo, per rendere co-sciente l’uomo del grandedono della fede – spiega lareligiosa – Esiste un mare dibisogni, spirituali e materia-li, ma il più importante è ilbisogno di Dio, l’accoglienzadi lui nella vita di ogni per-sona. E il prete e il religiososono come il gufo che sta lì,guarda e vigila, prepara l’al-ba perché trovi il cristianopronto a rendere testimo-nianza con la sua vita dipreghiera e di servizio per ilbene di tutti i fratelli».La posizione geografica po-ne la Georgia al centro epassaggio obbligato dall’estall’ovest; perciò è stata neltempo via di comunicazio-ne di eserciti, carovane,missionari: «Di tutto questoconserva grandi testimo-

nianze che formano la suastoria, cultura, economia etradizione – continua lamissionaria – Anche oggi èal centro di interessi politicied economici per l’oleodot-to che l’attraversa e che èfrutto dei problemi con laRussia. Per questo si diceanche che il Caucaso è una“polveriera”: se gli equilibrisi rompono o si incrinanoun poco, c’è da temere e imotivi non sono pochi».Il paese, uscito dal regimesovietico con l’indipenden-za del 1991, negli ultimidieci anni è stato scenariodi guerre civili, rivoluzioni,secessioni delle repubblichedell’Abkasia e dell’Osseziadel sud, invasioni dell’eser-cito russo e dei profughiscappati dalle terre invase.«La povertà in cui la popo-lazione versa da molti annie la persistente mancanzadi lavoro – prosegue suorCrivellari – favorisconol’emigrazione verso l’occi-dente, con conseguenti pro-blemi di carattere familiareed educativo. L’embargo,durato dall’ultima guerra fi-no a pochi mesi fa, ha mes-so in ginocchio la già fragileeconomia che aveva comeunico sviluppo l’esportazio-

ne di prodotti locali». Anche dal punto di vista re-ligioso la situazione non èfacile: la presenza cattolicaè una minoranza che rap-presenta il 2 per cento dellapopolazione. «Eppure essaè come il lievito nella pasta,animatrice delle realtà cul-turali, sociali, di sviluppo edi carità – afferma la religio-sa – Noi missionari ci occu-piamo dell’evangelizzazio-ne, della formazione teolo-gica, spirituale e culturale, edella cura della popolazionedove lo stato è assente, co-me nella creazione di postidi lavoro, nell’insegnamentoprofessionale, nell’educazio-ne dei giovani, nell’assisten-za e cura degli anziani, dellemadri, degli invalidi, deiprofughi».Ma per i “gufi” che vedonooltre, quali sono le prioritàche emergono? «Fonda-mentale è la promozionedell’ecumenismo e la colla-borazione tra cattolici e or-todossi – conclude suor Cri-vellari – Vi sono tensioninelle zone rurali, poiché icattolici non sono trattatiallo stesso modo a scuola enel lavoro; così alcune fami-glie cattoliche battezzano ipropri figli secondo il ritoortodosso per far avere loropiù opportunità nella vita.Ma qualche spiraglio di lucesi è infiltrato negli ultimitempi: lo stesso presidentedello stato ci ha fatto visitala notte di Natale durante lacelebrazione eucaristica eha fatto gli auguri a tutta lacomunità cattolica, rinno-vando il suo apprezzamentoper l’opera sociale e carita-tiva della chiesa in Geor-gia».

■ Ricordiamo insieme aPaolo Tonellotto, responsa-bile della comunità PapaGiovanni XXIII di Cittadel-la, il missionario laico Mas-simo Barbiero, di recentedeceduto in Venezuela, pae-se in cui svolgeva il suomandato missionario dopotanti anni trascorsi nella ba-raccopoli di Soweto inKenya. «Credo che la voca-zione alla missionarietà sianata in Massimo sin dabambino, legata a unprofondo rispetto della na-tura e del creato, verso iquali si poneva con estremasemplicità. Compiva scelteradicali, che andavano con-trocorrente, senza maiostentarle né imporle agli

altri. Con grande umiltà leviveva concretamente, dan-done testimonianza con lasua persona: esse si poneva-no non solo come modalitàdi vita, ma come modo diessere».

Quanto ha inciso il suoincontro con la comu-nità Papa GiovanniXXIII?

«Penso che all’interno dellasua numerosa famiglia (chevive a Fossò, nda), una fa-miglia di fede e di profondivalori, Massimo abbia speri-mentato la testimonianza diapertura alla vita, da cui poila sua capacità di relazio-narsi con tutti, di stringereamicizie, di accogliere sem-pre. Qualsiasi povertà in-

contrata lasciava il segnonella sua vita. Durante glianni di studio all’universitàcercava il “suo” posto, fre-quentando diversi movi-menti e istituzioni. Si è infi-ne fermato presso la nostracomunità, riconoscendosinei valori della relazioneprofonda con il Signore edella condivisione con gliultimi. Si è lasciato interro-gare dalla povertà e ha chie-sto di vivere la condivisionenei luoghi più difficili».

Che ricordo ha lasciatotra la gente di Soweto?

«Tra le sue caratteristichespiccava l’umiltà, la presen-za dell’essere. All’inizio lapopolazione si stupiva diquesto bianco che non era

lì per realizzare progetti, maper condividere la vita deipoveri nelle baraccopoli. Hacondotto i suoi amici kenia-ni a vedere oltre, all’impor-tanza del camminare insie-me. E lo ha fatto nella con-cretezza dell’andare tra i ri-fiuti a recuperare la plasti-ca, del vestirsi come loro:non ha mai calzato scarpe,solo sandali creati con i co-pertoni. Questo aspetto diestrema radicalità era vissu-to in profonda umiltà, senzaostentazione: la sua era unascelta di vita, resa forte dauna relazione profonda conil Signore. Poi il suo metter-si nella disposizione del ser-vizio ogni giorno, nella suacasa c’era posto per tutti. Il

grembiule di cui ci parladon Tonino Bello Massimolo aveva sempre addosso».

Massimo ha dato chiaratestimonianza di vedereoltre.

«Sì, una testimonianza con-creta e piena di serenità perquello che viveva. Aveva unprofondo senso di viverel’obbedienza al camminoche il Signore propone, conla convinzione che non sista costruendo la storia per-sonale ma la storia di Dio.Era in continua ricerca diuna conferma: quella chestava davvero camminandodove il Signore voleva perlui. Aveva abbracciato unavita da poveri non per la ri-cerca della povertà in sestessa, ma per vivere la vitada amministratori di ciòche Dio dona, compiendo ilmassimo possibile per poiricordarsi di essere serviinutili».

Tre testimoni del “vedere oltre”Storie vere di vita in missione spiegano il tema della giornata

GEORGIA ● Suor Anna Maria Crivellari ECUADOR ● Padre Enzo Balasso

KENYA-VENEZUELA ● Un ricordo di MASSIMO BARBIERI

21LA DIFESA DEL POPOLO23 MAGGIO 2010

■ Sarebbe capace di vede-re luce ovunque padre EnzoBalasso, missionario com-boniano da sempre con ilcuore in Ecuador, pur semolto conosciuto e stimatoanche a Padova dove per seianni, dal 2001 al 2007, si èoccupato di animazionemissionaria. Pochi i vicaria-ti della diocesi che nonl’hanno ospitato per almenoun incontro, tante le scuolepadovane che lo hanno vi-sto animatore all’intercultu-ralità e alla pace.È l’Ecuador il suo paesed’adozione, in cui è arrivatonel 1987: dopo un inizionella regione di El Carmen,per otto anni è stato a SanLorenzo, nel nord del paese,in un paesaggio di foresteequatoriali, fiumi popolatida coccodrilli, missionariotra gli indio. «Quando, dopogli anni a Padova, sono tor-nato in missione, non hochiesto ai miei superiori diandare in una zona precisa,anche se nutrivo grande no-stalgia della mia gente diSan Lorenzo – spiega padreBalasso – Mi sono affidato alSignore, lasciandogli fare.Certo, quando sono arrivatoa Las Malvinas, estrema pe-riferia di Guayaquil, gli hochiesto: “Ma sei proprio si-curo che devo stare qui?”».Dalla fitta foresta alla polve-re e alle immondizie: LasMalvinas si può tradurrecon discarica e tanta è l’im-mondizia che appare escompare, due volte al gior-no, quando il lembo di terra

su cui sono costruite le pa-lafitte degli abitanti è tocca-to dall’alta e dalla bassa ma-rea. «Guayaquil, con i suoi4 milioni di abitanti, è ilporto principale dell’Ameri-ca Pacifica: ma non si affac-cia sul mare, è l’oceano aentrare tra i bracci di terra.Las Malvinas copre duebracci; le 70 mila personeche vi abitano, con una for-te presenza afro, vivono inpalafitte». Ma è una zona chiamata di-scarica anche in senso so-ciale: è dominata da bandespesso formate da giovanis-simi, specializzate in bran-che diverse di delinquenza,dal furto al commercio diarmi verso la Colombia.Padre Balasso, quando vi èarrivato, era l’unico bianco:«I primi tre mesi li ho pas-sati da solo davanti allachiesa a salutare la gente –continua il missionario –Solo uno su dieci risponde-va al saluto. Dopo tre mesicosì, decisi che dovevo fare

qualcosa. L’unico spazio li-bero di tutto l’abitato era unpiccolo campetto dietro lachiesa, in cui si può giocarequattro contro quattro, nondi più. Era sempre chiuso,rifugio di chi compie azionimalavitose fuori città. Scelsidi aprirlo e ora è il nostrostadio olimpico, luogo di in-contro di tutti i ragazzi».Per questo il comboniano èstato minacciato, la suachiesa è stata completa-mente derubata, per dimo-strazione gli hanno uccisoun ragazzo davanti agli oc-chi. Egli stesso, per evitareun altro assassinio, è statoferito da una pallottola e intesta ha una vistosa cicatri-ce causata da un colpo sfer-ratogli con il calcio di unapistola.La fiducia instaurata in unodei capibanda, incontratouna volta da solo, gli ha gua-dagnato l’amicizia di tantialtri. Oggi, a due anni emezzo dal suo arrivo, moltidei giovani sono impegnatiin lavori onesti: dalla raccol-ta e rivendita della plastica,alla produzione e vendita dilatte di soia, alla cooperati-va che realizza immagini sa-cre e bigiotteria, all’autola-vaggio.Alcune bande ora non esi-stono più e, nell’eucaristiadell’ultimo giovedì santo, “ilprete dei banditi”, come èstato definito dai giornali lo-cali, ha lavato i piedi a dodi-ci capibanda: Alex, uno diquesti, gli ha di recentechiesto di essere battezzato.

Una famigliain Georgia,dove operasuor Crivellari(sopra).Nelle fotoa destra,padre EnzoBalasso.Sopra,il missionariolaicoMassimoBarbiero.