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Il ritardo mentale

Mappa unità 8

Ritardo mentaleRitardo mentale

Scala Binet-SimonScala Binet-Simon

primi strumentdiagnostci

primi strumentdiagnostci

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ScalaStanford-BinetScalaStanford-Binet

deficit nello sviluppointellettivo e nel

comportamento adattivo

deficit nello sviluppointellettivo e nel

comportamento adattivo

RM OrganicoRM AmbientaleRM Indifferenziato

RM OrganicoRM AmbientaleRM Indifferenziato

classificazioneclassificazione

borderlineRM LieveRM MedioRM GraveRM Gravissimo

borderlineRM LieveRM MedioRM GraveRM Gravissimo

(EM/EC) x 100(EM/EC) x 100

biologichebiologiche

causecause

ambientaliambientali

valutazionevalutazioneintervento educatvointervento educatvometodologiacognitvo-comportamentalemetodologiacognitvo-comportamentale

task-analysistask-analysisdescrittiva; di sede; di natura; funzionaledescrittiva; di sede; di natura; funzionale

Definizione di intelligenza (Luckasson et al., 2002)

L’intelligenza è una capacità mentale generale che include ragionamento, pianificazione, “problem

solving”, pensiero astratto riguardante idee complesse, apprendimento dall’esperienza

L’intelligenza non è semplicemente apprendimento dai libri, una pura abilità accademica o abilità appresa

dai testi, essa riflette una capacità più ampia e profonda di comprendere il nostro ambiente

circostante, afferrare, dare un senso alle cose o dedurre cosa fare

Definizione L’espressione ritardo mentale non fa riferimento ad una precisa entità clinica, ma racchiude in sé una sintomatologia predominante quanto comune a differenti stati patologici, che comunque tra loro differiscono per eziologia, gravità e peculiarità.

Il ritardo mentale (da ora RM) è nella sua essenza una grave alterazione della mente che si manifesta come una sindrome psichiatrica globale legata al difetto di sviluppo delle funzioni astrattive della conoscenza e dell’adattamento.

Questo aspetto psicopatologico è basale e centrale ma non unico, perché ad esso si possono associare disturbi della personalità, della condotta, del linguaggio, delle funzioni percettive e motorie nonché piccole o grandi malformazioni somatiche, sintomi concomitanti con esso ma dovuti a fattori distinti, genetici, lesionali o ambientali (Pfanner e Marcheschi, 2005).

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Criteri per la diagnosi

Per diagnosticare il RM vengono adottati i criteri stabiliti dai sistemi di classificazione internazionali: il sistema europeo a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), International Classification of Diseases, e quello a cura dell’American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders.

Secondo l’International Classification of Diseases, pubblicato per la prima volta nel 1893 ed ora disponibile nella sua decima revisione ICD-10, il RM rappresenta una «condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie, affettive e sociali» (ICD-10, 1992).

I livelli di RM sono valutati da test intellettivi standardizzati che possono essere integrate da scale di valutazione dell’adattamento sociale in un determinato ambiente (Kemali e Mai, 2003).

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Primi strumenti per la diagnosi

Il primo strumento per la misurazione dell’intelligenza umana nacque nel 1905 per merito del francese Binet e del suo collaboratore Simon. La scala Binet-Simon era basata su una serie di domande e prove legate all’esperienza quotidiana di bambini di diversa età.

I risultati ottenuti dai test permettevano di stabilire approssimativamente un’età mentale (EM), cioè l’età equivalente a quella dei bambini con sviluppo tipico di cui il soggetto aveva eguagliato il rendimento. Binet costruì la sua scala partendo dal presupposto che certe abilità vengono acquisite solo dopo una certa evoluzione, e quindi alcune prestazioni sono caratteristiche di alcune età, poiché rappresentano compiti cognitivi (memoria, ragionamento, giudizio) padroneggiati a quell’età (es. la richiesta di contare fino a 10 viene disattesa a 3 anni, ma è completamente soddisfatta a 5 o 6 anni).

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In questo strumento gli item erano ordinati per età (misura della loro complessità cognitiva), ciascun item assumeva un valore in termini di mesi (es. ogni item = 3 mesi), l’insieme degli item superati dava la misura dell’età mentale, l’evoluzione o il ritardo dello sviluppo intellettivo erano misurati dallo scarto tra età cronologica e età “attesa” e la stima dello sviluppo cognitivo era rappresentata dal confronto fra la prestazione di un soggetto con quella di un campione rappresentativo di soggetti appartenenti a classi di età diverse (es. b. di 7 anni ha un’età mentale di 9 se risolve compiti risolti generalmente a 9 anni).

Scala Stanford-Binet per la misurazione del QI

La scala subì svariate modifiche; l’attuale versione è la cosiddetta Stanford-Binet che permette di individuare il Quoziente Intellettivo (QI), cioè il rapporto tra età mentale (EM), misurata col test, ed età cronologica (EC), ovvero l’effettiva età del soggetto, moltiplicato per cento (per evitare i decimali) (De Luca, 1974).

(EM/EC) x 100.

Esempi:e.m. 12 – e.c. 10 QI=(12/10)x100=120e.m. 10 – e.c. 12 QI=( 10/12)x100=83

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Definizione secondo il DSM IV (1996)

La caratteristica fondamentale del Ritardo Mentale è un funzionamento intellettivo generale significativamente al di sotto della media (Criterio A) che è accompagnato da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno due delle seguenti aree delle capacità di prestazione:

comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute, Sicurezza (Criterio B).

L’esordio deve avvenire prima dei 18 anni (Criterio C). Il Ritardo Mentale ha molte diverse eziologie e può essere visto come la via finale comune di vari processi patologici che agiscono sul funzionamento del sistema nervoso centrale. 10

Definizione di ritardo mentale (Luckasson et al., 2002)

Il ritardo mentale è una disabilità caratterizzata da significative limitazioni nel funzionamento intellettivo e nel comportamento adattivo, espresso attraverso abilità concettuali, sociali e pratiche.

Questa disabilità insorge prima dei 18 anni.Il comportamento adattivo è un insieme di abilità concettuali, pratiche e sociali che la gente ha appreso per affrontare la quotidianità

ad es.:

Abilità concettualilettura, scrittura, uso del denaro, autodeterminazione

Abilità socialiinterpersonale, responsabilità, autostima, regole da seguire, leggi da rispettare

Abilità pratichemangiare, muoversi, pulirsi, vestirsi, prepararsi i pasti, abilità lavorative, gestione ambientale

Definizione dell’American Association of Mental Deficiency

Secondo l’opinione dei più autorevoli studiosi del RM, la definizione più accreditata è quella proposta dall’American Association of Mental Deficiency (AAMD), secondo cui si può parlare di RM quando «è presente un deficit nello sviluppo intellettivo e contemporaneamente una ridotta capacità di far fronte alle richieste adattive del contesto ambientale e sociale, manifestatasi in età evolutiva» (AAMD, 1992).

La definizione dell’AAMD ha un rilievo fondamentale nell’ottica di un intervento psicopedagogico, poiché introducendo il concetto di comportamento adattivo, pone maggiore attenzione, rispetto al passato, alle difficoltà di adattamento sociale che le persone con deficit intellettivo possono incontrare nei contesti di vita. 12

Comportamento adattivo

«Il comportamento adattivo o maturità sociale è un concetto strettamente legato alla cultura in cui è inserito l’individuo e indica la capacità del soggetto di adeguarsi ai ruoli socialmente condivisi propri della sua fascia di età e dell’ambiente socio-culturale cui egli appartiene.

Il funzionamento adattivo fa, quindi, riferimento all’efficacia con cui la persona fa fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la fascia di età, il livello socioculturale e il contesto ambientale. […]

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I problemi di adattamento sono più suscettibili di miglioramento con tentativi di riabilitazione di quanto non sia il quoziente intellettivo che, al contrario, tende a rimanere una caratteristica globalmente più stabile» (Rossi e coll., 2003).

Dunque secondo quest’ultima definizione, una persona che presenta un deficit intellettivo, ma allo stesso tempo, è in grado di inserirsi nel suo ambiente di vita in modo adeguato, non può essere classificata come globalmente ritardata. L’importanza di questa definizione sta perciò nel porre l’accento anche sulle competenze sociali ed affettive, fornendo così una visione globale delle difficoltà dell’individuo (Soresi, 1998)

“[…] non è qualcosa che si ha, come gli occhi azzurri o un cuore malato. Non è neppure qualche cosa che si è, come essere piccoli o magri. Non è un disturbo medico, benché possa essere codificato in una classificazione medica di malattie; né è un disturbo mentale, benché possa essere definito all’interno di una classificazione di disturbi psichiatrici. Il termine ritardo mentale si riferisce a uno stato particolare di funzionamento che esordisce nell’infanzia, è multidimensionale ed è influenzato positivamente da sostegni individualizzati”

(AAMR, 2002- decima revisione)

Questa concezione è specificata dai seguenti cinque assunti:– Assunto 1: «Le limitazioni del funzionamento presente devono essere considerate all’interno del contesto degli ambienti comunitari tipici per età e cultura del soggetto».– Assunto 2: «Una valutazione efficace deve considerare sia le diversità culturali e linguistiche, sia le differenze nella comunicazione e nei fattori sensoriali, motori e comportamentali».– Assunto 3: «In una stessa persona, le limitazioni spesso coesistono con i punti di forza». Questo significa che le persone con ritardo mentale sono esseri umani complessi che possono avere capacità e risorse che sono indipendenti dal loro ritardo mentale.– Assunto 4: «Un obiettivo fondamentale nella descrizione delle limitazioni è quello di sviluppare un profilo di sostegni necessari».– Assunto 5: «Con un adeguato sistema individualizzato di sostegni, forniti per un certo periodo di tempo, il funzionamento della persona con ritardo mentale tende a migliorare».

I sintomi

I sintomi del ritardo mentale sono molti per gli aspetti cognitivi, affettivi e adattivi. Sono sintomi frequenti ma non sempre costanti e possono avere diversa importanza e gravità (Fava Vizziello, 2003):

difetto di assimilazione delle esperienze, cioè di informazione e di elaborazione percettiva;insufficienza dell’organizzazione psicomotoria: compromette la capacità di programmare il movimento nello spazio e nel tempo, rendendo la persona goffa, impacciata, rigida, maldestra e disarmonica;difetti del linguaggio, nella forma di disturbi di pronuncia, di articolazione, di ritmo, ma più costantemente questi difetti riguardano lo sviluppo delle attitudini di base che guidano la formazione del linguaggio;impossibilità di accedere al pensiero astratto;disomogeneità cognitiva: esistono aree di funzionamento più o meno sviluppate, ma è molto raro trovare aree di funzionamento del tutto integre;difetto di autocoscienza, intendendo con questa espressione una difficoltà particolare nella gestione consapevole dei propri strumenti mentali e delle proprie conoscenze, che porta a un difetto nei meccanismi di autoregolazione;apprendimento lento e difficile;disarmonie della personalità;disturbi della condotta.

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La classificazione

Dalle Scale psicosometriche si deduce la cosiddetta “età mentale”, ovvero il confronto con le capacità medie di ogni fascia di età, e il QI che è il rapporto tra età mentale ed età cronologica. Le prestazioni che si discostano dalla media di due o più “deviazioni standard”, cioè con QI inferiore a 70, costituiscono il primo sintomo di ritardo mentale. Questo criterio psicometrico derivante dall’utilizzo di varie scale (Scala Wisc, Scala Binet-Stanford, Scala Terman) ha permesso all’Organizzazione Mondiale della Sanità di operare una distinzione quantitativa delle persone con ritardo mentale in cinque categorie:

Soggetti borderline: con QI compreso fra 70 e 90 e con capacità intellettive ai limiti della normalità ostacolate nella loro utilizzazione da fattori prevalentemente sociali o affettivi.

Ritardo mentale lieve (QI compreso fra 50-55 e 70): ricopre l’80% dei casi. Ritardo mentale medio (QI compreso tra 35-40 e 50-55): interessa il 12% delle persone con disabilità. Ritardo mentale grave (QI tra 20-25 e 35-40): interessa il 7% dei casi di RM. Ritardo mentale gravissimo (QI inferiore a 20-25): riguarda l’1% dei soggetti con RM.

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Nuova classificazione

Questa classificazione, seppur utile a livello socio-assistenziale, risulta grossolana e di scarso significato pratico, perché ha il limite di ogni diagnosi psichiatrica che sia quantitativa e statistica; non tiene conto, infatti, della relatività del concetto di QI (subordinato a molte variabili), e della sua dipendenza da fattori contingenti (ad esempio emotivi), della sua non costanza nel tempo e della difficoltà di confronti durante lo sviluppo.

È stata quindi ipotizzata una nuova classificazione a tre gruppi che consente di determinare l’appartenenza di un soggetto non solo in funzione di elementi quantitativi come il QI, ma anche qualitativi ed eziologici. Le tre categorie riguarda soggetti con ritardo mentale:

organici: rappresentano una minoranza della popolazione dei soggetti con ritardo mentale e si caratterizzano per un danno biologico certo;ambientali: sono la gran maggioranza, e si contraddistinguono dall’assenza di un danno biologico diagnosticato a l’appartenenza ad ambienti socioculturalmente deprivati;indifferenziati: vale a dire quegli individui per i quali non è possibile stabilire con certezza l’appartenenza ad una delle classi soprastanti.

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Cause

L’identificazione delle cause del ritardo mentale non è sempre facile e possibile, data l’origine spesso multifattoriale del disturbo mentale. I fattori determinanti di un quadro di ritardo mentale, infatti, sono molteplici e complessi. Cause organiche, ereditarie e acquisite, fattori psico-affettivi, condizionamenti socioculturali, risultano molto frequentemente associati.

Una prima classificazione distingue fra cause biologiche (genetiche e non genetiche) e cause ambientali. All’interno di queste la grande maggioranza dei casi è attribuibile a :Ereditarietà: questi fattori includono errori congeniti del metabolismo (sclerosi tuberosa, aberrazioni cromosomiche, che possono interessare il numero e la struttura dei cromosomi);Alterazioni precoci dello sviluppo embrionale: quali mutazioni cromosomiche o danni prenatali da sostanze tossiche (alcool, droghe, infezioni);Problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale: malnutrizione del feto, la prematurità, l’ipossia, infezioni virali e traumi);Condizioni mediche generali acquisite durante l’infanzia o la fanciullezza: meningiti, encefaliti, traumi, infezioni o avvelenamenti (ad es. da piombo);Influenze ambientali e altri disturbi mentali: questi fattori includono la mancanza di accadimento e di stimolazioni sociali, o la presenza di altre patologie.

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Ritardi mentali

È utile sottolineare che il riscontro di una data anomalia genica o cromosomica non si traduce in un unico quadro clinico e sintomatologico: esiste sempre un’enorme variabilità di presentazione clinica, verosimilmente dipendente dalla compresenza di altri fattori, aggravante o protettivi.

La consapevolezza dell’esistenza di quadri eterogenei di compromissione cognitiva a parità di gravità di RM (in altre parole di Quoziente di intelligenza) porterebbe a parlare non più di ritardo mentale, ma di ritardi mentali.

In sintesi, qualsiasi fattore congenito o acquisito, organico o ambientale che incide sul sistema nervoso centrale in via di sviluppo è in grado di alterare l’organizzazione neurobiologica di base, dalla cui integrità dipende il normale funzionamento intellettivo.

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Sindrome di Cri du chat

Sindrome di WilliamsSindrome di Down

Sindrome di Angelman

Criteri diagnostici

Una diagnosi precoce è fondamentale per impostare un trattamento efficace e prevenire un peggioramento nelle capacità intellettive, affettive e sensoriali del bambino con ritardo mentale.

Il successo del trattamento riabilitativo ed educativo, infatti, dipende in larga misura da come viene impostato il processo diagnostico. Un’adeguata e precoce risposta riabilitativa può in parte ridurre disagi e ritardi più o meno gravi nell’ambito motorio, sensoriale, le difficoltà nell’elaborazione dello schema corporeo e delle relazioni spazio-temporali che incidono negativamente sull’evoluzione e l’espressione dell’intelligenza.

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Una persona con ritardo mentale non presenta unicamente deficit nelle capacità di apprendimento e di comportamento: in chiunque esiste una complessa realtà psicologica caratterizzata da emozioni, rapporti interpersonali, pulsioni sessuali, da aspettative e convinzioni sue proprie. Questa complessa attività psicologica, cognitiva e relazionale, per quanto rallentata nella sua espressione ed evoluzione, è influenzata direttamente dagli effetti di deficit sensoriali e da numerose variabili fisiologiche e patologiche ad origine prevalentemente organica (Caracciolo e Rovetto, 2003).

Valutazione dinamica

Al fine di operare una valutazione neuropsicologica funzionalmente efficace, è utile seguire un modello basato su quattro livelli di misurazione:

descrittiva (riguarda l’insieme dei sintomi e segni che conseguono al danno neurologico)di sede (indaga la sede associata ai sintomi osservati)di natura (riguarda la specifica malattia neurologica che ha determinato il danno)funzionale (indaga i meccanismi che danno luogo ad un determinato processo cognitivo, compromessi in seguito a lesione) (Sabbadini et al., 2002).

Una valutazione efficace è anche e soprattutto dinamica e deve considerare «qual è il potenziale di apprendimento del bambino partendo da quesiti metacognitivi, per verificare: a) quali procedimenti e strategie il bambino adotta spontaneamente; b) qual è il suo livello attuale e come si modifica, ovvero quali procedimenti egli può adottare se gli viene suggerita e spiegata qualche strategia risolutiva» (Ibidem).

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funzioni intellettive e cognitive

funzioni adattive e le capacità relazionali ed emotive

funzioni fisiche, motorie e sensoriali

personalità, comportamenti psicopatologici ed eventuali diagnosi psichiatriche associate

vengono misurate dallo psicologo clinico o dal neuropsicologo per evidenziare, laddove è possibile, l’estensione del danno cerebrale, attraverso varie scale (le scale Wechsler, le scale di Stanford e Binet, le matrici di Raven, il test di Bender);

per valutare l’adattamento si usano varie scale comportamentali. La più famosa e più validata scala di adattamento è la Vineland Adaptive Behavior Scales (Scale del comportamento adattativo Vineland) (Sparrow et al., 2003), che mette in evidenza molte funzioni sociali;

vengono valutate dal fisiatra, dal neurologo, dal neuropsichiatria e dal fisioterapista che si occupano di diagnosticare il grado e la tipologia di compromissione di tali funzioni attraverso l’osservazione e prove standardizzate;

per la valutazione dei disturbi psichiatrici associati a dei comportamenti psicopatologici, vengono fatti colloqui clinici e somministrati test di personalità (Pfanner e Marcheschi, 2003).

Nell’intento di operare attraverso una valutazione globale ed analitica, quantitativa, qualitativa e dinamica, vengono indagate quattro aree:

Intervento educativo

Obiettivo dell’intervento educativo e del trattamento è quello di potenziare al massimo lo sviluppo ed il benessere, in termini di adattamento, del bambino con ritardo mentale.

Il RM, seppure nella sua gravità, non deve essere ritenuto per molte ragioni immutabile e senza speranza di correzione, poiché il cervello umano è una struttura plastica e influenzabile anche quando è leso o condizionato da messaggi genetici che ne rallentano lo sviluppo. Inoltre la plasticità è massima in età evolutiva, quando tutto è in movimento e non c’è niente di immutabile negli aspetti biologici e nella struttura della personalità. Anche i messaggi dell’ambiente, specie quelli selezionati e mirati, possono modificare le strutture neuronali e la stessa espressività genica.

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L’intervento educativo ha una duplice finalità: 1) stimolare, sostenere, indirizzare la capacità cognitiva e l’apprendimento;

2) arricchire, integrare, armonizzare la vita affettiva e l’adattamento sociale. Sono obiettivi e tecniche che nel ritardo mentale sono rese molto più difficili per il difetto di sviluppo delle capacità, per il difetto di astrazione e di interiorizzazione, per le difficoltà di rapporto con l’ambiente (Perini e Bijon, 1996).

Interventi psicosociali

Gli interventi di tipo psicosociale sono strutturati per permettere alla persona con ritardo mentale di provvedere a se stessa, mettendola nella condizione di comprendere le regole della società e sviluppare relazioni umane e autentiche anche al di fuori del nucleo familiare, superando le difficoltà della vita quotidiana.

«Essere autonomi significa riuscire a programmare e attuare sequenze finalizzate al soddisfacimento delle proprie esigenze fondamentali senza l’aiuto di nessuno» (Cocchi, 2001).

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Questi interventi prevedono l’acquisizione di patterns comportamentali adeguati alle differenti situazioni di vita quotidiana, strutturati in base a difficoltà crescente.

Questi repertori possono rientrare, già dalle scuole primarie, all’interno degli obiettivi e dei contenuti didattico-educativi da inserire nel Piano Educativo Individualizzato. L’intervento psicopedagogico, anziché puntare sull’acquisizione di nozioni isolate ed astratte, deve fondarsi sul “come fare”, attraverso il conseguimento di procedure che costituiranno schemi organizzati di istruzioni per affrontare con successo i diversi ambiti della vita quotidiana.

Metodologia cognitivo-comportamentale

La metodologia utilizzata nell’insegnamento delle abilità sociali è di tipo cognitivo-comportamentale.Una delle tecniche maggiormente utilizzate per insegnare le abilità sociali è la task analysis, o analisi del compito, che mira al raggiungimento graduale e progressivo di obiettivi comportamentali specifici e limitati.

Consiste nella suddivisione in sotto-unità di un comportamento da eseguire. Per facilitare l’esecuzione di ogni passo, o sotto-unità, l’insegnante può avvalersi di diversi metodi che, a partire dal minore al maggior livello di aiuto esterno, possono essere così elencati:

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istruzioni verbali: suggerimenti generali o specifici sulle varie tappe da eseguire per portate a termine un compito (es. “prendi le forbici”, “apri il cassetto e prendi la carta”);

prompts gestuali: istruzioni verbali accompagnate dall’indicazione dell’oggetto di cui si parla (es. “prendi le forbici” indicandole);

modeling: l’adulto fornisce al bambino l’esempio ed egli dovrà successivamente eseguire l’azione richiesta mediante istruzioni verbali;

aiuto fisico parziale: l’adulto fa iniziare l’azione, attraverso una guida fisica parziale, dopo la quale il bambino esegue il compito richiesto;

aiuto fisico totale: l’adulto modella direttamente l’azione del bambino, portandolo tramite la guida fisica ad eseguire in modo completo l’azione richiesta verbalmente.

Task analysis del compito “lavarsi i denti”

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Dieci regole per l’educatore e il terapista

Procedere dal reale livello del soggetto per raggiungere obiettivi adeguati ai fini adattivi, cioè rispetto alle esigenze che l’ambiente propone e rispetto alle curiosità del bambino.

Mettere il bambino in grado di valutare i risultati che raggiunge; saper accettare e correggere gli errori.

Usare modalità di di facilitazione e rinforzo: offrire opportunità di ricavare strategie di soluzione.

Giungere a modalità di controllo (autocontrollo) del bambino nell’esecuzione del compito. Ricordare l’importanza del linguaggio come direttivo della condotta: il linguaggio adulto dirige l’azione del bambino, il linguaggio del bambino è direttivo e guida della propria azione.

Selezionare gli stimoli e allo stesso tempo, puntare al potenziamento dell’attenzione simultanea e attraverso più canali. 34

Inibire o controllare la tendenza alla perseverazione o iperfissazione: scollare il bambino da uno stimolo; non continuare troppo a lungo su un compito, soprattutto se il bambino sbaglia; evitare la ripetitività.

Stimolare il bambino ad acquisire processi e rappresentazioni.

Favorire un graduale passaggio dal livello pragmatico alla decontestualizzazione.

Giungere alla generalizzazione del compito, ovvero all’uso di ciò che viene imparato anche al di fuori del contesto e della relazione terapeutica.

Ricordarsi sempre di considerare: l’efficienza delle strutture processanti, il livello di attenzione e concentrazione al compito; l’utilizzazione dei meccanismi supervisori di controllo