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Qualche testimonianza d’epoca sul problema della copertura della Fossa interna dei Na-
vigli, dalle pagine del Corriere della Sera, 1880-1927
sabato 1 maggio 1880
Igiene cittadina
Il fatto narrato testé da un giornale citta-
dino, cioè che un vivo e risentito reclamo
sia stato presentato al Consiglio provin-
ciale di sanità, contro l’agglomeramento
nel naviglio asciutto di putridume e di
sangue umano raggrumato provenienti
dalla sala delle sezioni anatomiche
dell’Ospedale maggiore, è certamente
grave e fa luogo a serie considerazioni.
Prima di tutto si domanda come un simile
sconcio abbia potuto durare tanti anni
come fosse la cosa più naturale del mon-
do? Se fu avvertito come e perché si la-
sciò che continuasse, con tanto pericolo
della pubblica salute, giacché anche col
naviglio pieno le acque inquinate dalle
materie putride e corrotte non potevano a
meno di produrre i suoi tristi effetti sulla
pubblica igiene. Se non fu avvertito, non
deve recare dolorosa sorpresa il vedere
che la pubblica salute sia così trascurata e
che in uno stabilimento nel quale gli igie-
nisti abbondano, non siasi rilevato ciò che
il più profano dei cittadini può rilevare e
condannare? Diciamolo francamente, se si
tratta di lusso, di comparse, di comodo si
va avanti allegramente e basta appena
esporre un desiderio che esso viene tosto
soddisfatto. Ma se per la pubblica igiene,
tutti a parole sono lì per dare anima e
corpo, ma in fatto si fa poco, e troppo
poco. E quando un igienista in nome della
scienza, o in base all’esperienza propria,
reclama un provvedimento, il meno che
gli si risponde è che esso esagera, e si ac-
coglie il suo reclamo con un pietoso sog-
ghigno. Sei o sette anni or sono, nel Cor-
riere di Milano, fu sollevata dal signor
Massara la questione delle acque potabili
e per un poco vi fu un po’ d’agitazione,
tanto è vero che si fecero dall’egregio
prof. Pavesi le analisi delle acque di Mila-
no. – Dopo poco tempo lo stesso signor
Massara, se non erriamo, in Consiglio co-
munale richiamò l’attenzione della Giunta
sul bisogno di rivolgere gli studi anche
sulle condizioni delle acque.
L’on. Sindaco con quel suo fare disin-
volto e un po’ scettico, rispose non crede-
re alla malsania delle nostre acque pota-
bili, giacché molti cittadini vivono a 70, 80
e fino 90 anni, senza aver mai sofferto per
l’acqua. E così la cosa per allora finì. È ve-
ro che si avrebbe potuto rispondere che
anche a Parigi vi hanno alcuni vecchi ope-
rai che lavorano da 40 a 50 anni negli
egôuts, senza che per altro alcuno siasi
mai immaginato che il vivere in mezzo ai
miasmi delle fogne, sia sano; vero che
nessuno ha mai negato che sia pericoloso
il trovarsi impegnati in una battaglia a fu-
cili e a cannoni, per ciò solo che molti
soldati ne escono sani e salvi. Ma così pur
troppo è, nelle questioni d’igiene, si guar-
dano spesso le cose superficialmente, chi
è morto è morto, chi soffre, soffra, e nes-
suno se ne cura; e basta talvolta la paura
d’una piccola spesa, o la prevalenza di
qualche privato interesse perché un prov-
vedimento sia messo da parte con danno
anche d’una popolazione. Però, volere o
non volere, le idee buone si fanno strada
da sé. La questione delle acque potabili
messa da parte da tanti anni, ora risorge,
e con probabilità che possa essere presto
risolta coll’attuazione di uno fra i molti
progetti presentati. – Così sarà, o
dev’essere della copertura del Naviglio in-
terno alla quale devono concorrere pel
loro interesse gli stessi proprietari fron-
teggianti la fossa, E noi vorremmo che
una attiva sorveglianza si esercitasse sulle
costruzioni delle case, dove si trovano dei
locali abbominevoli e dove le prescrizioni
igieniche sono affatto trascurate. Si per-
suada l’autorità cittadina che il curare
l’igiene è uno de’ suoi primi doveri, e che
la civiltà d’un popolo come disse Liebig si
misura dal sapone che consuma, una città
pulita e con i suoi ordinamenti igienici
acquista sempre credito e rinomanza, e
può sempre migliorare anche le sue con-
dizioni economiche.
mercoledì 16 giugno 1880
Questione del Naviglio
Non è morta: tutt’altro. Il Comitato pro-
motore per l copertura o deviazione della
fossa interna, presieduto dall’ingegnere
Carlo Mira, ha nominato nel suo seno di-
verse Commissioni. Queste sono incaricate
di raccogliere, dai vari proprietari di case
fronteggianti, o poco discoste dal Navi-
glio, sottoscrizioni per un concorso pecu-
niario allo scopo di rendere possibile e
sollecita la tanto reclamata copertura del
Naviglio stesso.
Sappiamo che, non solo per
l’interesse generale dell’igiene, e del de-
coro cittadino, ma anche pel proprio inte-
resse, molti proprietari sono già disposti a
prestare questo concorso, e a creare quel
plebiscito finanziario, che, unito al plebi-
scito igienico già solennemente pronun-
ciato, deve spingere l’autorità ad asse-
condare e affrettare l’opera progettata di
copertura. E questo noi desideriamo e
speriamo.
Giacché una volta che la Giunta e il
Consiglio Comunale si sono risolti a copri-
re il Naviglio morto, e quello di San Gero-
lamo, sarebbe illogico e ingiusto arrestarsi
a metà, e ricorrere a mezze misure inutili
e dispendiose davanti al grande e impor-
tantissimo tronco dal Tombone di San
Marco alla Conca di Viarenna, il quale in
fin dei conti non è altro che una cloaca,
ricettacolo d’ogni immondizia, che passa
frammezzo al centro più popoloso della
città.
giovedì 24 giugno 1880
La copertura del Naviglio
Ieri sera, alle ore otto, fin verso mezzanot-
te, in una sala terrena della casa numero
31 del corso Venezia, si agitò l’antica e
vitale questione della copertura del Navi-
glio.
Si era invitati a raccolta dalla Società
d’igiene che non lascia cadere nessuna
questione importante.
La sala era affollata di medici,
d’ingegneri, di consiglieri comunali e pro-
vinciali, di proprietari di case lambite dal
Naviglio e d’altri cittadini. Il Corriere della
Sera era pur rappresentato.
La discussione fu agitatissima. Parla-
rono il dottor Pini, che fece la storia della
copertura del Naviglio; l’ingegnere Mira,
autore di un progetto di copertura pre-
miato a Bruxelles; – l’ing. Bignami che
propose di coprire parecchi canalacci
esterni, come più dannosi – Il cons. Mas-
sara propugnò la copertura del canale
tanto più, disse, che la navigazione ivi è
ridotta a misera cosa. Parlò anche il prof.
Angelo Pavesi, che invocò un provvedi-
mento d’acqua potabile. Il rag. Colombo
fece vedere che a pavimentare il Naviglio
si spenderebbe più che a coprirlo. Altri
discorsero. La discussione diventa, alla fi-
ne, generale. Il dottor Pini propose un or-
dine del giorno; altri lo modificarono. Al-
cuni consiglieri comunali si astennero dal
votare, e gli altri votarono alla fine il se-
guente:
L’adunanza promessa dalla Società
Italiana d’Igiene, presa cognizione dei
progetti, delle discussioni e dei voti ai
quali ha dato origine la fossa interna;
“Convinta, che nelle condizioni attuali
il naviglio può essere causa di grave mal-
sania sul fatto della umidità, delle infiltra-
zioni che subiscono i pozzi delle case pro-
spicienti il naviglio stesso, per le emana-
zioni mefitiche durante gli spurghi e là
dove hanno luogo le immissioni di mate-
rie escrementizie, esprime il voto, che la
rappresentanza cittadina nel dar mano a
opere di risarcimento del naviglio abbia
principalmente di mira l’adozione di quei
progetti che tendono a sopprimere in
modo assoluto e completo le perniciose
influenze della fossa interna, provvedendo
altresì alla sistemazione dei canali collet-
tori che infestano i quartieri popolari, e
che fin d’ora abbia a cessare il deflusso
delle materie fecali nel naviglio che si ve-
rifica tuttora a danno della salute pubblica
e a offesa del decoro cittadino”.
Per mancanza di spazio, non potem-
mo che offrir qui un rapido cenno della
seduta di ieri; ma il detto è bastante per
dare un’idea delle correnti di opinioni di-
verse che agitavano l’assemblea. Ne ripar-
leremo.
venerdì 4 luglio 1884
La salute pubblica. Le nostre
ispezioni in via Vettabbia
Mentre la Commissione sanitaria annunzia
che le sotto-Commissioni incominciano le
loro ispezioni sanitarie in tutti i quartieri
della città, abbiamo voluto anche noi co-
minciare a dare un’occhiata, non nei corsi
e nelle vie principali, ma nelle strade più
trascurate e che non sembrano apparte-
nere a una città civile e pulita come Mila-
no.
Mettiamo in questo numero via Ve-
traschi, via Gozzadini, via Medici, via Olo-
cati, via Gian Giacomo Mora.
[p. 3⇒] Ieri abbiamo visitato, con
scrupolo d’ispettori igienici, la via Vettab-
bia, già in triste fama per la violenza con
la quale vi si manifestò il morbo cholerico
nel 1867.
Cominciamo col dire che lungo la via
Mulino delle Armi le acque del Naviglio
sono ferme e stagnanti come quelle di
lurida gora, e confondono i loro miasmi
con quelli provenienti dal fosso che scorre
lungo via Vettabbia; fosso nel quale sco-
lano i rifiuti delle case e degli stabilimenti
industriali. La strada non è inaffiata né pu-
lita e fino a ieri non si era pensato a
combattere i miasmi con alcuno di quei
disinfettanti de’ quali altrove si fa tanto
spreco.
I proprietari dell’osteria del Ponticello
al N. 23 ci hanno fatto provare il poco
gradito piacere di stare fra due puzzi dif-
ferenti; davanti quello del canale, di dietro
quello del letame e di altri ingrassi anche
più malsani sparsi sulle ortaglie comprese
nello spazio fra via Vettabbia e il Corso S.
Celso.
Entrando nel cortile del N. 23 si sente
un puzzo insopportabile. Abbiamo voluto
verificarne la causa. Lungo il muro di cinta
d’una ortaglia grandissima affittata a certi
Borghi, gli spazzaturai di tutto il quartiere
vanno a vuotare i carri dell’immondezza.
Lungo duecento metri di muro vi sono
dai 30 ai 40 di siffatti depositi!
L’argomento non è odoroso! ma
quando si pensa che quel muro confina
col giardino dell’oratorio di San Lorenzo,
nel quale la domenica vanno a fare il
chiasso i bambini di molte famiglie del
quartiere; quando si pensa che non molto
lontano c’è il collegio militare di S. Luca,
bisogna pure occuparsene.
Quello sentito ieri da noi è l’odore
normale. Ma due o tre volte la settimana
c’è lo spargimento della così detta bor-
landa negli orti: e allora poi, apriti Cielo!
Ci assicurano che non si resiste: tanto è
vero che non vi passano mai neppure i
delegati mandamentali.
Siamo entrati anche nella casa n. 33,
vicina al bastione, di proprietà Vismara;
casa tristamente famosa negli annali sani-
tari di Milano, come quella nella quale si
verificarono 50 casi di cholera nel 1867.
Anche qui grandi lamenti contro il
fosso, la borlanda e i depositi di spazzatu-
ra. In altre case dove siamo entrati il sudi-
ciume non mancava. Generalmente tutti,
sapendoci scrittori di giornali, ci hanno
raccomandato d’insistere per la copertura
del Naviglio e della fossa Vettabbia. Difat-
ti ogni misura provvisoria è assolutamente
inutile in quei paraggi, se si vuol tutelare
la pubblica igiene, anche non tenendo
conto dei pericoli di una invasione coleri-
ca. Se non sarà cholera saranno tifi, febbri
infettive e malariche.
giovedì 12 marzo 1885
Il naviglio di S. Girolamo
L’altra sera, parecchi proprietari di case
fronteggianti il naviglio morto di S. Giro-
lamo, si sono riuniti nell’abitazione de’
fratelli Mazzini, in casa dei signori De Si-
moni, e hanno stabilito di presentare
un’istanza alla Giunta per pregarla a voler
dare corpo al progetto di copertura di
detto tronco di naviglio – progetto già
approvato nella seduta consigliare del 17
aprile 1883 – essendo tale provvedimento
richiesto dalle condizioni igieniche della
città.
giovedì 14 aprile 1887
Questioni di stagione. Il Naviglio
Questo canale dall’acqua limacciosa, fu
sempre colpevolmente lasciato in abban-
dono. Lo si credette forse innocuo, e in
realtà invece fra il suo fango tiene nasco-
sta un’arma potente di distruzione; nelle
sue torbide acque scorrono germi letali,
che sono una continua minaccia alla salu-
te pubblica.
Si pensò ad abbellire Milano, a illu-
minarla a luce elettrica, a darle l’aria di
capitale, e sorsero palazzi, e gallerie, e si
aprirono piazze; si volle insomma accon-
tentare l’occhio; ma la questione del Na-
viglio non fu mai risolta.
Nel giorno dell’asciutta, il naso, irrita-
to da aspirazioni poco delicate, costrinse,
è vero, qualche volta il cervello a pensare
a un provvedimento, ma rimessa l’acqua,
soffocato il lezzo, il cervello non ci pensò
più.
E così passarono molti anni senza
pensare a un rimedio radicale. Diciamo
molti anni perché la questione è proprio
vecchia. Fino dal 1774 una memoria del
conte Agostino Litta faceva proposte “per
un esperimento atto a spurgare la fossa
interna colla semplice forza a uso delle
sue acque correnti».
Quasi un secolo dopo e cioè nel
1867, il Municipio di Milano incaricò una
Commissione, composta degli ingegneri
Righetti, Bignami-Sormani e Busoni, di
studiare i modi più acconci per rendere
meno nocivo il Naviglio; ma non si prese
alcun provvedimento decisivo.
Per dimostrare che il Naviglio è un
vero centro d’infezione, basti sapere che
fino a tre anni fa riceveva gli scoli di 240
pozzi neri e che anche oggi in esso met-
tono capo i condotti delle case che lo
fiancheggiano.
Questi è un fatto conosciuto da mol-
to tempo; eppure non fu che in questi ul-
timi tempi quando la cittadinanza e gli
igienisti reclamarono rimedi energici con-
tro quella perenne minaccia alla pubblica
salute, che vi fu un risveglio da parte delle
autorità locali.
I reclami furono trovati giusti; la ne-
cessità di rimedi fu riconosciuta e quindi
si discusse sui modi migliori per raggiun-
gere uno scopo pratico e salutare.
Si avanzarono progetti; le discussioni
sorsero animatissime; vi furono quelli che
propugnarono la soppressione della fossa
interna; altri che credettero miglior mezzo
la copertura.
I fautori della soppressione della fos-
sa interna proponevano un mezzo radica-
le. In tal modo la questione era sciolta in
modo sicuro.
E di certo il primo progetto appariva
preferibile a ogni altro, ma la sua attua-
zione pratica presentava sacrifici enormi
di danaro. Bisognava compensare tutti
quelli che si servono delle acque del Na-
viglio le quali per mezzo di trentadue
bocche aperte sulle sue sponde, vengono
ripartite in altrettante utenze di circa
complessive once milanesi 148.
Inoltre questa massa d’acqua serve
all’irrigazione e nel suo vario corso mette
in azione ben ventiquattro motori idraulici
di stabilimenti industriali.
Anche il progetto caldeggiato dai
fautori della copertura della fossa interna
presentava, gravissimi inconvenienti.
Anzitutto la copertura se ha il van-
taggio di impedire le esalazioni, ha pure il
gravissimo danno di non impedire
l’inquinamento delle acque e quindi la
causa prima d’ogni male non sarebbe tol-
ta con una semplice copertura.
E ne abbiamo un esempio nel canale
Seveso e nella roggia Medici che sono
coperti e le di cui esalazioni essendo im-
prigionate dalla volta, non trovano altra
via d’uscita che i condotti delle case che
in essi immettono gli scoli.
La relazione della Commissione
straordinaria di sanità intorno al colera del
1867, ci dice che ove il morbo infierì più
violento, si fu nella zona racchiusa fra il
Seveso e la Roggia Medici. Per tali consi-
derazioni anche il progetto della copertu-
ra fu rigettato e fu scelto il progetto
dell’ingegnere Murnigotti come quello
che offriva maggior utilità pratica e che
corrispondeva al più importante scopo e
cioè d’impedire la comunicazione delle
acque del naviglio con quelle possibili del
sottosuolo.
E ciò si ottiene col rivestire il fondo e
le sponde della fossa con uno strato di
calcestruzzo che acquista la solidità della
pietra e impedisce la filtrazione.
Inoltre, allo scopo di tenere sempre
pulito il letto della fossa e impedire
l’enorme deposito di materie che vi si
forma durante l’anno, l’ingegnere Murni-
gotti ideò un sistema di spazzatura consi-
stente in una barca detta paratoia fatta in
modo da ripiegarsi su se stessa, onde po-
ter passare per le strette delle conche,
fornita d’ordigni per mantenere la propria
mezzaria sull’asse dell’alveo.
Se questo sistema reggerà alla prova
d’un esperimento, certo il problema sarà
di ottima via di soluzione.
Per ora intanto si fa l’operazione più
importante, quella d’impedire
l’inquinazione. E davvero sarebbe da au-
gurarsi che un’operazione tanto igienica si
potesse farla al più presto.
Invece non si ha che un mese
all’anno di tempo per lavorare.
Quest’anno, come dicemmo giorni
sono, si pavimenta il tratto dal ponte di S.
Celso a quello di porta Romana.
L’impresa è obbligata a fare ogni an-
no non meno di 500 metri, ma neppure di
più.
Non applaudiamo certamente a que-
sto contratto stretto dal Municipio, mercé
il quale si avrà la pavimentazione comple-
ta non prima di cinque anni, mentre po-
teva essere compiuta in un anno e mezzo.
Né ci pare che il Municipio abbia
stabilito cinque anni di tempo allo scopo
di suddividere la spesa. – Si tratta di cin-
quanta mila lire; e non si può credere che
il Municipio che spende milioni in altre
opere abbia potuto dichiararsi impotente
a sborsare tal somma in minor tempo,
tanto più trattandosi di una questione
dalla quale – è sufficientemente provato –
dipende la salute dei cittadini.
Ma ormai: cosa fatta capo ha.
Un’altra notizia: L’ingegnere Murni-
gotti aveva contrattata in Olanda una
draga a vapore per accelerare i lavori
d’escavazione; fino dallo scorso luglio
domandò l’autorizzazione al Ministero dei
lavori pubblici, ma la risposta giunse cin-
que mesi dopo, quando non c’era più
tempo sufficiente per far venire la draga.
Per ciò l’escavazione si fa col lento
lavoro manuale, e non vedremo il Navi-
glio interno completamente pavimentato
che fra parecchi anni. Allora il Municipio,
convinto dell’utilità d’impedire
l’inquinamento delle acque potabili, pen-
serà anche alla pavimentazione del Seveso
e della roggia Medici.
sabato 3 agosto 1895
Il Redefossi
Dovrebbe essere un corso d’acqua. Ne ha
infatti l’apparenza, dalle chiuse del cosid-
detto ponte delle Gabelle, pel quale il na-
viglio della Martesana entra in città, fino a
porta Vittoria. Per questo tratto di circon-
vallazione la sua corrente, d’ordinario ab-
bastanza chiara, alta un buon palmo,
scende con una certa velocità – press’a
poco la metà di quella d’un uomo al pas-
so – sopra un letto melmoso e turchinic-
cio.
L’odore che ne emana, benché non
sia precisamente di viole, è tuttavia anco-
ra tollerabile per chi non ha l’olfatto tropo
meticoloso.
Ma è da porta Vittoria – d’onde si di-
stacca il canale d’irrigazione che va verso
Monluè, ed è chiamato il Cavo Borgogno-
ne – fino a porta Romana, che l’aspetto
del Redefossi diventa veramente sconcio.
Nel viale adiacente, e specialmente vicino
ai condotti pei quali gli opifici scaricano i
loro rifiuti, si sente un profumo che ha la
proprietà di far arricciare il naso ai pas-
seggeri, e di rammentare a ogni istante
agli abitanti delle case dirimpetto la poca
gradita vicinanza di una cloaca scoperta.
L’acqua poi – dove c’è – è stagnante
e limacciosa, bolle sempre, ed è travaglia-
ta continuamente da processi chimici che
le danno tutti i colori dell’iride. Galleg-
gianti su di essa, sparsi sui tratti asciutti o
conficcati nella mota, si affratellano là
dentro in una bizzarra promiscuità gli og-
getti più strani e disparati.
Un vero bazar della chiavica. Il mazzo
di fiori dell’onomastico fa compagnia alla
carogna del gatto; il cappellino sdrucito
della signorina alla ciabatta scalcagnata
del facchino; la scopa consunta della por-
tinaia alla bottiglia vuota del lunedì; il tu-
bo da grondaia al mucchio di pomidori e
cipolle fradice; insomma un caos che sa-
rebbe pittoresco, se non fosse puzzolente.
Si capisce infatti come tutti quei cor-
pi organici in decomposizione entro la
belletta quelle lordure disseminate sui
tratti asciutti, quegli scoli di lavatura dalle
fabbriche possano fornire all’atmosfera di
quel rione elementi deleteri capaci di far
cambiar colore agli abitanti. Il pericolo
non è spaventoso, ma esiste in propor-
zioni degne d’esser notate, e questo ci
par che basti.
Lo stabilimento Lancina e Fiori, posto
sul Redefossi del viale di porta Romana,
dalla parte dei bastioni, risente – per la
posizione che occupa – più degli altri i
disastrosi effetti di quei miasmi. Chiunque
voglia recarsi, per curiosità, in quello sta-
bilimento, troverà che quasi tutti i giorni
mancano operai, che giacciono in letto a
casa loro colla febbre. Non parliamo delle
febbriciattole gastriche di poca entità che
sono ormai endemiche laggiù, e a cui
nessuno bada più che tanto.
Dopo ripetuti reclami, circa quindici
giorni fa quella ditta ha ottenuto che per
alcune ore di un giorno alla settimana
venga immerso nel Redefossi un piccolo
getto d’acqua, il quale dovrebbe produrre
in esso la corrente; ma in realtà questa si
riduce a uno spostamento d’acqua che
s’arresta a qualche centinaio di metri. In
tal modo il rimedio adottato non rimedia
proprio a nulla.
Un altro punto eminentemente fetido
del Redefossi è quel braccio di circa cento
metri presso il così detto salto di porta
Romana. In esso l’acqua è relativamente
alta – circa due palmi – e assomiglia alla
broda di un pozzo nero, poiché è preci-
samente nera, densa e putrida come quel-
la. Alla sua superficie, sopra uno strato di
lurida schiuma, svolazzano i moscerini.
Noi crediamo francamente, a dispetto di
certi ottimisti che non abitano in quei pa-
raggi, che tutto ciò possa inquinare l’aria.
E il rimedio?
Pare che la copertura, che sarebbe il
migliore, debba venir a costare troppo al
Comune, il quale può vederla egualmente
compiuta, e non a proprie spese, fra un
buon numero d’anni. È noto infatti come
ogni proprietario di case costrutte sul
margine del Redefossi debba provvedere
anche alla copertura di questo dinanzi al
proprio fabbricato. Ma intanto?
Non potrebbe il Comune, conside-
rando che si tratta della salute dei cittadi-
ni e del decoro della città, fare una specie
di anticipazione ai frontisti avvenire, prov-
vedendo intanto alla copertura, e riser-
vandosi di farsi rimborsare a poco per
volta, man mano che verranno costruite
case dinanzi al Redefossi?
A noi consta che molti di coloro che
intendono appunto di fabbricare in quelle
località sarebbero disposti ad accettare, e
qualche cosa di simile ha detto in Consi-
glio comunale anche il consigliere Pozzi.
Comunque ci si pensi: una città come
Milano non può impunemente lasciar sus-
sistere un tale centro d’infezione.
sabato 10 agosto 1895
La copertura del naviglio
La questione della copertura dei navigli è
una di quelle che più devono interessare
la cittadinanza, giacché è da quelle acque
melmose e miasmatiche che provengono
molte delle malattie infettive, che nei bol-
lettini statistici sono sempre indicate con
cifre relativamente alte.
Ciò che abbiamo scritto sul Redefossi
ci ha procurato molte lettere di ringrazia-
mento da parte di persone dimoranti in
quei paraggi.
Ora ci si incita a trattare un’altra qui-
stione: dell’incompleta copertura di via
San Gerolamo.
Esporremo brevemente di che si trat-
ta: il Municipio di Milano sin da molti anni
fa aveva divisato di coprire il tratto del
naviglio che dalla ferrovia Nord va per le
vie San Gerolamo e Vittoria sino al ponte
di Porta Genova.
I lavori, principiati or sono due anni,
procedettero alacremente, tanto che oggi
questa importante opera potrebbe dirsi
compiuta, ed essere una prova efficace di
quanto le amministrazioni comunali han-
no fatto per il decoro e per l’igiene della
nostra città.
Ma al compimento manca ancora un
tratto: quello che dal Ponte dei Fabbri va
al ponte di Porta Genova, di guisa che chi
passa per questo, vede le acque nere pe-
netrare nell’oscuro sotterraneo del tratto
coperto e ne riceve l’impressione come
d’una grande cloaca, la quale ha in quel
punto il suo sfiatatoio.
La causa per cui il lavoro rimane in-
compiuto è che il proprietario delle case
fronteggianti il Naviglio per quel tratto,
esige somme che il Municipio ritiene ec-
cessive.
Di questa proprietà una è quella casa
mezzo diroccata, che vista per chi viene
da via Cesare Correnti sembra un sipario
a reclame, e vista da chi viene da porta
Genova, e muove al centro, sembra un
rudero trasportato qui come ricordo dello
sventramento di Napoli.
Per l’esproprio il Municipio non vole-
va dare che 70.000 lire, ma il proprietario
signor Beati chiedeva una somma molto
maggiore. Pareva che si sarebbe venuti a
un accordo sulle 80.000 lire, ma poi tutto
fu rotto. Ora a quanto si dice non vi è più
possibilità di una soluzione conciliativa: il
Municipio non crede in coscienza di dover
dare di più, il signor Beati rimane fermo
nelle sue esigenze, e così una delle opere
veramente imposte dall’utilità pubblica
viene a rimanere incompleta.
Ma chi ne soffre veramente sono i
frontisti che confinano o che fronteggiano
la proprietà Beati, poiché le acque della
roggia Castello, incanalata per diversi chi-
lometri, sboccando precisamente in quel
punto non coperto, emanano odori vera-
mente nauseabondi.
Allorché poi si aggiunga che in que-
ste acque incanalate immettono gli scoli
di tutte le case fronteggianti le vie Sam
Gerolamo e Vittoria, e anche vari scarichi
di materie ancor più pestilenziali, si potrà
formarsi un’idea del grave danno che ne
deriva alla salute dei poveri inquilini.
Ora questi frontisti fanno un ragio-
namento assai semplice, ma che ci sem-
bra assai giusto:
«Noi non vogliamo andar a vedere
da qual parte sia la ragione o il torto. Se
la ragione sta dalla parte del signor Beati,
il Municipio la riconosca e compia la co-
pertura. Se invece chi crede d’aver ragio-
ne è il Municipio, allora questo non indu-
gi più oltre in partiche eterne, ma inizi
subito una causa di espropriazione, visto
che trattasi d’un’opera di sanità pubblica.
Da indagini che abbiamo fatto, ci è
risultato che le persone dimoranti in quel-
la località soffrono veramente nella salute.
È impossibile alla notte tener aperta una
finestra e alle volte, allorché il tempo
cambia, conviene tappare ogni buco per
non subire le emanazioni di quella fogna,
che le acque della roggia che vi immette
tengono di continuo in fermentazione.
E senza voler far da mentori
all’Ufficio tecnico municipale, della cui
meravigliosa attività si hanno giornalmen-
te tante prove, ci permettiamo di consi-
gliarlo a voler procedere con energia in
quest’opera di risanamento.
In una città che ha speso tanto per
quei lavori pubblici, che hanno stretti rap-
porti coll’igiene – ricorderemo l’acqua po-
tabile, la fognatura, le nuove scuole, i ba-
gni e i lavatoi pubblici – non dovrebbero
sussistere un giorno questi grandi incuba-
tori di microbi e di infezioni. In un modo
o nell’altro si dovrebbe provvedere, per-
ché sono vizi che deturpano ciò che può
avere di bello la nostra città.
Sarebbe perfettamente inutile iniziare
un’opera di tanta importanza qual è quel-
la della copertura del Naviglio, quando si
debba poi vederla eternamente incompiu-
ta. Il municipio, pur riconoscendo ciò che
è giusto, deve cercare con ogni modo di
far trionfare quanto torna a vantaggio
dell’igiene cittadina. E tanto più deve farlo
in quanto che la legge gliene dà il diritto
e il mezzo.
sabato 16 maggio 1896
Il Redefossi famigerato e pesti-
lenziale
L’eterna questione del Redefossi va fa-
cendosi sempre più acuta. Da porta Nuo-
va a porta Romana, vale a dire per tutto il
percorso del putrido canale di circonvalla-
zione, i proprietari e gli esercenti delle ca-
se che lo fronteggiano stanno preparando
un’istanza, appoggiata da innumerevoli
firme, simile a quella già inoltrata al Mu-
nicipio l’11 settembre del 1895, e rimasta
lettera morta. Soltanto, acciocché non ab-
bia a far la stessa fine, i firmatari della
nuova petizione l’hanno corredata da una
postilla, che dichiara esser loro intenzione
“di ricorrere ad altri mezzi” qualora il Mu-
nicipio non desse sicuro affidamento di
provvedere seriamente stavolta, con quel-
la maggior sollecitudine che sarà consen-
tita dalle circostanze, a togliere questa iat-
tura per la salute pubblica.
Siamo in grado di affermare che tale
dichiarazione significa precisamente inten-
tare causa contro il Municipio.
A nessuno, che conosca anche per
poco il Redefossi attuale, passerà per la
mente che il vivo malcontento dei pro-
prietari sia ingiustificato. Per dirne una, gli
inquilini sono costretti, anche in tempi di
maggior caldo, a tener chiuse tutte le fi-
nestre che guardano sul viale, sotto pensa
di respirare le asfissianti esalazioni di
quelle acque pestilenziali. Malgrado ciò,
serpeggiano in quei rioni malattie, spe-
cialmente di forma tifoidea, febbriciattole
infettive, affezioni gastriche, ecc., assai di-
verse per numero e per natura da quelle
delle altre plaghe urbane.
Alle tante cause d’infezione, già da
noi enumerate altra volta, dobbiamo ora
aggiungerne una, tanto grave, che sembra
incredibile. Nel Redefossi vanno a far ca-
po molti scoli di materie fecali. Ve ne so-
no nel Sevesetto, il canale che affluisce
nel Redefossi di Porta Nuova, e ve ne so-
no anche lungo tutto il tratto di circonval-
lazione sopra accennato, specialmente
sotto le coperture. Queste, che formano
col Redefossi come una specie di tunnel,
esalano agli sbocchi miasmi terribili. Si
possono immaginarne gli effetti per le ca-
se che, come ad esempio, lo stabilimento
Kettlitz, si trovano dinanzi a quegli sboc-
chi. Abbiamo visto ermeticamente ottura-
te, nell’interno di quelle case, persino le
fessure delle finestre!
È dunque evidente la necessità di un
provvedimento che basti a togliere per
intero e definitivamente questo sconcio: o
la copertura totale del Redefossi, o la de-
viazione dei getti e degli scoli che attual-
mente lo inquinano. A questo par che si
sia pensato, ma in modo incompleto, per-
ché la fogna che dovrà raccogliere gli
scoli suddetti (fogna che si incomincia a
costruire in questi giorni) non si estenderà
che da porta Venezia a porta Vittoria, la-
sciando il braccio porta Venezia-porta
Nuova, sporco come adesso, e colla esi-
ziale immissione del pestifero Sevesetto.
Ci pare adunque che sarebbe logico far
arrivare la fogna fino a porta Nuova, cioè
fino all’origine del Redefossi, il quale ver-
rebbe così a essere risanato in tutto il suo
corso.
Quest’ultimo braccio di fogna, che si
omette, verrebbe a costare circa L.
200.000. Quello invece che si sta ora per
costruire è stato preventivato in L.
150.000. Il costo totale della copertura del
Redefossi – che una buona e completa
fognatura, quale l’abbiamo descritta, ver-
rebbe a rendere pressoché inutile – sa-
rebbe di circa L. 250.000.
martedì 10 gennaio 1899
La copertura del naviglio interno
di Milano
Nell’ultima seduta del Consiglio comunale,
il consigliere De Capitani, accennò alla
possibilità che la questione della copertu-
ra dei navigli, così importante oltreché dal
lato igienico, anche da quello della viabili-
tà e dell’edilizia cittadina, potesse essere
utilmente affrontata da corpi morali, diret-
tamente interessati.
Abbiamo pregato l’egregio ing. De
Capitani di voler chiarire lo stato attuale
della questione, che com’è noto, per il
passato interessò moltissimo i tecnici e
anche i giuristi. L’ing. De Capitani accon-
discese ed ecco qui quanto ci scrive:
Caro Direttore,
Io non avrei certo osato domandare
lo spazio prezioso del Corriere; ma, corte-
semente invitato a scriverle sulla questio-
ne della copertura del Naviglio interno, da
me risollevata nella recente tornata del
Consiglio Comunale, rispondo subito, e la
ringrazio.
L’esecuzione di quell’opera è voluta,
e da tempo richiesta, da legittime, eviden-
ti esigenze d’igiene, di viabilità, di edilizia.
Trattasi di un cavo con uno specchio
d’acqua evaporante, entro il circuito dei
Bastioni, di circa m.q. 70 mila, rinserrato
fra due fronti di fabbricanti distanti da 17
a 30 metri, con scarsa pendenza, col fon-
do solo in poche tratte rivestito, con ac-
que non sempre limpide, né inodore,
quantunque siano stati distolti oltre 400
condotti neri una volta immittenti: in una
città come la nostra, con grado fortissimo
di umidità e con poca esposizione ai ven-
ti, l’influenza dannosa di quel cavo sco-
perto è manifesta.
Ma altri gravi inconvenienti vi si con-
nettono. Le vicende storiche di Milano
hanno lasciato nella sua edilizia, nel tipo
della sua pianta, certe impronte caratteri-
stiche delle quali resta a noi di correggere
gradualmente i difetti e moderare le con-
seguenze. La linea anulare del Naviglio,
che fu cerchia della città fino alla metà
del secolo XVI, e la linea anulare del Ba-
stione, sono ostacoli alla continuità e alla
distribuzione regolare del movimento e
delle costruzioni, e ne risulta una grande
concentrazione di vita e di valore lungo le
arterie radiali, e un relativo abbandono
della zona compresa tra il Naviglio e il
Bastione.
Col sostituire all’attuale Fossa interna
una strada, in ampliamento dell’esistente,
che riuscirà della larghezza media di circa
metri 20, adatta alla più attiva circolazio-
ne, anche dei trams, con filari di piante,
sulla quale non sarà difficile aprire alcuni
sbocchi laterali, si verranno a creare con-
dizioni opportune pel richiamo e per la
distribuzione della viabilità nell’interno dei
settori racchiusi dalle maggiori arterie ra-
diali, alle quali verrà così sottratta una
parte del transito ingombrante, che oggi,
per necessità, le invade, e si rimuoveranno
le cause che impongono a tante case alli-
neate lungo il Naviglio, gli scarsi utili, e
anche, per alcune, le forme meno decoro-
se.
La copertura già eseguita della tratta
di Naviglio detta di San Gerolamo, dà
un’idea concreta e molto incoraggiante
dei vantaggi realizzabili con una simile
trasformazione nell’interesse pubblico e
nell’interesse dei frontisti.
Come attuare l’opera desiderata?
Prima condizione è quella di coprire
la Fossa attuale senza alterare il regime
delle acque in essa scorrenti. In fregio al
Naviglio interno esistono 30 bocche di
derivazione, e non tutte modellate; molte
estraggono la quantità d’acqua che corri-
sponde alle condizioni di fatto della bocca
e del canale, e la Vettabbia, poi, ha diritto
a tutte le acque residue: sicché in ciascu-
na estrazione è impegnato non solo
l’interesse diretto de’ suoi utenti, ma an-
che quello di tutti gli estraenti da bocche
inferiori.
Seconda condizione: la copertura,
perché raggiunga utilmente lo scopo, de-
ve farsi a livello della strada attuale, e
quindi diventa indispensabile ottenere dal
Governo la rinuncia al transito per la na-
vigazione, la quale – è bene ricordarlo – si
effettua solo per quattro ore al giorno,
esclusi i giorni festivi, per le riconosciute
prevalenti esigenze dell’irrigazione.
Io non posso qui, in poche righe,
riassumere le notizie storiche e statistiche
che dimostrano come a riguardo di tale
navigazione lungo la Fossa interna non
sussista alcun interesse pubblico generale
che, senza esorbitanze, possa ragionevol-
mente opporsi alla domanda. Accenno
soltanto.
Il movimento dei Navigli che metto-
no capo a Milano, si riassume con pochi
numeri: circa 3200 barche, annualmente,
discendenti dal Naviglio Grande, con un
carico di circa tonnellate 150.000 (legna,
carbone, graniti, marmi); circa 2800 bar-
che, ascendenti dal Naviglio di Pavia, con
un carico di tonn. 90.000 (legna da fuoco);
circa 2000 barche discendenti dal Naviglio
della Martesana con un carico di tonn.
80.000 (calce, legna, graniti, ceppo, mat-
toni).
Però – lo si noti bene – delle dette
8000 barche che, annualmente, si dirigono
a Milano, solo 1500, circa, transitano nella
Fossa interna, e, di queste, 1300 si scari-
cano lungo la medesima, e le altre 200
nell’immediato sobborgo: nulla, o a fatto
insignificante, è il servizio oltre Milano.
Trattasi dunque di un commercio im-
portante, ma esclusivamente locale, di
approvvigionamento della città, e – riser-
vati i competenti indennizzi in un punto o
nell’altro, nella città o nei sobborghi.
Della fossa, originariamente opera
fortilizia (an. 1155) larga braccia 40, dive-
nuta poi acquedotto di scolo e di irriga-
zione, si è approfittato, verso il 1500, per
immettervi le acque del Naviglio della
Martesana, riducendola alla larghezza di
braccia 18 e destinando la zona residua a
magazzini di scalo e di deposito. Ma nelle
condizioni attuali della città, dei commer-
ci, delle vie di comunicazione, Milano può
essere egualmente servita dai Navigli che
arrivano a’ suoi sobborghi, anche rinun-
ciando a quel transito navigabile dalla cui
soppressione dipende il risanamento e la
rigenerazione di una parte centralissima
dell’abitato.
Né credo si debba pensare a mante-
nere il collegamento dei Navigli colla co-
struzione di un altro canale esterno, se-
condo progetti in altri tempi immaginati,
perché si andrebbe incontro a difficoltà e
a oneri affatto sproporzionati allo scopo,
oltre di che sarebbe errore grave, dopo
l’esperienza del passato, con tanti incon-
venienti che si lamentano causati da quel-
le già esistenti.
A bene avviare l’opera desiderata
verso una pratica soluzione, gioverà op-
portunamente l’iniziativa privata se, con
una manifestazione importante e con un
concorso materiale adeguato, interverrà
ad attestare la realtà del bisogno e la uti-
lità del provvedimento.
I frontisti del Naviglio interno – primi
fra questi l’Ospitale Maggiore, l’Ospitale
Fate-Bene-Fratelli, l’Orfanatrofio, che pos-
sono autorevolmente parlare in nome
dell’igiene – dovrebbero dunque unirsi
per presentare una proposta finanziaria
concreta, bilanciando da una parte le spe-
se di copertura e gli indennizzi da darsi
per approdi soppressi e per finestre ottu-
rate (se e in quanto sussistano per diritto
e non per concessione precaria o per
semplice tolleranza), e dall’altra parte i
contributi delle proprietà laterali pei van-
taggi alle medesime derivanti.
Con questa base il Comune potrà av-
viare e condurre vigorosamente le prati-
che col Governo, e, conseguite le necessa-
rie autorizzazioni, dare esecuzione
all’opera, anche gradualmente, tratta per
tratta, incominciando dalle località dove i
frontisti, avvedutamente, avranno assicu-
rati i contributi e spianate le difficoltà.
Il Sindaco, riconoscendo l’altissimo
interesse pubblico dell’opera, ha dichiara-
to che una simile iniziativa avrà certamen-
te vive simpatie e largo appoggio
dall’Amministrazione comunale: auguria-
moci dunque che sia presto tradotta in
atto, e che l’accompagni, da parte di tutti,
uno slancio di buon volere e di concorsi
pari all’importanza dei benefici che vo-
glionsi realizzare.
Mi abbia, egregio amico, coi migliori
sentimenti.
Aff.mo Edgardo De Capitani
sabato 3 agosto 1907
Ancora il tifo a P. Romana. I dati
dell’Ufficio municipale d’Igiene.
Provvedimenti pel Redefossi
All’ufficio municipale d’igiene in via Pa-
lermo, abbiamo rilevato altri dati e infor-
mazioni riguardo al tifo, o più esattamen-
te febbre tifoide, a porta Romana. Essi
completano in modo statistico le notizie
dateci dal medico capo municipale dott.
Bordoni Uffreduzzi da noi ieri interrogato.
Dal 22 giugno a oggi si verificarono
in case di viale Romana questi casi di
febbre tifoidea, 21 casi nella casa n. 50.
Si ebbe anche qualche caso nelle vie
adiacenti al viale Romana. Quanto ai mor-
ti essi furono quattro – come è noto – fra
gli inquilini della casa n. 50, e cioè:
Gerli Pierina, d’anni 17, malata il 29
giugno, morta il 26 luglio; Bisoni Angelo,
d’anni 50, malato il 1 luglio, morto il 7;
Villa Paolo d’anni 20, malato il 3 luglio,
morto il 17; Dedé Irene, d’anni 28, malata
il 9 luglio, morta il 27. Vi furono poi un
morto nella casa, n. 25, e altro nella casa
n. 59, sempre in viale Romana.
Parecchi casi, specie fra gli inquilini
della casa – viale Romana, 50 – ebbero
carattere mite, tanto da simulare paratifi
anziché forme tifose franche. Un caso eb-
be circa 5 giorni di malattia, un altro 10,
un altro 15, un altro 18, uno 21, e due 22.
Riguardo alla casa n. 50, abbiamo
detto ieri che essa è popolatissima. Oc-
corre infatti avvertire che i 440 inquilini
che vi dimorano rappresentano altrettante
famiglie e che le persone sono in tutto
circa 2200.
Il viale Romana è provvisto di fogna-
tura e le case sono dotate di acqua co-
munale condotta. Nelle case dove si veri-
ficarono casi di tifoide venne praticato
anche l’esame dell’acqua di pozzo.
L’esame dell’acqua di pozzo della casa n.
50, fatto il 26 luglio diede risultato buono
essendosi l’acqua trovata salubre. Venne
praticata anche una visita agli spacci di
latte e di verdura del viale Romana; ma
con esito negativo.
Lo stabile n. 50 venne infine visitato
dalla sezione d’ingegneria sanitaria, la
quale adottò alcuni provvedimenti.
Riguardo al Redefossi sul quale a
proposito dei ripetuti casi di febbre tifoide
a porta Romana, si è richiamata ancora
una volta l’attenzione e si sono rinnovati i
reclami, abbiamo potuto assumere notizie
presso il dottor Menozzi, assessore muni-
cipale per la Sanità. Egli ci ha confermato
che l’Ufficio d’igiene, e personalmente il
medico-capo dott. Bordoni-Uffreduzzi, fe-
cero da molto tempo pressioni per la co-
pertura del Redefossi: ma l’autorità muni-
cipale da lui sollecitata non rimase sorda
ai reclami e procede infatti, progressiva-
mente, ai lavori relativi alla tanto giusta-
mente desiderata soppressione del Rede-
fossi.
Infatti nel 1906-907 furono coperti i
tratti di viale porta Venezia e viale Princi-
pe Umberto, il tratto da porta Romana
alla proprietà Valerio e il tratto di viale
Vittoria, tranne una parte prospicente la
proprietà Ricordi essendosi questi mostra-
to restio a contribuire, come frontista, alle
spese dei lavori, ma la controversia è stata
ora risolta e anche il tratto rimanente sarà
colmato.
Per quel che riguarda il Redefossi di
viale Romana, la Giunta ne ha già deciso
la copertura e inizierà i relativi lavori non
appena esaurite le pratiche coi frontisti e
quella colla Prefettura. Le prime sono
pressoché terminate; pendenti invece so-
no le seconde; ma la Giunta, dal canto
suo, intende sollecitarle, per poter tosto
iniziare l’opera di risanamento.
Come rimedio provvisorio per rende-
re meno offensivo il Redefossi, allorché
esso scarseggia di acqua (come in questa
stagione) e può mostrare il suo fondo
melmoso (vero ricettacolo di germi infet-
tivi), si adotta il sistema di immettervi
l’acqua del Naviglio. Ma in questi giorni di
arsura, anche l’acqua del Naviglio è scarsa
e a essa non si è potuto ricorrere.
Il Municipio non ha mancato però di
provvedere ugualmente facendo al Rede-
fossi delle immissioni e lavature con ac-
qua potabile. Tali immissioni fatte fin qui
due volte la settimana, saranno ripetute
ora tre volte la settimana.
Questi i provvedimenti del presente
in attesa di continuare e completare la
soppressione del Redefossi già in notevo-
le parte compiuta. Ma non solo questo
putrido corso di acqua è destinato a
scomparire: la Giunta ha già accettato le
proposte degli uffici sanitari per la sop-
pressione di tutti i corsi d’acqua che colle
loro esalazioni malsane possono recare
nocumento alla salute pubblica. Così vi ha
la roggia Bolagnos la quale convogliando
materiali di scolo, diffonde poco igieniche
esalazioni nei paraggi di via Commenda e
via Lamarmora. Anche il Naviglio è com-
preso nei corsi d’acqua sopprimendi; cioè
esso scomparirà dalla città e sarà fatto
deviare in guisa che esso scorra fuori, lon-
tano dalla città. La scomparsa dall’abitato
di questo torbido e meschino canale non
lascerà rimpianti.
Come si vede il programma – per
quel che riguarda le acque che imbratta-
no e infettano Milano – mira a un com-
pleto, radicale risanamento. Auguriamoci
che questo possa essere fatto al più pre-
sto.
martedì 8 febbraio 1927
Il problema della copertura del
Naviglio interno. Difficoltà tecni-
che e vantaggi pratici
La questione è vecchia: fu affrontata, stu-
diata, progettata parecchie volte senza
che mai si venisse a capo di nulla, e risor-
ge tenacemente. Perché in molta parte
della cittadinanza, via via che si fa più ur-
gente il bisogno di dare alla città arterie
più vaste e più atte al suo traffico in con-
tinuo progresso, nasce spontanea la do-
manda: «Come mai nello sviluppo cre-
scente della metropoli, nella cura, talvolta,
furiosa, di svecchiarla, nei progetti intesi a
renderne sempre più snella la struttura, si
persiste a lasciare sopravvivere questa ar-
teria che sembra, sotto certi aspetti, una
ruga di vecchiezza secolare, ostinatamente
insinuata nel continuo fervore di ringiova-
nimento cittadino?
Gli studi che da anni sono stati fatti
hanno in realtà incontrato difficoltà inso-
spettate. Coprire il Naviglio è presto detto
e può essere anche presto fatto, ma pochi
immaginano quali intricati problemi, non
solo di tecnica, siano connessi a questo
vecchio solco che ha avuto tanta parte
nella storia e anche nella tradizione mila-
nese.
Parliamo della «Fossa interna», im-
propriamente ma comunemente detta
Naviglio, quello cui alluse quel tenace
ambrosiano che voleva debellare la supe-
riorità di Genova col suo bel mare, affer-
mando che, dopo tutto, il mare altro non
era se non et Navili cont ona sponda sola.
Il Naviglio, che cinge per due terzi la vec-
chia city è una derivazione della Martesa-
na, che l’unisce al Naviglio Grande, e a
quello di Pavia, facenti capo entrambi alla
Darsena di porta Ticinese. Indubbiamente
se la «Fossa» fu costruita, intorno al 1200,
anche come cinta acquea di difesa, essa
servì nei secoli soprattutto per il traffico.
L’antico laghetto di fianco all’Ospedale
Maggiore, da cui il nome delle vie Laghet-
to e Poslaghetto, come è noto non era
che una diramazione della «Fossa inter-
na», per spingere il più possibile verso il
centro i carichi di marmi di Candoglia oc-
correnti alla fabbrica del Duomo. Ma oggi
non è certo il trasporto delle merci sui
barconi lungo le acque della «Fossa» che
può essere addotto a giustificare la con-
servazione di questo corso artificiale
d’acqua, non sempre lezzante e poetico.
Un traffico quasi nullo
Esso serve tuttora, come si sa, per i carichi
che dalla Martesana, derivata come è no-
to dall’Adda, debbono raggiungere la
Darsena, e risalire il Naviglio Grande o
quello di Pavia verso il Ticino. Questo
transito che interessa anche la sede stra-
dale cittadina già ingombra di veicoli
d’ogni sorta, per via dei cavalli che lungo
la spalletta del canale trascinano fatico-
samente i barconi, mentre costituisce uno
spettacolo arcaico, pittoresco e anche una
fonte di curiosità inesauribile per i pas-
santi, alimenta un traffico assai modesto.
Infatti delle 400 tonnellate di merci che
dai Navigli affluiscono quotidianamente
su 30 barconi nella Darsena di porta Tici-
nese, una minima parte prosegue il viag-
gio lungo la «Fossa”. Sono, per lo più, ca-
richi di legna per le «sostre» che ancora
sussistono nelle vecchie case pescanti
nell’acqua, o carichi di carta. Tal genere di
trasporti ha subito recentemente delle
iniezioni di modernità col tentativo di so-
stituire ai cavalli delle trattrici capaci di
muovere, anche più celermente, tre, quat-
tro, cinque barconi: ma l’esperimento non
ha intensificato gran che il traffico, né
portato ragguardevoli economie.
Si sa, anche, che l’acqua della «Fossa
interna»” alimenta qualche stabilimento,
ma in complesso il rendimento della forza
motrice è addirittura irrisorio: 35 cavalli. Ci
sono, infine, concessioni d’acqua, che ri-
salgono a contratti vecchissimi, fissati per
una lunghissima durata, fin dal periodo
visconteo. I nostri vecchi avevano certa-
mente un’idea un poì dubbia del progres-
so, e fissavano scadenze contrattuali a se-
coli di distanza. Il cavo Borgognone, per
esempio, che si diparte dalla «Fossa» su-
bito dopo il ponte di Porta Vittoria, co-
struito intorno al 1200 per irrigare i terre-
ni verso Monluè, ha instaurato una vicen-
da di diritti d’acqua tale che, a giudizio
dei competenti, la sua soppressione po-
trebbe dar luogo a cause interminabili.
Per contro c’è chi rileva che sono diritti
facilmente tacitabili, se alla soppressione
della «Fossa interna» facesse seguito la
costruzione del progettato canale di Cre-
scenzago, il quale, partendo dalla Marte-
sana nei pressi di tale paese, raggiunges-
se attraverso le campagne di Rogoredo il
canale di Pavia. Con la costruzione di
questo canale, prevista com’è noto nel
vecchio progetto per il porto di Milano, si
risolverebbe anche il problema del con-
giungimento Martesana-Naviglio di Pavia.
Resterebbe da risolvere la questione della
forza motrice, ma si tratta di una questio-
ne quanto mai trascurabile, potendo esse-
re risolta con l’installazione di qualche
motore elettrico: nessuno vorrà in effetti
dire che sia utile mantenere la «Fossa in-
terna» per macinare qualche quintale di
cioccolata o tostare qualche sacco di caf-
fè.
L’importanza del problema
Quali sono adunque le cause per le quali,
nonostante la sua modesta importanza
economica, si persiste a mantenere una
fossa che, coperta, potrebbe lasciar posto
a una arteria ampia, comoda e spaziosa?
Un esperimento fu fatto, una trentina
d’anni or sono, su di un tratto di essa,
quello che dal Foro Bonaparte percorreva
le attuali vie Carducci e De Amicis fino al
corso di porta Genova. I milanesi che ri-
cordano quelle vecchie contrade, possono
ben dire che cosa fossero al confronto
delle attuali, e riconoscere come
l’effettuata copertura del Naviglio abbia
reso possibili costruzioni di palazzi armo-
niosi, eleganti, ricchi di decoro, e tramuta-
to in vie ampie e comode, arterie squalli-
de e tortuose.
L’ing. Lori, ispettore superiore del
Genio Civile, e l’ingegnere capo Baselli
hanno da tempo studiato questo impor-
tante problema civico: l’ing. Baselli l’ha
fatto anche oggetto di particolari e inte-
ressanti sue ricerche tecnico-storiche. Il
Comune stesso non ha tralasciato analo-
ghi studi; ne è stato uno dei più attivi ar-
tefici l’ing. Codara. Una opposizione, che
può sembrare la più superficiale, ma che
invece ha prevalso a più riprese, è stata
quella artistica. Il Naviglio, chiamiamolo
per un momento così, esercita ancora su
molti ed egregi artisti milanesi il vecchio
fascino che esercitava su Rovani. Dicevano
gli amici di quel giocondo bevitore che
quella del Naviglio era l’unica acqua di cui
egli tollerasse l’esistenza. E dagli artisti lo
si vorrebbe conservato come uno dei po-
chi aspetti superstiti della Milano vecchia,
fugati dal fervore di rinnovamento.
Non vi sarebbero, si dice, difficoltà fi-
nanziarie alla copertura, perché i proprie-
tari delle case che si specchiano sulle ac-
que del Naviglio trarrebbero tale vantag-
gio dall’avere facciata e ingresso su una
strada larga e di aumentato traffico, da
partecipare largamente e, probabilmente
di buon grado, alla spesa occorrente. Vi è,
invece, a quanto pare, qualche difficoltà di
ordine tecnico. È noto che, in vicinanza ai
ponti, le strade salgono per ridiscendere
dalla opposta parte, di guisa che occorre-
rebbe o scalzare le case presso ai ponti, o
interrare di un piano quelle lontane. Si
tratterebbe, in molti casi, di rifare delle
costruzioni ex-novo. Eppure la cosa fu
possibile pei tratti delle attuali vie Carduc-
ci e De Amicis, ed è certo che molte case
della vecchia cerchia del Naviglio conferi-
rebbero maggiormente al decoro cittadi-
no, scomparendo, che sopravvivendo an-
che rabberciate. E, sempre in tema di de-
coro, non è certo a suo vantaggio che
ogni sei mesi si assiste alla pulitura della
«Fossa interna» dalla fanghiglia trascinata
dalla corrente e dai detriti che, senza mol-
ta cura di selezione, i cittadini versano
nelle acque. Operazione questa che grava
per circa un centinaio di migliaia di lire
sul bilancio del Comune: 80.000 per mano
d’opera e 16.000 per manutenzione at-
trezzi.
Per quanto riguarda, infine, taluni se-
colari diritti di acque, che dovrebbero es-
sere soppressi con la copertura, non è
escluso, dicono i tecnici, a derimere cause
fastidiose, che si possa lasciar scorrere
l’acqua anche ad alveo coperto.
Si tratta, insomma, di un problema
non semplice, ma la cui risoluzione deve
derivare da una ragionata valutazione dei
vantaggi e degli svantaggi. Certo i tecnici
sono per lo più del convincimento che il
problema debba essere definitivamente
affrontato, come una delle più utili impre-
se intese a portare la fisionomia di Milano
all’espressione della sua giovinezza rinno-
vata.
giovedì 17 febbraio 1927
Un problema di mezzo secolo. La
storia della “Fossa interna”
Il problema della copertura della «Fossa
interna» o del Naviglio, come si usa chia-
marla anch’essa comunemente, da noi
prospettato giorni or sono, ha, come già
dicemmo, una storia. Storia che non man-
ca di interesse, considerata nei suoi parti-
colari e negli spunti polemici che in ad-
dietro ha pur suscitati.
La cosiddetta «questione del Navi-
glio» nacque intorno al 1875 e durò, una
prima volta, fino al 1880, quando cioè si
coprì una prima parte della «Fossa» dalla
allora via San Gerolamo fino a San Marco.
Vi furono clamorose discussioni e dispute
cortesi fra tecnici e fra ingegneri. L’ing.
Margutti, fin dal 1875, voleva coprire tutta
la «Fossa» per «creare al posto di una
cerchia che sarà sempre disgustosa, la più
bella via di Milano, via destinata per pas-
seggio e corso a surrogare il Bastione al-
lorché la neve e gli aquiloni ce lo consen-
tiranno». Così egli scriveva sulla Perseve-
ranza del 5 ottobre. Anche il Pungolo cal-
deggiava la proposta, ed era riuscito a far
nominare una commissione «per promuo-
vere gli studi e le proposte dirette alla at-
tuazione del progetto di otturare il Navi-
glio interno di Milano».
Il 19 aprile del 1878 l‘on. Marcora
svolse in Consiglio una interpellanza sulla
questione. Voleva che il Comune facesse
sua la proposta della suddetta Commis-
sione, pronunciatasi per la soppressione
del Naviglio, e chiedesse al Governo
l’abolizione della navigazione interna. Per
quanto l’insalubrità del Naviglio venisse
dichiarata fuori di contestazione e al Na-
viglio si attribuissero concordemente le
reumatiche e le febbri intermittenti, pure,
in quella stessa seduta del Consiglio co-
munale, il consigliere Sala difese il Navi-
glio con una memoranda perorazione sia
dal lato poetico e storico, sia da quello
pratico, giudicandolo indispensabile alla
congiunzione fra Adda e Ticino.
Il Consiglio, che non si sarebbe mai
aspettata una burrasca… nel Naviglio, finì
per approvare un ordine del giorno in cui
si facevano voti perché fosse riconosciuta
di pubblica utilità la soppressione del Na-
viglio. Intanto nel 1880 si scioglieva il
Consorzio degli utenti del Naviglio morto
di Porta Comasina, e il Consiglio comuna-
le si impegnava a presentare un progetto
per l’otturamento o copertura di quel
tronco di canale. Infine nel 1883 il Consi-
glio approvava anche il progetto per la
soppressione del Naviglio dalla Roggia
del Castello in Foro Bonaparte fino al
ponte di via Olocati, detto Naviglio di S.
Girolamo dalla via che percorreva, e che è
appunto l’attuale via Carducci. L’anello di
acqua che circondava la città era così in-
terrotto.
Puliture decennali
Eppure quarant’anni or sono un provve-
dimento simile doveva sembrare assai più
avventato di oggi, se si pensa a quello
che era allora il Naviglio in confronto di
oggi e ai servigi che rendeva. Va notato, a
titolo di curiosità, che la copertura del
Naviglio cominciò a essere agitata quan-
do si sciolse il Consorzio utenti per lo
spurgo della «Fossa» e che il Comune si
trovò accollato questo gravoso servizio.
Fu invero un servizio che
l’Amministrazione Civica curò molto di più
di quanto non facesse il cessato consor-
zio, e che venne poi gradualmente miglio-
rando.
Ma non era certo così una volta. Og-
gi la cosiddetta asciutta dei Navigli si fa,
come è noto, due volte all’anno, appena
un secolo fa si faceva ogni dieci anni. Si
può immaginare in quali condizioni dove-
va essere il letto del Naviglio dopo un de-
cennio di abbandono. I documenti accen-
nano sempre infatti alla condizione di
quasi assoluta impossibilità di navigazione
quando il termine decennale stava per
spirare.
Per quanto pittoresco fosse il Navi-
glio d’un tempo, con le sue case basse a
larghe grondaie sporgenti sull’acqua, con
le sue macchie verdi di orti e di giardini,
con la teoria multicolore dei suoi cenci
esposti ad asciugare, con le sciostre di le-
gna e di carbone, bisogna pensare che
tutta questa poesia, se poteva essere fra-
grante, ammirata sulla tela di un pittore,
non lo poteva sempre essere al vero. I
proprietari frontisti scaricavano senza al-
cuna preoccupazione le acque di rifiuto
degli stabili, e anche gli scarichi delle tin-
torie e simili industrie finivano nella «Fos-
sa». I più vari residui della vita quotidiana
ne seminavano abbondantemente il letto:
dalle «spregiate crete» del Parini, agli
stracci più immondi, alle ciabatte, alle os-
sa, ai gatti morti. Talvolta affiorava
l’avanzo o la traccia di un delitto, un’arma
rugginosa o il compendio ingombrante e
pericoloso di un furto. Dieci anni erano
più che sufficienti per far dimenticare ogni
sorta di reati e per assicurare, col manto
di quelle provvide acque, l’impunità a
qualche delinquente.
Una delle ragioni per le quali la ripu-
litura della «Fossa» si faceva a così lunghe
scadenze era quella di non compromette-
re l’approvvigionamento della città. Infatti
i Vicari di provvigione avevano cura di av-
vertire molto tempo prima la città
dell’operazione, e avvisavano specialmen-
te i venditori di generi alimentari e com-
bustibili «perché provvedessero a tener
fornite le botteghe e non trovassero pre-
testo dall’asciutta per rincarare i viveri».
Esercenti d’ogni tempo
Nell’Archivio Storico del Comune si con-
serva un avviso in data 23 gennaio 1692,
rivolto a tutti i commercianti di viveri, «di
far arrivare entro il 15 febbraio grano, fa-
rina, legno, carbone e altre vettovaglie
che hanno fuor di Milano incaparrato,
comprato, ammassato, da condursi per
detto Naviglio nel termine suddetto, acciò
la città non ne patisca sotto pena di scudi
50 per ciascuno…», ecc.
Da ciò si può rilevare, anche, come
certe manovre speculative di negozianti
che profittano di tutto per guadagnare
più del bisogno, siano di ogni secolo. Una
volta, anzi, la pulitura fu ritardata di un
anno, avendo il Vicario avuto sentore che
parecchi negozianti non si erano voluta-
mente riforniti di merci e che l’asciutta
avrebbe asciugato anche le tasche della
minuta plebe. Giacché il popolo non ac-
quistava già il carbone, la legna e il vino,
presso le sciostre ove gli esercenti vende-
vano a caro prezzo, ma presso le cosid-
dette barche avventizie, che avevano
presso a poco la funzione delle nostre
carrette a mano dei venditori ambulanti e
che passavano lentamente lungo il Navi-
glio, e sostavano in punti determinati per
rifornire a buon mercato il popolo.
Oggi l’asciutta è semestrale, e si fa in
modo relativamente rapida: vi lavorano 60
operai divisi in tre squadre e il materiale
di espurgo è di circa 400 metri cubi per
volta. Ma da questi ricordi storici si può
desumere quanto sia scaduta, diremmo
forse più appropriatamente finita,
l’importanza d’un tempo del Naviglio.