Post on 23-Sep-2020
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I – Presentazione. Scopo e finalità: interpretare il dramma shakespeariano come doveva
essere e com’è.
La presente tesi mira a evidenziare degli importanti aspetti di alcune opere teatrali del ‘bardo di
Avon’, stabilendo il nesso con il veicolo esoterico-onirico della comunicazione tra palcoscenico e
platea e andando a ricercare tracce di questa componente nell’odierno mondo cinematografico.
Occorre spiegare accuratamente quale sia questa doppia dimensione concettuale che, seppure qui
sia menzionata come un insieme, è più opportuno analizzarla prima nel suo portato esoterico e poi
in quello onirico (o del sonno che, vedremo, converrà qualificare nei drammi shakespeariani come
sonno portatore di sogni). Questo approccio a primo impatto appare esageratamente ampio ma ci
permette di esplorare in modo soddisfacente una buona parte della drammaturgia di Shakespeare,
primo tra tutti gli scrittori di teatro.
Verranno qui considerati solo tre drammi (che saranno i materiali focalizzanti della tesi) poiché
queste opere possiedono contenuti talmente diversi tra loro che possono essere considerate quanto
di meglio per indagare a fondo ed individuare tracce di esoterismo nell’universo shakespeariano.
Malgrado ci sia questa restrizione, si è cercato di proseguire lungo il filo conduttore della tesi da
ossia dal teatro di Shakespeare, che si può considerare ritrovato in Occidente solo dal XX secolo
(ma, ovviamente, assai prima In Inghilterra), fino alle più recenti ed influenti rappresentazioni
cinematografiche e audiovisive in un mondo sempre più attento ai costi materiali delle produzioni.
Pertanto, si è potuto così personalmente constatare che, accanto al rarefarsi della messa in scena di
grandissimi autori come russi quali Cechov1, tedeschi quali Bertolt Brecht2, italiani quali Carlo
Goldoni3 e Pirandello, Shakespeare è sempre frequentemente rappresentato.
Questo è certamente positivo ai fini della sua diffusione globale, ma dovremo chiederci, muniti
degli strumenti interpretativi necessari, se ciò sia avvenuto a spese di una minore forza dei messaggi
che trasmette al pubblico.
Inoltre parleremo del modo di comunicare Shakespeare che viene trasmesso al grande pubblico
non solo attraverso la forma teatrale e quella cinematografica ma anche attraverso le traduzioni.
Dedicheremo quindi una sezione al modo di tradurre Shakespeare e ai più noti errori che può fare
un traduttore. Intanto inizieremo con il giustificare l’atmosfera esoterica all’interno dei tre lavori
teatrali prescelti. Per questo è rilevante la premessa riguardante la possibile, forse probabile
discendenza di Shakespeare (scrolla-lancia, come il cavaliere che agita la sua arma prima della
1 Anton Pavlovič Čechov, (1860-1904) scrittore, drammaturgo e medico russo. 2 Bertolt Brecht, (1898- 1956) drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco, tra i più grandi e influenti del Novecento. 3 Carlo Goldoni, (1707-1793) drammaturgo, scrittore, librettista e avvocato italiano, cittadino della Repubblica di Venezia.
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battaglia) dalla famiglia calabrese di Crollalanza. Questo, che non intacca in nessun modo
l’unitarietà del portato drammaturgico del ‘bardo di Avon’ ma servirà a giustificare il senso dei suoi
lavori teatrali che poco credibilmente potevano essere stati creati dal figlio di un guantaio.
Figura 1- Ritratto di William Shakespeare.
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II- Shakespeare e la dimensione esoterica-onirica.
II. 1- La dimensione esoterica nel dramma shakespeariano: ipotesi sulla discendenza di
Shakespeare dalla famiglia calabrese di Crollalanza.
Il poco che, tradizionalmente, si sa sulla vita di Shakespeare è che nacque a Stratford sul fiume
Avon, lì si sposò ed ebbe figli. Andò poi a Londra, fece il poeta, l’attore, l’autore di 35 drammi :
alla fine tornò a poco più di 50 anni a Stratford, dove morì. Eppure queste notizie ‘ufficiali’, che
compaiono all’inizio di ogni volume, fanno acqua da tutte le parti, al punto che ci sono un gran
numero di congetture degli studiosi di filologia e di storia, riguardanti l’origine e la comparsa di
Shakespeare ad Avon e a Londra.
In relazione con il nucleo fondamentale della presente ricerca, vale a dire con il nostro interesse
sul portato esoterico-onirico nei drammi shakespeariani, abbiamo spostato la nostra attenzione sul
lavoro del Rotundo4. Egli, in un suo breve saggio del 2005, derivante da ricerche più approfondite
circa un volumetto già pubblicato nel 2000, sembra porre inequivocabilmente le origini reali del
‘bardo di Avon’ in Calabria, sebbene non sia sicuro se presso Bagnara o Sant’Agata di Reggio. Da
parte di madre vi era il cavalierato del Regno di Sicilia (sotto Federico II), presso l’Ordine
Templare5 o Teutonico6 il cui carattere esoterico-iniziatico si ritroverebbe in molti drammi
shakespeariani. Si ricorda inoltre la sua assai probabile adesione spontanea, sotto l’impulso di
antichi sentimenti ed insegnamenti ricevuti alla cultura criptica dei Rosacroce7.
Quindi in relazione a quanto sopra detto, è opportuno chiarire bene in questa premessa il
carattere esoterico di molti drammi mentre per quanto riguarda la loro dimensione onirica si
daranno vaste spiegazioni più avanti. Nel chiarire questi aspetti, ci siamo ispirati soprattutto a
Toynbee, il più grande trattatista a sfondo storico-culturale della nostra storia : egli sottolinea che
l’Occidente attualmente segue tutt’ora, a partire dal terzo secolo dopo Cristo, il rifiuto del
naturalismo e della classicità greco romana, senza che, all’avanscoperta dell’esoterismo, gli autori
si siano segregati dai pensieri, sentimenti e desideri che condividevano con il loro pubblico. E’
4 Domenico Rotundo, studioso di origini calabresi noto per il libro “Le Origini di Shakespeare, J. Florio e i Rosacroce”, Arktos, 2005. 5 Ordine Templare, fondato intorno al 1118- 1119, fu uno dei primi e più noti ordini religiosi cavallereschi cristiani medioevali. 6 Ordine Teutonico, antico ordine monastico militare e ospedaliero sorto in Terrasanta all’epoca della terza crociata ad opera di alcuni tedeschi oer assistere i pellegrini provenienti dalla Germania. 7 Rosacroce, leggendario ordine segreto che sarebbe nato nel XV secolo e la cui conoscenza venne diffusa nel XVII secolo, associato ai simboli della rosa e della croce.
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evidente che il pensiero di Toynbee8 si attaglia perfettamente a Shakespeare il quale assorbe per
disposizione ereditaria (se si accetta l’origine calabrese di Shakespeare) o altrimenti per
un’educazione compiuta secondo i consueti percorsi (cosa della quale peraltro non vi è traccia) il
portato esoterico del reale.
Egli sembra pienamente e pianamente aver accettato, studiato, trasmesso alla platea del pubblico
il vero significato di questa intrusione esoterica, ossia ciò che il più elevato livello del reale
consente a un ristretto numero di personaggi eletti, di adottare un metalinguaggio, vale a dire un
tipo di comunicazione che comprende i modi di esprimersi dei componenti del suddetto gruppo.
Ciò, ovviamente, evidenzia spontaneamente il portato criptico del reale individuandone e
delimitandone il nucleo critico, portatore del vero messaggio significante del dramma : viene così
usata dagli attori una sorta di metalinguaggio quale veicolo di comunicazione che accompagna un
corrispondente, coerente e riservato loro comportamento.
Se, nel reale, gruppi elitari formatisi attraverso lunghi periodi di iniziazione più o meno lunghi
(monaci, seguaci della massoneria, eccetera), tendono a isolarsi conservando il segreto dei contenuti
facenti parte della comunicazione che scambiano tra loro e il significato di questi, al contrario,
essendo la partecipazione del pubblico il fine ultimo del teatro, prima o poi nel contesto del
dramma, tutto ciò dovrà essere decodificato dagli spettatori. Il suddetto nucleo critico concettuale
del dramma deve così, prima o poi nello svolgimento della messa in scena shakespeariana,
chiamato a fornire al pubblico gli strumenti interpretativi necessari allo scopo di attenuarne le
difficoltà della comprensione di questo.
Si vedrà come il sonno portatore di sogni aiuterà, spesso in modo decisivo il processo di
accostamento, tra il gruppo centrale esoterico e positivo (il centro essente in senso platonico) con
quello grossolano del mondo dattorno (la periferia concettuale, non sempre materiale),
eliminandone gli attriti con le scintille che ne possono derivare. Riteniamo così che questo
procedimento, all’interno del quale Shakespeare include il suo denso portato filosofico-culturale sia
da considerare un rilevante e generalizzante aspetto, forse il più importante dei trentacinque drammi
shakespeariani, compresi forse anche i drammi storici, ove la collocazione del re d’Inghilterra, pur
se sempre sacra, varia nei confronti del bene della patria.
E’ ormai quasi inutile dire che la massima coloritura dell’espressione ‘teatrale’ shakespeariana
viene raggiunta grazie ad un contrasto reale ed insanabile che proviene dall’incontro di nobili
aspirazioni esoteriche, dalle quali non sono affatto esclusi i sentimenti ed il retto agire di uomini
dalle umili origini o di provenienza borghese, con la vergognosa, inaccettabile realtà fatta di
8 Arnold J. Toynbee (1889-1975) storico inglese, uno dei massimi esponenti della corrente britannica dello storicismo diffisasi nella seconda metà dell’ottocento.
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egoismo e di patente insolenza solare sulla quale si basa il pensare e l’agire di uno o più
raggruppamenti disdicevoli di personaggi. L’ambigua posizione socioculturale di questa gente è
basata spesso solo sulla pomposità e sul malanimo di farranginosi studi dal sapore prosaico o
falsamente elevato, meschini e palesemente indirizzati al rinforzo dell’io, del suo apparire e del suo
essere in quanto possiede.
Tuttavia, non si deve ritenere che la separatezza riguardi sempre e soltanto due o più gruppi
contrapposti: talvolta il clivaggio attraversa trasversalmente l’insieme dei personaggi separando, ad
esempio, gli uomini dalle donne.
Purtroppo sarà necessario limitare a pochi drammi l’analisi dell’opera teatrale shakespeariana
dato che questi non sono nemmeno del tutto rappresentativi della multiforme opera del bardo:
questa restrizione che ci si è posta a causa della necessaria brevità ma questa esigenza non
impedisce, anzi impone, di ricordare, nei momenti opportuni anche se di sfuggita, dei momenti
esemplari di tutto il lavoro shakespeariano, come ad esempio le allucinazioni ossessive di Macbeth
che, a partire dalla equivoca predizione delle streghe e sotto la spinta della consorte, sconfina nel
completo marasma mentale che consegue all’omicidio. Oppure la durissima avversione per il
denaro, fatalmente accoppiato in Timone di Atene al malanimo verso gli altri esseri umani, tutti
senza eccezione pronti a chiudere le porte in faccia al cosiddetto ‘amico’ quando aveva necessità
materiali. Egli però non viene ucciso dallo sbarramento d’indifferenza da parte di soggetti quali
amici e familiari, ma la sua anima ne esce annichilita.
Negli esempi suddetti in forma sottintesa spesso verso la fine del dramma viene comunicato al
popolo degli spettatori l’assoluta l’avversione shakespeariana riservata alla vendetta che non è quasi
mai un versamento di sangue ma che spesso si limita ad un giusto castigo di tipo correttivo. Si
pensa, che questa considerazione sia contraddetta, forse solo apparentemente, dalle ‘grandi
tragedie’. Questo punto di vista dovrà essere discusso a fondo per dimostrare che i tanti omicidi
delle grandi tragedie non sono fini a se stessi, ma hanno una determinata, precisa funzione nella
meccanica dello svolgimento drammatico.
Di queste tragedie ne abbiamo presa una come punto focale ossia Hamlet che fornisce al lettore
il necessario contrasto con le altre due che sono Midsummer Night’s Dream e The Tempest.
Ovviamente il legame che abbiamo evidenziato tra le tre opere non è quindi nella linea
romanzesca ma va ricercato nel loro contenuto esoterico-onirico (o del sogno) al quale ci si è
mantenuti fedeli per tutta la tesi.
Per concludere con l’esoterismo, il Toynbee raggiunge l’apice della sua trattazione sottolineando
che questo comportamento riservato e dignitoso si esprime soprattutto con un metalinguaggio, vale
a dire attraverso l’atteggiamento e la comunicazione verbale del nucleo centrale’ dei personaggi.
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Questi tramite ciò si trovano a potenziare e chiarire la loro interazione nel necessario ordine
iniziatico spiritualmente gerarchico progettando l’incanalamento delle loro reazioni o
controreazioni mediante le quali si oppongono al malanimo, la cattiveria, l’invidia e le cattive
azioni del mondo intorno.
Shakespeare non dovrà farsi ‘missionario’ e restringere i concetti a pochi e agire limitandosi a
fornire un esempio, anche se questa potrebbe essere la ‘strada comoda’ per uscire d’impaccio
lasciando, sovente, le cose come sono e non esporsi personalmente per fare una cosa impossibile,
vale a dire ‘correggere il mondo’.
Al contrario egli amava impegnarsi a fondo tramite i suoi personaggi anche se raramente li
induceva ad affrontare lo scontro in maniera diretta : persino nei drammi centrati sull’attacco
militare la battaglia consegue sempre a lunghe trattative tendenti alla pace, vedasi ad esempio
Enrico V9 e Coriolano10, sia che, orgogliosamente, nel primo caso, si vogliano veder riconosciuti i
propri diritti (che poi erano quelli dell’Inghilterra) o che, nel secondo caso, si combatta
misconoscendo ogni pretesa personale e mantenendo un’assoluta, radicata modestia (anche Roma si
identificava col suo condottiero e si vendicherà meschinamente dell’indifferenza e del disdegno suo
atteggiamento).
In questo modo certi passaggi ultra-naturalistici dei drammi shakespeariani trovano spiegazione
e riscontro solo nell’ultra-esoterico, per esempio nel sottile sentire del primo una comunanza tra la
terra inglese e quella del nord della Francia, tra i suoi seguaci, di ogni tipo di ceto sociale.
Se si è fatta una digressione è proprio per ribadire quel fondamentale concetto : dalla fisicità,
dal sudore e dalle ferite dei corpi, cioè dal massimo dell’espressione del reale materiale nasce
l’astrattezza del ‘contrappeso astratto e spirituale dell’esoterismo’ : possiamo così ribadire che il
più vero degli ‘eroi’ shakespeariani, debbono essere considerati, alla stessa stregua di un pugno di
altri, non come personaggi ambiziosi e avidi di sangue, ma come assolutamente noncuranti della
propria morte e, quindi, anche del concetto di ‘scomparsa dalla scena come dalla vita sia nei propri
confronti che in quelli degli altri, seppure solidamente ancorati all’esistenza.
Secondo un variare infinito di moduli appartenenti alla stessa sostanza. Il bardo può dunque
costruire i suoi personaggi, facendoli variare ‘come vi piace’ lungo binari rappresentati dall’ironia
e dal ridicolo, fino ad un vero e proprio umorismo o dalla melanconia e la tristezza più totale fino
alla disperazione, anticipando praticamente tutte le correnti teatrali moderne e, persino, alcune
stilizzazioni estremizzate moderne dello spettacolo che i mezzi audiovisivi consentono.
9 Enrico V, è un dramma storico di Shakespeare composto tra il 1598 ed il 1599. Il dramma prende spunto dalle vicende di Enrico V di Inghilterra, re che si distinse per aver conquistato la Francia nel corso della battaglia di Azincourt. 10 Coroliano, è una tragedia in cinque atti databile al 1607-1608 del drammaturgo William Shakespeare. La trama dell’opera è ispirata alla vita del leggendario condottiero Caio Marzio Coroliano.
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Quindi, sull’onda di tecnologie odierne che permettono di proporre come plausibili le originarie
inclusioni tipo ‘balletto’ o ‘canto’ trasformate in contorsioni psico-corporee, depersonalizzazioni
evanescenti, canzoni tratte da repertori provenienti dalla più svariate epoche, malgrado l’attuale
marasma culturale le interpretazioni dei drammi shakespeariani, distorte o derivanti da maldestri
tentativi di mantenere la tradizione, sembrano conservare ancora una certa presenza dello spirito e
della sensibilità del bardo, come quintessenza della rappresentazione.
Si aggiunga che doveva essere proprio il magnetismo a, miracolosamente, attirare l’attenzione
gli spettatori verso lo spirito quintessenziale dei veri contenuti shakespeariani, essendo quasi
scomparsi dalla pratica della ‘messa in scena’ sia gli assai costosi luoghi ove veniva celebrato il rito
della rappresentazione dei drammi del bardo che la altrettanto onerosa presenza di grandi registi,
rifacitori di testi, scenografi e interpreti. Si può quindi lecitamente pensare che una parte di questo
miracolo, secondo quanto si andrà analizzando nel contesto della tesi, possa forse dipendere da
discrete e/o velate qualità esoteriche immesse nei suoi drammi e che per la loro forte valenza nei
contesti di questi possano tuttora influenzare nel profondo un quanto mai distante pubblico.
Già Shakespeare era, paradossalmente, tornato a riproporre aspetti del ‘classico’ dramma greco-
romano, includendo nel suo ‘espressionismo’ plateale le espressioni esterne, spontanee di reconditi
aspetti psicofisici interni all’attore : egli anticipava così qualcosa di questo magnetismo che era in
gran parte attribuibile al subconscio. In tal modo in stile assolutamente teatrale, Shakespeare
anticipa Slanislawski11ma anche James Joyce12, cercando di far ben comprendere allo spettatore
l’essenza della sua stessa natura psichica spesso mettendo in evidenza in modo non assolutamente
simbolico ma del tutto naturalistico la dimensione interiore dei personaggi presentati la quale può
coincidere od avvicinarsi molto al sentire e al soffrire di una parte della platea, se non tutta.
Infatti che il buon teatro (e qui si tratterà di vedere se quello shakespeariano presenta questa
qualità) spesso può offrire la pubblico, la possibilità di conoscere meglio e modulare il suo stesso
portato inconscio, permettendogli di razionalizzare il suo vissuto e offrire una limitata resistenza
all’angoscia, evitando di riconoscere che ciò che gli accade è frutto del destino.
Tornando all’eredità calabro-esoterica di Shakespeare, per completare le implicazioni ci sembra
necessario restringere a poche righe i fatti che, in un modo o nell’altro, la confermano :
- è certo che il bardo divenne amico di Giovanni Florio13 che diffuse tra i britannici (in Oxford)
non solo la conoscenza della lingua e letteratura italiana, scrisse ‘A World of Wordes’, dal quale il
suddetto estrasse espressioni italiane (ricche, ad esempio, in ‘The Taming of the Shrew o ‘La 11 Konstantin Slanislawski, nato a Mosca 1863, attore, regista, scrittore e teorico teatrale russo, noto per essere l'ideatore dell'omonimo celebre metodo Slanislawski. 12 James Joyce, (1882-1941) scrittore, poets e drammaturgo irlandese noto per aver scritto “Ulysses” e “Dubliners”. 13 Giovanni Florio, (1553-1625), linguista inglese , nato durante il regno di Edoardo IV, e definitosi sempre “an Englishman in Italian” (un "inglese italiano").
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Bisbetica Domata’ e in ‘Hamlet’) : inoltre il Florio sembrerebbe anche ispiratore del pedantesco
Holofernes in ‘ Love’s Labour’s Lost’ o Pene di Amor Perdute’;
- il ritratto di Shakespeare noto come ‘Chandos Portrait’ attribuito al pittore-attore Burgage
somiglia fortemente al ritratto del suddetto Giovanni Florio ritratti entrambi riferibili a personaggi
mediterranei, scuri di carnagione,occhi, barba e baffi nettamente neri : particolare interessante
l’orecchino (talismano contro il malocchio) infilato nel lobo dell’orecchio destro dei due, secondo
l’usanza della popolazione di un intraprendente borgo marinaro appena al nord di Bagnara (ove
erano nati i genitori del bardo e lui stesso) ;
- tramite il Florio Shakespeare fu amico dello scrittore inglese Edmund Spenser14, il quale,
nutrito di cultura neopitagorica, neoplatonica ermetica, lo dovette dischiudere all’iniziazione
rosacrociana facendogli ben conoscere il suo libro intitolato al ‘The Faerie Queene’ o la Regina
delle Fate’, 1590, ricco di contenuti cavallereschi e spirituali esoterici e secondo lo studioso
siciliano Martino Iuvara il bardo è identificabile direttamente in Michelangelo Florio di Crollalanza
(i due sono nati nel 1564) nato da Guglielma e da un altro Giovanni Florio, fuggiti in Inghilterra per
motivi di persecuzione religiosa : ivi il grande drammaturgo avrebbe anglicizzato e il cognome
materno in William Shakespeare (unendo Shake Spear, ad imitazione dell’originale Scrolla o Crolla
Lanza)
- gli attori della compagnia teatrale di Shakespeare si ispiravano normalmente alle sacre,
dionisiache rappresentazioni greche caldeggiate da Sofocle, il protettore della Grande Italia (o della
Magna Grecia) ed all’esoterismo delle Metamorfosi di Ovidio e di Apuleio e, nel contempo erano
consci del forte contenuto psichico e criptico di alcuni nobili personaggi dei drammi da loro
interpretati in contrapposizione al semplicistico e grossolanamente soldatesco umore ornato di
avventure, complotti, tradimenti, risse, gioco, facili amori, nei quali erano frequentemente immersi i
teatranti dell’epoca elisabettiana.
Questi assunti sono stati utili a compensare alcune osservazioni in base alle quali non c’è
nessuna prova che Shakespeare fosse nato e vissuto nella casa di Stratford-on-Avon ove non si
trova niente di attribuibile a oggetti di sua appartenenza, mentre non si trova traccia di lui (il suo
nome non compare precedentemente alla sua comparsa in Inghilterra nei dettagliati registri
britannici) né dei sui studi di latino e greco resta traccia negli elenchi delle scuole locali. Si dice che
sia impossibile che un personaggio che sapeva appena scrivere fosse l’autore delle opere a lui
attribuite ed altri evidenziano che si addice maggiormente a uno straniero integrato che a un
membro di una casata inglese per la totale assenza di ogni celebrazione che si ebbe alla sua morte.
14 Edmund Spenser (1552-1599) poeta britannico: egli è stato Poet Laurate (poeta di Stato) sotto il regno di Elisabetta I d’Inghilterra.
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II. 2 - La dimensione onirica nel dramma shakespeariano.
“Noi siamo fatti della stessa sostanza materiale di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è
ruotante nel sonno” Prospero, The Tempest.
Il mondo shakespeariano è formato da un gran numero di personaggi che agiscono e abitano in
varie dimensioni. In alcuni casi sono esseri o energie, fantasmi o fate, che vivono nel sogno
riportandoci a limite della ragione e della razionalità, trascinandoci in un mondo irreale e fantastico.
Per Shakespeare questi incantesimi surreali avvengono nei boschi, nei giardini, a volte nelle stanze
o nelle torri dei castelli, ma ad ogni modo l'atmosfera è sempre magica e incantata. Questo,
stranamente, avviene sempre durante la notte, momento in cui la mente e il corpo si riposano e
iniziano a entrare prima nel sonno e poi nel sogno.
Nella notte shakespeariana può avvenire di tutto tanto ci troviamo in una dimensione ben lontana
dalla realtà dello spazio, tempo e di ogni logica. Shakespeare rende le sue trame volutamente
complesse e difficili da seguire proprio per creare all'interno della mente dello spettatore una
confusione che lo accompagnerò lentamente nella perdita dei sensi fino al rilassamento totale di
ogni angoscia e preoccupazione. Il più grande esempio di questo è uno dei testi analizzati,
commedia di ambiente boschivo, di fate, di folletti e di magia: Midnight Summer's Dream. Bottom,
l'uomo asino, dopo essersi svegliato dal sogno in cui era un uomo dalla testa d’asino dice: “Ho
avuto un sogno...l’uomo non è che un somaro, se si mette a spiegar questo sogno...Occhio umano
non ha udito, né orecchio umano ha visto, mano d’uomo non è in grado di gustare, né la sua lingua
di comprendere, né il suo cuore di narrare, quello che fu il mio sogno: Farò scrivere una ballata
intorno a questo sogno: sarà intitolata -Il sogno di Bottom- perché è senza fondo..”.
Shakespeare crea quest'opera dedicata ai sogni, alla magia ed all'innamoramento cieco e folle. La
vita ordinaria e le assurde leggi contro il matrimonio libero si mescolano a questo mondo incantato
dove ci sono creature magiche di ogni tipo, animali fantastici dalle sembianze umanoidi e persone
alla ricerca di amori impossibili, o per volontà paterna o per volontà dell'amato. Il re e la regina
delle fate, Oberon e Titania, sono adirati l'uno con l'altro. Oberon, per vendicarsi ordina a Puck, il
suo folletto servitore, di versare il succo di un fiore magico negli occhi di Titania mentre dorme.
Questo la farà innamorare del primo soggetto che avrà davanti al suo risveglio. Il fortunato sembra
esssere Bottom che, per via di un altro incantesimo è diventato per metà asino. E Titania appena
sveglia resta incantata da questo essere: “Qual angelo mi sveglierà dal mio letto di fiori?”.
Shakespeare ci vuole insegnare che l’intensità con la quale percepiamo i nostri sogni è
totalizzante tanto da assorbirci completamente. Qui egli crea un’atmosfera incantata, che si trova a
metà tra sogno e realtà, tra notte e giorno, confondendo, ridicolizzando e giocando con ogni
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personaggio, umano, fata, o animale che sia. Questa confusione ricerca una sorta di realtà per
riemergere dallo stato di torpore perché se ci si abbandona a questo si potrebbero scoprire nuove
parti sconosciute di se stessi. Uomini che sembrano animali, pozioni magiche, atmosfere incantate
popolano anche altre opere di Shakespeare. Il sogno non deve semplicemente incantare ma ha anche
la funzione di riportarci al passato, all'infanzia, di farci rivivere ricordi e di riscoprire interiorità
profonde.
Anche in Amleto Shakespeare inserisce quel tocco folle, magico e surreale. L'apparizione del
padre fantasma, il re morto assassinato dal fratello, e che rivelerà al figlio la verità sul suo
assassino, conducendolo alla giustizia. Il personaggio della visione di Amleto funge da guida
proprio perchè spesso nell'inconscio umano sono proprio sogni e visioni che danno indicazione, che
incitano una premonizione, avvertono o esortano il sognatore. Amleto dichiara: “Ho sentito dire che
il gallo, questa tromba che annuncia il mattino, risveglia il dio del giorno con la sua gola alta e
acuta, e che al suono del suo segnale, ovunque si trovino, nel mare o nel fuoco, sulla terra o
nell’aria, gli spiriti vaganti ed errabondi, ritornano nel loro regno...è svanito al canto del gallo.
Alcuni sostengono che, in prossimità del Natale, l’uccello dell’alba canta tutta la notte senza posa e
allora, dicono, non ci sono spiriti vaganti, le notti sono salubri, i pianeti non esercitano influssi
malefici, le fate non possono fare incantesimi né le streghe fatture: tanto quel tempo è santo e pieno
di grazia...O dio potrei essere confinato in un guscio di noce, e considerarmi il re di uno spazio
infinito, se non facessi brutti sogni”. Possono aiutarci, indicarci la strada, chiarirci un dubbio o darci
un consiglio, per Shakespeare sono sempre fondamentali che siano in forma di sogno o d’incubo.
The Tempest, l'opera più esoterico-onirica di Shakespeare è interamente basata sul sogno. Basti
vedere l'adattamento di Greenaway15 in cui Miranda passa gran parte del film a dormire mentre
l'anziano padre veglia su di lei e le assicura sogni tranquilli. Prospero, saggio mago che crede
nell'occulto, nella magia e in tutto ciò che molti definirebbero surreale, saggiamente dice: “Noi
siamo fatti della stessa sostanza materiale di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è ruotante
nel sonno”. Shakespeare rende il sogno premonizione, traccia, confessione, profezia nel quale alla
base c'è sempre un coinvolgimento completo e totalizzante. Il sogno sembra essere costantemente in
noi, parte di noi, la nostra essenza. Infatti noi siamo il sogno, e siamo fatti della materia di cui sono
fatti i sogni, tanto per citare Shakespeare nella sua opera testamentaria.
Shakespeare però si rivolgeva al pubblico e molto probabilmente essendo un pubblico perlopiù
ignorante ed analfabeta non avrebbe colto il senso del linguaggio simbolico del sogno ma avrebbe
15 Peter Greenaway (nato nel 1942) pittore, regista e sceneggiatore gallese. È considerato uno dei più significativi cineasti della cinematografia britannica contemporanea. Il principale interesse di Greenaway riguarda l'arte figurativa e la pittura. I suoi film sono caratterizzati da un forte impatto visivo e da tematiche estreme come la sessualità e la morte. L'arte stessa, come mezzo per interpretare la realtà, è spesso un soggetto portante dei suoi lavori.
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semplicemente apprezzato la magia della scena. Shakespeare ci riporta ai sogni indicandoli come
sostanza di collegamento con l'anima dove ci contatta e ci parla, indicandoci il percorso da seguire,
come riferimento chiarificatore, l'opposto quindi dei vari studiosi di psicologia che vedono il sogno
come un semplice esercizio mentale o manifestazione di paure o desideri inconsci. I sogni però
secondo il bardo sono la nostra realtà, l’essenza, il risultato della vita e delle esperienze fatte, una
risposta dell’anima che si manifesta solo durante la notte nell'immobilità fisica. Ed è solo quando
l'esterno è immobile che l'interno agisce e si manifesta.
I drammi shakespeariani, incluse le grandissime tragedie sembrano basarsi sul pensiero di cui
parla Arthur Schopenhauer16 nel primo libro del ‘Mondo come Volontà e Rappresentazione’ : che
può riassumersi nella filosofia del ‘Velo di Maya’, una sorta di interposizione calata tra la nostra
crepuscolare, semidormiente visione e la realtà. La presenza del sonno portatore di sogni (o la sua
assenza sostituita dall’incubo) è forte in molti altri drammi shakespeariani, anticipando la
‘Weltanschaung’ (la visione del mondo) di Nietzsche17 e di tutto l’esistenzialismo. Lo spunto è
simile alla filosofia di Platone sul quale si basa la filosofia dell’Essere che, in genere, è gestita da
quel nucleo privilegiato di personaggi del teatro di Shakespeare che dialogano e si comprendono tra
loro soprattutto partecipando e condividendo problematiche e vite vissute ad un livello discreto,
sempre elevato: essi non temono il sonno anche in circostanze critiche come quelle in cui si trova
Amleto, che è ben conscio di perdere, con la vita la possibilità di entrare in un sonno portatore di
sogni. Al contrario, non è affatto così per coloro che praticano il mondo degli onori, della gloria,
della rivalità, del tradimento : sia Giulio Cesare che i congiurati dormono ben poco nella notte
prima dell’assassinio e solo la moglie del grande romano ha un sogno premonitore. Sono i
congiurati che si astraggono dagli altri, ma Shakespeare non lascia ai suoi autori di autodeterminarsi
contro i principi della filosofia dell’essere e Marco Antonio distrugge facilmente le loro barriere
dialettiche erette sull’inutilità e il danno derivante dalla morte di Cesare.
Assai frequentemente, nei drammi shakespeariani, anche i personaggi contrapposti di due fronti
non vanno sollecitamente allo scontro ma interferiscono gradualmente in un gioco concettuale
stringente basato su una dialettica che si fa sempre più serrata e che permette il graduale smussarsi
tra loro di due realtà che possono essere spaventosamente diverse ma delle quali si tenta comunque
la conciliazione. In questo ‘gioco delle parti’ e verso la risoluzione del conflitto, gli spettatori 16 Arthur Schopenhauer (1788-1860) filosofo tedesco, uno dei maggiori pensatori del XIX secolo. La sua filosofia articolata in precisi ragionamenti e aforismi caustici, recupera alcuni elementi dell'illuminismo, di Platone , del romanticismo e del kantismo , fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine orientali, specialmente quella buddista e induista, creando una sua originale concezione basata su un radicale pessimismo. 17 Friedrich Nietzsche (1844-1900) filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco.Tra i massimi filosofi di ogni tempo, Nietzsche ebbe un'influenza controversa ma indiscutibile sul pensiero filosofico, letterario e politico del Novecento . La sua filosofia è considerata da alcuni uno spartiacque fra la filosofia tradizionale e un nuovo modello di riflessione, informale e provocatorio.
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divengono consci: essi, con/come i personaggi drammatici negativi invasi dal male e da demoni,
perdono il velo di Maya o sono loro stessi a toglierselo, aderendo a sfere più alte di comprensione e
coscienza che influenzeranno la loro vita quotidiana.
La metafore del mondo-teatro rappresentano il punto di arrivo e, paradossalmente, di partenza
della comunicazione tra i mondi rappresentati traboccano dalla scena e conducono il complesso
della collettività attori-spettatori alla disposizione psichica verso la dimensione onirica. Il bardo di
Avon non fa, ovviamente, letteratura e non spiega ciò che accade sulla scena con lunghe digressioni
verbali che nuocerebbero gravemente il dramma. Egli, dunque, non solo fa ricorso alla melodia ed
al canto come tali, ma anche al famoso ‘verso nero’ pentasillabico e giambico il quale viene spinto,
al di fuori della sua stessa organizzazione, in versi e strofe, fino alla suprema espressione di amore,
minaccia, ira, dolore, strazio e a tutte le altre numerosissime sfumature dei sentimenti che possono
accompagnare o no dei corrispondenti comportamenti.
L’utilizzazione di questo linguaggio, quasi costantemente libero dalla rima, viene impiegato
preferenzialmente e quasi sempre nel dramma shakespeariano, fornendo al suo svolgimento una
copertura (assai più che un semplice sfondo) tanto indispensabile quanto egli ricorre ad ogni
possibile e coerente metafora per realizzarlo. Forse l’esempio più calzante di questo comportamento
può, apparire al primo impatto strano, se non addirittura, fuori posto : Timone di Atene divenuto
praticamente un vero e proprio clochard, trova nel terreno sottostante un mucchio di monete d’oro,
che subito egli, senza pensarci un attimo non usa per tirarsi fuori dai guai, ma fa cadere intorno a sé
e/o getta lontano. In tal modo Shakespeare ci fa sentire a distanza ravvicinata il tintinnio delle
monete che cadono, cosa che si ripete quasi costantemente nella parte finale del dramma.
Dunque, lungi dall’essere una trouvaille, l’apparizione ed il getto incessante della monete
d’attorno diviene parte essenziale di un ‘continuum sonoro’ fatto dalla materia tanto disprezzata
collocata, al di fuori della volontà di Timone, allo spregevole centro focale delle persone un tempo
a lui care, della città di Atene, del mondo. A questo punto sembra personalmente essere
assolutamente necessario parlare sull’argomento della musicalità che accompagna quasi
costantemente lo spirito di distensione, vale a dire sul sonno inducente il sonno nel dramma
shakespeariano. E’ ben noto che Shakespeare fu influenzato da molteplici autori: si è già
considerato che lo Spenser con il suo poema dedicato alla regina delle fate influenzasse
grandemente la scrittura e la rappresentazione teatrale del bardo che ne trasse grande ispirazione.
Così come Titania proviene dalle Metamorfosi di Ovidio, testo dal quale Shakespeare, come
molti dei suoi contemporanei trasse una miriade di spunti, soprattutto sia per le sue opere a sfondo
principalmente campestri e/o pastorali che per le commedie in genere. Qui si parla del possesso del
misterioso bambino indiano da parte di Titania, considerando che la filosofia indiana in generale è
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fondamentale per tutto l’impalcatura dell’intero ‘Midsummer Night’s Dream’, come lo è per le altre
commedie, e ci permette di entrare nel concetto di una possibile distensione esistenziale
dell’individuo, accompagnata e/o indotta dalla musica che, sin dalla prima rappresentazione veniva
usata a profusione.
In grado assai minore si è di fronte a quello che il teatro francese immetteva nel dramma come
balletto ma che nella realtà shakespeariana ci sembra più realisticamente interpretabile come
espressione fisica della corporeità: si ricorda che gli interpreti di tutti i personaggi messi sul
palcoscenico erano esclusivamente uomini e che le esecuzioni al freddo londinese (il Globe, non
aveva tetto che sul proscenio e sul loggiato che percorreva circolarmente il teatro) non dovevano
spingersi molto verso il corpo seminudo.
Si trattava, quindi, verosimilmente, di una esibizione gestuale, del corpo dell’attore seminudo,
molto simbolica o di atteggiamenti diversi subentranti l’uno all’altro fino a contorsioni
concomitanti all’espressione di sentimenti ed emozioni degli attori forse più semplice ma altrettanto
significativo di quanto ci ha mostrato il Living Theatre una cinquantina di anni fa e che, oggi, viene
adoperato a piene mani nel contesto delle moderne messe in scena.
A questo proposito cogliamo l’occasione di accennare alla fisicità profusa moderatamente nella
versione BBC della Tempesta e vastamente in quella di Greenaway piuttosto che in quella di
Jarman.
Ciò detto, la musica e il suo riscontro corporeo in distensione e rilassatezza fisica è presente
dappertutto, nel sontuoso palazzo di Perseo, nel bosco, con una provenienza da ogni anfratto di
esso, forse anche dal violino di Oberon che accompagna il flauto di Puck.
Qualunque ne sia la provenienza, musica e verso recitato e/o cantato animano lo spettacolino
messo in scena dai poveri artigiani ed operai del luogo, per non parlare della splendida melodia di
Mendelssohn18 che, sovente, viene usata come completamento delle conclusioni nuziali del
dramma.
E’ il caso di dedicare ancora poche pagine tornando a uno dei caratteri fondamentali della
Tempesta come per esempio Ariel lo spirito dell’aria munito di arti eccezionali nel modulare in
senso musicale, come suonando un immenso strumento, l’atmosfera in tutti i suoi cieli, le nuvole, i
venti con tutte le corde ed i tasti che essa offre, entrando in risonanza con la terra, soffiando come
flauti e clarini crepacci, grotte, fessure, anditi rocciosi o semplici chiome d’albero e cespugli.
Il concerto di Ariel funge da rivestimento altamente protettivo per i mortali innalzandosi a volte
sulla base dei sibili e mormorii di fondo per divenire cullante ninna-nanna, rilassante nenia, in un
continuum inducente rilassamento e sonno. Tutto risulta sempre perfettamente ed omogeneamente
18 Felix Mendelssohn (1809-1847) compositore, direttore d’orchestra, pianista organista tedesco.
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mescolato e intonato con i ritmi di danze e canti delle dee, delle ninfe, fate e gruppi degli spiriti
coltivatori, mietitori ed addetti variamente allo sfruttamento dell’isola secondo il comando del suo
governatore, Prospero.
Talvolta Ariel soffia producendo le note troppo squillanti della tromba e quelle assai basse dei
fagotti e delle tube, come fa per produrre lo squassante vento, i fiotti di pioggia e per indurre
spavento nell’animo dei naviganti durante la finta tempesta o come fa per produrre le urla
sconquassanti che terrorizzano e domano Calibano, il suo equivalente terrestre, volgare, maligno e
perverso.
Il rilassamento, l’abbandono alla natura consegue alle nenie e al dolce mormorio, vale a dire ad
ogni espressione musicale e vocale inducente la detensione, il rilassamento ed, infine, il placido
sonno generatore di gratificanti sogni rivelatori che permettono, favorendo una migliore coscienza
di se stessi, ondate di vero e sincero pentimento.
Non dimentichiamo che per Shakespeare, che non è Freud19 né Jung20, il mondo inconscio
dell’uomo è molto più vicino alla sua superficie di quanto non si sia stabilito nel XIX-XX secolo.
Sotto questo aspetto e per il feedback positivo indotto dallo stato di beatitudine e di sopore
causato da quella atmosfera, la piccola collettività di attori e spettatori riunita insieme presso il
palcoscenico (ma anche, in senso riduttivo al cinema e/o di fronte al mezzo audiovisivo) celebra il
suo rito che comporta l’esaltazione della comunicazione e della confessione a se stessi e agli altri
delle proprie inefficienze.
Tramite la conduzione dei soggetti riuniti nel sacro vincolo della ricerca esoterica di verità e
giustizia, i quali presiedono a tutto ciò che accade, la suddetta comunità sembra dunque entrare in
una sorta di meccanica psicoanalitica.
Non ci si stupisca che il pubblico attui, anche senza saperlo, una meccanica di transfert con gli
attori, anche con quelli che avendo presieduto al tutto sembrano (molte volte sono) in uno stato di
regressione Il pubblico, a mano a mano che comprende, ne approfitta fino a liberarsi
concettualmente di bramosie, piccinerie, mascalzonate, insicurezze, sensi di colpa, dispiaceri per le
occasioni perdute, grandi e piccoli tradimenti e mancanze verso gli altri, tutte cose che possono
aver ritardato la loro propria evoluzione in senso liberatorio.
La funzione liberatoria del teatro è ampiamente riconosciuta e Shakespeare, secondo quanto si è
già detto, ne è stato il più avanzato autore che la ha manipolata in modo ben più maturo e integrato
19 Sigmund Freud (1856-1939) neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi, una delle principali branche della psicologia. Ha elaborato una teoria scientifica e filosofica, secondo la quale un'entità chiamata inconscio esercita influssi determinanti sul comportamento e sul pensiero umano e sulle interazioni tra individui. 20 Carl Gustav Jung (1875-1961) psichiatra , psicoanalista e antropologo svizzero. La sua tecnica e teoria, di derivazione psicoanalitica, è chiamata "psicologia analitica”, "psicologia del profondo", raramente "psicologia complessa".
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nell’azione scenica stessa.
Bisogna notare che la disposizione mentale del bardo suggerisce anche aspetti stranamente
miracolosamente positivi come la possibilità di divinizzare una testa d’asino da parte di Titania.
Anche in questo caso, quindi, il sonno favorisce questa deviazione dalla norma naturale mentre si
attua una semi-fusione psichica tra i due soggetti, al di sopra della loro netta incompatibilità
corporea, della quale gli spettatori si rendono conto trasponendola nel concetto di distinzione del
sesso nei confronti dell’amore. In tal senso, sia nei suddetti aspetti positivi che nelle sue espressioni
negative il sogno non è altro, sempre, che la materia prima dell’arte teatrale e si accompagna in
Shakespeare con la musica.
Nella sua espressione sfavorevole, il sogno può divenire un incubo : pensiamo ai suddetti sogni
premonitori di sventura nel ‘Julius Cesar’ ove persino la semplice mancanza di induzione del sonno
diviene un grosso problema, dato che è solo la moglie di Cesare a predirne la morte al tempo delle
idi di marzo, presso il Senato. E’ tuttavia il sonno che minaccia incubi a indurre terrore come ad
esempio nel Riccardo III, dove il sogno del re è turbato sul finale dagli spettri delle sue vittime, egli
si rende così conto del fatto che è la sua cattiva coscienza a non dargli pace.
Nello stesso modo non si può che restare inorriditi se, da spettatori, si viene coinvolti nella notte
perenne della carneficina interminabile e inarrestabile nella quale ci trascina Macbeth, ‘l’uomo che
ha ucciso il sonno e non dormirà mai più’.
Non attraverso la stessa tragica fatalità ma con un effetto funzionale forte nel contesto
drammatico, Shylock nel ‘Merchant of Venice’ allude al brutto sogno che gli fa prevedere la fuga
della figlia Jessica con il cristiano Lorenzo.
In definitiva, non sarebbe pensabile l’enorme valorizzazione del portato esoterico da parte del
grande scrittore di teatro se l’attrito che esso provoca all’interno del complesso meccanismo
drammatico, non fosse attenuato dal sonno portatore di sogni. Fortuna che la mitologia e la
spiritualità orientale, come si è considerato nel parlare di Titania, anche se non direttamente
immessa nel dramma, incombe tuttavia sulla scena.
L’influenza del sonno portatore di sogni nel dramma shakespeariano rappresenta la chiave del
successo di Shakespeare ed è proprio questo a scaturire un incontro magico tra gli attori e gli
spettatori. Anche nei drammi che si svolgono e terminano nel sangue gli scontri tra i protagonisti
sono nulla, perché nulla è la nostra morte materiale.
Un preclaro esempio di questo lo troviamo in Amleto nel momento in cui raggiunge la piena
coscienza della colpa dello zio. In tal modo, bene o male, ma più per il bene, Amleto sembra
divenire un saggio Prospero o uno qualunque della miriade di personaggi centrali shakespeariani di
alto livello, per il male ci penseranno ad operare suo zio in associazione con Laerte, nella loro sete
16
di vendetta e trasformando il dramma in un Grand Guignol21. Ma ciò che ha davvero importanza è
che la rappresentazione del ‘trionfo dell’essere sulla dimensione dell’avere’ continui ad essere
rappresentata sulla scena, da dove, come si è già considerato numerose volte, tale affermazione
traboccherà e dal pubblico ne sarà contagiato persino il mondo fuori.
Può tuttavia accadere che, talvolta, il disastro sembra interessare negativamente la condizione
umana fino alla perdita della decenza della rappresentazione dell’uomo in mezzo ai mortali.
Shakespeare ce lo mostra con Falstaff (‘Merry Wives of Windsor’) il quale, nel finale viene
beffato. Egli, affranto e disperato, si vendica con Ford incrementando il suo fatale dubbio circa
l’essere tradito dalla moglie, praticamente vivendo in uno stato in cui non distingue il sogno dalla
realtà. Il coro conclude insieme ai due suddetti interpreti:
“Tutto nel mondo è burla
L’uomo è nato burlone
La fede in cor gli ciurla,
Gli ciurla la ragione
Tutti gabbati ! Irride
L’un l’altro ogni Mortal
Ma ride ben chi ride.”
21 Grand Guignol è il nome di un teatro parigino situato nel 9e arrondissement che, dalla sua apertura nel 1897 fino alla chiusura avvenuta nel1963, si specializzò in spettacoli decisamente macabri e violenti.
Figura 2- Quadro dell’artista Gustav Doré intitolato Midsummer Night's Dream.
17
III – I Problemi di traduzione shakespeariana.
III. 1 – Problemi di traduzione nei tre drammi prescelti.
La problematica che scaturisce dalle importanti premesse che sono state fatte, qui confluisce in
un’ipotesi di questa tesi fondata soprattutto dalla possibilità di studiare la comunicazione
palcoscenico-platea dei drammi shakespeariani attraverso il veicolo privilegiato di tipo esoterico-
onirico.
Si apre così la possibilità di un’analisi completa di questi testi attraverso la ricerca e l’analisi di
tali componenti, vere linee-guida le quali potrebbero renderci partecipi di problematiche
fondamentali e ontologiche (ma altre ipotesi unitariste sono state e saranno avanzate in tutt’altra
direzione da quella qui intrapresa).
Si è ritenuto di seguire la via breve adottando un criterio fondato su un metodo (che non sarebbe
certamente idoneo per un’analisi letteraria dell’opera shakespeariana) che consenta l’approccio più
diretto possibile per ottenere dei risultati, attraverso la lettura del dramma sostenuta da una
significativa iconografia, la quale ci può fornire un’idea dei tre drammi scelti in forma di teatro,
cinema, audiovisiva.
Per quanto si riferirà al teatro, a parte poche eccezioni, verranno considerate di importanza focale
le brillanti esecuzioni teatrali della British Broadcasting Corporation, BBC), che hanno avuto
un’enorme diffusione in tutto il mondo, se non altro nelle Università. Collateralmente verranno
ricordate esecuzioni collaterali ispirate a Shakespeare e, qua e là, performances coreografiche,
musicali e canore.
I tre suddetti drammi, verranno qui presentati a partire da ‘The Tempest’ del 1611 (6), il più
universale e globalizzante, cui seguirà ‘Hamlet’ del 1601 (7) e poi ‘Midsummer Night’s Dream’
del 1595 (8). Proseguendo nello stile già adottato, tutta la nostra trattazione sarà punto per punto
chiarita a partire da brevi cenni, esempi e citazioni presi dal complesso dei trentacinque drammi
shakespeariani.
Bisogna ora sottolineare che le suddette ‘letture teatrali’ che occuperanno il centro focale di
questa tesi, necessitano di citazioni che, ovviamente, sono state estrapolate da quegli originali
inglesi più comunemente accettati ai quali non accenneremo né discuteremo affatto per non entrare
nei superflui dettagli filologici al di fuori degli scopi e delle finalità di questa tesi. Altrettanto
ovviamente non ci si potrà molto soffermare sulle scelte della traduzione italiana che, nel testo, farà
seguito a quella inglese né sugli stili ed angolazioni interpretative dei drammi rappresentati.
In questa sede è il caso di sottolineare che la ‘globalizzazione shakespeariana’ comporta e
18
implicherà sempre maggiormente la necessità di traduzioni fedeli ed ottimali dei drammi : infatti il
lavoro di traduzione può condizionare, ovunque nel mondo, l’esecuzione e, quindi, la comprensione
del dramma shakespeariano. Ovviamente, qui si considera soltanto la traduzione italiana che,
secondo quanto ci informa l’inglesista Agostino Lombardo22, veniva fatta all’unisono con il regista:
questa è la sua esperienza in tandem con lo Strehler23, considerabile insieme a Zeffirelli24 e a
Carmelo Bene25 tra i più importanti registi italiani di quella che ormai potremmo a giusto titolo
chiamare ‘l’Epoca d’Oro, postbellica, della Cultura Italiana’. E’ opportuno dire che Zeffirelli ci ha
dato delle sontuose interpretazioni teatrali e filmiche divenendo poi un conteso regista dell’Opera
ottocentesca, mentre Carmelo Bene, nella realtà scenica distorsioni concettuali e linguistiche,
soprattutto in Amleto, fondate sull’alterazione della successione temporale, ecolalica e ossessiva di
domande e risposte spesso criptiche.
Lombardo, al quale va attribuita la traduzione di ‘The Tempest’, non presuppone nessun
suggerimento di regole, egli sembra, come Shakespeare, odiare il dogma anche per la variabilità dei
soggetti considerati. Non possiamo che aderire a queste asserzioni, tenendo conto che la seconda,
intesa in senso assoluto, può rendere più complessa, in qualche caso, la ricerca del nocciolo di un
nucleo concettuale regolare contenuto nella realtà drammatica shakespeariana.
In ogni caso, sotto le suddette premesse,‘La Tempesta’ nacque sotto i migliori auspici, intuibili
da tale cooperazione e arrivò, decollando dal famoso ‘Piccolo Teatro di Milano’ (rappresentata ad
intervalli dal 1979 al 1982), fin negli Stati Uniti. Lo Strehler aveva già rappresentato il dramma
presso il giardino di Boboli in Firenze e volle con il Lombardo, noto inglesista, sviscerare ogni
aspetto linguistico, si può dire in ogni sua parola, il testo in questione in perfetta sintesi con la sua
visione di un’elevata tensione drammatica combinata con il realismo sociale, aspetti tipici del suo
stile, adatto ai contenuti teatrali sia di Shakespeare che di Brecht, suoi cavalli di battaglia.
Alla fine, dopo le lunghe ore di lavoro in collaborazione, in ogni fase della stesura è persino
durante le rappresentazioni, il Lombardo ci rende partecipi dei principi che egli seguì e che lo
condussero ad un’elevata interpretazione di ‘La Tempesta’ (una traduzione e ‘messa in scena’
creative che vogliano lasciar traccia, possono condurre a tale risultato) pur sotto i presupposti di
totale fedeltà, al teatro, al testo, al regista, all’attore, al pubblico.
Tuttavia il suo interesse principale risulta essere la soluzione al problema della necessità di
22 Agostino Lombardo (1927-2005) linguista e critico letterario italiano, professore emerito di letteratura inglese presso La Sapienza e membro dell'Accademia dei Lincei dal 29 luglio 1987. E’ considerato uno dei padri dell'anglistica e dell'americanistica in Italia, ed uno dei massimi critici dell'opera shakespeariana, per la quale ha effettuato numerose traduzioni. 23 Giorgio Strehler (1921-1997) regista teatrale italiano. 24 Franco Zeffirelli (nato nel 1923) regista, sceneggiatore e politico italiano. 25 Carmelo Bene (1937-2007) attore, drammaturgo, regista, scrittore e poeta italiano, considerato uno degli artisti più poliedrici nella storia del teatro mondiale.
19
rendere il ritmo e la musica del black verse shakespeariano, pentametro giambico non ritmato, che,
in inglese suona altamente dinamico, drammatico, espressivo. Egli adotta, per un massimo di
assonanza, un verso italiano con due-quattro accentazioni: tra gli esempi cui riferirsi abbiamo
preferito riportarne brevemente (IV,1, da 171 in poi) uno dai dialoghi di Prospero ed Ariel :
Prospero. Say again, where didst these varlets ?
Ariel. I told you, sir, they were red-hot with drinking :
So full of valour that they smote the air
Che diviene :
Prospero. Dimmi di nuovo,
Dove hai lasciato i manigoldi ?
Ariel. Te l’ho detto padrone
Erano paonazzi dal bere
Così pieni di coraggio
Che picchiavano l’aria
E tra le prime parole pronunciate da Miranda (I,2, da 1) troviamo :
Miranda. If by your Art, my dearest father, you have
Put the wild waters in this roar, allay them
Che diviene :
Miranda. Se con la tua arte, caro padre,
Avete gettato le acque selvagge
In questo fragore
Ora calmatele.
Per quel che riguarda ‘Hamlet’, della traduzione qui adottata, di Gabriele Baldini26, ci informa
diffusamente il saggio di Viola Papetti : il suddetto inglesista adotta, al contrario del Lombardo,
una traduzione in prosa, totalmente letterale (tranne, ovviamente, le parti cantate. Si è qui presa
questa traduzione come riferimento e un fantastico esempio di questo lo troviamo in II,2, da 93 in 26 Gabriele Baldini, (Roma 1919-1069) professore di letteratura inglese presso l'università di Roma. E’ stato curatore di una rigorosa edizione dell'intera opera di William Shakespeare (ha pubblicato fra l'altro anche numerosi studi sulla letteratura inglese dal medioevo all'Ottocento).
20
poi :
Polonio. Mad call I it, for, to define true madness
What is’t but to be nothing else be mad ?
Regina. More matter, with less art.
Polonio. Madam, I swear I use not art at all.
That he (Hamlet) is mad ’tis true, ‘tis true ’tis pity
And pity ‘tis ‘tis true, a foolish figure
But farewell it, for I will use no art.
Mad let us grant him then, and now remains
That we find out the cause of this effect
Or rather say, the cause of this defect.
Che diviene :
Polonio. Che a voler definire la vera pazzia, che cosa occorrerebbe se non l’essere pazzi ? Ma
lasciamo andare.
Regina. Più sostanza con meno arte.
Polonio. Signora, vi giuro che io non uso arte affatto.
Ch’egli sia pazzo è vero, è vero che sia un peccato ;
ed è un vero peccato che sia vero.
Una bizzarra figura retorica.
Ma diamogli pure un addio, poiché non voglio metterci arte.
Concediamo pure che sia pazzo e ci resta quindi da trovare la causa di questo effetto,
o per dir meglio la causa di questo difetto.
Poiché questo effetto difettoso deve pur procedere da una causa.
Questo ci resta e quel che ci resta è questo.
A questo preambolo, qui riportato solo per far notare la sonorità ottenuta dalla traduzione in
prosa del Baldini, seguirà, come ci si attende, la versione di Polonio sulla suddetta ‘causa’,
ovviamente da riportare alla passione di Amleto per sua figlia, Ofelia. Si ribadisce qui l’ottimo
effetto sul pubblico che una versione veramente letterale come la suddetta può avere, in qualità di
trasmissione diretta ‘di una trasparenza cristallina’ del linguaggio shakespeariano. Il Baldini
definisce quest’ultimo come ‘…impervio e al tempo stesso immediato, scultoreo e agile’ che ha
tentato per tutta la durata della sua breve vita di tradurre dimenticandosi del ‘vagheggino letterario’
21
in agguato entro ogni autore, il quale se lasciato esprimersi appesantirebbe con orpelli e merlettature
il testo shakespeariano, che deve conservare lingua e stile diretti al pubblico teatrale.
Seguendo queste linee-guida, il pensiero del suddetto inglesista, può venire associato al
Lombardo, per quello che si è qui personalmente chiamata l’ovvia fedeltà alla traduzione,
inaugurante quella che poi ha ispirato le generalità dell’eccellenza della traduzione italiana di
Shakespeare, presa nel mondo per modello, in associazione ai risultati eccezionali delle ottime
‘messe in scena’. Il Baldini, scrive: ’ Shakespeare non solo rappresentava la vita e rappresentandola
la inventava, ma inventava anche la sua lingua…(e la lingua inglese, dopo di lui)…non si poté più
pensare di scriverla…né in versi né in prosa, senza tenerne conto.’ Il suddetto traduttore si risolse
anche di eliminare l’ambiguità del testo drammatico, per esempio aggiungendo qualcosa di
esplicativo al testo originale, cosa condivisibile, come pure, in grado minore, il suo modo di
illuminare il pubblico italiano, ‘chiarendo l’ambiguità’ con la quale gli spettatori da sempre e
ovunque hanno dovuto fare i conti : a questo proposito, di evidenza parlante risulta il suo stesso
esempio centrato su Claribella, figlia del Re di Napoli, divenuta dopo il matrimonio Regina di
Tunisi (The Tempest II,1)… ‘She that is Queen of Tunis, she dwells /Ten leagues beyond man’s
life.’. che egli traduce : ‘La Regina di Tunisi ; colei che vive dieci leghe al di là di quanto non basti
una vita umana per arrivare.’ Diversa, in quanto più diretta la traduzione di A. Lombardo : ‘La
Regina di Tunisi, colei che abita/Dieci leghe più lontano/ Di una vita d’uomo’.
Tutti i conti fatti, la linea di traduzione di quest’ultimo inglesista può essere considerata ottima
sia nella sua conformità al testo originale che al suo verso; essa risulta assolutamente necessaria,
come quella del Baldini, se si vuole contribuire a quel tanto magico, sognante quanto ritmicamente
scattante e deciso, flusso di comunicazione tra spettatori ed attori e che nell’Italia del XX secolo
dovrà veicolare i contenuti verbali che accompagnano quelli visuali, ma sicuramente più incisivi di
questi ultimi, per la loro forza di penetrazione nel subconscio collettivo della piccola comunità
teatrale. Infatti, se tale corrente comunicativa a feedback positivo viene vista passare dall’insieme
autore-attori agli spettatori, è necessario considerare la ‘retroazione’ che, riverberando tale flusso
dagli spettatori, ritorni sugli attori, caricandoli di nuova energia espressiva.
Per semplicità ci si è attenuti, per le citazioni tradotte in italiano dal testo originale di
‘Midsummer Night’s Dream’, al lavoro del Lombardo, in collaborazione con Nadia Fusini, per la
quale, a partire da fonti quali Spenser, Apuleio (dal quale derivano le famose orecchie d’asino di
Bottom), Ovidio (le sue ‘Metamorfosi’ sono assai amate dal bardo) ed altri autori classici e
medioevali, Shakespeare elabora un vero e proprio ‘classico’.
E se dà alla commedia questa impronta egli lo fa in armonia con il setting ateniese che segue lo
stile elisabettiano.
22
In tal caso il passato non è per Shakespeare un museo di figure ricostruite una per una secondo la
correttezza, le proprietà e le regole del restauro archeologico, ma è parte di una tradizione vivente
che attraverso i secoli si è contaminata con altri sapori, ha preso altri significati, assunti diversi
propositi e proprio perciò è ogni volta ritrovata come una fonte fresca, da alterare ancora, da
modificare senza pensiero di oltraggio.
Si è già considerato che, per quanto riguarda la traduzione italiana, il Lombardo (che fu sostituito
dalla suddetta inglesista) sognava di arrivare alla fedele traduzione dei trentacinque drammi
shakespeariani, mettendosi corpo e anima a disposizione dei registi, con i quali amava cooperare
sino ed oltre la messinscena del dramma.
Probabilmente la tradizione di una interpretazione ritualmente giocosa di ‘Midsummer Night’s
Dream’ gli aveva fornito una grande occasione di superare se stesso essendo tuttavia ben conscio
che, anche in questo caso, il lavoro di traduzione avrebbe potuto condizionare ovunque l’esecuzione
e, quindi, la comprensione del dramma shakespeariano.
Più che mai di fronte a questo compito, egli aveva avuto modo di mediare un dramma eterno
verso una forma transeunte, consono alla cultura dell’epoca e alla nazione per la quale la ‘messa in
scena’ viene allestita. Anche qui, secondo quanto si è detto per gli altri due drammi sopra esaminati,
non c’è che da constatare se egli abbia reso con trasparenza il contenuto shakespeariano attraverso
la sua versione ritmata del pentametro giambico. Anche qui, meglio di pagine di esposizione,
varranno degli esempi, i quali ci mostrano che il Lombardo, penetrando bene nel testo
shakespeariano, si era potuto rendere ben conto che ‘Midsummer Night’s Dream’ era tutto meno
che la commedia leggera e giocosa che si riteneva fosse.
Tra gli esempi se n’è scelto uno (I,1,da 110 in poi) dove Perseo, dopo aver rivolto a uomini inviti
ad appartarsi con lui per studiare il problema delle sue personali nozze, si rivolge duramente ad
Ermia, una ragazza che aveva osato innamorarsi di Lisandro, senza il consenso del padre:
Theseus. ….For you, fair Hermia, look your arm yourself
To fit your fancies to your father’s will ;
Or else the law of Athena yelds you up –
Which by no means we may extenuate –
To death or to a vow of single life.
Poche parole dedicate ad una semplice suddita, il cui peso specifico è ben scarso. La traduzione
del Lombardo non suona meno dell’originale come una sferzata crudele sulla guancia di Ermia :
23
Theseus. …In quanto a te,
Bella Ermia, sii pronta a conformare
I tuoi desideri alla volontà di tuo padre ;
Altrimenti la legge di Atene – che in nessun modo
Noi possiamo attenuare, ti consegnerà alla morte
O a un destino di vita solitaria.
E a riscontro della durezza del mondo reale, Shakespeare fa corrispondere quella del mondo
delle faires :
E Lisandro, che vuole consolare la sua amata (I,1,da 154 in poi, riportando i dialogo tra i due
come un monologo, dice ) :
Lysander. The course of our love never did run smoothy
But either it was different in blood…..
Or else misgraffed in respect of years –…..
Or else it stood upon the choic of friends –…..
Or if there were a sympathy in choice,
War, death, or sickness did lay siege to it,
Making it momentany as a sound,
Swift as a shadow, , short as any dream…..
And ere a man hath power to say ‘Behold’ –
The jaws of darkness do devour it up
Che diviene :
Lisandro. Il corso del vero amore non è mai
Andato troppo liscio. O era differenza
Di sangue –…..
O era una differenza riguardo agli anni –….
Oppure dipendeva dalla scelta degli amici –…..
O anche se nella scelta c’è una simpatia,
La guerra, la morte o la malattia
La stringono d’assedio, la rendono effimera come un suono,
Veloce come un’ombra, corta come qualsiasi sogno…..
E, prima che un uomo possa dire
24
‘Guarda’ – le mascelle del buio lo hanno
Divorato…
Si aggiunga al quadro ben lontano dalla gaiezza della semplice commedia, la profonda
disperazione di Elena (I, 1,da 130) :
Helena. How happy some o’er can be !
Through Athens I’m thought as fair as she.
But what of that ? Demetrius thinks not so ;
He will not know what all but he do know.
And as he errs, doting on Hernia’s eyes,
So I, admiring of his qualities.
Che diviene :
Oh quanto alcuni possono essere
Più felici di altri.
In tutta Atene sono ritenuta bella come lei.
Ma a che serve ? Demetrio non lo pensa.
Lui non vuole sapere quello che tutti,
Tranne lui ben sanno. E come lui
Sbaglia a struggersi per gli occhi di Ermia
Così io, ad ammirare le sue qualità.
E anche in questi ultimi esempi, la fedele traduzione del Lombardo è perfettamente attinente al
fraseggio di Shakespeare e lo sconforto di Elena si aggiunge pesantemente alla disperazione di
Ermia.
Nel mondo delle faires, fatti e sentimenti, poi non sembrano aggredire meno il mondo degli
spiriiti di quanto non facciano in quello degli uomini.
Esordisce il Re Oberon (II,I, da 60 in poi):
Oberon : Mal trovata, al chiaro di luna,
Superba Titania !
Titania. Cosa, il geloso Oberon ! Ho abbandonato il suo letto
25
E la sua compagnia.
Oberon. Taci, libertina sfrontata. Non sono io
Il tuo signore ?
Vi è la possibilità da parte dello spettatore italiano, come in quello dei primi spettacoli in epoca
elisabettiana, di percepire chiaramente il messaggio in base al quale, accanto al mondo di uomini
che gioiscono appieno della vita e si fanno forti della loro forza fisica e dell’autorità che si sono
conferiti, vi è un mondo femminile e che forse, nel corso del dramma, dovranno essere ascoltate.
In questa sede è il caso di sottolineare che la ‘globalizzazione shakespeariana’ implica e
implicherà sempre maggiormente la necessità di traduzioni fedeli dei drammi: si è visto che il
traduttore gioca come un funambolo tra due abissi, da una parte la profondità di Shakespeare
sempre sfidata nel suo sottile equilibrio tra linguaggio e contenuti e dall’altra la sensibilità del
pubblico disposto a interpretare mediante il suo specifico portato culturale le sottigliezze di
recitazione. In tale situazione piccoli travisamenti, sfumature nella traduzione possono far slittare il
pubblico verso il gioviale fino al comico ciò che è francamente tragico e, viceversa.
Si ritiene che i suddetti esempi, riportati da esperti traduttori siano stati sufficienti a chiarire tutto
questo, almeno per quanto riguarda le implicazioni della traduzione italiana. Si è così confermato
che gli inglesismi considerati pongono al centro, secondo una sicura tradizione, la traduzione
fedele e letterale la quale, di fronte al testo atemporale, è sempre transeunte in quanto il traduttore è
mediatore tra’opera e pubblico il cui modo di parlare e base culturale variano.
Tuttavia, di prevalente interesse risulta essere la loro soluzione al problema della necessità di
rendere il ritmo e la musica del black verse shakespeariano, pentametro giambico non ritmato, che,
in inglese suona altamente dinamico, drammatico, espressivo.
Anche se il verso italiano viene scelto per un massimo di assonanza con due-quattro accentazioni
rispetto alla traduzione in prosa, i traduttori fanno ‘cantare’ in ogni caso la lingua italiana la quale,
rispetto ad altre lingue più diffuse nel mondo, si presta a un’ottima resa (che è sempre
interpretazione) del dramma shakespeariano.
Ci sembra ora il caso di fare un breve cenno al lavoro di Ricordi27 il quale sottolinea come
Shakespeare sia entrato a buon diritto nell’ambito di una nuova spettacolarità.
Stiamo parlando del cinema e di vari mezzi audiovisivi che continuano a trarre dai suoi drammi
riduzioni, interpretazioni, che non cessano costantemente di suscitare l’interesse degli spettatori o,
meglio, di quella parte di loro ancora interessata al dramma shakespeariano.
Si aggiunge personalmente che anche e soprattutto la traduzione deve essere curata ed aggiornata
27 Franco Ricordi (nato nel 1958) attore, regista, direttore artistico e scrittore italiano di teatro.
26
in quanto facente parte degli interessi culturali dell’oggi, affiancandosi ad altri aspetti tra i quali
quelli melodrammatici, poetici e filosofici ma anche su quelli più specialistici, tecnologici e più
soggetti a mutamenti quali quelli connessi con l’architettura scenica, la musica e la danza (o, si è
visto, la corporeità come espressione del ritmo musicale, dell’atteggiamento artistico, del
sentimento dell’attore). Si tratta di aspetti che si rinnovano continuamente secondo un ritmo
vertiginoso che segue l’aggiornamento imposto dal tempo in cui si vive.
III. 2 - Problemi di traduzione nel teatro e nel cinema shakespeariano.
Abbiamo finora parlato di alcune opere di Shakespeare scegliendo quelle che più si associano
all'esoterismo e al mondo onirico e illustrando ogni sfumatura in base all'interpretazione di ciascun
regista dall'invenzione dall'epoca del film in bianco e nero ad oggi.
Ma mentre nella lingua inglese l'adattamento cinematografico non ha riscontrato grandi problemi di
sceneggiatura, dato che spesso negli adattamenti più conformi i registi non si sono azzardati a
mutare le parole del bardo essendo già di per se un testo teatrale praticamente identico ad una
sceneggiatura filmica, un problema sicuramente assai più arduo deve essere stato scegliere la
traduzione Shakespeariana più idonea. Ma tradurre un'opera di Shakespeare deve essere una gran
bella sfida per il traduttore in questione dato che deve prendersi carico di un’enorme responsabilità
in quanto egli svolge un compito di grande valore intellettuale.
Deve tener conto del fatto che un'opera di questa portata si protrarrà per secoli a distanza dalla sua
creazione e che il suo lavoro si troverà sotto il giudizio di un gran numero di persone. Si deve tener
conto di cose come la grammatica, la retorica, il ritmo, la sintassi, i vari registri stilistici e, visto che
qui parliamo piuttosto di teatro che di letteratura, soprattutto di mimica e gestuale, di movimenti e
intonazione. Ma è possibile fare una traduzione che tenga conto di tutto questo? Innanzi tutto tra il
fare una banale parafrasi e una traduzione degna di essere definita tale c'è una grande differenza.
Chi traduce Shakespeare deve vivere il teatro, conoscere ogni sfumatura, voce e corpo dell'attore,
deve saperla cogliere dall'orecchio dello spettatore. Un grande traduttore deve tener conto del fatto
che il suo compito non è quello di sostituirsi all’autore ma di far rivivere i suoi testi facendone
riaffiorare l’originaria essenza. Però oltre alle varie “performance studies” del campo teatrale
occorre principalmente considerare l’epoca in cui vennero scritti i versi del bardo. Innanzitutto
poniamoci un quesito la cui risposta ci sarà utile per analizzare le varie considerazioni che devono
fare i traduttori shakespeariani prima di iniziare quest’arduo lavoro: in che lingua scriveva
Shakespeare? Il linguaggio di Shakespeare non può che essere definito che uno specchio del
linguaggio comune di quei tempi. La lingua di Shakespeare è, ovviamente essendo una lingua di
pressappoco quattrocento anni fa, una lingua ormai desueta nell’Inghilterra di oggi. Questo è perché
27
“la lingua riflette ogni cambiamento che interviene nell’essere umano e nell’ambiente in cui esso si
sviluppa. Le trasformazioni del modo di vivere degli uomini, come, ad esempio, il passaggio dalla
vita rurale a quella cittadina e gli avvenimenti della vita politica, lasciano le loro tracce nella lingua.
Presso i popoli le cui forme politiche e sociali mutano rapidamente cambia rapidamente anche la
lingua, mentre presso i popoli che non hanno storia la lingua non muta. Il francese di Rabelais, un
secolo dopo la sua morte, era compreso soltanto dai dotti, mentre l’islandese, dal quale sono
derivati il norvegese, lo svedese e il danese, è rimasto pressoché immutato in Islanda” (L.
Hutcheon, 2011). L’inglese di Shakespeare, seppure sia un inglese ritenuto contemporaneo in quel
periodo, non corrisponde di certo all’italiano di oggi, piuttosto potrebbe lontanamente corrispondere
al linguaggio di un Dante, ma riproporre un linguaggio simile in un’altra lingua è, a mio avviso, il
compito più difficile. Il testo finisce per perdere senso, quel tocco di magia e di classe che gli
anglofoni trovano, che in parte anche grazie a quel tipo di linguaggio è impossibile riprodurlo.
Il testo shakespeariano infatti nasce grazie ad elaborati intrecci di parole, è pieno di metafore argute
ed è scritto per declamare piuttosto che per parlare. La sua bravura però fu proprio quella di
congiungere il modo convenzionale di fare teatro in quei tempi alle esigenze del pubblico teatrale.
Egli fu il primo autore in grado di combinare il suo genio poetico con un senso pratico del teatro per
questo riuscii in qualche modo ad intrattenere le masse e allo stesso tempo diffondere un linguaggio
poetico che fosse brillante ed espressivo. Riuscire a mantenersi fedeli ad un autore di tale rilievo è
prioritario ma nel caso in cui questo non è possibile bisogna cercare di rispecchiarne lo spirito nei
limiti del possibile e soprattutto tener conto che per rispettare l’autore non bisogna comunque
snobbare il pubblico e non creare un testo che sia distante dal comprendonio collettivo.
Sono molti infatti coloro che hanno provato a tradurre Shakespeare ma sono pochi quelli che, a
mio avviso, sono riusciti bene nell’intento. All’interno di questa tesi parlando degli adattamenti
cinematografici ho citato numerose volte alcuni versi del bardo accompagnati dalla traduzione che
ho privilegiato per quell’opera in particolare. In “The Tempest” ho scelto il lavoro di Agostino
Lombardo. Il suo approccio nei confronti della traduzione shakespeariana è assai criticato da molti
ma leggendo e comparando il testo con altri traduttori sono riuscita a cogliere la bravura di questo
traduttore e la sua capacità di aver reso il testo vivo ed accessibile e di averlo fatto gustare anche a
chi, per una questione di lingua, non ha potuto leggere la versione originale.
Ovviamente però, come dicevamo prima, tradurre Shakespeare non è un compito assai semplice
soprattutto a causa del distacco linguistico che ci troviamo di fronte. Per questo motivo sarà anche
diverso il modo di tradurre in base al periodo storico in cui ci si trova e al mutamento che ha avuto
la lingua italiana dato che nel corso degli anni ha subito vari cambiamenti piuttosto rilevanti.
28
Per dimostrare questo basterà riportare qualche esempio di lessico di “The Tempest” tradotta da
C. Rusconi (1878, vedere Enc. Spett. Pag. 1901; I. Fontana 2009)
I, 2 grave sir - p. 51: “venerando signore”;
I, 2 service - p. 55: “servigi” (1878);
I, 2 thou stroakst me, and made much of me - p. 61: “tu mi soiavi e ti occupavi di me” (1878);
II, 2 tricks - p. 101: “gherminelle” (toscano) ‘inganno, astuzia’;
III, 1 I forget - p. 111: “io obblio” (1878);
III, 1 this is trifling - p. 117: “è una fanciullaggine” (1878);
III, 2 indeed - p. 119: “affè” (1878);
III, 2 taborer - p. 127: “musico” (1878).
All’interno dell’opera rileviamo anche la particolare traduzione ottocentesca di alcune locuzioni
idiomatiche:
I, 1 I'll call aloud - p. 13: “metterò il campo a romore” (1878);
II, 2 monster’s in drink - p. 107: “mostro non fosse in cimberli”.
E quindi da tener in conto il problema del distacco cronologico nonostante molto probabilmente
traduzioni come quelle di Rusconi o di Pasqualigo sono altamente privilegiate dato che
appartengono anch’esse ad un linguaggio ormai desueto e sono quindi più vicine al linguaggio
shakespeariano di quanto lo sia una traduzione odierna. Il linguaggio italiano però, che tempo fa era
contagiato principalmente dalle varietà linguistiche regionali, non era del tutto uniforme come
quello inglese pertanto traduzioni come “gherminelle” (tipica espressione toscana ormai obsoleta)
non sono assolutamente accattabili a mio avviso. Inoltre era assai ricorrente in quel periodo l’uso di
un linguaggio aulico forse un po’ troppo esagerato rispetto a ciò che necessitasse il testo e per
questo ci si ritrovava talvolta di fronte ad una “forzatura” forse non esattamente idonea.
Le traduzioni novecentesche invece sono sicuramente più aperte a strategie linguistiche
alternative, più simili al linguaggio orale, come ad esempio l’uso di locuzioni idiomatiche,
colloquialismi e alterati.
Essendo l’opera da cui abbiamo deciso di prendere spunto una commedia sarà sicuramente più
facile individuare il numero di colloquialismi e di locuzioni idiomatiche. Prendiamo ad esempio
Giorgio Melchiorri (1984 in Ed. Completa in 9 vol. 1970-91):
I, 1 have care - p. 625: “occhio e in gamba”;
29
I, 1 out of our way -p. 626: “fuori dai piedi”;
I, 1 sink - p. 7: “colare a fondo”;
II, 2 lame beggar - p. 655: “morto di fame”;
II, 2 I shall laugh myself to death - p. 659: “io schiatto dalle risate”;
III, 2 speak once in thy life - p. 664: “fatti uscire il fiato una buona volta”;
III, 2 tell not me - p. 664: “non seccare”;
III, 2 Mum - p. 117: “chiudi il becco”;
III, 2 run into no further danger - p. 666: «non tirare la corda»;
III, 2 she will become thy bed - p. 667: “ti andrebbe a pennello nel letto”;
III, 2 I will kill this man - p. 667: “quello è già un uomo morto”;
III, 2 wilt thou destroy him then? - p. 667: “sei ben deciso a fargli la festa?”.
Anche in Shakespeare si presentano problematiche per i cosiddetti “puns” ossia i famosi giochi
di parole che si trova spesso alla base della comicità anglofona e queste rappresentano spesso il
cruccio di ogni traduttore. Ne abbiamo trovato un esempio assai rilevante:
II, 1
Go. when every grief is entertain'd that's offer'd, comes to the entertainer
Seb. a dollar.
Go. Dolour comes to him, indeed: you have spoken truer than you purposed.
Qui si gioca con l’assonanza tra dollar (inteso in quanto soldi) e dolour (inteso in quanto dolore)
ed è una vera sfida, anche se non una delle più grandi, riportare il senso della frase pur mantenendo
il gioco di parole. Questo è uno di quei casi in cui il traduttore oscilla nella decisione tra l’attinenza
al testo d’origine, pur rendendo difficile la comprensione allo spettatore, oppure chiarire il senso
pur allontanandosi dalle parole del bardo. Ovviamente questi traduttori, di grande fama e prestigio,
hanno saputo compiere bene il loro lavoro seppure in modo diverso l’uno dall’altro tralasciando,
necessariamente, delle
Rusconi riporta per filo e per segno le parole del testo traducendo “dollaro” e “dolore” ma ignora
invece il gioco di parole che sarebbe stato un momento divertente nell’opera e che così invece
diventa incomprensibile:
p.77: “allorche ogni afflizione che si presenta viene coltivata; chi la coltiva raccoglie... un
30
dollaro. Raccoglie il dolore; vi siete accostato alla vera parola piu di quello che intendevate fare…”
(1876).
Lombardo tenta invece di ricostruire un’assonanza pur di mantenersi fedele al gioco di parole di
Shakespeare e traduce “dell'oro” e “dolore” e riesce così ad accontentare le esigenze sia di fonetiche
che contenutistiche della frase:
p. 61: “chi da albergo ad ogni male che viene riceve in cambio... Dell’oro. Dolore, sì. Avete
parlato più a proposito del voluto” (1979).
Forse quella che prediligo io è quest’ultima di Gargano che riesce a creare un lessico più efficace
abbinando “crazia” ossia una moneta toscana che nonostante abbia un valore diverso rispetto al
dollaro si accompagna bene al testo, e il termine dell'italiano antico “sgrazia” ossia disgrazia:
p. 45: “quando si accoglie ogni malanno che si presenta, colui che non lo scaccia ne ricava... una
crazia. Già ne ricava una sgrazia. Avete parlato con maggiore verità che non fosse nella vostra
intenzione” (1933).
Abbiamo preso come esempio “The Tempest” per esaminare le difficoltà di traduzione che si
trova di fronte un traduttore quando deve lavorare su un testo come quello teatrale decidendo se
tradurlo come testo letterario o se cercare di far risaltare il suo carattere intersemiotico. La
traduzione teatrale è infatti assai difficile proprio perche bisogna tener conto, come dicevamo
prima, della gestualità e della melodia del testo proprio perché andrà recitato e non letto.
Ogni traduttore sceglierà poi il metodo da seguire in base al proprio istinto, alle esperienze che
ha fatto ed al proprio gusto personale per Shakespeare esattamente come fanno i registi quando
esaminano un’opera shakespeariana e la riproducono sul grande schermo.
Quando andiamo a parlare di doppiaggio però la questione si fa ben più seria. Ovviamente, per
una questione di tempistiche necessarie per il doppiaggio, non sarà possibile riportare le traduzioni
migliori nel cinema e serviranno altri tipi di traduzione che si allontanano fortemente dal linguaggio
del bardo e questo complicherà un po’ il tutto (Malaguti, 2005). In tal caso tutto ciò che abbiamo
detto finora sarà servito molto a capire come fare buona traduzione teatrale ma poco a capire come
farne una cinematografica.
Qui distinguiamo bene il termine traduzione e adattamento. Il concetto di adattamento è ben
contrapposto al concetto di traduzione. Allontanandoci dal concetto di traduzione abbandoniamo
31
tutte quelle caratteristiche che ci permettevano di tradurre bene un testo: fedeltà, letterarietà e
libertà. Quando un testo viene “adattato” questo vuol dire che è stato sottoposto a dei cambiamenti
voluti ed espliciti e mutato e manipolato appositamente al fine di rientrare in determinati schemi
imposti generalmente dalla riproduzione cinematografica. Oltre alla questione di tempistiche e del
movimento delle labbra entrambe caratteristiche ben note nel mondo del doppiaggio ci sono altri
canoni da seguire. Innanzitutto potrebbe esserci un’eventuale censura (cosa che in molti film di
Shakespeare non accade visto che c’è un gran numero di scene di nudo nella maggior parte dei film)
e bisognerebbe anche adattare il testo in base al pubblico che ci si potrebbe trovare di fronte. La
censura d’altronde può essere di vari tipi: possiamo trovarci di fronte ad una censura di riferimenti
sessuali, censura di riferimenti violenti (fisici e non), censura di parole troppo difficili da
pronunciare, censura politica di regime, censura sui comportamenti considerati contrari alla
pubblica morale ed innumerevoli altre.
Figura 3- Immagine di uno studio di doppiaggio.
32
IV – Gli adattamenti shakespeariani al grande schermo
“L'artificio, sempre, è alla base del cinematografo. Ma non bisogna prendere questa parola in
cattivo senso. Se i risultati sono buoni, l'artificio è, senz'altro, sinonimo di arte. ” (Socci, 2009)
I nostri autori preferiti hanno la capacità di catapultarci in un mondo magico, un’atmosfera che
coinvolge tutti i sensi. Si guarda un adattamento per cercare di prolungare questa magia ed è proprio
perché abbiamo questo desiderio recondito di rivisitare quel mondo. Infatti temiamo che un film
poco gradito possa interferire con un mondo a cui ci siamo ormai affezionati. Un adattamento che
non risponda alle nostra interpretazione di quel testo è subito visto negativamente.
Tener conto di questo per un regista è il compito più arduo in quanto egli si rivolge ad una
cerchia assai più ampia di persone rispetto al teatro. Sono state queste le difficoltà che artisti come
Zeffirelli, Schaefel28 e Allen29 hanno dovuto affrontare.
Il compito più arduo per noi sarà quello di dibattere la qualità degli adattamenti cinematografici
fatti da indiscussi esperti del campo cinematografico.
In primo luogo c’è l’attinenza al testo d’origine una problematica che si trova alla base di ogni
adattamento. Shakespeare si trova già in sé all’apice della stesura drammatica ed è per questo
motivo che la critica ha la tendenza di criticare aspramente le molteplici versioni cinematografiche.
Purtroppo ci ritroviamo di fronte all’eterno dilemma: qualsiasi adattamento ai grandi schermi è
spesso inizialmente sottoposto ad una critica feroce vista da molti come una riproduzione inferiore
che rispecchia scarsamente lo spirito dell’autore.
I critici non riescono a superare ciò che maggiormente ritengono il difetto di queste produzioni,
ossia un impoverimento del contenuto del testo a causa delle omissioni, purtroppo ritenute
necessarie,di alcune parti dell’opera e la necessità per il regista di rappresentare il vero significato
di questa, spesso celato dietro ad un testo di sapore esoterico abbastanza complesso ed intrinseco.
Un’altra questione della critica concerne i problemi di percezione connessi alla visualizzazione
del film. E’ scontato che il film, in quanto arte di natura visiva, è costretto a minimizzare l’essenza
di ciascun personaggio, oggetto o paesaggio rendendolo una figura concreta senza lasciare spazio
all’immaginazione dello spettatore. Basta immaginare la figura di Prospero che chiunque percepisce
come saggio e paterno nascosta talvolta dietro ad un’esile figura di un anziano personaggio per cui
si prova compassione e talvolta dietro ad un maestro di magia onnipotente consumato dalla voglia
di vendetta. La visualizzazione cinematografica di queste figure distrugge spesso le molteplici
28 George Schaefer (1920-1997) regista televisivo e del teatro di Broadway dal 1950 al 1990. 29 Woody Allen (nato nel 1935) regista, sceneggiatore, attore, clarinettista, compositore, scrittore e commediografo statunitense , tra i principali e più celebri umoristi dell'epoca moderna, grazie all'intensa produzione cinematografica (una media di quasi un film all'anno) e ai testi comici e alle gag che ha iniziato a comporre già in età adolescenziale.
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sottigliezze che si nascondono sul palcoscenico che invece interagiscono con la sensibilità dello
spettatore.
Il film, per dare l’impressione che fosse adeguatamente adattato, doveva prendere in
considerazione ogni strato della complessità del teatro, una forma di intrattenimento bensì più
complessa.
Ma chi può garantire che l’immagine di un’opera che un regista crea nella propria mente sia
migliore rispetto a quella di un altro? Chi può definire con certezza che gli elementi all’interno di
un testo shakespeariano vengano perfettamente rappresentati da un regista e non da un altro se la
lettura del suo testo, essendo pieno di metalinguaggi e significati esoterici, è soggettiva?
Un vasto numero di registi si sono sottoposti ad una serie di critiche immeritate dato che le
interpretazioni da parte del pubblico erano illimitate e potevano verificarsi sotto diverse forme per
ciascuno spettatore. Per questo era necessario porre l’enfasi non sul testo di partenza ma sul
significato che veniva ricostruito nel processo di recezione del messaggio. I registi debbono così
entrare all’interno del mondo shakespeariano e cogliere l’essenza del messaggio universale che
l’autore voleva lanciare alla platea. Ora gli adattamenti vengono analizzati come prodotti di
creatività artistica dei registi che si impelagano in un processo infinito di riciclaggio, trasformazione
e trasposizione senza alcun punto d’origine che fosse chiaro.
L’adattamento è considerato, giustamente, come una visione originale ma distorta e autentica del
testo e anche nel caso in cui questa si allontana dalla visione artistica dell’autore è comunque
apprezzata in quanto rispecchia una produzione artistica autonoma del regista, come nel caso di
Woody Allen.
L’adattamento in quanto reinterpretazione non deve però per forza catturare tutte le sfumature
della complessità di Shakespeare ma, nel caso in cui questo si dovesse allontanare dall’idea di
partenza, deve restare un’opera d’arte in sé, una creazione intrigante, indipendente, coerente e
convincente. Motivo per cui sono dell’idea che anche nel caso in cui una produzione artistica
dovesse allontanarsi dall’originale la critica dovrebbe comunque accettare il lavoro come
un’interpretazione diversa seppure allo stesso tempo parallela.
Se si ritiene che Shakespeare sia un genio che va gustato nella semplicità e naturalezza delle sue
parole allora è necessario spostare l’attenzione sulle opere della BBC (British Broadcasting
Corporation) nell’insieme di versioni filmiche e, in minor grado, audiovisive : ‘The Tempest’ (15-
19), ‘Hamlet’ (20-24), ‘Midsummer Night’s Dream’ (27-30). Queste opere della BBC sono ‘di
riferimento’ per l’analisi di tutti e tre i drammi.
Bisogna tuttavia notare che queste sono basato sulla stretta osservanza del dialogo
shakespeariano e sono delle interessanti, aggiornate situazioni sceniche non solo ‘classiche’, ma
34
anche permesse dalle tecniche moderne di ripresa e montaggio avvicinandosi alle enormi possibilità
dei mirabolanti trucchi della moderna tecnica filmica e audiovisiva.
Al fine di raggiungere dei risultati plausibili, molti lavori drammatici sono stati esclusi, sia per la
loro scarsa accessibilità pratica che per una loro evidente lontananza da Shakespeare.
Tuttavia parallelamente a queste magnifiche riproduzioni cinematografiche ci sono anche
parecchi lavori, come abbiamo accennato prima, che si allontanano dalle parole o dall’idea
principale del bardo catturandone però l’essenza. A queste opere dedicheremo comunque una parte
della tesi classificandole non tra le migliori rappresentazioni bensì le più bizarre.
Figura 4- Scena dell’adattamento del regista John Gielguld intitolato “Prospero’s Books” tratto da “La Tempesta”.
35
V - La Tempesta.
Per coloro che sono completamente estranei alla storia questa narra di un uomo, Prospero, che
viene esiliato su un’isola assieme alla figlia, Miranda. Ad farlo fu suo fratello Antonio che
complottò con il Re di Napoli per spodestarlo dal ducato di Milano ed impadronirsene. Prospero è
appassionato di magia e, mentre pianificherà una vendetta, grazie ai suoi libri porterà avanti la sua
passione sull’isola. Questa era precedentemente abitata da Syrocrax, una strega che aveva
imprigionato molti spiriti negli alberi e che morì prima del suo arrivo. Lì egli si fa servire da Ariel,
uno spirito un po’ dispettoso perennemente devoto a Prospero per averlo salvato, e Caliban, figlio si
Sirocrax un essere umano deforme dalle sembianze scimmiesche e carattere rude e ribelle.
Sull’isola dopo 12 anni naufragheranno Antonio ed il Re di Napoli insieme ad altri. Quest’ultimo si
perderà con il figlio ed entrambi saranno convinti l’uno della morte dell’altro. Il figlio, guidato dai
canti di Ariel, incontrerà Miranda e se ne innamorerà. Prospero metterà a dura prova il ragazzo ma
si convincerà presto che il loro amore è vero e gli concederà la figlia. Ariel anche mette a dura
prova sia Caliban che i naufraghi con i suoi scherzi ma presto instaurerà un senso di colpa forte in
Antonio e nel Re di Napoli per aver esiliato Prospero e la figlia e li porterà dinnanzi a lui per
scusarsi. Egli, ormai addolcito dall’amore tra la figlia e il giovane, accetta le scuse dei due rivelando
al Re che il figlio é promesso sposo a Miranda. La storia termina con Ariel che viene liberato da
Prospero e con il ritorno di Prospero, Miranda, il Re di Napoli, il figlio, Antonio e tutti gli altri
componenti della ciurma che fanno ritorno alla terra d’origine.
Nell’esame di ‘sezioni trasversali comparative’ condotto nel corso dello svolgimento della
Tempesta, vengono qui menzionati, nell’ordine, dopo il regista, solo alcuni degli interpreti, come è
d’uso nelle correnti filmografie e, per quanto riguarda il dramma in esame, gli interpreti di
Prospero, Miranda, Ariel e Calibano :
-Prospero’s Books (it : L’Ultima Tempesta) . Regia di Peter Greenaway con John Gielguld,
Isabelle Pasco, Orpheo, Paul Russel, James Thiemes , Emil Work (i quattro Ariel nelle età
successive), Michael Clark, 1991 (15).
- The Tempest. Regia di John Gorrie (BBC, British Broadcasting Corporation’) con Michael
Hardern, Pippa Guard, David Dixon, Warren Clarke, 1979 (16).
- The Tempest. Regia di George Shaefer con Maurice Evans, Lee Remik, Roddy Mc Dowell,
Richard Burton (17).
36
- The Tempest. Regia di Derek Jarman, con William Heathcote, Toyah Willcox, Karl Johnson,
Jack Birkett (18).
Figura 5 e 6- Scene de “La Tempesta” adattato da Maurice Schaefer tratto dall’omonimo dramma di William Shakespeare.
37
V. 1 - Prospero-Shakespeare riflette sulla propria morte.
La prima, e più significativa traccia esoterica di ‘The Tempest’ è l’identificazione di
Shakespeare con Prospero, il grande scienzato-sciamano protagonista dell’opera, il quale alla fine
scivolerà nel riconoscimento dell’impossibilità di dominare uomini, spiriti e forze della natura,
quindi dell’inutilità della cultura e che si propone di affrontare e questo sarà il frutto di ciò ha
portato l’autore a riflettere e prepararsi al suo trapasso. In realtà questo era assai prossimo dato che
questa, ultima opera del bardo, fu rappresentata nel 1611, la morte arriverà assai presto, nel 1616,
quando egli avrà poco più di 50 anni.
La personalità di Prospero viene letta nei volti e nello spirito e nello stile della recitazione degli
interpreti delle quattro opere, in quanto rivelatrici aspetti della bontà di fondo e della grande
disponibilità del suddetto personaggio.
Se John Gielguld, nel film di Peter Greenaway si abbiglia sovente in modi sontuosi, accentuando
la sua solennità cui fa degna cornice la sua caverna trasformata in un immenso splendido palazzo
dalla quale lo spettatore non esce mai. Essendo anziano anche egli segue maggiormente il dettato
shakespeariano e si abbiglia in modo consono al suo alto rango solo prima della chiusura del
dramma, al momento del ‘risveglio’ dei suoi amici e parenti che debbono essere ricevuti
dignitosamente. Inoltre la produzione interpretata di Greenway si svolge, oltre che negli esterni (i
panorami dell’isola incantata), per circa i due terzi del tempo, sulla piazzola di fronte all’imbocco
della grotta e questo di grande ed emozionante effetto soprattutto nel momento in cui il Re di
Napoli rivede il figlio, che credeva morto, mentre gioca a scacchi attraverso la parete della grotta
nella quale lo spettatore non è mai ammesso.
Maurice Evans è colui che interpreta Prospero nel film di Shaefer che, munito di una
piacevole, corta barba, ha nell’espressione del volto e nel cuore, una spontanea propensione ad
aprirsi agli altri e amarli, che forse va un poco al di là di quanto Shakespeare abbia voluto vedere
nel personaggio, senza però limitarne l’identificazione filmica con un soavissimo Prospero.
Ovviamente, questo suo comportamento richiede qualche adattamento nel corso del film, che
tuttavia permette in quest’ultimo e nella figlia Miranda, Lee Remik, diversi scambi comunicativi
trasmessi come un tipo semplice di esoterismo qualificante stretti rapporti familiari. Questo
comporta un assolutamente favorevole rapporto intimo entro la suddetta coppia padre-figlia, dato
che Prospero è assai rassicurante nei confronti di questa sui suoi incubi fondati sul timore che la
tempesta suscitata dal padre abbia fatto annegare i componenti del vascello.
Ovviamente, tutte le opere esaminate sottolineano particolarmente questo profondo rapporto tra
Prospero e la figlia.
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Da Gorrie che mostra il padre abbracciare e proteggere la figlia Miranda, P. Guard, a Greenaway
che distende la figlia, I. Pasco, splendidamente abbigliata in un grande, morbido letto inducendola
in un sonno tranquillo. Tornando ad Evans, egli persuade Miranda, Remick, della persistenza in vita
degli ospiti del grande vascello illusoriamente affondato, facendone vedere il capo coronato
attraverso la sfera di cristallo.
Verisimilmente, sono, da preferire a questo gioviale attore i due più famosi interpreti Gielguld e
Hardern : il loro volto solcato da rughe porta i segni delle pregresse, incommensurabili sofferenze
che colpirono Prospero a partire dell’usurpazione del ducato di Milano da parte di suo fratello
Antonio, fino al suo abbandono con la figlia su una navicella semidistrutta ed allo sbarco sulla
misteriosa isola. E’ il caso di osservare che l’assoluto esoterismo di Prospero viene accentuato da
Greenaway il quale, spesso nel suo film della durata di oltre due ore, consulta con la massima
attenzione i grandi volumi in folio, contenenti tutto lo scibile umano, che Gonzalo, un suo vecchio
amico della corte di Prospero-Duca di Milano, in grande segretezza, gli aveva posto nel vascello
semidistrutto sul quale Prospero, destituito dalla sua carica era stato lasciato andare alla deriva.
La grande sonorità dei versi di Shakespeare esprimono per bocca di Prospero, che sta rivelando
la triste vicenda alla figlia, il dolore da lui provato, le lacrime versate trovandosi abbandonato con
la bambina in balia degli elementi e fanno soffrire anche lo spettatore. Giunto sull’isola, Prospero
ebbe, a partire dai primi tempi del suo stesso insediarsi, necessità di difendere la propria vita e
quella della figlia. Ora è quindicenne e Prospero la deve proteggere da Calibano e, come si è visto,
cercare di trasformare i suoi incubi in dolcissimi sonni meravigliosi e tranquillizzanti, facendole
dimenticare le inquietudini relative alle nefaste conseguenze sulle vite dei navigatori. Lei non ha
mai conosciuto come sono fatti gli uomini, a parte il padre e desidera ardentemente farne la
conoscenza.
Il film di Jarman è stato girato in contrasto con gli altri. Interpretato da un giovane William
Heatcote, noto attore, giovane padre di una Miranda (T. Willcox), una vera hippie, perline annesse
all’estremità delle treccine, secondo come viene filmata all’inizio del film, immersa in un’atmosfera
blu e immersa in un sonno agitato da incubi, in una successione di lampi e rombanti colpi di vento
che accompagnano la tempesta. La scena ci introduce subito al cupo clima della pellicola che
sembra avere sin dall’inizio qualcosa di grottesco e quasi “horror”.
In questa angosciante rappresentazione Miranda (quindici anni) si difende vigorosamente dalle
pesanti avances di Calibano (J. Birkett) che, alla fine, viene addirittura preso a pedate. Nel materiale
da noi esaminato, Jarman è l’unico a darci conto diretto del tentativo di violenza su Miranda del
primitivo, blasfemo e mostruoso schiavo di Prospero che, quando verrà da lui punito aspramente e
condannato a subire i dolorosi pizzicotti di Ariel, affermerà aspramente che se fosse riuscito nel suo
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intento, si sarebbe ripreso l’isola popolandola di piccoli Calibani.
A proposito delle varianti introdotte nei drammi shakespeariani è degno di attenzione il sogno di
Miranda (Isabella Pasco) di Greenaway che nella visione del vascello in affondamento vede anche
da un buon numero di sirene che in’atmosfera sottomarina di un verde-giallo oltremodo nuotano
attorno al vascello che affonda lentamente. Per quanto riguarda la visione della ragazza dormiente
in posizione supina e sontuosamente agghindata, la scena si adatta perfettamente allo spirito del
dramma shakespeariano poiché rappresenta l’ideale di comunicazione fra palcoscenico e platea
attraverso un appropriato mezzo onirico che nel caso di Greenaway é altamente simbolico. Tutto
questo non può che rinforzare negli spettatori, che possono trovarsi di fronte ad una platea come in
salotto di fronte ad un DVD, il loro senso di affezione dovuta all’identificazione profonda con i
personaggi del dramma.
Per quanto riguarda Prospero egli viene reso donna (Helen Miller) in un adattamento recente di
Taymor (2011), anche lei donna, a cui dedicheremo pochissime attenzioni.
Da questa trasformazione ne fuoriesce un personaggio dominante ma evidentemente materno,
che nelle intenzioni determina un forte ma dolce legame esoterico, scarso di parole ma ricco in
gestualità affettuose.
Possiamo apprezzare nel film, dato che rispetto a film degli anni sessanta i moderni sistemi
audiovisivi lo permettono, mirabolanti apparizioni quali quella della’indicibilmente mostruosa
comparsa della strega Sycorax, madre di Calibano e all’inseguimento di quest’ultimo, quella di una
spaventosa muta di cani dalla bocca fiammeggiate.
Si tratta di sequenze che possono suscitare anche nel più distante pubblico uno stato catartico che
può portare a un migliore apprezzamento, soprattutto per quanto riguarda il ‘naufragio’ che
complica la situazione di tranquillità apparente dell’isola, che sembra quasi un pardiso.
Anche con questa rappresentazione il pubblico può comunque elaborare il concetto di
preparazione alla morte non distante dalle intenzioni shakespeariane. Lo spettatore in ognuno di
questi adattamenti ha comunque lo spazio ideale a disposizione di elaborare la sua personale
valutazione di un tale argomento al termine della quale, ovviamente, ciascuno potrà trarrà le proprie
conclusioni sulla possibile identificazione di Shakespeare con Prospero.
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V.2 - Gli eventi che porteranno la riconciliazione nell’atmosfera musicale incantata dell’isola.
Ferdinando, il figlio del Re di Napoli è il primo a trovarsi immerso nella strana (‘strange’ è un
aggettivo usato quasi ossessivamente all’interno della nebulosa ed obliqua realtà dell’isola)
atmosfera impregnata dal canto creato da Ariel all’unisono con i suoni e i sussurri della terra stessa,
in siti dell’isola nei quali l’udito sembra contare più della vista. Ariel è invisibile all’occhio umano
e il ragazzo cerca ripetutamente la provenienza del suo canto (I, 2, 390-405):
Ariel. Full fathom five your father lies :
Of his bones are coral made,
Those are pearls that were his eyes
Nothing of him that doth fade
But doth suffer a sea-change
Sea-numphs hourly ring his knell…
(Che diviene, nella traduzione di Lombardo):
Cinque tese sott’acqua
Tuo padre giace
Già corallo
Son le sue ossa
Ed i suoi occhi
Perle
Tutto ciò che di lui
Deve perire
Subisce una metamorfosi marina
In qualche cosa
Di ricco e di strano
Ad ogni ora
Le ninfe del mare
Una campana
Fanno rintoccare.
Ferdinando non riesce a identificare l’origine dal canto ma ne segue il suono che lo spinge vero
l’antro di Prospero.
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Di questo, nel dramma rappresentato dalla BBC, assistiamo a delle scene di livello
assolutamente superiore rispetto alle altre rappresentazioni ove il protagonista è, ovviamente, il
leggero ed agile Ariel (interpretato da David Dixon) che indirizza il cammino del giovane principe
Ferdinando (Cristopher Guard) saltando contro lo sfondo del cielo celeste, da una roccia all’altra,
scomparendo e riapparendo. Sono così, per la prima volta, riuniti altri due personaggi principali del
dramma, Ariel e il Principe ‘naufrago’. Il punto di riferimento ideale spetta indubbiamente a l’Ariel
dei tre registi: Jarman, Shaefer e Taymore.
Altrettanto degni di nota sono i quattro Ariel dell’adattamento di Greenaway. Prospero’s Books
infatti è un film altamente simbolico per cui a mano a mano che Ariel si avvicina alla libertà, egli
diviene progressivamente più giovane. L’Ariel adolescente si dimostra a suo agio nel suo
galleggiare nell’aria come riposasse sul letto. Una delle scene più notevoli de La Tempesta è
momento in cui appare nella foresta, emettendo l’armonioso canto che, sulle note acute copre le
dimensioni dell’isola, sbalordendo e penetrando fortemente nelle menti del gruppetto dei naufraghi
e terrorizzando Calibano e i suoi nuovi amici, Trinculo e Stefano, provenienti dalla ciurma della
nave naufragata.
Schaefer attraverso la grande fantasia che sfoggia durante tutto il film si limita a far variare le
dimensioni di Ariel, il quale può finire, addirittura, sulla spalla di Prospero, posizione opportuna per
metterlo al corrente di quanto ha fatto per eseguire i suoi ordini o anticiparli. Jarman ci mostra Ariel
sbucare con il volto da un mucchio di fieno al richiamo del padrone. E’ importante notare che
Shakespeare ci mostra ancora una volta il nobile animo di Prospero che non manipola affatto
l’essere intimo né di Ariel né del giovane Ferdinando, che tuttavia devono entrare a far parte del
circolo esoterico dello scienzato-sciamano.
Per quanto riguarda il primo, egli, pur obbediente si dimostra anche un poco petulante
nell’insistere a chiedere l’affrancamento e Prospero è costretto a ricordare quanto lo spirito aereo gli
debba, avendolo liberato dalle mani della strega Sycorax, madre di Calibano (solo Jarman, dei
registi che sono in questa tesi stati scelti, ci fa vedere la scena dei due che tengono Ariel attraverso
un cappio applicato sul collo).
Per quanto riguarda il Principe Ferdinando, anche lui viene ricercato ed accettato da Prospero
con tutta la sua personalità che non viene affatto sfidata e/ o manipolata. Sia in che in Gorrie e in
Shaefer i suddetti aspetti appaiono chiaramente espressi. Greenaway li accentua enormemente
facendo comparire un Principe perfettamente abbigliato, (nessuno degli scampati dal naufragio
indossa vestiti bagnati o gualciti), addirittura con un enorme collare che rappresenta l’orgoglio del
suo rango, ma ancora radicato nella sua arroganza e con una mascherina nera sugli occhi (quasi
come un velo di Maya) che gli offusca la visione della realtà. Infatti ostacolato da Prospero, che gli
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impedisce un approccio nei confronti della figlia, Ferdinando sguaina la spada minaccioso, solo
allora Prospero lo immobilizza per magia.
La parte in cui quest’ultimo adopera la magia ed il sortilegio solo per difesa, mentre l’approccio
alla sua saggezza e l’iniziazione alla sua amicizia e conoscenza si fa solo attraverso un cammino
iniziatico è uno degli aspetti più importanti del dramma che invia al pubblico parte del messaggio
fondamentale per la chiave dell’accesso al pensiero, al linguaggio e al comportamento.
La sua accettazione, dunque, si compie sempre dietro alla sua stessa iniziativa e per ottenerla e
infatti Ferdinando viene sottoposto ad una dura prova fisica che, sotto gli attenti occhi di Prospero,
fa maturare il vero amore tra lui e Miranda.
Ad un primo impatto certe sequenze dell’adattamento di Jarman sono inspiegabili come ad
esempio una delle sue ‘scene blu’ dedicate ai naufraghi. Queste sono inizialmente la sagoma di
Ferdinando che emerge dal mare e poi la scena in cui si infiltra nella grande casa di Prospero, si
accoccola presso il focolare, dove viene scoperto da Miranda che gli si mette vicino e che sembra
difenderlo dalla volontà paterna che vuole maltrattarlo. Nell’insieme, la scena evoca un infinito
desiderio tra i due giovani, il primo shoccato dal naufragio e dalla perdita del padre, il Re di Napoli,
la seconda sbalordita dalla meraviglia della giovinezza e del fascino del primo uomo che vede in
vita sua.
Ma per quanto riguarda la prima metà dei film qui esaminato, se Greenaway appare il più
ridondante, pomposo, simbolico, senza alcun dubbio Jarman appare il più rivoluzionario nella sua
attitudine più interpretativa che rappresentativa nei confronti di Shakespeare. Ovviamente non si
tratta affatto di un giudizio personale che conterebbe ben poco di fronte a quello dei critici esperti
ma soltanto un giudizio sulla qualità esoterica e onirica insinuatesi attraverso lo stesso fraseggio
degli autori eventualmente accentuato nei film esaminati dai vari registi registi.
L’esoterismo la qualità che viene ricercata e possibilmente valutata attraverso tutta la tesi allo
scopo di potersi personalmente esprimere sull’eventuale trasmissione al pubblico di qualità
shakespeariane.
E’ il caso ora di dedicare un poco di spazio alla figura di Caliban.
Egli non rappresenta affatto il ‘buon selvaggio’ di Rousseau, ma personifica l’incorreggibile
rifiuto dello spirito sommato al più il volgare attaccamento alla terra e al possesso che possa
esistere. Forse, questa visione shakespeariana giustifica, almeno parzialmente il rifiuto e la
derisione dei razionalisti e illuministi francesi nei confronti dei drammi del bardo di Avon. Di
Caliban si è detto del suo terrore nei confronti di Ariel che del suo attaccamento sia alla madre che
ai suoi amici ‘naufraghi’ che lo inducono a bere e progettano con lui l’uccisione di Prospero. Il
canto di Caliban è basato su un linguaggio aspro ed allitterante male appreso da Prospero che lo ha
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spodesta dal comando dell’isola.
La recitazione presuppone un fondo vocale aspro e disarmonico ereditato da sua madre, la strega
Sycorax :
Caliban be not afeard , the isle is full of noises
Sounds and sweet airs, that give delight, and hurt not
Sometimes a thousand twangling instruments
Will make me sleep again : and then in dreaming
The clouds methough would open, and show riches
Ready to drop upon me, that when I wak’d
I cried to dream again.
(Che diviene, nella traduzione di Lombardo) :
Calibano Non devi impaurirti
Se l’isola è piena di rumori
Suoni e dolci arie
Che danno piacere e non fanno male
A volte sento
Mille strumenti vibrare
Che mi riaddormentano
Allora in sogno
Mi sembrano aperte le nuvole
Esse mostrano ricchezze
Pronte a cadermi addosso :
Svegliandomi
Piansi per riaddormentarmi
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V.3 - Il fitto tessuto sonoro avvolge tutti, portandoli al perdono finale.
Dal II atto in poi Shakespeare porta il pubblico a rilassarsi grazie ad un’atmosfera pregna dai
suoni e parole appena percepibili, dalla loro ripetizione che va a formare un continuum sonoro
verso l’induzione automatica del sonno. Il fitto tessuto sonoro diviene così vera e propria copertura
musicale dell’isola mentre si entra in un contesto drammatico che non può che portare al perdono.
In questa atmosfera viene a trovarsi il gruppetto dei nobili naufraghi. Il pubblico sa ben poco di
loro ma Shakespeare ci fa subito capire che questi soggetti provengono da un ‘elevato livello
sociale’. Si percepisce subito che questi sono contrapposti in due gruppetti : da una parte Gonzalo,
vecchio consigliere molto onesto e il Re di Napoli, Alonso, la cui colpa principale è quella di aver
riconosciuto l’usurpatore del Ducato di Milano e due giovani gentiluomini, e dall’altra parte
Antonio, il fratello di Prospero, che fa coppia con Sebastiano, il fratello di Alonso. Solo alla fine al
momento d’entrare nella grotta di Prospero, al gruppetto dei ‘sopravissuti si aggiungeranno sia le
due figure un pò canagliesche e ridicole di Trinculo e Stefano, che scateneranno Caliban facendolo
bere, che sono rispettivamente comandante e il nostromo del vascello. Questa combriccola viene
terrorizzata, sgominata e punita fisicamente da Ariel al punto da implorare il perdono di Prospero
per i torti commessi.
E molto importante per il meccanismo del dramma considerare la suddetta suddivisione che si
evidenzia soprattutto nel contesto magico che Ariel ha immerso l’ambiente dell’isola. Egli, munito
di arti eccezionali, modula, come fosse un immenso auditorium, l’atmosfera in cui la comitiva è
immersa. Shakespeare ci mostra come, sotto all’incantesimo di Ariel, solo il gruppetto di
personaggi più positivi e ottimistici è attorniato da ampi campi ricoperti da prati di erba folta, con
cespugli e alberi le cui cime vengono agitate dal vento, tutto quanto sorgente di buon cibo, acqua,
quindi di vita, mentre coloro che hanno la bile nera, vedono il male dappertutto, percepiscono il lato
sfavorevole delle nuvole e dei venti, è la terra che hanno intorno totalmente arida e brulla, cosparsa
da magri cespugli e ciuffetti d’erba.
Quindi Shakespeare grazie a ‘La Tempesta’ ci trasmette un segnale che non ammette né devianti
nè false interpretazioni: Prospero non è uno stregone ma, soprattutto attraverso Ariel (che in realtà
più che uno spirito è una proiezione magica ed infantile di Prospero) egli ha appreso l’arte di
estrarre dalla mente e dallo spirito dell’uomo nulla di più di ciò che ha dentro e che proviene dalla
sua natura e dal suo vissuto personale. Il risultato entra nella personalità propria del singolo, o di
differenti parti di umanità, qui rappresentata dall’uno o nell’altro dei suddetti gruppetti.
Il bardo di Avon dimostra con Prospero l’incapacità di cambiare l’uomo sia come singolo che
come rappresentante di parte definite dell’umanità. Infatti è solo per fermare la morte lo Prospero
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arresta la spada del potenziale omicida: l’ha fatto con Massimiliano e ora, tramite Ariel, salverà
anche Gonzalo ed Alfonso.
Infatti si vede instaurarsi in Gonzalo e nel Re di Napoli (nella produzione di Gorrie, BBC ed in
quella di Shaefer, ad esempio) un torpore che non può sfugge allo spettatore che entra, ormai
saldamente, nella recezione del pubblico. Dice il buon vecchio Gonzalo, all’indirizzo di Antonio e
di Sebastiano (II,1, da 183) :
Gonzalo: Will you laugh me asleep, for I
Am very heavy.
Ant. Good sleep, an hear us.
Alonso: What, all so soon asleep ! I wish mine eyes
Would, with themselves, shut up my thoughts : I find
They are inclin’d to do so.
Sebastian: Please you, Sir
Do not omit the heavy offer of it :
It seldom visits sorrow ; when it doth,
It is a comforter.
Antonio: We two my Lord
Will guard your person while you take your rest.
(Che diviene (traduzione di Lombardo) :
Gonzalo: Volete farmi la ninnananna con un
Bel paio di risate ? Sento un gran peso.
Antonio: Mettetevi a letto ed ascoltateci. Buon sonno, ascoltandoci.
Distendetevi ed ascoltateci.
Alonzo: Come, tutti già addormentati !
Ah, se i miei occhi
Chiudessero con se stessi,
I miei pensieri - li sento
Disposti al sonno.
Sebastiano: Vi prego, Signore,
Non rifiutate questa ricca offerta,
E’ raro che sia fatta al dolore,
Ma quando viene è un conforto.
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Così i due giovani gentiluomini percepiscono e interpretano l’atmosfera inducente il sonno che
invade Gonzalo e Alonso, mentre i due biliosi Antonio e Sebastiano non hanno intenzione di
rilassarsi cedendovi. Questi offrono la loro protezione ai dormienti, ma in realtà si abbandonano
all’insonnia e al complotto : la veglia infatti permette ad Antonio di ben convincere Sebastiano ad
uccidere Alonso, il Duca di Milano suo fratello, per strappargli il trono. Sebastiano toglierà quindi il
balzello che Antonio volle introdurre a riconoscimento del titolo da lui usurpato.
Ora è il caso di vagliare il materiale che si è presentato per ricercarvi il tipo di comunicazione
palcoscenico-platea focalizzata sul suo veicolo esoterico-onirico con cui Shakespeare contava per la
trasmissione al pubblico originale, fino a quello attuale, delle sue essenziali intenzioni drammatiche
e il loro contenuto.
Ancora una volta si può constatare come questa parte della vicenda sia ben trattata nella
rappresentazione della BBC dove le intenzioni di Shakespeare sono ben rispettate con la resa
psicofisica dei personaggi al sonno. Vediamo come Gonzalo ed Alonso, seduti, si apprestino a
ricevere il benefico sonno induttore di sogni, mentre Antonio, il fratello usurpatore di Prospero,
vera e propria incarnazione simbolica del tradimento, sta persuadendo Sebastiano a ucciderli per
ereditare il trono del Re di Napoli.
Qui l’evidente tragedia si mescola con il ridicolo. Non sarebbe possibile per Shaefer, se non in
questa chiave, capire come i soggetti imbibiti di bile nera si curano di complottare, concepire
malversazioni e omicidi per ipotetiche realtà, fastose nel loro pensiero, tanto lontane dall’isola entro
la quale si trovano. Il regista si mostra quindi concretamente coerente con lo spirito del dramma in
cui Antonio e Sebastiano risultano essere due miserabili, poveri di mente e di spirito, frequentatori
del regno degli inferiori, abbandonati a ciò che le loro anime perverse dettano. Tutto questo può
essere, al meglio, rivestito dai costumi tipici della commedia dell’arte all’italiana, che Shaefer fa
indossare ai due personaggi.
Tuttavia l’intervento di Ariel arresta le spade omicide, interrompendo il sonno di quei due
anziani personaggi che egli stesso aveva indotto.
Di nuovo Shaefer usa un abbigliamento pomposo e goffo per Trinculo, il jester o buffone di
corte, che è un abito rosso a grossi pallini bianchi, un ampio collare, guanti e cappello. Egli
abbraccia il ritrovato, amico Stefano, cantiniere della nave e i due si mettono a bere, fino ad
ubriacarsi, il vino della bottiglia che quest’ultimo si porta religiosamente dietro, donandolo persino
a Caliban. La furia di questo terzetto di ubriachi, che progettano di Prospero, di violentare la figlia e
fare di Stefano il re dell’isola, attirerà poi la punizione di Ariel e dei suoi spiriti collaboratori.
Infine anche loro, dopo aver rubato i sontuosi abiti sistemati all’esterno della grotta, otterranno
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insieme a tutti gli altri il perdono.
Nella versione di Gorrie Prospero appare non solo conciliato con Ferdinando, ma anche
compiaciuto dell’amore reciproco tra questi e la figlia Miranda, mostra loro, che solo ora sono in
grado veramente di vedere e ascoltare, le tre dee che avviano danzando il canto e il balletto delle
ninfe e dei mietitori dedicato alla benedizione del matrimonio.
Nella rappresentazione di Schaefer queste ninfe sono sostituite da tre fantastiche, commoventi
dee-bambine nei loro sgargianti costumi che, cariche di simboli rappresentanti i loro domini,
danzano in una conciliante, tranquilla atmosfera azzurro-dorata.
Si è già detto che in ‘The Tempest’ queste espressioni coreiche si integrano perfettamente con la
sognante, atmosfera musicale soave e rilassante che Ariel induce per tutta l’isola : come si è visto,
ne risulta colpito non solo l’udito, ma anche la vista di coloro che sono disposti, come i due giovani
innamorati, ad ascoltare e osservare i fenomeni che li circondano. Un altro, meraviglioso balletto
viene rappresentato dagli spiriti, che fanno capo ad Ariel, a beneficio dei ‘nobili’ scampati al
naufragio e che ora giacciono nel deserto. Egli accompagna una tavola sontuosamente imbandita a
cui soprassiede Prospero, impietosito della situazione di questi ma il loro stato di ottundimento, che
ancora li tiene lontani dal reale, gli impedisce di servirsi degli ottimi cibi che vengono loro
presentati.
Così Prospero non ha che da constatare la situazione del Re di Napoli, del suo usurpatore, il
sedicente Duca di Milano, e degli altri quattro soggetti che procedono, ancora ciechi all’interno
dell’isola e che formano uno sconvolto gruppo di persone che, nello stato di sopore e abbandono in
cui versano, vanno avanti alla cieca formando un meschino insieme che sembra giustificare sia
l’antica rinuncia che compì Prospero 10 anni prima, di abbandonare al fratello Antonio il Ducato di
Milano per estraniarsi dagli intrighi e dalla piattezza della vita di corte, che la sua presente scarsa
volontà di vendetta contro chi rappresenta un bersaglio troppo facile alla mercé di se stessi e della
propria pazzia.
A parte il sovra descritto, frustrato, tentativo di omicidio l’atmosfera è intrisa di battibecchi e
taglienti sottigliezze linguistiche che agitano quell’insieme disparato di persone che appaiono
prossime ad uno stato di pazzia. Si distingue tra tutti Gonzalo, il buon consigliere di corte, l’unico
che aiutò Prospero e Miranda caricandogli di acqua e viveri la scialuppa sulla quale vennero lasciati
alla deriva dagli usurpatori del suo Ducato di Milano. Egli è un infaticabile moderatore che tenta
comunque di conciliare i sentimenti e gli umori degli altri, stemperandone la cattiveria e
smussandone l’attitudine a compiere canagliate.
E’ il caso di notare che, secondo quanto usava fare in questo e altri casi, Shakespeare evita
l’impatto sul pubblico del portato morale che stilla da Gonzalo ed altri protagonisti di suoi drammi,
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che risulterebbe controproducente. Gli spettatori sono piuttosto inclini a introiettare questo
insegnamento senza prestarvi particolare attenzione. Per esempio, nel caso di Gonzalo, attraverso
un mezzo metalinguistico conciliativo a tutti i livelli, che viene ritenuto un mediatore comprensibile
sia da persone infime come Antonio e Sebastiano, in quanto adeguato al loro gergo, ma anche dal
Re di Milano e da tutti gli altri cortigiani scampati dall’illusorio naufragio (dal teatro-film di Gorrie
e dal film di Shaefer).
Egli risulta essere, dal secondo atto al finale di ‘La Tempesta’, l’interprete cardinale di quella
confusione di menti e di spiriti e solo lui viene escluso dalle continue, rinnovate minacce di Ariel
che quest’ultimo lancia sul gruppo includendo tra i soggetti degni della più grave punizione anche
Alonso, le cui colpe nei confronti di Prospero, assai più lievi di quelle di Antonio, vengono
costantemente ricordate, insieme a quelle di Sebastiano,
A questo punto dell’analisi dei risultati derivanti dal confronto dell’originale spirito
shakespeariano con le quattro opere principali esaminate, sembra di poter asserire che sia Gorrie
che Shaefer sono stati i soli due che hanno, complessivamente, rispettato il loro contenuto
esoterico-onirico, considerando inoltre come assolutamente positivo il fatto che questi due registi
abbiano prodotto opere radicalmente diverse.
Dato che è comunque necessario dare un giudizio più approfondito c’è tuttavia da chiedersi
come sia stato il lavoro degli altri due registi.
Volendo tornare al film di Jarman, non è difficile constatare che dall’emergenza sulle onde
marine fino alla confusione finale di fronte a Prospero il gruppo ‘nobile’ viene filmato velocemente,
immerso in un denso blu che permette di vedere più le sagome che distinguere gli attori. E’ degna
tuttavia di nota la scena dove Prospero fa vedere a Miranda, attraverso la sua lente magica, la sua
epoca infantile, tenuta per mano da lui stesso nelle sue vesti di Duca di Milano e la scena dove
viene mostrato l’incontro tra Miranda a Ferdinando, che si sta riscaldando al il focolare, fino al
momento in cui si giurano amore eterno.
Più importante, per la sua accuratezza e profondità, la scena che ci mostra il terzetto Stefano-
Calibano-Trinculo (nel film a regia di Shaefer) che, ubriachi, sono sperduti nella foresta per opera
di Ariel, ne sono terrorizzati per mezzo dei suoi bisbigli che divengono frasi minacciose, stridii e
urla terrificanti. Calibano è particolarmente ossessionato dai pizzicotti punitivi di Ariel che,
invisibile, lo insegue alla testa di un nugolo di spiriti suoi amici. Successivamente la combriccola
subisce (nel film di Jarman) un simile destino nel suo interminabile attraversamento, da ubriachi,
delle grandi sale e dei bui, lunghi corridoi del palazzo di Prospero, ove sono penetrati per ucciderlo
e dare a Stefano la reggenza dell’isola. Anche qui spaventati da parte di spettri orribilmente
mascherati, subiranno morsi, torture e dolori da parte di piccoli esseri irrealmente laidi e da una
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moltitudine di spiritelli misteriosi che, tuttavia, li secondano nel rubare i costumi che loro servono
per il loro stesso camuffamento.
Jarman in questa zona intermedia del film, a parte quest’ultima scena da Grand Guignol, sembra
‘risparmiare le forze’ preparandosi per il suo indimenticabile gran finale : seguendo la sua logica al
50% di Shakespeare e al 50% del suo stesso grande genio, nella festa entra anche il famigerato
terzetto di ubriaconi, mentre per altri registi essi vengono severamente puniti facendoli inseguire da
nugoli di spiriti alle dipendenze di Ariel che gli mettono i cani alle calcagna. A questo soggetto si
segnala, a proposito dell’audiovisivo di Taymore l’accorgimento tecnico che fa emettere fiamme
dalle gole di questi ultimi con effetto degno di nota. Il futuro ci dirà se questo eccesso di
spettacolarità, per verità già iniziato con gli ultimi capolavori del XX secolo potrà più o meno
efficacemente integrarsi con i nobili contenuti degli altri e con i loro veicoli esoterico-onirici, a
garanzia che le novità possono svilupparsi insieme al mantenimento degli originali contenuti
shakespeariani.
Per quanto riguarda Greenaway, dove la parte intermedia del dramma è in continuità con il suo
finale, non possono passare inosservate le lunghe scene che documentano il sonno del gruppo di
‘nobili’ scampati dal naufragio, il loro stato ipnotico e la loro suddivisione in soggetti (collocabili
tra gli ottimisti). Questi portano una mascherina bianca e sono più recettivi e disposti a prendere
coscienza di se stessi, riconoscere le proprie colpe e pentirsi e invece i soggetti che portano la
mascherina nera sono chiusi al sogno, al mondo intorno e poco portati a connettere il loro agire
passato con i tristi eventi che ora li coinvolgono. Qui si può parlare del ‘velo di Maya’ che questi
portano davanti gli occhi, che grazie al colore possono essere immediatamente riconosciuti dagli
spettatori.
Il regista che se ne avvale come markers per l’individuazione dei soggetti o di ciò che essi
rappresentano all’interno della sua grandiosa e ridondante rappresentazione di ‘The Prospero’s
Books’.
Un altro esempio di questo è l’ampio collare bianco, contrassegno di nobiltà dei personaggi
scampati al ‘naufragio’, esibito all’interno dell’imponente rappresentazione del loro arrivo nel
grande salone dove, accompagnati dalle danze di decine e decine di spiriti si trova una soprano
drammatica dalla voce possente e squillante emette penetranti note acute risonanti contro le alte
volte del salon e questi si trovano immediatamente in un persistente stato di stupefazione ipnotica
attraverso lo sbalorditivo continuum del suo canto.
Nel film modernizzato di Jarman, che è lungi da insegne e abiti indicanti la loro nobiltà, gli
pseudo naufraghi indossano un vestiario disparato (da ufficiale da operetta e, persino, da alto
prelato) che, quanto più carico di decorazioni, orpelli e medaglie, tanto più indica chiaramente il
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loro costante spirito anti-esoterico, da basso potere ottenuto malamente (Antonio ha usurpato a
Prospero il ducato di Milano e ha tentato di sopprimerlo con la figlia facendolo naufragare). Anche
questa vana ostentazione entra a far parte di quella serie di misure e provvedimenti del tutto esterni,
che gli spettatori del teatro shakespeariano percepiscono come cose disdicevoli ed esempi da non
seguire.
Eppure, anche Prospero deve indossare, per essere riconosciuto dai ‘nobili naufraghi’, i
paramenti e gli accessori del suo rango (per la verità il Prospero di Greenaway lo fa per sua stessa
abitudine, anche nell’ambiente dei suoi studi) ma, si ricorda, egli è sul punto di rinunciare ai suoi
propri, veri poteri, al proprio isolamento esoterico e ai suoi sogni e questo soprattutto in virtù
dell’amore per sua figlia, che seguirà il suo innamorato e che quindi, dovrà rientrare nella vita
artificiale della nobiltà, nel rango di futura Regina del Reame di Napoli. Ora Prospero abbraccia
Gonzalo, accetta il perdono del Re di Napoli e di fronte al fratello Antonio suo usurpatore e
attentatore, si limita ad adottare uno sguardo punitivo e severi rimproveri ma poi gli concede il
perdono. Audacemente il Prospero di Jarman di fronte al fratello ancora rigido in stato ipnotico e,
con un’inattesa inquadratura, sembra tentato di tagliargli la gola con la punta della spada. Questo
resta immobile e forse pentendosi o di malavoglia cede a Prospero ciò che è legittimamente suo, il
Ducato di Milano.
Con quest’ultima parte di analisi comparativa della singola registrazione teatrale e dei tre film si
arriva al finale sul quale non molto resta da dire se non la preparazione del gruppo alla partenza per
raggiungere la nave, la quale, come testimoniano i sopraggiunti comandanti è perfettamente in
ordine. Miracolosamente sono salvi tutti i marinai.
I successivi eventi evidenziano come anche Prospero, come il Re di Napoli, ‘perde’ la figlia
Miranda, perché la destina al matrimonio con Ferdinando e sotto lo sbalordimento entusiastico di
Alonso la parete della grotta scompare ed il giovane appare al padre che è entusiasta della promessa
di matrimonio che i due si sono scambiati. Si tratta questa di una scena magistralmente diretta da
Gorrie, regista del teatro-film della BBC, ma anche Shaefer è ugualmente abile.
Come si è accennato, la ciliegina sulla torta del geniale prodotto originale di Jarman è
l’esplosione di sfrenata allegria di tutto il gruppo dei vecchi e nuovi abitanti dell’isola che
partecipano giulivi ad un’enorme festa nel salone più grande dell’edificio. Questo non contrasta con
il finale delle altre versioni più aderenti a quella originale, convincendo quella parte del pubblico
più affezionato a rilassarsi. Alla fine, ciò che conta è il portato attrattivo, coesivo ed ottimistico al
quale gli spettatori sono chiamati ad aderire.
Siamo dunque al gran finale di Jarman, in cui un Prospero sorridente, una volta riottenuto il suo
Ducato di Milano, fa ingresso nel grande salone addobbato a festa, al braccio della figlia che
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abbandona la sua acconciatura, i suoi ornamenti e i suoi vestiti da hippie ed è raggiante in abito da
sposa. Poi, com’è d’uso, la ragazza è al fianco dello sposo mentre irrompono nel salone i marinai,
in una divisa moderna, ‘scampati dal naufragio’, in vena di fare festa. Subito dopo entra un
Calibano finalmente ilare e raggiante che ha, alla sua sinistra un Trinculo alquanto brillo ed alla sua
destra Stefano che, presentandosi con un trucco pesante e un vaporoso abbigliamento femminile,
sembra aver infine trovata la sua vera identità sessuale.
Nel frattempo i ‘nobili’ scampati dal naufragio si sono risvegliati dal loro sonno e, tra questi,
vediamo il Re di Napoli entusiastico nel riabbracciare suo figlio e benedire la sua sposa. Al di sopra
di tutto c’è la voce squillante della soprano che canta un risonante ‘Stormy Weather’. Si assiste poi
alla libertà, tanto desiderata, di Ariel che lascia un enorme vuoto in Prospero. Ariel si comporta
come un perfetto gentiluomo seduto a partecipare ai festeggiamenti ma tra pochissimo lo si vedrà
uscire dal palazzo in punta di piedi, senza svegliare Prospero che è caduto in un profondo sonno,
pieno, finalmente di bei sogni che saranno sicuramente più diretti verso il futuro della figlia
Miranda, prossima Principessa, sposa al principe di Milano, erede al trono di Alonso. Per
Greenaway, Ariel che dall’età adulta passa all’adolescenza fino ad arrivare all’infanzia e, dopo aver
aiutato Prospero a gettare in acqua libri, strumenti, insegne del potere e persino il suo collare di
nobiltà, fugge via tra gli applausi della folla per tornare a essere veramente il libero e indipendente
‘spirito dell’aria’.
Nella versione filmica di Gorrie e di Shaefer, quelle più aderenti al testo originale di
Shakespeare, Prospero con infinita tristezza ma nobilmente congeda il suo schiavo prediletto, in
realtà il suo rispettoso ed obbediente compagno, il quale non se lo fa dire due volte e fugge via,
scomparendo, quasi sciogliendosi nel suo elemento, l’aria, affrettandosi a divenire parte di essa.
Immediatamente dopo si avrà l’epilogo, con il quale l’umile Prospero chiede aiuto ad Ariel
accompagnare la nave diretta per Napoli sotto la loro protezione.
La sua disperazione e grande, ma verrà vinta dalle sue preghiere.
Figura 7- Scena de “La Tempesta” adattato da Derek Jarman tratto dall’omonimo dramma di William Shakespeare.
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VI - Hamlet
Nelle ‘sezioni trasversali comparative’ di Amleto condotte attraverso i cinque film esaminati,
sono stati menzionati dopo il regista, gli interpreti principali, tra cui la Regina, il Re Claudio,
Polonio, i suoi figli Ofelia e Laerte, Orazio fedele amico di Amleto: questa composizione del cast
segue i criteri dei più consueti repertori. Altri interpreti dei personaggi del dramma verranno
ricordati, al caso, nel corso della stesura di IV,2.
- Hamlet. Regia di Laurence Oliver, con L. Oliver, Eileen Herlie, Basil Sydney, Jean Simmons,
Felix Aylmer, Terence Morgan, Peter Cushing, Stanley Holloway, 1948.
- Hamlet, Prince of Denmark. Regia di Rodney Bennet, con Derek Jacobi, Claire Bloom, Patrick
Steward, Eric Porter, 1980.
- Hamlet. Regia di Kennet Branagh, con K. Branagh, Julie Christie, Derek Jacobi, Kate Winsler,
1996.
- Hamlet. Regia di Franco Zeffirelli, con Mel Gibson, Glenn Close, Alan Bates, Paul Scofield,
1990.
- Hamlet. Regia di Tony Richardson,con Nicol Williamson, Antony Hopkins, Judi Parfitt,
Marianne Faithfull, 1969
Figura 8- Scena di “Amleto” adattato da Laurence Olivier tratto dall’omonimo dramma di William Shakespeare.
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VI. 1 - La presenza nella presentazione esterna dei personaggi dell’Amleto.
E’ necessario considerare una volta per tutte l’età attribuita, l’abbigliamento e tutto ciò che
influenza l’apparenza esterna del personaggio drammatico shakespeariano, come ad esempio
l’ambientazione. Queste componenti possono essere condizionate dalla visione del singolo regista e
possono esprimere ognuna un messaggio diverso che, nelle modalità di trasmissione può
condizionare, anche solo in parte, sia i contenuti originari del dramma che il pubblico.
E’ necessario innanzitutto considerare l’età con la quale viene presentata Gertrude, la madre di
Amleto, che nel concetto dei soggettisti e dei registi qui riportati doveva essere intorno ai 42-43
anni. Dato che la donna usava sposarsi intorno ai 15-16 anni, Amleto poteva avere intorno ai 24
anni secondo quanto si può confermare dall’apparenza degli interpreti scelti per il ruolo del
protagonista, con il riscontro di un’età simile per quelli che da Shakespeare vengono identificati
quali compagni di studi come Orazio, Laerte, Rosencrantz e Guidenstern. Gertrude è stata scelta tra
attrici di media età, nel pieno della loro carriera e, essendo Claudio il suo ex cognato, ora marito,
nelle opere che sono state scelte in questa tesi, egli è alquanto più giovane del fratello da lui ucciso.
La sua improbabilità in quanto Re ‘acquisito’, espressa da Shakespeare come una scarsa dignità nel
discorso regale, viene evidenziata anche, da una corona ancora più alta di quella portata da
quest’ultima e che i due si tolgono solo a letto (con riferimento al film di Richardson, essendo
Gertrude Judy Parfitt e Claudio Anthony Hopkins).
Se ci si ferma un attimo sulle Regine quali viste dai diversi registi i cui film essmineremo, si
apprezza il loro vestiario sontuoso di tipo più rinascimentale che ‘neogotico’ ad ampie scollature
(film di Oliver e di Rodney Bennet, BBC), mentre in Branagh (Julie Christie), in conformità con i
personaggi formali ed ottocenteschi che popolano un immenso palazzo-caserma, la Regina porta
abiti assai accollati.
Un discorso a parte merita l’abbigliamento di Glenn Close che Zeffirelli nel suo amore per la
raffinatezza riveste, con eccezione della scena girata con il figlio nella sua camera da letto, con una
serie di abiti di tipo tardo medioevale ispirati soprattutto alle decorazioni romanico-bizantine
ravennati e ai preraffaelliti. I vestiti della regina di questo regista, ben noto nel mondo per il suo
amore per i dettagli, nella scena dei funerali di Ofelia, si ispirano a pesanti vestimenti monacali.
Al contrario gli scollati abiti rinascimentali della Regina nel film di Williamson divengono molto
accollati nella scena-madre che si svolge nella camera da letto della Regina, dopo l’uccisione di
Polonio, con un forte significato in conformità allo spirito delle riprese, che devono testimoniare
come espressione di un amore casto e puro, sebbene molto intenso, tra madre e figlio.
Claudio doveva subentrare a un fratello più anziano e corpulento di lui secondo quanto si
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intravede nei frequenti flashback di Branagh, nei quali Amleto spesso lo fa comparire, appesantito
ma conversativo e molto legato alla famiglia, secondo quanto corrisponde allo spirito del
personaggio eletto e nobile. In generale, poco si può dedurre a carico dell’età del defunto Re.
Sullo spettro e le sue apparizioni ci si soffermerà nel sottocapitolo seguente, un pò più a lungo di
quanto si va facendo rispetto agli altri personaggi, gli si attribuisce, un valore alquanto esterno al
dramma in quanto a parte lui, quasi nulla è dedicato nel dramma agli aspetti inesplicabili e
ultraterreni. A parte le reazioni immediate al contatto del giovane Amleto con il suddetto, egli è
assai incerto sul significato da dare alla sua apparizione la necessità di ulteriori prove per attribuire
definitivamente a suo zio, Re Claudio, l’uccisione di suo padre, Re Amleto. Come si vedrà, in
mancanza o nel contrasto degli elementi fornitici da Shakespeare di questa figura i vari registi
sembrano valorizzare la figura dello spettro in modo piuttosto diverso, in genere persona eletta per
definizione, in conformità con il dramma di Oliver o quello di Branagh.
Il vecchio Re Amleto viene ucciso con un potente veleno versatogli dal fratello nell’orecchio,
mentre si riposava nel giardino in un soleggiato pomeriggio, a cercare quella distensione nel sogno
che egli doveva privilegiare. Tuttavia, poco o nulla si sa del personaggio, a parte quello che egli
stesso, da spettro, ci rivela, circa i suoi precedenti di uomo d’arme assetato di sangue. Quindi, anche
nel delineare lo stesso aspetto esterno dello spettro, si può dire che ogni regista si basava più che
altro sulle sue stesse impressioni, effigiandolo persino come un elmo vuoto in una panoplia
assemblata a partire dalle sue armi, in alternativa a un personaggio con l’intero corpo protetto
dall’armatura, simbolo del suo potere di aggressione che, in Amleto suo figlio, doveva invece
concretizzare la difesa armata contro le sventure e disgrazie della vita.
Da vivo, Re Amleto, come a riprendersi dai lunghi periodi di guerra che lo allontanavano dal suo
castello e dalla famiglia, si riposava dunque volentieri e dal sonno ebbe a scivolare nella morte. In
conformità con l’abbigliamento generale ottocentesco della corte di Elsinore e dei frequentatori del
grande palazzo che ospita il governo di Danimarca, lo spettro è vestito da alto ufficiale anche
all’atto dei tormenti spaventosi della sua morte per avvelenamento, in corso dei flashback a lui
dedicati da Branagh, regista-attore.
Da notare che in Zeffirelli, lo spettro (P. Scofield), invece di essere eretto, sta seduto e
appoggiato contro i merli del cancello e non è inconsueto che il regista italiano, di grande attrattiva
sul pubblico, escogiti passaggi ‘a sorpresa’ che, tuttavia possono risultare alquanto indifferenti nei
confronti del flusso di comunicazione dei veri ed intimi contenuti shakespeariani dal palcoscenico
al pubblico.
Tuttavia, nonostante quanto è stato detto, l’apparizione certamente ottimale dello spettro è la sua
non-apparizione in qualità di voce fuori campo del film di Richardson. Questo regista, che sembra
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aborrire il sovrannaturale, cancella il fantasma che si usa far comparire tra l’alta merlatura del
castello terrificando i presenti e lo fa rappresentare solo da una eco in un sotterraneo, uno dei
pochi, rozzi, siti che egli ci mostra di un astratto castello illuminato con candele, ma scarsamente
apprezzabile dall’interno e mai ripreso dall’esterno. Ma, a parte questa eccezione, nei film ispirati a
Shakespeare, condotti senza forti deragliamenti lungo i binari da lui tracciati, l’ambientazione è il
castello di Elsinore, fatto di grandi stanze, bastioni lungo la possente merlatura, interni di torri,
corridoi e passaggi rialzati all’interno stesso di saloni, imponenti scalinate, il tutto immerso in un
buio illuminato da torce, grandi candele, da forti contrasti prodotti dalla luce penetrante da bifore o
altri tipi di finestre. Il modello è rappresentato dal film in bianco e nero di Oliver, vincitore di
cinque premi Oscar, cui si andava poi ad aggiungere il film di Zeffirelli, ricchissimo di questi
particolari, girato allo scopo sia in Scozia che nel Kent.
Gli antichi castelli sono stati sostituiti dal sontuoso palazzo da Branagh, ugualmente ricco di
enormi saloni per l’intrattenimento. Che poi il palazzo sia idealmente una caserma (non viene qui
detto ‘prigione’) sontuosa, deriva dallo spirito shakespeariano che Branagh e il suo staff hanno
trovato in uno stile spigoloso, rivestendo i loro personaggi come ufficiali ottocenteschi. Ovviamente
in questa atmosfera appare più sicuro nel suo ruolo il Re Claudio mentre la comunicazione esoterica
tramite la quale, Amleto, soprattutto con l’aiuto di Orazio, si isola dagli altri personaggi è
essenziale, stabilendo con gli atri personaggi la trasmissione di precisi, sintetici e significativi
messaggi.
Ciò detto, a partire da questa ambientazione, nel film di Oliver Amleto, cioè il regista stesso, è
rappresentato da un elegantissimo giovane snello e scattante, affiancato da un Orazio, pensato da
tutti, giustamente, come un personaggio un più posato di lui (ma immaginato meno correttamente,
come troppo elegante in relazione ai suoi scarsi mezzi di studente) e da un gruppo di giovani,
spesso suoi ex suoi compagni di scuola i quali sono tutti omogenei nei confronti dell’età e della loro
condizione studentesca, a parte la presentazione in perenne abito da cerimonia di Rosencrantz e
Guilderstern, nel film di Branagh. A partire da questo loro tipo di presenza, à difficile pensare che
questi verranno giustiziati come miserabili in terra straniera. Tutti questi giovani protagonisti sono
stati spesso scelti nel cast e modellati secondo quello che su di loro pensano i vari registi, che a loro
volta, hanno lodevolmente ricercato anche attraverso loro, lo spirito del dramma shakespeariano.
In linea con i suddetti è la giovanissima Ofelia, un’intelligente e vivace ragazza che Branagh fa
esordire come un ufficialetto al servizio di corte, quindi durante il teatro nel teatro cui si assiste
verso la metà del dramma. Lei indossa un bell’abito da sera, ma il tutto, compresa l’acconciatura e
gli ornamenti si disfà, evidentemente, all’atto della sua follia.
Suo padre Polonio, che è anche padre di Laerte, viene presentato, in conformità alla sua
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inframettenza e pedanteria, da attori piuttosto anziani, curvi sulle loro carte. Ma in questo film
viene visto come un ufficiale di grado elevato e ben eretto, come anche nel film di Zeffirelli, ove
Polonio è interpretato da Ian Holm (uno dei più distinti e qualificati attori noti per la loro
frequentazione dei drammi shakespeariani), che riveste i panni di un serio funzionario di corte serio
e ben eretto nella persona.
Questo è strettamente conforme a quello che Shakespeare e la maggior parte degli sceneggiatori,
interpreti e registi dei suoi drammi, vedono nel personaggio, il quale, nella formazione di un flusso
di comunicazione con gli spettatori, dovrebbe essere ben presto, sin dalla prima scena del dramma,
come un diretto, ostinato costruttore del muro che divide i personaggi difesi, mediante la loro
comunanza esoterica, dai malevoli cortigiani, dediti alla congiura e allo spionaggio nei confronti del
Principe Amleto, non immediatamente riconosciuto come uno di loro.
Figura 9- Scena di “Amleto” adattato da Rodney Bennett tratto dall’ononimo dramma di William Shakespeare.
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VI. 2 - Amleto ed il suo piccolo gruppo di personaggi esoterici.
Amleto è un personaggio talmente multiforme ed estremamente vario che sin dalla prima
performance londinese ha fortemente problematizzato la mente degli spettatori che hanno tentato di
capirlo, o almeno quella parte di questi che ne sono rimasti affascinati e hanno voluto approfondirne
il messaggio. Nel complesso, stando soltanto al preponderante numero di opere teatrali registrate e
dei primi film muti dei primi decenni del XX fino alla soglia del XXI , bisogna riconoscere che il
Principe Amleto è stato il personaggio di provenienza teatrale di gran lunga più rappresentato e
considerando gli interpreti che si sono dedicati ad interpretarlo, o semplicemente a collaborare agli
spettacoli su di lui focalizzati si può dire che nessun grande interprete abbia mancato di cimentarsi
con questo ruolo.
Si ricorda che, in questa tesi, si è entrati dall’inizio, per rimanervi rigorosamente durante tutta la
sua stesura, mantenendo il centro focale dell’osservazione, in generale, nel mondo rappresentativo
di fatti ed azioni a grande carica culturale mentre dell’enorme portato filosofico, psicopatologico e
letterario che è stato caricato sulle spalle del Principe Amleto si potranno fare solo cenni là dove i
risultati della ricerca che viene condotta sulla comunicazione tra Shakespeare (vale a dire tra registi,
altri addetti ai lavori ed attori) e suoi spettatori d’ogni tempo, verranno confrontati tra loro con il
pensiero altrui.
In questa parte del capitolo Amleto, nella sua ristretta cerchia di personaggi eletti, viene
presentato sulla scena da vari registi. Tra questi c’è Oliver che nel suo adattamento interpreta sia il
regista che l’attore principale come una proiezione della sua stessa visione (questa forse è stata la
chiave del successo del film, che ancora si protrae), padroneggiante ogni sorta di espressione
partecipativa e romantica. Poi abbiamo Jacobi che è l’abituale, perfetto interprete attore
shakespeariano, non a caso scelto dalla BBC (regia R: Bennet) nelle sua versione ‘teatrale’ di
riferimento in tutto il mondo. Branagh, altro auto-inteprete del suo film, riveste perfettamente il suo
ruolo in uno stile formale raggiungendo la qualità recitativa di Oliver almeno durante gli episodi di
rabbia furiosa. Gibson, interpreta l’Amleto di Zeffirelli, grintoso, in armi contro le avversità ma che
subisce un’attrazione non proprio ortodossa verso la Regina madre.
Richardson con Williamson, suo regista, dà corpo ad un Amleto gentile e concessivo, costretto a
cambiare come reazione più che per obbedienza allo spettro del padre, che nel film è solo una voce
fuori campo.
Infatti il Principe viene continuamente disturbato dallo spionaggio, da quanto mai offensivi
inviti, per esempio, a sposarsi, a distrarsi dalla malinconia divertendosi, a ricevere amici che sono
degli spioni prezzolati (per esempio Rosencrantz e Guilderstern), cui i poco eletti, miserabili spiriti
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della corte lo sottopongono quasi esorcizzando la sua presenza alla ricerca della verità. Tuttavia
egli, in associazione alla sua ristretta cerchia di amici, si difende efficacemente tramite il suo
comportamento e linguaggio esoterico, fino ad essere costretto a fingersi pazzo.
Ricercando nella direzione del titolo di questo sottocapitolo e quindi portando avanti le
modalità di formazione del piccolo gruppo esoterico si incontra Orazio (per esempio R. Swann, in
R. Bennet, BBC), capostipite della ristretta cerchia che si va formando attorno ad Amleto, in
relazione alla sua amabilità con le persone che lo comprendono, lo difendono e gli sono
amichevolmente intorno. Si tratta, a proposito di Orazio, di un nobile personaggio rappresentato da
un giovane non particolarmente in ottime condizioni economiche il quale, come Amleto, studente a
Wittingstein, induce quest’ultimo a incontrarsi con il fantasma paterno (in tutte le esecuzioni, meno
che in quella di Richardson, ove Orazio è G. Jackson e il ruolo dello spettro è rivestito da una
semplice voce fuori campo).
Durante lo spaventoso abboccamento, Orazio resta vicino all’amico pur terrificato, nelle
circostanze di questo incontro. Egli manda avanti il Principe, ma poi partecipa al solenne
giuramento di silenzio sulla croce formata dall’impugnatura della spada di Amleto (nei quattro
primi film presentati), da cui consegue la formazione quasi iniziatica del piccolo gruppo dei
presenti. Orazio è spesso presente ai sgradevoli contatti del principe con i personaggi gonfi di
malevolenza e ostili che formano un impenetrabile muro contro coloro che cercano di elevarsi.
Egli diviene importantissimo nell’affiancare Amleto mentre cerca di osservare il comportamento
e le reazioni del patrigno Claudio durante la rappresentazione materializzante la visione
dell’assassinio da lui compiuto. Nel film di Branagh, recitato da N.Farrell, egli si munisce di un
binocolo da teatro da usare per l’ottimizzazione del compito.
Orazio è anche presente durante il funerale di Ofelia, cercando di afferrare con Amleto la
difficile situazione e difenderlo dall’aggressione di Laerte (nel film di Zeffirelli, i due personaggi,
Orazio, S Dillane e Laerte, N. Parker sono giovani e modestamente abbigliati) il quale, tornato dalla
Francia, viene a sapere prima della morte del padre Polonio e poi quella della sorella. Lui
nonostante l’amicizia con Amleto e la grave responsabilità paterna che, per spiare Amleto, non
aveva tenuto del rischio che vi era nel nascondersi dietro ad un tendaggio, non concede alcuna
attenuante al Principe che lo uccise, ritenendo inoltre quest’ultimo il diretto responsabile della follia
che condusse Ofelia a morte accidentale, mentre, malgrado quello che alcune versioni filmiche
fanno vedere, dal dramma risulta chiaramente che il rapporto tra la ragazza ed Amleto fosse stato
pulito e trasparente.
Secondo quanto ci si poteva attendere, Orazio è al fianco dell’amico Amleto dapprima al
momento della sfida poi durante il furioso, sleale duello provocato da Laerte contro Amleto,
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testimoniando l’uso da parte del primo dei due, di un fioretto che è avvelenato sull’apice della lama.
Oliver, nel suo film compie prodezze schermistiche, con il suo famoso lancio dal corridoio
sovrastante la sala, dopo l’uccisione di Laerte, del micidiale fioretto usato da quest’ultimo puntato
contro il Re, complice e avvelenatore della madre attraverso il veleno immesso nel vino di una
coppia che lui stesso aveva preparato.
Orazio, che non ha mai abbandonato un attimo il Principe, lo abbraccia mentre egli scivola verso
la morte ed è talmente addolorato che viene trattenuto a stento da Amleto stesso al momento di
bere il residuo del vino avvelenato. Con la morte di Amleto, Orazio, si impegna a raccontare ciò
che gli accadde. Lo farà con Fortebraccio, principe di Norvegia e amico di Amleto che, alla testa
del suo esercito, è di passaggio dalla Polonia e viene a visitare la corte del castello di Elsinore. Se
Zeffirelli e Richardson trascurano questo finale del film, Branagh invece lo stravolge focalizzando
un Fortebraccio che rivendica la volontà del padre ucciso dal vecchio Re Amleto e viene a sedersi
sul trono di Danimarca.
Forse questo allontanamento dai binari dell’originale dramma, come anche l’eccesso di ‘footage‘
dedicato al duello multiforme tra Laerte ed Amleto, giova assai poco alla corretta comprensione del
film secondo quelle che erano le intime convinzioni di Shakespeare.
Figura 10- Scena di "Amleto" di Kenneth Branagh tratto dall'omonimo dramma di William Shakespeare.
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VI. 3 - Il Principe Amleto, lo spettro, la coppia reale.
Sin dall’inizio del dramma il Principe Amleto e Orazio sembrano destinati a formare uno stretto
circolo esoterico, retto da scambi verbali e gestuali discreti, unione proficua e nobile destinata al
bene comune : è vero che la ‘iniziazione’ di Orazio avviene al momento della sua chiamata a un
giuramento basato sulla vendetta che il fantasma ha richiesto, ma è da tenere presente che
quest’ultimo non vuole che (I,5, da 82) :
Ghost. …’…the royal bed o Denmark be
A couch for luxury and damned incest.
(che diviene, traduzione in prosa di Baldini):
Spettro….‘…il letto regale di Danimarca si riduca a un giaciglio per la lussuria e l’incesto
dannato,’
Ma vuole che :
Ghost. But howsoever thou porsuest this act,
Taint not thy mind, nor let thy soul contrive
Against thy mother aught, leave her to heaven‘…
(che diviene) :
Spettro. Ma in qualsiasi modo tu intenda punir quest’atto, non sconciare l’animo tuo, né
permetter che il tuo spirito venga tramando alcunché ai danni di tua madre.’
Inoltre è molto più importante che questo ‘iniziale’ circolo esoterico nasca tra due giovani
uomini disposti al bene in modo connaturato.
Ad esempio, poco prima Amleto aveva asserito che sotto l’influenza del vino i più assennati
uomini del mondo compiono imprese malvagie, di inaudita violenza e che pertanto egli si era
sempre astenuto da questo vizio. Quindi nel momento in cui Orazio vuole trattenerlo dal seguire il
fantasma pensa di non aver nulla da temere dal momento che non dà alcun valore alla sua vita ma
che, considerando la sua preziosa anima immortale, niente può farle alcun male.
Orazio, secondo il Baldini è di animo tanto gentile da descrivere in due versi il sorgere dell’alba
sulla collina cosa che ‘..gli presta autorevolezza come interlocutore privilegiato di Amleto, quale
portavoce del Principe assente nonché come narratore delle sue vicende al mondo.’
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Tutto questo fa capire che Shakespeare sin dall’inizio di questo suo dramma faccia intendere
chiaramente le sue intenzioni di saldare in un ristretto circolo esoterico tra questi due protagonisti
(senza escludere da questo Marcellus e Barnardo).
Ovviamente, dato che non ci sono dubbi che questo essere appartati psicologicamente e
spiritualmente dalla presenza fisica degli altri, non esclude ogni possibile tentativo (vedi più oltre
Ofelia e la Regina) di trasformarlo in un essere che, toltasi dagli occhi il velo di Maya, finalmente
possa divenire capace di comprendere le realtà del mondo che lo circonda, lasciandosi andare al
suo oscillare tra un modo attivo ed armato dell’essere e il totale abbandono al sonno e al sogno del
non-essere. Tra i tanti autori che si sono occupati dell’argomento del sonno come mediatore
dell’essere verso il non-essere sarà qui utile ricordare P. Boitani il quale dice che ‘l’interrogativo di
Amleto, che suona come “to be or not to be, that is the question” anteponendo il problema filosofico
dell’essere a quello contingente del vivere, conduce in maniera netta anche verso una meditazione
sul sogno come anticamera dell’essere, essendo il sogno proprio la condizione del poter misurare la
possibilità di vivere dopo la morte.’
A questo punto si hanno sufficienti elementi a disposizione per completare ciò che qui sembra un
sistema di comunicazione privilegiato esoterico-onirico per accedere al pubblico; di questo binomio
che si è posto al centro della tesi resta ora solamente da chiarire la componente del sonno generante
sogni. Una fonte importante di questo tipo di informazione è fornita dalla regia di Richardson il
quale enfatizza l’aspetto della sensualità nei rapporti che intercorrono nei vari personaggi
dell’Amleto. A differenza di Zeffirelli egli giustamente trascura l’obsoleto rapporto culturale di tipo
freudiano tra madre e figlio, ma restando rigorosamente entro le linee shakespeariane, egli si limita
a mettere in evidenza che all’interno del fitto intrico di personaggi entro la corte reale, un luogo ove
questi vivevano in stretta contiguità, non vi potevano non essere approcci del suddetto tipo e che
questi dovevano avere un loro ruolo ed indurre numerose sfumature del comportamento.
In altre parole sembra che questo regista si sia tolto la maschera che gli offuscava la vista
mettendo in primo piano i corretti, naturali, sostegni della trama del dramma o, meglio, portando
alla luce dei contenuti del dramma che invece sono offuscati nelle altre rappresentazioni. Le scene
che danno realmente inizio al film sono recitate dalla coppia reale Claudio-Gertrude, che
normalmente viene rappresentata come formata da due persone affettuose ma dignitosamente e
formalmente ben distinte l’una dall’altra (P. Steward-C. Bloom, nel teatro-film di R. Bennet; D.
Jacobi-J. Christie nel film di Branagh). Questi attori qui citati trasmettono un forte messaggio al
pubblico che gli permette di far un’ottima rappresentanza della passione che circolava tra loro.
Al contrario, questa verità comincia da subito a evidenziarsi nel lavoro cinematografico di
Richardson (A. Hopkins, J. Parfitt) dove durante la confusione del ricevimento serale, avendo
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ricevuto gli ambasciatori per la Norvegia, la coppia regale si scambia affettuosità e sguardi sensuali
anche in presenza di Amleto. Pertanto, secondo Richardson il loro antico rapporto non poteva
essere tanto clandestino da essere sfuggito agli occhi di Amleto che, in un suo primo monologo
riflette sul brutto comportamento di sua madre che, tuttavia, insulta solo per non aver fatto passare
nemmeno due mesi dalla morte di suo padre per sposarsi, ma che non qualifica mai come
sessualmente scandaloso. Egli si limita solo a definire incestuose le loro lenzuola.
Come era dunque ovvio e naturale, la coppia reale, che palesemente si amava appassionatamente
davanti a tutta la corte, in una lunga e originale scena evidenzia la loro propensione a vivere,
mangiare, farsi accudire e sbrigare ogni loro affare nel letto reale. Non si può, in questa scena, non
apprezzare la felice lezione di recitazione che il giovane Hopkins-Re somministra al pubblico,
facendolo (il film è del 1969) sognare delle sue eccezionali performances successive. Nel caso
presente, se si è appena invaso il campo critico, questo è avvenuto solo per una pratica
dimostrazione di quanto ci si possa allontanare dall’originale shakespeariano da parte da un regista
eccezionale come Richardson, non solo restando entro i binari del suddetto, ma anzi migliorandone
quei contenuti che qui sono stati dati come di rilevanza focale.
Essendo così lontani dal pubblico londinese del Globe al passaggio del XVI al XVII secolo come
si può però asserire con certezza una cosa del genere? La risposta non è tra le più complicate ma
presuppone qualche spiegazione a partire dall’unico discorso lungo tenuto dallo spettro del padre ad
Amleto che si era soffermato sul rapporto amoroso tra Claudio e Gertrude quando era in vita. Sul
carattere del fantasma si sono spesi, già a partire da Giacomo primo, fiumi di inutile inchiostro
sulla natura santifica o diabolica dello spettro entro i quali Shakespeare non annegava certo dentro.
Egli, infatti, si limitava utilizzare quest’ultimo, come molti autori di teatro sono usi a fare, per
esplicitare verità ineffabili al fondo del dramma rappresentato. Shakespeare non poteva chiaramente
usare questo farraginoso e obsoleto strumento pur ritenendolo essenziale, se non in modo indiretto.
Se l’Amleto di Williamson chiamava in campo le verità spettrali veicolandole attraverso una voce
fuori campo, Shakespeare non l’avrebbe mai fatto preferendo di gran lunga un colpo di teatro come
l’entrata in scena di uno spettro, per l’effetto che questa avrebbe avuto sullo spettatore ma,
soprattutto sugli addetti alla discussione critica i quali, schierandosi inevitabilmente in parte
favorevoli all’esistenza di forze sovrannaturali e in parte contrari, non avrebbero fatto altro che una
grande pubblicità al dramma.
Comunque le due dichiarazioni-chiave dello spettro vanno a collocarsi al fulcro centrale della
leva che doveva sollevare l’Amleto a livelli sublimi. Della prima si diceva fosse una richiesta di una
vendetta della seconda come sostanziante i particolari del connubio incesto tra il fratello e la
moglie del suddetto. Traducendo quest’ultima in termini più chiari, nel suo contenuto più
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essenziale, lo spettro si confessava non solo come una turpe, vendicatrice macchina da guerra,
fautore non solo del modo marziale di assassinare, ma anche di un bieco esecutore di molti crimini.
Egli veniva ucciso dal fratello che voleva sposare, coronando il suo sogno d’amore, la sua
trascuratissima moglie ma voleva vendicarsi soprattutto per la condanna della sua anima gonfia di
delitti, essendo stato assassinato senza aver avuto il tempo di pentirsi venendo cos’ direttamente
inviato ai tormenti infernali.
Si capisce come Amleto si adiri oltre misura alle richieste del fantasma.
Egli amava tanto sia il padre che la madre e non era educato, come lo si è oggi, al pacifismo ma
alla guerra quindi come poteva non giudicare il padre come un eroe che spesso si trovava lontano
della famiglia ? E come poteva non considerare la madre con tutte le sue giuste espansioni verso
Claudio, una brava donna, cosa che oggi non si può più fare vedendo uno zio occupare il letto
regale cosa che sembra entrare sempre di più al centro del discorso shakespeariano.
Parlando egli in un suo monologo di ‘incestuose lenzuola’, anche se i rapporti carnali della
madre non erano con un consanguineo, il Principe Amleto sembra anticipare il ‘letto reale di
Danimarca’ individuato dallo spettro in quanto non doveva divenire ‘giaciglio per un incesto’. E’ da
pensare così che Shakespeare alluda alla normale abitudine del padre, come d'altronde alla sua
stessa di coricarsi presso la Regina. In tal modo potrebbe essere che il bardo di Avon volesse
comunicare allo spettatore che, pur non potendo essere incestuosi i suoi rapporti pre-post-
matrimoniali con Claudio, vi fosse, nel letto di Danimarca un presupposto di incesto se due fratelli
ed il figlio di uno di essi vi si coricassero in una successione di quasi contemporaneità.
Il giaciglio regale è molto più di una metonimia sostitutiva di ‘rapporto sessuale’, ma qualcosa
come un luogo nazionale sacro che ospitando dapprima un figlio e suo padre nei loro totalmente
sani, rispettivi rapporti legittimi con la madre e con la moglie, alla morte del padre, lungi dall’essere
riabitato immediatamente, avrebbe necessitato di una periodo di sconsacrazione per tornare idoneo
ad essere disponibile. E questo non solo sotto l’approvazione dei pochi consiglieri di corte che
siglarono il precoce secondo matrimonio della Regina (dopo poco più di un mese dalla morte del Re
Amleto) ma nella conoscenza e il consenso dell’intera Danimarca.
Si è dunque partiti dall’abuso quotidiano di occupazione del letto regale nel pieno assenso e gioiosa
complicità di Claudio e Gertrude e, di ritorno da questa lunga dissertazione, non possiamo più
considerare il letto regale come il frutto di un’idea efficace del prestigioso Williamson ma
dell’espressione registica di una situazione centrale nel dramma mutuata direttamente da
Shakespeare che allude così alle necessità di un rilassamento psicofisico del corpo La
disposizione dei due, che si apre al sonno generatore di sogni, non è che, chiaramente,
l’allontanamento totale dal letto della madre, l’assoluta proibizione per un ragazzo giovane come
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Amleto di sdraiarvisi accanto, liberare la mente e sognare .
Il coup de teatre di Zeffirelli, il quale si lascia andare a filmare dei baci appassionati nel corso
della burrascosa riconciliazione tra Regina madre e figlio, si avvale della grande recitazione di
Glenn Close quale contrapposta a Mel Gibson. Ci si trova dunque di fronte a una forzatura del
pensiero del bardo il cui fine doveva essere più il potenziamento del flusso degli spettatori,
incrementato anche dall’attrazione esercitata dal nome del regista, senza deragliare dai binari del
pensiero shakespeariano.
Figura 11- Scena di "Amleto" adattato da Franco Zeffirelli tratto dall'omonimo dramma di William Shakespeare.
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VI. 4 - Amleto, Polonio, Ofelia, la Regina.
Ciò detto siamo ora liberi dal discutere dalle implicazioni psicopatologiche-letterarie che
influiscono abbastanza sul dramma.
Possiamo porre adesso il fulcro teatrale del dramma sul principe Amleto e sulla sua avversione
verso lo zio.
Sembrerebbe di sì anche perché nel complesso ed enigmatico dialogo con Rosencrantz e
Guilderstern una delle cose più evidenti è la sua oppressione a causa degli incubi. Se dal punto di
vista di Amleto l’infedeltà della regina è stato un gesto ignobile da quello di Claudio e di Gertrude
tale matrimonio ha rappresentato il coronamento del loro sogno d’amore, seppur indelebilmente
macchiato dalla morte dell’anziano Re Amleto.
Chiaramente quest’ultima, odiosa implicazione del suddetto rapporto prevale e l’amore tra i due
ha fatto si che, ben diversamente da ciò che ha adattato Richardson al grande schermo, sia stato
mostrato come un rapporto sì amoroso ma sostanzialmente distaccato, formale e convenzionale. Lo
stesso si può dire per la relazione di Amleto con Ofelia e quella tra Amleto e la Regina madre. Ora,
mentre sul rapporto tra Claudio e Gertrude si è sufficientemente parlato, per approfondire gli altri
due tipi di relazione, sarà utile dedicare qualche riga per definire accuratamente la personalità di
Polonio, che con la sua inframettenza si troverà ben coinvolto, fino alla sua stessa morte, in questi
rapporti.
Anche nel dilungarsi della pedantesca lettura della lettera di Amleto, l’anziano ministro Polonio,
maligno e ridicolo ma soprattutto sistematico fautore dello spionaggio in suo stesso vantaggio (in
questo caso il suo ingresso mediante il matrimonio della figlia nella casta della famiglia reale),
arriva a fingere di non accorgersi dell’atteggiamento visibilmente annoiato di Claudio e Gertrude
che continuano a concentrarsi sul loro cibo. La sua insistente inframettenza è tale che, alla fine
ottiene l’impegno segreto della coppia reale di osservare, nascosta, gli atteggiamenti amorosi di
Amleto e Ofelia, sottolineando che la stessa sua figlia glielo aveva permesso, udendo persino le
parole della relativa conversazione.
Così Polonio recita (2,2,124, subito dopo la lettura della lettera amorosa di Amleto a Ofelia):
Polonio. This in obedience hath my daughter shown me ;
And more above, hath his solicitings,
As they fell out by time, by means, and place,
All given to mine ear.
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(Che diviene, Baldini) :
Polonio. La mia figliola m’ha mostrato questa lettera in segno della sua obbedienza,
e oltre a ciò mi ha dato agio di ascoltare tutte le sollecitazioni di lui, nel tempo, nel luogo e nelle
circostanze in cui si diedero.
Nel corso dello svolgimento dei film qui presentati si mostra infatti un bel rapporto tra Ofelia ed
il padre (ad esempio in Branagh, con Polonio-R. Briers abbigliato da alto ucciciale e Ofelia-
K.Winslet da ufficiale di grado inferiore dalla figlia), il quale ottiene da lei una piena confessione
dei suoi rapporti con Amleto e anche una sua compartecipazione alla sua trama di spiarlo. Amleto
non essendo ancora a conoscenza della congiura ai suoi danni, si avvicina amorosamente e parla
dolcemente alla ragazza ma, resosi conto che anche lei stava complottando contro di lui, assume un
atteggiamento di evidente sarcasmo verso di lei che, subito dopo, con l’insistere caparbio di Ofelia
su posizioni molto convenzionali senza dimostrare alcuna comprensione verso i gravi fatti nei quali
egli è implicato, diviene rabbia che si scarica sulla povera ragazza.
Si deve quindi constatare che la grande maggioranza dei film considerati tracciano una lettura
troppo piana e semplice di questo rapporto e presino della follia di Ofelia non approfondendo
adeguatamenr la personalità della ragazza. L’unico a fare questo probabilmente è stato Richardson,
il quale traccia un profilo di Ofelia abbastanza strano ma ipoteticamente possibile, rendendola
eccessivamente vicina confidenzialmente al padre e fisicamente al fratello Laerte. Questo regista
interpreta una scena lunga e del nascondimento di tali spioni e della loro ricerca di svelare gli intenti
Amleto e la condensa in un avvincente ‘pezzo di teatro’ che contribuiva a farene il più corto dei
film qui presentati (meno di due ore di fronte alla recitazione globale del dramma che è stata stimata
di 6 ore).
E’ evidente che Richarson, da buon, appassionato lettore del testo shakespeariano, si rende conto
che in Amleto prevale il desiderio di avvicinarsi a Ofelia (M. Faithfull), che giace sull’amaca,
stendendosi amorosamente accanto a lei (Amleto è interpretato da Williamson). Queste riprese
evidenziano degli aspetti importanti del rapporto tra i due, premesse della loro inevitabile rottura
dovuta all’accorgersi, da parte di Amleto, delle cospirazioni di Polonio e Claudio nei suoi confronti.
Paradossalmente Ofelia, una volta scoperto il suo ruolo, piange copiosa finendo pazza nella
concorrenza della morte del padre e dell’abbandono dell’uomo che, malgrado abbia colpito così
dolorosamente alle spalle, doveva certamente amare.
Indubbiamente allo spettatore tutto quanto si riassume in un’espressione del fortissimo desiderio
di Amleto-Williamson alla distensione, premesse del riposo e del sogno accompagnato da buoni
sogni, cercando di liberarsi dai suoi incubi, sentimenti che vengono dal mondo ‘inferiore’.
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Evidentemente la difesa di Amleto da questo tipo di volontà coercitive focalizzate su di lui non
era soltanto uno stato di furia che poteva esporlo ad ulteriori recrudescenze degli strali a lui diretti,
ma anche la sua scelta del ricorso allo stato di incomunicabilità dell’esoterismo spinto fino alla
simulazione della pazzia. Egli tenta più volte di farsi comprendere da Ofelia, ma questa si chiude
entro il recinto di incomprensione e luoghi comuni. Lei non aveva quell’autonomia mentale dal
genitore e dal fratello che le avrebbe permesso di elevarsi al di sopra del suo livello di
comprensione e partecipa alle gravissime vicende che le stavano capitando intorno.
Respinto quindi sia dall’impossibilità di riportare alla precedente normalità i rapporti sia con sua
madre che con la ragazza che amava, Amleto si rifugia nell’espressione del suo monologo
principale (che Amleto-Oliver formula nella sua famosa posizione semidistesa laterale) a partire da
una posizione coricata-supina. Le sue considerazioni sulla coppia inscindibile dell’essere o non
essere, to be or not to be, (qui intesa in modo semplice, come stato di vivente o di morto), ancora
una volta conducono a una ‘filosofia del sonno’ desiderabile, accompagnato, forse, da sogni, anche
se il sonno, come è accaduto al vecchio Re Amleto, scivola nella morte.
Al contrario di quello che si rappresenta in Oliver, Bennet, Branagh e Zeffirelli, per Richardson
questo monologo sembra originare da una riflessione elaborata in uno stato di semi-coscienza, una
sonnolenza in stato di distensione. Questo la dice molto lunga sull’importanza che questo regista
rivolgeva alla necessità di modellare l’adattamento in un blocco unico con gli spettatori, gli attori
del suo film, allo scopo di un felice stato di compenetrazione basato su una formula comunicativa,
che non appare molto differente da quella veicolata dal mezzo esoterico-onirico qui studiato.
Successivamente il Principe Amleto (con Orazio, osservatore attento delle reazioni regali),
partecipando con tutta la corte al dramma da lui stesso preparato ed, in parte, scritto, accertava che
al momento dell’estrazione della fialetta del veleno da parte dell’attore che recitava Claudio e del
suo versamento nell’orecchio del vecchio Re Amleto straiato sul fianco, cui conseguiva l’istantanea
morte della vittima tra gli spasimi, Re Claudio saltava in piedi come una molla e correva via.
Questo comportamento per loro, ristretto circolo esoterico postosi alla ricerca e all’affermazione di
verità e giustizia, era una ammissione di grave colpevolezza, ben oltre di quanto lo spettro aveva
suggerito (alla fine del II atto, Amleto esprime chiaramente la paura che il messaggio dello spettro
sia diabolico).
Così, vediamo la furia di Branagh, insuperabile nell’esprimere rabbia e minaccia, che brandisce
una piccola ampolla piena di veleno, cioè ‘l’arma del delitto’, verso lo zio Claudio che fugge sotto
la luce di una torcia che gli illuminava il tragitto verso la sua stanza. Successivamente, Amleto, che
aveva evitato di uccidere Claudio mentre pregava (Claudio-Jacobi, nel film di Branagh) riteneva,
piantando un colpo di spada attraverso la cortina della stanza da letto della Regina, di uccidere lui e
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non Polonio. Vedremo tra pochissimo il significato dell’ingloriosa morte di Polonio. Per ora
possiamo contentarci di considerarla come il coronamento dell’inframettenza del Ministro, non
rassegnato alla frustrazione del non essere divenuto il suocero del futuro Re di Danimarca
attraverso il matrimonio del Principe Amleto con la figlia Ofelia.
Egli si era fatto avanti con il Re per avere il permesso di spiare Amleto dalla stanza della madre,
che lo aveva convocato e che doveva farlo parlare per estrapolargli una confessione. In realtà
Polonio non si era reso conto del nocciolo del problema ossia dell’uccisione di Re Amleto e
dell’identificazione dell’assassino in Re Claudio, cose ben riconosciute solo da Amleto, Orazio e
Claudio. Il vecchio Ministro continuava semplicemente a seguire il suo incoercibile istinto di
inframettenza spionistica.
Pertanto, non resistendo a se stesso, si nascondeva dietro le cortine della stanza da letto della
Regina, posizione evidentemente rischiosa attraverso le quali la spada di Amleto lo inchioda per un
suo grido accompagnato da un movimento istintivo in seguito a un urlo di paura della regina. Se la
reazione di Amleto è solo in parte naturale, la sua esagerazione proveniva dall’abnorme terrore di
Re Claudio allo spettacolo che rappresentava l’omicidio del fratello, che era un’esplicita
confessione della sua colpa e che si va ad aggiungere allo stato di confusione e di eccitazione di
tutta la corte.
Polonio invece, nel suo esagerato egocentrismo, non poteva non ritenere suo compito indagare
così indiscretamente sul comportamento del Principe, concentrando su di lui tutte le sue intrusioni,
arrivando al punto di nascondersi, per continuare a spiarlo, nel posto più rischioso possibile in tutta
la reggia, dietro le tende della stanza della Regina.
I principali motivi che Shakespeare poteva avere per liberarsi di questo incomodo Ministro sono
due (dato che il suo ruolo a corte poteva essere più o meno quello di un Segretario di Stato) :
1. Suggerire al pubblico che l’arrivismo a tutti i costi governato dall’egoismo, veicolato da
qualcosa come una comunicazione circolante a vantaggio del ristretto circolo familiare di Polonio,
(quindi strettamente anti-esoterica, per il valore iniziatico che diamo qui all’esoterismo) è
assolutamente negativo. Vengono scambiati lunghi discorsi di raccomandazione tra lui e i due figli,
Ofelia e Laerte. Questi ‘consigli paterni’ sono un lungo concentrato dei più triti luoghi comuni che i
genitori di oggi farebbero ai loro figli. Tale eloquio era arrivato non solo all’estrema pressione
esercitata su Gertrude e Claudio al fine di convincerli a partecipare con lui all’operazione
spionistica ed eventualmente scoprire che la sanità mentale del Principe dipendeva dal suo amore
non corrisposto per Ofelia, ma anche all’estrema dissociazione mentale espressa nella
conversazione tenuta con il servitore per cui (traduzione Baldini) ‘..in tal modo, noi che siamo gente
assonnata e lungimirante, per vie traverse e con assaggi obliqui, scopriamo le vie dirette in modo
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diretto’.
2. Era cessata la necessità di Polonio nella prima parte del dramma, in cui le parti dovevano
essere ben distinte con, essendo da un lato, il binomio Amleto-Orazio quindi i personaggi in
comunicazione esoterica con il pubblico, in disperata ricerca della verità e della via migliore per la
compensazione del grave squilibrio determinatosi nella corte e, dall’altro lato, tutto il resto dei
personaggi della corte (e di quelli chiamati da fuori che si aggiungevano loro).
L’esoterismo di Amleto veniva chiamato in azione, distinguendosi per la qualità subdola e
indagatrice dei dialoghi con i quali intratteneva tutti questi personaggi allo scopo della loro precisa
identificazione. A parte le famose, assolutamente paradossali, conversazioni con Polonio, hanno
molto interesse quelle tra Amleto con Rosencrantz e Guilderstern, in cui Amleto, trincerandosi
dietro uno sconnesso dialogo che oggi qualificheremmo dadaista intendeva ripristinare un vecchio
linguaggio da colleghi universitari e accertarsi tramite una martellante domanda ricorrente se questi
due personaggi gli erano pervenuti per amicizia o chiamati dalla coppia reale per aumentare la
sorveglianza su di lui, come alla fine essi erano costretti ad ammettere.
Si è giunti ora all’ultimo complesso di scene che dal dramma originale shakespeariano sono
tutte, con qualche eccezione, state rappresentate nelle sequenza delle opere teatrali filmiche qui
scelte, che considerano il rapporto di Amleto con la madre. Seguendo questo filo conduttore c’è da
constatare che questo percorre tutto il dramma, dalla prima scena, in cui troviamo Amleto che
interloquisce con la coppia reale, alla comparsa di quest’ultima nel salone della rappresentazione
teatrale, in cui Amleto, chiamato dalla madre a sedersi accanto a lei, si conferma esente da ogni
attrazione psiconevrotica per lei, dicendole chiaro che alla sua compagnia preferisce quella di
Ofelia, andandosi ad appoggiare con il capo sul suo grembo. Più avanti, si arriva ad una delle scene-
madri del dramma, sulla quale ci si deve necessariamente soffermare in quanto, l’interpretazione di
questa da parte dei cinque registi qui focalizzati è alquanto varia e va ad influenzare il loro stile di
comunicazione del dramma verso gli spettatori.
Si è già parlato brevemente dell’interpretazione di Zeffirelli che, avvicinando un pò troppo i due
personaggi (Amleto-Gibson, Gertride-Close), sembra propendere per una corrente amorosa
repressa, di chiara natura patologica, tra madre e figlio. Tuttavia, sembra chiarissimo che i rapporti
precedenti alla morte di Re Amleto, all’origine dell’amore tra la Regina e Claudio sono stati, come
se fossimo nella Danimarca moderna e non in quella del passato, molto cavallerescamente
dimenticati da Amleto, che non li ha mai rinfacciati alla madre. Così Amleto cerca di non offendere
sua madre alla quale egli ricorda di essere matura abbastanza da potersi sottrarre da sola agli inviti
lascivi di Claudio, anche nel corso di questo passaggio drammatico, viene affacciato il concetto di
‘letto contaminato’.
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Con Amleto-Oliver e Gertrude-Earlie viene recitata magistralmente la scena tra i due personaggi
con una grande, romantica, passione reciproca che dalla paura sfuma gradualmente verso la
comprensione reciproca, che termina nel pentimento della Regina fino alla sua promessa di
astenersi da rapporti intimi nei confronti del marito.
In Amleto-Jacobi e Gertrude-Bloom (Fig 60) assistiamo a una conduzione della scena da parte di
Bennet quanto più appassionata ma nei limiti del possibile ossia sempre strettamente entro i binari
del dramma originale shakespeariano.
Con Amleto-Branagh e Gertrude-Christie si ha una forte dose di aggressività iniziale da parte di
Branagh, che poi si scioglie in pianto a mano a mano che la regina si pente e promette di astenersi
nei rapporti coniugali.
Al contrario e ai fini di un arricchimento della nostra analisi, la conduzione di Richardson
utilizzante la coppia Gertrude-Parfitt e Amleto-Williamson, assolutamente originale, viene qui
esaminata con dettaglio. Dopo l’iniziale urlo di paura della regina e la morte di Polonio, che non si
trattiene dal muoversi e gridare da dietro le cortine dove si era nascosto, dopo il confronto tra i
ritratti di Re Amleto e di Re Claudio che il Principe costringe la madre a fare, vengono girate le più
belle scene che si considerano tra le più vicine alla realtà della comunicazione shakespeariana che
siano state mai girate. Nella sequenza si apprezza il progressivo avvicinamento di Amleto alla
madre e che entrambi ritrovano il dolce rapporto di un tempo. Amleto si distende accanto alla
madre sul letto regale, sul quale aveva rifiutato di sdraiarsi per non concorrervi con il Re ,mentre le
gote gli si bagnano con lacrime di riconciliazione.
Viene così ritrovata la dimensione di condivisione onirica, non disgiunta dalla creazione di un
muro esoterico che le permetterà l’adozione di un linguaggio consono ai due. Un’ulteriore ‘footage’
sul tenero, riacquistato linguaggio tra i due si ha nella scena finale del duello tra Laerte ed Amleto,
con un nettissimo ‘tifo’ per Amleto, con in qualche versione filmica, addirittura scambi di sguardi
amorevoli tra la Regina-madre e il figlio. Da notare che lei, privilegiando esplicitamente l’amore
per il figlio rispetto a quello per il marito, offre la coppa colma di vino ad Amleto ed irridendosi
dell’ordine di Claudio, ne beve parte del contenuto condannandosi a morire mentre Amleto la
sostiene amorevolmente prima di esalare l’ultimo respiro sulle sue ginocchia (M. Gibson,
Zeffirelli).
Ribadiamo quindi che il contenuto nero di Amleto è grande e sembrerebbe collocare il dramma
nella tragedia più fosca tra tutte le opere shakespeariane. La tragedia di questo giovane Principe è
tremenda dato che gli viene sottratto tutto: il diritto alla privacy, all’amore, all’amicizia e alla
famiglia a causa dell’ottusità e della cattiveria dei personaggi della corte completamente ignari della
sua sofferenza mentre egli diventa bersaglio della sua stessa autoaccusa di inerzia nei confronti
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dell’esecuzione dell’assassino del padre.
‘Aggiungendo del bianco al nero’ qui si intendeva allontanare dalla totale dimensione tragica il
dramma Hamlet. Se quanto detto è giusto, è anche vero che gli eventi funesti che compongono il
dramma sono fortemente temperati dalla percezione completa della grande interpretazione di
Richardson che segue assai efficacemente il contenuto shakespeariano ed in particolare uno dei temi
più cari al teatro (ma anche alla letteratura) di tutto il mondo, quello della riconciliazione con la
madre.
Amleto si rimprovera. La sua figura enigmatica e bivalente è una delle più studiate e il suo ruolo
è recitato da alcuni dei più grandi attori della storia del cinema e del teatro. Egli è in realtà un uomo
deciso, coraggioso ma bramoso di vendetta che si dimostra talvolta anche magnanimo risparmiando
Re Claudio in preghiera, ma egli è soprattutto un uomo che sta cercando la lunga via della
riconciliazione con il pentimento di coloro che lo hanno oltraggiato.
Figura 12- Scena di "Amleto" adattato da Tony Richardson tratto dall'omonimo dramma di William Shakespeare.
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VII - Midsummer Night’s Dream
La storia alla base del dramma è assai nota ed è qui il caso di ricordarla appena. Si tratta
innanzitutto di quattro giovani, una coppia, Ermia che è costretta ad una fuga notturna nella foresta
con il suo Lisandro dato che ella è costretta ad abbandonare il padre e vecchie leggi che la
condannano, applicate da Teseo, il duca che comanda in Atene. L’altra coppia è formata da, Elena e
da Demetrio il quale tuttavia non desidera più la sua compagnia e vorrebbe caparbiamente sposare
Ermia. Egli, per inseguire quest’ultima, la insegue nella foresta.
Ma, a sua volta è inseguito da Elena ed i quattro, di notte, decidono di riposarsi nel bosco. Qui
convergono altri due gruppi, uno di spiriti, elfi e fate, un altro di esseri umani. Tra i primi il re
Oberon, arrabbiatissimo con Titania che, complice Puck, fa innamorare di Bottom, divenuto per
magia una ‘testa d’Asino’. Quest’ultimo fa parte del secondo gruppo, artigiani che vogliono
preparare una commedia, Piramo e Tisbe, per le nozze di Teseo.
Intanto i primi cercano di migliorare la situazione tra i quattro suddetti ragazzi, ma la peggiorano
dato che fanno innamorare in modo innaturale Lisandro di Elena, indi peggiorano ancora le cose,
facendo innammorare della suddetta anche Demetrio.
Ne nasce, ovviamente un putiferio, mentre Oberon si riconcilia con Titania e Bottom torna in se.
I due promessi sposi ducali trovano i quattro ragazzi l’uno nelle braccia dell’altra, essendosi
ricomposti i giusti abboccamenti. Tutti sono soddisfatti e vengono celebrati tre matrimoni, anche
mediante la messa in scena della suddetta commedia, che riscuote successo malgrado i suoi grossi
difetti
Verranno qui esaminati, comparativamente, due film a lungometraggio entrambi intitolati
‘Midsummer Night’s Dream’ ed entrambi fedeli al linguaggio shakespeariano (adottanti il ‘verso
nero’ in pentametri giambici).
Il primo è una versione recente di gran successo, il secondo della BBC quindi di riferimento, a
partire dalla messa in scena di una commedia. Seguirà l’analisi di un famoso film soltanto ispirato a
Shakespeare ma con contenuti piuttosto interessanti rispetto quelli della tesi qui presente intitolato,
Midsummer Night’s Sexy Comedy Dream, e poi l’esame di un audiovisivo registrato da una messa
in scena teatrale del Teatro Stabile di Catania.
- Midsummer Night’s Dream. Regia di Michael Hoffmann, con M. Pfeiffer, R. Everett,. K. Kline,
C. Flokehart, S. Tucci, 2006.
- Midsummer Night’s Dream. Regia di Helijah Moshinski, con H. Mirren, P.McEnery, B. Glover,
R. Lindsay, 1986.
- Midsummer Night’s Sexy Comedy Dream. Regia di Woody Allen, con W. Allen, M. Farrow, J.
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Ferrer, J.Hagerty, T. Roberts, M. Steeenburgen, 1982.
- Sogno di una Notte di Mezza Estate. Regia di Fabio Grosso, con Leo Gullotta, membri del
Teatro Stabile di Catania, 2012.
Figura 13 e 14- Scene tratte da "Sogno di una Notte di Mezza Estate" adattato da Michael Hoffmann tratto dall'omonimo dramma di William Shakespeare.
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VII. 1 - Titania, Elena e la persecuzione maschile sul sesso femminile
Si è già considerato che lo Spenser con il suo poema dedicato alla regina delle fate influenzò
molto la scrittura e la rappresentazione teatrale del bardo che ne trasse il nome di Oberon (Re delle
Fate) mentre l’ispirazione per i personaggi di Titania (la Regina delle Fate), di Pyramus e Thisbe
(gli interpreti dell’interludio, teatro nel teatro sul finale del dramma) derivò dalle ‘Metamorfosi’ di
Ovidio e quella per la trasformazione in testa d’asino di Bottom da ‘L’Asino d’Oro’ di Apuleio.
Diversamente da quanto accade nei due drammi precedenti, si ha qui una comunicazione tra
palcoscenico e pubblico che può essere ripartita su due fronti, quello maschile e quello femminile.
Si inizia con quest’ultimo, perseguitato dal primo, che raggruppa i due personaggi veri interpreti
principali, nel film di Michael Hoffmann, rappresentati da M. Pfeiffer-Titania e da C.Flokehart-
Elena, nel teatro-film diretto da Helijah Moshinski (BBC), da H. Mirren-Titania e da C. Mellor-
Elena, P. Helen o Elena. A queste due si aggiungerà Ermia.
Bisognerebbe immediatamente sottolineare che ciò che qui definiremo un fronte comune
femminile è rappresentato innanzitutto da due donne che, secondo l'opera di Shakespeare, non
dialogano tra loro ma soffrono crudamente un'ardua persecuzione da parte degli uomini che amano.
Infatti Titania, Regina delle fate, immersa nell’estasiante dimensione onirica delle faires boschive e
della natura di maggio (mezza estate), viene perseguitata duramente dall'uomo che ama ossia
Oberon, Re delle fate (R. Everett, nel film di Hoffmann, P. McHenry in quello di Moshinski) ed
Elena, crudamente isolata nella triste, inappagata dimensione del reale in una immaginaria Atene
(Monte Athena, nel film di Hoffmann), viene disdegnata e insultata da Demetrio (N. Henson, nel
film diretto da Moshinski, C. Bale in quello di Hoffmann), al quale è fortemente devota.
Titania si giustifica credibilmente con Oberon il quale vuole assolutamente toglierle il bambino
indiano che lei adotta. Lei narra delle sue precedenti esperienze nelle spiagge indiane in cui, in un
atmosfera crepuscolare in cui si abbandonano felicemente ad uno stato estatico, veniva
accompagnata da una ‘mortale’ appartenente al suo circolo iniziatico con la quale si divertiva a
gonfiare e sgonfiare le vele delle navi di passaggio. Questa giovane donna morì e Titania accolse il
suo bambino, che adorava, e che non avrebbe mai concesso ad Oberon, nonostante le minacce o le
promesse di concedergli il dominio di tutto il loro regno.
Elena invece era tormentata da Demetrio che, con insistenza e passione le aveva dichiarato
eterno amore a cui ella aveva corrisposto ma adesso non la degnava più di uno sguardo e
l’allontanava spesso anche brutalmente. Lei che precedentemente, a detta di tutti, era bella come
Ermia (P. Guard nella versione di Moshinski, A: Friel, in quella di Hoffmann), si era trasformata
ora in una ragazza sgradevole alla vista e depressa e si sentiva, e si dichiarava, brutta in confronto
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all'amica. Quest’ultima fu, al principio della rappresentazione, pesantemente minacciata da Theseus
(Teseo, Duca di Atene, interpretato da N. Davenport nel film di Moshinski, da D. Stratham in
quello di Hoffmann) in quanto non rispettava il volere del padre Egeus (Egeo, interpretato da G.
Lumsden) che la obbligava a sposare Demetrio. La legge locale infatti per questo ‘crimine’ la
condannava a morte o all’isolamento di clausura. Shakespeare fa presente questo grossolano atto di
maschilismo sottolineando che questa legge così ingiusta e coercitiva non era mai stata applicata
prima d’ora!
In tal modo s’allarga la trincea tra uomini e donne scavata dal maschilismo dei personaggi
vendicativi e meschini, da un linguaggio ipocrita che in realtà maschera la possessività paterna e
paternalistica in generale, da un lato, e la potente, durevole fino capacità caparbia femminile di
tener fede all’impegno amoroso, qui rappresentata dalla fedeltà scambiata con il ragazzo da lei
scelto, dall’altro.
Ermia è costretta ad una fuga notturna nella foresta con il suo Lisandro (R. Lindsay, in
Moshinsky, D. West in Hoffmann), per raggiungere il territorio neutro dove non c'è legge folle che
li impedisca di convolare a nozze.
Si può ragionevolmente dire che lo spettatore odierno del dramma, dato che questo tipo di
vicende sono cose ormai superate, dovrebbe essee portato a riflettere sul fatto che statisticamente
una donna su quattro nel mondo occidentale subisce o subirà violenza da parte di un uomo, sia esso
o no della famiglia, soprattutto per motivi di gelosia, ossia di possessività, che può infatti essere
esercitata non solo dal marito ma anche un padre geloso che non concede alla figlia libertà o il
‘permesso’ di sposare un uomo di razza, censo, religione da lui non desiderata.
Se è così ci si deve chiedere se Shakespeare, uscendo fuori dagli schemi del suo tempo, aveva
già anticipato tutto questo e se inconsciamente patteggiasse per il femminismo in tutta la sua opera.
Ciò è quasi scontato se si considerano le sole personalità di:
- Hermione (‘The Winter’s Tale’) la quale, completamente innocente, passa molti guai a causa della
gelosia del marito;
- Helena ( ‘All’s Well That Ends Well’) la quale mostra una perdurante e sofferente costanza nel
suo amore per Bertram;
- Isabel (‘Measure for Measure’) alla quale Angelo, il reggente, promette inutilmente la vita del
fratello condannato a morte nel caso in cui ella si fosse concessa a lui.
Questi cono solo tre esempi tra i numerosissimi che si possono trarre dai drammi shakespeariani
ove, in generale e a parte casi particolari, viene condotta una campagna a sostegno del
comportamento femminile, descritto come più costante, fermo e sincero rispetto a quello degli
uomini. Nonostante questo o forse proprio per questo, questi ultimi persistono in comportamenti
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opposti che, sovente, sconfinano nell’assillare le donne o, addirittura tormentare, particolarmente
se sono loro compagne o figlie.
Tornando quindi alle tre ragazze del dramma qui esaminato, si nota che Ermia non entra in
conflitto con il suo amore, ma con il Duca Teseo, di cui è suddita e, soprattutto con suo padre, che
l’ha forzata a sottoporsi al giudizio del Duca. Esse, dunque, formano un ben strano terzetto: Titania
che abbraccia il suo orfanello indiano come a difendersi da Oberon, che presto avrà a che fare con
un gran brutto scherzo da parte sua, Ermia che si inoltra nel bosco di notte per unirsi con Lisandro
e farsi strada con lui nel folto (per raggiungerne la zia, in territorio non amministrato da Atene), ed
Elena che insegue Demetrio che ama disperatamente al punto da inseguirlo nel bosco.
Viene così richiamato il nucleo fondamentale del dramma, fondato soprattutto sulla superiorità
del sentire e vivere femminile. La contrapposizione non è quindi tra un nucleo elitario ed il mondo
che gli è circostante, ma passa per un fronte trasversale che individua il potenziale infinito di
resistenza dell’altra metà del mondo,ossia la metà femminile, che il bardo ha potentemente
contribuito a trasformare nella metà di gran lunga più importante.
E' vero che spesso, soprattutto in questi ultimi anni, la parte che viene più messa in risalto nella
commedia è quella circense, giocosa e scintillante con un impatto dei personaggi mondani che è
pesantemente fisico e naturalistico, anche se poi registi recenti come Grosso (Catania, dicembre
2012) dichiarano di voler mettere in scena l’umor nero dell’umanità. Egli tuttavia non commette
l’errore più clamoroso che è stato molte volte fatto e che, probabilmente verrà sovente ripetuto,
ossia quello di esaltare la comicità del dramma, mettendone in secondo ordine la linea difensiva,
esoterica della comunicazione e l’intensamente distensiva e musicale atmosfera nella quale i
personaggi si rilassano spesso fino a cadere nel sonno e nella sfera del non-essere in cui
sfortunatamente però non troveranno consolazione.
Considerando il film di Woody Allen vediamo che questo regista/ attore vuole sentirsi
completamente libero di uscire dai binari tracciati da Shakespeare, non dando ai suoi personaggi gli
stessi nomi di quelli di ‘Midsummer Night’s Dream’ né con quelli, in genere, shakespeariani, a
parte la protagonista assoluta che chiama Ariel (Ariel Weimouth-Mia Farrow). Perché? Innanzi
tutto perché lei sembra essere presente ovunque, come lo spirito dell’aria di 'The Tempest'
prendendo amore da tutti gli uomini che incontrava. Ci si rende conto quindi che l‘analogia con il
corrispondente dramma di Shakespeare, nonostante sembri assai lontana da quest'ultimo, è in realtà
grande, se si considera che un altra donna del film, per esempio l’infermiera Julie Hagerty (Dudley
Ford nel film) ha comportamenti sessuali simili a quelli di Ariel mentre la moglie di Andrew
(Adrian Steenburger nel film) aveva precedentemente avuto rapporti con il suo amico medico
Maxwell Jordan (T. Roberst nel film). Chi l’ha vista, non potrà mai dimenticare la faccia addolorata
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e stupita di Woody Allen, come colpito da un fulmine, all’atto di apprendere la ‘brutale notizia’ !
Dunque. In linea con le intenzioni shakespeariane queste donne formano anche qui una trincea
contro la gelosia maschile solo che, essendo questa senza rimedio, esse hanno progettato la libertà
sessuale come arma unica di difesa preventiva! Anche qui, come nell'opera di shakespeare si forma
un ironico garbuglio delle vite amorose delle tre donne.
Figura 15- Scena di "Commedia Sexy Di Mezza Estate" adattamento cinematografico di Woody Allen del dramma "Sogno di una notte di mezza estate".
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V. 2 – La meschinità e la dannata ‘distrazione’ maschile
L’orgoglioso Teseo troppo ligio a spaventose leggi ormai desuete e l’odioso Egeus che
rivendicava il suo diritto di padre nel dover far sposare la figlia Ermia a Demetrio, che non amava,
scompaiono dalla scena del dramma e ricompariranno solamente nel finale. Invece, si porta in
primo piano la burbanza di Oberon, il Re delle fate. Egli in passato, contrastando la Regina delle
Fate, sua moglie, ha provocato tempeste, esondazioni, carestie ed ogni altra sorta di danno
ambientale. Oberon si appresta ora, dato che la natura ha riacquistato i suoi tratti favorevoli in
occasione delle nozze di Teseo ed Ippolita, a provocare nuovi squilibri ed irritazioni nella consorte,
la Regina delle fate, versandole il succo del fiore rosso negli occhi e, quindi, lasciandola in balia
della passione in lei destata dal primo essere che avrà ad incontrare al suo risveglio.
Bisogna notare che, anche qui come Ariel in 'The Tempest' , Puck viene incaricato di servire
rapidamente il suo padrone . Puck ha un ruolo che si trova nella via di mezzo tra Ariel e Calibano,
più vicino al primo per la sua volenterosa istantaneità a eseguire gli ordini del padrone e al secondo
per la sua malevola capacità a combinare non tanto scherzetti quanto vere e proprie mascalzonate
all’indirizzo di povere massaie che, ad esempio, non vedono formarsi il burro dal latte, lievitare il
pane e i loro dolci.
Egli, che Hoffmann nel suo film vede come uomo di mezza età (S. Tucci) assai stempiato che
conosce tutto del mondo naturale e di ciò che avviene e lui e le sue fate lo controllano persino foglia
per foglia, filo d’erba per filo d’erba, comprese le gocce di rugiada che vi si posano sopra.
Nonostante questo si sbaglia, con la tipica indifferenza e pericolosa distrazione che il mondo
maschile ostenta, nel trascurare l'universo femminile, negando così alle donne una precisa e
determinata importanza anche se, ipocritamente, dichiara di rispettarle e sottoscrive mozioni in loro
difesa.
Così la melanconia e la tristezza nella quale è caduta Elena a causa del tradimento di Demetrio,
che le aveva giurato più volte amore eterno, viene aggravata dlla distrazione di Puck che versa il
succo del fiore rosso non sugli occhi del suddetto, che dopo averla vista al risveglio si sarebbe
innamorato di lei, come Oberon aveva comandato al suo maligno schiavetto e consigliere privato,
ma su quelli di Lisandro, che affaticato, si era addormentato su un mucchio di muschio vicino
all’amata Ermia. Tuttavia, al loro inseguimento, Elena si trova vicino a Lisandro al suo risveglio per
cui ne cade innamorato secondo l’infallibile effetto del fiore rosso.
Shakespeare, in uno dei suoi pezzi di teatro più affascinanti e allo stesso tempo ironicamente
tragici, descrive così la sofferenza d’amore di Elena, che inizialmente non era neanche considerata
da Demetrio che però, per quello che giustamente considera il pesante oltraggio dell’imposizione
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passiva dell’amore di colui che è un suo semplice amico, ora le salta letteralmente addosso, come se
fosse animato da una strana, improvvisa passione per lei (II, 2, 129):
Elena: Wherefore was I to this keen mockery born ?
When at your hands did I deserve this scorn ?
Is’t not enough, is’t not enough, young man
Than I did never-no, nor ever can-
Deserve a sweet look from Demetrius’ eye
But you must flour my insufficiency ?
….
O, that a lady of one man refused
Should of another therefore be abused !
(Che diviene) :
Perché ho dovuto nascere per questa beffa ?
Quando ho meritato questo scorno.
Dalle tue mani? Non è abbastanza
Non è abbastanza, giovanotto che io non abbia
Mai meritato, né mai meriterò
Un dolce sguardo dall’occhio di Demetrio ?
…
Oh, che una donna rifiutata da un uomo debba
Per questo essere umiliata da un altro!
Se fosse stato eseguito correttamente, l’azione di Puck, consigliere prediletto di Oberon, avrebbe
ristabilito la tranquillità al bosco, eliminando gli insulti di Elena nei confronti di Demetrio che
tentava di raggiungere Ermia.
E come Shakespeare, sempre che sia possibile, supera se stesso anche Moshinky lo fa e riempie
la metà del dramma con il conflitto di ‘Elena contro tutti’ che anche se qui non coinvolge
direttamente i due giovani maschi che divengono arroganti, terribilmente aggressivi e pericolosi nei
confronti di Elena non si deve sottovalutare il fatto che il succo del fiore rosso non può fare molto
di più che tirar fuori l'intima personalità di ognuno di loro. Sarebbe difficile ricordare
l’atteggiamento insultante ed ingiurioso di Demetrio che sfugge ad Elena, per cui lo spettatore è
chiamato da Shakespare a vedere successivamente, il terribile ed ansioso tentativo di
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accaparramento della stessa ragazza, in concorrenza con Lisandro e nient’altro che un crescendo
comportamentale senza discontinuità.
Dal suo canto, Lisandro, che dagli inizi del dramma abbiamo visto come appagato dall’amore di
Ermia, se non esagera come l'altro proprio in virtù di questo legame. Si assiste successivamente ad
un dialogo esageratamente maschilista tra i due in cui egli insiste con l’asserzione che l’amore
reciproco cade se la donna è troppo vecchia rispetto all’uomo, senza che lei possa avanzare una
parola sulla semplice possibilità che, in qualche caso possa avvenire il contrario.
In ogni caso i due ragazzi si gettano, seguendo i loro impulsi primordiali che fino ad allora ben
reprimevano nel loro interno, sulla ragazza ambita, gettando via l’altra, la tanto amata Ermia come
uno straccio. Le scene che testimoniano questi comportamenti sono davvero di un valore
eccezionale nel film di Moshinsky. A partire dai versi precedentemente citati sotto un cielo
dominato da una mezzaluna crescente si attua la martirizzazione della ragazza, che viene
inizialmente implorata da Lisandro, che lei riteneva un gentile amico che tentava di afferrarla per
trattenerla e baciarla, malgrado il suo pianto ininterrotto, e poi viene aggredita anche da Demetrio.
Questa scena è ben ricostruita nelle varie inquadrature del teatro-film del BBC nella quale lei viene
afferrata alla vita da uno dei due mentre l’altro le tira un bacio, poi compressa in mezzo ai due
litiganti che si minacciano reciprocamente di morte.
Le cose vanno complicandosi enormemente quando entra in scena anche Ermia, che cerca di
tenere lontano il suo ragazzo dall’amica mentre l’altro cerca di scansarla in qualità di una noiosa
interposizione che lo allontana dal corpo dell’amata. La successione delle riprese arriva al calor
bianca allorquando Ermia di getta con le mani, artigli protesi verso il volto dell’amica per strapparle
gli occhi, trattenuta malapena da uno dei due ragazzi, poi avendola finalmente avvicinata, mentre i
due entrano in un furibondo litigio, le due ragazze entrano in una lotta ravvicinata che le getta nei
più profondi e melmosi pantani del bosco.
Intanto Oderon ordina a Puck di gettare sulla scena i miasmi vaporosi del bosco che accecano i
contendenti, che furiosi continuano a cercarsi ed a coprirsi di male parole, né più né meno di quel
che vanno facendo le due ragazze fino a che Elena, veramente stanca dell’accaduto che, ovviamente
non ha compreso e che nessuno dei suoi amici ha aiutato a spiegare, se ne scappa dal campo di
battaglia. A metà dell’atto quarto dell’opera, dopo aver riacquistato il senno, le due coppie si
ricompongono e vengono colte dal Duca, Ippolita e tutta la bella compagnia di cortigiani, compreso
il mal mostoso padre di Ermia per cui si entra nel finale, abbinando le nozze delle due coppie a
quelle di Teseo ed Ippolita.
Se tentiamo di inserire tutto questo nel piccolo mondo di Woody Allen, in un maggio pieno di
odori balsamici, musiche non possiamo non vedere nel comportamento dell’anziano scienziato-
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professore Leopold Sturgis (J. Ferrer), che ci mostra la recrudescenza di un antico desiderio sopito
sotto uno strato incrostato di inutili e pesanti anni di studio, che irrompe attraversando questo e
mentre che si dimostra gelosissimo di Ariel, che stava per sposare, che conversa in giardino fino a
tardi con i due amici Andrew e T. Roberts il dottore (nel film, M. Jordan), si vendica con
l'infermiera, secondando tanta furia al punto da morire d'infarto.
Non è possibile ricostruire il filo shakespeariano che Woody Allen ha seguito ma possiamo però
considerare le suggestioni che quest’ultimo ne ha tratte. L’aggressione che soffoca Ariel da parte
del dottore e di Andrew stesso, non è che con cui Lisandro e Demetrio perseguitano Elena,
materializzando quella vera e propria lotta di cui si è appena parlato. Se questi due erano sotto
l’azione del succo del fiore rosso, Maxwell il dottore e Leopold il Professore sono sotto l’influsso
dell'aria spensierata di maggio che li carica di emozioni e condizionandoli li porta ad estreme
conseguenze.
Si termina l’esame del film di Woody Allen con l’anima del professore che seguendo finalmente
quell’impulso potente verso la natura che sotto sotto aveva covato per tutta la sua vita. Si conclude
questo sottocapitolo attirando l’attenzione sulla condivisione ambientale e il parallelismo
psicosomatico e caratteriale fino alla compenetrazione degli uomini di carne in quelli dello spirito :
incredibilmente questi ultimi entrano, come gli uomini negli episodi di furia incontrollata, quasi
sempre creata, si è visto, dall’aggressività e dalla brutalità maschile.
Così come la gran parte degli uomini si trasformano, pochi tentano di comunicare agli altri un
messaggio intriso di spirito di conciliazione con la natura, indicando che accanto allo spirito di
costruzione deve darsi quello di conciliazione universale, che va lasciato andare e fluire con il
tempo, permettendo alle forze riparatrici che contiene intrinsecamente di fare il loro lavoro. Siamo
ancora una volta all’essere-non essere, che abbiamo visto nel monologo di Amleto Shakespeare
sembra soltanto in superficie identificare con il vivere-non vivere.
Ricordiamo infatti che il bardo di Avon ha anticipato i contenuti della filosofia orientale che si
sono successivamente dilagati nel mondo, cosa che viene accertata a partire dalla descrizione del
viaggio di Titania in India e dall’adozione del bambino indiano fino alla critica implicita degli
atteggiamenti degli uomini di quell'opera. Egli condanna il pessimo atteggiamento maschile verso
le donne, ma solo per mettere in guardia sull’eccesso di repressione e ricerca di un eccessivo
equilibrio fino alla parificazione tra uomo e donna. Si è recentemente assistito a qualche episodio di
concretizzazione di un cattivo femminismo.
Di fronte a questo l’uomo si trova intimorito di essere considerato un sessista in condizioni, cioè
di recessività e remissione rispetto all’altro sesso. Si tratta queste di condizioni assolutamente
negative le cui conseguenze possono essere spaventose, secondo quanto già oggi si intravede, per
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esempio nell’opacizzazione del concetto di regionalismo o nazionalità, fino alla regressione di
intere popolazioni occidentali di fronte, ad esempio, al dilagare esponenziale di etnie diverse, del
tutto incuranti, persino avverse, ad ogni principio di regolazione delle nascite.
Ogni principio di elementare statistica, di fronte a questo fenomeno, non può che dimostrare la
progressiva, inarrestabile recessione delle nostre etnie. Non che la nostra sopravvivenza sia del tutto
necessaria al progresso universale, ma per un semplice raggiungimento dell’equilibrio tra popoli,
che significa progresso e civilizzazione. Si è entrati qui nel problema in quanto il sovra menzionato
ossia quello di eccesso di femminismo dilagante dappertutto nel mondo, non dovrebbe essere, da
parte di nessuna componente della nostra civiltà, preso troppo sul serio in se stesso e seguito come
un nuovo Vangelo ma, al contrario, essere sempre soppesato. I contenuti di alcuni drammi
shakespeariani non possano che essere di rilevanza referenziale in questo, tanto difficile quanto
diffuso dibattito.
Figura 16 - Scena di "Commedia Sexy Di Mezza Estate" adattamento cinematografico di Woody Allen del dramma "Sogno di una Notte di Mezza Estate".
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VII. 3 – Uomini al femminile e la riconciliazione finale
Dopo l’incessante sfida finale tra Lisandro e Demetrio, i quali vengono semi-accecati dai vapori
che esalano dal bosco in cui si cercavano per uccidersi per amore di Elena, questi vengono presi di
mira da Puck. Egli, approfittando della sua invisibilità simula le loro voci per ingannarli, dirigendoli
lungo percorsi circolari attorno se stessi per tenerli lontani l’uno dall’altro. E' qui che il dramma è
presso la sua svolta sul finale del III atto. A questo punto i quattro ragazzi, uno dopo l’altro a partire
da Lisandro, ognuno oppresso da una grossa porzione di rancore che lo opprime, avvertono
un’enorme stanchezza e si addormentano sul gelido sottobosco notturno in attesa dell’alba, per poi
rientrare sconfitti nella loro città.
All’inizio del quarto atto incontriamo Bottom steso amorevolmente accanto a Titania, la regina
delle fate. I suoi stessi creatori gli rivolgono insulti e brutti attributi ma anche se appare molto
strano, al contrario dei due ragazzi villani, egli è l’unico personaggio maschile che, dopo essersi
comportato generosamente nel proporsi come interprete dei commedianti che reciteranno Piramo e
Tisbe nel teatro del palazzo ducale, continua a mantenere alta la tolleranza anche quando scopre le
vistose orecchie d’asino che il maligno Puck ha fatto crescere sulla sua testa. Egli sembra avere un
carattere piuttosto dolce e un’indole assai buona, malgrado i ragli che interrompono il suo discorso,
i quali, si mescolano persino con le sue risate anche quando, conscio della sua nuova condizione,
incontra la Regina delle fate, sulla quale Oberon pone lo stesso incantesimo del fiore rosso che
aveva posto sugli altri ragazzi. L’uomo fortunato che incontra al risveglio è Bottom, la cui
personalità così modesta e disponibile viene apprezzata anche dalle fate circostanti le quali non
sono sotto l’azione del fiore come la regina. Bottom, di fronte alla affascinante Regina innamorata
persa per lui (sia Helen Mirrel di Moshinsky che Michelle Pfeiffer di Hoffmann, sono bellissime
nelle loro vesti vaporose, volti dagli occhi scintillanti incorniciati da lunghi capelli biondi) non si
domanda nulla ma rende omaggio all’altissimo contenuto onirico del dramma sdraiandosi estatico
al suo fianco. Proprio in questa dolce atmosfera, sotto una meravigliosa luna e il turbamento
provocato delle note di ‘Casta Diva’ gli spettatori ricevono la più elevata e rilassante
comunicazione veicolata dalla corrente onirica che lo lega strettamente al palcoscenico.
L’essere attratto nella sfera di un’intesa amorosa della Regina delle fate, fa di Bottom una sorta
di iniziato a cui viene spontaneamente concesso di adire al circuito esoterico che si stringe attorno
al loro atteggiarsi appassionato e alle parole melodiose di lei. Il messaggio è di una chiarezza
abbacinante: non solo coppie reali e prestanti giovani e deliziose ragazze possono adire alle bellezze
superiori dell’amore ma anche una persona di fattezze sgraziate (soprattutto nel Bottom di
Moshinky, l’attore B. Glower) può salire a tali livelli, se è dotata di modestia e gentilezza.
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Eppure le modalità per cui questo rapporto, in fondo innaturale, viene estinto, dobbiamo rilevare
che è ancora, come in tanti altri drammi di Shakespeare, dall’arroganza maschile che ancora una
volta deve aver vinta la partita. Il Re delle fate, Oberon, alla vista della sua consorte, la Regina delle
fate addormentata tra le braccia di Bottom si commuove e pone il succo della pianta ‘antiveleno’
sulle palpebre di Titania. Il velo di Maya le cade dagli occhi e con il ritorno dei sensi lei grida, o si
fa una bella risata (nelle due diverse versioni filmiche sta ad analizzare), e viene costretta costretta,
al fine di riallacciare i rapporti con il marito Oberon, ad omaggiarlo attraverso il rilascio del suo
adorato bambino indiano. Nel quarto atto, dopo che i quattro ragazzi addormentati si risvegliano
sotto il suono dei corni da caccia della coppia ducale, vengono riformate le loro abituali coppie e
vengono invitati a sposarsi durante la cerimonia di Teseo ed Ippolita. Anche Bottom torna in sé
raccontando a tutti l’esperienza nel contesto di sonno-veglia in cui era stato immerso: 'Ho fatto un
sogno, che non c’è intelligenza d’uomo che possa dire che sogno fosse. E’ un asino (a patched fool)
l’uomo che provasse a spiegarlo.’ (IV, 1-2).
Questi sembra essere niente di meno che Teseo il quale, rientrando in palazzo, dice (V,1,dal
verso 2):
Theseus. More strange than true. I never may believe
These antique fables, nor these fairy toys.
Lovers an madmen have such seething brains,
Such shaping fantasies, that apprehend
More than cool reason ever comprehends.
The lunatic, the lover, and the poet
Are of imagination all compact.
….
And as imagination bodies forth
The forms of things unknown, the poet’s pen
Turns them to shapes, and gives the airy nothing
A local habitation and a name
(Che, diventa, traduzione di A lombardo e N: Fusini):
Più strano che vero, non ci credo proprio.
Alle favole antiche alle storie di magia.
Amanti e pazzi hanno cervelli ribollenti.
Una fantasia così inventiva che concepiscono
Più di quanto la fredda ragione comprende.
Il lunatico, l’amante, il poeta
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Sono fatti d’immaginazione.
….
E come l’immaginazione dà corpo e forma
Alle cosce sconosciute così la penna del poeta
Le volge in figura e all’aereo nulla
Offre abitazione e nome.
Ma anche questa volta il ridicolmente arido maschilismo di pensiero viene contrastato dalla
versatile intelligenza femminile (dal verso 24):
Hippolyta. But all the story of the night told over,
And all their minds transfigured so together,
More witnesseth than fancy’s images,
And grows to something of great constancy;
But howsoever strange and admirable.
(Che diventa :)
Ma tutta la storia della notte come l’hanno
Raccontata e tutt’a un tratto i loro animi
Tutti insieme trasformati fanno pensare
A qualcosa che non è pura fantasia,
Ma anzi acquista una sua coerenza,
Per quanto rimanga tutto strano, stupefacente.
Resta da dire qualcosa su una delle più recenti, produzioni farsesche dirette dal regista Grosso e
interpretata da Leo Gullotta in associazione ai membri del Teatro Stabile di Catania, 2012.
Come tante si tratta di una interpretazione farsesca che trova i suoi difetti principalmente
nell’esagerazione di tale coloritura. Dai dati incompleti a disposizione, senza quindi poter dar un
giudizio plausibile sulla possibilità di instaurare un tipo di comunicazione ‘shakespeariana’ con il
pubblico, attraverso la sua interpretazione si può tuttavia identificare il contrasto notevole tra la
grande dignità, rilevata soprattutto nei sontuosi costumi della corte, e l’umiltà, del gruppo di amici
di ‘bassa estrazione’ che si spendono dal profondo della loro anima a divertire i suddetti, che
comunica al pubblico un messaggio di umiltà e conciliazione tra esseri.
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Tornando alla grande disponibilità degli improvvisati attori, in se stessa nulla di meno di un
messaggio di augurio, rispetto, solidarietà e comprensione, secondo quanto constata Teseo che dice
ad Ippolita che qualcosa offerta con ‘genuinità e dovere’ non può essere accettata che al meglio
cosa che va a contrastare con l'opinione del suo funzionario che fa di tutto per non far rappresentare
Piramo e Tisbe. Ancora una volta è comune constatazione che, secondo quanto Shakespeare
sottolineava in molte parti dei suoi drammi, non erano tanto i potenti stessi ad allontanare ed
umiliare il popolo (vedi il comportamento di Enrico V nei confronti delle sue truppe) ma i numerosi
personaggi intermedi che si ponevano tra queste due componenti creando problemi di ogni tipo.
Figura 17- Scena di "Commedia Sexy Di Mezza Estate" adattamento cinematografico di Woody Allen del dramma "Sogno di una Notte di Mezza Estate".
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VIII - Conclusioni
VIII. 1 - La possibilità di discussione integrata dei tre drammi shakespeariani e il loro vero
pubblico
Una volta analizzati i tre drammi shakespeariani faremo un confronto allo scopo di dimostrarne
l’analogia di fondo malgrado l’estrema diversità delle opere prescelte. Una certa identificazione di
un comune contenuto comunicativo dei drammi shakespeariani potrà omologare e rinforzare il
contenuto essenziale di questa tesi, fondato sulla loro omogeneità di fondo.
Se qui si inizia col considerare ‘Hamlet’, ‘The Tempest’ viene mantenuta come termine assoluto
di confronto. Infatti quest’ultimo dramma, giudicato il più maturo, rappresenta la perfezione di
quegli equilibri sublimi shakespeariani, sia nel loro intimo ed essenziale contenuto che nel
formidabile apparato linguistico e comunicativo, ben bilanciato tra esoterismo ed onirismo. Infatti
chi assiste a una integrale rappresentazione teatrale o filmica del dramma partecipandovi
emotivamente ne viene appagato anche nel suo desiderio di rilassamento e conciliazione con gli
altri. Nel caso migliore egli ne ricava anche uno stimolo per la sua elevazione culturale
approfondendosi nelle tematiche esistenziali che la stessa quotidianità propone.
Venendo ad Amleto, si può immediatamente sottolineare il culmine drammatico raggiunto con
quel colpo di spada vibrato dal Principe contro un qualcosa che si agitava urlando dietro le pesanti
cortine della stanza della Regina. Raggiunto con la morte di Polonio un primo acme emotivo, il
pubblico si prepara a seguire con vista ed udito tesi al massimo grado verso il palcoscenico, il
ravvicinamento di Amleto alla madre e la ricomparsa del fantasma, forse solo nella fantasia di
Amleto.
Nello scambio comunicativo pressante tra i due suddetti interpreti che si verifica la vera catarsi
del dramma e ciò che si scambia tra palcoscenico e platea ascende in un continuum di tensione che
va dall’uccisione per spada con il quale Amleto mette fine alla vita del povero vecchio verso il
secondo accesso di terrore della Regina che vede il figlio parlare con il vuoto all’indirizzo dello
spettro. Da questo ci si avvia ad una ‘prima sorta di conclusione’ del dramma, che vede la Regina
riconoscere le sue colpe.
Dal suo canto Ofelia, soffocata dalla apparentemente bonaria, in realtà schiacciante intrusione
paterna scende dopo la morte di Polonio nello stato di dolce follia che la conduce a perdere il
controllo di se stessa annegandosi, forse incidentalmente. Se molto forte è la pietà del pubblico alla
morte del padre cui consegue quella della figlia, dal punto di vista drammatico Amleto avrebbe
potuto, mettere al dramma la parola ‘fine’, in quanto la Regina madre era stata indotta dal figlio a
pentirsi e ad astenersi dai rapporti coniugali.
In una concezione ipotetica del dramma che lo avvicini ai contenuti di ‘La Tempesta’, Claudio,
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che si era fortemente pentito dell’omicidio del fratello, il vecchio Re Amleto, poteva essere
immaginato come persistere in questa sua scelta mentre Laerte, lungi dal volersi vendicare di
Amleto complottando con Re Claudio, non avrebbe fatto molto altro che ragionare attorno
all’assoluta casualità della morte del padre. Questi infatti aveva provocato il colpo di spada, come
meritato da un malfattore, che avesse lanciato delle grida da dietro la tenda della stanza della
Regina. Inoltre la morte della sorella di Laerte, Ofelia, non poteva assolutamente riportarla ad
Amleto.
Ci si è così chiesti cosa poteva avvenire se il dramma fosse finito qui, con un Amleto che nello
scritto shakespeariano passa dalla malinconia all’eccitazione poi conscio della morte della suddetta
coppia padre-figlia, che non la meritavano certo, torna a rivestirsi del suo normale, serio carattere,
sedato ed equanime, tranquillo nei comportamenti che conserva anche nel fronteggiare il suddetto,
suo ex-amico Laerte.
Ipoteticamente, si può immaginare che, in sintonia con il Principe, Laerte si fosse dato pace e
che Re Claudio, in sintonia con la Regina, avesse incontrato un pentimento non temporaneo e
superficiale ma solido come quello della Regina e la separazione dei loro corpi duratura.
In tal caso il dramma modificato nel suo finale si sarebbe avvicinato a ‘La Tempesta’ ed il
perdono di Amleto nei confronti di coloro che lo perseguitavano e contro colui che gli aveva ucciso
il padre avrebbe avuto molti punti in comune don quello di Prospero.
Più che ‘annacquato’, il dramma ne sarebbe uscito umanizzato, avrebbe sì perduto nei secoli
milioni e milioni di spettatori non più attratti dal suo cruento epilogo ma secondo quello che
Shakespeare avrebbe potuto fare, ne avrebbe acquistato dal punto di vista esistenziale, facendo del
Principe con Orazio al fianco, un personaggio sempre combattuto ma più deciso nel far pendere la
bilancia dell’essere-non essere verso il primo dei due termini senza mai ‘disarmare’ e senza tuttavia
disdegnare il possibile rifugio nell’oblio del secondo dei due, facendo cadere il velo di Maya, oltre
che dagli occhi della Regina, di Laerte e di Claudio anche da quelli degli spettatori.
In questo modo, avvicinandosi ancora di più la figura di Amleto a quella di Prospero, egli
avrebbe potuto essere maggiormente se stesso perseguendo il bene anche per migliorare coloro che
gli facevano del male ed, evitando di precipitare in moralismi, non avrebbe avuto nient'altro da fare
che mantenersi al di fuori del gran numero di omicidi, da quello di Rosencrantz a Guildenstern fino
a quello di Re Claudio e Laerte.
Si fa notare che il personaggio di Gonzalo (‘La Tempesta’), un ‘onesto vecchio Consigliere’, il
quale doveva rivestire nella corte del Re di Napoli un ruolo analogo a quello di Polonio, ne era la
perfetta antitesi. Sincero e leale lui nell’amicizia, quanto lo era nell’ostilità il secondo, infido e
portato allo spionaggio. Disponibile il primo a fare da tramite ai gruppi dei personaggi ‘scampati’
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dallo pseudo-naufragio a qualunque tipo di linguaggio e cultura appartenessero, caparbio il secondo
nell’ opporre un mondo banale, maligno ed anti-esoterico ad Amleto, al quale proponeva
inopportuni inviti e nuove (false) amicizie.
Non è certo vero che l’analogia tra i due drammi sinora confrontati proceda sempre dall’uno
all’altro, vi sono infatti in ‘The Tempest’ momenti assai crudeli per esempio i ripetuti episodi di
violenza progettati da Calibano contro Prospero e Miranda, i tentativi di omicidio da parte di
Antonio e Sebastiano che preparano l’uccisione a fil di spada del Re Alonso e Gonzalo, venendo il
crimine sventato solo per l’intervento delle forze soprannaturali di Ariel. Questa atmosfera crudele
sino all’efferatezza è avvertita da Jarman, ove Prospero punta alla gola di quell’infame fratello
Antonio, la punta di una spada.
Sembrerebbe potersi dire che, anche essendo questo un finale evitato da Shakespeare è chiaro
che una scomparsa di quel delinquente abituale ed istigatore al delitto che era Antonio attraverso un
incidente o qualunque altro mezzo quale solo la capacità di drammaturgo si Shakespeare avrebbe
potuto ideare, avrebbe lasciata intatta il potente contenuto comunicativo tra attori e pubblico, senza
intaccare il fascino esercitato da Prospero su quest’ultimo. Evidentemente il dramma è il testamento
spirituale di Shakespeare che ci vuole comunicare come il perdono possa e debba superare di gran
lunga ogni sorta di delitto.
Venendo ora al dramma ‘Midsummer Night’s Dream o Sogno di una notte di Mezza Estate’, si
osserva che il crollo dell’enorme stato di confusione, tensione ed odio che vi era nella corte reale di
Elsinore poteva essere riscontrato nel suddetto dramma in un punto corrispondente del suo
svolgimento, cioè verso la fine del III atto, nel bosco di Atena, dove Shakespeare avrebbe potuto
iniziare la conclusione del dramma attraverso una morte accidentale di Elena molto simile ad un
suicidio.
Lei, che avrebbe potuto incontrare facilmente questa fine, era perseguitata come viene dapprima
dai due ragazzi che tentavano di attrarla a sé attraverso il braccio, la vita, la gamba, porla contro e
sotto i loro corpi eccitati, successivamente da Ermia che già aveva tentato di cavargli gli occhi.
Quest’ultima accecata da una violenta gelosia, peraltro estranea ad Elena all’atto del suo soffrire
pene indicibili per Demetrio, percuoteva a sangue la rivale, gettandola nella lottar nelle pozze
d’acqua gelide e fangose ed inoltre, tentando Elena di fuggire, non gli dava tregua cercando di
abbrancarla per trattenerla.
Nello stesso modo Shakespeare avrebbe potuto escogitare la morte di Lisandro, quello dei due
ragazzi che si era comportato meglio dell’altro, ma soltanto per ragioni contingenti dovute,
inizialmente a quello che sembrava essere un suo amore ad andamento apparentemente più felice e
tranquillo rispetto a quello di Demetrio. Per l’ennesima distrazione di quel cattivo soggetto che era
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Puck, addetto a tenerli separati mentre si inseguivano l’un l’altro tra i vapori del bosco, uno dei due
ragazzi sarebbe potuto ipoteticamente inciampare e finire contro la punta del fioretto impugnato
dall’altro o essere trafitto a morte dal suo contendente.
Sviluppando la parte successiva del dramma Shakearespe, volendo soprattutto mantenere in
superficie il contenuto più giocoso del dramma, si trovò costretto ad eseguire una vera e propria
‘rivoluzione drammatica’ in base alla quale i maschi del ‘Sogno…’ divenivano buoni e saggi, a
partire da Demetrio il quale dichiara che nella notte si era sentito misteriosamente attratto da Elena,
che aveva lasciato per errore, ma che in realtà amava con tutto il cuore, passando da Lisndro che per
magia era tornato ad amare Ermia, sino addirittura Oberon il quale, avuta la sua vendetta cacciava
brutalmente Bottom dal letto della ‘Regina delle Fate’ nel riaccostarsi a lei.
La drastica inversione di atteggiamento nei personaggi di sesso maschile avviene dunque
attraverso l’incantesimo nelle quali è immerso tutto il dramma. O, meglio, seguendo le intenzioni
shakespeariane, si può dire che tutto avveniva sotto l’egida delle forze della natura e delle sue
immortali ‘Forme’ invisibili che avevano operato per sistemare ogni squilibrio, controversia, odio
che avrebbero infastidito le nozze tra Teseo e Ippolita e turbato la loro stessa comunità.
In tal modo ed in assoluta buona fede, alcuni critici e commentatori sottolineavano che entro i
binari percorsi dalla scena shakespeariana si era realizzato il ‘Teatro del Sogno’ che avrebbe poi
generato il ‘Cinema del Sogno’. Infatti “Midnight Summer's Dream” era un dramma iniziale
assolutamente innocente e divertente il quale, seguendo la scala temporale della comparsa sulla
scena del lavoro drammatico del bardo di Avon avrebbe fatto dilagare il suo tipo di linguaggio e
comunicazione basati sulla traccia esoterico-onirica nei successivi drammi.
Sotto questo aspetto, si realizza un approccio al dramma di Shakespeare assai simile a quello qui
seguito e confermato attraverso l’analisi di prove teatrali-filmiche, filmiche, audiovisive essendo
ogni dramma posto sulla stessa linea di partenza, come è ovvio che debba essere stato per il singolo
traduttore, soggettista, regista, attori delle numerose varianti dei drammi. L’analisi meticolosa che è
stata condotta qui vuole sostanzialmente mostrare attraverso piccole modifiche nei loro finali, che i
tre drammi shakespeariani che sono stati qui scelti, mostrano delle similitudini nei loro sostanziali
contenuti e, soprattutto nelle modalità della comunicazione che essi permettono di instaurare tra
platea e palcoscenico.
E’ stato qui condotto un esame di ben oltre dieci opere diverse intrinsecamente per i contenuti
originali di partenza, per le loro singole messe in scena teatrali e cinematografiche e tutte queste
nonostante le loro grandi diversità, hanno permesso di rintracciare elementi comuni i quali
permettono di asserire che Shakespeare seguiva un grandioso, efficace progetto teatrale a grande
impatto sul pubblico.
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Evidentemente non sarebbe stato così se, conformemente a tutti gli scrittori di teatro dell’epoca a
cavallo tra il XVI ed il XVII secolo ed in genere de tutti i tempi, egli avesse seguito criteri disparati
affidando ad un aleatorio tipo di trasmissione al pubblico i messaggi che egli avesse voluto fargli
recapitare.
L’operazione appena sopra effettuata per cui a drammi lontani notevolmente l’uno dagli altro è
stato eliminato il tipico finale, avvicinandolo invece alle conclusioni di ‘La Tempesta’ non ha in se
stessa alcun significato generale oltre il suddetto, funzionale al rinforzo degli argomenti cui alla
presente tesi. Nessuno potrà sapere mai se Shakespeare, seguendo certi stilemi adottato dai moderni
addetti ai lavori, per cui l’opera teatrale o cinematografica viene lasciata ‘aperta’ alle più svariate
soluzioni, potessero essergli graditi, né ciò ha molto interesse.
E’ infatti soprattutto lo spirito che anima i drammi shakespeariani a contare ed ognuno di questi
ci si propone a diversi tipi di interpretazione attraverso forme e contenuti ben separati, dei quali si
sta concludendo la ricerca di elementi essenziali comuni.
Tutto considerato, serve oggi asserire che la suddetta ricerca avvicina idealmente “Hamlet” ,
dando un maggiore senso umano ed esistenziale, a “Midnight Summer's Dream”, il quale a sua
volta viene tolto dal novero di dramma lirico e giocoso e collocato in un ambito più bilanciato tra
bene e male. Nel far questo, il metro di misura è stato fornito da ‘La Tempesta’, dramma sublime
notoriamente libero da quelle logiche obbligate che sottomettevano la conclusione del dramma alle
mode seguite dal pubblico.
L’analisi basata sullo scorrimento e sulla concatenazione di fatti scenici in contrasto con le varie
interpretazioni dell’analisi letteraria, ci permette di notare che il Principe Amleto rimonta nel finale
lo scorrere del sangue nel quale è obbligato ad immergersi e riesce a confondersi nell’affetto che gli
mostra allora la Regina madre. Ella indubitabilmente contesta Claudio attraverso lo svuotamento,
da parte sua della coppa di vino che dedica ad Amleto, accompagnando il gesto che le sarà fatale
con altre affettuosità verso il figlio, colte in modo diverso dai registi dei film esaminati.
Nello stesso modo, in “Midnight summer's dream”, Shakespeare riscatta il suo finale troppo
felice ed ottimistico che riconcilia tutto e cancella le pesanti colpe di molti, evidenziando dapprima
tra Teseo e Ippolita delle divergenze radicali di fronte alla concezione dell’essere ed al modo di
vedere le cose (vedi sopra V,1,dal verso 2) quindi ‘avvelenando la semplice e pura recitazione di
Piramo e Tisbe con pesanti prese in giro, fino all’ingiuria contro gli improvvisati attori, che al
contrario fanno di tutto per apparire solerti, piacevoli ed efficaci nella loro rappresentazione.
Sul fatto che questi siano semplici ‘colpi di teatro’, non si trova nulla da dire se non aggiungere
che questi risultano particolarmente funzionali, nel contesto del dramma da calmare acque troppo
turbolente nel primo caso e troppo placide e chiare nel secondo.
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In quest’ordine di idee si ha la certezza di ciò che si è detto durante la stesura della tesi, vale a
dire dell’opportunità di leggere i drammi di Shakespeare su due piani, cosa che si può dire per
molte opere ma che, trattandosi di uno scrittore di teatro di infinito potenziale coinvolge
profondamente e direttamente la pratica teatrale dei drammi messi sotto osservazione.
Così la ricerca qui condotta si trova costretta a passare il testimone, dopo aver focalizzato il lato
della ‘messa in scena’, all’identificazione e qualificazione di quest’ultima all’interno della quale
può essere identificato oltre un gruppo si attori un gruppo di spettatori più o meno assiduamente
presente alle varie interpretazioni del dramma shakespeariano. E’ tuttavia necessario riconoscere
che all’interno di questi ‘eletti’ fruitori siano ben pochi coloro che pensano che le suddette
rappresentazioni possano eventualmente rientrare in una dimensione più vasta o, meglio,
permettano una partecipazione ad un livello più elevato di quanto possa apparire.
Innanzi tutto può essere loro indifferente la convenienza di usare il semplice uso di dramma per
tutte le trentacinque opere teatrali di Shakespeare, evitando al possibile di qualificarlo quale
tragedia o commedia pur comprendendo che ben diversa sarà, se rettamente fornita dal
palcoscenico, la comunicazione emotiva che potrà loro pervenire in qualità di pubblico. Si ritiene
tuttavia, a partire dalla semplice consultazione dei non rari articoli sull’argomento, che il vero
pubblico shakespeariano, coinvolto attraverso le epoche, sia stato e sia sempre in grado di andare
oltre le ‘dichiarazione di intenti’ dello staff in carica nella singola ‘messa in scena’, scavando nella
realtà della comunicazione che Shakespeare aveva intenzione di usare per collegare emotivamente e
logicamente il palcoscenico alla platea.
Tale gruppo è composto evidentemente di persone che ponendosi di volta in volta di fronte al
miracolo che si rinnova sulla scena si propongano a questo in maniera positiva, cioè recettiva,
mantenendo i sensi pronti alla rielaborazione del messaggio trasmessogli ricevendone una
corrispondente reazione psicosensoriale ed emotiva.
Un ovvio problema risiede nell’impossibilità di negare che la messa in scena teatrale, l’opera
cinematografica, audiovisiva dedicata al dramma shakespeariano si può avvalere della
rappresentazione di fatti criminosi e ripugnanti a forte tinta vendicativa ed omicida.
Anche Shakespeare stesso equilibrava con somma evidenza le sfaccettature drammatiche nei
loro tempi (per esempio si segua con attenzione l’evoluzione positiva da un lato, del rapporto di
Amleto con la Regina madre e dall’altro lato quello negativo della vessata Elena nei confronti di
tutti gli altri) ponendosi sempre dalla parte giusta del suo pubblico, formata da coloro che
conoscevano la coloritura complessa con la quale il mondo ci si proponeva.
Inoltre Shakespeare, concludendo con ‘La Tempesta’ il suo lavoro più significativo, pose una
pietra miliare sulla strada percorsa dal dramma teatrale che, secondo quanto si è qui ben dimostrato
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doveva svolgersi contro ogni aspettativa di vendetta e di morte. A tali tristi cose si poteva far fronte,
da un lato, dedicandosi ad un contrasto di pochi contro molti in contatto tramite la comunicazione
esoterica e con la diffusione di linguaggi e comportamenti idonei per trasmettere rilassamento e
sonno induttore di sogni.
In tal modo, seguendolo nella concatenazione di tutti i suoi drammi, i due piani del loro
svolgimento risultano ben evidenti : se Shakespeare si portava a livelli sempre più elevati ad alto
contenuto comunicativo, era solo per attendere che il suo pubblico lo raggiungesse, non importa in
quale epoca o in quali situazioni di sottomissione psicofisica nei confronti dei suoi contemporanei.
Lungo questa linea di pensiero, se oggi è possibile tentare di raggiungere la vera collocazione di
Shakespeare sempre più in alto, lo dobbiamo in gran parte alla possibilità di attingere in piena
libertà alle più attendibili rappresentazioni dedicate ai suoi drammi, nella miriade di tutti i loro
aspetti, sulla base del consistente numero di registrazioni filmiche ed audiovisive alle quali oggi si
può pervenire con una certa facilità.
Ciò detto sembra impossibile contestare che i contenuti che maggiormente raggiungono i
suddetti obiettivi siano quelli utilizzanti in massimo grado il veicolo esoterico-onirico, discreto ed
efficace e, soprattutto, utile nell’evitare l’entrata in campo di quello che si è già definito
l’insopportabile e deleterio impatto del discorso diretto, eroico e moralistico (vedi ad esempio la
maggioranza dei drammi elisabettiani dei quali la stragrande maggioranza non viene né verrà mai
rappresentata).
Figura 18- Il Royal Shakespeare Theatre a Stratford-upon-Avon.
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VIII. 2 - Il bene ed il male nei drammi di Shakespeare e la loro trasmissione al pubblico
Non si dimentichi che per Shakespeare, che non è Freud né Young (i quali tuttavia in certo modo
anticipa), il mondo inconscio dell’uomo è molto più vicino alla sua superficie di quanto non si sia
stabilito nel XIX-XX secolo.
Non è certamente a caso che il teatro è stato usato, come accade ancora oggi, per far reagire
positivamente persone ed è tuttavia evidente la necessità che, qualora manchi l’evidenza di un
controllo degli addetti allo svolgimento della ‘messa in scena’, sufficienti spiegazioni devono essere
fornite dagli esperti che da un lato non devono trascurare gli aspetti linguistici e dall’altro lato quelli
comunicativi, assicurando che si avveri la riverberazione di ciò che avviene sulla scena verso attori
e spettatori.
Sotto questo aspetto si è di nuovo di fronte al problema dell’induzione di una efficace e positiva
comunicazione, la quale si dovrà giovare del circolo a feedback positivo indotto dall’auspicabile
stato di tranquillità fino al sopore ed al rilassamento nella piccola collettività di attori riuniti dal
transfert con gli spettatori riunita insieme presso il palcoscenico (ma anche, in senso riduttivo al
cinema e/o di fronte al mezzo audiovisivo). Si rinnova così il rito che comporta l’esaltazione della
confessione a se stessi e agli altri delle proprie inefficienze, anomalie e colpe.
Tramite la comunicazione tra soggetti riuniti nel sacro vincolo della ricerca esoterica di verità e
giustizia, i quali presiedono a tutto ciò che accade raggruppandosi nel ristretto circolo cui vengono
iniziati coloro che ricercano il bene degli altri, una piccola comunità di persone dell’uno o dell’altro
tipo viene incoraggiata a liberarsi dal male e dalla cattiveria, mentre il dramma fornisce la conferma
che queste qualità negative che possono comportare alienazione dalla realtà sono comuni a tutti,
anche e soprattutto ai potenti. Dal dramma shakespeariano risulta chiaro che, tra questi, sono pochi
che utilizzano dominio e ricchezze solo per il bene del popolo e della propria terra, mentre la
maggioranza di questi risultano scostanti, presuntuosi, malevoli ed arroganti, attivi solo nel portare
in avanti i loro intenti e i bassi interessi familiari.
All’interno della ristretta cerchia, persone comuni o, particolarmente i suddetti soggetti messi
dalla società in condizioni di chiara inferiorità, nel caso migliore attuano anche senza saperlo, una
meccanica catartica con gli attori, anche dei semplici e poco preparati dilettanti i quali tuttavia
partecipino al dramma in uno stato di assoluta sincerità ma che non abbiano potuto collaborare
appieno ed efficacemente allo svolgimento di questo.
Attori e pubblico assistono, nel mentre lo celebrano, al miracolo della caduta del ‘Velo di Maya’
raggiungendo, forse per la prima volta, la comprensione concreta e palpitante di ciò che vuole
realmente significare non solo una pulsione vendicativa, un’appropriazione illecita a danni degli
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altri o della società nel suo insieme, ma anche le semplici conseguenze della bramosia, della
piccineria e mancanza di misericordia, delle denigrazioni nei confronti degli altri, delle insicurezze,
del senso di colpa, del dispiacere per le occasioni perdute, del malessere che segue ai grandi e
piccoli tradimenti.
Raccordando quanto si è detto con i concetti sovraesposti, non vi è chi non veda come i suddetti
processi psico-mentali con le loro concomitanze culturali comportino nel loro insieme
l’acquisizione di una verità per cui la realtà che ci circonda non è quasi mai né tutta bianca né tutta
nera. Il destino è un grande burattinaio che, tuttavia, non viene molto chiamato in causa nei drammi
shakespeariani, ‘in armi’ contro la fatalità e che non si arrendono, casomai si abbandonano
confidenti al sonno il quale, sovente, è generatore di sogni che fanno intravedere in ogni situazione
un barlume di speranza.
Seguendo questa traccia, il risultato del confronto tra i tre drammi scelti tenderà a vedere il
bianco nel nero e del nero nel bianco nei contenuti dei suddetti, concludendo per molti degli aspetti
già trattati nella tesi, in base ai quali le tre opere esaminate ed eventualmente altre, considerate per
singoli brani significativi, altro non sono che una gradazione del grigio. Come si è proceduto nella
tesi, il punto di partenza è la rappresentazione teatrale, filmica, audiovisiva che può raggiungere lo
spettatore dal teatro o o dal cinema, considerandone l’intrinseco, diretto, impatto rappresentativo.
Si tratta di adottare la via breve all’accesso ed alla comprensione del valore drammatico
shakespeariano in contrasto con quella strada tortuosa centrata su fenomeni psicopatologici, sociali
storici, economici e quanti altri ancora i quali, fortunatamente, in un epoca assolutamente
pragmatica quale quella di oggi, sono in forte declino.
Ricordiamo i contributi provenienti, in genere, da scritti volti a chiarire il linguaggio teatrale e
specificamente rappresentativo non solo attraverso un contributo personale derivante dalla
precedente parte in relazione al complesso dei drammi già analizzati ma anche secondo quanto
viene detto al proposito in letteratura e negli scritti filmo-grafici dello spirito e del cuore dello
Shakespeare teatrale.
Si ricorda le modalità con cui il primo, immediato giudizio ‘a caldo’ sia scaturito dai puri e
semplici risultati, vale a dire dall’analisi delle riproduzioni dei drammi.
Si fa notare che la massima obiettività è stata necessaria nel ricercare e dare un giudizio sul
linguaggio e sul potenziale comunicativo delle componenti delle varie ‘messe in scena’. Il massimo
valore di riferimento è stato attribuito alle opere di teatro-cinema della BBC, è altrettanto vero che
le stesse componenti nelle rese cinematografiche delle varianti sono tutte risultate globalmente
riprogettate dai vari registi, sceneggiatori, traduttori di testi adattati e/o paralleli, fino ad ottenere un
risultato che più che dal gradimento della critica, può essere misurato da quello di un pubblico di
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‘difficile’.
Ma, al di là di questo, senza ritornare a quanto detto sulle idee ed i contenuti di riferimento che
Shakespeare tentava di valorizzare e trasmettere, si pensi ad esempio a quanto le valide varianti
esaminate possano indurre ad approfondire nel senso creativo i più comuni contatti con il lavoro, gli
affetti e quanto altro componga il loro stesso vivere stimolando in loro la produzione di una
comunicazione e un comportamento più intimi e cordiali evitando di proiettare su loro un ombra di
scetticismo, incomunicabilità, indifferenza.
Ci viene detto che, per raggiungere un'intesa con il suo pubblico, Shakespeare sia divenuto un
alfiere del moderatismo che non rinuncia mai a quell’atteggiamento di dubbio metodologico che le
sue letture filosofiche sono riuscite a trasmettergli profondamente. Per lui, evidentemente, il primo
dovere della vita è l’esistenza. Si pensi qui alla positività fino all’ottimo risultato del binomio
Shakespeare-Prospero, Titania-Elena e, persino di Amleto-Orazio, tenendo però conto che :
- per i primi la semplice analisi dei risultati del confronto tra film si è presentata di un’evidenza
solare, a favore del lavoro del regista Shaefer che primeggia nel trasmettere il concetto di un
Prospero gioviale e affettuoso il quale, familiarizzando con Ariel-Ferdinando rinforza il bene e
l’affetto che diffonde intorno, vale a dire parteggiano platealmente per la dimensione dell’essere
(ovviamente se si vuole un più meditativo Prospero si deve ricorrere alle prove di Gorrie, BBC e di
Greenaway) ;
- per i secondi l’analisi del fermo comportamento di Titania contro Oberon produce in quest’ultimo
la riaccensione dell’amore e quello di Elena verso Lisandro lo innesca a partire dalla grande
indifferenza di lui : la prova di Elijah Noshinky (BBC) sembra prevalente sulle altre se non altro per
le lunghe scene intermedie ove la prova di una trascendentale Cherith Mellor-Elena, si ritiene essere
di valore assolutamente referenziale (offuscando quello della pur bravissima Calista Flockhart) in
quanto ben rappresenta la strenua, lotta vitale per l’uomo che ama visceralmente ;
- per i terzi personaggi la barra del timone ben ferma verso la vendetta in corso della prima parte
dell’opera viene orientata piuttosto verso il pentimento, ottenendo Amleto quello della Regina ma
trovando fortissimi, insormontabili ostacoli innalzati dalla biliosa e vendicativa coppia formatasi tra
il Re usurpatore e Laerte, il quale ultimo da uomo meschino attribuisce ogni colpa della morte del
padre e della sorella ad Amleto (ancora ottimale e forse insuperabile la regia e l’interpretazione di
Oliver, per quanto sotto altri aspetti sia da preferirgli la regia di Richardson).
Tornando a focalizzare chi si contrappone agli esecutori, il pubblico, si ritiene che la prima e più
immediata questione affrontata nella letteratura e nella filmografia sui drammi shakespeariani,
permette la sua suddivisione in due parti, quella degli adoratori incondizionati del lato tragico,
giustizialista e sanguinario dei suddetti e quella occupata da coloro che ritengono che la loro
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riproposizione debba comunque e sempre mirare alla ricostruzione del fondo spirituale e
concettuale del dramma ai fini della comunicazione al pubblico dei suoi edificanti contenuti.
Figura 19 e 20 - Scena del film "Theatre of Blood" (Oscar insanguinato) di Douglas Hickox basato sugli omicidi più macabri di Shakespeare.
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VIII. 3 - Il bianco nel nero nel dramma shakespeariano.
Secondo alcuni, in gran parte dei drammi shakespeariani, il colore dominante è il nero. A certi,
come al regista D. Hickox30 spetta la palma come forte assertore di questo : egli dichiara per bocca
del folle assassino di un suo film (Theatre of Blood’ o ‘Oscar insanguinato’) che non c'è dramma
del ‘bardo di Avon’ che non contenga almeno una morte fantasiosa, che egli riproduce nel corso di
ben nove omicidi. Questi crimini, a coronamento di situazioni estreme derivanti da congiure, furti e
malversazioni a molti possono apparire orribilmente interessante (defenestrazioni, decapitazioni,
schiacciamento del capo, accoltellamenti) ma, nella realtà drammatica shakespeariana sovente sono
solo sottoprodotti del male che deve essere evocato se questo serve ad evidenziare e provocare il
bene.
Qui seguiamo la linea della positività e dell’ottimismo, per cui le prospettive derivanti da
situazioni umane, entrano per Shakespeare in un loro ciclo, con un loro finale. Spesso i modi in cui
vengono uccisi uno o più personaggi sono assolutamente meno importanti delle vere cause della
soppressione, che può porsi come inevitabile e dar luogo alla dannazione.
Stranamente però se a molti appassionati di Shakespeare viene domandato come viene ucciso
Riccardo II in carcere rispondono di non ricordare se per soffocamento o per pugnale, esattamente
come avviene se la domanda viene fatta a proposito delle precise modalità cruente con le quali si
mette fine a numerosi altri personaggi del teatro shakespeariano.
Al contrario colpiscono il pubblico l’affermazione di comportamenti che giustificano il semplice
ritiro di personaggi come Re Lear, Coriolano e molti altri ma che possono rendere la loro stessa vita
molto precaria, attirando malanimi, congiure, allontanamento e persino disprezzo da parte del
mondo intorno. La riconciliazione e la ripresa della vita ‘normale’ può essere ancora possibile ma la
suddetta condizione di sottrazione al mondo può mettere di fronte personaggi di gran valore di
fronte all’oblio, annichilimento esistenziale che li pone i suddetti in uno stato simile alla morte.
Effettivamente, molti sono più interessati al destino evolutivo del personaggio e alla sua morte
che al modo specifico con il quale si uccide/viene ucciso scomparendo dalla scena. Per esempio
l’orrore ed il disgusto suscitato dalla rete degli inganni tessuta da Riccardo III può oscillare dal
disgusto alla morbosa attrazione più di quanto non avvenga per la sua stessa morte. Un critico
cinematografico (E. Martini) ha notato che in certe versioni filmiche egli guardi la telecamera, cioè
fissi gli spettatori mentre sproloquia, come per condnnare gli spettatori per le sue spaventose azioni.
Si può pensare che nella messa in scena originale di Shakespeare, l’interprete di questo
30 Douglas Hickox (1929-1988) regista inglese che ha diretto il film “Theatre of Blood”.
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personaggio recitasse questo passaggio sporgendosi sul proscenio ai limiti dei gradini, quella esile
trincea che lo separava dal pubblico più popolare e interessato e che, come oggi, una parte degli
spettatori fossero là a tremare con lui. Non doveva sfuggire al pubblico più attento e conscio che il
terribile Re poteva essere individuato come un essere, almeno in parte, commiserevole e per un'altra
parte inconsapevole. In tal modo comprendiamo il regista di “Looking for Richard31”, 1995, che fa
precipitare all’inferno Al Pacino accompagnato dalla musica di Al Johnson.
Macbeth invece è l’uomo che ha ucciso il sonno. E' lui che deve essere analizzato dal pubblico
non l’ammasso di cadaveri che egli lascia sul suo percorso. E' sono ottimi a mettere in primo piano
sia il suo stato di profonda nevrosi interpretata da Orson Welles o alla fatalistica, inesorabile
tranquillità psicopatica esibita da John Finch, interprete del film di Polanski32.
Abbiamo sufficientemente parlato dei spiriti sognatori e morali che lasciano andare le cose come
vanno e che praticano la promozione di se stessi e degli altri con la cultura, l’autocoscienza,
l’induzione del riposo dell’anima, sono esattamene il lato positivo della medaglia coniata da
Shakespeare, il cui lato negativo è appunto l’arroganza, l’aggressione verbale e fisica di personaggi
appunto come Riccardo III e Macbeth.
Verosimilmente Hamlet viene visto dalla maggior parte degli spettatori come altamente
stimolante, mentre viene presa in considerazione la possibilità di far luce sulla sua corretta
collocazione del personaggio tenendo conto che a partire dalla sua originaria presentazione, fino ai
film e agli audiovisivi odierni si è tanto a lungo discusso su di lui da farne, al di fuori di ogni
dubbio, in Occidente, il personaggio mondiale più importante dopo Gesù Cristo.
Pertanto, non è stato possibile rispondere a tale quesito che avrebbe richiesto una troppo vasta
revisione della letteratura e filmografia dedicata a lui. Tuttavia, a partire da una supposta validità
dei risultati ottenuti in questa tesi, limitandoci questi alle osservazioni linguistiche alla base della
comunicazione fluente dai più svariati interpreti di Amleto al pubblico, si è positivamente stabilito
che in lui vi è assai più di Prospero piuttosto che di Macbeth e/o di Riccado III. Concludendo così
sul bianco nel nero del dramma shakespeariano, si introduce l’argomento contrapposto.
31 Looking for Richard, (Riccardo III, un uomo, un re) film del 1996 diretto da Al Pacino. E’ un diario reportage sul lavoro che sta dietro alla realizzazione di un adattamento del Riccardo III di William Shakespeare.
32 Roman Polanski (nato nel 1933) regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico polacco naturalizzato francese.
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VIII. 4 - Il nero nel bianco nel dramma shakespeariano.
Per essere introdotti nell’argomento basterà pensare a quanto nero sia realmente stato usato da
Shakespeare per ‘scurire’ opportunamente l’abbacinante bianco di personaggi come Prospero,
l’eccezionalmente pura e lineare Elena (stando ai drammi qui analizzati). Ma, a partire da quanto
detto alla fine del precedente argomento, non ci si deve stupire se il bardo abbia dovuto compiere la
stessa operazione per Amleto. Infatti, se il dramma ‘Hamlet’ nel suo complesso ha richiesto appena
sopra la sua immissione nelle tragedie scure stemperate con il bianco, lo stesso dramma solo in
quanto presentato come preponderanza morale e filosofica del puro eroe che è il suo interprete
stesso non può che richiedere un’analisi di quanto nero sia stato iniettato in questo grande
personaggio.
Tuttavia, nel completare quanto è stato detto nel corso della tesi, è necessario tornare su questi
personaggi e logicamente sugli altri che fanno parte integrante di quella totalità di grigio con cui
Shakespeare intende sfumare il tenore della comunicazione che dai tre drammi qui esaminati viene
proiettata sul pubblico (seguiamo qui l’ordine di presentazione secondo quanto si è già fatto
nell’analisi delle rappresentazioni relative alle tre opere esaminate).
Per quanto riguarda ‘La Tempesta’ c'è dubbio sul fatto che il substrato chiaro e trasparente sia
fornito da Prospero e dai personaggi da lui ‘iniziati’ al pensiero (nel teatro linguaggio e
comportamento) elevato, Miranda, Ariel e successivamente Ferdinando e gli altri (supposti)
naufraghi. Essi mitigano l’enorme portato di cattiveria che scaturisce dal comportamento di Antonio
e Sebastiano, dalla combriccola stabilitasi tra Calibano, Trinculo e Stefano, rendendo questi
comportamenti canaglieschi orribilmente mostruosi e persino ridicoli agli occhi del pubblico.
Shakespeare si rivolgeva agli spettatori nella speranza di trasformarli in persone riflessive,
ottimistiche e rivolte al futuro che dovevano, insieme ai personaggi del dramma, essere trasportati
verso livelli più alti di socializzazione, comprensione e amore per gli altri.
Come si è detto, se non da altro questa intenzione diventav chiara nell’evolversi dei suoi
drammi, fino alla trasmissione del suo messaggio-testamento definitivo in base al quale Prospero
insiste nella sua intenzione di abbandonarsi alla comprensione ed al perdono nei confronti degli
altri, proprio di fronte al delinquenziale comportamento della maggior parte dei ‘naufraghi’ i quali
insistevano fino all’esasperazione ed all’assurdità a spargere il loro umor nero nel bianco del
dramma.
E questo nonostante l’annichilimento di Prospero di fronte alla più che attesa e giusta) fuga di
Ariel, alla separazione di Miranda (che se ne va a Napoli con il suo Principe, alla sua dipartita
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dall’isola e dalla sua cultura e magia. Forse è ritornando alla monotonia della sua vita di Duca di
Milano che Prospero-Shakespeare muore con il suo autore che lascia la sua faticosissima vita
londinese per tornare alla noiosa Stratford-on-Avon.
Ovviamente, per le complessità richieste dalla collocazione spirituale del Principe Amleto il
giudizio è più complesso, sia per la lunghezza ed il fitto intreccio di episodi significativi presentati
nel corso del dramma che, secondo quanto si è detto qualche pagina avanti, per l’enorme portato
critico caricato sulle spalle del personaggio. Dunque sia la lettura letterale del dramma come teatro
che l’analisi di un numero sufficiente di versioni teatrali-filmiche hanno permesso il
raggiungimento della necessaria certezza di quello che l’opera shakespeariana vuole rappresentare,
soprattutto in termini dei messaggi che intende trasmettere.
Insistendo a vedere Amleto come protagonista del dramma teatrale al centro della
comunicazione con gli altri attori comuni personaggi viventi nel mondo meschino che lo circonda,
del tutto ingiustificata suona la critica distruttiva di Voltaire, per cui “…i becchini parlano in
quodlibet degni di loro mentre tengono teschi in mano e Amleto risponde alle loro sgradevoli
volgarità con sciocchezze non meno disgustose…Amleto, sua madre ed il suo padrigno
gozzovigliano sul palcoscenico ; si canta a tavola, ci sono litigi, combattimenti, uccisioni. Si
direbbe che sia il lavoro di un selvaggio ubriaco...”
Ricordiamo anche che l’idea di un Calibano che potesse essere ravvicinato al ‘buon selvaggio’ di
Rousseau era stata già ritenuta fallimentare. Con tutta evidenza Amleto, come Calibano, non
appartengono affatto al mondo illuminista ma a quello teatrale in cui dovevano essere passati al
giudizio non tanto di letterati e filosofi, quanto al ben più esigente popolo della platea del Globe
Theatre, per non dire della Regina Elisabetta stessa.
Alla fine erano i nobili ed il popolo che doveva capire e tutti pretendevano di potersi riconoscere
negli attori e nei personaggi che costoro andavano presentando e che, quindi, dovevano
obbligatoriamente usare il loro stesso linguaggio. Di certo Shakespeare non si sarebbe mai messo a
tavolino a mescolare soggetti e personaggi nei loro gerghi e potenziale comunicativo, ma
certamente egli doveva, sin dalla prima stesura del dramma, fare buon uso dei linguaggi possibili a
sua disposizione, quanto più questi erano utili alla comprensione generale, evitando quanto
possibile forme di espressione da un lato troppo togate e ricercate e dall’altro lato troppo popolari e
gergali.
Altrimenti, secondo quanto facevano molti altri scrittori di teatro, il ‘selvaggio ubriaco’ di
Voltaire avrebbe creato dei drammi troppo vicini a forme letterarie, linguaggio e relativo tipo di
comunicazione per pochi, dunque un teatro ben poco incisivo e apprezzabile solo nei ristretti circoli
culturali.
102
Così assistiamo ad un Amleto che passa dal linguaggio essenziale e discreto del suo ristretto
circolo di amici a quello quasi surreale fino al folle che ha dovuto forzatamente apprendere ad usare
di fronte all’insensatezza ed alla perfidia dei personaggi della corte di Elsinore, a contatto dei quali
si spargono larghe chiazze di ‘nero’ a contaminare la solarità iniziale del Principe, uomo spirituale
ed esente da vizi.
Ha ragione quindi John Dover Wilson33 nel riconoscere che al di sopra e all’interno
dell’impalcatura drammatica di Amleto Shakespeare aveva intrecciato una ‘incantevole filigrana’
ed un’intera rete dei più raffinati effetti’. Tuttavia, l'autore, più un letterato che un uomo di teatro,
riteneva che al pubblico (che assisteva al dramma originale ma il riferimento vale anche per gli
odierni spettatori delle registrazioni filmiche o audiovisive) fosse sufficiente solo la trama del
dramma, non curandosi del suo complesso di sottigliezze. Si sbagliava, o meglio, alludeva solo a
quella parte del pubblico che è qui stata individuata come interessata soprattutto al ‘contenuto nero’
del dramma.
Circa il ‘Sogno di una Notte di Mezza Estate’ si sottolinea come dalle tavole del palcoscenico
alla platea, da Titania ma soprattutto da Elena, parte verso la platea un messaggio ad alto contenuto
positivo, con queste due donne che oppongono una dolce ma ferma resistenza agli uomini della loro
vita i quali, secondo dei comportamenti vani e punitivi o semplicemente ‘distratti’ le fanno soffrire
in modo atroce. Si torna su ciò che si è detto circa l’intensità del colore nero che viene versata nel
dramma, con Elena che avrebbe potuto incontrare serissimi guai, addirittura la morte, perseguitata
come era dapprima dai due ragazzi, e loro loro si era aggiunta Ermia, la quale accentuava
grandemente le sue pene percuotendola, gettandola nelle pozzanghere dove tentava di soffocarla.
Nello stesso modo Shakespeare avrebbe potuto escogitare la morte di uno dei due ragazzi in duello
ma evita questo disastro e ricorre solo alla magia di Puck che li attirava qua e là annebbiando anche
il campo dello scontro.
Sotto questa luce risulta del tutto inadeguata la critica di alcuni che relegavano il dramma tra
quelli giocosi, realizzando il ‘Teatro del Sogno’ che ben presto avrebbe contagiato il ‘Cinema del
Sogno’. C'è da dire che chi pretende di comprendere questo dramma nella sua pienezza entra a
gamba tesa nel problema del difficile dosaggio del portato onirico-esoterico nel dramma
shakespeariano, in se stesso e in rapporto all’incidenza del sonno, ossia induttore di sogni, concetti
fondamentali che il ‘bardo di Avon’ matura sin dal suo primo dramma e che riverserà pienamente
nelle sue successive opere teatrali. Egli, tuttavia deve tener conto che il sonno produce oltre al
sogno anche l’incubo, secondo ciò che il ‘pittore di Shakespeare, Füssli, aveva ben immaginato in
33 John Dover Wilson (1881-1969) studioso e professore del teatro dell’epoca rinascimentale che concentrò i suoi studi particolarmente su William Shakespeare.
103
un suo quadro in cui uno sgraziato elfo opprime il petto di una fanciulla riversa.
Quindi Shakespeare non si dedica ad un continuum drammatico che guarda comunque e sempre
le due facce della stessa medaglia ponendo sempre il bene di fronte al male, il male nel bene ed il
bene nel male. La focalizzazione di questo lavoro su solo i tre film prescelti non permette,
fortunatamente, un’eccessiva dispersione concettuale, tenendo conto del fatto che i tre drammi sono
stati previamente scelti a personale arbitrio proprio per un analogo intervallo di tempo intercorso tra
la loro apparizione e, soprattutto per i loro contenuti estremamente diversi che dal relativo bianco
del ‘Midnight Summer's Dream’ attraverso il nero-grigio di ‘Hamlet’ perviene allo splendore di ‘La
tempesta’. Nei tre drammi apparentemente i più diversi tra loro,è stata confermata una comune
radice teatrale che è stata ricercata ed individuata nel continuum rappresentata dal linguaggio e
dalla comunicazione trasmessa agli spettatori. nei contenuti o meglio nei veicoli esoterico-onirici
dei drammi shakespeariani.
Figura 21 - "Looking for Richard" (Riccardo III, un uomo un re) diretto da Al Pacino.
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VIII. 5 - Epilogo
Naturalmente delle conclusioni sui drammi shakespeariani necessitano non solo di una limitata
(seppur ricca) analisi delle varianti rappresentative delle opere ma anche dell’esame di un certo
numero di fattori in gioco. Tra questi elementi di discussione derivante dall’impostazione scenica
teatrale, cinematografica, audiovisiva presente e futura, che possono variare seguendo le tendenze
emotive e culturali del pubblico moderno ed, ovviamente, delle mode delle quali risentono le
‘messe in scena’.
Il nucleo abbiamo costantemente tenuto al centro di questa tesi’ è il dramma shakespeariano nei
suoi aspetti linguistici e comunicativi, i quali non corrispondono affatto al suo contenuto letterale.
Il testo originale è dunque uno dei cardini fissi sui quali si è fondata la tesi, su questo non ci
resta che riportare il pensiero di E. Martino che di Shakespeare dice: “la forza era certamente nella
lingua, che è tra le più fantasiose, sincopate, musicali e astratte e che infatti risulta pregnante e
affascinante anche nelle versioni più moderne…’.
Ognuno dei registi esaminati non si è tirato certamente indietro nell’interpretazione, derivante
dalla semplice lettura, dello Shakespeare originale, punto fisso di partenza per riprogrammarne la
‘messa in scena’. Se, quindi, è fondamentale seguirne la realizzazione scenica originaria per quanto
sia oggi possibile ricostruire soprattutto dalla lettura dei vari drammi allora questi sono, con tutti gli
altri responsabili dello spettacolo, altrettanto mastri nell’evitare la noia e la ripetitività seguendo
tutte le nuove strade possibili nelle moderne ripresentazioni spesso con un’intraprendenza degna del
Globe Theatre.
Per quanto ci riguarda lo spirito di questa ricerca è proprio riconducibile alla speranza di poter
rintracciare in queste validissime rappresentazioni quel filo conduttore originario e poterlo seguire
se non nella sua integrità iniziale, almeno lungo qualche suo tratto nella filmografia e nei mezzi
audiovisivi moderni ai fini di verificare che oltre allo spettacolo in se stesso, ne siano conservati i
contenuti del linguaggio e della comunicazione originari.
Un vero riferimento sono le versioni teatrali-filmiche della BBC. Infatti attraverso un vasto
spettro di ‘addetti ai lavori’, si può dire che nella varietà e, nello stesso tempo, fedeltà a
Shakespeare, tali produzioni hanno risposto alle esigenze didattiche che ne fanno una versione
tuttora assai richiesta a compenso delle spese che dovettero essere assai forti per la rappresentazione
e la diffusione in VHS (oggi DVD) di tutti e trentacinque drammi shakespeariani.
In contrapposizione a ciò versioni filmiche come quelle di Oliver, Branagh, Wells, Al Pacino
superano di gran lunga, secondo me, le corrispondenti versioni teatrali. D’altronde è ovvio che le
grandi versioni cinematografiche (le quali hanno ottenuto quasi tutte il massimo punteggio dalla
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critica ed un rispettabile insieme di premi Oscar) nella loro spettacolarità allettano maggiormente il
pubblico.
Senza considerare che le grandi scene di battaglie, di duello o le grandi sedute delle corti reali
lungo saloni e stanze di nobili castelli e magioni possono essere risuscitate solo nelle versioni
cinematografiche per cui il pubblico può maggiormente apprezzare queste ultime, non solo nei
confronti della produzione BBC ma anche del teatro in generale. Le grandi scene di battaglia
dell’Enrico V, sia in Oliver che in Branagh non possono che attrarre un gran numero di spettatori.
E’ chiarissimo che qui non si parla di letteratura il cui declino esponenziale relega purtroppo
l’enorme massa del nostro sostrato culturale nelle biblioteche e nelle menti dei pochi eletti destinate
a mantenerne vivo la conoscenza. Se, oggi, il libro si fa più specializzato, meno colto e più effimero
allora “Shakespeare must go on” ed è giusto che il suo dramma continui ad essere rappresentato a
partire dalle esigenze del pubblico. In tal modo, del teatro di Shakespeare si accumulano i ricordi
registrati nella nostra memoria, le possibilità di visione di vecchie e nuove registrazioni, teatro-
filmiche, cinematografiche ed audiovisive.
E’ utile considerare almeno la copiosa quantità e qualità delle produzioni centrate su Hamlet o
Amleto, una Filmografia riporta le antiche pellicole mute di Sara Bernhardt (1900), di G, Meliès
(1907), i numerosi film dedicati a Shakespeare (circa 10) prodotti dalla Vitagraph Company of
America, a partire dal 1908. L’Italia è sempre stata attivissima con ad esempio la regia di Carmine
Gallone (1916) e di E. Rodolfi con l’interpretazione di R. Ruggeri e M. Brignone (1917),
universalmente considerata una delle più brillati prove del cinema muto.
Per quanto riguarda il cinema parlato, del 1948 il famoso Hamlet di L. Oliver (qui analizzato),
ebbe ben cinque premi Oscar. Notevole “Le Canaglie Dormono in Pace”, di A. Kurosava (1960)
ispirato ad Amleto, a partire da un personaggio alla ricerca della vendetta per la morte del padre. Al
regista P. Wood è dovuta una spettacolare produzione televisiva di un Amleto interpretato dai
migliori attori giovani britannici (1970). Per l’Italia è da ricordare “Un Amleto di Meno” (1973) del
grande innovatore Carmelo Bene che recita un monologo centrato sul “Avere o non Avere!”.
Notevole anche Hamlet di Branagh (1996, qui analizzato) della durata di 4 ore, una grande sfida
economica compensata dai numerosissimi spettatori con, oltre gli interpreti più importanti già
menzionati, una incredibile serie di grandi attori tra i quali G. Depardieu, R. Williams, J. Gielgud,
B. Crystal, J. Lemmon, C. Heston. Il film, qui scelto, insieme ad altri quattro è un monumento
all’originalità di Branagh che arriva al punto di cambiare la storia di Fortebraccio il quale non è più
un alleato dei danesi che transita ad Elsinore dopo un’operazione militare su un piccolissimo pezzo
di Polonia ma è il condottiero di un esercito norvegese invasore che fa un’entrata alquanto scenica
(dalle finestre, che volano in frantumi) nel salone della reggia ove poco prima era avuta un'enorme
106
strage.
Lasciando da parte come esempio l'intramontabile lavoro filmo-grafico fatto su ‘Hamlet’ e
considerando ‘La Tempesta’, si osserva che in ‘Prospero’s Books’ o in italiano (chissà perché)
‘L’ultima Tempesta’, Greenaway fa percorrere a Gielguld (Prospero) chilometri di corridoi e saloni
sempre all’interno del palazzo-caverna tra montagne di libri, documenti, prodotti vari della natura
passando dall’architettura all’anatomia, all’astronomia. Vi è da dire con D. Montigiani che
Greenaway possiede “..un acuto, maggiore senso della rappresentazione; il regista infatti agguanta
l’immagine cinematografica utilizzandola come grandiosa ‘tavola’ sulla quale sperimentare con,
soprattutto, tecniche televisive”.
In differenti momenti , Greenaway ricorre al ‘frame nel frame’, ovvero all’inserimento di
inquadrature più piccole all’interno dell’inquadratura stessa per creare rimandi, collegamenti e/o per
aumentare la densità del quadro. Si tratta, insomma, di un uso estensivo dell’immagine digitale.
Eppure, nonostante tutto questo Greenaway mantiene un elevato livello di comunicazione con gli
spettatori, a compensare il gigantismo della sua produzione, quindi l’estremamente ridondante
‘messa in scena’. A questo risultato egli ha usato il potente intervento vocale di cantanti che fanno
letteralmente brillare le scene di massa che si succedono l’una all’altra in enormi saloni.
E’ da acconsentire al trattamento della critica che assegna solo 3/5 dell’optimum all’imponente
lavoro con stupefazione dello stesso Greenaway, immaginiamo, e del vasto pubblico che ha
verosimilmente compensato con incassi d’oro l’enorme spesa necessaria alla produzione del film.
Personalmente ci si limita ad osservare che l’attribuzione al film di una penalizzante eccessiva
nudità è ridicola, essa corrisponde esattamente allo spirito di naturalità e fisicità che il grande
regista, sulle tracce di Shakespeare stesso, ha conferito al dramma.
Testando a ‘La Tempesta’ una sua citata versione fantascientifica sembra confermare quanto
detto: si tratta di “Forbidden Planet” (1956), basato sulla regia di F. Wilcox, sull’interpretazione di
W. Pidgeon (il dottor Morbius, un moderno Prospero) ed altri ottimi interpreti tra cui Robby il
Robot, in veste di Ariel. La cosa veramente interessante di questo film è il suo scenario (si svolge
sul pianeta Altair 4, ove Mobus-Prospero vive isolato con la figlia Altaira-Miranda) e il suo
progredito armamentario fantascientifico. Basta pensare che sono stati addetti agli effetti speciali
ben quattro tra i più noti specialisti di Hollywood.
Avendo gettato un rapidissimo sguardo al recente passato, si deve constatare che l’economia
mondiale del tempo presente fa escludere che nell’immediato futuro si possano produrre, almeno in
Occidente, altri film colossali dedicati al teatro shakespeariano che non siano esclusivamente basati
sulla tecnologia computerizzata. Ma, gettando uno sguardo al futuro della messa in scena
shakespeariana non ci si può troppo lamentare di questa carenza in quanto è e sarà compensata da
107
un gran numero di riproposte e nuove presentazioni dei drammi del ‘bardo di Avon’. In ogni spazio
in cui tale rito sia possibile, trasformato legittimamente in teatrino, teatro di quartiere, cine-studio o
circolo per pochi amici, il rito si ripete.
Nel complesso, si può dire che la riproposizione dei drammi shakespeariani, una loro riedizione
attraverso ogni tipo di variante, opere semplicemente collaterali, rappresenti una preponderante
parte (forse oltre il 50%) di tutto il teatro presentato in Occidente in modo diretto, in formato
filmico od audiovisivo. Sarebbe troppo pessimistico pensare che trucchi di ripresa e di montaggio,
ricostruzioni digitali ed ogni altro accorgimento tecnologico possano consentire di soprassedere una
qualunque forma di serio e profondo contatto con gli spettatori.
Non è infatti pensabile che un regista, un soggettista o chi comunque collabori alla produzione di
questi possa fare a meno di considerare il grande, preferenziale potenziale comunicativo
shakespeariano. Anche qualunque sia il risultato non è affatto facile interessarsi a quei 35 drammi
scritti da Shakespeare, ripensarli, reinterpretarli ed ogni volta che vengono messi in scena, collegare
i loro contenuti essenziali a nuovi e più pregnanti modi di proporne la comunicazione agli spettatori
del loro essenziale contenuto.
Molte disillusioni possono essere scongiurate se a volte registi, sceneggiatori, traduttori, attori si
trovano di fronte alle difficoltà della messa in scena shakespeariana, del riprodurre una tale
ricchezza di costumi, di decori e quant’altro possa servire nell’immaginario collettivo a dignitose
riedizioni del dramma shakespeariano. Una ragione in più questa per concentrarsi sulla temperatura,
tensione, dinamismo della messa in scena, amalgamando in una necessaria proposta d’insieme
queste espressioni stilistiche con la carne viva del nucleo drammatico e della sua comunicazione al
pubblico.
Per confermare ciò per quanto riguarda Hamlet si ritiene che al di là della lussuosa e scintillante
presentazione di Zeffirelli del suo film girato in castelli e panorami scozzesi e del Kent britannico,
dell’elegante, romantica, ‘classica’ elaborazione di Oliver, del ridondante lusso degli ambienti
ottocenteschi, della produzione contenente armi di ogni tipo di Branagh, dell’assoluta aderenza al
testo e la rigorosa progettualità di Bennet, Richardson sia andato nella direzione interpretativa dei
veri contenuti shakespeariani, focalizzando sempre personaggi in primo piano o in piccolo numero
a distanza ravvicinata, per ben esplorarne le complesse interrelazioni attraverso le espressioni del
volto.
Si tratta questa di una versione che, trascurando totalmente scenari sia ravvicinati (per esempio
delle stesse mura o finestre) che a media distanza (per esempio scene sugli spalti di un castello,
riprese di ampie bifore dalle quali si aprono ampie finestre) o panoramiche includenti o no viste dei
castelli medievali o di lussuose mansion ottocentesche, raggiunge tanto di più lo scopo di
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comunicare Shakespeare attraverso il suo vero contenuto, che egli pazientemente rintraccia
restituendone una versione che parte da grandi differenze, paradossalmente, per raggiungere la
massima aderenza possibile al bardo di Avon.
Focalizzano quindi le parole, modulandole opportunamente e sedandole associandole così ad un
tipico verso shakespeariano da una parte con adatta musica e massima esplicazione della corporeità
(traduzione musicale dei sui suoni che accompagnano il pentametro giambico shakespeariano) e
dall’altra parte con un corrispondenti fluidi movimenti corporei.
In questo tema il Ricordi ben sottolinea come Shakespeare sia entrato a buon diritto nell’ambito
di una nuova spettacolarità continuandosi così a trarre dai suoi drammi riduzioni e interpretazioni
che attirano costantemente l’interesse degli spettatori.
Questo si riflette non solo sull’interpretazione teatrale dei drammi del ‘bardo di Avon’ ma anche
sulla produzione cinematografica e sui audiovisivi, anche se di questi vengono effettuate delle
interpretazioni parallele melodrammatiche e coreutiche. Si tratta, per tutti di fare ricorso alla più
recente e sofisticata tecnologia : anche tutto questo si rinnova continuamente seguendo
l’aggiornamento imposto dal tempo in cui si vive.
Ora si tratta di verificare se l’intrinseca tendenza universalizzante del dramma shakespeariano
che ha finalmente trovato la grande espansione globale che meritava, sia un fenomeno positivo o
sentito come indifferente o persino negativo ai fini della sua eventuale incidenza nel sentire comune
ed in senso lato nell’incidere sulle culture della globalizzazione.
Se tutto questo concerne soprattutto il sempre più rilevante gettito di produzioni shakespeariane
ad alta tecnologia, non si deve dimenticare che, parallelamente si assiste ad un ritorno dello
spettacolo teatrale. In tal caso il favorevole ‘passo indietro’ dovrebbe essere compiuto all’interno
delle strutture modeste.
Questa retrocessione potrebbe essere favorevole se ispirata alla pratica teatrale del teatro
shakespeariano in cui si verifica un incontro ravvicinato tra attori che si contrappongono agli
spettatori in una grande varietà di modi e comportamenti notevolmente espressivi che potevano
modulare la trasmissione dei contenuti linguistico-esistenziali tra di loro.
Difficilmente l'ambito cinematografico per quanto scenico può migliore dell'originario teatro
shakespeariano. In quest'ultimo c'era un primo piano in cui si trovava una porta da dove gli attori si
potevano spingere su un terrazzino con un piano a livello con colonne che lo sorreggevano. E’
ancora d'uso recitare in quell'area i colloqui più determinanti ai fini dello svolgimento del dramma,
mentre nel centro del palcoscenico, abitualmente si tenevano, come accade tutt’ora incontri tra
gruppi, scontri, grandi e risoltivi discorsi. Da qui facendo qualche scalino gli attori potevano
avvicinarsi al pubblico fino a fissarlo negli occhi, anche se il tono delle parole, articolate nel famoso
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verso shakespeariano si doveva mantenere forte e chiaro.
Una precisa ricostruzione di questo ambiente può non essere sempre facile ma spesso
l’ingegnosità applicata all’architettura scenica è grande ed i risultati sono ottimi.
Infatti quando andiamo ad analizzare una riproduzione delle opere shakespeariane ciò che è
veramente importante è che la produzione sia nello spirito e nel cuore di coloro che la dirigono e
che ci sia un buon rapporto tra gli attori ed il pubblico. Una volta garantite queste componenti
all’interno delle varie rappresentazioni si può tranquillamente concludere che sono state ben
rappresentate.
Figura 22- Un esempio di Teatro Elisabettiano
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