Globalizzazione, impresa e sviluppo economico in Italia: una prima valutazione in base alle fonti...

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Convegno di Studi

su Imprenditorialità e sviluppo economico.

Il caso italiano (secc. XIII-XX)

Globalizzazione, impresa e sviluppo economico in Italia: una prima valutazione

in base alle fonti elettroniche

Amedeo Lepore Università “Aldo Moro” di Bari

 

La globalizzazione “Un quadro storico potrebbe essere opportuno (…) per dimostrare che la globalizzazione non è particolarmente nuova né, in generale, una follia. Per migliaia di anni, viaggi o migrazioni, scambi di merci o di conoscenze acquisite hanno rappresentato una forma di globalizzazione, che ha contribuito al progresso dell’umanità. E fermarla avrebbe arrecato un danno irreparabile. Ancora, nonostante oggi la globalizzazione sia considerata da molti un correlato del predominio Occidentale, l’esame storico può aiutarci a concepire la possibilità che il processo si svolga nel verso contrario” (A. Sen, Globalizzazione e libertà, Milano, Arnoldo Mondadori, 2002, p. 15)

La globalizzazione 2 Un esempio della nuova e impetuosa fase dell’attuale globalizzazione è rappresentato dalla formazione di un mercato mondiale e dalla realizzazione della cosiddetta “rivoluzione telematica”. Questo fenomeno, considerato come la testimonianza più evidente della globalizzazione, dipende dall’intreccio tra l’evoluzione del settore delle Information and Communications Technology (ICT) e l’organizzazione dell’economia, che ha portato alla nascita della Net-Economy, ossia di un sistema nel quale la disponibilità di informazioni in tempo reale e la capacità di diffusione delle comunicazioni - e degli scambi - senza limiti geografici e/o spaziali sono le basi per il successo di qualunque iniziativa economica, specialmente di tipo privato. Vi è chi sottolinea come il carattere del nuovo sistema economico sia una sorta di aggiornamento nella continuità del sistema capitalistico, di fronte alla crisi degli strumenti tradizionali di formazione e di controllo dei processi di accumulazione.

La globalizzazione 3

Vi è, altresì, chi mette in evidenza un cambiamento di paradigma tra il precedente sistema economico, basato sull’obiettivo del conseguimento di livelli sempre più elevati di profitto, e la nuova, più complessa configurazione, in cui assume assoluta rilevanza il possesso di conoscenze, o meglio, la capacità di comprendere l’andamento del sapere (know how) sociale. Come è stato osservato: “Sullo sfondo, vedremo emergere il profilo ambiguo delle nuove élites culturali; non più contraddistinte dal possesso di un complesso organico di saperi, ma solo dalla capacità di intercettare prima degli altri le tendenze e le novità del momento” (G. da Empoli, Overdose. La società dell’informazione eccessiva, Venezia, Marsilio, 2002, p. 11). Tuttavia, i processi di trasformazione legati alla knowledge economy sembrano assumere una dimensione molto più vasta e inaspettata…

La metodologia

“Laymen - that is to say, non-academic friends or friends from other academic disciplines - sometimes ask me how the historian goes to work when he writes history. The commonest assumption appears to be that the historian divides his work into two sharply distinguishable phases or periods. First, he spends a long preliminary period reading his source and filling his notebooks with facts: then, when this is over, he puts away his sources, takes out his notebooks, and writes his book from beginning to end. This is to me an unconvincing and unplausible picture. For myself, as soon as I have got going on a few of what I take to be the capital sources, the itch becomes too strong and I begin to write - not necessarily at the beginning, but somewhere, anywhere. Thereafter, reading and writing go on simultaneously. The writing is added to, subtracted from, re-shaped, cancelled, as I go on reading. The reading is guided and directed and made fruitful by the writing: the more I write, the more I know what I am looking for, the better I understand the significance and relevance of what I find. Some historians probably do all this preliminary writing in their head without using pen, paper, or typewriter, just as some people play chess in their heads without recourse to board and chess-men: this is a talent which I envy, but cannot emulate. But I am convinced that, for any historian worth the name, the two processes of what economists call "input" and "output" go on simultaneously and are, in practice, parts of a single process. If you try to separate them, or to give one priority over the other, you fall into one of two heresies. Either you write scissors-and-paste history without meaning or significance; or you write propaganda or historical fiction, and merely use facts of the past to embroider a kind of writing which has nothing to do with history” (Edward H. Carr, What Is History?, 1961)

Il World Wide Web  

Il World Wide Web, acronimo WWW, spesso abbreviato in web, è uno dei servizi di Internet, la più grande rete di computer mondiale ad accesso pubblico mai realizzata. In particolare, il web è, insieme alla posta elettronica, il servizio di Internet più utilizzato e conosciuto. Il servizio mette a disposizione degli utenti uno spazio elettronico e digitale per la pubblicazione di contenuti multimediali, oltre che un mezzo per la distribuzione di software e la fornitura di servizi particolari, sviluppati dagli stessi utenti. Il web è stato creato da Tim Berners-Lee, ricercatore del CERN di Ginevra, sulla base delle idee sue e di quelle di un suo collega, Robert Cailliau. Oggi, gli standard su cui è basata la rete, in continuo sviluppo, sono mantenuti dal World Wide Web Consortium (W3C). La nascita del web risale al 6 agosto 1991, giorno in cui Berners-Lee mise on-line su Internet il primo sito web.

Il primo sito web creato da Tim Berners-Lee - online il 6 agosto 1991

Il Web 2.0: Internet interattivo  

Il Web 2.0 è un locuzione utilizzata per indicare genericamente uno stato di evoluzione di Internet (e, in particolare, del World Wide Web), rispetto alla condizione precedente del Web 1.0. Si tende ad indicare come Web 2.0 l’insieme di tutte quelle applicazioni online, che permettono uno spiccato livello di interazione sito-utente (blog, forum, chat, sistemi come Wikipedia, Youtube, Facebook, Myspace, Gmail, ecc.). La locuzione pone l’accento sulle differenze rispetto al cosiddetto Web 1.0, diffuso fino agli anni novanta del secolo scorso e composto prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità di interazione con l’utente, eccetto la normale navigazione tra le pagine, l’uso delle e-mail e l’impiego dei motori di ricerca.

Fonte:  h)p://xkcd.com/256/  

 

Il Web 3.0: gli aggregatori e il Web semantico  

Con il termine web semantico, termine coniato dal suo ideatore, Tim Berners-Lee, si intende la trasformazione del World Wide Web in un ambiente dove i documenti pubblicati (pagine HTML, file, immagini, ecc.) siano associati ad informazioni e dati (metadati), che ne specifichino il contesto semantico in un formato adatto all’interrogazione, all’interpretazione e, più in generale, all’elaborazione automatica. Con l’interpretazione del contenuto dei documenti che il web semantico intende perseguire, dovrebbero essere possibili ricerche molto più evolute delle attuali, basate sulla presenza nel documento di parole chiave, ed altre operazioni specialistiche, come la costruzione di reti di relazioni e connessioni tra documenti, secondo logiche più elaborate del semplice link ipertestuale.

La  società  della  conoscenza  

Converged  content,  data  &  applica6ons:    RSS,  Widgets,  Situa6onal  Applica6ons,  Dashboards,    Online  Media  Analysis  

Converged  people:    Social  networking,  Blogs,  Wikis,  Personas,  Knowledge  communi6es    

Converged  communica6ons:    VOIP,  advanced  collabora6on,    Digital  Assistants,  RSS  

Intellectual  Capital  

Intellectual  Capital  

Intellectual  Capital  

Intellectual  Capital  

Intellectual  Capital  

Intellectual  Capital  Intellectual  Capital  

Intellectual  Capital  Intellectual  Capital  

Intellectual  Capital  Intellectual  Capital  

Le immagini filmiche e televisive

La ISEC TV

h)p://www.fondazioneisec.it/tv/archivio.php  

La ISEC TV

h)p://www.mogulus.com/isec  

La cineteca della Fondazione Ansaldo  

h)p://www.fondazioneansaldo.it/cineteca  presentazione.htm  

SAME DEUTZ-FAHR. “75 anni di lavoro insieme”

“Enrico Mattei”

“Vittorio Valletta”

“Ansaldo”

“Ansaldo” II

“Ansaldo” III

“La costruzione di un nuovo impianto siderurgico a ciclo integrale”

“Cornigliano: storia della acciaieria”

“Il pianeta acciaio” Emilio Marsili

“L’industria della carta nell’isola di Liri”. 1

“L’industria della carta nell’isola di Liri”. 2

Dal dopoguerra agli anni Settanta

1960. Il miracolo economico

“Sette canne, un vestito” Michelangelo Antonioni

“La mia valle” Ermanno Olmi

“Adriano Olivetti: il sogno posibile”

Alcuni spunti teorici e il modello della “coda lunga”

Lo sviluppo economico Lo sviluppo economico si riferisce a quel complesso processo che trasforma un’economia o, più in generale, una società da pre-moderna a moderna. Nel XX secolo il significato si è allargato fino ad includere anche un’altra accezione del termine, legata al processo di cambiamento e di crescita delle società povere del sud del mondo. Gli indicatori quantitativi della ricchezza si basano sul prodotto interno lordo, in particolare sul PIL pro-capite, ma sono stati elaborati anche indicatori di trasformazione qualitativa della società, riferiti ai cambiamenti nella qualità della vita collegati, per esempio, al numero di medici per abitante, all’educazione e all’alfabetizzazione, ecc. Un indicatore che cerca di prendere in considerazione entrambi gli aspetti è l’indice di sviluppo umano (ISU) o, nell’acronimo inglese, HDI, sviluppato dalle Nazioni Unite – sulla base dell’elaborazione di Amartya Sen – agli inizi degli anni novanta. L’ISU è alla base del Rapporto sullo Sviluppo Umano, pubblicato periodicamente dall’UNDP (United Nations Development Programme dell’ONU). Nelle classifiche dei paesi più sviluppati, si evidenziano enormi differenze se si prendono in considerazione variabili solo economiche o quelle considerate dall’ISU. Ad esempio, paesi molto ricchi, ma con scarsi o inesistenti sistemi di welfare hanno punteggi ISU molto bassi.

Lo sviluppo economico L’economia dello sviluppo analizza gli squilibri fra economie industrializzate ed economie “arretrate” o “in via di sviluppo” e nasce dapprima come branca dell’Economia politica, sviluppandosi in seguito come nucleo disciplinare a sé. Teorie dello Sviluppo Economico erano presenti nella disciplina economica classica fino dall’opera di Adam Smith, ma si riferivano - in genere - alle modalità attraverso cui i paesi che avevano superato la fase del “take off” (secondo la nota espressione dell’economista Walt Whitman Rostow) potevano mantenere e gestire uno sviluppo equilibrato e costante. Joseph Schumpeter, all’inizio del XX secolo, aveva compiuto un primo passo di rottura con la tradizione classica, proponendo nella sua “Teoria dello Sviluppo Economico” (1911) un modello dinamico di sviluppo, ma fu lo studio quantitativo di Colin Clarke (1939) a indurre gli economisti a comprendere che la maggior parte degli esseri umani non viveva in un sistema avanzato ad economia capitalista. Soltanto dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in particolare, a partire dal periodo della decolonizzazione, si cominciò ad affermare una diversa concezione dei rapporti e degli squilibri fra economie industrializzate (o “avanzate” o “sviluppate”) ed economie definite, inizialmente, “sottosviluppate” (o “arretrate”) e, in seguito, “in via di sviluppo” (o “depresse”).  

Lo sviluppo economico 2 Le prime teorie dello sviluppo economico costituivano una semplice estensione della teoria economica convenzionale, che identificava lo “sviluppo” con la crescita e l’industrializzazione. Perciò, l’America Latina, l’Asia e i paesi Africani venivano considerate come versioni “primitive” delle nazioni europee, destinate a svilupparsi con il tempo, sviluppando tanto le istituzioni quanto gli standards di vita sulla base del modello dell’Occidente. L’approccio seguito nelle prime discussioni sullo sviluppo economico era quello della “Teoria degli stadi”, cui facevano riferimento Alexander Gerschenkron e Walt W. Rostow. Secondo tale teoria, tutti i paesi dovevano passare attraverso gli stessi stadi di sviluppo economico: perciò, le nazioni sottosviluppate si collocavano in uno stadio primordiale lungo il percorso lineare di sviluppo storico, mentre le nazioni sviluppate si trovavano ad uno stadio molto più avanzato. Nell’immediato dopoguerra, l’attenzione degli economisti si rivolse alle problematiche dello sviluppo economico e della ricostruzione post-bellica in Europa (secondo il modello di sviluppo economico ideato da Roy Harrod ed Evsey Domar). In seguito, il concetto di sottosviluppo venne ripreso e modificato da Hollis Chenery, Simon Kuznets e Irma Adelman, che, pur negando il principio dello sviluppo lineare, affermarono che i paesi tendevano a seguire analoghi modelli di sviluppo.  

Lo sviluppo economico 3 Il concetto venne approfondito da Ragnar Nurkse, che mise in relazione lo sviluppo con la crescita della produzione, identificando, così, nella formazione del capitale il fattore centrale per accelerare lo sviluppo. Questo principio fu adottato da Rosenstein-Rodan, che iniziò ad applicare il modello di Harrod-Domar alle specifiche problematiche dei paesi in via di sviluppo (PVS), mentre W. Arthur Lewis analizzava il ruolo del risparmio nella crescita economica. L’affermazione dell’economia dello sviluppo venne fortemente influenzata dall’assetto internazionale creatosi nel periodo della decolonizzazione, che determinò il mutamento degli atteggiamenti degli ambienti economico-politici verso le problematiche dello sviluppo nei paesi del Terzo Mondo. L’esigenza, strettamente politica, di definire nuove relazioni politiche fra le grandi potenze e gli Stati non-allineati portò ad una nuova concezione dei rapporti economici che tali relazioni avrebbero dovuto sostenere. Non è un caso che il termine “Terzo Mondo”, impiegato, per la prima volta nel 1952 dall’economista francese Alfred Sauvy in un articolo sull’Observateur, aveva un significato strettamente politico, benché esso abbia oggi assunto un significato prevalentemente economico.

Lo sviluppo economico 4 La creazione, nel dopoguerra, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, insieme alle altre Organizzazioni Internazionali costituite in quel contesto, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, rappresentò un altro fattore determinante nell’evoluzione della teoria dello sviluppo economico. Fu, quindi, un’aspirazione prevalentemente politica a condurre ad una revisione del modello di Harrod-Domar, che si basava sul divario del risparmio. Gli Aiuti Internazionali allo Sviluppo si rivelavano, infatti, agli occhi dei PVS, sempre più come uno strumento per creare nuovi meccanismi di dipendenza e di subordinazione; e, d’altro canto, diveniva man mano più evidente come il ruolo svolto dagli aiuti fosse decisamente meno rilevante di quello svolto dal commercio internazionale. Nell’Assemblea Generale dell’ONU del 1961 fu avanzata la richiesta di riunire una conferenza mondiale per esaminare la questione. Nel frattempo, la U.N. Economic Commission for Latin America, a Santiago, sviluppava il concetto di “external strangulation”, che introduceva, un divario esterno nel modello di Harrod-Domar, dando luogo al “modello dei due divari”, meglio noto come “modello di Chenery-Strout”, dal nome dei due economisti che lo predisposero in una pubblicazione del 1962.

Lo sviluppo economico 5 Gli investimenti privati rivolti ai PVS, fino all’affermazione del modello di Chenery-Strout (anni sessanta), non avevano svolto un ruolo determinante per il loro sviluppo. Lo stesso modello di Chenery-Strout non considerò in modo distinto Aiuti e Flussi di Capitali Privati (anche le statistiche dell’epoca, spesso, non consideravano separatamente i due flussi). L’esigenza di determinare econometricamente quali fossero i risultati degli Aiuti, differenziandone gli effetti sullo sviluppo da quelli ottenuti mediante gli investimenti privati, si collegò ad una critica di tipo neo-keynesiano al modello dei due divari: quest’ultimo, partito dallo stesso ambito (dal quale derivava anche il modello di Harrod-Domar), tendeva però a sottacerne i risvolti moltiplicativi del reddito, che avrebbero inficiato l’ipotesi di costanza del rapporto incrementale capitale/prodotto. Il modello di Chenery-Strout negava, in altri termini, l’impatto sul reddito derivante dall’impiego degli Aiuti a fini di consumo, obbligando le politiche economiche ad orientarsi esclusivamente verso gli investimenti. La prima approfondita revisione critica dell’opera di Chenery e Strout venne condotta da Keith Griffin, secondo cui, i flussi di Aiuti erano trattati dal paese beneficiario come se si trattasse di un incremento del reddito e, quindi, venivano allocati fra risparmi e consumi, alla stregua del reddito nazionale, in base alla propensione marginale al risparmio. In tal modo, gli Aiuti finivano per spiazzare il risparmio interno.

Lo sviluppo economico 6 Lo sviluppo che ne risultava, da un lato, era fortemente dipendente dall’afflusso di capitali dall’estero, dall'altro, aveva un valore inferiore a quello calcolato con il modello di Chenery-Strout. In realtà, lo stesso modello proposto da Griffin si rivelò ben presto inadeguato a rappresentare efficacemente la complessa problematica delle relazioni fra aiuto e sviluppo. Il primo a rilevare un limite fondamentale di questo modello fu Walter T. Newlyn, che, in un articolo del 1973, criticò la mancata considerazione degli effetti moltiplicatori dell’afflusso di Aiuti, che avrebbero potuto determinare un incremento del reddito, con conseguenti riflessi positivi sul livello dei risparmi interni. Inoltre, il modello di Griffin non valutava la possibilità di vincolare gli Aiuti all’investimento: anche se il vincolo poteva non produrre effetti sullo schema dei consumi, tuttavia, andavano essere presi in considerazione una serie di casi in cui la presenza di tali effetti contraddiceva gli argomenti di Griffin stesso. Gli Aiuti vincolati avrebbero forzato un paese a risparmiare una quota dell’incremento di reddito maggiore di quanto risultava dalla sua propensione marginale al risparmio. Peraltro, vincolare gli Aiuti significava favorire un impoverimento immediato a favore di uno sviluppo promesso. In altri termini, la popolazione avrebbe dovuto rinunciare ad una quota di benessere immediato - consumando una parte degli aiuti - in favore dello sviluppo del paese.

Lo sviluppo economico 7 Questo sacrificio era legato alla convinzione, secondo cui, le spese per consumi, comprese quelle per la tutela della salute, per l’istruzione e per una migliore alimentazione, non determinavano sviluppo. L’analisi di Griffin rivelava una forte dipendenza dai limiti imposti dal modello di Harrod-Domar. Tali limiti sarebbero stati superati solo con la nascita della “Teoria dei Bisogni Fondamentali”. Sul finire degli anni sessanta e nel corso della prima metà degli anni settanta, si diffuse un atteggiamento ottimistico sulla possibilità di crescita economica dei PVS, che prendeva spunto dagli ottimi risultati raggiunti da parte di alcuni (pochi) Paesi in via di sviluppo, nei tassi di crescita e nei rendimenti sugli investimenti. Tuttavia, fra gli studiosi, si affermò un rilevante paradosso: anche tassi di crescita economica elevata non portavano al risultato di una riduzione effettiva della povertà, quanto meno, non nella misura attesa. Si cominciò nuovamente a mettere in discussione l’idea stessa della crescita aggregata come obiettivo sociale. Nacque, così, una nuova sensibilità, da parte degli studiosi, a tutti gli elementi successivamente chiamati fattori strutturali ed istituzionali, che, sebbene presenti nelle tematiche dei primi economisti dello sviluppo, solo nel corso degli anni settanta cominciarono ad assumere un’importanza preponderante, spostando l’attenzione verso le le cause della povertà e allontanandola dai temi macroeconomici, che avevano dominato l’economia dello sviluppo nei due decenni precedenti.

Lo sviluppo economico 8 Gli anni ottanta hanno visto una netta inversione di tendenza e il ritorno in auge delle problematiche macroeconomiche nell’ambito degli studi di economia dello sviluppo, soprattutto a causa dell’insorgenza della gravissima “crisi del debito” e dei fallimenti verificatisi nel corso degli anni settanta, nel tentativo di ridurre la povertà. Due aspetti mettevano in luce la mancata realizzazione degli obiettivi del decennio precedente: da un lato, gli Aiuti non avevano effettivamente modificato, in modo significativo, la qualità della vita degli strati poveri delle popolazioni; dall’altro, il motore della crescita, che aveva determinato alcune ricadute positive, cominciava a rallentare, rendendo sempre più difficile collegare la crescita economica con una redistribuzione di livello più basso (e di conseguenza, inutile). Nel frattempo, sulla scia del modello di Griffin (che aveva dato luogo al cosiddetto “savings debate”) veniva sviluppato un altro approccio al problema dell’efficacia degli Aiuti, imperniato su un’analisi rigorosa del comportamento dei governi dei paesi beneficiari (il “Government behaviour approach”). Fu per primo Peter Heller (1975) a schematizzare un modello matematico, in grado di rappresentare le variabili fondamentali in gioco nel comportamento di un governo.

Lo sviluppo economico 9 Questi studi influenzarono l’atteggiamento degli ambienti politico-economici nel periodo della crisi del debito, ponendo in luce un nuovo tipo di approccio, più genuinamente liberista, che faceva appello alla libertà dei mercati e al libero gioco dei prezzi, in contrasto con la precedente visione di stampo keynesiano, secondo la quale, Stato e mercato tendevano a coesistere in una stretta fusione, con uno Stato “benigno” pronto a guidare e valorizzare gli investimenti: al centro del dibattito, si trovavano ora i tassi di cambio, la liberalizzazione del commercio, la promozione del settore privato, la rimozione dei controlli su prezzi e sussidi, tutti strumenti essenziali per elevare i tassi di crescita. Nasceva così una “nuova ortodossia” (detta anche “Washington consensus”), che vedeva lo sviluppo come un processo economico da attivare con determinazione, eventualmente rimuovendo le strutture statali che impedivano la crescita, e non una reazione automatica a stimoli esterni. Da questa “nuova ortodossia”, sarebbe direttamente scaturita la politica praticata dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale, con i Programmi di Aggiustamento Strutturale e con la pratica della condizionalità degli Aiuti.

Chris Anderson e “The long tail”

Il concetto di “lunga coda” è stato proposto per la prima volta nel 2004 da Chris Anderson, direttore di Wired e autore del libro The Long Tail. Nel grafico che rappresenta questa teoria, la parte alta della curva della domanda rappresenta il consumo di massa, preponderante fino a qualche anno fa, in cui pochi prodott i raggiungevano alti volumi di vendita e in cui alcuni big players dominavano il mercato sforzandosi di interpretarne globalmente gusti, necessità e consumi.

“La coda lunga tende ad emergere nel momento in cui si passa dai canali di distribuzione con spazi limitati a canali in cui lo spazio non è più una risorsa scarsa. Quanto più i canali sono illimitati, tanto più i modelli a coda lunga riescono a svilupparsi meglio. Ma per trovarsi in questa situazione, è necessaria anche un'altra condizione: che gli spazi costino poco. Internet è proprio questo: un luogo con spazi illimitati che tendono a costare sempre meno, se non nulla. È per questo che il free sta cominciando a cambiare la cultura e le regole del mercato, rendendo possibili sia i business grandi, che quelli di nicchia. Quella di Internet è una delle più grandi economie al mondo e, per di più, in gran parte basata sul modello del free (i software e i servizi sono per lo più gratuiti). Fino ad ora non avevamo mai avuto un mercato così grande interamente incentrato sul gratis. Questo rappresenta una sfida non indifferente per la teoria economica classica” (C. Anderson, World Marketing & Sales Forum, 2008).

Poiché i costi di produzione e distribuzione diminuiscono drasticamente online, la necessità di raggruppare prodotti e consumatori in pochi segmenti molto ampi è minore. La lunga coda costituisce pertanto la p a r t e d i c u r v a d e l l a d o m a n d a - potenzialmente infinita - che sottende tutta quella moltitudine di nicchie di mercato che prima restavano invisibili e non servite, e che ora diventano invece target economicamente attraenti. In questo nuovo scenario, è l’utente stesso a trarne più utilità, avendo la possibilità di raggiungere e di scegliere ciò che davvero gli interessa, non più costretto a un consumo di massa.

The three forces of the Long Tail

Minimize  the  transac6on  costs  of  consump6on   Democra6ze  the  

tools  of  produc6on  

Connect  consumers  to  amplify  word  of  mouth  

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Il  “prosumer”  di  D.  TapscoP  

-­‐  Nel  suo  testo  “Wikinomics:  How  Mass  CollaboraJon  Changes  Everything”  Don  Tapsco)  introduce  il  conce)o  di  “prosumer”  per  riferirsi  alla  creazione,  in  una  sorta  di  di  ciclo  virtuoso,  di  prodoQ  /  servizi  da  parte  delle  stesse  persone  che  li  useranno.    -­‐  Sempre  più  a)raverso  l’uso  di  risorse  interne,  strumenJ  Open  Source  &  capitale  intelle)uale  disperso  nel  Web  gli  utenJ  finali  sono  gli  stessi  che  sviluppano  i  servizi  di  cui  essi  per  primi  faranno  uso.  In  questo  senso  il  “prosumer”  è  il  consumatore  e  il  produPore  dei  servizi  che  egli  stesso  usa.      

Vilfredo Pareto (1848 - 1923) studiò la distribuzione del reddito in una nazione e trovò che vi sono pochissimi individui a basso reddito e che, inoltre, aumenta il numero di coloro che hanno un reddito medio, mentre tornano ad essere pochi ad avere un altissimo reddito. I l g r a f i c o c h e r a p p re s e n t a l a distribuzione del reddito è del tuttto caratteristico ed è chiamato “curva paretiana dei redditi”.

Curva paretiana della distribuzione dei redditi in una collettività - legge naturale

 

Pareto attinge ai concetti di ofelimità, curva d’indifferenza, massimo del piacere, ecc., per spiegare i diversi tipi di equilibrio, le proprietà degli equilibri parziali, quelle dell’equilibrio generale, ma, mentre le teorie tradizionali sull’interesse generale si concentrano sulla capacità di confrontare il benessere individuale, il massimo della somma complessiva del benessere e un’equa distribuzione dei redditi, Pareto sostiene che non è possibile confrontare l’ofelimità di diversi individui, da cui consegue un completo rifiuto di tutte le leggi di distribuzione. Non è più soddisfatto della sua analisi, puramente economica e teorica, tanto che nel suo Manuale scrive che, volendo operare uno studio scientifico dei fatti sociali, bisogna tener conto della realtà e non dei principi astratti. Infatti: “le teorie operano pochissimo per determinare gli atti dell’uomo, molto maggior forza hanno [...] il tornaconto e le passioni, e sempre si trova qualche compiacente teoria che li giustifica”. Per di più, “l’uomo ha una tendenza spiccatissima a figurarsi come logiche le azioni non-logiche”. Ofelimità: TS filos., nel pensiero dell’economista e sociologo Vilfredo Pareto (1848–1923), il valore d’uso di un bene determinato dal personale piacere che un individuo ne trae o crede di trarne.

La fortuna alla Base della Piramide (Prahalad)

La base della piramide (economica) consiste nei quattro miliardi di persone che vivono con meno di $2 al giorno. Per più di cinquanta anni, la Banca Mondiale, nazioni erogatrici, varie agenzie di sussidio, governi nazionali e, ultimamente, le organizzazioni sociali e civili hanno tutte fatto del loro meglio, ma non sono riuscite a sradicare la povertà. C.K. Prahalad inizia il suo volume “La fortuna alla Base della Piramide”, con una proposta semplice ma rivoluzionaria: se smettiamo di pensare ai poveri come vittime o come un fardello e cominciamo a riconoscerli come imprenditori resilienti e creativi o consumatori attenti al valore, un nuovo mondo pieno di opportunità si potrà aprire. Prahalad suggerisce che quattro miliardi di poveri possono essere il motore del prossimo turno del commercio e della prosperità globale e possono essere fonte di innovazioni. Servire i clienti alla Base della Piramide richiede che le grandi aziende lavorino in collaborazione con le organizzazioni sociali, civili e gli enti pubblici territoriali. Ancora, lo sviluppo del mercato alla Base della Piramide creerà milioni di nuovi imprenditori, come fili di erba.

Prahalad presenta il suo punto di vista per affrontare il problema della povertà come una soluzione di Co-Creazione verso lo sviluppo economico e la trasformazione sociale, le cui parti in causa sono: * Imprese private; * Agenzie di sussidio e sviluppo; * Consumatori della Base della Piramide; * Imprenditori della Base della Piramide; * Organizzazioni sociali civili ed enti pubblici territoriali.

I presupposti della “Base della Piramide” sono i seguenti:

1. I poveri non possono partecipare ai benefici della globalizzazione, senza una partecipazione attiva del settore privato e senza accesso a prodotti e servizi che rappresentano gli standard di qualità globale. 2. Il mercato della Base della Piramide offre una nuova occasione di sviluppo del settore privato e un forum per le innovazioni. Le vecchie e sperimentate soluzioni non possono creare mercati per la Base della Piramide. 3. I mercati della Base della Piramide devono trasformarsi in parte integrante del lavoro e del business centrale del settore privato. I mercati della Base della Piramide non possono essere lasciati soltanto al campo delle iniziative aziendali di Responsabilità Sociale (CSR). (cfr. C. K. Prahalad, The Fortune at the Bottom of the Pyramid: Eradicating Poverty through Profits, 2005).

75-­‐100  

4,000  

>$20,000  

$1,500-­‐$20,000  

$1,500  

<$1,500  

1,500-­‐1,750  

Purchasing  Power  (US$)   Global  populaJon  (m)  

1  

2  

4  

3  

=   ?  

Lo sviluppo in Italia: dualismo, crescita e crisi

La SVIMEZ

L’economia italiana oggi

La globalizzazione economica e l’Italia

Nouriel Roubini

Marcello De Cecco

Il fantasma del protezionismo

h)p://www.economiaesocieta.org/gallery/Video/convegni_Milano/Il_fantasma_del_protezionismo/

Marcello_De_Cecco.kl  

L’impresa italiana nelle fonti elettroniche. Alcune indicazioni

“Il passato, il presente e l’avvenire della industria manifatturiera in

Lombardia”

h)p://www.archive.org/stream/ilpassatoilpres00merlgoog  

“Introduction to foreign trade”

La prossima tappa, il cloud computing

Secondo Nicholas Carr, ex direttore della “Harvard Business Review”: “Se la dinamo elettrica fu la macchina che diede forma alla società del XX secolo, la dinamo informatica è la macchina che darà la forma alla nuova società del XXI secolo” (N. Carr, The Big Switch: Rewiring the World, from Edison to Google, 2008). La fibra ottica nelle aziende, la diffusione della banda larga e la virtualizzazione, giunti a maturazione solo negli ultimi anni, sono alla base di questo nuovo paradigma. Carr ha osservato che quando cambia la modalità di fornitura di una risorsa – in questo caso, Internet si è trasformato da un insieme di pagine consultabili, in una piattaforma di distribuzione programmabile dall’utente, come se fosse un computer -, appare evidente il legame tra tecnologia e società.