Gli anni che ci separano -...

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Gli anni che ci separanodalla prima edizione diLeopardi progressivo hannoacquisitodefinitivamenteallacultura italiana ed europeaquella che all’epocarappresentò una tesicontrocorrente destinata adare una svolta decisivaall’interpretazione delpensiero e della poeticaleopardiana.Inquestosaggioper la prima volta si delinea

un vero e proprio, originalesistema filosofico che scalzale interpretazioniottocenteschedelpoetacomeritrattista della natura ecantore dei sentimenti e delpessimismo, per sostituirviquella di un Leopardimetafisico, filosofoperfettamente compiuto in séma aperto a condividere lesue tragiche scoperte conl’interaumanità.

Ilsaggioèaccompagnatoda tre scritti successivi (Ilpensiero di Leopardi,L'officina dello Zibaldone eNaufragio senza spettatore)che arricchiscono eaggiornano la riletturaleopardiana proposta daLuporini.

Cesare Luporini (1909-

1993) insegnò storia della

filosofia e filosofia moralenelle università di Pisa eFirenze,efutraifondatoridiSocietà. Tra le sue opereprincipali:Situazioneelibertànell'esistenzaumana(1941);Filosofi vecchi e nuovi (1947);LamentediLeonardo(1953); Spazio e materia inKant (1961); Dialettica ematerialismo(1974).

OcreconversioneacuradiNatjus

LadridiBiblioteche

Nuovabibliotecadicultura

CesareLuporini

Leopardiprogressivo

IIIedizione:maggio1996© Copyright Editori

Riuniti,1980Via Arenula, 41 - 00186

RomaGrafica Luciano

VagagginiISBN88-359-4067-2

Indice

Avvertenze dal 1980 al

1992Leopardiprogressivo

IlpensierodiLeopardiL’officina dello

ZibaldoneNaufragio senza

spettatore(L’Infinito)Indicedeinomi

Avvertenzedal1980al1992

Questo saggio si

ripubblicaadistanzadipiùditrent’anni dalla sua primaapparizione, che fu nelcontesto di un mio libro

(Filosofi vecchi e nuovi,Firenze, Sansoni, 1947)dedicato a pensatori assaidiversi fra loro: Scheler,Hegel, Kant, Fichte,Leopardi. Quali interessi miavessero portato allora acomporliinsiemeinunaseriedi «sondaggi» (cosi definivoquegli scritti) non è qui ilcasodirievocare.

Ma questo Leopardiprogressivo ebbe subito una

suarisonanzaparticolare,cosìche poi, nel corso di tuttiquesti anni,molte volte sonostato sollecitato aripubblicarlo in edizioneseparata. Questa domandaproveniva da varie parti, masoprattutto dal mondo dellascuola(insegnantiestudenti),il che mi ha sempre fattoparticolarepiacere.Nonmetteconto cercare di dire perchésolo ora mi sono risolto a

questaripubblicazione.Comunque non ho

l’impressione di compiere unatto di disseppellimento,perché lo scritto, anche secosì difficilmente trovabile,hacontinuatoaviveredivitapropria, a produrre i suoieffetti, cioè ad esser citato ediscusso, pro et contra, o inparte pro, in parte contra. Eanche,naturalmente, adesserignorato da chi, fra i

«leopardisti», non avevainteresse o disposizione atener conto della dimensionedi indagine che in esso siproponeva.

Ma, per converso, nonpochi considerano quelladata, il 1947, l'inizio di unamutazione seria, di una«svolta», è stato detto, neglistudi leopardiani, e, più ingenerale, nel modo diaccostarsi aLeopardi, perché

in quel medesimo annocomparve il saggiodiWalterBinni, La nuova poeticaleopardiana, che, fatte salvetutte le differenze, veniva acollocarsi - il che è apparsosempre più chiaro col volgerdegli anni - in un medesimoimpulso di rinnovamento. Ilqualecertamenteavevaradicinel clima di allora chespingeva a moltiripensamenti. Era il frutto di

unagrandeesperienzastoricaacuiavevamopartecipato: laguerra,lalottaantifascista,lanascitadiunademocraziachepensavamo moderna,profondamente innestata nelpopolo e in movimento. Ilrichiamoatalicircostanzeeaquelladatazionehaunvalorerelativoper il lettoredi oggi.Conta però il fatto, quantoagli studi leopardiani, che apartire da quelmomento si è

stabilita in essi e attorno adessi un’area di interessi e didiscussioni nuova, che si èvenuta allargando, la qualenon concerne solo il fattoletterario (anche se questorimanecentrale),machealdilà dei testi, nel rivisitare iprocessichelihannoprodottio in cui si situano, investe ilmodo di considerare laformazione della nostramoderna cultura nazionale e

le valutazioni relative. Aquesta area, dall'interno dellaquale è rinato un «casoLeopardi», sono statevariamente presenti lequestioni interpretativesollevate da questo mioscritto.

Neldireciòpenso,primadi tutto, agli studi successividellostessoBinnieai lavori,alle ricerche, ai vivaciinterventi di Sebastiano

Timpanaro. Faccio solo inomi principali (per generalericonoscimento) ma che nonsono poi i soli a cui fareattenzione. La materia dellaconsiderazione si è cosìapprofondita, articolata eulteriormenteproblematizzatarispetto al presente scritto(anche se ritengo che alcunepartidiessoattendanoancoraun ulteriore svolgimento).Essonell'insiemepresentaun

certo carattere pionieristico,che gli andava serbato. Pertutte le ragioni che ho dettomi sembra evidente che nonavrei avuto diritto diintervenire su questo testo.Ciònontogliecheiosentaungrande debito, non ancorapagato, verso molte delleosservazioni che mi sonostate fatte,o interrogativichemi sono stati posti. Nondispero punto di riprendere

abbastanza presto il filo deldiscorso; forse tornandoancora una voltasull’esperienza leopardiananelle sue fasi e nella suaintegralità. Non solo pertentaredi rispondereaquelleosservazioni e domande, maperché mi sembra che molteulteriori esperienze, esaltantio amare, che abbiamocompiuto specie negli ultimianni, aprono forse, almeno

indirettamente, ancora nuovevedute sul pensiero e sullapoesia di Leopardi: in quellapermanente o rinascentecontemporaneità che risultapropria dei grandi senzabisognodi forzareperquestoiconfinidellalorostoricità.

Il lettorediquestosaggiosi trova di fronte a undiscorso ininterrotto. A lui,eventualmente, inserire dellepause. Anche questo

carattere, dopo qualcheesitazione, gli ho serbato.Esso corrisponde non tanto auna fatica da me durata(perché non ricordo di avermaiscrittoqualcosacontantopiacere), ma tuttavia allosforzo e alla tensione, questosì, per aprirmi la strada, e,come si dice in gergoautomobilistico, per «tenerela strada», senza disperdermiinsentiericollaterali,chepur

via via apparivano. Di quiuna certa impressione di«conseguenziarietà» che sipuòavere(edèstatodetto),odilinearitàoanchestringenzache oggi sarei portato acorreggereinqualchepunto.

Prima di chiudere devomodificare alcuni giudizi chesitrovanonelsaggio.Revocodeltuttolavalutazionechehodato di A se stesso, questostraordinario monologo

lirico-drammatico (in esso,fral’altroèdanotareilruolodella coppia differenziale«desiderio-speranza» cosìimportante inLeopardi e chetalvolta diventa in luiopposizionale).

Vi è, inoltre, nel mioscritto,unaeccessivapresadidistanza dalle Operettemorali (che Leopardi sentivacome un unitario organismodi pensiero), mentre si

privilegia la materia inmovimento costituita dalloZibaldone e dalla sua prosa.Continuo a considerarequest’ultimo l’asse principaleper la ricostruzione delpensierodiLeopardi,finoallesoglie della sua ultima fase.Ma dietro o sotto la relativacristallizzazionerappresentatadalleOperette morali (a cuicorrispondonoicaratteridellaloro prosa) vi sono zone di

profondità essenziali cherichiedono uno scavoautonomo: salvo successivareintegrazione oricomposizione nel corpomobiledelsuopensiero.

Da ultimo, oggi togliereio attenuerei molto ilconfronto col «pensierodialettico»; e non loconfigurerei comunque comeindicazione di un limite diLeopardi. Ciò mi appare

alquanto «datato», per quelchemi concerne, all'epoca incui scrissi questo saggio.L’atteggiamento negativo, ovia via specificamentecontestativo, di Leopardicontiene una tale energiaintrinsecamente dialettica,che egli non ha davverobisogno di siffattiingabbiamenti.

Febbraio1980

Dopounannosiristampa

questa edizione separata delmio scritto leopardiano. Essahaavutoassaifortuna,esonograto a quelli che hannoripreso a discuterne sullastampa o in non pochiincontri, a cui hannopartecipato anche moltigiovani. Per chi piùravvicinatamente si interessa

dell’argomento vorreisegnalare in AntologiaVieusseux n. 59 le pagineintitolate Leopardiprogressivo anni '80 chetrascrivono una tavolarotonda(Gabinettoscientificoletterario G.P. Vieusseux,Firenze,maggio1980) in cuiWalter Binni, SergioLanducci, Claudio Varesee lo scrivente si sonoconfrontati. Credo infatti che

esse costituiscano una messaa punto critica di quanto sipotevadireoggiinproposito.

Marzo1981Non ho nulla da

aggiungere alla avvertenzadel 1980 (con la suaappendice del 1981) se nonunaulterioreprecisazioneneiriguardi delle Operette

morali. Sono giunto nelfrattempo alla conclusioneche la parte fondamentale diesse, e cioè le venti operettescritte da Leopardi nel 1824,rispecchia una fase ditransizionedella sua filosofiadal prevalere giovanile dellaassiologia vitalistica alprimato assegnato nella fasesuccessiva e più matura aivaloridiverità.

Ilmodo in cui oggi vedo

l’evoluzione del pensiero diLeopardi, nel suo complessoe nelle sue articolazioni, sitrova esposto in una miarelazione napoletana delfebbraio 1987, accoltainsieme a interventi di altrinel volume «BibliotecaNazionale di Napoli,Giacomo Leopardi, editoreGaetano Macchiaroli» checontiene il catalogo dellagrande mostra organizzata a

Napoli in occasione delcentocinquantesimoanniversario della morte diGiacomoLeopardi.

Giugno1987Contrariamente all’uso le

avvertenze alla presenteedizione di Leopardiprogressivo compaiono quinelloroordinecronologico,a

partiredaquella(eprincipale)delfebbraio1980.Laragioneèmolto semplice: si tratta diun discorso unico, che sisvolge nel tempo (dodicianni) con successive parzialicorrezioni. L’ultima dellequalidevointrodurlaora,edèsostanziale. Non sono piùaffattod’accordoconpartediciò che affermavo nel 1987:con il considerare, cioè, leventi operette morali scritte

da Leopardi nel 1824 (epubblicate nel 1827, salvoalcuneanticipazionibennote)come se esse rispecchiasserosoltanto una fase transitoriadella sua filosofia. Sonoarrivato alla conclusioneopposta: che esse, pur nellaloro varietà tematica ealternanza di registri,rappresentano un momentodel tutto autonomo, benefondato in se medesimo, del

suofilosofare.Ilfattocheeglinonfosseancorapervenutoaunpienomaterialismo(quellodel Frammento apocrifo diStratone di Lampsaco) nontoglienullaa taleautonomia:anzi la sottolinea fortementeperché anche quel definitivopassaggio non era affattonecessitato (come credo diaver dimostrato altrove),Leopardi essendo giàapprodato a un radicale

nichilismo ontologicocomplementare a unnichilismo assiologico,destinato quest’ultimo a nonpiù scomparire in lui. Da unpunto di vista letterarioqueste circostanze internedanno alla prima edizionedelle Operette morali unastruttura compositiva inperfetto equilibrio con sestessa, facendone pressochéunsistema(letterario)chiuso.

Il quale viene spezzatosuccessivamentedaLeopardi,certo non senza intenzione,con l’aggiunta delle nuoveoperette (ma anche togliendoqualcosa) fino ad arrivare alprogettochefupoirealizzatodal Ranieri nel 1845: nelquale itinerario invece deldettoequilibriosiproduceuncrescente dis-equilibriodinamicochelecostituisceinsistemaaperto.

Colpisce una certaanalogia con il procedereleopardiano nei riguardi deiCanti (titolo che già esprimeuna grande innovazionelirica).Laprimaedizionedeiquali (Firenze, 1831) èanch’essa pressoché unsistema (poetico) chiuso. PoiLeopardi, con i grandisuccessivi arricchimenti dicomposizionipoetiche,venneanche sfrangiandolo e

assottigliandolo nella parteterminale, già nell’edizionenapoletana del 1835 - e sipensi ai sette numeri finalicosì impreziositi da queiparziali recuperi giovanili -,perfino con l’innalzare adautonoma dignità letteraria ilgenere dei «frammenti» nelmomento in cui egli avevaormaidistrutto,scientemente,ogni tradizionale distinzionedi generi lirici. Ora queste

vere e proprie inversioni dirotta nella ampliata strutturacompositiva dei due insiemisono evidentemente quantomaivolontaristiche,esideve(credo) assumere cheLeopardi con esse intendesseesser fedele non solo a unasse principale di pensiero,ma ai movimenti anchecontrastanti del suo poetare-filosofare, fino ai registri piùleggeri di esso.Come se egli

ciavvertissedinonprenderloin maniera tropposemplicistica e riduttiva, ounilaterale(ilchesiprodusse,specienell’800,perfinoconilgrandeDeSanctis inqualchemisura). Dunque lacorrezionecheora introduco,sopra illustrata, per leOperette morali del 1827, ècarica di implicazioniriguardanti l’intero lascitoleopardianodegliscrittidalui

pubblicati o progettati per lapubblicazione.

Nellapresenteedizionedi

Leopardi progressivovengono soppresse le dueappendici - precedentementesempre riprodotte - la prima(La nazione come societàmoltoestesa)perchéassorbitain uno studio che stopreparando; la seconda(DiscussionecolSalvatorelli)

perché ormai privad’interesse, ritengo, per illettore di oggi. La presenteedizione viene inveceaccresciuta da altri tre scrittipiù recenti, di caratteresintetico, già pubblicatisparsamente ma non primaraccolti, nei quali propongoalcune idee, o linee, dicarattere interpretativo chenelfrattempohomaturato:

I.Larelazionenapoletana

sopra ricordata dal titolo IIpensiero di Leopardi (inquesto scritto si trova unriferimento cruciale allafigura di Bruto minoreintorno ai cui significatileopardiani, debbo segnalare,ho tentato una trattazioneanaliticainLeopardieBruto:il rinnegamento della virtùpubblicato in Aa.Vv.,Filosofia e cultura. PerEugenioGarin,vol.II,Roma,

EditoriRiuniti,1991).II. L'officina dello

Zibaldone,scrittogiàapparsoin «L’Indice» del marzo1992,inoccasionedelgrandeevento culturale costituitodalla pubblicazione di«Giacomo Leopardi,Zibaldone di pensieri,,edizione critica e annotata acuradiGiuseppePacella», intre volumi. Voglio quiringraziare Cesare Cases che

mi offrì tale opportunità nelmensile da lui diretto,suggerendomi in qualchemodo anche il taglio delloscritto, non meramenterecensorio.

IIΙ. Naufragio senzaspettatore, già pubblicato in«50 rue de Varenne»,supplemento italo-francesedi«Nuovi Argomenti», marzo1989.Elatraduzioneitalianadi una breve relazione

pronunziataaPariginel1988in un convegno dedicato aivari aspetti della idea di«infinito» (filosofici, fisici,matematici ecc.) cheprendeva le mosse daL'InfinitodiLeopardi.Quellastraordinariaeperfettaliricaèdivenuta, per una generalitàdi lettori, talmenterappresentativa della poesialeopardiana che mi èsembrato utile inserire la

lettura che ne ho fatto inquesto volumetto destinato aun largo pubblico, speciedelle scuole. Ma perchétornare ancora su taleargomento? Molte egregie eanche finissime cose sonostate scritte nel corso didecenni intorno a quel testo:si dà il caso però che sequesta mia decifrazione ègiusta - particolarmente perciò che concerne la

asimmetria che vi individuofra spazialità e temporalitànell’esperienza poetica diLeopardi-tuttelealtrelettureal riguardo necessariamenterisultano errate. E lo dicosenza presunzione alcunaperchésobenissimochesonoio a poter aver sbagliato(anchesenonlocredo).

In questi anni mi si èvenutomeglioscoprendounostrato più profondo del

pensiero di Leopardi (cosiegli stesso lo considerava),quello che ben si puòchiamare metafisico (senzaessergli infedele) il quale siconnette al suo peculiarenichilismo.Ad essodel restogià si faceva cenno inLeopardi progressivo (ma ilprimoapercepireconsicuraeargomentata intuizione il«nullismo» di Leopardi fuVincenzo Gioberti: colui che

fu il primo in Italia a capirequalcosa, anzi moltissimo,della sua filosofia, e adedicargli illuminantipagine). In proposito hopubblicato due scritti:Assiologia e ontologia nelnichilismo di Leopardi (inAa.Vv., Leopardi e ilpensiero moderno, a cura diCarlo Ferrucci, Milano,Feltrinelli1989)eNichilismoe virtù nel percorso di

Leopardi (in «MicroMega»,1/90). Non si accolgono quiperchéessiormaifuoriesconodall'orizzonte di Leopardiprogressivo, pur senzasmentirlo: non vogliocontribuire a confonderelivellidipensierocosìdiversi.

Luglio1992

Leopardiprogressivo

Nonsivuoleriprenderqui

laquestioneseLeopardi fuonon fu «filosofo». Laquestione è oziosa, una voltaposta astrattamente. Sotto iltermine«filosofo»sipossonoinfatti intendere cose assaidiverseedaultimononsipuò

non ammettere che ogniuomo è filosofo, perché ogniuomo vive dentroun’intuizione del mondo edella vita (coerente oincoerente che sia), connessaintrinsecamente al linguaggioche egli parla e ai valori cheagiscono in lui. Diventa cosìuna questione di più o dimeno, che non può nonrisolversi nell'analisiparticolare. Tuttavia, alle

soglie di questa analisi, nonpuò non presentarsi questadomanda: la cosiddetta«filosofia» di Leopardi haimportanza solo comeingrediente, come materiadella sua poesia, ossia comeparte del suo «mondopoetico»,opresentaancheuninteresse autonomo? Alladomanda si è già risposto inmodi vari, anzi opposti,tuttavia, ci sembra, cadendo

quasi sempre in posizioniestreme, o troppo negando otroppo attribuendo alLeopardi. Leopardi parlaspesso del «suo sistema» enon a torto, perché vi è unacoerenza, o per lomeno unacorrelazione sistematica, fragli atteggiamentifondamentali del suopensiero; tuttavia non apparepossibile inserire questo«pensiero» di Leopardi in

quella connessioneproblematica e critica,sempre rinnovantesistoricamente, della indaginesulla realtà, per cui conrisultati nuovi e fecondi ognigenerazionetornaaleggereea interpretare i dialoghi diPlatone o il Discorso delmetodoolaLogicahegeliana.Il pensiero di Leopardirimane escluso da taleconnessione,cheèpoiquella

del puro momentoconoscitivo nel processocriticodell'umanacostruzionedellaverità, ilmomentodellascientificità, intrinseco allafilosofia; e in questo senso èda accogliersi il giudizio cheil Leopardi non fu filosofo.Ma quel momento critico,obiettivo, scientifico delfilosofare non si pone mai,nel fatto, in modo separato,maèsempreconnessoconun

altro momento che losorregge e gli fornisce ilterreno primordialed’indagine,ilmomentochesipuò chiamare dellaWeltanschauung>espressionedi concrete, reali, situazioniumane e storiche,unificazione sia pur sempreprovvisoria, ma tuttavia talechecondizionailconfigurarsie la scelta dei problemiparticolari, scientifici: della

loro soluzione laWeltanschauung subisce irisultati e la spinta, ma necostituisce anche il limiteimmanente. Solol'interpretazione storico-criticapuòdivoltainvolta,aposteriori, distinguere i duemomenti. Essi, nella culturaeuropea dal Rinascimento inpoi, si sono spessoacutamente polarizzati, eaccanto ai filosofi in senso

tecnicoecritico-scientificocisono stati i moralisti,elaboratori di immediateesperienze umane, specifichedi un’epoca, di una classe, odi una rilevante personalità(anche se presentate subspecie aeternitatis), e il cuipensieroècaratteristicamentecontrassegnato daun’accentuazione ottimisticao pessimistica della visionedelmondo e delle cose, che,

come tale, esula dalla puraindagine scientifica. Questeesperienze e questeelaborazioni(soventeradicatenella vita religiosa) hannoavuto notevolissimo pesonello svolgimento dellaculturaedellastessafilosofiamoderna,ebastiricordaregliumanisti italiani, Erasmo eMontaigne, Pascal e Pope e,ingenere, imoralisti francesie inglesi del XVII e del

XVIII, giù giù fino a unKierkegaardoaunNietzsche.

La«filosofia»diLeopardisi risolve tutta, o pressochétutta, su questo terreno: eglifu un grande «moralista»1,apparizione molto rara nellatradizione italiana e proprioper questo non facilmentecomprensibile presso di noi.Il suo pensiero nasce daun’esperienza tragica,acutamente rappresentata e

analizzata, e sia pure, com’èstatodetto, esperienzadi una«vitastrozzata»2:maunavitastrozzataè tuttaviaunavitaepuò divenire, anchestoricamente, altamenteindicativa. L’importanza diquesta esperienza e della suaespressionenonèquindinellapretesa alla universalitàscientifica,manell'intensitàeprecisionecheessaacquistaeriesce a mantenere dentro il

limitecheleèproprio,percuidiventa in qualche modoesemplare e tipica.L’esperienza leopardiana hale sue radici essenzialmentenell’epoca romantica, matuttavia la oltrepassa per ladirezioneincuisisvolge,perla schiettezza e virilecompostezzaconcuièvissutae fatta oggetto di riflessione,priva com’è di estetizzantecompiacimento e, quasi

sempre, del gusto dellasofferenzaedi-lacerazionedacui è materiata: «coscienzainfelice» che non si culla insemedesima.I termini incuisi precisa quest’esperienzasono, nel loro scomporsi ericomporsi, legatistrettamente, e incertomodofisiologicamente,allavicendaindividuale di Leopardi;tuttavia, proprio per quellaparticolare esemplarità e

intensità, hanno un bendelineato valore storico,rappresentano in una suasfumatura la crisi di unasocietàediun’epoca(ondelarisonanza europea delLeopardi), talché si può direche nell’anima moderna vi èunanotainconfondibilecheèil «momento leopardiano».Èil momento,drammaticamente sofferto,dell’isolamento del mondo

interiore, della suaincongruenza con la realtàstorica e con la quotidianitàdella vita. Un momento chegià lo Hegel aveva sentito eacutamente indicato in unframmento giovanile3: «lanostalgia verso la vita dicolorochehannoelaboratoinsélanaturainidea...Costoronon possono vivere soli, el’uomo è sempre solo anchese egli si è posto dinnanzi la

propria natura e di questarappresentazione ha fatto ilsuocompagnoeinessagodese stesso; egli deve trovareanche il rappresentato comeun vivente». Questo fuappuntoilproblemainizialeefondamentale del Leopardi;quelloincuiegliandòdeluso:trovare il rappresentato,l’immagine,comeunvivente.Aggiungeva lo Hegel: «Lostato dell’uomo che il tempo

ha cacciato in un mondointeriore, può essere osoltanto una morte perpetua,se egli in esso si vuolmantenere, o, se la natura lospinge alla vita, non puòessere che un anelito asuperare il negativo delmondosussistente,perpotersitrovare e godere in esso, perpoter vivere».Leopardi visseinunsiffattoanelitoeinessofallì.Spintoallavitanonpotè

superare «il negativo delmondo sussistente»: non sitrattava soltanto del mondodelle sue misere vicendepersonali, ma dell’epoca cheegli fu costretto a rifiutare.Egli non si potè «trovare egodere» in essa, nonpotè, intal senso, «vivere». Cercò, enon potè trovare, il«rappresentato come unvivente». Questo«rappresentato» si chiamò

così per lui illusione.Cacciatoeisolatodaltempoedalle circostanze nel «mondointeriore» lo stato, malsofferto, che egli analizzò ecercòdi teorizzarefulostatodella «morte perpetua», iltedio,lanoia.

Il tedio, gran tema deiromantici, è principio e finedel«sistema»diLeopardi,manon ne rappresenta, da solo,l’interno dinamismo. Il

rapportocheLeopardihaconesso,comecontutti i terminidel suo mondo filosofico(natura, ragione, illusione,ecc.),èunrapportopersonalee drammatico, diconsentimentoorisentimento,di accettazione odeprecazione. Questi terminidivengono essi stessipersonaggi di un dramma.La noia rivela il vuoto, ilnulla delle cose, conclude

Leopardi. Ma il vuoto, ilnulla,sonopersonaggitragicisolo in quanto corrispondanoa un’aspirazione inappagata,che trova tutto meschino ciòche è dato e può venir dato.Quest’aspirazione inappagataha un volto scoperto, che ilLeopardi analizza e conduceal paradosso, ma ha ancheuna sostanza nascosta chespetta a noi trarre alla luce.Questa sostanza è, vedremo,

l’aspra delusione storica chesta all’origine del dissidioleopardiano. Essa è rivelataproprio dalla pervicacevolontà che ebbe il Leopardidi tenersi stretto al giocorigoroso dei termini che laesprimevano,cheècomedirealle proprie convinzionirazionali,edinonevaderenelvago e nell’indefinito dell'ethosromantico,eglichedelvagoedell'indefinito sentì (e

la teorizzò) tutta lasuggestione poetica. Nonbisogna dimenticare chequestoromanticofuunateoeun materialista, il quale nonsolo si tenne fedele, masempre più si confermò, daultimo quasi conaccanimento, nei principi del’700;egiàavevacombattutoal suo sorgere, in Italia, ilromanticismo letterario, dicuinonaccolsemai le forme

e le convenzionalifigurazioni, anche quando lasua poesia da poesia diimmagini si fece, per unacrisidivita,comeeglicidice,«poesiadi sentimento»,ossiapoesia romantica: «nondivenni sentimentale se nonquando, perduta la fantasia,divenniinsensibileallanaturaetuttodeditoallaragioneealvero,cioèfilosofo».

Era proprio ciò di cui il

Leopardi, dapprima, avevafatto colpa al romanticismo;dimischiarepoesiaevita,cheilclassicismoelasuapoeticaavevan tenute distinte, e disostituire così l’effetto allasua causa, l’emozioneall’immagine, imitazionedella natura. Essi «non siavvedono - aveva scrittocontro i romantici - cheappunto questo grande idealedei tempi nostri, questo

conoscerecosìintimamenteilcuor nostro, questoanalizzarne, prevederne,distinguerne ad uno ad unotutti i più minuti effetti,quest’arte insommapsicologica, distruggel’illusione senza cui non cisarà poesia in sempiterno,distrugge la grandezzadell’animo e delle azioni».Essi«nonsiavvedonoches’èperduto il linguaggio della

natura e che questosentimentale non è altro chel’invecchiamento dell'animonostro»(Zib.17)\Ora,questoinvecchiamento è ciò che ilLeopardi appunto finisce peraccettarecomeunfatto,comeildestinodell'uomomoderno.Questo invecchiamento ècostituito dal dominio dellaragione.Che imoderni sianopiù «vecchi» e quindi piùespertiematuridegliantichi,

era stata, nella secolarequestione fra antichi emoderni,latesidicolorocheguardavano con fiducia diprogresso ai propri tempi e aquelli futuri. Non è a caso,vedremo, che sia questa latesi che si mantiene inLeopardi; tuttavia capovoltanei suoi valori. Il dominiodella ragione diventa unelementonegativo.Mafinoache punto negativo? Fino a

che punto la ragione saràrifiutata da Leopardi? E checos’èquestaragione?

Per il Leopardi ilromanticismo è unaconseguenza delrazionalismo,nonperantitesidialettica, ma perché laragione distruggendo leimmagini, nel cui giocooggettivoilmondoclassicosiera chiuso e difeso, dà luogoa un «traboccare» del

sentimento. Si stabilisce cosìuna peculiarissima continuitàfra ragione e sentimento chediverrà una caratteristicaintrinsecadellaimpurapoesialeopardiana. Ma questacontinuità, nei medesimitermini, viene proiettata dalLeopardi anche sul pianostorico e costituirà per lui ildrammatico e fondamentaleproblema,variamentetentato,del rapportodellapropriaetà

colsecoloche l'hapreceduta.L’antitesi non è dunque, inLeopardi, parrebbe, fraragione e sentimento, ma fraaltri termini: inizialmente frasentimento ed immagini;antitesi, sembrerebbe, tuttaletteraria. Ma dietro di essaoperava già un contrastovitale, a cui Metastasio oMonti e i contrappostiromantici, eran di ben scarsoparavento: il contrasto vitale

fra natura e ragione, primascena del drammaleopardiano.

La natura, come hodetto, è grande, laragione è piccola enemica di quelle grandiazioni che la naturaispira. Questa nimiciziadiquesteduegranmadridelle cose non è stataaccordata se non dalla

Religione, la qual solaproponendo l’amoredelle cose invisibili diDio,ec. e la speranzaaipremio nella vita futuraha conciliato conmirabile armonia lagrandezza generositàsublimità, apparentepazzia delle azioni(come son quelle deimartiri, il distacco daibeni terreni da' parenti

dalla patria ec. ildisprezzo dellamorte, ilsacrifiziode'piacerieditutto all'amor di Dio aldovere, ec.) collaragione: armonia chefuor della religione nonsi può trovare se non aparole, perché tolta lasperanza della vitafutura, l’immortalitàdell’anima, l’esistenzadellavirtùdellasapienza

della verità della beltàpersonificata in Dio, lacura di questo essereintorno ai portamentinostri ec. l’amore di luiec. non ci sarà mai sipuòdire,azioneeroicaegenerosa e sublime, econcettiesentimentialti,che non sieno vere epretteillusioniechenondebbano scadere diprezzoquantopiùcresce

l’impero della ragione,comegiàvediamoechesono illusioni quellegrandezzeanchepresentinelle quali la religionenonhaparte,echecolloindebolirsi la forzadellafede negli animi,scemano presentementequelle azioni sublimi,delle quali erano moltopiùfecondisecolipassatiignoranti che il nostro

illuminato. Similmentesi può dire delladolcezza e amabilità ditanteideeeopinionichesenza la religione sonochimere, e collareligione sono verità, ealle quali la ragione perséripugnerebbe,laqualecom’è nemica dellagrandezza,cosìènemicadella profonda e verabellezza,econlei,come

tuttoèpiccolocosì tuttoèbruttoearidoinquestomondo(Zib.37).

Leopardi non sipreoccupaaffattodidircichecos’è natura, che cos’èragione.Eglinonsuoleporsisiffatte domande, non è unfilosofospeculativo.Iterminisonoanzidaluiadoperaticonunacertarigidezza,ilchenonesclude,naturalmente, la loro

complessità e il loro variaredi significato.Questi termini,abbiamo già detto, più checoncetti sono personaggi diun dramma. Quel che ciimporta è quindi, innanzitutto, il modo in cui ilcontrasto vien presentato.Esso è presentato come uncontrastodivalore;ciòcheilLeopardiesprimenell’antitesigrandezza-piccolezza.Quest’antitesipercorretuttoil

pensierodelLeopardiedè inesso decisiva. Essa rimaneconcettualmenteindeterminata, ma esprimeuna precisa colorituraassiologica, che investe nellostesso tempo, in modocaratteristicamenteleopardiano,lasferamoraleequella estetica. Ad essa saràaffidato l’idealeeroicochesitrasformerà lungo il corsodellavitadiLeopardi,manon

cesserà mai di dominarla. Ilpunto di raccordo framoraleeroica e poesia è costituitodall’altro gran personaggiodel dramma leopardiano,l'illusione, che appare sindall’inizio fissato conparadossalefermezza.

Il più solido piacerediquestavitaè ilpiacervanodelleillusioni.

Io considero le

illusioni come cosa incerto modo reale stantech’elle sono ingredientiessenziali del sistemadella natura umana, edate dalla natura a tuttiquanti gli uomini, inmanierachenonèlecitospregiarlecomesognidiun solo, ma propriveramente dell’uomo evoluti dalla natura, esenza cui la vita nostra

sarebbe la più misera ebarbara cosa ec. Ondesono necessari edentrano sostanzialmentenel composto ed ordinedellecose(Zib.51).

Suquestoconcetto,com’ènoto, il Leopardi tornaripetutamente: essocostituisce un tema costanteche viene continuamentevariato e intorno al quale si

compongono tutti gli altrimotivi della tematicaleopardiana, natura,immaginazione, ragione,filosofia, poesia, felicità,morte,amore,piacere,noia.

Le illusioni sono unprodotto della natura,«inerenti al sistema delmondo», «appartengonosostanzialmente al sistemanaturale e all’ordine dellecose» e come tali «sono

necessarie e essenziali allafelicità e perfezionedell’uomo».Senzaleillusioni«non ci sarà quasi maigrandezza di pensieri, néforza e impeto e ardored’animo, né grandi azioni»(Zib.21). La virtù, nel sensoclassicodellaparola,è legataall’illusione.Leillusionisonofiglie dell’immaginazione.Virtù, felicità, perfezione,immaginazione, natura: nella

teorica dell’illusione èpresente, innanzi tutto, unafflatoumanistico.Lavirtùèla virtù repubblicana.L’immaginazione, sorrettadalla natura, è l’elementocomune che connette le«grandi azioni», le «grandiimprese» con la poesia. Lapoesia, in questo caso, èancora la poesia classica,poesiaeroica.Manell’afflatoumanistico è presente ormai

qualcosa di nuovo,difficilmentedefinibileatuttaprima, che è, vedremo,sostanzialmente, l’esperienzadel ’700, soprattuttol’esperienza rivoluzionaria.NellaRivoluzioneappunto levir-tù antiche, le virtùrepubblicane, sembravanoaverpresocorponuovamente.Nel dissidio fra natura eragione, illusione, virtù,felicità, immaginazione,

poesia, perfezione, eroismostanno tutti, a prima vista,dalla parte della natura. Manon è questo incontraddizione conl’evoluzione del concetto dipoesia che abbiamo giàintravista? In verità il giocodei detti termini è assaicomplesso e il concetto dipoesia ne è, fino a un certopunto, il filo conduttore. Laragione (e la filosofia che da

essa discende) come nemicadella natura, distrugge leillusioni.Manonarrivamaiadistruggerle completamente,altrimentiavrebbedistruttolavita,cheè lasuastessabase.L’illusione, inqualchemodo,finché duri la vita, tornasempre

... a riprenderpossesso e riconquistarePanimo nostro, anche

malgrado noi; e l'uomo(purché viva) tornainfallibilmente a sperarequella felicità che avevadisperata; prova quellaconsolazione che aveacreduta e giudicataimpossibile; dimentica ediscrede quell’acerbaverità, che avea postenellasuamentealtissimeradici; e il disingannopiù fermo, totale e

ripetuto, e anchegiornaliero, non resistealle forze della naturache richiamagli errori ele speranze (Zib. 513-14).

Eancora:

Le illusioni perquantosieno illanguiditee smascherate dallaragione, tuttavia restano

ancora nel mondo, ecompongonolamassimapartedellanostravita.Enon basta conoscer tuttoper perderle, ancorchésapute vane. E perduteunavolta, né si perdonoinmodochenonnerestiuna radicevigorosissima, econtinuando a vivere,tornano a rifiorire indispetto di tutta

l’esperienza, o certezzaacquistata(Zib.213-14).

Perché?

... la natura è cosìsmisuratamentepiùfortedella ragione, cheancorché depressa eindebolita oltre a ognicredere, pure gli restaabbastanza per vincerequella sua nemica, e

questo negli stessiseguaci suoi, e inquellostessomomentoincuilapredicano e ladivulgano, anzi conquesto stesso predicar edivulgare la ragionecontro la natura, ladanno vinta alla naturasopra la ragione (Zib.215).

Dunque,anchecoloroche

predicano la ragione,sperandone buoni effetti,sono in verità sorretti dallanatura e non dalla ragione,ossia operano nella sferadell'illusione.Infatti:

La natura puòsupplire e supplisce allaragione infinite volte,malaragioneallanaturanon mai, né anchequando sembra produrre

dellegrandi azioni: cosaassai rara: ma anchealloralaforzaimpellentee movente non è dellaragione,madellanatura.Al contrario togliete leforze somministratedallanatura,elaragionesarà sempre inoperosa eimpotente(Zib.333).

Dunque: «forza dellanatura e debolezza della

ragione» (Zib. 1816). Laforza della ragione èl'indebolimento della natura.Forza e debolezza dellaragione è una tipicaantinomia leopardiana che sirisolve solo in vista e infunzione della natura.Tuttavia essa ha anche unosviluppo cronologico:dapprima,nell'entusiasmoperla natura, viene in lucel’aspetto «debolezza della

ragione»; più tardi,nell’allargarsi delpessimismo, prenderà ilsopravvento l’aspettoopposto, «forza dellaragione»; ma la conclusionerimane pur sempre lamedesima: la ragione rendeimpotenti, fa l’uomoinattivo.La ragione produce l'indifferenza. Nel 1820,ancora nella prima fase,Leopardiscrive:

La ragione èdebolissimaeinattiva,alcontrario della natura.Laonde quei popoli equei tempi nei qualiprevale più o meno laragione saranno stati esaranno sempre inattiviin proporzione dellainfluenza di essaragione. Al contrariodico della natura. Ed unpopolo tutto ragionevole

o filosofo non potrebbesussistere per mancanzadimovimento(Zib.270).

La causa è appuntol’indifferenza prodotta dalladissolvitrice ragione: «sequesta indifferenza potessedivenire universale in unpopolo,nonesistendovimotoaltrui, non ci sarebbemovimentodinessunasorte».

Oppostaall’indifferenzaè

la passione. Essa fa partedellanatura:sololapassione,mediante l’immaginazione eleillusioni,producelegrandicose. Nel connettersi, cheabbiamo veduto,dell’elemento estetico e diquello morale (moraleeroica), le grandi coseappaionoinunadupliceluce,che ha talvolta coloritureopposte. Sotto l’aspetto,diciamo così, estetico, e ove

si fa più acuto il contrastoragione-natura, le grandicose, ossia le «azionieroiche», le «impresemagnanime», si presentano,come l’irrompere di un«disordine» nel piatto ordinedellaragione.Loabbiamogiàtrovato nello sviluppodell’antinomia fondamentale:«quelle cose che noichiamiamo grandi, peresempio un’impresa,

d’ordinario sono fuoridell’ordine, e consistono inuncertodisordine;oraquestodisordine è condannato dallaragione». Il motivo ritornaspesso.«Lasolanatura-dicealtrove ilLeopardi - èmadredella grandezza e deldisordine. La ragione tuttoall’opposto» (Zib. 252). Difronte alla ragione questodisordine è una specie dipazzia.Legrandiazioni,dice

Leopardi, «per lo più sonopazzie».Maproprioilmotivodella pazzia deve tenercilontanidall’accentuaretropporomanticamente ilmotivodeldisordine.Quella«pazzia»haun’origineumanisticaedè insostanza identica alla virtù:elogio della pazzia, elogiodella virtù. Il drammaromantico sorgerà all’internodi questa posizione, comefallire della virtù, e sarà il

drammadiBrutominore.ManonèacasocheildrammadiBrutosiaundrammastoricoela sua virtù la virtùrepubblicana.Questa virtù ciriconduce all’altro aspettodelle«grandi cose», l’aspettomorale. In che cosa consistela virtù eroica? Le «grandicose»nonsicompionosenzala persuasione. A un certopunto non bastano piùillusioni, passione,

immaginazione: è necessarioquestoelementomoralecheèlapersuasione.

Per li fattimagnanimi è necessariauna persuasione cheabbia la natura dipassione,eunapassioneche abbia l’aspetto dipersuasione appressoquellochelaprova (Zib.125).

Ma non è la persuasioneun elemento razionale che simischia così alla purapassione? Non vi è quiun’aspra contraddizione inLeopardi? Proprio ove piùnettamente Leopardicontrappone ragione epassioni, sembra saltar fuoriquestoelementorazionale:

... la ragione non èmai efficace come la

passione. Sentite ifilosofi. Bisogna farechel’uomosimuovaperlaragionecome,anzipiùassaicheperlapassione,anzisimuovaperlasolaragione e dovere.Bubbole.Lanaturadegliuomini e delle cose puòben esser corrotta, manon corretta. E selasciassimo fare allanatura, le cose

andrebbero benissimo,non ostante la dettasuperiorità dellapassione sulla ragione.Nonbisognaestinguerlapassione con la ragione,ma convertir la ragionein passione; fare che ildoverelavirtùl’eroismoec. diventino passioni.Tali sono per natura.Tali erano presso gliantichi, e le cose

andavano molto meglio(Zib.293-94).

Dunque: superiorità sìdella passione sulla ragione,ma vi è una ragione che puòconvertirsi in passione,calarsi nuovamente nellapassione, ossia rifarsi natura,il che significa che i duetermini non sonoradicalmente eterogenei.Inoltre quella passione che è

virtùèevidentementesorrettada un elemento razionale;presente,anchesedissolto,inessa. Senza questo elementola passione diventa egoismo,intorno al quale Leopardimoltohascritto.L’egoismoèproprio dei deboli e deivecchi, radicato nelladebolezza della natura,l’egoismo è ben diversodall’amor proprio; l’egoismoè proprio dell’età moderna e

del dissolvimento cheLeopardi ritrova in essa. Maqueldissolvimentoè appuntoopera della ragione, ed essocorrisponde allaatomizzazioneindividualistica checaratterizzaquestaetà.

... quando la solapassione del mondo èl’egoismo, allora si haben ragione di gridar

contro la passione. Macome spegner l’egoismoconlaragionechen’èlanutrice, dissipando leillusioni? E senza ciò,l’uomoprivodipassioni,non si muoverebbe perloro, ma neanche per laragione, perché le coseson fatte così, e non sipossonocambiare,chélaragionenonèforzavivanémotrice,el’uomonon

farà altro che divenireindolente, inattivo,immobile, indifferente,infingardo, com’èdivenuto in grandissimaparte(Zib.294).

Abbiamo qui una speciedi precorritrice denuncia del«mal du siècle».Ma come sipuò seriamente sostenere chel’uomomoderno sia inattivo,indolente? Leopardi non

sosterrà questo, ma il puntodiscriminante è per luiproprio quello dell'egoismo:gran parte dell’attivitàmoderna ricade in questasfera, ed è così in ultimo ungioco non solo vano, madisgustoso. Si pensi quantevolte, anche nella poesia,Leopardi ha espresso questodisgusto. Caratteristicamente,l’egoismo non è oppostoall’altruismo, alla filantropia,

come allora si diceva, maall’eroismo.Vièunpensierodel 1820 che comincia:«Dopo che l’eroismo èsparito dal mondo, e invecev’è entrato l’universaleegoismo...».Enel1821:

... la filantropia, oamoreuniversale edellaumanità, non fu propriomainédell’uomonéde'grandi uomini, e non si

nominòsenondopoche,parte a causa delCristianesimo, parte delnaturale andamento deitempi, sparito affattol’amor di patria, esottentrato il sognodell’amore universale(ch’è la teoria del nonfar bene a nessuno)l’uomo non amò verunofuorché se stesso, edodiò meno le nazioni

straniere, per odiarmolto più i vicini ecompagni, in confrontodei quali lo straniero glidovea naturalmenteessere (com’è oggi)meno odioso, perché sioppone meno a' suoiinteressieperch’eglinonha interesse disoverchiare,invidiareec.i lontani, quanto i vicini(Zib.885)5.

La filantropia cristiana emoderna si riduce così aegoismo e ad essa si opponel’amor di patria, lo spiritonazionale che (il Leopardi losottolinea di continuo,riferendosi agli esempiantichi)èodiodellostraniero:questo amordi patria, questospirito nazionale, èl’elemento propriodell’eroismo. Esso è semprein connessione con un altro

elemento fondamentale nellavisione di Leopardi, ilpopolo. Sarebbe importanteraccogliere tutti ipassi incuiLeopardiparladelpopolo,deisuoi usi, tradizioni, tendenzespontanee, passioni, reazioniecc.Leopardihaosservatodicontinuoilpopoloeilfattorenazionale-popolare ha unaparte non indifferentenell'insiemedeisuoi interessiedelle suecuriosità.Sarebbe

errato rivolgere verso il«popolo» lanotapolemicadiLeopardi contro le «masse»,che è storicamentecondizionata e non ha,vedremo, alcun caratterereazionario, ma costituisce,anche nella giustificazionelogica prodotta da lui, untenersi fermo a principiilluministici (Voltaire).L’interesse verso l’elementonazionale-popolare è invece

figliodell’epoca,maancheinesso Leopardi non recanessun atteggiamentoromantico,nessunmisticismoo irrazionalismo storico, masi tien saldo ai principi del’700 e all’ideale della virtùrepubblicana.Inquestosensola corruzione moderna,prodotta dalla «ragione» hadistrutto il popolo perché hadistruttolalibertà.

... il progressodell'incivilimento o siacorruzione, e le altrecause che no tante volteesposte, hanno estintoaffatto il popolo e lamoltitudine,fattosparirelenazioni,toltaloroognivoce, ogni forza, ognisenso di se stesse, e perconseguenzaconcentratoil potereintierissimamente nel

monarca, emesso tutti isudditi e ciascuno diessi, e tutto quello cheloro in qualunquemodoappartiene, in pienadisposizionedelprincipe(Zib.905).

(Si ricordi che Leopardiscriveva nell’Italia del 1821,nell’Italia dellaRestaurazione.) Se questo èl’aspetto negativo, a

brevissimadistanzaditempo,Leopardi, in un frammentoimportantissimo, svolgeval’aspettopositivo:

La virtù, l’eroismo,la grandezza d’animonon può trovarsi ingrado eminente,splendido e capace digiovare al pubblico, senon che in uno statopopolare, o dove la

nazione è partecipe delpotere. Ecco com’io ladiscorro.Tuttoalmondoè amor proprio. Non èmai né forte, né grande,nécostante,néordinariain un popolo la virtù,s’ella non giova per semedesimaacolui che lapratica. Ora i principalivantaggichel’uomopuòdesiderare e ottenere, siottengono mediante i

potenti, cioè quelli chehanno inmano ilbeneeil male, le sostanze, glionori e tutto ciò chespetta alla nazione.Quindi il piacere, ilcattivarsi in qualunquemodo, o da vicino o dalontano, i potenti, è loscopo più o menodegl’individui diciascuna nazionegeneralmente parlando.

Edècosagiàmillevolteosservata che i potentiimprimono il lorocarattere, le loroinclinazioni ec. allenazioni loro soggette.Perché dunque la virtù,l’eroismo, lamagnanimità ec. sianopraticate generalmente eingradoconsiderabiledaunanazione,bisognandochequesto le siautile, e

l’utilità non derivandoprincipalmente che dalpotere,bisognachetuttociò sia amato ec. dacoloro che hanno inmano il potere e siaquindi un mezzo di farfortuna presso loro, cheèquantodirefarfortunanelmondo.

Ora l’individuo,massime l’individuopotente, non è mai

virtuoso. Parlo sì delprincipe come de’ suoiministri, i quali in ungoverno dispotico,necessariamente sondespoti, gravitano soprailorosubalterni,equestisopra i loro ec. essendoquesta una conseguenzauniversale eimmancabile delgoverno dispotico di unsolo;cioècheilgoverno

sia composto di tantidespoti, non potendo ildispotismo essereesercitato dal solomonarca;echel’autoritàdi ciascuno de' suoiministri, mediati oimmediati, sia temutacon una specie dispavento,adorataec.da’subalterni ec. (come sipuò vedere nel governopassato di Spagna) ed

influisca quindisommamente sullanazione, e determini ilsuo carattere, essendodispotica (benchédipendente) padrona delsuobeneedelsuomale.L’individuo, dico, ogl’individui potenti,siccome gli altri, nonsono né possono esserevirtuosi, se non a caso,cioè o quando la virtù

giovi loro (cosa rara,perchéachiha inmanole cose altrui giova ilservirsene, e nonl’astenerseneec. ec. ec.)o quando unastraordinaria qualità dicarattere, di educazioneec. ve li porti, del chevedete quanto sianofrequenti gli esempinelle storie,massimamentemoderne.

L’individuo non èvirtuoso, la moltitudinesì, e sempre; per leragioni e nel senso cheho sviluppato altrove.Quindiinunostatodoveil potere o parte di essosta in mano dellanazione, la virtù ec.giova,perché lanazione(che tiene il potere)l’ama; e perché giova,perciò è praticata più o

meno, secondo lecircostanze, ma sempreassai più e piùgeneralmente che nellostato dispotico. La virtùè utile al pubbliconecessariamente.Dunque il pubblico ènecessariamentevirtuosoo inclinato alla virtù,perché necessariamenteamasestessoequindilapropria utilità. Ma la

virtù non è sempre utileall’individuo. Dunquel’individuononèsemprevirtuoso, nénecessariamente. Oltrech’è ben più facile eordinario ingannarsi unindividuo sulle sue vereutilità, che non lamoltitudine. Ma in ognimodo l’individuo cercail suo proprio bene, ilpubblico cerca il suo

(veroo falso, conmezziacconciosconci):questaè virtù sempre e inqualunque caso, quelloegoismo e vizio. Parloprincipalmente dellevirtù pubbliche, cioè diquellevirtùgrandi, i cuieffetti o i cui esempi sistendono largamente, inqualunque modoavvenga. Ma nonintendo di escludere

neppurelevirtùprivateedomestiche, alle qualiquanto sia favorevole(massime alle virtù fortie generose) lo statopopolareesfavorevoleildispotico, lo dicano perme le storie antiche emoderne, lo dica fra lealtre la storia dellaFrancia monarchica edella Franciarepubblicana, lo dica

l’Inghilterra ec. (Zib.1563-64-65-66).

La pagina che abbiamotrascritto non è un prodotto,per così dire, estemporaneodelcervellodiLeopardi:essaraccoglie e organizza nelmodo più limpido e decisotemi a lui cari, che egli èvenuto separatamenteanalizzando e ricercando,comequellidell'amorproprio

e dell'amor patrio,dell'egoismo e della virtù6,dell'utile e delle azionimagnanime, dell’individuo edella nazione (o popolo omoltitudine),delprivatoedelpubblico, del dispotismo edella libertà, dellamonarchiae della repubblica. Maproprio perché in questopasso detti temi siorganizzano e siarmonizzano, essi nel loro

incontro e nella loro fusione,nell’unità a cui danno luogo,acquistano un sapore nuovo,che non avevano, o avevanosolo inparte,nelle trattazioniseparate. Alle «storieantiche» sono poste accantole «storiemoderne» e questestorie moderne sonoconcentratenei loromomentirivoluzionari, la «Franciarepubblicana», l’Inghilterra.Questo modo di considerare

lastoriadegliultimisecoliè,vedremo, costante ecaratteristicoinLeopardi.Manon solo: il tema umanisticodella virtù, della virtùrepubblicana, si risolve(senza dissolversi comeideale e mèta) in unutilitarismo, in cui l'incontrodel momento puramenteideale con quello, diciamocosì, economico, ci richiamaaMachiavelli (a Machiavelli

considerato da Leopardi«fondatore della politicamoderna e profonda»);tuttavia a un Machiavellifiltrato dall’esperienza del’600 e 700 e decisamentetrasportato su un terreno«democratico».Democraziaenazione(enazione,ripetiamo,equivale senza residui, perLeopardi, a «popolo») sono itermini fondamentali delproblema politico per

Leopardi.Ilproblemapoliticosi pone in Leopardidecisamente, nella migliortradizione del pensierosettecentesco,comeproblemadell’interesse pubblico,dell'utilità comune, eLeopardi non dubita mai unistante di presentarequest’ultimo come problemadell’uguaglianza. Pochi mesiprima aveva scritto: «Laperfettauguaglianzaèlabase

necessaria della libertà»7 e alungo si era tormentato, econtinuerà a tormentarsi, sulproblemadellaconservazionedella uguaglianza, cioè suquellochegliapparecomelatragedia storica delledemocrazie: le democrazienon si conservano. Perchénonsi conservano?Qualè laragione specifica? Perché,rispondevailLeopardi,

... è impossibile ladurevole conservazionedella perfettauguaglianza,elaperfettauguaglianza è ilfondamentoessenziale,ela conservatrice sola eindispensabile dellademocrazia...(Zib.569).

Ma perché è impossibilela «durevole conservazionedella perfetta uguaglianza»?

Qual è la radice di questaimpossibilità che ilLeopardi,si noti, non deduceteoricamente, ma constata, ocrede di constatare, innanzitutto, sul piano storico?Siamo qui al punto crucialedella visione politica delLeopardi, alla sua nota piùcaratteristica, che èl'antindividualismo. Lademocrazia si dissolve econduce, attraverso

l’anarchia, al dispotismo, perl’individualismo che siproduce in essa. Anchequesto vale per la storiaantica come per quellamoderna: ambedue sonoparallelamente tenute inconto, e, anchequi, al centrodella storia moderna stal’esperienzadellarivoluzione:

Tanto è vero chel’anarchia conduce

dirittamente aldispotismo, e che lalibertà dipende daun’armoniadelleparti,eda una forza costantedelle leggi e delleistituzioni dellarepubblica, che Romanon fu mai tanto liberanel senso comune dellaparola,quantonei tempiimmediatamenteprecedenti la tirannia.

Vedete gli affari diClodio[...].Elostessosipuò dir della Franciapassata di salto da unalibertà furiosa aldispotismo diBuonaparte(Zib.114).

Vi sono dunque duesignificatidellaparolalibertà:uno, è il significato sano diquella libertà che regge lerepubbliche (e che,

ricordiamo, si basa sulla«perfetta uguaglianza»): unalibertà che «dipendedall'armonia delle parti»;l’altro, è quello del «sensocomune della parola», ossiadel senso modernamentecorrente, la libertàindividualistica, la libertà diClodio, la libertà anarchica,checonducealdissolvimentodellanazione,che«estingueilpopolo», e porta al

dispotismo:aldispotismocheè, vedremo, per il Leopardi,identicoallabarbarie.

L’accentuazioneantindividualistica è forte eindubitabile in Leopardi.Abbiamo già letto:«l’individuo non è virtuoso,la moltitudine sì, e sempre».Nonsitrattadiun’esplosionesentimentale, di un pateticoamor del popolo. Si tratta diunragionamentostrettamente

logico. Ciò che è concreto,reale, è l’interesse, l’utile,l’amor proprio ecc.; oral’utile e la virtù, ossia ilmomento concreto e quelloideale(quellodelvalore),nonpossono incontrarsinegl’individui, se non pereccezione (se non «quandouna straordinaria qualità dicarattere,dieducazioneec.veli porti»), eccezione cheappunto conferma l’opposta

regola. Essi s’incontranoinvece fuori della sfera del«privato», nella sfera del«pubblico», e quest’ultima èimmediatamente identica inLeopardi a quella della«moltitudine», del «popolo».Ciòchefadacentroèpropriolanozionediutilità.«Lavirtùè utile al pubbliconecessariamente.»ELeopardine trae: «Dunque il pubblicoè necessariamente virtuoso o

inclinato alla virtù, perchénecessariamente ama sestesso e quindi la propriautilità». E l’opposizione traindividuo e collettività - ciòche il Leopardi chiama qui,settecentescamente, il«pubblico» - non potrebbefarsi più aspra, fino arisolversiaddiritturainquelladi virtù e vizio: «Ma in ognimodol’individuocercailsuoproprio bene, il pubblico

cercailsuo(veroofalso,conmezzi acconci o sconci):questa è virtù sempre e inqualunque caso, quelloegoismo e vizio». La virtùfinisce quindi per essereprevalentemente virtùpubblica, e questo non ècasuale, è una nota anzi chetornaspessoinLeopardi:chealtro fondamento infatti,partendo dall'amor proprio,poteva egli logicamente dare

alla «virtù», al momentoideale? Così anche lecosiddette «virtù private»vengono a fondarsi e areggersisuquellepubbliche8:«non intendo di escludereneppure le virtù private edomestiche, allequaliquantosia favorevole (massime allevirtùfortiegenerose)lostatopopolare, e sfavorevole ildispotico,lodicanopermelestorieanticheemoderneec.».

Intalmodoilmomentoidealesi risolve in quello reale econcreto,nell’identitàdiutilepubblico e di virtù, e anchequinonpossiamo, inqualchemodo, non ricordareMachiavelli. Ma i duemomenti (virtù e utilità) siscindono, e ilmomentodellavirtù si pone come separato,astratto, ideale, quando siarotta quell’armonia di parti,dello «stato popolare», dello

stato democratico, e ad esso,alla sua uguaglianza, si siasostituito l’individualismo: il«sistema dell’egoismo»,comeripetutamentelochiamaLeopardi.

Quando l’utilenonèse non ciò che piaceagl’individui, e questinon sono, e quasi nonpossonoesservirtuosi,olo sono

momentaneamente, oquesto sì e quello no, ecento altri no; quandol’utilità insomma dellavirtù dipende dalcarattere, dalleinclinazioni, dallevoglie, dai disegnidegl’individui, e perconseguenza la virtù,quando anche giovitalvolta, non giovacostantemente ed

essenzialmente, ma percircostanze accidentali,non è possibilechequellatalnazionesiaabitualmente egeneralmente virtuosa, eche gl'individui di lei siallevino in quella virtùche da un momentoall’altropuòdivenirnonsolo inutile ma anchedannosissima. La virtùallora non sussistendo

che nelle apparenze,quando questebisognino, non è virtù,ma calcolo, finzione, equindi vizio. E bisognach’ella sia sempre fintanei sudditi, perch’essi,quando anche giovioggi, non possonosapere se gioveràdomani, dipendendo lasua utilità non dalla suanatura,nédacircostanze

essenziali e stabilmentefondate nella lororagione, ma nell’essereamata o non amata daindividui, cheper lo piùnon l’amano, e che senon altro, oggi possonoamarla e domani no,amarla questo e odiarlaquello, o il suosuccessoreec.ec.

Oltracciò quellequalità che si esercitano

per piacere ad unasocietà molto estesa,come dire alla nazione,sono quasi inseparabili(quando anche fosserofinte, nel qual caso nongiovano costantemente)da una certa grandezzad’animo; e contribuiscequesta circostanza arender gli uominivirtuosi ec. e veramentevirtuosi.Anchelostesso

far corte a una nazioneper ottenerne il favore,ingrandisce l’animo, edècompatibilecollavirtù.Il soggettarsi allanazione è piuttostograndezza che bassezza.Dove che il far corteall’individuo percattivarsene la grazia, ilsoggettarsi ad un uomougualeavoi,enelqualenon vedete nessuna

buonaesublimeragionedi predominio, nessunabella illusione chenobiliti il vostroabbassamento (comeaccade riguardo allanazione, la cuimoltitudine pone quasilospettatoreinunacertadistanza,eladistanzadàpregio alle cose; allanazione dove sempre sisuppongono grandi e

buonequalità inmassa);tutto questo, dico,impiccolisce, avvilisce,abbassa, umilia l’animo,eglifabensentireilsuodegradamene, laonde èincompatibile collavirtù;perchéchihaforzadifarquesto,haperdutola stima di se stesso,fonte, guardia e nutricedella virtù; e chi haperduto la stimadi sé, e

consentito a perderla, enonsenepente,nécercaricuperarlaec.ochinonl’ha mai posseduta nécurata, non puòassolutamente esservirtuoso (Zib. 1566-67-68).

La virtù ha dunque negliindividui un fondamentoinstabile e accidentale; essanon è garantita se non come

virtù pubblica, se non inquanto basata sull’interessepubblico,ossiadellanazione,diuna«societàmoltoestesa»,e ciò abbiamo visto non puòaccadere se non nellademocrazia. La corruzionedella società si hanell'estendersi mostruosodella sfera del «privato», delsuo prevalere sulla sfera del«pubblico».Questoestendersimostruoso è il «sistema

dell’egoismo», ossiadell’esasperatoindividualismo. Leopardianalizzaminutamenteilnessofraegoismoedispotismoperun verso, e per altro verso ilrapporto fra egoismo, amorproprio,amorpatrioesocietà.

L’egoismo èinseparabile dall’uomo,cioè l’amor proprio; maper egoismo s’intende

propriamente un amorpropriomaldiretto,maleimpiegato, rivolto aipropri vantaggi reali, enon a quelli chederivano dall’eroismo,dai sacrifizi, dalle virtù,dall’onore, dall’amiciziaec. Quando dunquequestoegoismoègiuntoal colmo, per intensità eper universalità; equando a motivo e

dell’intensità e massimedell’universalità, si èlevata la maschera (laquale non serve più anasconderlo, perchétroppo vivo, e perchétutti sono animati dallostesso sentimento),allora la natura delcommercio sociale (siarelativo allaconversazione, siageneralmente alla vita)

cangia quasiintieramente. Perchéciascuno pensando persé (tantopersuapropriainclinazione, quantoperché nessun altro vipensa più e perche ilbene di ciascheduno èconfidato a lui solo), sisuperano tutti i riguardi,l’uno toglie la predadalla bocca e dalleunghie dell’altro;

gl’individuidiquellachesi chiama società, sonociascuno inguerrapiùomenoapertaconciascunaltro,econtuttiinsieme;il più forte sottoqualunque riguardo, lavince; ilcedereaglialtriqualsivoglia cosa o percreanza, o per virtù,onore ec. è inutile,dannosoepazzo,perchégli altri non ti son grati,

nontirendononulla,ediquanto tu cedi loro o diquella minore resistenzache opponi loro,profittano in lorovantaggio solamente, equindiindannotuo(Zib.671-72).

Così l’egoismo diventanecessariamente universale el'egoismo universale9condiziona quello

individuale. L’egoismouniversale è la mancanza diqualsiasi solidarietà sociale(«il bene di ciascheduno èconfidato a lui solo»). Traegoismouniversaleeegoismoindividuale si stabilisce uncircolo necessario cheilLeoparditornaadescrivereripetutamente, ora con toniappassionati, ora con freddoraziocinio.

L’egoismo comunecagiona e necessital’egoismo di ciascuno.Perché quando nessunofa per te, tu non puoivivere se non t’adopritutto per te solo. ...Come in una truppa difiere affollate intorno aunapreda,doveciascunaè risoluta a non lasciarealle altre se non quantosarà costretta; quella

fiera che o restasseinattiva, o cedesse allealtre, o aspettasse chequestepensasseroalei,ofinalmente nonadoperasse tutte le sueforze; o resterebbe adigiuno, o perderebbetanto,quantomenoforzaavesse adoperata, opotuto adoperare. Tuttoquello che si cede èperduto,posto il sistema

dell’egoismo universale(Zib.463-64).

Ora, questo sistema nonpuònonoperare intimamentesuglianimietrasformarli:

Ancheperaltrapartequesto egoismo cagional’egoismo individuale,cioè non solo perl’esempio, ma peldisinganno che cagiona

in un uomo virtuoso, latriste esperienza dellainutilità, anzinocevolezzadellavirtùede’ sacrifizimagnanimi;e per lamisantropia cheispira il veder tuttioccupati per se stessi enon curanti del vostrovantaggio, non grati aivostribenefizi,eprontiadanneggiarvi obeneficati o no. La qual

cosa cambia il caratteredelle persone, eintroduce non solomaterialmente, maradicalmente l’egoismo,anche negli animi piùben fatti. Anziprincipalmenteinquesti,perché l’egoismonon vientra come passionebassa e vile, ma comealta e magnanima, cioècome passione di

vendetta, e odio de’malvagi e degl’ingrati(Zib464-65).

L’egoismo è dunque«amor proprio mal diretto,maleimpiegato».Ma,«male»da che punto di vista? Dalpuntodivistacheunicamenteper il Leopardi è valido: daipunti di vista, coincidenti,della società e dellanazione10.

... l’amor propriopuò prenderediversissimi aspetti, inmaniera,ch’essendoeglil’unico motore delleazioni animali, essostesso che è oraegoismo, un tempo fueroismo; e da luiderivano tutte le virtùnonmenochetuttiivizi(Zib868).

Dell'amorpropriovisonoper il Leopardi in sostanzadue fondamentalimodificazioni, che ambeduesi producono (e si alternano)storicamente: latrasformazione dell'amorproprio in amor patrio,congiunta al costituirsi dellanazione, fondatasull'uguaglianza-libertà esull'utilità comune («unanazione serva al di dentro,

non ha vero amor di patria»Zib.880);elatrasformazionedell'amorproprioinegoismo,congiunta alla societàindividualistica,privadiveroamorpatrio, equindidivirtù(«senz’amor patrio non c’èvirtù,senonaltro,grandeedigrande utilità» Zib. 893;«senz’amor nazionale non sidà virtù grande» Zib. 896);società «divisa per teste»(Zib.161)11.

L’uomo non si puòmuovere neanche allavirtù, se non per solo epuro amor proprio,modificato in diverseguise. Ma oggi quasinessuna modificazionedell'amor proprio puòcondurre alla virtù. Ecosì l’uomo non puòesservirtuosopernatura.Ecco come l’egoismouniversale, rendendoper

ogni parte inutile, anzidannoso ogni genere divirtù all’individuo, e lamancanzadelleillusioni,edi cose che ledestino,le mantengano, lerealizzino, produconoinevitabilmentel’egoismo individuale,anche nell’uomo perindole più fortemente everamente e vivamentevirtuoso. Perché l’uomo

non può assolutamentescegliere quello che sioppone evidentemente eper ogni parte all’amorpropriosuo.Eperciògliresta solo l’egoismo,cioè la più bruttamodificazione dell'amorproprio, e la piùesclusiva d’ogni generedivirtù(Zib.1100).

Inquestasituazione,cheè

la situazione odierna - lasituazione «del sistema diassoluto e universale eaccanito e sempre crescenteegoismo che forma ilcarattere del secolo» (Zib.2273) - «l’individuo solo,forma tutta la società» (Zib.876). Ciò significa che«l’uomo, in quanto alloscopo, è tornato allasolitudine primitiva» (ivi),ossia pressoché al suo stato

preumano, perché, qualsiasigiudizio portiamo noi sulfatto sociale nelsuo complesso e nelle suevarie forme storiche12,l’uomo che conosciamo -come il Leopardi, vedremo,metterà in rilievo - è l’uomodellasocietà.

Ma come può sussistereuna società tutta intessuta diegoismi individuali, comepuò essa evitare l’effettiva

dissoluzione? Non è questauna contraddizione internadella società, «di questaistituzione umana, la qualeessendodirettaalcomunbenee piacere - ci ha detto ilLeopardi - non sussisteveramente,sel’individuononaccomuna più o meno coglialtri la sua stima, i suoiinteressi, i suoi fini, pensieri,opinioni, sentimenti edaffetti; inclinazioni, ed

azioni» (Zib. 669-70)? Suquesto punto il Leopardi erastatoquantomaipreciso:

Quanto più si trovanell'individuo il sestesso, tantomenoesisteveramente la società.Così se l’egoismo èintero, la società nonesiste se non di nome.Perché ciascunindividuo, non avendo

per fine se non semedesimo, non curandoaffatto il ben comune, enessunpensierooazionesua essendo diretta albene o piacere altrui,ciascun individuo formada sé solo una società aparte ed intera, eperfettamente distinta,giacché è perfettamentedistintoilsuofine;ecosìil mondo torna qual era

da principio, e innanziall’origine della società,la quale resta scioltaquanto al fatto e allasostanza, e quanto allaragione ed essenza sua.Per ciò l’egoismo èsempre stata la pestedella società e quanto èstato maggiore tantopeggiore è stata lacondizionedellasocietà;e quindi tanto peggiori

essenzialmente quelleistituzioni chemaggiormente lofavoriscono odirettamente oindirettamente, come fasoprattutto il dispotismo(Zib.670-71).

Effettivamente, secondoLeopardi, l’egoismoindividualetendeadistruggerla società. Ma qual è allora,

ripetiamo, la forza che tieneinsieme la società moderna,che il Leopardi vede tuttarisolversi in egoismiindividuali?Essa è una forzapuramente meccanica che hacostituito un punto diequilibrio precario, qualcosadi assolutamente opposto alpunto di equilibrio dellalibertà come «armonia diparti»,chesorreggelasocietàdemocratica. È una «parità e

universalità d’attacco e diresistenza» la quale«mantiene la società umana,quasi a dispetto di semedesima, e control’intenzione e l’azione diciascuno degli individui chelacompongono,iqualituttioesplicitamente oimplicitamente miranosempre a distruggerla» (Zib.2439). Ecco come Leopardispiega questo equilibrio del

tuttonegativo:

Il mondo, o lasocietàumananellostatodi egoismo (cioè diquella modificazionedell’amor proprio cosìchiamata) incuisi trovapresentemente, si puòrassomigliare al sistemadell’aria, le cui colonne(come le chiamano ifisici)sipremonoleune

l’altre, ciascuna a tuttopotere,epertuttiiversi.Ma essendo le forzeuguali, e uguale l’usodelle medesime inciascuna colonna, nerisulta l’equilibrio, e ilsistema si mantienemediante una legge chepar distruttiva, cioè unalegge di nemiciziascambievolecontinuamente esercitata

da ciascuna colonnacontro tutte e da tuttecontro ciascuna. Né piùné meno accade nelsistema della societàpresente, dove nonciascuna societào corpoo nazione (come pressogli antichi), ma ciascunuomo individuocontinuamente preme apiùpotereisuoivicini,eper mezzo di esso i

lontani da tutti i lati, en’è ripremuto da’ vicinieda’lontaniapoterloronellastessaforma.

Dal che risulta unequilibrio prodotto dauna qualità distruttiva,cioèdall’odioeinvidiaenemicizia scambievoledi ciascun uomo controtuttiecontrociascuno,edal perenne esercizio diqueste passioni (cioè in

somma dell’amorproprio puro) in dannodegli altri (Zib. 2436-37).

E il Leopardi commenta:«Con ciò resta spiegata unaspecie di fenomeno.Lo statod’egoismo puro, e quindi dipuroodioversoaltrui(chenesegue essenzialmente) è lostatonaturaledell’uomo».Lasocietà moderna coincide

alloraconlostatonaturale?Èa questa stupefacenteconclusione che giunge ilLeopardi? In verità, vedremofra breve, Leopardi giunge auna conclusione del tuttoopposta.Tuttaviavi èper luiquesto punto di coincidenzafra stato naturale e societàmoderna,ondepuòdire:

La maraviglia èch’essendo tornato

l’uomo allo statonaturaleperquestaparte(mediantel'annichilamento delleantiche opinioni eillusioni, frutto delleprimesocietàe relazionicontrattescambievolmente dagliuomini), la società nonvenga a distruggersiassolutamente, e possadurare con questi

principii distruttivi pernaturaloro(ivi).

«Per questa parte»: lostato naturale è qui inteso,allamanieradiHobbes,comeegoismoassolutoeoriginario,ma proprio per questo comestato pre-sociale, come statoche anzi denunzierebbe lafondamentale asocialità oantisocialitàdell’uomo.Comequesto rientri nel generale

concetto di natura delLeopardi lo vedremo piùoltre. Ora interessa un altropunto: i caratteri dello statopresociale, dello statobelluino dell’uomo si sonoriprodotti nella societàmodernaetuttaviaquesta,perequilibriomeccanicodiforze,sussiste come società. Lasocietà moderna è dunqueuna società antisociale, unasocietà contraddittoria, una

corruzione della vera societàumana, i cui fini e il cuiequilibrio positivo e «vitale»Leopardi ha già indicato piùvolte e molto chiaramente.Proprio in questacontraddittorietà interna equindi, per Leopardi,«corruzione», sta ladifferenza essenziale fra lo«stato naturale» e la societàmoderna.Dicontroallostatonaturaleeprimitivolasocietà

modernaèbarbarie.

Così, nel modo cheho detto, ritornanoeffettivamente nelmondo i costumiselvaggi, e di quellaprima età, quando lasocietà non esistendo,ciascunoeraamicodisésolo,enemicodituttiglialtri esseri o dissimili osimili suoi, in quanto si

opponevanoaqualunquesuomenomo interesse odesiderio, o in quantoegli poteva godere aspese loro. Costumi chenellostatodisocietàsonbarbari, perchédistruttividellasocietà,econtrari direttamenteall’essenza, ragione, escopo suo. Quindi siveda quanto sia vero,che lo statopresentedel

mondo, è propriamentebarbaro, o vicino allabarbarie quanto maifosse. Ogni così dettasocietà dominatadall’egoismoindividuale, è barbara, ebarbara della maggiorbarbarie(Zib.674).

La nozione di «barbarie»è una delle fondamentali inLeopardi, che egli elabora e

adoperadicontinuo.Barbarieè lacorruzionedellaciviltàequindi lo stadio più estremo,opposto allo stato naturale.«Altro è primitivo, altro èbarbaro. Il barbaro è giàguasto, il primitivo ancoranon è maturo» (Zib. 118). Eancora:«nonèbarbarosenonciò che è contro natura»,«natura e barbarie sono cosecontraddittorie» (Zib. 356).Ciòchecorrompe laciviltàè

l’eccesso della ragione;quindil’eccessodellaragioneconduce alla barbarie: «laragione spesso è fonte dibarbarie (anzi barbarie da sestessa), l’eccesso dellaragione sempre» (ivi)13.Intorno alla nozione dibarbarie si raggruppano, inuna configurazione specifica,i concetti di ragione, natura,civiltà, primitivo, filosofia,ignoranza, e quelli politici di

tirannia,dispotismoecc.Vièuna specie di dialetticadell’ignoranza in rapportoalla barbarie: l’eccesso dellaragione porta alla barbarie, ègiàbarbarieessostesso,malapiena barbarie è ignoranza,tuttaviaunaignoranzadiversada quella «naturale» eopposta ad essa, chepartorisce le «illusionimediante l’immaginazione»:una ignoranza non naturale,

ma «fattizia», opera appuntodi corruzione. «Altro glierrori ispirati dalla natura, eperciò convenienti all’uomo,e conducenti alla felicità;altro quelli fabbricatidall’uomo»(Zib.421).Questiultimi sono le«superstizioni». Leopardiconserva tutto l’orrore el’odio settecentesco erazionalistico contro lasuperstizione: «le

superstizioni, le barbarie ec.non conducono alla felicità,ma all’infelicità» (ivi)14. Mabarbarie non è soltanto laciviltàcorrotta,perLeopardi:essa è anche «la civiltàincoata»eparticolarmentegliaborti di civiltà, le civiltàinvolute e invertite prima dicrescere. Con questaestensione egli riesce asalvare comunque lainafferrabile purezza del

«primitivo»,maessarispondeanche,vedremofrapoco,aunsuo concetto vagamenteciclicodellastoriaumana15,omegliodellestorieumane,unconcettovagamentevichiano,che affiora spesso nel suopensiero, tuttavia non comelegge assoluta, ma piuttostocon carattere indicativo.Ciclicità onde è possibile erimaneapertoilpassaggiodauno stadio all’altro (barbarie,

civiltà, natura, ecc.), senzache questi passaggi sipresentino come necessari.Proprio in questaindeterminatezza Leopardi èpiùmodernodiquel chenonpossasembrareatuttaprima:egli ha il senso, accanto alleciviltà in sviluppo, di quelleche rimangono statiche os’impaludano in uno stato disemiciviltà-semibarbarie,finché almeno qualche forza

dall’esterno non le venga asvegliare, e accanto ad esse,come abbiamo detto, delleciviltà abortite sul nascere,delle civiltà immediatamenteinvolute. Tutto ciò è assaichiaro in quei passi in cuiLeopardi parla dell'Oriente(Cina, India, ecc.) o di certiselvaggi (dell’America, ecc.).Ma non è questo tessutoconcettualeche importae stainprimopianonelmora-lista

Leopardi, bensì il contenutoassiologico e politico dellasuanozionedibarbarie.Sottoquesto aspetto, abbiamodetto, essa si collegasoprattutto ai concetti diragione-filosofia e diignoranza, e a quelli ditirannia-dispotismo e dilibertà; sotto questo aspettoappunto il Leopardi potràparlare di una barbariemoderna. La barbarie infatti

«prende diversi aspettisecondo la natura di quellaciviltà da cui deriva e a cuisottentra» (Zib. 1101). Labarbarie moderna, abbiamovisto, nasce dall’eccesso diragione. Ciò è accaduto,secondoLeopardi, altre voltenella storia, ma l’esempiomoderno è per lui quello piùimponente ed esasperante,quello che raccoglie in certomodo ed assomma l'eredità

degli altri; e soprattutto èl’esempio vivo, quello di cuisisoffre.

... non c’è dubbioche i progressi dellaragioneelospegnimentodelleillusioniproduconola barbarie, e un popolooltremodo illuminatonon diventa micacivilissimo, comesognano i filosofi del

nostro tempo, la Staëlec. ma barbaro; al chenoi ci incamminiamo agranpassiequasisiamoarrivati(Zib.22).

E altrove, ancor piùaggressivamente:

... la ragione è cosìbarbara che dovunqueella occupa il primoposto, e diventa regola

assoluta, da qualunqueprincipio ella parta, esopra qualunque baseella sia fondata, tuttodiventa barbaro (Zib.356).

Perché?Ritroviamoqui iltema decisivo dell'egoismo.La ragione, la pura e astrattaragione, rende egoisti,disintegralecomunitàumane,taglialeradiciall’eroismo:

Elaragione,facendonaturalmente amicidell’utile proprio etogliendoleillusionicheci legano gli uni aglialtri, scioglieassolutamentelasocietà,e inferocisce le persone(Zib.23).

La ragione è dunquecondannata, almeno sottoquesto aspetto, perchémadre

dell’egoismo, perchéelemento antisociale e quindiancheantinazionale.

L’egoismo spogliod’illusioni, estingue lospiritonazionale,lavirtùec. e divide le nazioniper teste, vale a dire intante parti quanti sonogliindividui(Zib.161).

Questa «divisione della

moltitudine»è«gemelladellaservitù», ossia è ilfondamento della tirannia edel dispotismo. Attraversoquesti passaggi la nozione dibarbariesicollegaconquelladi dispotismo,ma il rapportoèvistospessodaLeopardi inmodo immediato e diretto. Ildispotismoèinqualchemodosempre antinazionale, perchéantipopolare: e non vi ènazione, sappiamo, senza

libertà e uguaglianza. Ildispotismo «estingue ilpopolo». Il «tempo piùbarbaro» è quello delmassimo dispotismo (Zib.1101).Ignoranzaeeccessodicultura si connettono così -sottol’egidadeldispotismoedella tirannia - nella servitùcheliaccomunacomediversamaequivalentebarbarie.

Alla tirannia fondata

sopral’assolutabarbarie,superstizione, e interabestialità de’ sudditi,giova l’ignoranza, enuoce definitivamente emortalmentel’introduzione dei lumi.Perciò Maometto, conbuona ragione proibì glistudi. Alle tirannieesercitate sopra popoliinciviliti fino a un certopunto, fino a quel

mezzo, nel qua-econsiste la veraperfezionedell’incivilimentoedellanatura, l’incremento epropagazione dei lumi,dellearti,mestieri, lussoec. non solamente nonpregiudica, ma giovasommamente, anziassicura e consolida latirannia,perché i sudditida quello stato di

mediocre incivilimentoche lascia la naturaancor libera, e leillusioni,eilcoraggio,el’amor di gloria e dipatria, e gli altrieccitamenti alle granaiazioni, passanoall’egoismo, all’oziositàriguardo all’operare,all’inattività, allacorruttela, allafreddezza, alla mollezza

ec.(Zib.252).

E Leopardi aggiunge lafrase decisiva: «La tirannianon è mai sicura se nonquando il popolo è incapacedi grandi azioni». Il soggettodell’ideale eroico (le «grandiazioni») è dunque indefinitiva per il Leopardi, odovrebb’essere, il popolo.Ricordiamo:«l’individuononèvirtuoso;lamoltitudinesìe

sempre».Il discorso ci ha

ricondotto così all’idealepolitico di Leopardi, nonchéall’inizialecontrastodinaturaeragione.Comesiècapacidi«grandi azioni?» Non «perragione - diceLeopardi -maper natura. Augusto, LuigiXIV ed altri mostrano diavere bene inteso questeverità» (ivi). Ma nel passoche abbiamo riportato

s’incontraunmotivochenonavevamo ancora trovato,quello del «mediocreincivilimento che lascia lanaturaancorlibera».Èquestaproprio la definizioneleopardiana della civiltà. Laciviltà è un punto di mezzofra natura e barbarie: «Laciviltà delle nazioni consistein un temperamento dellanatura colla ragione, dovequella cioè lanatura abbia la

maggior parte» (Zib. 114).L’antitesi natura-ragioneassumecosìunvoltostoricoesi arricchisce delle categoriestoricheestoricopolitichecheabbiamoincontrato:

...lastoriadell’uomononpresentaaltrocheunpassaggio continuo daungradodiciviltàadunaltro, poi all’eccesso diciviltà, e finalmente alla

barbarie, e poi da capo.Barbarie, s’intende, dicorruzione,nongiàstatoprimitivo assolutamentee naturale, giacchéquesto non sarebbebarbarie. Ma la storianon ci presenta mail’uomo in questo statopreciso. Bensì cidimostra che l’uomo talquale è ridotto non puògodere maggior felicità

che inunostato iciviltàmedia, dove prevalga lanatura, quanto ècompatibile colla suaragione già radicata inun posto più alto delprimitivo(Zib.403-04).

Lo «stato naturaleassoluto» rimane fuori diconsiderazione perché fuoridella storia. Esso nonpotrebbe tornare «senza un

miracolo» e «il discorso de’miracoli - aggiunge ilLeopardi - è sopraumano enon entra in filosofia». Così,cacciato dalla storia e dallafilosofia, lo «stato naturaleassoluto» è respinto nelsopraumanoe il sopraumano,come il sopraterreno, nonattrae il Leopardi. Quello«stato naturale assoluto», il«primitivo assoluto », è perLeopardi un punto di

riferimento puramentementale (di cui vedremol’origine culturale), che gliserve come elemento delcongegno intellettuale in cuiforzerà e in parte, vedremo,maschererà la sua effettivaposizione morale e storica,ma che rimane fuori di ognisuo vero e diretto interesse:essa, come tutto ciò che èpuramente astratto, non loappassiona per nulla. La

passione di Leopardi sirivolgeaqualchecos’altro,alconcreto che è afferrabilenella storia, e all’ideale cheappaiarealizzabile:enessunamiglior prova per lui diquesta realizzabilità senon ilpotermostrarech’essos’ègiàaltre volte realizzato. Così lapassione vera di Leopardi sidirige a quella «civiltàmedia» in cui natura eragione si equilibrano, in cui

- e gli è quasi sfuggito dallapenna - si ha la «veraperfezione» non solo«dell’incivilimento», maanche «della natura»; equest’equilibrio è possibilesolo con un certo prevaleredellanatura,della sua spinta,della sua vitalità, ossia delle«illusioni vitali» che essaproduce. Il modello storico-ideale di questa «civiltàmedia» sono gli antichi, i

Greci e i Romani, inquell’epoca della loro storiain cui furono liberi edemocratici, e quindi«virtuosi». Questo stadio di«civiltà media» è il veroopposto storico dellabarbarie, della «ignoranzafittizia»,dellesuperstizioni.

Quindièchedopolostato precisamentenaturale, il più felice

possibileinquestavita,èquello di una civiltàmedia, dove un certoequilibrio fra la ragionee la natura, una certamezzana ignoranza,mantengano quanto èpossibile delle credenzeed errori naturali (equindi costumi,consuetudini ed azioniche ne derivano); edescludano e scaccino gli

erroriartifiziali,almenoipiù gravi, importanti ebarbarizzanti. Taleappunto era lo statodegliantichipopolicolti,pieni perciò di vita,perché tanto più viciniallanatura,eallafelicitànaturale(Zib.421-22).

Allo stadio storico di«civiltà media», punto diequilibrio fra ragione e

natura, e perfezione loro,corrisponde esattamente, sulpiano politico, il regimedemocratico, punto diequilibrio fra la «monarchiaprimitiva» e il barbarodispotismo; regimedemocratico che, in quantoideale politico, il Leopardivagheggia innanzi tutto negliantichi:

... restavaancoranel

mondo tanta natura,tanta forza di credenzenaturali o illusioni, dapoter sostenere lo statodemocratico, econseguirne una certafelicità e perfezione digoverno. Uno statofavorevolissimo alleillusioni, all’entusiasmoec. uno stato che esigegrand’azione emovimento: uno stato

dove ogni azionepubblicadegl’individuièsottoposta al giudizio, efattasottogliocchidellamoltitudine, giudice,come ho detto altrove,per lo piùnecessariamente giusto;uno stato dove perconseguenzalavirtùeilmerito non potevamancar di premio; unostato dove anzi era

d’interesse del popolo ilpremiare i meritevoli,giacchéquestinoneranoaltro che servitori suoi,edimeritiloro,nonaltroche benefìzi fatti alpopolo, il qualeconveniva cheincoraggisse gli altri adimitarli; uno stato dove,senonaltro, emalgradole ultime sventureindividuali, non può

quasimancarealmerito,ed alle grandi azioni ilpremiodellagloria,quelfantasma immenso,quellamollaonnipotentenella società; uno stato,del quale ciascuno sentedi far parte, e al qualeperò ciascuno èaffezionato,einteressatodal proprio egoismo, ecome a se stesso; unostatodovenonc’èmolto

da invidiare,perché tuttisono appresso a pocouguali, i vantaggi sonodistribuiti equabilmente,le preminenze non sonocheaimeritoedigloria,cose poco soggetteall’invidia, e perché lastrada per ottenerle èaperta a ciascheduno, eperché non si ottengonose non per mezzo evolontà di ciascheduno,

e perché ridondano invantaggio dellamoltitudine; in somma,uno stato che sebbenenon è il primitivo dellasocietà, è però ilprimitivo dell’uomo,naturalmente libero epadrone di se stesso, euguale agli altri (comeogni altro animale), equindi moltissimo dellanatura sola sorgente di

perfezione e felicità: unsimile stato finchérestava tanta natura dasostenerlo, e quantabastava perch’egli fosseancora compatibile collasocietà; era certamente,dopo la monarchiaprimitiva, il piùconveniente all’uomo, ilpiùfruttuosoallavita, ilpiù felice. Tale fuappresso a poco lo stato

delle repubblichegrechefinoalleguerrepersiane,della romana fino allepuniche(Zib.565-67).

Nonostante l’omaggio dimaniera alla propriaconvenzionale inquadraturateorica dello sviluppo sociale(«dopo la monarchiaprimitiva», ecc.), la simpatiae l’interesse del Leopardisono tutti per lo stato

popolare e di uguaglianzademocratica, «il piùconveniente all’uomo, il piùfruttuoso alla vita, il piùfelice», e ciò non senzainterna logica e coerenza,poiché, com’egliassiduamente ripete, gliuomini nascono liberi eduguali16; ora, lo statodemocratico è quello che piùda vicino realizza, sul pianodella storia, la primitiva,

preistorica e naturaleuguaglianza degli uomini, equesto è appunto il sensodelle parole: «uno stato chesebbene non è il primitivodella società, è però il primitivo dell’uomo,naturalmenteliberoepadronedisestesso,eugualeaglialtri(come ogni altro animale)».La democrazia realizzadunqueancheperilLeopardiunveroeproprio«ritornoalla

natura», nel sensosettecentesco e rousseauianodell'espressione ed essa èl’unico stato in cui l’uomopuò raggiunger la suaperfezione (tutta terrena erelativa alla specie, secondoLeopardi) ed essereveramente uomo. Si ponecosì, come avevamo giàindicato, il problema dellaconservazione dellademocrazia, ossia

dell’uguaglianza:

Il solo preservativocontro la troppa enocevole disuguaglianzanello stato libero, è lanatura, cioè le illusioninaturali, le qualidiriggono l’egoismo el’amor proprio, appuntoa non voler nulla piùdegli altri, a sacrificarsial comune, amantenersi

nell'eguaglianza, adifendere il presentestato di cose, e rifiutareogni singolarità emaggioranza, eccettoquella dei sacrifizi, deipericoli e delle virtùconducenti allaconservazione dellalibertàeduguaglianzaditutti. Il solo rimediocontro le disuguaglianzeche pur nascono, è la

natura,cioèparimenteleillusioninaturali,lequalifanno e che questedisuguaglianze nonderivino se non dallavirtù edalmerito, e chela virtù e l’eroismocomunedellanazione,letolleri, anzi le veda dibuon occhio, e senzainvidia e con piacere,come effetto delmerito,enonsisforzidiarrivare

a quella superiorità, senonper lo stessomezzodella virtù e del merito.E che quelli che hannoconseguita la dettasuperiorità, siadigloria,sia di uffizi e dignità(giacche quella diricchezze e altri talivantaggi, non ha luogofinché dura nellarepubblica l’influenzadella natura), non se ne

abusino,noncerchinodipassar oltre, sienocontenti, anziimpieghino il poter loroa mantenerel’uguaglianza e libertà,sicomunichinoaglialtri,diminuiscano l’invidiade’ loro vantaggi colfuggire l’orgoglio, lacupidigia, il disprezzo ol’oppressionedegl’inferiori ec. ec. ec.

E tutto questo accadevaeffettivamente nei primie migliori tempi delleantichedemocrazie,cioène’piùviciniallanatura,eperglieffettieleoperee i costumi, ematerialmente per l’età(Zib.570-71).

Da tutto quanto abbiamocitato e analizzato si vedecome il problema politico, il

problemadellasocietà,stiaalcentro dell’interesse umanodel Leopardi, e come essocostituisca in certo modo ilcorpo e la carne intornoall’ossatura della iniziale efondamentale antitesi diragione e natura. Lo stessoproblema della poesia edell’arte,ilcuisviluppo,sottocerti aspetti, può perfinoservire di indizio, non èintelligibile in Leopardi

indipendentemente dalproblema politico e sociale,dominato concesso èdall’ideale eroico, edrammatizzato in ragione diquesto, delle possibilità omeno di azione chedall’ambiente politico esociale, dall’ambiente civile,sioffronoall’uomo.L’uomo,ci ripete continuamenteLeopardi, non è fatto per lacontemplazione, per il

pensiero, per la preghiera,ecc.; esso è fatto per agire eperoperare.Solonell’agireenell’operare può realizzare ilproprio fine e quindi trovarela felicità. Ora, l’agire el’operare dell’uomo - e ingenerale «qualunque cosaumana» - sono condizionatidirettamente o indirettamentedalla vita politica. La stessa«morale»escedall’astrattezzaspeculativaediventaconcreta

solo in rapporto alla politica.CiòèvistomoltochiaramenteeacutamentedalLeopardiedespresso con una sicurezza emodernità di tono checontrasta stranamente, a tuttaprima, con l’apparatosistematico-mitologico in cuiegli, così spesso, suolestringereeconnettereancheisuoipiùpenetranticoncetti:

Delresto,sebbenela

morale per se stessa èpiù importante, e piùstrettamente in relazionecon tutti, di quello chesia la politica,contuttociò, aconsiderarla bene, lamorale è una scienzapuramente speculativa,in quanto è separatadalla politica: la vita,l’azione, la pratica dellamorale, dipende dalla

natura delle istituzionisociali,edelreggimentodellanazione:ellaèunascienza morta, se lapolitica non cospira conlei, e non la fa regnarenella nazione. Parlate dimorale quanto volete aunpopolomalgovernato;lamoraleèundetto,elapolitica un fatto: la vitadomestica, la societàprivata, qualunque cosa

umana prende la suaforma dalla naturagenerale dello statopubblico di un popolo(Zib.311).

Questa posizione cosìacutaeimportante,chenonèsoltantounariproduzione,maun approfondimento eun’evoluzione, di tesi giàaffermatesi nel ’700, inparticolareinRousseau17-e

in tal senso ha qualcosa dianticipatore di ulterioridottrine - è posta dalLeopardi, con non minoreacutezza sul terreno storico,in rapporto con la propriaepoca:

Il gusto decisamentedi preferenza che haquesto secolo per lematerie politiche, è unaconseguenza immediata

e naturale, dellasemplice diffusione deilumi ed estinzione deipregiudizi. Perchéquando per una partenon si pensa più collamente altrui, e leopinioni non dipendonopiù dalla tradizione, perl’altrailsaperenonèpiùproprio solamente dipochi, i quali nonpotrebbero formare il

gusto comune; allora leconsiderazioni cadononecessariamentesopralecose che c’interessanopiù da vicino, piùfortemente, piùuniversalmente. L’uomopregiudicato oirriflessivo seguel’abitudine,lasciaandarele cose come vanno, eperché vanno e sonoandate così, non pensa

che possano andarmeglio. Ma l’uomospregiudicato e avvezzoa riflettere, com’èpossibile che essendo lapolitica in relazionecontinua colla sua vita,non la renda l’oggettoprincipale delle sueriflessioni, e perconseguenza del suogusto? Nei secolipassati, come in quello

di Luigi XIV, anche gliuomini abili, nonessendo né spregiudicatiné principalmenteriflessivi, della politicaconservavano l’anticaidea, cioè che stessebene come stava, etoccasse a pensarvisolamenteachiavevainmano gli affari. Piùtardi, gli uominispregiudicati non

mancavano, ma eranpochi; pensavano eparlavanodipolitica,mail gusto non potevaessere universale.Aggiungete che iletterati e i sapienti perlo più vivono in unacerta lontananza dalmondo;perciòlapoliticanon toccava il sapientecosì dappresso, non glistava tanto avanti agli

occhi, non era in tantarelazioneconlasuavita,come ora che tutto ilmondo è sapiente, e lecognizionisonproprieditutte le classi (Zib. 309-11).

Non vi è dubbio che inqueste righe vi è unavalutazione positiva dellapropria epoca che al lettoresuperficiale e inesperto di

Leopardi può sembrare inaspra contraddizione col suogenerale atteggiamento, conleconseguenzecheeglitraeecon l’applicazione che togliedalla sua fondamentaleantitesi di ragione-natura.Qualèilsensoverodiquestaantitesi?Qualè,indefinitiva,l'atteggiamento di Leopardiverso la propria età? Nellaconnessione intrinseca diqueste due domande sta il

nodo profondo, crediamo, ditutto il pensiero leopardiano.Apochigiornididistanzadalpasso che abbiamo trascrittoegliscrivevaancora:

Una grandissima euniversalissima fonte dierrori, controsensi,oscurità, sviste,contraddizioni, dubbi,confusioni ec. negliscrittori e filosofi tanto

antichi chemodernissimi, è il nonaver considerata, edefinita, e posta nellebasi del sistemadell’uomo, la nemiciziascambievole dellaragione e della natura.Posta la quale, che ètanto evidente, euniversale, sirischiarano, edeterminano,erisolvono

infiniti misteri eproblemi nell’ordine ecomposto delle coseumane.Maconfondendolaragionecollanatura,ilvero col bello, iprogressidell’intelligenza coiprogressi della felicità ecol perfezionamentodell’uomo, le nozioni ela natura dell’utile, ilfine o scopo

dell’intelligenza (ch’è laverità) col fine e scopovero dell’uomo e dellanatura sua ec. non siviene mai a capo didiciferare il misterodell’uomo, e diaccordare le infinitecontraddizioni che parche s’incontrino inquesta principalissimaparte del sistemauniversale,cioèinquella

che riguarda la nostraspecie. Ilcombattimentodella carne e dellospirito, dei sensi e dellamente, notato già dagliscrittori, massimamentereligiosi, o non èsufficiente,ononèstatobeneintesoedapplicato,edestesoquantodoveva,o è stato torto in sensocontrario al giusto, ededottene conseguenze

dellastessaspecieec.ec.ec.(Zib.341-42).

La ragione, l’intelligenza,il vero e anche l’utile (masappiamoormaiinqualsensoindividualistico e antisociale,questo utile vada inteso)stannodunquedaunaparte;edall’altra stanno il bello, ilperfezionamento dell’uomo eil progresso della felicità. Il«perfezionamentodell’uomo»

è dunque, per il Leopardi,altra cosa dal separato«progresso dell’intelligenza».A fondamento di tutti questicontrasti sta l’antitesi natura-ragione. Ma che cosasignificano, in sostanza,questi due termini per ilLeopardi?Che cos’ènatura?Che cos’è ragione? È giuntaormai l’ora di porsi questadecisivadomanda.

È noto come il binomio

natura-ragione abbiadominato, in varie forme, ilpensiero del sei e settecento.Esso si era configuratodapprima, prevalentemente(ma non esclusivamente),come rapporto d’identità, equesto è il significato chedomina la filosofia«scientifica» del ’600; piùtardi, come rapporto di più omenoaccentuataopposizione,e questo è il significato che

emergenel’700,esiconnetteeinsiemecontrastacolprimo,spesso nei medesimipensatori. Nel secondo casonatura si identificavasoprattutto con la passione,con la spontaneità eirriducibilità del sentimento(dell’alogico o prelogico),che venivano rivalutati dicontro al più ristrettorazionalismo seicentesco. Èunaposizionechesipresenta,

con maggiore o minoreimportanza, in quasi tutti ipensatori del ’700, daimoralisti e sentimentalistiinglesi a Diderot,Vauvenargues,Voltaire, ecc.,ma soprattutto in modograndioso e consequenziario,in Rousseau. Per taleconsequenzialità esso puòtradursi in Rousseaunell’esasperata antitesi dinatura e civiltà. Non vi è

dubbio che la posizione diRousseau è quella di cuimaggiormente (ma nonl’unica) risente il Leopardi.Anche in Leopardi come inRousseau, natura è tantol’impulso spontaneo,indipendente dalla ragione,quanto l’insiemedellecoseedei fenomeni «naturali» e laformaimmanentechelireggee connette, dominataanch’essa dal momento della

spontaneità, e per essoesaltata e congiunta colmomento passionale edemotivo dell’uomo. InLeopardi l’aspettorousseauiano si complica,almeno inizialmente, con iresidui della poetica classica,con quella «natura» di cuil’arte doveva essereimitazione, natura «classica»che viene, in Leopardi,curiosamente attratta e

assimilata nell’altra,passionale, che, se non èpropriamente ancora«romantica», sta all’originedel romanticismo. Tuttavia,questicomplessisignificatiedaspetticostituiscono il fondo,piuttosto indeterminato, delconcetto leopardiano dinatura, ma non loesauriscono, neppureinizialmente, perché esso,vedremo,haunvalorenuovo

(ed è proprio ciò che gli dàl’impronta unitaria), unvalore del tutto ottocentesco,anziprecorritorediparticolariatteggiamenti del pensiero edell’ethos del pieno e tardo’800; valore che emergeappunto dal contrasto e dalladialetticadinaturaeragione.Questo valore nuovo,possiamo senz’altroanticipare, è il valore dellavitalità. In ragione di esso

possiamo vedere anche ilimiti dell'influenza diRousseau su Leopardi e ilconnettersi in lui diprecedenti posizionifilosofiche altrimenticontrastanti. Così lo statonaturaleeprimitivodell'uomoè considerato da Leopardi,comedaRousseau, uno statodi isolamento e di solitudine,uno stato presociale: ma lavalutazionecheneviendataè

diversa, anzi opposta. Lostato naturale è consideratoda Leopardi non solopresociale, ma anti-sociale,uno stato belluino, allaHobbes, e Leopardi ne traepoi la conseguenza dellafondamentale e coperta anti-socialità dell'uomo. Tuttaviaquesto non è in Leopardi,come sarebbe per Rousseau,un motivo di per sépessimistico, perché la sua

valutazione non riguardainizialmente la moralità, malavitalità, ilvalorevitale.Lavalutazione morale, abbiamovisto, in Leopardi dipendedallo stato sociale, ed èpossibile ed ha valore esenso, solo rispetto a questo:non è ammissibile proiettarlaaldilàdiesso.Ilbuonodellanatura,nell’uomocomeneglianimali, è innanzi tutto esoltanto, per il Leopardi, la

vitalità. Il buono morale(virtù)èinvecebuonosocialee dipende dal primo di tantoquanto il benessere dellasocietà dipende da unmantenimento in essa dellavitalità naturale e dei suoiimmediati prodotti, matrasferiti e trasfigurati nelcampo sociale e civile.È ciòche il Leopardi, di contro almomentorazionale,chiamale«illusioni», che nella loro

valutazione positiva sonoappunto sempre «illusioninaturali»,ossiavitali.

In tal modo lacontrapposizionerousseauianadiamourdesoie amour propre, il primospontaneo, naturale emoralmente buono, ilsecondo egoistico, cattivo ecorruzione sociale dell’altro,non ha più senso perLeopardi. L’ottimismo

moralistico di Rousseau, neiriguardi della «natura», èoltrepassato di colpo daLeopardi. L'amor propno(quell’amor proprio su cuitanto si era teorizzato nel’600 e nel ’700) cheappartiene alla natura - cioèallavitalità -dell'uomocomediognianimale, èvitalmentebuono, come è vitalmentebuono tutto ciò cheappartiene a tale natura,

anche il primordiale statobelluino. Esso si modificamoralmente,ossia assumeunvalore e significato morale,solopiùtardi,inrapportoallasocietà, ed è interessante cheil Leopardi adoperi appuntoquesto verbo, e più di unavolta, «modificarsi», inrapporto all’amor proprio 18.L'amorpropriodavitalmentebuono, e moralmenteindifferente, diventa

moralmente rilevante solo inrapporto alla società, inquanto rispetto ad essa si«modifica», come abbiamoveduto, in due opposti:nell'elementocostruttivodellavirtù, che è partecipazioneall'interesse comune, al benecomune, e giunge finoall'abnegazione, all'eroismo,nello stato popolare edemocratico, producendo le«grandi azioni»; e

nell'elemento «distruttivo»dell'«egoismo individuale»che «scioglie la società einferociscelepersone».

L’antisocialità «naturale»dell'uomo non è dunque, dalpunto di vista morale, nébuona né cattiva,ma diventacattiva una volta posta lasocietà e si chiama alloraegoismo. Ma questavalutazione morale èpossibile perché vi è una

forma di società, lo statopopolare, ugualitario edemocratico, che mantienenell'uomo l’uguaglianza e lalibertànative, e supera il suostato belluino o per lo menolo trasferisce e lo sublima edaodiofrasingolinefaodiofralenazioni,quell’«odioperlo straniero» che nella primafase del pensiero leopardianoè sempre congiunto conl’«amor patrio». Come il

Leopardi costruisca ilpassaggiodallostatonaturaleebelluinoallostatosocialehapoca importanza, ed ha pocaimportanza persino, secondolo stesso Leopardi, se quellostato primitivo e naturale siain realtà mai esistito, perchéesso comunque, abbiamovisto, è fuor della storia, equindi fuori della concretaconsiderazione umana e,praticamente, ricade nel

«sopraumano».Ilmomentorousseauiano,

nella considerazioneleopardiana, è così comeinscatolato in quellohobbesiano,ma ambedue poisono superati ed è tolta lacontraddizionefradiloro,dalcarattere decisivo che èattribuito al valore dellavitalità come tale. Ne sorge,inconfrontodiRousseau,unamolto diversa valutazione

della civiltà. Essa non ènecessariamente, perLeopardi, una corruzionedella natura19; essa, abbiamogià veduto, è uno sviluppo eun punto di equilibrio chediventa corruzione soloquando si facciamortificazione dellacomponente «natura» edeviazione da essa, che diquell'equilibrio non solo èelemento essenziale, ma il

momentostessoequilibratore,perché l’elemento portante,quelloincuidevepersistereilcentro di gravità.Naturalmente ci sono inLeopardi dei passi, più omeno di maniera, soprattuttonelle Operette morali20 - incui egli calca e vagheggialetterariamente il suo«pessimismo» -che sembranoallontanarsi da questaconcezione, laqualenon si è

formata tutta di colpo e tuttad’unpezzonelsuoanimo,maassai travagliatamente;tuttavia essa è la concezionefondamentale e centrale,quella più spesso ripetuta edelaborata nello Zibaldone,quellachesolareggeinsiemeeconnettelealtrimentisparsemembra delle intuizionileopardiane. Ma propriorispetto ad essa sembrasorgere una gravissima e

intrinseca difficoltà: l’altracomponente della civiltà è laragione; ora, com’èpossibilemantenere una siffattaconsiderazione della civiltàconunconcetto radicalmentenegativo e svalutativo dellaragione? Siamo così all'altrotermine del nostro problema.Che cos’è questa ragione? Eperché viene essacondannata?

Innanzi tutto è da

osservare che, per quantoacuta e, sotto certi aspetti,radicale sia l’antitesi che ilLeopardi pone fra ragione enatura, essa non è un’antitesiassoluta e diciamo cosìmetafisica. La ragione nonvienecondannatainsestessa,ma piuttosto in certe sueconseguenze che si sonoprodotte sul terreno empiricoe storico. La ragione cheviene condannata è una

ragione storica, una ragionechesièprodottaesviluppatastoricamente, nell'evoluzionesociale e civile, e cherappresenta comunque unelementoconsolidato,ondelaciviltà potrà alternarsi con labarbarie, la democrazia conl’assolutismo, ma è ormaiimpossibile un ritorno allo«stato naturale», presociale eprecivile. Questa posizione èmoltonettainLeopardi.Essa

glipermettedicontrapporreaquesta ragione che noiabbiamo detto storica e cheegli chiama «acquisita», unaragione naturale che non èaltro che il germe el’elemento originario dellaprima, visti in «natura».Come la natura assume unduplice volto secondo chenellasuaconsiderazionesiaonon sia implicata la società,così la ragione assume un

duplice volto, secondo chenella sua considerazione siagià,ononsiaancora,presentelo sviluppo sociale, che ingran parte è il medesimosviluppodiessa.Moltisonoipassi dello Zibaldone cherichiamano alla dettadistinzione. Nel dicembre1820:

La ragione è nemicadella natura, non già

quella ragione primitivadi cui si serve Puomonello stato naturale, e dicui partecipano gli altrianimali,parimentiliberi,eperciònecessariamentecapaci di conoscere.Questa l'ha postanell’uomo la stessanatura, e nella naturanon si trovanocontraddizioni21.Nemico della natura è

quell'uso della ragioneche non è naturale,quell'uso eccessivo ch’èproprio solamentedell'uomo, e dell'uomocorrotto: nemico dellanatura, perciò appuntoche non è naturale, néproprio dell'uomoprimitivo(Zib375).

E poco più tardi (14febbraio1821):

La qual ragione,anch’essa, abbiamospessissimo dimostratoch’è un sommo vizio, econ tutto ciò ch’ell’èinnata.Ma tal quale erainnata, non era vizio;bensì è vizio tal qualeella si trova, ed èadoperata oggidì (Zib.657).

E ancora più nettamente

nell'ottobre del medesimoanno:

L’uomo, e l’animaleproporzionatamente,sono ragionevoli pernatura. Io dunque noncondanno la ragione inquantoèqualitànaturaleed essenziale nelvivente, ma in quanto(persolaforzad’indebitee non naturali

assuefazioni) cresce e simodifica in modo chediviene il principaleostacolo alla nostrafelicità, strumentodell’infelicità, nemicodelle altre qualità ec.naturali dell’uomo edella vita umana (Zib.1825).

Maquestaragionevolezzanaturale, comune, a parte la

diversitàdigrado,agliuominie agli animali, non èprimitivamente nell’uomouna «facoltà» ma una«disposizione», disposizionearagionare:

La mente umana haunadisposizione(maperse stessa infruttuosa) aragionare: essa per senon è ragione, come hospiegato in altro

proposito con esempi; equesta disposizioneoriginariamente eriguardo al purointelletto è tale cheanche quanto ad essal’uomo primitivo affattoinespertoèpocoonullasuperiore all’animale(Zib. 1681 del 12settembre1821).

«Essa per se non è

ragione», nell’altro sensodella parola ragione, comefacoltà, empiricamente estoricamente acquisita. Ilpassoinfatticominciava:

La stessa nostraragione è una facoltàacquisita.Ilbambinochenascenonèragionevole:il selvaggio lo è menodell’incivilito,l’ignorante meno

dell’istruito: cioè haeffettivamente minorfacoltàdiragionare,...

E lo svolgimento storico-empirico della ragione ènettamente indicato nellaconclusione dello stessopasso:

L’esperienze riunitedi tutta una vita, poiquelledimoltiuomini,e

poi di molti tempi uniteinsieme, onde nasce lafavella e quindi gliinsegnamenti ec. ec.hanno messo il genereumano in lunghissimotempo, e mettonogiornalmente il fanciulloin brevissimo tempoassai di sopra a tutti glianimali, e gli danno lafacoltà della ragione.L’uomo primitivo in età

di sett’anni non era giàragionevole, come ogniil fanciullo.Ne sa più ilbambino che balbetta;ragiona meglio, e piùragionevole, di quelloche fosse l’uomoprimitivo in età divent’anni ec. ec.Questosi può confermare conl’esempiode’selvaggi,iquali hanno pur tuttaviamolta e già vecchia

società.

Ma per quanto nettaappaia l’opposizione fraragione naturale, primitiva, eragione storica, acquisita,essa diventa in Leopardioscillazionequandositrattidigiudicare la ragione, nel suocomplesso, in rapporto allasocietà. Nel novembre del1823, già pienamenteinoltrato nel più vasto

sviluppodelsuopessimismo,egliscriveva:

La ragione di cuil’uomo solo èprovveduto (ossia quelgrado di facoltaintellettuale che sichiama ragione ed a cuiil solo intellettodell’uomo arriva e puòarrivare),comepermilleparti è utile, per mille

necessaria alla società,ed origine e cagioneeffettivadiessa,cosìpermille altre parti (come,per esempio, per lasuperstizionelaqualnonsarebbesenzailgradodifacoltà mentale che noiabbiamo, e che le bestienon hanno, e per centomilaaltrieffetti)èdisuanatura nocevole e anchedirettamente contraria

allasocietàdegliuomini,eallorobenessereelorperfezione nello statosociale ec. ec. Parlo quidi quella facoltà diragione che l’uomo haper natura, anche nellostato primitivo, e dicoche questa medesimadimostrache l’uomopernatura èmen disposto asocietà che gli altrianimali,benchéperaltra

parte ella sembri invittae principalissima provadelcontrarioec.ec.(Zib.3896).

Ora l’oscillazioneespressa in questo passo èmoltocaratteristica,perchéseper un verso il Leopardisembra ritrarre la condannadella ragione alla sua stessaorigine naturale (ma nondecisamente, anzi

ambiguamente:perunaparte,unaspetto,unodeglisviluppipossibili, e poi sviluppoeffettivodiessa),perunaltroverso la condanna vienenettamente presentata dalpuntodivistadellasocietà.

Ma l’oscillazione cheabbiamo indicato nonimplica, come potrebbesembrare a tutta prima, unacontraddizione, da parte delLeopardi, nel suo giudizio

sulla ragione primitiva enaturale, ma piuttostoun’oscillazione più profonda,quelladalpuntodivistadellavitalitàalpuntodivistadellasocietà, ossia dal punto divista «naturale» a quellomorale.Comel’amorproprio,anche la ragione, rispetto alsecondo punto di vista, puòsvolgersiindupliceeoppostosenso, può divenire ciò cheintegra la natura e

appoggiandosi ad essa fondasocietà e civiltà, o ciò cheoltrepassa la natura, chesupera ilpuntodell'equilibrioe si fa corruzione dellasocietà e civiltà, egoismo,inerzia,indifferenza,barbarie,dispotismo. Come siapossibile quest’ultimaevoluzione, come la ragioneda vitalmente buona, emoralmenteambigua,diventi,attraverso il filtro storico

della societàedellaciviltà, aun certo punto, moralmente(socialmente) e vitalmentecattiva, ossia antisociale(egoismo) e antivitale(inerzia, indifferenza),«nemica della natura», è unproblema che, credo, sarebbeforse difficile affermare siastatodalLeopardirisolto,mache non si può negare siastato visto da lui, e tutta lasua complessa problematica

dell'assuefazione (edissuefazione), in rapportoall’uomoeaglianimali,cheèunveroepropriotentativodidialetticamaterialistica, sta liadimostrarlo22.

Ora, la difficoltà di dettopassaggio era la medesimache sorgeva in Rousseau peril passaggio dall’incorrottostato di natura al corrottostato civile e del cui pesoRousseau non si era reso

conto. Ma la posizione diRousseau, ritraendosidall’antitesi natura-civiltàall’antitesi natura-ragione23 èdivenuta, come abbiamovisto, ben più complessa inLeopardi. Nell’antitesileopardiana la civiltà (equindi la società) non è piùunodei terminidelcontrasto,ma il suo punto d’incontro,rispetto al quale il contrastonon è più visto come

necessario, ma come unapossibilità,oppostaallaqualesta la possibilità delcooperarediquellemedesimeforze. L’alternarsi della vitastorica realizza ora l’una oral’altra possibilità, nei cicli diciviltà e di barbarie. Madonde allora l’aspropessimismo di Leopardi neiriguardi della ragione? Nonpotrebbe egli contentarsi diquesta visione superiore,

filosofica, speculativa? Nellarisposta e, prima ancora,nell’elaborazione di questadomandasta,anostroavviso,il punto decisivo perintendere la qualità delpensiero di Leopardi, perpenetrare nel cuore di esso.La posizione superiore,filosofica, speculativa, stacertamente nel fondo dellaconcezione di Leopardi, manon gli è sufficiente, è anzi

perluisecondaria,perchéeglisisentesoprattuttoimpegnatodi fronte alla propria epoca,un combattente in essa, e lapresa di posizione dinanzi aisuoi tempi è per lui, di granlunga, il problema piùimportante e urgente, piùtravagliato e drammatico. La«ragione» che egli condannae, in certo modo, combatte,abbiamo già visto, è unaragione storica, la ragione

«acquisita» durante i secolidell’incivilimentoumano.Maquesta è in parte ancora unaposizionemitologica,correttadallasuastessa fondamentaledottrinadell’incivilimento. Inverità la ragione che eglicondanna, combattendola inquelle che considera le sueconseguenze (egoismo,inattività,indifferenza),èunaforma assai più determinata,proprioinsensostorico,della

ragione. È la raison, laragionedei«philosophes»del’700, la ragionecomefacoltàumana sviluppatasi econquistata col progresso egenitrice di progresso, laragione che è, nel sensoilluministico della parola,filosofia. Questa ragione èfacoltà di analisi, calcolo eriflessione. Ora, secondoLeopardi, come riflessioneessa arresta l’immediatezza

dell’azione e le toglie ilcarattere «eroico»; comecalcolo essa producel’egoismo caratteristico delmoderno uomo civile, inopposizione allo slancio, agliimpulsi «naturali», allegenerose «illusioni» cheguidavano i liberi cittadiniantichi; come analisi essascompone le cose (e isentimenti)eperleiciòcheè«grande»diventapiccoloele

illusioni si rivelano per tali.Questaèdunquelaragione,o«filosofia», che Leopardicondanna, e la condannaperché, ripetiamo, lacombatte in quelle sueconseguenze, o preteseconseguenze; e ancheinquesto,possiamodire,egliera stato preceduto daRousseau e come Rousseauegli,nelpuntostessoincuilacondanna, la realizza,

restando, almenosoggettivamente, legato adessa, in quanto minutamenteanalizza,discerne,rifletteeintutto questo lavorio sembrairrimediabilmente chiuso inse stesso, nel suo egoismo,nellasuaparticolarità.

Tuttavia fra Leopardi eRousseau la divergenza èsostanziale, e questadivergenza è resa piùimportante da quanto era

accaduto nei tempi trascorsifra loro. Rousseau vive anteremeLeopardivivepostrem,equestacosa,decisivaper laposizionestoricadiambedue,è stata la grande rivoluzione.Rousseau aveva aperto lastrada alla rivoluzione eaveva aperto la strada ancheal romanticismo. Ora,Leopardi che vive nelromanticismo,lorifiutaenonsi abbandona alle

sollecitazioni etiche epolitiche che venivano daesso. E qui sta il punto piùdelicatoper intendere tutta laposizione di Leopardi, il suodramma, il suo intimodissidio che non è tanto esoltantoundissidiopersonalee soggettivo, ma un dissidiostorico. Quella ragione, laragionesettecentesca,cheeglicondanna è anche la ragionecheegliama, l'unicacheegli

riconosce e semprericonoscerà per tale, quellaappuntocheavevaprodottolafilosofia razionalistica ematerialisticadel’700,quellache aveva acceso tantesperanze in tutto il campodella civiltà umana, esoprattuttodellavitasocialeepolitica,speranzeacuiancorail Leopardi partecipa e chetuttavia egli riscontra delusenei propri tempi. Alla radice

di tutto l’atteggiamento diLeopardiversola«ragione»eversola«filosofia»staquestadelusione storica, in cui ilmomento politico è,naturalmente, decisivo. Laragione che doveva persempre distruggere labarbarie, le superstizioni,instaurare l’uguaglianza e lademocrazia, riportare l’uomocivile al giusto e sanoequilibrio con la natura,

distrutto nei «tempi bassi »,distrutto dal Cristianesimo, epoi da quell’acmè didispotismo che fu, secondoLeopardi, il ’600, ebbenequesta ragione è fallita, larivoluzione da essa prodottasi è involuta, e ne è nato ildispotismonapoleonicoepoi,soprattutto, l’epoca presente,larestaurazione,incuilacosamigliore,piùprogressiva,èilcompromesso liberale e

monarchico-costituzionalistico, a cuiLeopardi,purriconoscendoneil relativo valore, ripugnacome dinanzi a tutti icompromessi.

Questadelusionestoricaecon essa l’entusiasmodisincantato e quindismorzato, o cangiato inasprezza e quasi inrisentimento, e tuttaviainsieme una inconcussa e

nascosta fede, riguardo allaragione e filosofiasettecentesca, fremono nellepagine dello Zibaldone,specialmente in tutta la suaprima metà. Riportiamo quiuna pagina fra le piùilluminanti. Leopardi hadescritto e ragionato, unadelle tante volte, lo stato dibarbarie e dispotismo, econtinua:

Ilmondo hamarcitoappresso a poco inquestostatodalprincipiodell'imperoromano,finoal nostro secolo.Nell'ultimo secolo, lafilosofia, la cognizionedelle cose, l’esperienza,lo studio, l'esame dellestorie, degli uomini, iconfronti, i paralleli, ilcommercio scambievoled’ognisortad’uomini,di

nazioni, di costumi, lescienzed’ogniqualità,learti ec. ec. hanno fattoprogressi talichetuttoilmondo rischiarato eistruito, si è rivolto aconsiderar se stessoe lostato suo e quindiprincipalmente allapoliticach’èlapartepiùinteressante, piùvalevole, di maggiore epiù generale in-uenza

nelle cose umane. Eccofinalmente che lafilosofia, cioè la ragioneumana, viene in campocon tutte le sue forze,contuttoilsuopossibilepotere, i suoi possibilimezzi, lumi, armi, e siponeallagrandeimpresadi supplire alla naturaperduta, rimediareai mali che ne sonoderivati, e ricondurre

quella felicita ch’esparita da secoliimmemorabili insiemecolla natura. Giacchéinsomma la felicità enonaltro,èodev’essereloscopodiquestanostraoramai perfetta ragione,in qualunque sua opera:come questo è lo scopodi tutte le facoltà edazioniumane.

Chesapràfarequesta

ragione umana venutafinalmentetuttaintieraalparagone della natura,intorno al puntoprincipale della società?Lascio li esperimentifatti in Francia negliultimi del passato, e neiprimi anni di questosecolo. Riconosciuta perindispensabile lamonarchia, e d’altrondela monarchia assoluta

per tutt’uno collatirannia, la filosofiamoderna s’è appigliata(e che altro poteva?) alpartito di puntellare.Non idee di perfettogoverno, non ritrovati,scoperte, forme diessenziale e necessariaperfezione.Modificazioni, aggiunte,distinzioni,accresceredauna parte, scemare

dall’altra, dividere e poilambiccarsi il cervelloperequilibrarelepartidiquesta divisione, toglierdi qua, aggiunger di là:insomma miserabilirisarcimenti, e sostegni,e rattoppatureechiavi eingegnidiognisorta,permantenere un edifizio,che perduto il suo benessere, e il suo statoprimitivo,nonsipuòpiù

reggeresenzaartifizichenon entrano affattonell’idea primaria dellasua costruzione. Lamonarchia assoluta s’ècangiata in molti paesi(ora mentre io scrivos’aspetta che lo stessoaccada in tutta Europa)in costitutiva.Non negoche nello stato presentedelmondocivile,questonon sia forse il miglior

partito. Ma insommaquesta non èun’istituzione che abbiail suo fondamento e lasua ragione nell’idea enell’essenza o dellasocietà in generale eassolutamente, o delgoverno monarchico inparticolare. Èun’istituzione arbitraria,ascitizia, derivante dagliuominienondallecose:

equindinecessariamentedev’essere instabile,mutabile, incerta e nellasua forma, e nelladurata,eneglieffettichene dovrebbero emergereperch’ellacorrispondesse al suoscopo, cioè alla felicitàdella nazione (Zib. 574-77).

È la medesima posizione

che dà un senso preciso allaconclusione del Dialogo diTimandro e di Eleandro(nonchéatantealtrepagineeversi del Leopardi), anche seivi appaia come filtrata eallontanata dalla mediazioneletterariaepoetica.

... dico, che se ne’miei scritti io ricordoalcune verità dure etristi, o per isfogo

dell’animo o perconsolarmenecol riso, enon per altro; io nonlascio tuttavia neglistessi libri di deplorare,sconsigliare e riprenderelo studio di quel miseroe freddo vero, lacognizione del quale èfonte o di noncuranza einfingardaggine, o dibassezza d’animo,iniquità e disonestà di

azioni, e perversità dicostumi: laddove, per locontrario, lodo ed esaltoquelle opinioni, benchéfalse,chegeneranoattiepensieri nobili, forti,magnanimi, virtuosi edutili al ben comune eprivato; quelleimmaginazioni belle efelici, ancorché vane,che danno pregio allavita; illusioni naturali

dell’animo; e infine glierrori antichi, diversiassaidaglierroribarbari;iquali,solamente,enonquelli, sarebbero dovuticadere per opera dellaciviltà moderna e dellafilosofia. Ma queste,secondome,trapassandoitermini(comeèproprioe inevitabile alle coseumane);nonmoltodoposollevatidaunabarbarie,

ci hanno precipitato inun altra, non minoredella prima; quantunquenata dalla ragione e dalsapere e nondall’ignoranza; e peròmeno efficace emanifesta nel corpo chenello spirito, mengagliarda nelle opere, eper dir così più ripostaedintrinseca.

La delusione storica nonè qui meno evidente edecisiva: «i quali, solamente,enonquelli,sarebberodovuticadere per opera della civiltàmoderna e della filosofia»...«nonmoltodoposollevatidauna barbarie, ci hannoprecipitato inun’altra»...;e ilLeopardipuòconcludere,conscherzevolezza amara chetuttavia ricopre il suo piùserio concetto: «Circa la

perfezione dell'uomo, io vigiuro, che se fosse giàconseguita, avrei scrittoalmeno un tomo in lode delgenereumano».

Dunque vi è almeno unpunto, nella storia moderna,in cui si è stati «sollevatidallabarbarie»equestopuntoè stato la rivoluzione. Inrapporto ad essa nasce ilgiudizio di Leopardi sullapropriaepocaesuiduesecoli

che l’hanno preceduta. Ora,non è da credere che ilgiudizionegativodiLeopardisulla propria epoca nascatutto d’un colpo, sia tutto esoltanto un giudizio dirisentimento e di avversione,di avversione moralistica.Esso è un giudizio che si èformato travagliatamente,proprio attraverso il tentativodi giustificare questa epoca,di vedere in essa non un

fallimento,ma il principio diuna vita nuova, losvolgimento storico dellarivoluzione,ditrovareinessail filo della speranza. Di quianche l’attenta discussioneche il Leopardicontinuamente fadegli autoricontemporanei, e i loronomisono significativi, la Staël, ilLamennais, il Constant, loChateaubriand, ecc. Questadiscussione andrebbe

ricostruita scrupolosamente emerita uno studio a parte.Ora,iltentativodigiustificarelapropriaepocaèimportanteeprobativo,proprioperchéinesso opera già la delusionestorica e quindi operano giàle caratteristiche categorieleopardiane, natura, ragione,filosofia, illusione, ecc., edesso, sul piano teorico,diventa un tentativo disuperarne la rigida

contrapposizione e di trovareulterioriterminidiraccordoedimediazionefraloro.Intalegiudizio la dialettica civiltà-barbarie si fa assai stretta eravvicinata:

Il tempo di Luigidecimoquarto e tutto ilsecolo passato, fuveramente l'epoca dellacorruzione barbaricadelle parti più

civilid’Europa,diquellacorruzione e barbarie,che succedeinevitabilmente allaciviltà, di quella che sivide ne' Persiani e ne'Romani, ne' Sibariti, ne'Greci ec. E tuttavia ladetta epoca si stimavaallora, e per esserfreschissima, si stimaancheoggicivilissima,etutt’altro che barbara.

Quantunque il tempopresente, che si stimal’apice della civiltà,differisca non poco dalsopradetto e si possaconsiderare comel’epoca di unrisorgimento dallabarbarie. Risorgimentoincominciato in Europadalla rivoluzionefrancese, risorgimentodebole, imperfettissimo,

perché derivato nondalla natura, ma dallaragione, anzi dallafilosofia, ch’èdebolissimo,tristo,falso,non durevole principiodiciviltà.Mapureèunaspecie di risorgimento;ed osservate chemalgrado lainsufficienza de' mezziper l'una parte, e perl’altra la contrarietà

ch’essi hanno collanatura, tuttavia larivoluzione francese(com’è stato spessonotato) ed il tempopresente hannoravvicinato gli uominialla natura, sola fonte aiciviltà, hanno messo inmotolepassionigrandieforti, hanno restituitoalle nazioni già morte,nondicounavita,maun

certo palpito, una certalontana apparenza vitale(Zib.1077-78).

Di questo il Leopardi,attentissimo sempre alfenomeno della moda, vedeun segno anche nelle modemutate:

Applicare a questaosservazionelebarbareeridicolissime e

mostruose mode(monarchiche e feudali),come guardinfanti,pettinature d’uomini edonne ec. ec. cheregnavano, almeno inItalia, fino agliultimissimi anni delsecolo passato, e furonodistrutte in un colpodalla rivoluzione. Evedrete che il secolopresente è Pepoca di un

verorisorgimentodaunavera barbarie, anche nelgusto...(ivi).

Correlativo a questaposizione è il suo giudiziosulle «massime liberali» cheribadisceeassorbequellosuldispotismodelXVIIsec.:

Chiamano modernelemassime liberali, e siscandalezzano, e ridono

che il mondo creda diessereoggi soloarrivatoal vero. Ma elle sonoantichequantoAdamo,edi più hanno sempreduratoedominato,piùomeno, e sotto differentiaspetti sino a circa unsecoloemezzofa,epocavera e sola dellaperfezione deldispotismo, consistenteingranparteinunacerta

moderazione che lorende universale, intero,edurevole.Dunquetuttal’antichitàdellemassimedispotiche, cioè del lorovero ed universaledominio nei popoli(generalmente e nonindividualmenteparlando), non rimontapiù in là della metà delseicento. Ed ecco comequel tempochecorseda

quest’epoca sino allarivoluzionefuveramenteil tempo più barbarodell’Europa civile, dallarestaurazione dellaciviltà in poi. Barbariedove inevitabilmentevanno a cadere i tempicivili; barbarie cheprende diversi aspetti,secondo la natura diquella civiltà da cuiderivaeacuisottentra,e

secondo la natura de'tempi e delle nazioni.Per esempio, la barbariedi Roma sottentrata allasua civiltà e libertà, fupiù feroce e più viva:quella dei Persiani fusimile nella mollezza enella inazione e torpore,alla nostra. Ed eccocome il tempo presentesi può considerare comeepoca di un nuovo

(benché debole)risorgimentodellaciviltà(Zib.1100-01).

E nel tentativo digiustificarel’epoca,ditrovarein essa una traccia di stradaper il futuro,provvisoriamente, e quasi invia di sperimento, siconfigura al Leopardi inmodo diverso anche quelladipendenza dalla «ragione»

del«sentimentale»,cheprimaera stata da lui denunziata erespinta nei romantici, e poiaccettata, mapessimisticamente, comeinevitabile conseguenza deitempi infausti e della lorodeprecabile filosoficità. Orainvece:

Riferiteaquesto,peraltroeffimeroedeboleefalso, risorgimento della

civiltà, la mitigazionedel dispotismo, e laintolleranza delmedesimo piùpropagata: ilperfezionamento diquello che si chiamasentimentale,perfezionamento chedata dalla rivoluzione(Zib.1084).

Il Leopardi, sempre

conseguente nelle sueposizioni particolari,raccoglie in questo«sentimentale» motivi moltospecifici dell’epocaromantica, anzi dell 'ethosdella restaurazione, come «ilrisorgimento di certe ideecavalleresche» e perfino «uncerto maggior rispetto dellareligione dei nostri avi»,«tante altre opinioni epregiudizi sociali, ma nobili,

dolci e felici, ec.», elementiche più costantementeripugnano all’animo delLeopardi,echeeglipiuttostoattribuisce alla barbarie chealla civiltà24. In essi eglicercaoradivedere«cosechedimostrano un certoravvicinamento del mondoallanatura,edalleopinioniesentimenti naturali, ed alcunipassi fatti indietro, sebbenelanguidamente,epermiserie

non vitali, anzi mortiferiprincipii, cioè il progressodella ragione, della filosofia,de’lumi»(ivi).

Questa è, in certo modo(quanto al contenuto deitempi, non quanto allavolontà del superamento) lapunta estrema del tentativoleopardianodiavvicinarsiallapropriaepoca.Abbiamovistocome circondata di riserve:riserve che si riflettono,

parrebbe, all'indietro, anchesulla rivoluzione, ma sullarivoluzione non consideratain se stessa, bensì nel suorapportoconlafilosofia;edèproprio questo il punto cheora ci interessa. DapprimaLeopardiaffermaseccamente:

La rivoluzioneFrancesepostochefossepreparata dalla filosofia,non fu eseguita da lei,

perché la filosofiaspecialmente moderna,non è capace per semedesima di operarnulla(Zib.160),

e subito dopo,mitigando,aggiunge:«Equandoanchelafilosofia fosse buona adeseguire essa stessa unarivoluzione, non potrebbemantenerla».

Ma come potrebbe il

Leopardi misconoscere ilrapportochec’erastatotralafilosofia e la rivoluzione?Egli non misconosce questorapporto ed è quindi cometravagliato dal duplice eopposto giudizio recato sullarivoluzionedaunaparte,sullafilosofia-ragione e sui lumidall’altra.

È cosa troppo nota qual

fosse la depravazione interna

de' costumi in Francia daLuigi 14, il cui secolo, comeho detto, fu la prima epocavera della perfezione deldispotismo, ed estinzione enullità delle nazioni e dellamoltitudine, sino allarivoluzione. La quale tuttinotano che ha molto giovatoalla perduta morale francese,quanto era possibile: 1. inquestosecolocosìilluminato,emunitocontroleillusioni,e

quindi contro le virtù; 2. intanta, e tanto radicata evecchiadepravazione,acuilaFrancia era assuefatta; 3.in una nazioneparticolarmente ch’è centrodell’incivilimento, e quindidelvizio;4.colmezzodiunarivoluzione operata in granparte dalla filosofia, chevolereononvolere,inultimaanalisiènemicamortaledellavirtù, perch’è amica anzi

quasi la stessa cosa collaragione, ch’è nemica dellanatura, sola sorgente dellavirtù(Zib.911).

Sarebbe facile risolvere il

disagio di queste righedicendo che vi è inLeopardicome una posizione dimaniera, nei riguardi dellafilosofia e della ragione, chegli impedisce di andare afondo del proprio concetto

storico-politicoedisaldarelasua adesione ai fatti con unaadesioneaiprincipi.

Ma niente sarebbe piùfalsificante di una similerisposta riguardo al rapportoche Leopardi ha con leproprie idee. Il Leopardi sitrova in certo modo in unacontraddizione, ma questacontraddizionenonètraifattie un preformato, aprioristico,sistemadiidee,mahatuttala

sua origine nei fatti stessi,comeappaionoaisuoiocchi:unmovimentochehafallitoilproprio esito, a cui è venutamenoladirezionenellaqualesisvolgeva,cheèstatotraditodallastoria25.Epuredietroaquesto movimento stava ilmassimo sviluppo delpensiero, delle «cognizioni»,dell’«esperienza», ecc. che sifosse avuto nella civiltàumana, sviluppo che ha

recato nel fatto un apportopositivo e decisivo, larivoluzione, e che poi èrimasto come sganciato daquesto. E allora il Leopardi,per oltrepassare l’antinomiain cui è chiuso e si dibatte,conia un termine intermedio,la«mezzafilosofia»,chenonha in se stesso caratteresvalutativo, ma che richiamagli altri analoghi, non menopositivi, che già abbiamo

trovato,della«civiltàmedia»edella«mezzanaignoranza».

L’intiera filosofia èdel tutto inattiva, e unpopolodifilosofiperfettinon sarebbe capace diazione. In questo sensoio sostengo che lafilosofia non ha maicagionato né potutocagionare alcunarivoluzione, o

movimento, o impresaec. pubblica o privata;anzi ha dovuto pernatura sua piuttostosopprimerli, come fra iromani,igreciec.Malamezza filosofia ècompatibile coll’azione,anzi, può cagionarla.Così la filosofia avràpotuto cagionare oimmediatamente omediatamente la

rivoluzione di Francia,di Spagna ec. perché lamoltitudine,e ilcomunedegli uomini ancheistruiti,nonèstatonéinFrancia né altrove maiperfettamente filosofo,masoloamezzo.Oralamezza filosofia è madredi errori, ed errore essastessa;nonèpuraveritàné ragione, la quale nonpotrebbe cagionar

movimento. E questierrori semifilosofici,possono esser vitali,massime sostituiti adaltri errori per loroparticolar naturamortificanti,comequelliderivati da un’ignoranzabarbaricaediversadallanaturale; anzi contrari aidettami ed alle credenzedella natura, o primitivao ridotta a stato sociale

ec. Così gli errori dellamezzafilosofia,possonoservire di medicina aderrori più anti-vitali,sebben derivati anchequesti in ultima analisidalla filoosofia, cioèdallacorruzioneprodottadall’eccessodell’incivilimento, ilqualenonèmaiseparatodall’eccesso relativo deilumi, dal quale anzi in

gran parte deriva. Einfatti lamezza filosofiaèlamolladiquellapocavita e movimentopopolare d’oggidì (Zib.520-21).

Il termine «mezzafilosofia»hacosìunaduplicefunzione: salva il rapportopositivodella filosofiacon larivoluzione; giustifica, anziracchiude insé, lasuccessiva

involuzione storica. La«mezzafilosofia-completailLeopardi - è strumento diciviltà incerta, insufficiente,debole, e passeggera pernatura sua, perché la mezzafilosofiatendenaturalmenteacrescere, a divenire perfettafilosofia, ch’è fonte dibarbarie»(Zib.1078).Infatti:

... la sua tendenza èparimenti alla ragione, e

quindi alla morte, alladistruzione, eall’inazione. E presto otardi ci deve arrivare,perché tale è l’essenzasua al contrario deglierrori naturali. El’azione presente nonpuò essere se noneffimera, e finirànell’inazione come persua natura è semprefinitoogniimpulso,ogni

cangiamento operatonelle nazioni daprincipio e sorgentefilosofica cioè daprincipio di ragione enon di natura inerentesostanzialmente eprimordialmenteall’uomo. Del resto lamezza filosofia, non giàla perfetta filosofia,cagionava o lasciavasussisterel’amorpatrioe

le azioni che nederivano, in Catone, inCicerone, in Tacito,Lucano, Trasea Peto,Elvidio Prisco, e neglialtri antichi filosofi epatrioti allo stessotempo.Qualipoifosseroglieffettide’progressieperfezionamenti dellafilosofìapressoiRomanièbennoto(Zib.521-22).

Il richiamo ai Romani ègià la ormai inesorabilecondannadellapropriaetà:

Osservateancoracheilmovimentoeilfervorecagionato oggidì dallamezza filosofia, vaperdendo di giorno ingiorno necessariamentetanti fautori e promotoriec. quanti si vanno dimano in mano

perfezionando nellafilosofia coll'esperienzaec. e quanti disemifilosofi, divengonoo diverranno appocoappocofilosofi(ivi).

Che il modo come ilLeopardiesce,conladottrinadella «mezza filosofia»,dall'antinomia in cui si erachiuso, possa apparirepiuttosto verbale e sofistico,

non togliema anzi confermail significato più intimo enascosto della sua posizione:la contraddizione storica cheeglihaprofondamentevissutoesofferto,ladelusionestoricache sta all'origine del suopensiero. Di fronte a quellacontraddizione egli ha avutoun preciso, anzi radicale,atteggiamento morale epolitico, un atteggiamentosentimentale nonmeno saldo

ecoerente;tuttavianonavevalo strumento mentale perscioglierlateoricamente,nélapossibilità pratica dioltrepassarla nell'azione. Lostrumento mentale era ilnuovoconcettodellaragione,il concetto dialettico, che siera venuto in quegli anni,certo non senza connessioneconlavitastorica,costruendoe affinando altrove; lapossibilità pratica avrebbe

dovutoesserelapresenzaeilcontatto di un movimentopopolare rivoluzionario. Nonsi sorrida a pensarlo. Proprioil concetto della «mezzafilosofia» colmavaindirettamente quellacontraddizione che abbiamonotato in una paginaprecedente di questo studiofra la ragione radicalmenteopposta alla natura, allapassione, e la ragione che si

cala nella passione facendosipersuasione. («Per li fattimagnanimi è necessaria unapersuasione che abbia lanatura di passione, e unapassione che abbia l’aspettodi persuasione appressoquello che la prova» Zib.125). Ora, appunto questapresenza dell’elementorazionale, sostanziato dipassione,nellapersuasione èciò che rende possibile ogni

efficacemovimentopopolare.Abbiamo visto or ora: «lamezza filosofia è lamolla diquellapocavitaemovimentopopolare d’oggidì». Maquesto concetto èrapidamente sviluppato daLeopardi in un pensiero checontiene il germe di unateoria formale dellarivoluzione, e che sarebbesorprendentefuorideltessutodi idee che siamo venuti

rilevando e nella figuraconvenzionale che ci si suolfare di lui. Egli, svolgendo asuo modo e con accento deltutto diverso, il detto diPascal che «l'opinione èregina del mondo, e gli statidei popoli e i lorocangiamenti, fasi,rovesciamenti provengonodalei», osserva che il popolonon viene, come si crede,messo in movimento dalle

passioni, o dalle illusioni,sempre varie in quanto tali,ma «non può essermosso inuno stesso senso se non dauna cagione comune econforme», ove quindi deveoperare la cosa «più comuneecostante»cheèlaragione:

...perciòilpopolohabisogno di un’opinionedecisa, non dico vera,ma pur logica, e

apparentemente vera, insomma conseguente eragionata,perchétuttoilresto non può essere unmoventeuniversale(Zib.330).

Nelfalliredeltentativodigiustificare la propria epoca,divedereinessaunprincipiodi vita nuova, resta fuori,insoddisfatta,ecomesospesanel vuoto, la volontà di

superamento, allo stessomodocome,sulpianostorico,rimaneva, agli occhi delLeopardi,interrottoesospesonelvuotolosforzodel’700edella rivoluzione. Ma questainsoddisfazionedell’elementovolontaristico, pur cosìdiffuso ed evidente inLeopardi (esso è in sostanza,vedremo, la base della suamorale eroica, della moraleche si oppone al fato);

l'impossibilità di concretarsiin cui esso vieneobiettivamente a trovarsi, èappunto, accanto alladelusione storica e inconnessione con questa, ilfondamento di quello che èstato detto il «pessimismostorico» di Leopardi. Se iltentativo di districarsi dallapropria antinomia,conservandone, sul pianostoricoesuquelloteorico,gli

opposti valori, fa costruire alLeopardi il concetto della«mezza filosofia», il puroelemento volontaristicoproduce un altro termine,simmetrico e opposto alprecedente, quellodell’ultrafilosofia, in cuisembra condensarsi la«disperata speranza»dell’individuoLeopardi26.

... la salvaguardia

della libertà dellenazioninonèlafilosofiané la ragione, come orasi pretende che questedebbano rigenerare lecose pubbliche, ma levirtù, le illusioni,l'entusiasmo, in sommala natura, dalla qualesiamolontanissimi.Eunpopolo di filosofisarebbe il più piccolo ecodardo del mondo.

Perciò la nostrarigenerazionedipendedauna, per così dire,ultrafilosofia, checonoscendo l'intiero el'intimo delle cose, ciravvicini alla natura. Equesto dovrebb’essere ilfrutto dei lumistraordinari di questosecolo(Zib.115).

Se il termine

«ultrafilosofia» non torna, cisembra, altre volte, ilconcetto in esso racchiuso siriaffaccia di continuo nellaprimametàdelloZibaldone,esialternaconl’altroconcetto,dipersépuramentenegativo,che«ilmigliorusoedeffettodella ragione e dellariflessione, è distruggere ominorarenell'uomolaragionee la riflessione, e l'uso e glieffettiloro»(Zib.1163).Idue

concetti si alternano, in ungioco di luci e di ombre,finché il primo non siconfonde e risolve nelsecondo, com’era fatale neldissociarsi di quello daqualunque concreta e praticapossibilità: e abbiamo cos'quel concetto-programmadella ragione contro laragione, dello autosvuotarsidella filosofia comedimostrazione della sua

inutilità,chesipresentapiùdiuna volta inmodomanieratoequasi lezioso - enon senzacomunque una nota diinsincerità - nelle opereletterarie e destinate alpubblicodiLeopardi27.

Ma se l’elementovolontaristico si dissolve intal modo, nella sua inaneproiezione pratica esoggettiva verso il futuro,esso per un altro verso si

traduce nella costanteesaltazione leopardianadell'azione, dell’operosità,della vita pratica edell’energia. Alla primaorigine di questa esaltazionesta senza dubbio laconnessione classicheggiantedi eroismo e poesia, che inqualche modo ravvicina ilpoetael’uomodiazione,anzili congiunge nel germe,attribuito loro in comune,

dell’immaginazione e delle«vitali illusioni». Ma questaprima origine si evolve inLeopardi in un senso, e conunsapore,tuttomoderno.Èilmomento, che abbiamo giàindicato della vitalità,dell’insopprimibile vitalità,che viene innanzi tuttoesaltato. Sul fondamento diesso il Leopardi mette inrilievo il valore intrinsecodell’energia e dell’opera, in

rapporto al problema dellafelicità. Ma l’energia el’opera assumono poi unvalore oggettivo nei riguardidella società e dei suoiprogressi, divengono «virtù»e vita morale. In relazione aquesto aspetto il Leopardiafferma l’unità dell’uomocome essere destinato aoperare. Non esistono, inmodo naturale, per Leopardi,tipi di uomini destinati alla

contemplazione, altriall’azione. Lacontemplazione, la pura eseparata contemplazione, èper lui semplicemente unacorruzione e unamortificazione della naturaumana. In rapporto a questoconcetto stanno molti suoigiudizi sul cristianesimo28,come, per altro verso, sullabarbarie egli effetti sociali epraticideldispotismo.Questo

suoconcettoassumeancheunparticolare valore riguardoall’Italia del tempo, ai suoicostumi, al problema del suorinnovamento letterario, aisuoi rapporti con le altrenazioni europee, problemitutti a cui Leopardi eraattentissimo esensibilissimo29:

Se l’uomo sia natoper pensare o per

operare,esesiaverocheilmiglior usodella vita,come dicono alcuni, sial’attendere alla filosofiaedallelettere(quasichequeste potessero averealtro oggetto e materiache le cose e la vitaumana e il regolamentodella medesima, e quasiche il mezzo fosse dapreferirsi al fine),osservatelo anche da

questo.Nessun uomo funésaràmaigrandenellafilosofiaonellelettere,ilqualenonfossenatoperoperare più e più grancose degli altri, nonavesseinsémaggiorvitae maggior bisogno divitachenonnehannogliuomini ordinari, e pernatura ed inclinazionesuaprimitiva, non fossepiùdispostoall’azionee

all’energiadell’esistenza, che glialtrinonsoglionoessere.La Staël lo dicedell’Alfieri(Corinnet.I,livre dernier), anzi dicech’egli non era nato periscrivere,maperfare,sela natura de’ tempi suoi(e nostri) glielo avessepermesso. E perciòappunto egli fu veroscrittore, a differenza di

quasi tutti i letterati ostudiosiitalianidelsuoedel nostro tempo. Fra’quali siccomenessunooquasinessunoènatoperfare(altrochefagiolate),perciò nessuno o quasinessuno è vero filosofonéletteratochevagliaunsoldo.Alcontrariodeglistranieri, massimedegl’inglesi e francesi, iquali (per la natura de'

lorogoverniecondizioninazionali) fanno, e sononati per fare più deglialtri.Equantopiùfannoo sono naturalmentedisposti a fare, tantomeglioepiùaltamenteestraordinariamentepensanoescrivono (Zib.2453-54).

In queste parole, come sivede, l’ideale di attività

eroica si è trasformato in unpreciso valore civile. Esso èvisto da Leopardi, moltonettamente, in rapporto alproblema dell’Europamoderna30, anche se ciòpossa sembrare incontraddizione(eilLeopardi,vedremo, è consciodi questapossibile accusa e se nedifende) con altre sueaffermazioni:

... il mio sistema,invecedi esser contrarioall’attività,allospiritodienergia che ora dominauna gran parte diEuropa,aglisforzidirettia far progredire lacivilizzazione in mododarenderlenazioniegliuominisemprepiùattiviepiùoccupati,glièanzidirettamente efondamentalmente

favorevole (quanto alprincipio, dico, diattività e quanto allacivilizzazioneconsiderata comeaumentatrice dioccupazione, dimovimento,divitareale,di azione, esomministratrice dimezzi analoghi...) (Zib.4187).

Ladatadiquestopensieroè anch’essa importante: essoè del 13 luglio 1826, ossianonappartieneallaprimafasedi Leopardi, quella cheabbiamo fin quiprevalentemente esaminata,ma già al pieno sviluppo delsuo pessimismo, almomentoanzi in cui di questopessimismo si è già prodottala crisi decisiva, che è,vedremo,lacrisidelconcetto

di natura come positivavitalità;edessoèstrettamenteconnesso all’analisi che ilLeopardi fa di questa crisi, eda un siffatto contesto loabbiamostrappato.

Questo apprezzamentodell'energia nella società enell’Europa moderna nonrimane in Leopardiun’affermazionegenerica,malo porta a precise e feliciintuizioni storiche, a vedere

per esempio in una luceparticolare il dispotismonapoleonico, che eglialtrimenti, dal punto di vistaformale,avevaconsideratosuuna medesima linea deidispotismi di LuigiXIV e diFederico II, ulterioreperfezionamentodiquelli31.

Il sistema diNapoleone metteva insomma le sostanze dei

privatiinabilieinertifrale mani degli abili eattivi, e il suo governo,contuttoché dispotico,perciò appuntoconservava una vitainterna che non si trovamai ne’ governidispotici, e non semprenellerepubbliche,perchél’uomo di talento evolontà di operare, eraquasisicurodi trovareil

suo posto di onore e diguadagno. Al checontribuiva lamolteplicità infinitadegl’impieghi la qualefaceva che ogni uomoabile edoperosopotesseessere mantenuto earricchito a spese deiprivati inabili e pigri.(Oltreunacerta sagacitàedequitànellasceltadeitalenti e delle persone).

E per una parte nonaveva il torto, perché ilprivato incapace eindolente, né beneficatogiova, né maltrattatonuoce alle cosepubbliche. E ne seguivache tutto il corpo chesottoqualunquegovernosarebbe stato morto, silagnasse di lui, e tuttoquello che parte sarebbestato vivo in qualunque

circostanza, parte lo eraperlanaturael’efficaciadel suo governo, se nelodasse(Zib.229)32.

Abbiamo parlato di una,sia pur astratta, volontà disuperamento dellecontraddizioni dell’epoca, eabbiamo messo in rapportoquesta volontà leopardianacon la sua concezionedell’energia e dell’operare

umanonelmondostorico.Maaveva il Leopardi, ci si puòchiedere, una concezione delmondo storico che rendesseobiettivamente possibile egiustificasse una siffattavolontà? Questa domandatoccauninsiemediideeassaicomplesse nel Leopardi,intorno alle quali corrono, ingenerale, per opera degliinterpreti, equivoci moltogrossolani. Indicheremo solo

brevemente queste idee,perché esse andrebberostudiateelumeggiatenonperse stesse,ma in rapporto allediscussioni che erano statefatte e alle teorie che eranostate svolte o accennate,soprattutto in Francia e inItalia,negliultimidecennidel’700eneiprimidelsecolo.Ingenerale si ritiene cheLeopardineghiilprogressoecombatta l’idea di esso. Ora,

questononèesatto.Leopardisi vale moltissimo dell’ideadelprogresso,senevaleanziin un modo immediato ediretto, che sotto moltiriguardi la pone fuoridiscussione. Egli non solocredealprogressodielementiparticolaridelmondoumano,come scienza, tecniche,filosofia, linguaggi, ecc., macredeaungeneraleprogressodell’incivilimento, che

traversa i cicli di civiltà ebarbarie, inteso in un sensoassai preciso di un andaravanti, di un allargarsi dicognizioni e occupazioni, diun estendersi anchegeografico dei rapportiumani, di un differenziarsi earricchirsi qualitativo e nellostesso tempo di un sempremaggiore uniformarsi delcostume sociale. All’internodi questa concezione fa tutto

il suo gioco l’idea dellamodernità, del moderno, daLeopardi adoperata dicontinuo e che egli applicaatuttiitempi,atutteleepochestoriche (indipendentementedalla sua consuetacontrapposizione dei«moderni»edegli«antichi»),eacuiegliannetteunvaloreparticolare, una vera qualitàassiologica,talchéglidiventacriterioperilgiudiziosuivari

popoli, e sul rapporto dilivello incuiessi, appunto inriguardo al progresso,vengono a trovarsi tra loro,problema che lo affatica dicontinuo, in uno sforzo diobiettività in cui egli dominail suo pur vibrante animod’italiano.Sivedaquantoegliscrive sugli Orientali e sugliAmericani,masoprattuttosuipaesi europei, Inghilterra,Germania, Francia, Italia,

Spagna, sulla parte che essihanno avuto e che tuttora adessi spetta, nella formazionedel mondo contemporaneoecc. Si veda il suo insisteresulle diversità sostanziali,comeeglidice, fra lediverseciviltà e le diverse epochestoriche. Davvero è cosabalorda presentare, in questosenso, il Leopardi come unnegatore del progresso, ossiadelprocederestorico.Ciòche

Leopardi nega è altra cosa;egli nega quel che eglichiama, e che allora sichiamava, «perfettibilità»,gran tema di discussione nel’700, e concetto piuttostolegato all'antistoricismodell'età illuministica e alpermanere in essa di fortielementi platonici (nessunopiùantiplatonicodiLeopardi,in prosa come in poesia; eanche su questo punto si son

dette, anche da uominiillustri, non poche cosesbagliatesulcontodilui)chenon all'intuizione della veraessenza della storia33. Alconcetto di «perfettibilità» ilLeopardisostituiscequellodi«conformabilità», aperto atuttelepossibilità,lontanodaogni platonismo, che egliconnette con la sua dottrina,anch’essa assai elaborata,dell' assuefazione (a cui già

abbiamo accennato),cercandodi farloscaturiredaquest’ultima, come unamodificazionequalitativa chesi produca da un graduale evario accumularsiquantitativodiesperienze34;eorganizzando in esso i suoipensieri (tutt’altro chetrascurabili) sull'influenzadell’accidentale e dei fattorimateriali nello svolgimento enel progresso della civiltà

umana. Insieme di dottrine edi spunti teorici i quali sonostrettamente uniti colmaterialismo di Leopardi, eneiquali eglinoncipresentamai una visione staticadell'uomo, ma l’uomo chemuta e si trasforma nellastoria.

Ciò che tuttavia non sipuònegareècherimangaunohiatus, una non avvenutasaldatura concettuale, fra

l’idea leopardiana delprogresso e questa dottrinadella«conformabilità»;hiatusche non si sarebbe potutocolmare se non con unconcetto dialettico dellaragione e della realtà, che ilLeopardi non arrivò apossedere. Per questo hiatus,per questa lacuna, comeabbiamogiàvisto,ilLeopardifilosofo si dissocia dalLeopardimoralistaementreil

primo rimane nel fondo,emerge con tutta la suaveemenza e passione ilsecondo. Il Leopardimoralista, se per un versoproduceilpessimismostorico- e abbiamo visto su qualefondamento esso vadaindagatoequalesignificatodilotta esso assume -, per unaltroverso,masulmedesimofondamento, produce quelconcetto tutto moderno della

felicità come sviluppo dienergiavitale,comeoperositàe attività, e dell’unitàfondamentale dell’uomocome prassi, col quale eglireagisce, sulla via aperta daiParini e dagli Alfieri, allafiacchezza morale dellatradizione letteraria italianadegli ultimi secoli.Ricordiamo: «Nessun uomofu né sarà mai grande nellafilosofia o nelle lettere, il

quale non fosse nato peroperare più e più gran cosedegli altri, non avesse in sémaggior vita e maggiorbisogno di vita che non nehanno gli uomini ordinari, eper natura e inclinazione suaprimitiva, non fosse piùdisposto all’azione eall’energia dell’esistenza, cheglialtrinonsoglionoessere».Questa energia che sitrasforma in virtù, in virtù

moderna e civile, è tuttaviainnanzi tutto lodata nel suoaspetto vitale («maggior vitaemaggiorbisognodivita»),equesto è caratteristicamenteleopardiano. L’operare,l’azione è di per sé fonte difelicità,allegria,gioiadivita.

L’azione viva estraordinariaèsempre,obene spesso, cagioned’allegria, purché non

abbatta il corpo (Zib.1328).

La gioia di vivere èfortemente sentita daLeopardi, ed essa, in mododiretto e indiretto, comeimmediata presenza o comeacuta nostalgia, è uno deimotivifondamentalidellasuapoesia35. Talvolta essa sipresenta, come desiderio, inmodo esasperato e terribile,

fin dai primi anni, comequando, da quella che gliappariva la sua prigione,Recanati, scriveva, adiciott’anni, al Giordani (30aprile1817):

io voglio un mondoche m’alletti e misorrida, un mondo chesplenda(siapuredi lucefalsa)

ove quella parentesi nonpuò non produrre sgomentoin chi legge, come di unabisso che si spalancassedinanzi all’inconsapevoleLeopardi, al suo destinoindividuale. Eppure nellamedesima lettera egli dicevaal Giordani: «Nessundesiderio mi ha fatto né mifarà mai infelice». Era lagiovinezza, la fiducia dellagiovinezza. In una delle

ultimepoesieegli,inunversoaridoebellissimo,scriveràlacondanna tragica dellavecchiezza a cuiprecocemente sentiva ocredevadiavviarsi:

incolume il desio, laspemeestinta.

Tra quella frase e questoverso si chiude, inungrandearcodi«disperatasperanza»e

didolore,tuttal’esperienzadiLeopardi. Il «desioincolume», semprerisorgente, anche dalla noia,fu il segno di essa. Essa,intrinsecamente, non fu maiuna negazione della vita.Questa adesione alla vita,anche nella negazioneragionata di essa (ma questanegazione, che è una relativanegazione, è un fatto assaicomplesso, assai diverso da

quel che di solito si crede;che non si spiega, come si èusi, solo biograficamente epsicologicamente, ma colsuccessivo e necessariocomplicarsi dellaproblematica leopardiana) èla sostanza più intima ecostante della sua poesia, èl’elemento stesso diresistenzaincuisiproduceilsuo «pessimismo». Bendiverso, come giustamente

vide il De Sanctis, dalpessimismo a freddo deipensatori falsamentesistematici (i «poemimetafisici», dichiarava consprezzo Leopardi), dalpessimismo di unoSchopenhauer. Pessimismovirile e fortificante che nutrìcon la sua poesia, contro leipocrite preoccupazioni di unTommaseo, com’è noto, lagiovinezzadiunDeSanctiso

di unCairoli, e di tanti altri.Quando i versi di Leopardicadono fuori di quell'a-desioneallavita(esiapurelavita della ginestra) essicadono fuori della poesia,come in quella specie dibiglietto lasciato sul tavoloche è il famoso A se stesso.Anche nella conclusione diAspasia, non pocovolontaristicamente sforzata,il Leopardi mira «il mar la

terra e il ciel», l’universosotto forme sensibili epalpitanti, ed è una aperturavitale inquellasforzatura.Diquell’adesione alla vita, delvalore oggettivo di taleadesione, il Leopardi era delresto cosciente. Non si trattadel solito motivo delleillusionirisorgentiecc.,madiqualcosa di più intimamentelegato con la sostanza dellasuapoesia.Eglidice:

La poesiamalinconica esentimentaleèunrespirodell'anima.L’oppressionedelcuore,o venga da qualunquepassione, o dalloscoraggiamento dellavita, e dal sentimentoprofondo della nullitàdelle cose, chiudendoloaffatto non lascia luogoaquestorespiro...

e stupendamenteconclude:

Ma quantunque chinon ha provato lasventura non sappianulla, è certo chel'immaginazione, eanche la sensibilitàmalinconica non haforza senza un’aura diprosperità, e senza unvigor d’animo che non

può stare senza uncrepuscolo un raggio unbarlume di allegrezza(Zib.136).

In queste parole non èforse racchiusa un’esteticagenerale,ma certo, - insiemecon l’altra proposizione, «ilsentimento se non è fondatosulla persuasione è nullo»(Zib. 1557) - la più precisaqualificazione che si sia mai

datadellapoesialeopardiana,fatta di persuasione, ossiaragionamento, e sentimento,illuminati, anche nellamalinconia o nelladisperazione, da un barlume,uncrepuscolodiallegrezza.

Ma l’energia vitale e lafelicità vitale sonoinizialmente, per il Leopardi,«natura».Esserientranonellasua iniziale contrapposizionedi «natura» e «ragione» alla

cuiorigine,abbiamovisto,stala delusione storica. Questadelusione non spiega solo ilpessimismo storico diLeopardi, ma il suosuccessivo e rapido svolgersiin pessimismo totale, inquello che è stato chiamato«pessimismocosmico»; ossiaspiega tutto il pensieroleopardiano.Iduepessimisminascono da un unico germe,appartengono a un unico

processodipensiero.Ciònonsi può intendere se non sicoglie l’accento nuovo,l’accento non piùsettecentesco,cheilLeopardifindaprincipiohaportatoneltermine «natura». Comeabbiamo già accennato essanon è più soltanto per luispontaneità e passione, comeper Rousseau, ma vitalità,autonomo valore vitale. Ilconfigurarsi di questa

autonomia è proprio,inizialmente, condizionatodall’aspra contrapposizionecon la ragione. La soffertasvalutazione della ragioneporta il Leopardiall’assunzione di un valoreche gli appare opposto aquello della ragione, appuntoil valore della vitalità36.Itermini vitale, vitalitàricorrono spessissimo inLeopardi, e sono termini di

uso e di gusto moderno, chedanno l’impronta dioriginalità al suo concetto di«natura», nonostantel’intelaiaturailluministicachesta alla sua origine, epreludono, come abbiamoaccennato, nella funzionedinamicadaessiassuntanellosvolgimento del pensiero diLeopardi, al pieno ’800 eperfino, in parte, al ’900, inun aspetto rilevantissimo

della loro problematicafilosofica. Che ciò non siamai stato notato dagliinterpreti è una prova di piùdi come il pensieroleopardiano sia stato studiatoprovincialmenteesia rimastooscuro e incompreso nel suointrinseco significato, in quelsignificato che possiam direeuropeo, perché racchiude insé,almenoingerme,lastoriae la catastrofe di gran parte

del pensiero europeo, delpensieroborgheseeuropeo.

Diquestosvolgimentodelpessimismo leopardianodaremo qui solo unarapidissimatraccia,perquellocheessaserveagiungereallenostre presenti conclusioni,riservandociperun’altravoltala sua indagine e la suadimostrazione nei particolari.Al vitalismo di Leopardi,molto più che al suo

materialismo (il quale, comegiustamente ha osservato ilTilgher37, ha in principiocarattere piuttosto agnostico,equindi,insostanza,incerto),sono inizialmente legati itemi emozionali piùgeneralmente noti del suopensiero, felicità, piacere,desiderio, speranza, noia,dolore,compassioneeperfinoquello della religione. Lastessa contrapposizione di

antichi e moderni è tuttacoloritadaquestovitalismoedipende in sostanza da esso;cioè, assume un significatodel tutto diverso da quellotradizionale: la superioritàdegli antichi sui moderni èsemprevista,indefinitiva,daLeopardi nella loro maggiorpienezzavitale,equindinellaloro maggiore felicità. Ilmotivo della virtù, che,abbiamo veduto, è in

Leopardi socialmentecondizionato, dipendeanch’esso, in ultima analisi,da questo elemento dellavitalità,eciòspiegaperchéinquell’equilibrio instabile dinaturaeragionecheèperluila società e la civiltà (civiltàmedia), l’elemento portanteed equilibrante rimanga nella«natura». Esclusa la ragione,condannato il mondocontemporaneo (ricordiamo,

sulla base della delusionestorica), il Leopardis’immergetuttoinquestosuovitalismo e ben prestos’imbatte nellacontraddizione intrinseca diognipurovitalismo,inquellacontraddizioneconcuivennead urto e in cui praticamentenaufragò, qualche decenniopiù tardi, il pensiero delNietzsche (molti accenti delLeopardi,diquestoLeopardi,

fanno presentire il Nietzschecon cui egli ha un lato diparentela, mentre nessunaparentela di temperamentoegli ha con l’ipocritaSchopenhauer). Lacontraddizionesistabilisceinrapporto al millenarioproblema della felicità.L’eccellenza vitale non puònon intendersi come unmassimo di vivacità e disensibilità; ora, se l’aumento

disensibilitàrendeaccessibilimaggiori gioie, esso, ben piùlargamente, almeno nelmondo umano che finoraconosciamo, procura dolori esofferenze, e incurabileinfelicità. È ancora una voltal’urtoconlasocietàpresente,e la sofferta coscienza dellapropriapersonaleposizioneinessa, del proprio isolamento,che procura al Leopardi losvelarsi dell’intrinseca

contraddizione di ogni merovitalismo.Ma le sue vicendepersonali, non che esserel’unico filo conduttore delsuopensiero,comesiè solitiattribuire, sono solo lacuciturainterna(enonaccadequesto in ogni pensatore chepensiconcretamente,chestiacoi piedi solidamente sulterreno della propria epoca?)dello sviluppo logico,compiuto da Leopardi, di

detta contraddizione. Questacrisi, o almeno l’inizio giàmaturo e scoperto di essa, sipuò all’ingrosso localizzarenell’anno 1823 (lagrandissimapartedeipensieriche noi abbiamo sin quianalizzato rientra nel limitedel 1822), e la primapubblicazione delle Operettemorali, a parte il lorosplendore letterario (nonsempre del resto interamente

genuino) ne è un primo, maanche, dal punto di vista delpensiero, affrettato emanieratofissamento.

Ma il Leopardi non siarrestaallacontraddizionedelvitalismo,alrilievodiessa,eprosegue oltre. (Egli nontanto facilmente rinunzia alvalore vita) Non si arresta,cioè, alla fase nietzscheana.Svolge la contraddizione; iltermine «natura», che

finallora s’era praticamenteidentificato con quello di«vita», gli si duplica in vitaed esistenza e in questosdoppiamento, nell'ostilità econtraddizione dei duetermini, egli trova il verosenso di quellacontraddizione. Il momentomorale-vitale (bene-male) equelloesistenzialesistaccanol’uno dall’altro; quest’ultimoassorbe i motivi, fino a quel

momentovaganti,delnullaedellanoia.Lanoia,grantemadei romantici, da Byron aPuskin a Foscolo e a tantiancora, tema già caro aLeopardi,maconfusoconglialtri, con la melanconia,disperazione ecc., assume aquesto punto un valore tuttopeculiare, che lo fa emergererispettoaglialtrieglidà,percosì dire, una posizione diprivilegio. Essa diventa

organo di conoscenzaassoluta e filosofica,conoscenzaemozionale,statod’animo decisivo, checontrassegna la posizione«metafisica» dell’uomonell’universo, la suagrandezzaelasuamiseria:laconoscenzael’esperienzadelnulla, legato intrinsecamentee direttamente non alla vita,ma all’esistenza, nell’ostilitàloro. Il nulla è in questo

senso,cioè inquesto legame,per il Leopardi, il poter nonessere e il poter esserealtrimenti di ogni cosa, equindi l’aspetto di fato cheassume di fronte all’uomo la«natura», ormai identificatacon l’esistenzacontro lavita.Lanoia,aquestopunto,hainLeopardi la precisa funzioneche ha l'angoscia inKierkegaard, ma con benmaggiore coerenza, almeno

da un punto di vista nonreligioso,perchéladifferenzasostanzialefraidueèpropriol’assenza di ogni motivoreligioso in Leopardi,l’estinguersi anzi di quellevaghe e incerte fiammelle direligiosità (in senso proprio)cheeranobaluginatenellasuagiovinezza, il suo rinsaldarsiin un radicale ateismo.L’evolversi della suaproblematica dell 'infinito ne

è una dimostrazione esplicitae logica. Leopardi anticipacosì, in modo quasistupefacente, bruciando in sestessoletappe,quellochepiùtardi sarà lo svolgimento diuna parte importante delpensiero europeo dalvitalismo all'esi-stenzialismo,e prolunga, sotto questoaspetto, la sua problematicafino ai nostri giorni. Ma diquale parte del pensiero

europeo? Lasciando per orafuori considerazione il fondosocialecheessaesprimevaedesprime, possiamo dire: diquella parte del pensieroeuropeo che si è svoltaall'infuori del pensierodialettico, priva di esso esequestrata da esso. Ora, lamancanza del pensierodialettico era proprio ladeficienza originaria diLeopardi, quella che ha

condizionato il suo dissidioiniziale, la delusione storica.Si veda quindi con quantafatale coerenza il Leopardi èandato in fondo alla propriaesperienza, e come egliappartenga intrinsecamente egenuinamente al dramma deinostri tempi e della lorocultura, vita e società.Leopardi ha dissolto ilproprio vitalismo nelnichilismo, nel modo più

conseguente. Ma qui staproprio il punto decisivo nelgiudizio complessivo sulLeopardi: a differenza delmodernoesistenzialismo,eglinon ha portato in questonichilismo nessuncompiacimento,comenonhaportato nel suo materialismonessuna perplessità: nessunelemento del l'ethos piccolo-borghese è operante in lui.Giunto a questo limite

estremo, di fronte a cui, sipuò dire, tutto il resto eracaduto, Punico elementopositivocherimanefralesuemani è la ragione, proprioquella ragione settecentesca,Punica che egli conosceva,che era stata il massimooggetto del suo amore e delsuo odio intellettuale, ossiadella sua intellettualedisperazione, nata da unacontraddizione storica, non

logicamentesanata.Il nichilismo leopardiano

infatti conclude con l'ostilitàdella natura verso la vita ingenerale e verso quelladell'uomo (come la più vivatra le vite) in particolare.Ostilità fatta di indifferenza,ossia di niente.Quell'indifferenza che ilLeopardi più di ogni cosaaveva odiato e che avevadenunziato frutto

dell'eccessiva ragione,dell’eccessiva civiltà, hafinito per trovarla come ilvolto e il carattere della giàamata «natura». È inutilestareaimputareaLeopardilacontraddittorietà di questaconclusione, dell'antitesinatura-vita, o esistenza-vita.Questa antitesi non è menocontraddittoriae insostenibiledi quella iniziale di natura-ragione o di quella

rousseauianadinatura-civiltà.È per un processo che sisvolge coerentemente,abbiamo visto, che ilLeopardi è sbalzato, nellaimpossibilità di unamediazione dialettica, dallaprimordiale antitesi natura-ragione all’oppostacontraddizione di natura evita.Magiunto al termine diquesto processo Leopardistesso si rende conto della

contraddizione, e sene rendeconto in rapporto a quellaragioneche la nuova antitesisembrava lasciar fuori,immune e intatta. Lecontraddizioni sonoormai, aisuoi occhi, nella «natura»stessa, ossia nell'esistenza».In queste contraddizioni (enella crudeltà della natura) siè a poco a poco trasformatoquel generoso disordine esperperodellanaturacheegli

aveva vagheggiato, contro laragione «geometrizzante» eplatonica, nella fase piùgiovaniledelsuopensiero:

Contraddizioniinnumerabili, evidenti econtinuesitrovanonellanatura considerata nonsolo metafisicamente erazionalmente,maanchematerialmente (Zib.4204).

Pococi importanoquigliesempi che reca Leopardi,anche se siano tutt’altro chesciocchi.Quel che conta è laconseguenza che il Leoparditrae dalla sua constatazione,unaconseguenzacheriguardalaragione.Manonè,comesipotrebbe credere, unaconseguenza di caratterescettico o agnostico (vi sonoindubbiamente tentativi eaccenni molteplici anche in

questo senso), ma unaconseguenzachevaassaipiùin profondo, e che reca allesoglie dell'esigenza di unariformainsensodialetticodelconcetto della ragione stessa.Quelle contraddizionicostituiscono un «misterogrande» che non si puòspiegare se non «rinunziandoin certo modo anche alprincipio di cognizione, nonpotest idemsimulesseetnon

esse» (Zib. 4129). «In certomodo»: non volgendosisenz’altro a un facilescetticismo o a una facilemetafisica.AquelprincipioilLeopardi è pur saldamenteattaccato,etuttavia

... quel principio,estirpato il quale cadeogni nostro discorso eragionamento ed ogninostraproposizione,e la

facoltàistessadipoternefareeconcepiredeiveri,dico quel principioNonpuò una cosa insiemeessereenonessere,pareassolutamente falsoquandosiconsiderino lecontraddizioni palpabiliche sono in natura(Zib.4099).

Ma le contraddizioni cheil Leopardi rinviene, o crede

dirinvenire,innatura,eglileriassume tutte nella suaantitesi natura-vita oesistenza-vita, coloritaassiologicamente, da quelmoralista che egli era, nelrapportodibene(felicità)edimale (infelicità). È insostanza il classico problemadel male che gli si presentaormaiintuttalasuacrudezzae nudità, male nella vitadell'uomoemalenellavitain

generale. Ora, egli questomale lo trova,comeun fatto,legato al rapporto vita-esistenza e quindi come unacontraddizione alla positivitàloro, come un elementonegativo che appuntonecessariamente scinde i duetermini. Qui stava un granrischio a cui era esposto ilLeopardi, rischio a cui egliera completamente esposto,dopo che il suo concetto di

ragione era stato, comeabbiamo visto, scosso nellasua stessa natura logicatradizionale, senza che eglipossedesselostrumentodellasua sostituzione. Questorischio è molto semplice adirsi: era la caduta di unadelle solite posizioniteologicheacuii«filosofi»,aun certo punto del loropensiero, quasi mai sisottraggono.Tuttalagenerale

tradizione cristiana che ilLeopardi aveva alle spallesembravadoverlospingere inquesto senso, con la faciledistinzione dell'essere in duesfere distinte e contrapposte;l'essere infinito, perfetto efelice: l'essere del creatore;l'essere finito, imperfetto edolorante: l'essere dellacreatura. O piùsemplicemente ancora, nelsenso dell’altra tradizione

teologica, quella orientale ebuddistica, a cui in certomodo il Leopardi potevaesser avvicinato dalla suatematica del nulla, per cuiall'individuazione è semprenecessariamente legato ildolore e la sofferenza. (Laposizione in cui andòbellamente a cascare loSchopenhauer). È in certomodo emozionante vederecome il Leopardi, impigliato

eimbarazzatoormainellasuastessa insufficiente e vecchiaterminologia, soprattutto nelrapporto, esso medesimo diorigine teologica, diperfezione-imperfezione,rasenti il detto rischioe tuttavia se ne salvi. Ossia,come non caschi nelletrappoleteologiche.

La qualcontraddizioneapparisce

ancora nella essenzialeimperfezionedell'esistenza(imperfezionedimostratadalla necessità di essereinfelice, e compresa inlei); cioè nell’essere, edessere per necessitàimperfettamente, cioèconesistenzanonveraepropria. Di più che unatale essenza comprendain se una necessaria

cagione e principio diessere malamente, comepuò stare, se ilmalepersua natura è contrarioall’essenza rispettivadellecoseeperciòsoloèmale?(Zib.4100).

«Eperciòsoloèmale»:ècome un saldissimo colpo dibarra con cui il Leopardi siimpedisce di sfuggiredall'interno rigore della sua

posizione morale e mentale,lungolalineatangenzialecheconduce al trascendente. Ilmale c’è, ma è tutto relativoallecosedelmondo,ètuttodinatura terrena e legato allanatura terrena delle cosestesse e dell’uomo; nessunaproiezione sua, o delle sueradici, al di là del mondoterrestre è per il Leopardiammissibile.Giunto a questopunto il Leopardi si sente,

conpienacoscienza, ai limitidelle proprie possibilitàmentali, ai limiti deglistrumentimentalicheavevaasua disposizione, ed egli conla sua consueta onestà echiarezza ne fa laconfessione. Da una parte visono le contraddizioni dellanatura, razionalmenteevidenti («non delleapparenti, ma delledimostrate con tutti i lumi e

l’esattezza la più geometricadella metafisica e dellalogica»);dall’altravièlanonrinunziabilità del principio dinon contraddizione (quellecontraddizioni sono «tantoevidentipernoiquantoloèlaverità della proposizione.Non può una cosa essere adun tempo e non essere»).Bisognerebbe quindi«rinunziareallacredenzaodiquesta o di quelle». Ma

questononèunbivioincuisipossa, secondo il Leopardi,decidere-sceltafralaragionee l’anti-ragione, frarazionalismoe irrazionalismo- perché, come egli moltoacutamente ha messo inevidenza, quellecontraddizioni sono tali solodinanzi alla ragione.Dall’ambito della razionalitàdunque, in qualsiasi modo,non si esce. È come una

grande lezione che ilLeopardi,daimarginiestremidel proprio pensiero, dà atutto l’irrazionalismomoderno. A questi margini,alla contraddizione nonrisoltafralecontraddizionieiprincipiclassicidellaragione,egli preferisce arrestarsi. Èdall’angolo visuale di questopunto fermo, punto fermorazionalistico, che va oragiudicato anche il nichilismo

leopardiano, ossia il suomomento esistenzialistico.Poiché non è stato esso,evidentemente, a salvare ilLeopardi dalla teologia, dalmisticismo,dall’irrazionalismo. Da talicaduteilLeopardisièsalvatomercé un diverso, anziopposto, elemento e questo èstato il suo materialismo.Sarebbe un grave errored’interpretazione, una vera

deformazione unilaterale,ridurre lo svolgimento delpensiero leopardiano a quelsolo aspetto che già abbiamomesso sommariamente inluce, il passaggio dalvitalismo al nichilismoesistenziale. Lo sviluppo delLeopardi è invece duplice:mentre la crisi logica delvitalismo lo spingeall’estrema conseguenzanichilistica,sisvolgeinluiun

processo parallelo chedall’incerto e agnosticomaterialismo, cheaccompagnava, quasi insottordine, il suo primitivovitalismo, lo porta a unaelaborazione complessa econsolidata del materialismo,a un materialismo di primopiano, «sottile, profondo earticolato»,comegiustamentelo ha qualificato il Tilgher38.Approfondire questo

materialismo non è compitodelpresentestudio,bensìsolofissarne la funzionenell’insieme dellosvolgimento mentale diLeopardi.

Si pone quindi innanzitutto la domanda: come sispiega quel processoparallelo?Essononècasuale,una mèra concomitanzapsicologica, ma connessostrettamente alla natura e

all’originedell’altroprocesso.L’iniziale svalutazione etico-sociale della ragione(svalutazione di carattereassiologico, chenonmette inforse, ma anzi suppone, lavalidità intrinseca dellarazionalità come tale)condiziona l’emergere delvalore della puravitalità.Mala critica razionale, nel suorichiamarsi all’esperienzaumana, mette ben presto in

crisi questo vitalismo,facendo dirompere nel modoche abbiamoveduto l'inizialetermine «natura». Nellasuccessivaantitesinatura-vita(esistenza-vita) il termineragione è ormai liberato daogni remora antinomica (nonèpiùlaragione,malanaturache produce necessariamentel’infelicità:ilrapportoinizialesiècapovolto-mailtermine«natura» ha gradualmente

cambiato di contenuto). Laragione procede ormailiberamente: è dessa chescopre l'ingannodellanatura,produttrice delle illusioni (infunzione della vitalità). Ilvecchio ideale eroico sitrasforma, o per lo meno sicompletaesiintegrainquellodell'eroe del vero: la veritàdiventa suprema dignitàumana, virtù. Tale dignitàdell’uomo,caduteleillusioni,

rimaneilsuounico,ancheseamaro, bene. (Questo è unpunto fondamentale delnuovoethosleopardiano.)

Mailcampodiimmediataapplicazione di questaragione è limitato. Essa haportatoacrisiilvitalismo,malo ha portato a crisi infunzione del problema dellafelicità, cioè di un problemachenonsuppone,insestesso,la vita razionale, ma la vita

emozionale. (Quella vitaemozionale che, come«natura», già originariamentein Leopardi si opponeva allaragione.) L’opposizione diragione e vita quindi rimane,manonèpiùunaopposizionedi valori, non è più,propriamente unaopposizione, ma unadistinzionedi ambiti: vi èunambito immediato della vitain cui essa postula da sé i

propri valori,indipendentemente daqualsiasi altra istanza, e saràappuntoilvaloredellafelicitàe tutti gli altri connessi edipendenti, per cui la vita hapropri organi conoscitivi, dicarattere emozionale (e ciòspiegalafunzioneprivilegiatache nello svolgersi delnichilismo assume la noia).Al di fuori di questo ambitola ragione si applica

immediatamenteesviluppa ilsuomaterialismo,togliendolodaquell’incertezza iniziale incui la costringeva il suoprecedente rapportoequivocorispetto alla vitalità.(Rapporto di opposizionecomeragionedispiegatadallaciviltà, ragione «acquisita».Rapporto di unità, comeragione primitiva, naturale.Rapporto di composizione,come ragione che tuttavia

svolge quella critica a sestessa,laqualefaemergereilvaloredellavitalità.)Maselaragione non investeimmediatamente l’ambitoemozionale, se sussistel’autonomia di questo, essanondimeno lo investeindirettamente, poiché nullasfugge al suo controllo, e indefinitiva, come abbiamovisto, la crisi stessa delvitalismo è stata prodotta dal

suo intervento. Tutto ilprocesso che abbiamoprecedentemente delineato, ilprocesso di detta crisi, sisvolge quindi dentro ilsuperiore raggio dellaragione, nel suo ambitoonnicomprensivo, che non sirisolveenonsiidentificaconla sfera emozionale da leicontrollata, ma che articolaque-st’ultima col restanteuniverso delle cose e con

l’elaborazione e l’intuizioneche essa ragione produce diquesto, ossia, nellafattispecie, col materialismo.Quel processo vitalismo-nichilismononrimanequindisospeso in se stesso, ma ècomeunrapportointerno,dalpuntodivistadella«ragione»leopardiana, del solidificarsidel materialismo, che nontrovapiùilvalorevitalecomeun’istanzapostafuori,anzial

di sopra di lui. Ilmaterialismo diventa così ilmotivo teoretico dominante,perchéessohaabbattutoognialtraresistenza.Vièunacrisidefinitiva del rapporto deidue ambiti, quello generaledel materialismo, e quelloparticolare della vita-emozionalità,cheperòormai,abbiamo veduto, è una crisitutta teoretica. Quella chepossiamo chiamare la crisi

delle contraddizioni:contraddizioni assiologi-cheda una parte (vitalità-infelicità, ecc.),contraddizioni«materiali», innatura, dall’altra;contraddizione di quellecontraddizioni, razionalmenterilevate, col principiorazionale dinoncontraddizione.Èlacrisi-ripetiamo,tuttateoretica-cheporta Leopardi quasi alle

sogliedell’esigenzadialettica.Mal’esistenzachecircoscrivee contiene la vita è ormai,senza contraddizione inLeopardi,esistenzamateriale.Essa si presenta come undato, perché il nichilismo,operando dall’interno, mettein forse (questo è il suoriflesso teoretico, che nonpotrebbe mancare) la suanecessità.Tuttaviacomedatorimane. Ciò che è, potrebbe

nonessere,diceilnichilismo,e presentando il suo verovolto, il volto assiologico,aggiunge:sarebbemegliochenon fosse. Ma questa suavoce non è ormai che unaspetto,unaspettointerno,diquella crisi dellecontraddizioni posta in lucedalla sola ragione, dallaragione materialistica. Ciò èesplicito inLeopardi, in quelpasso che, abbiamo detto,

segna la massima luciditàdella sua coscienza delproprio limite mentale. Egli,dopoaverdatoluogoaquellavoce del nichilismo, ladichiara incomprensibile:«Ma questo ancora come sipuò comprendere? che ilnulla e ciò che non è siameglio di qualche cosa?»(Zib.4100).

Il momentoesistenzialistico si risolve e

dissolve così in Leopardi,almeno dal punto di vistateoretico, in quellomaterialistico. Ciò spiegaperchéeglinonsisialasciatotentare da nessuna delleseduzioni dell'irrazionalismoedellareligione,edanessunadelle sollecitazioni di talcaratterecheprovenivanodalromanticismo, proprio nelmomento in cui potevasembrar loro più vicino (e

così è apparso a tantiinterpreti,chelohannovolutoforzare, non sempredisinteressatamente eobiettivamente, versosignificati religiosi eirrazionalistici), ma abbiainvece decisamente percorsoil cammino opposto. Se èverocheilLeopardianticipa,nello svolgimentodrammatico e rotto del suopensiero, il passaggio dal

vitalismo all’esistenzialismodi quella parte del pensieroeuropeo a cui rimaneestranea, che anzi rifiuta, ladialettica, non è meno veroche egli ne anticipa cosìanchelacatastrofecriticaelaoltrepassa, almeno inesigenza, con l’affermazionedel suo materialismo e dellasua estrema istanzarazionalistica.

Tutto questo processo, dicuiabbiamodatoquisolounatraccia, spiega la peculiaritàdell’ultima fase del pensieroleopardiano, che è statageneralmente rilevata daglistudiosi, ma che nessuno èstato in grado di spiegarenella sua genesi interna. Inessa ritorna nuovamente inprimo piano, com’è noto,l’interesse politico. Questointeresse si ricollega a quei

valori dell’operare,dell’energia ecc., che giàerano stati fondati daLeopardi vitalisticamente, eche sembrerebbero crollarenell’antinomia esistenza-vita.Tuttavia il Leopardi, e conpienorigore,riesceasalvarli.Se infatti, nellacontraddizione esistenza-vita,la vita si presenta come unmale e quindi meno infeliciappaiono gli esseri dotati di

minor copia di vita, gli«uomini i più stupidi», gli«animali meno animali», «lespecieegli individuianimalimenosensibili,menovivipernaturaloro»,quellichehanno«gli stati di animo menosviluppati», è altrettantoveroche«incominciatoedarrivatofino a un certo segno losviluppo dell’animo, èimpossibile il farlo tornareindietro, impossibile tanto

negli individui quanto neipopoli, l'impedirne ilprogresso» (Zib. 4186). E ilLeopardi applica questaosservazione al mondostoricochelocirconda:

Gl'individui e lenazioni d’Europa e diuna gran parte delmondo, hanno da tempoincalcolabile l’animosviluppato. Ridurli allo

stato primitivo eselvaggio è impossibile.Intanto dallo sviluppo edallavitadelloroanimo,segue una maggiorsensibilità, quindi unmaggior sentimentodella suddetta tendenza,quindi maggiorinfelicità. Resta un solorimedio: la distrazione.Questa consiste nellamaggior somma

possibile di attività, diazione, che occupi eriempia le sviluppatefacoltà e la vitadell'animo(ivi).

Ove è innanzi tutto daosservare che la pienezzadella vitalità, che dapprimaera attribuita,settecentescamente, all'uomopiù vicino alla natura, alselvaggio o primitivo contro

ilcivile,spettainveceoramaiall'uomo civile di contro al'«inazione el’infingardaggine deiselvaggi». Il valore vitale hacioè fatto una rotazione alpolo opposto, non è piùcontrastante allo sviluppocivile,maèessomedesimoinisviluppo, in «progresso» diparipassoconlaciviltà.Vièquindi, dentro il margine delpessimismo cosmico-

esistenziale, una maggioreadesione,anziunmassimodiadesione del Leopardi, almovimento della civiltà.Risulta adesso nel suo pienosignificatoquelpassochegiàavevamoparzialmentecitato:

Da questo discorsoseguecheilmiosistema,invecedi esser contrarioall’attività,allospiritodienergia che ora domina

una gran parte diEuropa,aglisforzidirettia far progredire lacivilizzazione in mododarenderlenazioniegliuominisemprepiùattiviepiùoccupati,glièanzidirettamente efondamentalmentefavorevole (quanto alprincipio, dico, diattività e quanto allacivilizzazione

considerata comeaumentatrice dioccupazione, dimovimento,divitareale,di azione, esomministratrice deimezzi analoghi), nonostante e nel tempostesso che esso sistemaconsidera lo statoselvaggio, l’animo ilmeno sviluppato, ilmeno sensibile, il meno

attivo, come la migliorcondizione possibile perla felicità umana (Zib4187-88).

Questo valoredell'energia, dell'operare,dall'iniziale configurazionedell’ideale eroico, subiscedunqueinLeopardi,comegiàabbiamo accennato,un’evoluzione, ha una storiainlui;maquestastorianonha

soluzionidicontinuitàedèinsostanza la storia stessa delsuosvolgimentointeriore.Findall’inizio (nell’idealestorico)essosierapresentatocome un principio e unfondamento della vita civile,anzi sociale: eroismo controegoismo. All’interno dellacostante pessimistica delpensiero leopardiano -costante pessimistica che èsempre in rapporto al

problema della felicità -quell’ideale fornisce unparadossale ed eccezionalevalore all 'infelicità,paradossale soloall’apparenza, ma (ormaidovrebbe risultare chiaro)strettamente e coerentementeconnesso a tutto l'ethosleopardiano. «Sii grande einfelice»diceromanticamentela natura all 'anima. Maquesta grandezza e infelicità

si traduce immediatamenteperLeopardisulpianosocialee civile, perché la grandezzaè virtù, e la virtù ha senso,abbiamovisto,solosuquestopiano.Per l’egoistacomeperloscioccononsiponeinfatti,a rigore, in Leopardi, o siponeinmodononrilevante,ilproblema della felicità («chemisera non è la gentesciocca»). Il «sii grande einfelice» diventa così

l’appello eroico alla sorellaPaolina («donne da voi nonpoco/lapatriaaspetta...»):

OmiseriocodardiFiglioli avrai.Miseri

eleggi.

Questa«miseria»èancoralegataalpessimismostorico:

...Immenso

Tra fortuna e valordissidiopose

Ilcorrottocostume.

L’appello eroico consistenell’invito a combattere il«corrotto costume», il quale,sappiamo, è l’egoismoindividuale che mina lasocietà; il corrotto costume,ossia le circostanze storiche.Questo motivo non spariscemaiinLeopardi(ladelusione

storica è fondamentale), masi integra e si risolvenell’ulterioresvolgimentodelsuo pessimismo, quando ilnemico numero uno divental'indifferentenatura. In veritàl’autentico nemico delmoralista Leopardi (cioè dalpunto di vista del valore) èl'indifferenza, sial’indifferenza dell’egoistaverso la società, sial’indifferenza della natura

verso gli uomini:quell’indifferenzachesembraesser stata sempre lo spettroangosciante di tutti i grandispiriti italiani, da Dante aMachiavelliaPariniaAlfieria Foscolo, quell’indifferenzachecostituivaperLeopardi ilmale più intimo dei costumidegli italiani39. La continuitàfra i due momenti, quellodella storia e quello dellanatura, è espressa, nella

poesia leopardiana,dall’immagine del fato,contro cui appunto si ergel’ideale eroico. Solol’eroismo vince il fato,l’«acerbo fato», il «fatoignaro», la sua indifferenza,la sua ostilità. Alle«tessalichestrette»

ilfatoassaimenforte

Fu di poch’alme

francheegenerose!

Eseunraggiodisperanzasi accende, questo non puòessere che la sconfitta delfato:

Oconl’umano

Valor forsecontrastailfatoinvano?

L’eroe è colui che non

cede, che non viene acompromessicolfato:

Guerra mortale,eterna,ofatoindegno,

Teco il prodeguerreggia,

Dicedereinesperto...

L’eroe è l’uomo liberoche accetta prima la mortedella schiavitù, e in ciò staappunto il suo supremo

valore,quelvalorechespettasolo agli uomini e li pone intutta la loro «miseria», algradino più altodell’universo, a scorno escherno degli dèi, a ludibriodeltrascendente,poiché

nonfora

Tantovalorne'mollieternipetti.

Via via che il fato da«storia» si trasforma, omegliosiallarga, in«natura»l’eroe diventa sempre menol’individuo singolo,eccezionale, soggettoromantico di poesia (ma giàabbiamo visto che fin daiprimi pensieri, nella giustasocietà, nella democrazia euguaglianza, soggetto delle«grandiazioni»erailpopolo,e i singoli lo erano non in

quantoa lui contrapposti,main quanto sua espressione),per farsi generale idealeumano. L’uomo veramenteuomo è quello che non sipiega a nessuna schiavitù,uomo libero e quindi«renitenteal fato». Il fato stadiventando sempre più il«comun fato»dellaGinestra,quellochesidevecombatterein comune. Leopardi viveinnanzi tutto soggettivamente

questo momento. Egli diceallamorte:

Me certo troverai,qualsisial’ora

Che tu le penne almiopregardispieghi,

Erta la fronte,armato,

Erenitentealfato,La man che

flagellandosicoloraNel mio sangue

innocenteNon ricolmar di

lode,Non benedir,

com’usaPer antica viltà

l’umanagente...

Ma questo atteggiamentosoggettivo dinanzi allamortee alla natura discendedall’atteggiamento soggettivoche il Leopardi ha di fronte

alla corruzione storica,all’egoismo,eallaviltàdegliindividui nella società, difronteal«secolo».Sitrattadiversi scritti quasicontemporaneamente e allesoglie dell'ultima faseleopardiana, di versi chemostranocomel'unmomentosussistaesiintegrinell’altro:

Sempre i codardi, el'alme

Ingenerose,abbietteEbbiindispregio.Or

pungeogniattoindegnoSubitoisensimiei;Move Palma ogni

esempioDell’umana viltà

subitoasdegnoDi questa età

superba,Chedivotesperanze

sinutrica,Vaga di ciance, e di

virtùnemica,Stolta, che Putii

chiede.EinutilelavitaQuindi più sempre

divenirnonvede;Maggiormisento.

Questa fu la moraleindividuale del Leopardi,strettamente connessa, comeabbiamo mostrato fin daprincipio, con la sua morale

sociale e fondata inquest’ultima. Morale eroica,morale positiva, che nega ilripiegamentosiadifronteallanatura che di fronte acircostanze storichedisgraziate; morale chenell’ultima fase di Leopardi,in quella fase di ulterioresviluppo in cui fu stroncatodalla morte, si evolve,vedremo, in moralesocialmente costruttiva.

Tuttavia suquell’atteggiamentomoralediLeopardi si è spessoequivocato fino aconsiderarlo retorico einsincero,equestoèaccadutoanche al De Sanctis che senon aveva avuto modo dipenetrare nel pensiero diLeopardi ne avevanondimeno sentito tutta lavirile lezione. Il De Sanctischiama addirittura una

«scappatoia»quell’atteggiamento,unmododa far «valere nelle lettereagli amici, ai quali bisognapur parlare un linguaggioumano» (si allude alla notalettera allo Iacopssen), e leestreme conseguenze socialiche il Leopardi ne trarràsaranno dette dal De Sanctis«tirate co’ denti». NonbisognafartroppacolpaalDeSanctis di questo giudizio,

poiché gli rimase precluso loZibaldone, ossia la storiainterna del pensiero diLeopardi, tuttavia bisognamettere in guardia contro ilfacileperpetuarsidiesso.Pertale giudizio si antepone allamorale eroica di Leopardi lasua morale stoica, quella delManualediEpitteto, come lasua più vera, quella da lui«praticataeinculcataatutti»:e difatti più di una volta il

Leopardi la esercitò, la misein mostra e quasi la ostentòneirapportiprivatienellesuelettere. Ma essa non è daconsiderarsi come l'autenticamorale di Leopardi, la suamoraleprivata, incontrastoauna sua retorica moralepubblica, o pubblicistica,bensì come morale ausiliariadell’uomoLeopardi,nellasuadebolezza fisica e nel suoisolamento sociale, che lo

costringevano adatteggiamenti di puraresistenza, ed infine, ma nonultimo motivo, nel suoinfinito pudore della propriapersona. Il preambolo alvolgarizzamentodiEpittetoèdiunadelicatezzaestrema,inquestosenso,etuttavia,comesempre,digrandechiarezzaeonestàedivirile fermezza;ein esso circola una ironia -quell’ironia leopardiana che

gioca tra ragionamento esentimento, e spesso licementa insieme - che atalunisembraesseresfuggita;di fronte a esso la«scappatoia» diDe Sanctis èveramente una cosa volgare.Quella morale di Epitteto,quella morale stoica, è, diceLeopardi,

... più delle altreprofittevole nell’uso

della vita umana, piùaccomodata all’uomo, especialmente agli animidi natura o d’abito noneroici,némoltoforti,matemperati e forniti dimediocre fortezza, overo eziandio deboli eperò agli uominimoderni ancora più cheagliantichi.

Ma questa lode nasconde

una critica, che, oltre tutto, èanche una rettifica storica, emette chiaramente a nudo ilcarattere illusionistico delleetiche della decadenza civiledelmondoantico.

Sobenecheaquestomio giudizio è contrariala estimazioneuniversale, reputandosicomunemente chel’eserciziodellafilosofia

stoicanonsiconfaccia,enon sia pure eziandiopossibile se nonsolamente agli spiritivirili e gagliardi oltremisura. Laddove insostanzaameparecheilprincipio e la ragione ditale filosofia, eparticolarmentediquelladi Epitteto, non istienogià, come si dice, nellaconsiderazione della

forza, ma sì bene delladebolezza dell’uomo; esimilmentechel’usoelautilitàdidettafilosofiasiappartengano piùpropriamente a questache a quella qualitàumana.

Perché?

... non altro è quellatranquillità dell’animo

voluta da Epitteto sopraognicosa, equello statolibero da passione, equel non darsi pensierodelle cose esterne, senon ciò che noichiamiamo freddezzad’animo, e noncuranza,ovogliasiindifferenza.

«Indifferenza»: ecco lacondanna.Quellamoraleè larinunzia alla felicità, è la

rinunziaaifinidell’uomo.Maquestifini

... non potendogliottenere, è proprio deglispiriti grandi e fortil’ostinarsi nientedimenoin desiderarli e cercarliansiosamente, ilcontrastare, almenodentro semedesimi, allanecessità e far guerraferoce e mortale al

destino, come i sette aTebediEschilo, ecomeglialtrimagnanimidegliantichi tempi. Propriodegli spiriti deboli dinatura, o debilitatidall’usodeimali edallacognizione dellaimbecillità naturale eirreparabile dei viventi,si è il cedere econformarsi alla fortunae al fato, il ridursi a

desiderare solamentepoco, e questo pocoancora rimessamente;anzi, per così dire, ilperdere quasi del tuttol’abito e la facoltà,siccome,disperare,cosìdidesiderare.

E con quella delicatezza,con quel pudore e ironia dicui dicevamo, il Leopardicosìconclude:

Ed io, che dopomoltitravaglidell’animoemolte angosce, ridottoquasi mal mio grado apraticare per abito ilpredetto insegnamento,ho riportatodi così fattapratica e tuttavia riportouna utilità incredibile,desidero e pregocaldamente a tutti quelliche leggeranno questecarte, la facoltà di porlo

medesimamente adesecuzione.

Se«scappatoia»cifu-maimpropria è anche qui laparola-essanonfudunquelamorale eroica,ma, con pienacoscienza di Leopardi, lamorale stoica. Egli non sipresenta come eroe, maneppure nasconde la verasostanza di se. Nellabellissima, e oggettivamente

ferma, lettera allo Iacopssen,a questo suo misterioso equasi mitico corrispondentestraniero, egli dice di sé inmodopressochéepigrafico:

... j’ai renoncé àl’espérance de vivre. Sidèslespremiersessaisjen’avais été convaincuquecette espéranceétaittout-à-fait vaine etfrivole pour moi, je ne

voudrais, je neconnaîtrais même pasd’autre vie que celle del’enthousiasme40.

L’entusiasmo, altro granmotivo dei romantici,Leopardi non lo nomina difrequente. Ciò fa parte delsuopudore,e,incertomodo,della sua «innocenza».Questainnocenzapersonaleèunmotivo,anchesepiuttosto

nascosto, ed esso stessopudicamente velato, assaiimportante della coscienza diLeopardi. Esso ci riconducedalla morale soggettiva, allamorale oggettiva e generaledi lui. In alcuni versi cheabbiamo già citato Leopardiparlava del «suo sangueinnocente» («la man cheflagellandosicolora/nelmiosangue innocente»). Maquesto sangue innocente non

è soltanto il suo, è il sanguedituttal’umanità.

Atuttinoichesenzacolpa,ignari,

Né volontari alvivereabbandoni,

diceLeopardi allanatura.Gli uomini sono i «senzacolpa». La loro stessamalvagità, ignavia, egoismoecc. non sono in ultima

analisi, secondo Leopardi,colpa; non colpa in sensoassoluto,perchéessenasconodall'infelicitàenonl’infelicitàda esse. Abbiamo qui unnetto capovolgimento delcristianesimo:l’innocentecheespia non è Cristo incarnato,mal’uomo,l’uomocomuneedituttiigiorni.Edessoespiaquindi le colpe di nessuno,espia ingiustamente. ComeRousseauepiùdiRousseauil

Leopardi salva totalmente lanatura umana; contro le«teodicee» sei esettecentesche egli costruisceuna specie di an-tropodicea.Questo concetto emerge giàcon una certa energia dallalevigata stilizzazione dellaStoriadelgenereumano.

Perciocchés’ingannano a ognimodo coloro i quali

stimano essere nataprimieramentel’infelicità umanadall’iniquitàedallecosecommesse contro agliDei;maper locontrarionon d’altronde ebbeprincipio la malvagitàdegli uomini che dallalorocalamità.

Questo concettoracchiude il senso più

profondo dell'eudemonismo,del coraggioso eudemonismoleopardiano, e quello piùricco di sviluppi sociali: percombattere la malvagità, ilmale, bisogna combatterel’infelicità degli uomini. Mafino a che puntoLeopardi locrede possibile? o meglio:può,obiettivamente,nel«suosistema», crederlo possibile?Nel1829 inun suopensiero,scrivevailnotissimopasso:

La mia filosofia faread’ognicosalanatura,ediscolpandogliuominitotalmente, rivolgel’odio, o se non altro illamento a principio piùalto, all’origine vera de’mali dei viventi (Zib.4428).

Ma rivolgeva essasoltanto l'odio o il lamento?Nel medesimo pensiero egli

scriveva:

Lamiafilosofia,nonsolo non è conducentealla misantropia, comepuò parere a chi laguarda superficialmente,ecomemoltil’accusano;madisuanaturaescludela misantropia, di suanatura tende a sanare, aspegnere quel malumore, quell’odio, non

sistematico,mapurverooidio, che tanti e tanti, iqualinonsonofilosofi,enon vorrebbero esserchiamati né credutimisantropi, portanocordialmente a’ lorosimili, sia abitualmente,sia in occasioniparticolari, a causa delmale che, giustamente oingiustamente, essi,come tutti gli altri,

ricevono dagli altriuomini.

In queste parole abbiamocome un primo accenno diquel solidarismo umano cheè,com’ènoto,ilcaratterepiùpeculiare dell’ultima fase delpensierodiLeopardi.Ma chiaccusava,chipotevaaccusareLeopardi - cioè il suopensiero - di misantropia?Erano i «nuovi credenti» -

intendendo in senso vastoquest’espressione -, eranonon i filantropi delrazionalismo settecentesco,ma gli uomini del nuovospiritualismo, i filosofi dellanuovafilosofia,dellafilosofiadell’apriori (per la quale «lacittàfupriadelcittadino»),ei cattolici liberali o i liberalicattolici, coloro verso cuiLeopardi volge il suo amaroscherno nella Palinodia, nei

Nuovi credenti, nellaGinestra. Erano coloro cheavevano conciliato, oavevanocredutodiconciliare,ilpio«spiritualismo»eilsuoottimismoprovvidenzialeconl’affarismo del mondomoderno, la chiesa con le«polizze di cambio»; coloroche vedevano il progressosotto forma di«nove pentolee nove forme di paioli» ecc.,che invitavano a studiare e

cantare ibisognidelsecoloenon vedevano le terribiliguerre fratricide (e già dalcaro / sangue de' suoi nonasterràlamano/lagenerosastirpe) prepararsi attraversogli urti economici e coloniali(di pepe o di cannella od'altroaroma/fatalcagione,odimelatecanne,/ocagionqualsisiach'adaurotomi)acui interverrà anche il nuovomondo (l'altra riva /

dell'atlantico mar, frescanutrice / di pura civiltà);erano coloro che tagliavanogrosso su certe faccende eparlavanodiunafelicitàdellemasse senzacurarsidiquelladegli individui che lecompongono; era la nuovaborghesia «liberale» europeadel compromesso dellemonarchie costituzionali equindi, in Italia, erano anche«i barbati eroi» delle sette

liberali che ne esprimevanol’avanguardia; eranoinsomma gli uomini de lemagnifiche sorti eprogressive.Ederanoancheivoltagabbana - i «nuovicredenti» in sensostretto - lagente che usa già contro ildel torcere i denti avevalasciato l’ateismo e si erafatta«fedele»persecondareilsecolo e gli affari e i piaceri(ch'aimaccheroni/anteposto

il morir troppo le pesa). Atutti costoroLeopardi, solo eisolato,opponeilsarcasmodiVoltaire; al nuovospiritualismo oppone ilproprio materialismo, allareligiosità dell’epoca opponeil razionalismo delSettecento.

A qualcuno ha dato noiaed è sembrata ingenerosa lasatira, cosi diffusa ecompiaciuta,controi«barbati

eroi»; ed hanno presentatoLeopardi come unreazionario.Tuttaviaquestaèdeformazione grave edevidente, e giustamente diceilSalvatorelli,cheLeopardiè«toto coelo lontano daifilosofipoliticidellareazione,ai quali apparteneva suopadre»41;equantoai«barbatieroi»acutamenteegliosservache «il poeta non l’ha solocon le azioni o la mancanza

di azioni dei patrioti, l’haanche, soprattutto, con leteorie dei politiciprogressisti». Ossia, di queiprogressisti. Come si puòconsiderare reazionario ilLeopardichecosìsirivolgealpropriosecolo?

Qui mira e qui tispecchia,

Secol superbo esciocco,

Che il calle insinoallora

Dal risorto pensiersegnatoinnanti

Abbandonasti,evoltiaddietroipassi,

Delritornartivanti,E procedere il

chiami...

il Leopardi che opponeallafilosofiacheimpera/nelsecol nostro senza guerra

alcuna la filosofia dell’altrosecolo, che si fece stradalottando:

In quell’età, d’unaspraguerrainonta

Altrafilosofiaregnarfuvista.

Dinanzi aquesta filosofial'età nostra arretrossi senzachetuttavia

Iprincipiiinleinélepremesse Mostrar falsedasébenbensapesse.

Lafilosofiadell’altrosecolo, dunque, vale perilLeopardi

nonsoloper la suaveritàintrinseca, per i principi nonancora confutati; ma perchéessa fu una battaglia, unabattaglia progressiva, unabattaglia vinta d'un aspra

guerra in onta. Ciò spiega ilrimprovero con cui Leopardisirivolgeallapropriaetà:

Libertà vaisognando, e servo a untempo

Vuoi di novo ilpensiero,

Sol per cuirisorgemmo

Dalla barbarie inparte,epercuisolo

Si cresce in civiltà,chesolainmeglio

Guidaipubblicifati.

Maqueldallabarbarieinpartegiàloconosciamo;essoci richiama a tutta quellafilosofia politica di Leopardiprima del 1822 che abbiamoanalizzato e ricostruito nellenostre pagine precedenti. Inquanto abbiamo oraesaminato non vi è ancora

nulla di nuovo, ma semmaiun rinsaldarsi di Leopardi inquelleposizionieunrendersipiù acuta, differenziata earticolata la polemica controil secolo, in ragione degliannichesonotrascorsiedeglisviluppi che il secolo haavuto. A proposito dei qualiben a ragione osserva ilSalvatorelli: «Acutamente ilLeopardihanotatonelnuovoottimismo storicistico della

sua età l’aspetto tradizionale,reazionarioepassivo»42.

In verità l’aristocraticoLeopardi non fu un liberale,ma un puro democratico erimasefedeleaiprincipidellademocrazia rivoluzionaria,anche più avanzata. Non c’èmaiinluinessunaccennochelo avvicini alle teorie deimoderati o alle posizionidell'alta borghesia che siandava solidificando nei più

progreditipaesid’Europa.Egli non amò, anzi ebbe

ripugnanza, per questomondo dell’alta borghesia e,nonostante quel che diattrazione che sentiva per ilnuovo «spirito di energia»che andava pervadendol’Europa, energiachepurerastrettamente legata alladirezione di questa classesociale, tuttaviaegli larifiutòe respinse nelle sue pratiche

manifestazioni.Leopardiamòe rispettò il lavoro umanomateriale (forse come nessunaltropoetaitaliano)eadessofu attento allo stesso modocome fu attento al popolo:quellavorohaunapartenellasua poesia, come nella suafilosofia,ancheseèunapartedi sfondo, ma è sempre illavoro dei campi e il lavorodell'artigiano (figura cara alLeopardi), l’unico del resto

che esisteva in Italia. Masembracheegli abbia sentitocome lontana e ostilel’operositàdell'industrialismo, l’attivitàdel mondo degli affari, delmondodeigrandibanchierieimprenditori ecc. (si pensisoprattutto alla Palinodia, ealla vecchia satira dellemacchine, e ai «mercati eofficine» ecc.); da tutto quelmondo sembra egli sentisse

provenire oscure minacce diguerre e forse di dispotismiancora più perfezionati diquello napoleonico (Zib.906). Inquesta ripugnanzadiLeopardi vi è anchecertamente un filo diaristocraticismo(aristocraticismo non allaMonaldo, ma all'Alfieri:l’uomo libero è fuori e al disopradi tuttequellematerialicose) e su di essa è in

sostanza difficile decidere,perché la stessa forzaturasatirico-polemica in cui latroviamoespressa, fa velo suquale fosse il punto diequilibrio interioredell’atteggiamento diLeopardi. Ma bendeterminata è invecel’avversione di Leopardiall’ideologia di tutto quelmondo, e al suo carattere dicompromessofrailnuovoeil

vecchio, avversione che giàavevamo veduto profilarsiquando Leopardi nel 1821opponevalanettademocraziarivoluzionaria all’ambiguità,sia pure presentementeopportuna, delle costituzionimonarchiche.

Così non troviamo nulla,assolutamente nulla, inLeopardi che possa ricordarele limitazioni romagnosianeal concetto di uguaglianza o,

peggio, la teoria foscolianadella«plebe»,nulla-tenenteequindisenzadiritti,cuispettapane, prete e patibolo43. Ladivisione fra ricchi e poveri,fra servi e signori, è perLeopardiundatosenz’alcunanecessità. La proprietà deiricchi non è in Leopardi,comeperFoscolo,ciòchedàil diritto di asservire colorocui essa procaccia lavoro equindinutre.Laproprietàdei

signori è piuttosto soltantociò che garantisce l’ozio aisignori stessi. Moltosemplicemente egli osserva,nel 1820, a proposito dellaproprietàagricola:

Il lavoro della terraera la principal fatica eoccupazionedestinata all’uomo. Oraècuriosol’osservarechela parte più oziosa

della società è appuntoquella la cui sostanzaconsiste in terre(Zib.342).

E l' ozio costituisceproblema per Leopardi,problema in cui egli si senteimplicatopersonalmente,nonsenzaaccentuazionesociale,eacuivedelegatoilromanticotema della noia (si consideril’epistola al Pepoli, e l' ozio

che ti lasciargli avi remoti /graveretaggioefaticosoe lacontrappostaschiera industree il lavoro, unica medicinacui natura apprestò). Maall’ideologiadelmondodellanuova borghesia il Leopardinon contrappone soltanto ilsarcasmo del vecchioborghese Voltaire. Se, comeabbiamo dimostrato, i temi,gli argomenti e i principifilosofici della posizione

democratica di Leopardi nonsononuoviepeculiaridelsuoultimo periodo, anziappartengono già alla suaprima formazione mentale estanno, nel dramma a cuihanno dato luogo nel suoanimo, a fondamentodi tuttolo sviluppo del suo pensiero,e in tal senso sono piuttostoessi a chiarire nel suocompleto significatoquell’ultimo periodo del

pensierodiLeopardichecièinsostanzarimastosolonellatestimonianzadipochi,ancheselucidissimievigorosissimi,versi; nondimeno in questoultimo periodo che fustroncato dalla mortepressoché al suo inizio, vi èqualcosa di nuovo, di cui sisono generalmente accortitutti gli studiosi. Questoqualcosa di nuovo (e per chinon ha còlto il precedente

svolgimento, diimprovvisamentenuovo)è losviluppo del valore positivodel-l’operare umano,dell’energia umana,nell’elemento socialmentecostruttivo dell’universalesolidarietà degli uominicontro l’ostilità ol’indifferenza della natura.L’ostilità o estraneità dellanatura, di quella natura chealtro negli atti suoi / che

nostro male o nostro ben sicura, è il «comun fato», difronte a cui gli uomini, confetido orgoglio finalistico eteologico, non devonoilludersi, ma contro cuidebbonocombattereunitiuna«guerra comune». Questa èl'unica loronobiltà e tutta laloro nobiltà, quella cheveramente giustifica la loroinnocenza,ondenondebbonoincolparelaloroumanitàefra

lorolacerarsi.

NobilnaturaèquellaCh’a sollevar

s’ardisceGli occhi mortali

incontraAlcomunfato,eche

confrancalingua,Nulla al ver

detraendo,Confessa il mal che

cifudatoinsorte,

E il basso stato efrale;

Quella che grande eforte

Mostrasenelsoffrir,négliodiiel'ire

Fraterne, ancor piùgravi

D’ogni altro danno,accresce

Alle miserie sue,l'uomoincolpando

Delsuodolor,madà

lacolpaaquellaCheveramenteèrea,

chede’mortaliÈ madre in parte ed

involermatrigna.Costei chiama

inimica; e incontro aquesta

Congiunta esserpensando,

Siccom’è il vero, edordinatainpria

L’umanacompagnia,

Tutti fra seconfederatiestima

Gli uomini, e tuttiabbraccia

Con vero amor,porgendo

Valida e pronta edaspettandoaita

Neglialterniperiglienelleangosce

Della guerracomune.

E questo, per Leopardi,saràilveroritornoalleoriginidel-l'uomo, che è ormai intutto uomo-sociale: non ilritornoallamitica«natura»incui l'uomo s’immergeselvatico e solitario, ma ilritorno al senso originariodella comunità umana, della«social catena»: non catenache lega e costringe, macatena che salda chifraternamentecollabora.

CosìfattipensieriQuando fien, come

fur,palesialvolgo,E quell’orror che

primoContra l’empia

naturaStrinse i mortali in

socialcatena,Fia ricondotto in

parteDa verace saper,

l’onestoeilretto

Conversarcittadino,Egiustiziaepietade,

altraradiceAvranno allor che

nonsuperbefole,Ove fondata probità

delvolgoCosì star suole in

piediQuale star può quel

ch’hainerrorlasede.

Tale fu l’ultima

incarnazione dell'idealeeroico leopardiano,identificato ormai con tuttal’umanità. Inquest’incarnazioneilveroelaragione non sono più nemicidell’uomoedellasuafelicità,ma hanno nell’umanitàfunzione liberatrice (nulla alverdetraendo)dalle«superbefole», e chi deve esserliberato è il «volgo» che conquelle «superbe fole» viene

quotidianamente ingannatoper una problematica«probità» che dovrebb’esserea tutto comodo dei suoiingannatori.Il«veracesaper»deve liberare il«volgo»,cioèil popolo; su esso e su essosolosifaquiaffidamentoperlafuturaumanità.Lafilosofiaelaragione,comegiàinquel’700 che preparò larivoluzione, devonocollaborare a questa

liberazione dell’uomo.Quest’opera della ragioneavviene infatti, esattamentecomenel’700,inunaduplicedirezione: come liberazionedell’uomo dalle «superbefole», ossia dallesuperstizioni, dalla teologia;come lotta con la natura. Inquest’ultima direzione questaragione leopardiana, questo«verace saper», è l’erede ditutto quel pensiero moderno

chedal ’600aveva instauratala ricerca della natura per ildominio di essa, propriouscendo dalle identitàmistiche dell’animismorinascimentale, e fissandonela relativa estraneità rispettoalmondoumano;èl’eredediquel pensiero di «Cartesio,Galileo,Newton,Lockeecc.»i quali Leopardi solevacontrapporre al Leibniz,«forse il più gran metafisico

della Germania... e certoprofondissimo speculatoredella natura, granmatematico»,mache tuttavianon aveva saputo costruirealtroche«monadi,ottimismo,armonia prestabilita, ideeinnate; favole e sogni» einsomma pur sempre«materia astratta» e cosìanche al «caposcuola Kant»(di cui tuttavia ben pocosapeva, tranne le

informazioni della Staël);mentre gli altri «hannoveramente mutato faccia allafilosofia»(Zib.1857).

Pessimismo erazionalismo si congiungonocosì perfettamente inLeopardiinquestacostruttivaspinta verso il futuro, e ciòmostra quanto relative sianoqueste accentuazioniassiologiche che si chiamanoappunto pessimismo e

ottimismo: come esse cioèsiano accentuazioniassiologiche che non vannomaigiudicateinsestesse,marelativamente alle concretesituazionistoricheinrapportoallequalisisonoprodotte.Lastessa cosa del resto eraaccadutaalVoltaire, ilquale,come il Leopardi (e nonsenza, certo,diretta influenzasu di lui), trae nel famosoPoème sur le désastre de

Lisbonne la sua morale delsolidarismo umano dalpessimismonei riguardidellanatura, enon è senon lapiùaspra accentuazione di quelpessimismo generale che ilVoltaire aveva oppostoall’ottimismo teologico diLeibniz; pessimismo nonmeno umanamente,laicamente e modernamentecostruttivo dell’ottimismorazionalistico che il

medesimo Voltaire avevaopposto al pessimismoteologico e paradossale delPascal. Ma ciò che manca,nell’un caso e nell’altro, alVoltaire, e che invece èpeculiare e fondamentale inLeopardi, è l’afflato eroico equindi l’elemento di lotta, lacombattività, l’appelloall’universalità umana chenon rimane generico, ma siconcreta nel «volgo» da

liberarsieilluminarsi(quantosiamo lontani dalla populacedel borghese-aristocraticoVoltaire), e insomma, ci siaqui permesso di dirlo, ilnuovogermerivoluzionario.

Questodunqueciòcheviè di veramente nuovonell’ultima fase di Leopardi,in quella fase che, giovaripeterlo, non è, sotto questoaspetto, una fase conclusiva,mapiuttostounafaseiniziale:

einquestosensobisognadireche la vita di Leopardi fuveramente non, secondol’infelice giudizio del Croce,una «vita strozzata», ma unavitatroncata.

Ora, questo elementonuovo non sorge a caso inLeopardi, ma come ogniaspetto del suo pensiero èprofondamente radicato efondato nell’interna coerenzadel suo svolgimento. Nel

dramma di questosvolgimentochegià abbiamodelineato, esso esprime conpieno rigore quel momentoultimodiessocheeral’unicopunto fermo a cuiteoreticamente fosseapprodato il Leopardi, il suopur antinomico razionalismoe il suo materialismo. Seinfatti ilmomentougualitarioe democratico è originario inLeopardi e sta appunto a

principiodiquelsuodramma,esso,nell’inizialecontrastodinatura e ragione (dipendentedalladelusione storica), pesatutto verso l’elemento«natura», nel primosignificato di questo termine,ossia pesa tutto verso quelvaloredellavitalitàcheerailfattore portante e regolativodell’equilibrio natura-ragionenella civiltà (civiltàmedia) enella società (società

democratica). È propriol’elemento natura-vitalità chelega originariamente inLeopardilademocraziaconlanazione o popolo, che è lasocietà di giuste proporzioni,non troppo ristretta e quindiricadente in egoismiparticolaristici, come (nelmondomoderno) le città, o ivari corpi e gruppi sociali,sètte, corporazioni ecc.; nontroppo larga, come sarebbe

l’interaumanitàcheannacqual’originario vigore vitale nelgenerico cosmopolitismodentro cui risorgono gliegoismi individuali (di qui ilsarcasmo espresso alloraverso il filantropismosettecentesco;diquilacriticarivolta al cosmopolitismodella Roma imperiale, comeun elemento decisivo dellasua decadenza). Mercé taleconcetto il Leopardi potè

uscire, nella fase iniziale delsuo pensiero, dalla nozionemeramente contrattualistica,meccanica e estrinseca, dellanazione, a cui generalmente,era rimasto il ’700; ma perlegarsi a un concettovitalistico di essa che èpressoché razzistico.Onde lasua dottrina dell'amor patriocome sviluppo socialmenteutile e naturale delfondamentaleamorproprio,e

soprattutto del legamenecessario e inscindibile cheegli allora credeva di poterscorgere fra amor patrio eodio per lo straniero, di cuiegli cerca i più perfettiesempi nel mondo antico, eproprio in quelle democrazieche egli lodava per la loropiena realizzazione internadilibertà e uguaglianza, frutto,come l’amor patrio, comel’odio per lo straniero, di un

ben indirizzato vigorenaturale, di un ben direttoamor proprio nei singolimembri. E Leopardi cerca imedesimi esempi nel mondomoderno, e naturalmente litrova nelle nazioni secondolui più progredite e quindidemocratiche,nell’Inghilterra, e soprattuttonellaFrancia rivoluzionaria epost-rivoluzionaria, e lodaapertamente anche in esse,

conferoceconsequenzialitàein certo modo vincendo sestesso44, il medesimofenomeno. Vi è un pensiero,appunto del 1821, sullospirito nazionale dellaFrancia, in cui emergechiaramente l’aspetto cheabbiamoindicato:

Cosa indubitata: dache il nazionale hapotuto o voluto

ragionaresullenazioni,egiudicarle; da che tuttigli uomini sono statiuguali nella sua mente;da che il merito pressolui non ha dipendutodalla comunanza dellapatriaec.ec.;dacheeglihacessatodipersuadersiche la suanazione fosseil fiore delle nazioni, lasua razza, la cima dellerazzeumane;dopo,dico,

che questo ha avutoluogo, le nazioni sonofinite, e come nellaopinione, così nel fatto,sisonoconfuseinsieme;passandoinevitabilmente laindifferenzadellospiritoe del giudizio, é delconcetto, allaindifferenza delsentimento, dellainclinazione, e

delazione. E questipregiudizi che sirimproverano allaFrancia, perchéoffendono l’amorproprio degli stranieri,sono la sommasalvaguardia della suanazionale indi-pendenza,come lo furono pressogli antichi; la causa diquello spirito nazionaleche in lei sussiste, di

quei sacrifizi che ifrancesisonprontiafareed hanno sempre fatto,per conservarsi nazione,e per non dipenderedallo straniero; e ilmotivo per cui quellanazione, sebbene cosìcolta ed istruita (cosecontrarissime all'amorpatrio), tuttavia serbaancora, forse più chequalunque altra, la

sembianzadinazione.Enon è dubbio che dallaforza di questipregiudizi, come pressogli antichi, così nellaFrancia doveva seguirequella preponderanzasulle altre nazionid’Europa, ch’ella ebbefinora,echeriacquisteràverisimilmente (Zib.924-25)45.

Democrazia, amor patrio,spirito nazionale, odio edisprezzo per lo stranierosonodunque,nellaprimafasedel pensiero politico delLeopardi, indissolubilmentelegati dal valore vitale e dalconseguente principio dirazza, che si affaccia afondamentodellanazione(siapur con qualche incertezza esenza, propriamente, laricerca almeno esplicita di

una base biologica, perché ilgenereumanorimanesempre,settecentescamente, perLeopardi un’unità biologica).Ma, sopravvenuta la crisi delvitalismo leopardianosopravviene la crisi anche ditutti questi rapporti, e ciòmostra il largo raggio, lalargaportataeprofonditàe ilcarattere decisivo di questacrisi, che abbiamo posto abase dello sviluppo del

pensiero di Leopardi. Lostesso concetto di patria e dinazioneècomepostoataceree obliterato, e il Leopardi incertomodosenedisinteressa,anche se vivissimo rimane ilsuointeressepericostumi,letradizioni, i linguaggi e,insomma, le individualità deivari popoli. (Quelsopravvenuto disinteresse delLeopardiha tratto in ingannomolti interpreti che, al solito,

a cominciar dal De Sanctis,sono andati a cercarnel'origine in meschini motivibiografici, in una specie diimborghesimento delLeopardi, mentre, semmai,quegliaspettibiograficieranoil riflesso della complessacrisi leopardiana.) Ora,abbiamovistoinchemodosirisolvesse la crisi delvitalismoleopardiano,ecomein questa risoluzione,

razionalisticaematerialistica,dell'elemento vitalisticorimanesse solo il generalevalore dell’energia edell’operare umano, in semedesimo fondato, o sevogliamo, fondato in quelbisogno di occupazione e diattività che procede di paripasso con lo sviluppoparallelo dell’animo umano(cosìnegliindividuicomeneipopoli)edellacivilizzazione.

Con l’elemento vitalistico ècosìfatalmenteelogicamenteoltrepassato in Leopardianche il momentonazionalistico e il suofondamentale e costanteconcetto democratico sitraduce in un atteggiamentoopposto a quello originario(antifilantropico-anticosmopolitico), in unatteggiamento che tuttavianon è ormai neppure più il

filantropicocosmopolitismodel ’700,mahagià il saporedi un modernointernazionalismo (umanitàconfederata alla lotta) chesommuove i«volghi».Perciònon possiamo non accoglierel’acutissimo giudizio fornitodal Salvatorelli nella suapagina conclusiva sulLeopardi, poiché se questoautorenonhapotutocoglierel’intrinseca dialettica dello

svolgimento della mente diLeopardi, ha tuttavia intuitomolto felicemente il verocarattere della sua posizionefinale.

«Lapoliticaacuiapprodail Leopardi è quella diun’umanità universalmenteassociata, che sostituisce alleguerre intestine per il dannoreciprocoquellaesternaperilsoggiogamentodellanatura avantaggio comune. Egli

suppone, senza formularloespressamente un concetto distato e governo puramentestrumentali, puramente diorganizzazioneamministrativa, senza nessunvalorefinaleetrascendente;esalta a piè pari lo stadionazionale per l’associazioneuniversale che vadall’individuo all’umanità, eincuiilbenedituttièilbenedi ciascuno, e

reciprocamente. Non sonopure fantasie poetiche: v’è ilpresentimentodelsocialismo,della Società delle nazioni,dello “stato scientifico”, ditantiproblemieditantiidealiche affannano già oggil’umanità, anche se il loroscioglimento - in quanto discioglimento si può parlare -sia riservato a un lontanofuturo.

«Il cristianoManzonie il

razionalista Leopardi partonoambeduedallaconsiderazionedell’uomo come scopo dellapolitica, ma la fedetrascendente del primoapproda alla negazione dellapolitica, alla passività dellarassegnazione cristiana;rassegnazione di cui ilManzoni dette saggiopersonale chiudendosi, dopoil suo capolavoro, in unsilenzio di mezzo secolo. La

fede razionalistica delsecondo lo porta ad agitare,nel punto stesso in cuitermina la sua breve vitamortale,ilvessillosplendentedell’umanitàavvenire»46.

Inquestosensodunque ilLeopardi fu un pensatoreprogressivo; in certo modo,dentro i limiti della suafunzionedimoralista,dinon-tecnico della filosofia né dialcuna disciplina particolare,

il più progressivo che abbiaavuto l’Italia nel XIX sec.Abbiamo già detto dell'ideache egli, in tutto il corso delsuo pensiero, ebbe delprogresso,ecomequestanonsia da confondersi colsettecentesco problema(traduzione laica di unprincipio teologico) dellaperfettibilità. La fase ultimadi Leopardi conferma inpieno tale distinzione. Si

vuole riportare qui, prima dichiudere, un pensieroleopardiano del 1827, chesembra preludere, anzi giàracchiudere in sé, tale fasefinale, e nella sua sublimesemplicità è la più alta lodedel genere umano che ilLeopardi potesse fare (quellalodedicuisischermiva,echepur vagheggiava, nella finedelDialogodiTimandroediEleandro);del genereumano

e della ragione, e cheoltrepassa lo stesso genereumano nell'opera dellaragioneversotuttelecreatureviventi,nell'alleanzacheivisiproclama di tutti gli esseriintelligenti:

Congetturesopraunafutura civilizzazione deibruti e massime diqualche specie, comedelle scimmie, da

operarsi dagli uomini alungo andare, come sivede che gli uominicivili hanno incivilitomolte nazioni o barbareo selvagge, certo nonmeno feroci, e forsemeno ingegnose dellescimmie, specialmentedi alcune speciedi esse;e che insomma lacivilizzazione tendenaturalmente a

propagarsi, e a farsemprenuoveconquiste,enonpuòstarferma,nécontenersi dentro alcuntermine, massime inquanto all’estensione, efinché vi sieno creaturecivilizzabili, eassociabili algrancorpodella civilizzazione, allagrande alleanza degliesseri intelligenti controallanatura, econtroalle

cose non intelligenti(Zib.4279-80).

A questo pensiero ilLeopardi annotava: «Puòservire per la Lettera a ungiovane del ventesimosecolo». Il ventesimosecolo, il nostro secolo, igiovani del nostro secolo! IlLeopardi mirava al nostrosecolo come a un secolo diuomini interamente umani.

Così si allargava la suasperanza, questo era ilsuggellodel suopessimismo.Che il nostro secolo possaaccogliere dunque la voce diun pessimismo che era di talnatura; il quale, dopo tantaangosciadivitaedipensieri,partorivasiffattesperanze.

Nelle ultime battute delfamoso dialogo«Schopenhauer e Leopardi»,il De Sanctis, rilevando da

par suo l’insegnamento virilee civile e il vivificante eschietto vigore umano diLeopardi, di contro alledegradanti suggestioni econclusioni di Schopenhauer,suppone: «E se il destino gliavesse prolungato la vitainfino al quarantotto, sentiche te l’avresti trovatoaccanto, confortatore ecombattitore». Il ’48 avrebbecertamente significato

qualcosa, e forse molto, perLeopardi. Ma non sappiamose il ’48 dei liberali, deimoderatiodei«democratici»italiani. Egli si trovava suun’ondapiùlunga.

1 Dice giustamente il De

Sanctis di Leopardi: «Non èche luinonabbiapure la suametafisica;maèun semplicepresupposto della suafilosofia, la quale èindirizzata principalmenteallavitapratica,perciòeglièpiù un moralista che unmetafisico».

2 Così la definisce ilCroce nel suo saggio suLeopardi (Poesia e nonpoesia, 2a ed. riveduta eaumentata, Bari, 1935, p.108).

3 Nel volume Filosofivecchi e nuovi (1947),ricordato nell’avvertenza del1980, avevo pubblicato unlungo saggio intitolato Unframmento politico giovaniledi G. W.F. Hegel. Si può

leggere ora nella riedizioneparziale di quel libro, Roma,EditoriRiuniti,1981,pp.57-116.

4 I pensieri delloZibaldone vengono citatisecondo la numerazionedell’autografo leopardianoche è solitamente riportatonelleedizioniastampa.

5 Alla condanna dellafilantropia si accompagnaquella del cosmopolitismo,

nonsolonelmondomoderno,ma anche in quello antico:«Quando tutto il mondo fucittadinoRomano,Romanonebbe piu cittadini; e quandocittadinoRomanofulostessocheCosmopolita,nonsi amonéRomanéilmondo: l'amorpatrio di Roma, divenutocosmopolita, divenneindifferente, inattivo e nullo:e quando Roma fu lo stessoche il mondo, non fu più

patriadinessuno,eicittadiniRomani, avendo per patria ilmondo, non ebbero nessunapatria, e lo mostrarono colfatto» (Zio. 458). Lo stessomotivo si trova espresso apropositodelle feste religioseenazionalidegliantichi (Zib.1444-45).

6 Per la connessione diamor patrio, amor proprio,virtù, pubblica utilità, ecc. sivedaZib.893-94.

7 Il binomio libertà-uguaglianza è continuamentepresente e operante nei passichestiamoesaminando.

8 Per il rapporto virtùprivate-virtù pubbliche, siveda anche Zib. 910-11. Inquanto la virtù pubblica èdirettamente connessa conl'amor patrio, si veda Zib.893.

9«Egoismouniversale»inquesto contesto va inteso

semplicementecomeegoismodi tutti, e non nel sensoparadossale che ha in Zib.895 come concetto-limitedell' allargarsi socialedell’amorproprio.

10SivedaZib.896.11 Per tutti questi motivi

si può vedere Zib. 148-49,878, 895-96, 913-14. Per le«modificazioni» dell’amorproprio si veda anche Zib.3291-92.

12 Il giudizio di Leopardiappare, a prima vista,oscillante fra la più aspranegazione(cfr.Zib. 3809-10)e il relativo apprezzamento(chesifatalvolta,comeperlademocrazia, piena adesione).Mal’oscillazione,vedremo,èpiù apparente che reale e lediversevalutazionidipendonodai diversi punti di vista cheinLeopardi si connettono fradiloro,comemostreremonel

seguito.13SivedaancheZib.821

epassim.14 Si veda anche Zib.

3894.15 A questa concezione è

anche da riportarsi la teorialeopardianadellevariefasidipassaggiodallostatonaturalealle originarie forme disocietà, prima instabili, poistabili, prima unificate dallamonarchiaprimitiva(chenon

ha carattere dispotico, maesprime l'esigenza di unitàsociale) e poi, nelcorrompersi dispotico diquesta, trovanti un nuovointernoequilibrionella formademocratica, che corrispondeallostatodiciviltànonancoracorrotta (civiltà media), incui, come vedremo, natura eragione partecipanoproporzionalmente, e cheesprime l'ideale leopardiano.

Ma la società democratica sicorrompeattraversoilsorgeredegli egoismi individuali equindi dell'anarchia, primafase della barbarie, che èfrutto, quasi sempre, della«civiltà eccessiva», e chepartorisce il dispotismo, ilquale rappresenta lapienezzadella barbarie. (Su taleschema, con qualchevariazione,ilLeopardiritornapiù volte, ma si veda

specialmenteZib.560.Nonsipuò tuttavia ridurre ad essol'interatramadelsuopensieropolitico).

16 Affermato di continuodal Leopardi. Si veda ad es.Zib.912,545,579-80,ecc.

17 Dice Rousseau nelleConfessioni: «Compresi chetutto dipende in fondodall'arte politica e che, sipensi come si vuole, ognipopolo sarà sempre soltanto

ciòchene fa la sua formadiregime statale. Così misembra di dover ridurre lagran questione dellamiglioreforma di governo aquest’altra questione: quale èla forma più adatta a renderun popolo virtuoso, esperto,saggio, insomma a renderlopiù perfetto che sia possibilenel più alto significato diquestaparola».

18SivedaZib.1100cit.e

passim.19 Si veda anche in

proposito Zib. 611 doveLeopardi osserva che «Primadi Gesù Cristo o fino a queltempo» la società non vennemai considerata «nemicadella virtù, e tale chequalunque individuo il piùbuono ed onesto, trovi in leisenza fallo edinevitabilmente, o lacorruzione o il sommo

pericolo di corrompersi. Einfatti, sino a quell’ora, lanatura della società, non erastata espressamente eperfettamentetale»,ecc.(Ovesi mette indirettamente inrilievo il carattere cristianodelconcettodiRousseau.)

20 Un errore che haimpeditoa lungo l’accessoalpensiero di Leopardi è statoquello di prendere comepuntodipartenza leOperette

morali. (Ciò è accaduto peres. al Gentile, in fondo sullascia di De Sanctis, il qualenon poteva fare altrimenti.)DalleOperettemorali non sipenetra nello Zibaldone, maviceversa. E ciò perché inquelle il Leopardi,presentandosi al pubblico, sitiene come un passo indietro(qualchevoltapiùdiunpassoindietro) e maniera e stilizzanon poco, letterariamente, la

suaposizione.21Questoconcettoche in

natura non ci sonocontraddizioni appartiene,vedremo,soloallaprimafasedel pensiero di Leopardi, enonèsaldoneppureinessa.

22 Si veda specialmentelib. 1254-55, 1370-71-72,1378, 1454-55-56, 1540-41-42-43, 1552-53-54, 1568-69,1630-31, 1658, 1717-18,1726-27, 1749-50, 1761-67,

1783-84, 1786-87, 1802,1802-03, 1824, 1832-33,1871-78, 1923-25, 2039-41 e3197-3206, 3208-20, 3518-20,ecc.

23Leoparditrascriveauncerto punto (Zib. 4492)questopensierodelRousseau,in tutto calzante conl'opinione sua: «La seuleraison n'est point active; elleretient quelquefois, rarementelle excite, et jamais elle n’a

rienfaitdegrand».24 Si veda, ad es. nel

Discorso sopra lo statopresente dei costumidegl'italiani, edizione delFlora(Milano,1940),p.579.

25 Si pensi al già citatoZib.575-77.

26 «Vero è che ladistruzione delle illusionigenerali influisce sempresulle individuali. Queste nonpotranno mai estirparsi del

tutto, altrimenti l'uomo nonesisterebbe più. Nondimenos’indeboliscono, si rendonoinattive ec. quando non sonofondate sopra una felicepersuasione generale, e diprincipii, che contraddica eresista anche al fatto eall'esperienza. Tolta questapersuasione, l’individuomaturo cede prestoall’esperienza buona partedellesueillusioniindividuali,

e tutta la forza e la costanzadelle altre, che già non sonopiù un'opinione, ma unaspecie di disperata speranza»(Zib.1864-65).

27Sivedapiùsopra,nota20.

28 Si veda Zib. 253-54;ma gli esempi potrebberoesseremoltiplicati.

29 Si confronti il passochevienequi riportatocon ilprimo capitolo di II Parini,

ovverodellagloria.30 Si confronti la

posizione che qui illustriamoconilDiscorsosopralostatopresente dei costumidegl'italiani; in particolarequantoivièdettosullaattualerispettiva situazione deipopoli settentrionali e deimeridionali quanto allosviluppodellaciviltà.

31SivedaZib.906.32 Il Leopardi si diverte

ad opporre l’efficaciacostruttiva della dittaturanapoleonica agli effettidistruttivi del dispotismoteocratico. «Bonaparte perisnidare i malandrilli da unacontrada di Parigiv'introdusse i giullari e igiocolieri per richiamarvi ilpopolo, e frequentarla.... Ilpapa,alcunimesiaddietroperisnidare i malviventi daSonnino,luogodilororifugio

neiconfinidelsuostatoversoNapoli,decretòladistruzionedi quel paese. Bonapartepopolòilnidodeiladronipercacciameli, e ottennel'intento; il papa giudicò dinon potere ottenerlo fuorchécolla distruzione di quelluogo. Dice Cicerone che sidevastano e distruggono lecittà nemiche, ma che, sedistruggiamo le nostreproprie, ci caviamo gli occhi

di nostra mano» (Zib. 251-52).

33 Naturalmente, il fattoche Leopardi neghi la«perfettibilità», non significache egli ne neghi anche ilproblema. IlLeopardianzi lodiscuteeridiscutedicontinuoe in questo senso,indubbiamente, rimaneanch'egli impigliato, sia pureperunlatonegativo,inquellavecchiaimpostazione.

34 Si veda Zib. 1682-83sul carattere acquisito dellastessa«conformabilità».

35Essa è anche ilmotivod’ispirazione dell''Elogiodegli uccelli, in cui è ancheconcretamente rappresentata,negli animali che cercanol'immobilità e in quelli checercano il movimento,l'antitesi in cui per Leopardisipolarizzerà,comevedremo,lavita.

36È curioso comequestomodernoeprecisosignificatodellaleopardiana«natura»siasfuggito agli interpreti a talpunto che ad es. negli indicianalitici degli argomenti, chesi sono fattiper loZibaldone(sia in quello Doria-Flora,aggiunto alla ed. cit.; sia inquello del De Robertisannesso alla sua scelta;Firenze, 1922), addiritturamanca la voce vitalità,

quandoessainvecefiguraperben tre volte,eccezionalmente, nell'IndicedelmioZibaldone,compilatodal Leopardi, connumerosissimi richiami altesto.

37LafilosofiadiLeopardi( Roma, 1940 ), p. 88.Quest’opera del Tilgher èricca di acute osservazioniparticolari, anche se presentaun’interpretazione

complessiva di Leopardicompletamente errata, staticae arbitrariamente fratturatanegli argomenti presi inconsiderazione; e, quel che èpeggio, ricondotta aconcezioni personalidell’autoreeasuoigladiatoriiatteggiamenti polemici, deltuttoestraneiaLeopardi.

38Op.cit.p.88.39 Si veda il citato

Discorso sopra lo stato

presente dei costumidegl'italiani.

40EpistolariodiGiacomoLeopardi, a cura di F.Moroncini ( Firenze, 1934),vol.ΙII,pp.13-14.

41 Il Pensiero politicoitalianodal1700al1870, 3aed-, Torino, 1942, p. 179. IlSalvatorelli rispondeindirettamentealCroceche,aproposito del dialogato delleOperette morali, aveva

indicato un'affinità diLeopardi col padre conteMonaldo «nello spiritoangusto, retrivo, reazionario,nell'antipatia pel nuovo evivente» (Poesia e nonpoesia,,cit.,p.111).

42Op.citp.184.43SivedaSalvatorelli,op.

cit.,p.144.44 Qualche tempo prima

infatti (si veda Zib. 246)aveva espresso una specie di

insofferenza contro ciò checonsiderava la xenofobia deifrancesi.

45Esivedaquantoancoranel 1827 sviluppa (smorzatotuttavia ormai quel germerazzistico) circa l'orgoglionazionale di francesi edinglesi, nei confronti deglialtripopolieuropei.

46 Salvatorelli, op. cit, p.186.

IlpensierodiLeopardi

Parlare del pensiero di

Leopardiincosìbrevegiroditempo non è cosa facile.Cercheròdiaffidarmiaquellichemisembranoalcunipuntiessenziali, ma tenete contocheciòchepotròdirvièpocopiù che una proiezione

umbratile e approssimata diuna materia molto vasta evaria, e tutt’altro cheimmobile. Si presenta subitounadifficoltà.OgnunosacheLeopardi filosofo non èseparabiledaLeopardipoeta,nonfoss’altroperchéspessoèla sua poesia (in versi o inprosa) a costituire fonteprimariadelsuopensiero.Unmetodo non banale diaffrontare la questione

sarebbequellodimuoveredalmodo in cui Leopardi l'haposta (perché, appunto, eglistesso l'ha posta) e vissuta.Ma ciò assorbirebbe tutto ilmio tempo. Vorrei solosottolineare - poiché quandosi dice «pensiero» o«filosofia» s’intende ingenere un certo ambito,quello della ricerca dellaveritàpermezzodi ideeodiconcetti - che Leopardi

accanto alla figura delfilosofo riconosceva unapeculiarefunzionediveritàalpoeta,almenoinquantopoetalirico(egiàsuquestotermine«lirico»,nell’usoleopardiano,dovremmo fermarci): unafunzione veritativa i cui esitisonodirettamenteinattingibilidalla «fredda ragione», dallaragione«analitica»,etuttavia(egli riteneva)nonsottrattialcontrollo di questa. Filosofia

e poesia trascorrono secondoLeopardi,einLeopardi,l’unanell’altra, ma restano anchedistinte. Il problema sipresenta dunque assaicomplesso. Mi basta averloevocato preliminarmente. Vada sé che qui usufruirò diLeopardi a tutto campo, madall'angolatura di ciò che siusachiamarefilosofia.

NelpensierodiLeopardi,anzi, vorrei sottolineare, nel

movimento del pensiero diLeopardi, si possonoravvisare, mi sembra, duecostanti che rappresentanoduegrandinodiproblematici:la condizione umana ingenerale e la propria epoca.«Condizione umana» èun’espressione assaifrequente in Leopardi, giàovvia per lui: se l’avesseraccolta direttamente daMontaigne,ogli fossegiunta

-nelsuousomoderno,cheèsoprattuttofrancese-peraltrevie, non saprei dire. (Esarebbe interessante appurarequantofossegiàdiffusaallorainItalia).Hodettocondizioneumanaingenerale,madebbosubito precisare: non si trattadella «natura propriadell’uomo», concetto che c’èedèoperanteinLeopardi,madiqualcosadipiùampio,chelo presuppone. La

«condizione umana» èradicata per un verso nella«struttura del mondo» (èun’espressione di Leopardiche troviamo nelloZibaldone), ma per altroverso è ciò che si rivela, einsieme cambia, neldispiegarsi della storia, nelprocedere di essa: proprioperché la natura umana ècaratterizzata, secondoLeopardi, dalla sua plasticità

(conformabilità, assuefazioneecc.),adifferenzadiquelladialtrianimali,chepurglisonoaccostabili per ragionibiologiche. Vediamo cheallora quei due grandi teminonsonocosìseparatifralorocome può sembrare a primavista, perché il riportarsiproblematicamente (ecriticamente) alla propriaepocaèancheuninterrogarsisulla «condizione umana» in

essa.Anzilaricercadiquestonesso fapartedello specificoleopardiano.

Tutti sanno che la primafasedelpensierodiLeopardi,quando esso è divenutoautonomo, è dominatadall’antinomia «natura-ragione» (dall’idea di unaloro «inimicizia» nonsanabile). Quale ne possaessere stata in Leopardil’origine letteraria (mi

riferisco al suo saggio del1818, non pubblicato allora,Discorso di un italianointorno alla poesiaromantica) ciò che colpisceleggendo lo Zibaldone deiprimi anni è la straordinariaannessione di contenutiall'interno di quellaantinomia,elasuafecondità:il dispiegarsi molteplice evario, lo sventagliarsi quasi,di una ricchissima tematica

che tocca, tra il 1820 e il1822, i più diversi campi,dalla linguistica alla politicaalla morale, dalla filosofiaalle scienze alla poesiaall’arte, e via seguitando; iltutto indirizzato all' analisidella situazione moderna ealla rivisitazione in modioriginali dellacontrapposizione antichi-moderni. Basti fare unbilancio comparativo e

quantitativodelloZibaldone-circa un terzo di essoappartieneaqueipochianni-per accorgersene. Il fatto chepoi Leopardi abbia superato,anzi distrutto, tale antinomia,se è essenziale perindividuareilsuopercorsodipensiero, non cancella quellaricchezza di tematiche, unapartedellequalinoncessòdioccupareLeopardi,conmoltiraffinamenti anche, ma forse

non più con il medesimovigore nativo. Leopardiparlava volentieri, soprattuttoallora (sempre nelloZibaldone),di«miosistema»,nontantoingenuamentecomesicrede(sierasoffermatoadesaminare criticamente lalegittimità e necessità, ingenerale, e tuttavia anche ilimiti dell’uso di queltermine). C’è una certabaldanzosità giovanile, direi,

in quel suo atteggiamento(essa si esprime anche nelsostenere, inqueisuoiprivatipensieri, di aver riscopertopercontoproprioalcunedelleidee fondamentali dellafilosofia moderna, che egliperaltroconoscevaper lopiùindirettamente e talvolta unpo’ convenzionalmente), maanche un elemento diautenticità,amioparere:vièun fondo sistematico in

movimento sotto quellavarietà e apparentedisparatezza di argomentiindagati, che si susseguono esialternanoprogressivamentenello Zibaldone, e spesso sirichiamano Pun l’altro, ointegrandosiocorreggendosi.Toccaalnostroocchioattentoscoprire quel fondosistematico, pur senzairrigidirlo: non limitarsicomunquealledegustazionio

utilizzazioni di comodo,come spesso purtroppoaccade.

Il fatto è che la coppiaantinomica «natura-ragione»è, nel suo uso leopardiano,estremamenteflessibile,ilchele fornisce una peculiareattitudine euristica eordinatrice di materiali i piùdiversi.Mataleflessibilitàstatutta dalla parte del termine«ragione». Che,

rappresentando qualcosa diacquisito e resosi autonomonelpassaggiodell'uomodallostadio primitivo (e laproblematica del «primitivo»èmolto importante in questoLeopardi) a quello civile oalle varie forme di civiltà, ènozione storicizzata. Credoche a tale storicizzazioneabbiano contribuito molto isuoistudilinguistici,originalie innovativi, la cui

importanza è stata messa inevidenza da ricerche recenti.Si può dire che la «ragione»in generale ha in Leopardipochissimi connotati comunie invece molti aspettidifferenziali, secondo leepoche e le civiltà. La«ragioneantica»nonèquella«moderna», la ragione cometale è passibile delle piùdiverse combinazioni (peresempio con la religione, e

perfino con la superstizione).Direttamente Leopardi sisenteconfrontatoperòcon la«ragionemoderna»,analitica,critica,scientifica(soprattuttonellalineaempiristica),dicuisi è detto. L’antinomia«natura-ragione», nelladilatazione leopardiana diessa, ritengo che abbia insiffatto confronto la suamotivazione profonda.Leopardi ha alle spalle il

XVIII secolo, il secolo dei«lumi», e poi la rivoluzionefrancese, e poi Napoleone, evive nella ricaduta di tuttoquel dinamismo, e dei valoriche erano stati propugnati (alibertà e uguaglianza rimarràsemprefedele)nella retrivaeinerte (o così gli appare)epocadellarestaurazione.

Vièinluiunelementodi«delusione storica» che miaccadde di mettere in rilievo

circa quarant'anni fa,introducendoquestacategoriaermeneutica che ha avutoqualche fortuna. Lo sguardodi Leopardi contemplal’intero XVIII secolo vistoassai compattamente come ilsecolo di una «ragione» cheesce dai recinti del saperescientifico per investire tuttala società allo scopo dicambiarlaetrarlafuoridaunaprecedente«barbarie»sociale

epolitica (ildispotismo).Main questo proposito immanela «ragione» è fallita, comemostra la società presente dicui Leopardi è fiero critico.Questa dichiarazione difallimento dei «lumi», sulterreno soprattutto politico, èesplicita in Leopardi nel1821.Èundatonondi pococonto che concernesimultaneamente il rapportodiLeopardicolpropriotempo

e con quello cheimmediatamente lo hapreceduto. Aposteriori Leopardi decreta:quel fallimento non potevanon esserci. Qui soccorre,infatti, la detta antinomia.Lanatura può sempre supplirealla ragione, ma la ragionenonpuòda sola supplire allanatura.

Il punto è tutto qui per ilLeopardi di quella fase, il

punto da cui si svolge il suo«sistema». Il suo giudiziointorno alla rivoluzionefrancese è tipico: egli lacritica nella sua ideologiageometrizzante, cioèrazionalistica, che ladestinavaalfallimento,malaesalta in quanto ha avuto ilmerito di rimettere inmovimentolegrandipassioniumane, cioè di riavvicinarciin qualche modo alla natura.

Quella «natura» chenell'uomoviventeèdesiderioe immaginazione, prima chese ne fosse distaccata laragione, che le diventaantitetica. Il «sistema dell'e-goismo», il qualeparadossalmente tiene inpiedi la societàmoderna conla sua aspra concorrenzialità,è la forma più estremadell'antitesi.Comedirechelecosesonomessemoltomale!

Epperò oggi starei moltoattento a etichettare questoatteggiamento di Leopardiquale «pessimismo storico».Anzi sono arrivato allaconvinzione che bisognaessere assai cautinell'adoperare nei suoiriguardi la categoria stessadel «pessimismo» (il cui usofilosofico non era alloraancora diffuso); adoperarla,voglio dire, in modo

onnipervadente,equasicomeunapriori.

Un radicale «pessimismostorico» non può esserci,comunque, in Leopardi (inquesto Leopardi) per unaragione molto semplice:perché la natura, per quantotrasgreditaemortificatadagliuomini,nonvienemaimeno,rimane il supporto di tutto, eciò è vero per gli uoministessi in quanto esseri

desideranti (versus unaillimitata, impossibile,felicità). Le «illusioni» cheessa produce per aiutarli avivere (a sperare, a operare),benché annichilite dallaragione critica, risorgonosempre nei singoli individui,se essi non siano vinti daltedioedalfastidiodellecose,dalsensodellanullitàdiessee di sé (magari fino alsuicidio).Leopardiritieneche

bisognerebbe ricondurre leinevitabili illusioniindividuali a farsi di nuovocollettiveecomunitarie,qualifurono nelle repubblicheantiche, e come per unmomento, nel suo aspettovitale, tentò di fare larivoluzione francese: dandoluogo a quelle virtù civicheattive che sorressero leantiche repubbliche per tuttoun periodo storico.Anche se

la configurazione («sistemadell’egoismo») della nostrasocietà, e civiltà, va in sensodeltuttooppostononsitrattadi un’impossibilità assoluta.Così Leopardi pensava nel1820-21, e intendeva operareinquelladirezione.

Tutto questo ha però unsensosesiriconosconocomevalori supremi quelli dellavita, che si esprimonopositivamente in dette

illusioni, e non quelli dellaragione critica, analitica,ovveroivaloridiverità.EssiappaionoaLeopardideltuttofunzionali ormai alladissociazione modernadell’uomo.Poichénonsipuò,d’altra parte, tornare indietroil miglior uso che si possafare della ragione è dimetterla contro se stessa(come Leopardi appuntostava facendo). Tale

preminenza assoluta diun’assiologia vitalistica èessenzialepercomprendereilprimo Leopardi. Essa èfondata su un certo concettogenerale di «natura», unanatura armonica, nonostantealcuni mali inevitabili,provvidenziale maternafinalizzataalvivente.Quandoquesta concezione crolla e,direi, implode in Leopardi(non in un colpo solo), nel

suosistemadivalorihaluogouna mutazione profonda. Euna svolta decisiva del suopensiero. Si badi: delvitalismo rimarrà sempretraccia in lui. La suaantropologia non cambia, onon cambia troppo. L’uomorimane sempre desiderio (equindi sentimento, passioneecc.), come ogni altroanimale, del resto. Ma,nell’uomo, esso è impulso a

una felicità illimitata, sottol’agire originariodell’immaginazione, i cuimondi illusori la ragionedistrugge senza poterestirpare il desiderio stesso.Esso è più forte anche dellasperanza, la quale alimentaalmenolafasegiovaniledellavita, e le sopravvive nellavecchiaia,oveè«incolume ildesio, la speme estinta». Lavecchiaia è turpe per

Leopardi, soprattutto lavecchiaia moderna,iperegoistica. La giovinezzarimarrà sempre per lui unvalore positivo, nella suastessa irrevocabilitàesistenziale; e anche quandorisulteràcheinessa«ognibendi mille pene è il frutto».QuestoorroreperlavecchiaiaèindelebileinLeopardi.Essaèperluiquasiunriassuntoditutti i mali e affanni che

investono l’uomo (reali oimmaginari non importa).Epperò l’estremo negativo,che fa dell’uomo un vivo-nonvivo, quasi cadaverevivente, è là dove (comeLeopardisperimentainprimapersona ed esprime in A sestesso, dopo l’ultima cocentedelusione amorosa) «di cariinganni, nonche la speme, ildesiderioèspento».

Ho ricordato

sommariamente questimomenti ulteriori perchédimostrano, appunto, chel’assiologia vitalistica nonscompare mai del tutto inLeopardi.La stessa variegata(non irriti questo aggettivo)meditazione leopardianaintorno alla morte ricevesensodaessa.Madopochesiè disfatta la antinomia«natura-ragione» il vitalismoassiologico ha perduto il suo

fondamentooggettivo,rimanesolo come testimonianzafattuale del soggetto umano.Leopardi vedrà alloracontraddizioni ovunque, eprima di tutto in natura, macessa di pensare in terminiantinomici (quell’antinomianon è sostituita), almenogenerali. E così anche lefunzioni oggettivedell’assiologia vitalistica nonci sono più. Questo punto è

importante perché ci portadirettamente al cuore delpensiero leopardiano, e aquello che legittimamente,credo, possiamo chiamare ilsuonichilismo:meditazioneesentimento del nulla,sentimento e concetto dellanoia.Bisognaperòarrendersia una evidenza. Talenichilismo c’è fin daprincipio in Leopardi, oalmeno molto presto.

Pubblica testimonianza ne èla canzone Ad Angelo Mai,del gennaio 1820. Ma èdapprima un nichilismo perpochi: verrebbe fatto di direperpochieletti,comeilTasso(gran figura romantica epreromantica) e soprattuttocome Leopardi stesso («ioson distrutto...»).Analogamente la noia,rivelatriceemozionalediquelnulla che in fin dei conti

anchelaragioneèingradodiscoprire, è un sentimentoancora, dapprima,aristocratico.Sitratta,cioè,diun nichilismo contenuto.Contenuto e trattenuto,appunto, dall’assiologiavitalistica,dalriconoscimentodel valore delle illusioni,fondate nell’astuzia dellabenevola e «saggia» natura,chepositivamenteciinganna,inmodo funzionale alla vita,

e che dovrebbe poter esserefunzionaleancheallasocietà,come già era stato nellerepubblicheantiche.

Caduto tale argine ilnichilismo invade tutto; e lanoia è universalizzata etrasfigurata quale sentimentoo emozione di fondodell'esistente umano, cheviene a coincidere coldesiderio stesso (lo attestanoalcuni sofisticatissimi

pensieri dello Zibaldone), epuò esser mascherata soloattivisticamente: una scelta(ancora vitalistica!) cheLeopardi, del resto, nonrespingeràmai, purché si siaconsapevoli della verità dellecose. Poiché ormai sono ivalori di verità, e non piùquelli illusionistico-vitalistici,ad avere la meglio in lui. Iltransito verso questa nuovaposizione è espresso nella

prosa d’arte, e quasi dilaboratorio, delle Operettemorali, prese nel loro nucleofondamentale: quelle ventioperette la cui rapida stesuraoccupò quasi tutto il 1824.Qui un nuovo immaginario -poetico-ironico e perfinoparodistico - di eccezionalelevigatura stilistica, èchiamato a rappresentare,quasiconrassegnatodistacco,la nuova amara filosofia di

Leopardi,laqualeraccoglieeconsuma la sua precedenteesperienza.

Non mi pare dubbio cheLeopardiabbiavissutoquestamutazionecomeradicalecrisiesistenziale.Inunaletteradel6 maggio 1825, scritta daRecanati a Pietro Giordani,l'amicoèinterpellatoesentitoda lui comeun«uomo»eun«simile»asé:«solouomochepotrebbe farmi parere la

compagniapiùdolcecheunasolitudinedisperata».

Dolcequest’ultimaperchéè tuttavia ancora confortatadagli studi. «Io studio il di ela notte fino a tanto che lasalute me lo comporta.Quando ella non lo sostiene,io passeggio per la cameraqualchemese;epoitornoaglistudi; e così vivo. Quanto algenere degli studi che io fo’,come io sonomutatodaquel

cheiofui,cosìglistudisonomutati. Ogni cosa che tengadi affettuoso e di eloquentemiannoia,misadischerzoedi fanciullaggine ridicola.Noncercoaltropiùfuorchéilvero,chehogiàtantoodiatoedetestato». Non si finirebbepiù di commentare questerighefermissime, translucide.Intanto:unLeopardichenondemorde (gli «studi») ed èdeciso a procedere nella

nuova strada di verità.Qualcuno potrebbe forseobiettarecheLeopardiilverolo aveva sempre cercato e inquesto, per l’appunto, apparequi scorretto verso se stesso,e l’autoanalisi sarebbe falsa.Ma si fallirebbecosì il sensodel discorso leopardiano alcui centro sta la sceltapreferenziale (odio e amoresono sentimenti dipreferenza, egli dirà sempre)

esistenzialmente vissuta, maanche intellettualmentemotivata. Ove la scala deivalorisièribaltata,mentrelanoia segna quelliprecedentemente preferiti eanteposti (con le loroconseguenze, ancheletterarie).

Si annuncia ormai il«nulla al ver detraendo»dell’ultimoLeopardi.Certoinquel momento Leopardi non

eraingradodiprevederechedallapoesiaeglisarebbestatoancora visitato in quellenuove, altissime, «avventurestorichedelmioanimo»(cosìegli aveva definito i primiidilli) che saranno i canti del1828-1830 e poi gli ultimi.Unica gratificazione (poichécome tale è presentata) gliappare in questo momento ilverosenzavelami,indirizzatocontro ogni illusione.

Considerando le cose aposteriorinonmisembraperòsi possa onestamentesostenere che lo iter mentaleleopardiano fosse ormaipredeterminato. Quantediverse scelte avrebbeancorapotuto compiere, mistiche,religiosizzantiper esempio, apartire da quella «disperatasolitudine», o scettiche erassegnateecosìvia.Ehogiàaccennato al baluginare di

una certa quasi compiaciuta,elegante, rassegnazione nelleOperettemoralidel1824(nelTimandro, scelto aconclusione: già altri lo haosservato). Le alternative,astrattamente considerando,non erano poche; e bastiguardare a tante apparizioniottocentesche, daSchopenhaueraNietzsche,daKierkegaard a Dostoevskij,perrenderseneconto.Proprio

su tale sfondo emerge launicità dell’esperienzaleopardiana, anche se èinevitabile per singoli aspetticonfrontarloconinominati(econaltriancora,ovviamente).Ma lasciando Leopardi nellasua assoluta irriducibilità einconfondibilità. Anche nella«storia del materialismo»(cosiddetta!) - delmaterialismo passatoprossimo (cioè settecentesco)

e prossimo futuro (penso aFeuerbach, particolarmente) -Leopardi occupa un posto asé, per la singolarecombinazione di esso con ilnichilismo che proprio ora,andato in pezzi il precedente«sistema», si dilata a tuttocampo. Sui modi di questacombinazionenonèpossibilequi soffermarsianaliticamente,macolpiscelasimultaneità, o quasi, di tale

sviluppo che è insieme,quindi,unitarioebilaterale.

Nella prima fase, sotto ildominio dell’antinomia«natura-ragione», essisembrano coesistere quasisenza toccarsi.Si trattadi unmaterialismochesicerca,suigeneris, biologizzante e diorigine sensistica: unmaterialismo nettamentesensualistico che si fa stradain Leopardi a poco a poco

legato alla sua «teoria delpiacere», come la chiamava.Ilnichilismoèlegatoinveceaun nulla di valore, suppostoesser sentito solo da pochiattraverso la mortifera«noia», e sempre vinto, ingenere, dalla vita, con le sue«illusioni», come si è visto.Maunlegamesegretoc’èfraidue,làdovesiaffaccia,coninsistenza, un elementoontologico costituito dal

tempo(ancheseLeopardinonlo ha esplicitatoteoricamente). Questo«tempo» è nel primoLeopardi annichilimento,erosionenecessariadiciòchelavitalenatura(equiparatadaLeopardi,allora,aDio, inunsensononspinoziano)sempredi nuovo e di continuoproduce: le sue creatureindividue (mentre si salvano,perora,generiespecie).Tale

erosioneprodottadaltempoèestesa da Leopardi, consempre rinnovato stupore,allegrandi formazioniumane(«regni ed imperi») travolteappunto dal tempo nel nulla.Caduta l'antinomia anchequesto lato del nichilismoinvade l’intero campovisuale. Tutto apparedestinatoallamorte,nonsologli individui ma anche leforme e l’universo stesso. È

la posizione espressa daLeopardi nel Cantico delgallo silvestre, ultima delleoperette scritte nel 1824 (manon posta a conclusione diessenell'edizionecheseguirà,nel 1827). Loro epilogofilosofico, comunque, è statodetto (Fubini). «Pare chel'essere delle cose abbia persuoproprioedunicoobbiettoilmorire.Nonpotendomorirequel che non era, perciò dal

nulla scaturiscono tutte lecosechesono».Conquelchesegue, a proposito dellaimpossibile felicità cercatadalle «creature animate» lequali «in tutta la loro vita,ingegnandosi,adoperandosiepenando sempre nonpatiscono veramente peraltro, e non si affaticano, senon per giungere a questosolo intento della natura, cheè la morte». A tutto

l’universo è ora esteso,dunque, ciò che Leopardipensava delle formazionipolitico-sociali umane, il cheèpostoasigillodell'operetta.L’afflato quasi profetico, insensonegativoovviamente,èpotente.

Ancora una voltaLeopardi poteva andare perun’altra strada, verso unqualche misticismo. Non fucosì. A circa un anno di

distanza egli scrisse ilFrammento apocrifo diStratone di Lampsaco, untesto fondante del suorinnovato e consolidatomaterialismo, che rimaseinedito per venti anni.Leopardinonosòmetterlonénella prima né nella secondaedizione delle Operettemorali, lo aveva peròprogrammato per la terza,quella napoletana dello

Starita,bloccatadallacensuraborbonica. Ma è la filosofiacheormaireggetuttol’ultimoLeopardi, fino alla morte.Essaesprime,innanzitutto,ilrovesciamento della suaprecedente epistemologiaispirata alla provvida efinalistica «natura». Nel«preambolo» del FrammentoLeopardi insiste sulsignificato del termine«apocrifo» perché «le cose

che si leggono nel capitolodella fine del mondo nonpossonoesserestatescrittesenon poco addietro»...Leopardisipreoccupacioèdiavvertircidinonfermarsiallapatina anticheggiante,giustificata per altrodall’antichità dell’idea stessadieternitàdellamateria,cheèil soggetto esplicitodell’operetta, ma di coglierela modernità

dell’aggiornamento di taleidea(evièancheuntrattodiquasi parodia galileiana nelbrano che finisce: «questecose, o seriamente o dascherzo, siano dette circal’anello di Saturno»).L’ispirazioneèdaFontenelle,come ovviamente tutti gliesegeti riconoscono (conqualche influsso, si dice, dad’Holbach,manonèpoicosìchiaro), dall’idea della

«pluralité des mondes» nellaperpetuità della materia edelle sue forze immanenti,produttive-distruttive. Taleidea è sfruttata fino in fondoda Leopardi, includendoviquella del differenzialetemporaleenormefralastoriadelgenereumanoeiprocessidell’universo, universo chepoi non esiste se non comeavvicendarsi di «modi diessere» diversi dellamateria.

«Modidiessere»=«mondi».Il tempo più che in sensoontologico è presente comemisura (vi sono paralleleannotazioni delloZibaldone),per fare emergere appuntoquella incommensurabilità(uno spunto anch’essofontenelliano). Su tale baseconcettuale l’esito principaleèlanegazionedell’ideadiunordine fisso e predispostodella natura, allaNewtonper

intendersi. Tale idea nasceper Leopardi dalla limitataottica temporale umana.Nonche gli «ordini» non esistanoper lui, ma essi sono relativiai«mondi»,cioèaisuccessivi«modi di essere» dellamateria,evengonoprodottiedistrutti dal suo perpetuomovimento nello «spazioinfinito dell’eternità». Lanatura cessa di avere labenché minima impronta del

divino.La conversione di

Leopardiall’ateismo,chenonè stata breve e forse neppurlineare, è ora del tuttocompiuta. Andando oltre,sulla linea di questeriflessioni, la vita stessaapparirà sempre più aLeopardi un fenomenocasuale e marginale dellamateria.Quantoall’uomo«lafortuna», cioè il caso, e non

un destino provvidenziale lohapostoaviveresullaterra.

Su questa base teoricadoveva necessariamentecambiare anchel’atteggiamento di Leopardiversol’illuminismodelXVIIIsecolo. Non ne poteva piùdichiarare il fallimento, madoveva invece ammirarne ilcoraggiodiverità. Il ribrezzoverso la sua epoca di neo-spiritualismo era destinato a

crescere in Leopardi via viache essa si profilava ai suoiocchi non come semplicerestaurazione politica, macome progressismo eperfettibilismo utopico ecristianeggiante. C’è infattipoco da inorgoglirsi dellaposizione dell’uomo nelcosmo, ci dirà La ginestra,poiché la natura è del tuttoindifferente alle sue sorti.«Così, dell’uomo ignara e

dell’etadi / ch’ei chiamaantiche, e del seguir chefanno/dopogliaviinepoti,/sta natura ognor verde, anziprocede / per si lungocammino che sembra star. /Caggiono i regni intanto, /passangenti e linguaggi: ellanoivede: /e l’uomd’eternitàs’arroga il vanto». Il«frammento apocrifo»determina la visione dellaGinestra: una «natura» che

«procede» del tutto perproprio conto, i cui tempievolutivi sonoincommensurabili con quelliumani.

Non residui attardati delXVIII secolo, in questoLeopardi, ma unrovesciamento di valutazionestorico-politica - e ideologicanaturalmente-perildominio,ora,delvalore«verità».

Ne derivò una scelta di

campo cosciente fra i duesecoli, ove Leopardi riarma,possiamodire,ilprimocontroil secondo. Una sceltaprogressiva. È Leopardi asuggerirequestotermine,anzia imporcelo, nella Ginestraappunto.Puòdispiacere,maècosì.Controilfalsoprogressodelle «magnifiche sorti eprogressive»eglineindividuaun altro. «Qui mira e qui tispecchia / secol superbo e

sciocco, / che il calle insinoallora / dal risorto pensiersegnato innanti /abbandonasti,evoltiaddietroipassi,/delritornartivanti,/e procedere il chiami»...«Libertà vai sognando, eservo a un tempo / vuoi dinuovo il pensiero, / sol percui risorgemmo / dallabarbarie in parte e per cuisolo/sicresceinciviltà,chesola in meglio / guida i

pubblici fati». È difficilecancellare queste parole dalretaggio di Leopardi. QuestoprogressodiLeopardinonhanulladiprovvidenziale,nonèinscritto in nessuna filosofiadellastoriagiàdisegnata,nonvuolessereutopico(inultimaanalisi si rivolge a un buonsenso comune, se gli uominisi decideranno ad amare -anzi a volere - piuttosto laluce che le tenebre), è un

progresso soltanto possibile,un progresso di scelta.L’appelloèallavolontà.

Qui ci troviamo sull'altroversante della filosofialeopardiana dell'ultima fase.In un suo forte libro Laprotesta di Leopardi WalterBinni ha parlato di«nichilismo esistenziale».Possiamo far nostra questaformulazione (purché non lasi sostituiscaall’analisi).Si è

visto che, quasi comeDiogene, nella lettera alGiordani del maggio 1825,Leopardi cercava «un uomo»eunsuo«simile»(dicontroalarve di uomini - tali gliapparivano, anzi gliapparivano come «piante emarmi» - quelli che evitava,perché infinitamente loannoiavano, inRecanati).Unverouomo(cosìeraperluiinquel momento il Giordani)

con cui dialogare nell’unicoluogopossibiledi incontro, illuogo ideale della ricerca delvero. Venta e uomo sicollocano ora in siffattoinedito rapporto positivo,appunto esistenziale, che staal polo opposto di quellopreconizzatoprecedentemente qualerinnovamento comunitariodelle vitali «illusioni».Leopardi, che io ricordi, non

nomina mai la umanistica (eretorica)«dignitàdell’uomo»,ma, possiamo dire, nepropone una versioneantagonistica.Nonundatoalcentro del cosmo ma unaesigenza forte ai margini diesso: un’esigenza operativa.È la virtù, la virtù moderna,nonpiùquellaanticaclassica,già vagheggiata. Sembrasottinteso che sial’intellettuale a doversene, o

meglio a potersene, fareportatore.Non è un caso chedi questa virtù modernal’antesignano per Leopardisia una figura che egliconcepiscecomedi frontiera:Brutominore.Ilcuigestogliappare storico, perché segnalacadutadellalibertàromana,grandedataperiodizzanteperLeopardi, fino allarivoluzione francese.Manonè questo il punto principale.

Come si vede da alcunipensieri dello Zibaldoneprecedenti la canzone, lafigura di Bruto lo haaffascinato proprio perchéquegliavevadubitato (eraunintellettuale!) della virtù, chetuttavia irresistibilmenteaveva messo in opera. Sottole vesti e l’oratoria,classicheggian-ti, già un eroemoderno. Leopardi haprofessato sempre il più

ampio relativismo morale (ecitava Pascal!) quanto aicontenuti, fino alle sogliedello scetticismo. Ma oraquesto sembra arrestarsi difrontealnuovosignificatodi«virtù». Essa dipendeesclusivamentedalleforzedelsingolo:allorchénonsilasciapiegare, anche se è costrettoad accettare una sconfittainevitabile da parte deimeccanismi sociali e politici

cheloemarginano,equindiarestare nella sua «disperatasolitudine». Tale virtù è lacapacità di testimoniare ilvero contro tutto, di nonabbassareilcapoedunquediavereilcoraggiodelrifiutoedellacontestazione.Piùcheil«lamento» (che c’è, ma èlamento sempre accoppiatoall’«odio», e la meditazionesull'odio è uno dei grandimotivi leopardiani fin dalla

giovinezza) o la stessaprotesta, è la virtùcontestativaadessereesaltatada Leopardi (e anche da luioperata con ferma, nonrumorosa, semplicità nellasua privata pratica di vita).Nulla di istituzionale leresiste (a cominciare, direi,dalla famiglia). Il bersagliomaggiore di talecontestazioneèilpoteredegliuomini su altri uomini, e

quindi il potere politico.Negli anni della sua primapoliticizzazione tra il 1820 eil 1821 Leopardi avevadrasticamente contrappostopopoli e governi, nei suoipensieri dello Zibaldoneguidati dai principi (per luinaturali e non ideologici) dilibertà e uguaglianza,considerati inseparabili. Nelcorso della sua secondapoliticizzazione, dopo il

1830, ciò diventa esplicito epubblico. I versi dedicati aquesto punto nella Palinodiaal marchese Gino Capponinon lasciano dubbi inproposito, Il potere, siaconcentrato sia decentrato (sipremura di precisare anchequesto), è inevitabilmentesempre uguale ad abuso dipotere, per una specie dilegge di natura, egli dice.Questo resta per Leopardi il

male che gli uomini siprocurano da se stessi. Lasopraffazione degli individuida parte di altri (e Leopardivuole che non si dimentichiche le masse sono semprecompostediindividui,esoprala infelicità di questi non siedifica nessuna pretesacomune felicità). Il finaleappello solidaristico dellaGinestra, che poteva anchenon sopraggiungere, ma che

sopraggiunse, ha questofondamento anarchico,l’unicoche lo rendecoerenteaglisviluppi immediatamenteprecedenti, cosìmarcatamenteindividualistici.Il passaggio logico chepossiamo indovinare (datempoLeopardi non scrivevapiùloZibaldone)èquesto:seun singolopuòdire di no, inlinea di principio tutti lopotranno. Liberatevi almeno

di questa parte del male chenasce dalle vostre risse,poiché è possibile. Perdifendervi uniti da quelmaleche la indifferente e ostilenatura ci procura. A unadifesa comunitaria praticaindubbiamente pensava einvitavaLeopardi.

Quanto alla infelicitàstrutturale dell’individuo,dovuta al meccanismodell’esistenza naturale - che

LeopardiavevagiàteorizzatonellaStoriadelgenereumano(contrapponendolo alla«fortuna»,mitologizzatadagliantichi) - difesa non c’è.C’èsolo una risposta delladignità-virtù dell’uomo, chepuò diventare collettiva sullabase della diffusione dellaverità razionale, unicoprogressopossibile.Unasortadi socializzazione di quella«renitenzaalfato»cheètutto

l’orgogliodell’uomo.La ginestra ne è il

simbolo: questa novitàintrodotta nella fioreriatradizionale dei poeti (lo haosservato un tedesco, HansLudwig Scheel) non alludeall’individuosingolo,maauninsieme di individuiconviventi. Sembra semmaiserpeggiare nella propostacollettivistica della Ginestrauna rinuncia a cui Leopardi

aveva già fatto cenno nellasua introduzione alManualedi Epitteto: la rinuncia (infavore, appunto, di quelladignità e salvezza comune) aperseguire una felicità che siè rivelata impossibile e chel’ideologia politica corrente(nella fattispecie quella deiliberali) continua invece aprospettare. Se questa letturaè esatta, come credo, è unarinunciaamara.Essarecacon

sé una contraddizione quasiesplicita che Leopardicollocava ormai nel piùprofondo dell’uomoindividuale: la potremmochiamare il paradosso dellavirtù.Adifferenzadi tuttiglialtri animali, aveva dettoLeopardi, l’uomo non èsoltanto «disposizione adessere»,maè«disposizioneapoter essere», e in questadifferenzacredovadavisto il

fondamento teorico del suoesistenzialismo (nel sensomoderno del termine).Comunque la categoria della«possibilità» è sempreall’attenzione di Leopardi.Ora la virtù di cui Leopardiintende dare testimonianza(testimonianza quindi cheessa è possibile) è una virtùdisperata, nel senso piùletteraledellaparola.Quasianon voler lasciare ombra di

dubbio, parallelamente allaGinestra che è il suo ultimomessaggio comunitario osociale, Leopardi ci halasciato II tramonto dellaluna in cui è ribadita, enuovamente illustrata, la suaposizione circa le sortiindividuali: di ogni uomo equindi di tutti gli uomini. Lavirtù a cui fa appello l’uomoLeopardi è disperata acagione, in ultima analisi,

della finitezza dell’uomo,inserita nella cieca «strutturadelmondo».Èunavirtùfiera(eroica)perchésisacostituitain rapporto alla verità, e inquesto rapporto appare tuttafondata su se stessa (e a suavolta fondante una «nobilnatura»). Ma non è puraforma razionale (non èl’imperativo categorico diKant!).Essanonperdeinfattila propria radice in quel

desiderio che, unicomarchioantropologico caratterizzante,è intriso nell’uomo, secondoLeopardi, di sete d’infinito.Un desiderio senza oggettodeterminato,cheassumeinsée trasfigura (umanamente)tuttiglialtridesideri.

Il paradosso della virtùleopardiana è, potremmoconcludere, il paradossoesistenziale del nesso finito-infinito (non in assoluto,

dunque, chenon lo interessa,ma relativamente all’uomostesso). Questo è ilpessimismodiLeopardi,sesideve usare ancora taletermine: non un pessimismoantropologico, legato a unacolpa (ciò mettedefinitivamente Leopardifuori dalla linea cristiana: la«colpa», metaforicamenteparlando, è trasferita allanatura, non più concepita

come divina o prodotta daDio),eneppure,sièvisto,unpessimismo storico. È ilpessimismo di quel «tutto èmale» (per il vivente) cheperò non può mai tradursi,onestamente, da parte dellaragione (Leopardi lo diceesplicitamente) nellaaffermazionechequestoè«ilpeggiore dei mondipossibili». Semplicementeperché del possibile non

possiamoscorgereiconfini.Materialista,ateo,di fatto

anarchico (e non sarà il soloaristocratico a divenir tale)Leopardi finiperdefinirsiun«malpensante».Sapevaormaidinonavere interlocutorinelproprio tempo, e neppure,forse, nei decenni che sipreparavano.Talvoltasembrache guardasse a noi, chefacessecon lamenteungransalto di generazioni.Vi sono

accenni, in questo senso, alXX secolo. E per chipreparava, oltre che per sestesso,contantacura,giànel1827, indici e «polizzine»dello Zibaldone? Ma nonvoglio abbandonarmi afantasie. So di non essereriuscito a dare della vastità eprofonditàdiLeopardisenonun’immagine risecchita. Enon senza introdurre,inevitabilmente, qua e là,

qualche elementoermeneutico.Manon intendopresentarmi come interpretedi Leopardi, bensìsemplicemente comedecifratore: decifratore ditesti, e del movimento dipensiero che li sottende. Aognuno poi di deciderequantoancoraciparlino.

L’officinadelloZibaldone

Questa edizione critica

delloZibaldonediLeopardiacuradiGiuseppePacella1eramolto attesa almeno fra leschieredei leopardisti italianie stranieri (anche questiultimi cominciano infatti,finalmente, ad esistere). Per

quanto la fama (e diciamopurelagloria)diLeopardisiastata altissima (ma anchecontrastata) e crescente, findallametà del secolo scorso,l’immagine di lui, poeta-pensatore se altri mai ce nefurono in Italia, e leinterpretazioni relative, nonsolo sono mutate coi tempi,come accade per i grandi, dicui sempre si riattualizza inmodi diversi la presenza,ma

essaeradestinataasubireunrivolgimentoprofondocon laprima pubblicazione alla finedel secolo scorso (1898-1900), per merito soprattuttodel Carducci, delle 4526pagine autografe delloZibaldone di pensieri (cosichiamato dall’autore stesso;ma non si osò dapprimaadoperare tale titolo).Questorivolgimento di lettura, e iparametri nuovi che esso

imponeva, è stato lento nelnostro secolo, ma si èaccelerato (non per questopacificato) negli ultimicinquantanni, con apportiillustri (oltre che conl’accumularsi di cose inutili,com’era fatale), perapprofondimenti esegetici evarietà di approdiinterpretativi. Leopardi èfigura così originale e ancheanomala nella nostra

tradizione letteraria (maanchefilosofica)dacostituireuna sfida perenne - assaicosciente da parte sua - allamodernità (e anche allapostmodernità!)chenoistessisiamo,ocrediamodiessere.

Tale sfida vieneindubbiamente dai contenutidiquelsuopensiero,daisuoimovimentiepercorsielivellivari, dalla sua omogeneitàsistematica di fondo, però; e

siamo costretti acaratterizzarli in termini iquali sono essi stessialtrettante sfide (alperbenismo morale eculturale)comematerialismo,ateismo, pessimismo (quasiradicale), a cui aggiungo:nichilismo e anarchismo(rispetto a tutte le forme delpotere politico), e unvirtuismo sui generis, nutritodi molti immoralismi. Di

queste etichette nondobbiamo però maidimenticare, adoperandole,chesitrattadischemiastratti,di mero carattere ausiliario,rispetto alle quali ciò checonta è la viventecombinatoria, continuamenterinnovantesi, gliimprevedibili allargamentiproblematici, leoscillazionieanche alcuni capovolgimentinei tropismi profondi di

questopensareepoetare(finoa un certo punto inseparabilifraloro).Decifrarlo,leggerlo,interpretarlo, senza mutilarloin nessuna parte, e tenendoconto dei movimenti interni(ove la cronologia ancheminuta può diventare digrande ausilio), tale la sfidacomplessiva che ci poneLeopardi.Quellaper laqualelo Zibaldone costituisce untesto chiave, del cui

manoscritto Leopardi ebbegrandissima cura, recandonesempre con sé i volumi,anche dopo che ebbe smessodi scrivervi le proprieannotazioni; e magarisognandodi trarre da esso, oda certe sueparti, operette lacui composizione rimasevelleitaria (rubricate come«Machiavellismo di società»,«Galateo morale», «Manualedi filosofia pratica», ecc.).

Cosa amioparere chenon èda rimpiangere, tanto queiprogetti ci appaiono oggipoveri e periferici rispettoall’enorme varietà e densitàdei problemi incontrati osollevativiaviadaLeopardi-morali, politici, linguistici,epistemologici, metafisici(ma con prevalenzaquantitativa di quelli letterarie stilistici) - in un sublimemiscuglio (zibaldone,

appunto) che attesta, quasigiorno per giorno, per anni,l'incredibile mobilità edisponibilitàdel suopensieroe dei suoi interessi (almenonell’orizzonte storico che glifu accessibile, ma non erapiccolo, fra l’antico e ilmoderno), cioè la suacapacità di muoversisincronicamente su pianidiversissimi. La logica dellacui compresenza sfugge a

prima vista e ci espone alrischiooditrascurarnetroppaparte (come a sfrondare uneclettismo che invece nonc’è) o, per contro, disistematizzarla all’eccesso,ermeneuticamente.Personalmente sono convintoche uno studio d’insieme«organico»,comesisuoldire,sul pensiero leopardiano siaancoraprematuro, finchénonne saranno esplorati

partitamente non dico tutti,ma almeno i principali e piùsignificativi percorsiparticolari, lasciandolial lorospontaneo comporsi di fronteaun’attenzionenostrafattadiabnegazione intellettuale, ilpiù possibile libera dapregiudizi culturali eclassificatori.

Non si può isolare (èovvio) il contenuto delloZibaldone dalle opere

pubblicate in vita daLeopardi,odaluipredisposteper la pubblicazione, eneppureridurloperòaquestafunzione ausiliaria, per unaragione molto semplice: nontutti i problemi in essoaffrontati (anche non tecnici,come sarebbero quelli diletteratura) sono destinati atrapassareinpoesia(inversiein prosa), mentre ciò chetrapassasubisce,d’altronde,il

vaglio dei criteri adottati daLeopardi per parlare col suopubblico.Manonsoltanto. Ilsuo stesso pensiero filosoficonon si esaurisce nelloZibaldone (o in testicorrispondenti delleOperettemorali); la sua poesia neappare spesso portatriceautonoma (e Leopardiindirettamente ci avverteanchediquesto).Nonsitrattaquasi mai, cioè, di semplici

transfert lirici, ma di vere eproprie funzioni di verità(secondo la vedutaleopardiana) ulteriori rispettoalle possibilità del pensieroanalitico-riflessivo, comequello dello Zibaldoneappunto.

Il primo problema che loZibaldone ci pone è quellodei suoi tempi interni e delloro rapporto con quelliesterni quali si fissano nelle

successive date dipubblicazione (eripubblicazione) degli scrittiediti. La prima sorpresa èquella della scarsacorrispondenza fra i ritmi diqueste due serie temporali.Etuttavia solo riuscendo acomporli insieme e aconfrontarli coi tempi di vitadiLeopardi(lelunghedimoreaRecanati,eisoggiornipiùomeno importanti in alcune

città italiane - Bologna,Milano, Firenze - fino allanon breve e decisiva fasefinale in Napoli), con lerelativeesperienze,siriesceapenetrare (ma è appena uninizio) nella dimensione diprofonditàdelsuolascito.LoZibaldone, è ben noto, ètutt’altra cosa da un diariointimo, un journal, benchéLeopardi abbia sentito assaipresto il bisogno di datare

minuziosamente (dopo l'8gennaio 1820) mesi e giornidellesueriflessioni.Maidatipersonaliebiograficinonperquesto mancano, edassumono anzi granderilevanza proprio in funzionedellalororelativamentebassafrequenza. Costituisconoquasi sempre punti decisiviper cogliere non solo lacoscienza che Leopardi ebbedisestesso,maperintendere

il suo modo stesso difilosofare, incardinato comeesso è nella sua propriaesperienza esistenziale e neltentativo incalzante digeneralizzarla, in formeacute, paradossali spesso,estremamenteconsequenziarie, e qualchevolta,mararamente,affrettate(poicorrette).Lefasi,gliannidi addensamento delleriflessioni zibaldoniche, e

quelli, viceversa dirarefazione (ma qui contaanche Pintensità di alcune diesse, e non solo la copiosità)sono già stati oggetto distudio attento da parte deileo-pardisti (è un lavoropreparatorioimportantissimo), e non è ilcasoquidiricapitolarlo.Sonoappunto essi ad appariretalvolta comesignificativamente sfasati, e

comunqueproblematicamentepiù complessi, rispetto alLeopardi che si venivarendendo pubblico. Si ha lasensazione che egli ciòfacesse attraverso un filtroche non era solo didistanziamento stilistico,odiacquisizione di alone poetico(ilfamoso«vago»),maanchediavvedutezzacomunicativa,oveildetto,chepotevaessereanche molto provocatorio, si

alternava al non detto etrattenuto, il quale rimanevainsondabile nelle coulisses enellagrandemachineriedellasua mente: non era, cioè, diper sé tutto indovinabileattraverso quegli effettipubblici.

Una dimensione diprofondità, appunto, che soloa noi è dato di restaurare esondare, attraverso la sommadituttiglieditieinediti.Edè

allora comemettere piede inunagrandecittàsepoltadicuispuntavanosoloalcuniedificimassimi alla vista deicontemporanei di Leopardi edeiloroimmediatisuccessori.Non è una metafora più omeno felice che propongo,ma il richiamo a unacircostanzadifattochesegnail destino di Leopardi nellastoria delle grandi esperienzemorali, intellettuali e

letterarie europee. Ove ilsegreto (o tesoro) dadischiudere non è tanto larappresentatività di unpassato singolare esignificativo,malasuacaricadi futuro (si può alloraaccostarlo, senza estrinseciallineamenti, ad alcuni deigrandi autori anomali dellamodernitàcomeKierkegaard,Nietzsche, Dostoevskij). Ilnodo centrale di tutta questa

esperienza è il dissidiocrescente di Leopardi con lasua epoca, scrutata in alcunicaratteri essenziali che necostituirebbero la modernità:dominio dell'egoismoconcorrenziale quale falsa ealienata libertà degliindividui; e regressospiritualistico qualecamuffamento ideologico dapartedeicetidominantivoltoad illudere i popoli su una

futura umanità pacificataattraverso i commerci e ilprogresso tecnologico. Èdifficile dire che questi teminon ci riguardino ancora.Quel dissidio toccavaLeopardi fin nelle sue ultimefibre,nonsolocomefilosofo,ma direttamente come poeta.Anche questo ci raggiunge.«La discordia tra poesia emodernità non è accidentalema sostanziale.

L’opposizione appare chiarafin dall'inizio della nostraepoca, con i primi romantici.Il paradosso è che taleincompatibilità è uno degliattributi, forse il centrale,dellapoesiamoderna;inoltre,questa incompatibilità larende accettabile per illettore, il quale vede in essaun’immagine della propriasituazione».Queste parole diun recente libro di Octavio

Paz, che volentieri riprendoda un’anticipazione digiornale, rispecchiano congrandissima approssimazione(senza saperlo) la posizionedi Leopardi. Anche se eglinon si sarebbe riconosciutofra quei «primi romantici»; eanche se egli vide in modomolto più complesso ilrapporto col «lettore».Problemi di linguaggiopoetico e di comunicazione

colpubblico (edi continuità-rottura con la tradizioneletteraria e scrittoria) looccupano e tormentanoattraverso le pagine delloZibaldone particolarmentenegli anni di un suoprolungato silenzio comescrittoreepoeta,frail1825eil1828,incuiargomentò,fral’altro,unapoeticadellaliricapura che forse sorpassa (inmodernità)quantoegli stesso

di fatto fosse destinato araggiungere(esonopurvettesublimi).

A partire da questeconsiderazioni possiamoaccostarci alla nuovissimaedizione «critica e annotata»dello Zibaldone a cura diGiuseppe Pacella. Lo stessocuratore ricorda nella suaintroduzione come fin dal1958 Sebastiano Timpanaroponesse in chiari e precisi

terminimetodici l’esigenza ele basi per il superamentodella precedente edizioneFlora (e suoi collaboratori)del1937,purriconoscendonei grandi meriti storici, dimaggioraffidabilità(etuttineabbiamo usufruito) rispettoalla prima assai affrettata difine secolo. Ma era pursempre, quella del Flora,un’edizione che rimaneva a«metàstradafrailtipocritico

eiltipodivulgativo»(edoggirisultapienadi imprecisioni).Nonstoquiaripeterequantohannogiàmesso in rilievo, aproposito della presenteedizione «veramente critica»(cioè indirizzata prima ditutto a una corretta e sicuracostituzione del testo),studiosicomeCesareSegreeLuigi Blasucci (e altri). Latrascrizione dell’autografodello Zibaldone ne occupa i

primi due volumi.Quattrocentonovantacinquepagine di «apparato»(purtroppo oggi non usa piùcollocarlo a piè di pagina),seicentottantotto di note,dodici di bibliografia mirataal testo stesso, quaranta di«elenchi di lettureleopardiane» (Pacellariproduce qui un suoprecedente lavoro) equattrocentotrentadue di

indici vari, quello analitico(assai più ampio deiprecedentidell’edizioneFloraedell’edizioneBinni-Ghidettiin Tutte le opere) e quellofilologico (greco, latino elingue moderne),compongono l’imponenteterzo volume. Quegli indici,naturalmente includono,anche in questa edizione, illoro capostipite leopardiano,cioè quell’«Indice del mio

Zibaldone di pensiericominciato agli undici diLuglio del 1827 in Firenze»(Leopardi lo concluse il 14ottobre) che implicò da partedi lui, per compilarlo, unarilettura di tutto il materialemanoscritto (e fuaccompagnanto da unulteriore Indice parziale edalle «Polizzine a parte», unsettore delle quali richiamatenell’indice). Questo

impegnativo lavoro a cuiLeopardi si sottopose a diecianni dall’inizio della stesurazibaldonicanonfuindirizzatoda lui a redigere un testomigliore (non ci pensò népunto né poco), bensì adenucleare e organizzare lapropria tematica: forse invista di quel DizionariofilosoficoallaVoltairecheglirichiedeva l’editore Stella diMilano. Lamia convinzione,

sia detto fra parentesi, è chenonloabbiamoancorasaputoutilizzare a fondo in sedecritico-ermeneutica.Matornoall’edizionePacella.Come sivede dai precedenti accenni,in essa il lavoro strettamentefilologicotrapassanaturaliterin quello esegetico.Distinguerei però: utilissimoil secondo, ma essenziale eindispensabile il primo. Peruna ragione del tutto

specifica:chepiùdiun terzodell’autografo zibaldonico ècostituito da aggiunteinterlineari o marginali diLeopardi, con cui egliinterveniva sul propriopensiero integrandolo,sviluppandolo omodificandolo in tempiravvicinati talvolta, maspesso anche ad anni didistanza (e la riletturaleopardiana del 1827 è una

sorgente cospicua di taliinterventi). Datare conesattezza o con la massimaapprossimazione possibilequeste aggiunte (e insieme ilreticolo di rimandi internistabilito dallo stessoLeopardi,manonsempreconprecisione, o sufficientedeterminatezza) è statal’opera assidua escrupolosissima del Pacella,quella veramente ormai

indispensabile per ricostruirela dinamica della ricercaleopardianaeitempieimodidelle sue evoluzioni.Esigenza ormai impellentenegli studi leopardiani, difronte a cui l’edizione Flora(o le riproduzioni di essa)manifestava tutta la suainsufficienza, divenuta quasiparalizzante.

Nell’altro aspetto dellavoro di Pacella, quello

esegetico, campeggia unarinnovata ricerca dellecosiddette «fonti»,indubbiamente meritoria. Mala questione delle fontileopardiane è sconfinata,esposta a pareri diversi e adoscillazioni nella scelta fraquellesicuramenteaccertateequelle suggerite da semplicispuntioaffinitàelettive.Nonèilcasodientrarviqui.Valgail criterio a cui Pacella si è

fondamentalmente attenuto,espresso da luinell’introduzione generale(vol. 1, p. ΧΧΧΙΠ) in modoegregioperché,inparitempo,trascende gli apparenti limitidella questione. Egli scrive:«Ilmiolavorodiricercasullefonti dello Zibaldone mi hafatto riflettere molte volte, enon senza momenti diperplessità, sull'intreccio traesperienze di lettura ed

esperienzedivitainGiacomoLeopardi. Talora nelle notehocitatopossibiliantecedentidella riflessione leopardiananel materialismoilluministico.Misonoaccortoperò quanto sia necessarioevitare la facile suggestionedell'analogia in una materiacosì complessa, non solo peresigenze metodiche dicautela, ma anche esoprattutto perché ho sentito,

come lettore, un istintivorispetto per una vicendaumana vissuta e sofferta conun’intensità e con uncoraggio mentale che nonpotrebbero derivare danessuna“fonte”,machesonosolo ed autenticamente diLeopardi».

1 Giacomo Leopardi,

Zibaldone di pensieri, ed.critica e annotata a cura diGiuseppe Pacella, 3 voli.,Garzanti, Milano 1991, pp.XLVIII-4214.

Naufragiosenzaspettatore

(L’Infinito)

Gli ci voleva del

coraggio, penso, alventunenne GiacomoLeopardi per intitolare quellabreve poesia, quindiciendecasillabi sciolti,L'Infinito. Ma non era ilcoraggiodell’incoscienza.

Primadituttoilvaloredeltermine, o, se si vuole dellaparola: l’infinito, sostantivo(con l’iniziale maiuscola). Ame sembra chiaro che non sideve attribuirgli, almeno inanticipo, alcun sensospeculativo. «Infinito» vapreso nel significato piùcorrente, negativo, quale lopuò accogliere un qualsiasilettore appartenente allanostracultura:nonfinito,non

limitato, non terminato oconchiuso in se stesso.Leopardi terrà sempre apertoun canale di comunicazionefra «infinito» e «indefinito».SipossonocitareinpropositosvariatipassidelloZibaldone.

Eglinonsipreoccupapernulla di sapere se si tratta diun buon infinito o di uncattivoinfinito,peradoperarela celebre formula di Hegel(che comunque Leopardi

ignorava).Quisitrattadelresoconto

di un’esperienza. Si presentaallora una specie diparadosso: come si puòsperimentare l’infinito, oanche semplicementetentarlo?E-poichésappiamoqualcosa della cultura diLeopardi - come puòpretenderlo uno che haaderitoallafilosofiaempiristae sensista, assimilandone le

motivazioni di fondo etrasformandole ininnumeri variazioni eliberissime, inventiveapplicazioni? Almenoindirettamente dovremoriuscirearispondere.

Quella esperienza sisvolge nel quadro di unasituazione che non puòconsiderarsi eccezionale eirripetibile, ma piuttostoiterativa: «sempre caromi fu

quest’ermo colle,/ e questasiepe...». È un tipo disituazione sulqualeLeopardinelloZibaldonetorneràpiùdiuna volta. Per esempio, inmezzo a un discorso checostituisce una delle tantevariazioni intorno a quellache egli chiamava «la miateoriadelpiacere»,silegge:

...alle volte l’animadesidererà ed

effettivamente desiderauna veduta ristretta econfinata in certi modi,come nelle situazioniromantiche. La cagioneè la stessa, cioè ildesiderio dell'infinito,perché allora in luogodella vista, lavoral'immaginazione e ilfantastico sottentra alreale. L’animas’immagina quello che

non vede, chequell’albero, quellasiepe, quella torre glinasconde, e va errandoin uno spazioimmaginario, e si figuracose che non potrebbe,se la sua vista siestendesse da per tutto,perché il realeescluderebbel’immaginario (Zib.171).

In questo testo troviamogli elementi fondamentali dicui sarà costituital’antropologia filosofica diLeopardi.(Quasiunacostantein lui.) Come ogni specie divivente l’uomo è prima dituttodesiderio.Mal’animale-uomo è dotato diimmaginazione, componenteessenziale della plasticitàdellasuanaturaequindidellasua storicità. (Ciò che noi

chiamiamo «ragione», comedistinta facoltà della mente,non è per Leopardi qualcosadi originario. Essa èderivativa, una capacitàacquisitacomeillinguaggio)

Il combinarsididesideriovitale (la nozione di vitalitàha in Leopardi un postoenorme) e di immaginazioneproduce una miscelastraordinaria e pericolosa: ildesideriodiunafelicitàsenza

limiti, immensa, infinita,ontologicamente impossibile-la «struttura del mondo» loesclude - e inconcepibileintellettualmente. Maindomabile nell’uomo,quandoc’èveravita.La finedella speranza è ladisperazione. La fine deldesiderio però è la mortenella vita. Sarà questa laconclusione matura diLeopardi, in cui egli

personalmente si riconosceràneisuoiultimianni.

«Tendenza dell'uomoall’infinito» «desideriod’infinito», dunque, comeLeopardiciripetespesso.

Ora qualche parola sullapoetica di Leopardi, per quelchequiciconcerne.

Lapoesiadegliantichi,lapoesia delle belle immagini,modernamente non è piùpossibile. Si può soltanto

ammirarla.Ilmodernotrionfodella scienza e della ragioneanalitica ha inferto persempre una feritaall’immaginazione umana,salvocheneibambinipressoiquali essa resta libera (lafanciullezza, oggettopermanente di nostalgia -come il primitivo, del resto -perl’uomomoderno).

Lapoesiasiètrasformata,soprattutto la poesia lirica, la

sola ormai praticabile. Ilclassico antagonismo trapoesia e filosofia si èattenuato. I successi dellaragione hanno prodotto ilparadosso di dare pienaautonomia al sentimento (il«sentimento» dei romantici,sebbene Leopardi sia inpolemica con essi) neiconfrontidell’immaginazione. Vi èoggi un rapporto diretto fra

ragione e sentimento, unaspecie di corto circuito checondiziona ciò che restadell’immaginazione.

È esattamente il casodella poesia L'Infinito. Manella situazione in essaevocata vi è una differenzaspecifica anche rispetto a ciòche Leopardi ci diceva nelpassodelloZibaldonechehoappenacitato.

Non si tratta di una

«situazione romantica». Èvero: l’immaginazione è allavoro indubbiamente, manon è libera, non stavagabondando: nessunarêverie, nessunaSchwärmerei. Partendo dauna situazionedi equilibrioedi quiete lo sguardo delsoggetto volontariamente siconcentra («mirando») làdove è l’ostacolo, la siepe,per trapassarlo (andare al di

là) con l’immaginazione.Manon alla ricerca delle belleimmagini di un paesaggionascosto, bensì di ciò checontiene ogni possibileoggetto sensibile, cioè a direlospaziocometale,lospaziovuoto, lo spazio astratto, lospazio assoluto di Newton,(o, se si vuole, l’intuizionepuradellospaziodiKantcheperò Leopardi nonconosceva).

Dove tutta l’energiaimmaginativa del soggetto(«io nel pensier mi fingo»,inizio di verso moltomarcato)ètesanellosforzodiraffigurarsi questo spazioinfinito e assoluto. Con ilcorteggio necessario dei«silenzisovrumani»,ediunaquiete (quies, nozione quasifisica) profondissima: laconnotazionediprofondità inorigineèessastessaspaziale.

L’effetto esistenziale diquesto sforzo, di questaimmaginazione o finzioneastratta, è tale che il cuore,cioè il centro della vitadell’individuo, si spaventa.Èla paura di questo vuoto, diquesto nulla. Ma il poetaregistra qui una sorta direazione vitale:l’immaginazionegiàsi ritrae,il soggetto non sprofonda(nonancora)inquestovuoto.

Ciò è espresso con unasemplicità estrema,ellitticamente: «ove per pocoilcornonsispaura».

Aquestopuntoilsoggettoè ormai divenuto disponibileper l’esterno, per lapercezione esteriore; è unapercezioneacustica:«ilventoodo stormir fra questepiante».

Debussyudivalesclochesà travers les feuilles. Quel

fogliameeglilovedeva:èunascenografia intrinsecata allamusica. Qui è quasi ilcontrario. Tutto si produceattraverso la sensazionesonora.Lavisualizzazionenedipende.

È tipico di Leopardi: lasuperiorità specifica e ingeneralel’enormeimportanzadella percezione acustica.Grazieadessasiarrivaancheavederementre attraverso la

sola percezione visuale isuoni, i rumori, la voce delmondopresenteevivononsipercepiscono. Ne consegueche, in Leopardi, il presentepercepito ha quasi sempreunacertaduratachenefaunconcreto.

È il caso della poesiaL'Infinito, la quale, a questomomento, si apre a unaesperienza del tutto diversarispetto alla precedente

(spaziale), connessa alpensiero intellettuale e nonpiù all’intuizioneimmaginativa.E l’operazionedel comparare: «vocomparando».

I termini di talecomparare sono la voce delpresentee il silenzio infinito.Valeadireciòcherestadellaprima esperienza. La qualeviene ad essere mediatadall’idea dell’eterno: ciò che

nonhanéinizionéfine.Checosavièdipiùeternodiunospazioinfinitoeassoluto?

Ma questa è la facciarivolta all’indietro, la menoimportante, rispetto aldecorso della poesia. Nellafaccia rivolta in avantil''eternoèl’orizzonte(lodicoin senso quasi husserliano)entro cui emergono, subitodopo, le determinazionitemporali.

Qui richiedo unaparticolare attenzione: vogliosottolineare che non vi èalcuna simmetria fra ildiscorso poetico di Leopardiintorno allo spazio e ciò cheeglivieneadirciinpropositodiun’esperienzadeltempo,ilquale però non è mainominatoinquantotale.Sononominate invece «le mortestagioni» e «la presente eviva»:unaopposizionestatica

e una scissione, una fratturafra passato e presente neltempovissuto.

Nessuna dinamicatemporale quale si troverà inaltri canti di Leopardi (adesempio La sera del di difesta).Enessuna intuizioneonozione del tempo (adifferenza di quanto eraavvenutoperlospazio),bensìla sua evocazione secondoun’esperienza fissata in

termini oppositivi fra lorononmediati.

E dunque, diversamentedaquelchepensalamaggiorparte dei commentatori, misembra evidente che fra lospazio intuizionale deL'Infinito e laproblematizzazionedeltempovissuto che vi troviamo nonvi è alcuna omogeneitàconcettuale.

Oserei dire che tutta

l’energiapoeticascaturiscedaquestaradicaleincongruità.

Tale spazio e tale temponon si compongonovicendevolmente, dunque.Essi hanno tuttavia unelemento in comune, unelemento del tutto astratto:l’immensità, o infinità; matale elemento non èsufficiente per unaintegrazione reciproca.Leopardi non conosceva né

EinsteinnéMinkowski(forsesi può intravedervil’esigenza...).Neseguecheinmezzo a («tra») questaimmensità il pensierointellettuale sprofonda, il cheè detto con una metaforamolto marcata: «s’annega ilpensiermio».

Questa metafora ne portacon sé altre due: il naufragio(«il naufragar», infinitosostantivato:denotaazione)e

ilmare. Ilmare«similitudinedell’infinito», come LeopardilodefiniscenellaprimadelleOperettemorali, un raccontomitologico-parodicocheha iltitolo Storia del genereumano.Oveilmareèildonodi Giove agli uomini pervenire incontro al lorodesiderio d’infinito, giacchénon può procurargli uninfinitoreale.

È assai singolare che una

poesia del tutto priva dimetaforepoetiche(il«suono»non è per Leopardi unametaforadelpresente,bensìilsuo sintomo diretto) terminicon una raffica di tremetafore che si succedonorapidamente, legate l’unaall’altra.

Matral’annegamentoeilnaufragio vi è una talevicinanza semantica chepotrebbeperfinodisturbarese

nonsiafferrailmutamentodisoggetto. Chi è che fanaufragio? Non è il separatopensiero intellettuale, mal’«io» tutto intero. L’«io»esistenziale che si eraimpegnato totalmentenell’esperienzadell’infinitezza.

Ora questo naufragareviendetto«dolce».Lacosainse stessa non è sorprendente.Ma è sorprendente in

Leopardi (l’ultimo versogiunge infatti inatteso) inquanto in lui la tensioneesistenziale tra finito einfinito darà luogo a una«philosophie désespérante»,comeeglistessosiesprimerà,moltiannipiùtardi,scrivendoall’amicoDeSinner.

La conclusione deL'Infinito è un caso unico inLeopardi e va compresa finoinfondo.

C’è un professoretedesco, un filosofo, HansBlumenberg,chehascrittounpiccolo libro affascinante:Naufragio con spettatore(.Schiffbruchmit Zuschauer),sottotitolo«Paradigmadiunametafora esistenziale». Ilriferimento è ai primi versidel secondo libro del Dererum natura. Lo spettatore,alsicurosullaterraferma,èilsaggio epicureo che

contempla, senzacompiacimento ma anchesenza sofferenza, la tempestache travolgealtriuomini.MaBlumenberg ha scelto comeepigrafedelsuo libro ildettodi Pascal: «vous êtesembarqué».

Noi tutti lo siamo - eLeopardiloè.

Egli non era un saggioepicureo.Ladolcezzadelsuonaufragio è una dolcezza

mistica, è una dolcezza diestasi.Questaparola,estasi,èadoperata da Leopardi stessonello Zibaldone per indicaresituazioni analoghe, in cui«l’animo si perde». È ladolcezza dell’annientamentodell’esistenzafinita,dellasuaautodissoluzione. Ma,attenzione, non in un grandetutto, non nel pleromadell’essere,ma nel vuoto delnulla, grande tema, sempre,

diLeopardi.Naufragiodicuiegli solo -«io» -è testimoneeprotagonista.

Naufragio senzaspettatore:nédionéuomo.

Indicedeinomi

Alfieri Vittorio, 62, 66,

83,93.Augusto Caio Giulio

CesareOttaviano,32.BinniWalter,X,ΧII,119,

132.BlasucciLuigi,132.BlumenbergHans,142.

Bruto Marco Giunio, (B.minore),XV,120.

Byron George Gordon,72.

CairoliBenedetto,68.CarducciGiosue,127.De Sanctis Francesco,

XIV, 5n., 43n., 68, 85, 86,100,102.

DeSinnerLouis,142.DiderotDenis,40.DoriaGino,69n.Dostoevskij Fëdor

Michailovic,115,131.EinsteinAlbert,141.ElvidioPrisco,57.Epitteto,86,122.ErasmodaRotterdam,4.Eschilo,87.Cartesio,96.CasesCesare,XV.CatoneMarcoPorcio,57.Chateaubriand François-

René,52.Cicerone Marco Tullio,

57,64n.

ClodioPublio,20.Constant de Rebecque

Benjamin,52.Croce Benedetto, 5n.,

91n.,97.Dante,83.DebussyClaude,140.De Robertis Giuseppe,

69n.FedericoII,63.FerrucciCarlo,XVI.FeuerbachLudwig,115.Fichte Johann Gottlieb,

IX.Flora Francesco, 55n.,

69n.,132,133.Fontenelle Bernard Le

Bovierde,117.FoscoloUgo,72,83,93.FubiniMario,116.GalileiGalileo,96.GentileGiovanni,43n.GhidettiEnrico,132.GiobertiVincenzo,XVI.Giordani Pietro, 67, 114,

119.

IacopssenA.M.,88.Hegel Georg Wilhelm

Friedrich,IX,5,6,137.HobbesThomas,28,41.Kant Immanuel, IX, 97,

122,140.KierkegaardSören,4,72,

115,131.Lamennais Félicité-

Robertde,52.Nietzsche Friedrich

Wilhelm,4,71,115,131.Pacella Giuseppe, 127,

132,133.PariniGiuseppe,66,83.Pascal Blaise, 4, 59, 97,

120,142.PazOctavio,131.PepoliCarlo,94.Platone,4.PopeAlexandre,4.PuskinAleksandr,72.RanieriAntonio,XIV.Rousseau Jean-Jacques,

37, 40-42, 43n., 47, 49, 69,89.

LanducciSergio,ΧΠ.Leibnitz Gottfried

Wilhelm,96,97.Leopardi Monaldo, 91n.,

93.LeopardiPaolina,82.LockeJohn,96.LucanoAnneoMarco,57.LuigiXIV,32,38,52,63.Machiavelli Niccolò, 19,

21,83.ManzoniAlessandro,101.Salvatorelli Luigi, 91n.,

92,101.ScheelHansLudwig,122.SchelerMax,IX.SchopenhauerArthur, 68,

71,75,102,115.SegreCesare,132.Staël Anne-Louise-

Germaine Necker Madamede,31,52,62,97.

StaritaAntonio,117.Stella Antonio Fortunato,

133.Maometto,32.

MetastasioPietro,8.MinkowskiEugène,141.Montaigne Michel

Eyquemde,4,108.MontiVincenzo,8.Moroncini Francesco,

88n.NapoleoneBonaparte,20,

63.Newton Isaac, 96. 118,

139.TacitoCornelio,57.TassoTorquato,113.

TilgherAdriano,70,77.TimpanaroSebastiano,X,

132.TommaseoNiccolò,68.TraseaPeto,57.VareseClaudio,ΧΠ.Vauvenargues Luc de

Clapiers,40.Voltaire, 16, 40, 60, 94,

97,133.