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CONFERENZA DEI MINISTRI GENERALI
DEL PRIMO ORDINE FRANCESCANO E DEL TOR
GIOVANNI DUNS SCOTO: GENIALITÀ E AUDACIA
A tutti i francescani e alle francescane per la chiusura del VII Centenario
della morte del Beato Giovanni Duns Scoto
Carissimi Fratelli e Sorelle,
in occasione della conclusione della celebrazione del VII Centenario della morte del Beato
Giovanni Duns Scoto (1308-2008), dopo le tante iniziative celebrative, culturali e scientifiche, che
si sono succedute in tutto il mondo, anche noi Ministri generali del Primo Ordine e del TOR
abbiamo ritenuto opportuno indirizzarvi questa lettera. Con essa desideriamo unicamente spendere
qualche parola per suscitare in tutti i francescani e i simpatizzanti del francescanesimo il desiderio
di far memoria dell’eminente personalità del Dottor Sottile e Mariano e di approfondire la
conoscenza del suo fecondo pensiero filosofico-teologico. Francescano santo e maestro audace,
originale e creatore di cultura in risposta alle sfide del suo tempo, figlio fedele di san Francesco,
riuscì ad incarnare il Vangelo e ad essere attento alle realtà socio-culturali della sua epoca, alle quali
mai si sottrasse e per le quali offrì un suo contributo a partire dalle proposte filosofico-teologiche di
allora.
Grazie alle indagini e ai seri studi degli ultimi tempi sono stati eliminati i pregiudizi di poca
chiarezza che si avevano sul linguaggio scotista e l’idea di una sottigliezza di pensiero che tende
all’astrazione estrema. Come ha dimostrato il P. E. Longpré1, la sottigliezza scotista è esigenza di
rigore intellettuale, posta al servizio del primato della carità, la virtù sublime nella prassi cristiana
1 Longpré, E., La philosophie du B. Duns Scot (Firmin-Didot, Paris 1924).
e quotidiana. Tutta la forza e la penetrazione speculativa scotista sono al servizio di un’intenzione
pratica: Dio, Gesù Cristo, l’uomo, la Chiesa, la creazione, orientare l’essere umano ed evitare che
devii nell’amore: errare in amando.
Scoto è a favore di una prassi, ma non di un evangelismo impaziente e superficiale, allergico
alla speculazione e alla riflessione profonda e meditativa. «In questo tempo – secondo P. Vignaux –
in cui molti credenti esigono una Chiesa profetica, la subtilitas invita a ricordare una grande
affermazione di Karl Barth, nel primo volume della sua Dogmatica: “il timore nei confronti della
Scolastica è la caratteristica dei falsi profeti. Il vero profeta accetta di sottomettere il suo messaggio
a questa prova come alle altre”»2.
Del ricco e fecondo patrimonio scotista ci limitiamo qui ad indicare alcune vie per cercare di
rispondere ai problemi più urgenti del nostro tempo.
Dio secondo Scoto e l’ateismo contemporaneo
Nell’elaborazione della sua teologia naturale Scoto parte da due principi biblici: «Io sono
colui che sono» (Es. 3,14) e «Dio è amore» (1Gv 4,16), per arrivare a Colui che è «Verità infinita e
bontà infinita»3. L’esistenza e l’essenza di Dio sono chiarite dalla teologia, ma, allo stesso tempo, la
metafisica le considera come il proprio oggetto più elevato. Due saperi si corrispondono: l’ordine
umano del divino (teologia metafisica) e l’ordine divino dell’umano (teologia rivelata), come
afferma all’inizio del Primo Principio: «Tu, sapendo quello che di te la mente umana può
conoscere, rispondesti rivelando il tuo santo nome: Io sono colui che sono»4.
Tra tutti i nomi divini, il più appropriato è quello di Colui che è, poiché esso esprime «un
certo oceano di sostanza infinita»5, «l’oceano di ogni perfezione»6 e «l’amore per essenza»7.
Nell’essere infinito si trovano tre primizie: il primo efficiente, il primo fine di tutto e il più eminente
nella perfezione, che Scoto cerca di evidenziare con le sue profonde e incomparabili prove
dell’esistenza di Dio.
Scoto presenta l’infinitudine come la caratteristica più propria e configuratrice di Dio.
L’infinitudine è un modo di essere di Dio che lo differenzia radicalmente da tutti gli altri esseri. Il
2 Vignaux, P., “Lire Duns Scot aujourd’hui”, in Regnum hominis et regnum Dei (Congr. scot., vol. VI, Roma 1978) 34. 3 Ordinatio I, d. 3, n. 59 (ed. Vat. III, 41). 4 Tratado acerca del primer principio (BAC, Madrid 1960), 595. 5 Ordinatio I, d. 8, n. 198 (IV, 264). 6 Ordinatio I, d. 2, n.57-59 (II, 149-167). 7 Ordinatio I, d. 17, n. 171 (V, 220-221).
Dottor Sottile accentua oltremodo l’infinitudine di Dio. È il concetto più semplice di qualsiasi
attributo divino e il più perfetto, perché l’essere infinito include virtualmente l’amore infinito, la
verità infinita e tutte le altre perfezioni che sono compatibili con l’infinitudine. Benché ogni
perfezione di Dio sia infinita, senza dubbio, «ha la sua perfezione formale nell’infinitudine
dell’essenza come nella sua radice e nel suo fondamento»8.
L’esaltazione dell’infinito si collega necessariamente all’esaltazione dell’uomo su tutte le
creature finite, che costituisce una delle espressioni più caratteristiche dell’umanesimo cristiano. La
riflessione scotista mette in risalto la spiritualità dell’infinito e implica la critica del panteismo e del
materialismo, in qualsiasi delle sue espressioni manifeste o confuse.
Scoto propone la necessità intellettuale di approfondire il concetto di esperienza. Non, però,
in un’esperienza qualsiasi (sensibile, scientifica, intellettuale), ma nell’esperienza del necessario,
perché solo questo tipo di esperienza ci porta all’esperienza della possibilità dell’essere assoluto.
Il Dio di Scoto, manifestato nell’esercizio intellettuale dell’idea della possibilità degli esseri,
personalizza in ogni uomo l’idea di Dio. Dio è per ogni uomo ciò che lo stesso uomo gli permette di
essere e secondo le proprie esigenze di ricerca e di incontro. Scoto conosce e riconosce
l’occultamento e il silenzio di Dio nell’uomo, non però perché Dio si ritira, ma perché l’uomo
stesso si sottrae alle esigenze dell’assoluto e agli imperativi di approfondimento nel proprio
intelletto. La comprensione di Dio dipende dalla volontà che muove o meno l’intelletto, perché
indaghi in se stesso e nella realtà della vita.
Dio non è più in là, ma più in qua, come fondamento di tutto il reale in quanto possibile. Dio
si fa incomprensibile quando si abdica all’intelletto. L’ateismo non è effetto dell’acume
dell’intelletto, né il risultato della profonda penetrazione intellettuale nel mondo, ma proprio il
contrario: è una non riflessione, una disattenzione intellettuale verso la realtà. Scoto invita al
pensare radicale, presentando Dio non come realtà-oggetto di conoscenza, ma come realtà-
fondamento dell’esistenza. Dio è la soluzione della problematicità dell’esistenza umana e mondana.
L’occultamento o il silenzio di Dio, responsabile o irresponsabile, cosciente o incosciente, è
una conseguenza del fatto che non osiamo pensare a Dio e che esiste questa mancanza di
fondamento intellettuale a vedere Dio come problema. Al termine della storia della metafisica
sembra che Dio sia arrivato ad essere impensabile. Paolo VI, nella sua Lettera apostolica Alma
parens (14-7-1966), dice che «dal tesoro intellettuale di Giovanni Duns Scoto si potranno ricavare
lucide armi per combattere e allontanare la nube nera dell'ateismo che offusca l’età nostra».
8 Opus oxoniense IV, d. 13, q. 1, n.32 (ed. Vivès XVII, 689).
Il cristocentrismo come visione mistica dell’universo
Il beato Giovanni Duns Scoto faceva teologia per esigenze spirituali e scientifiche, non per
semplice prurito o curiosità intellettuale. Fedele discepolo di Francesco d’Assisi, si concentrò in
modo particolare sul Gesù storico, sulla sua nascita, vita, passione, morte e risurrezione, che egli
assume nella sua vita di fede e nel suo impegno religioso. Da questa esperienza vissuta egli fa
teologia e cerca di offrire una visione di Cristo all’interno del piano salvifico di Dio. La vita reale e
storica di Gesù di Nazareth era la sua meditazione esistenziale che metteva in moto il suo pensiero
verso la grande visione del cristocentrismo come postulato teologico per una comprensione
armonica e sinfonica del mondo, della vita e della storia.
Il Dottor Sottile, molto attento alla realtà e alla storia, mette in rilievo l’umanità e radicale
creaturalità di Gesù Cristo, il suo essere uomo, i suoi limiti umani, la sua realtà storica, i suoi
progressi e la gradualità nel conoscere. «Si dice che, in questo modo, Cristo, attraverso l’esperienza,
apprese molte cose, cioè, per conoscenza intuitiva, ossia degli oggetti conosciuti in quanto alla sua
esperienza e per i ricordi da essi lasciati»9. Se il mistero trinitario rappresenta la suprema unità nella
vita intradivina, nel mondo extradivino la massima unità è costituita dall’unione ipostatica delle due
nature intrecciate in Cristo e qualificata dal maestro come «la più grande unione dopo quella della
santissima Trinità»10.
Se Dio è amore infinito, chiede di essere amato liberamente da un altro che possa
corrispondere a queste esigenze di infinito. Per questo ha previsto chi possa farlo, cioè, Cristo, il
Verbo, che assume la natura umana e, in essa, tutti gli uomini perché possano partecipare della sua
gloria in cielo. E poiché questo uomo speciale riassume in sé tutta la creazione, essa termina in Dio
attraverso Cristo11. Facendo di Cristo la ragione di tutto il creato, Scoto si allinea perfettamente
nella prospettiva di san Paolo (cfr. Col 1,15-17).
Il Dottor Sottile sottolinea che Cristo è il centro primordiale e di interesse della
manifestazione della gloria divina ad extra. Il cristocentrismo scotista sostiene e difende che Cristo
è l’archetipo e il paradigma di tutta la creazione. Egli è l’opera suprema della creazione, in cui Dio
può specchiarsi adeguatamente e ricevere quella glorificazione e l’onore che merita. Cristo è la
cima della piramide cosmica come sintesi conclusiva e perfezionatrice di tutto il creato.
Il cristocentrismo scotista offre una visione mistica dell’universo. Il mondo si presenta come
un diafano sacramento della divinità, un grande altare in cui si celebra la liturgia dell’Eucaristia, 9 Ordinatio III, d.14, q.3, n. 121 (IX, 472). 10 Ordinatio III, d.6, q.1, n.45 (IX, 247). 11 Reportata parisiensia III, d.7, q.4, n.4 (ed. Vivès XXIII, 303).
perché in entrambe c’è la grande presenza di Cristo. Questa comunione e collegamento tra la
liturgia cosmica e l’Eucaristia la visse Francesco d’Assisi in perfetta armonia, trasformata in canto.
Ma il suo figlio scozzese riuscì a trascrivere questo mistero cristico in una meravigliosa pagina di
teologia mistica. Il cosmo intero è una grande immagine della divinità, perché tutto in esso è
presenzialità del suo autore e linguaggio evocatore. Tutto l’universo glorifica Dio perché tende
verso di Lui, causa efficiente e certamente finale, ma, soprattutto, perché è dotato di un impulso
intrinseco che lo mette in cammino verso una meta convergente, il Cristo omega.
La persona umana come interiorizzazione e alterità
La classica definizione di Boezio sulla persona umana, «sostanza individuale di natura
razionale», non soddisfa Scoto che le preferisce quella di Riccardo di San Vittore, il quale presenta
la persona come «esistenza incomunicabile di natura intellettuale»12. Per il Dottor Sottile la persona
si caratterizza come ultima solitudo. «La personalità esige l’ultima solitudo, essere libera da
qualsiasi dipendenza reale o derivata dell’essere rispetto all’altra persona»13. Una certa
incomunicabilità è legata all’esistenza umana. L’indipendenza personale è «il più»14 che può
raggiungere per sé nel suo stato esistenziale e nel suo stato itinerante. In questo modo la solitudine è
il profondo incontro con se stessi. La solitudine non è vuoto, ma pienezza.
Nella profondità più intima la persona sperimenta e vive il mistero di ogni uomo, di tutti gli
uomini e, con essi, comunica. Per questo si può affermare che chi è veramente solitario è solidale,
che la solitudine è solidarietà. L’io, nella sua profonda solitudine, è sempre solidarietà con un tu, un
noi. Per questo Scoto non si accontenta di sottolineare la categoria apparentemente negativa, cioè
l’incomunicabilità, ma accentua l’altro aspetto, chiaramente positivo, consistente in un dinamismo
di trascendenza in una relazione vincolante, poiché «l’essenza e la relazione costituiscono la
persona»15. La persona, allora, è strutturalmente relazionale e creatrice di legami, poiché è
costitutivamente riferita e aperta a Dio, agli uomini e al mondo.
L’uomo scotista non si chiude in un solipsismo metafisico, tentazione permanente delle
filosofie idealiste, ma appare chiaramente come apertura e relazione, come essere indigente e
creatore di legami. L’uomo scotista porta in sé un grande impulso e dinamismo, che si esprime
12 Ordinatio I, d.23,n.15 (V, 355-356). 13 Opus oxoniense III, d.1, q.1, n. 17 (ed. Vivè XIV, 45); Reportata parisiensia III, d.1, q.1, n.4 (ed. Vivès XXIII, 236). 14 Opus oxoniense III, d.1, q. 1, n.5 (ed. Vivès XIV, 16-17). 15 Quodlibet, q. 3, n.4 (ed. Vivès XXV, 120).
come inappagato desiderio o come ragione desiderativa e, per questo, in atteggiamento sempre
aperto.
La persona ha bisogno di scoprire la propria soggettività e di approfondirla. Non può, però,
chiudersi nella soggettività, ma deve aprirsi all’alterità. Pertinenza e referenza sono due categorie
esistenziali che presuppongono l’ultima solitudo e la relazione trascendentale. Scoto, con intuizione
geniale, anticipò la filosofia dialogica che tanta importanza riveste oggi nelle antropologie
contemporanee.
Il sapere per vivere bene
Il pensiero scotista è molto lontano dall’essere un insieme artificioso di ardite sottigliezze,
come lo hanno accusato gli avversari, anzi è eminentemente pratico, in quanto cerca di conoscere e
chiarire il fine ultimo dell’uomo e di commisurargli gli strumenti adatti per conseguirlo. Tutta la sua
speculazione filosofico-teologica sfocia in un atteggiamento esistenziale e in un ordine pratico:
un’etica dell’azione. Si tratta di una morale dell’incontro e dell’esistenza comunicativa.
Scoto parte dal principio teologico che l’amore divino ha trasceso l’infinito per vincolarsi al
finito. Come contropartita solo l’amore umano della volontà libera potrà trascendere il finito per
legarsi all’infinito. Si tratta, in definitiva, di un’etica dell’amore. Il Dottor Sottile ha pensato
profondamente perché ha amato in profondità, ma di un amore concreto, come dice lui stesso: «Si è
provato che l’amore è veramente prassi»16. Da questa prassi si capisce e si spiega come l’uomo
debba agire e vivere nel suo essere e stare nel mondo e nella società.
È pratico ogni atto che proviene dal desiderare della volontà, ma a condizione di
conformarsi alla retta ragione. Questo implica chiaramente la conformità della volontà ad una legge,
dandosi così un’identità tra il pratico e il normativo17. La volontà è una potenza indeterminata che si
autodetermina da se stessa. Senza dubbio la libertà non è arbitraria né irrazionale. Di fatto la volontà
è il vertice dell’intelletto razionale. La libertà si realizza nell’autodeterminazione della volontà
naturale e razionalmente orientata al bene. L’azione buona è quella che corrisponde ad un atto della
volontà conforme alla retta ragione.
16 Ordinatio, Prol. n.303 (I, 200). 17 Cf. Ordinatio, Prol. n. 353 (I, 228).
La volontà scotista è capace di determinarsi al di sopra di qualsiasi interesse e di valorizzarsi
in un’etica del disinteresse. Scoto offre una filosofia della libertà all’interno di una teologia che
ammette la possibilità naturale di amare Dio per se stesso e al di fuori di qualsiasi interesse egoista.
Il Dottor Sottile ci offre la splendida articolazione di un umanesimo cristiano, in cui il sapere
è al servizio del ben vivere e del buon convivere, cioè di una società giusta, pacifica e fraterna.
Conclusione
Giovanni Duns Scoto, figlio fedele e coerente seguace di san Francesco, offre profondi,
illuminanti e vitali presupposti dottrinali per un’autentica e robusta spiritualità francescana, come è
evidente nel suo bello e al tempo stesso utile trattato sulle virtù teologali, che egli seppe incarnare
nella vita quotidiana con semplicità e grande umanità.
Il Dottore Sottile e Mariano entra, così, a far pienamente parte della ricca corrente della
spiritualità francescana, all’interno della quale egli vive, si ispira e concepisce il suo pensiero
filosofico-teologico. Come il fondatore della Famiglia Francescana, il beato Giovanni Duns Scoto è
riuscito a sincronizzare armonicamente vita e pensiero, mistica e lavoro, contemplazione e azione,
persona e comunità, essere e fare.
Scoto arrivò, con grande umiltà e audacia, a mettere la sottigliezza del suo pensiero al
servizio della causa di Dio, dell’uomo e della vita. La sua grandiosa visione della storia della
salvezza, con il suo dinamismo di perfezione e di consumazione nel Cristo omega, può essere il
fondamento filosofico-teologico per elaborare una mistica cosmica, un’ecologia planetaria e una
teologia del futuro.
Le sue ampie prospettive antropologiche e cristologiche offrono all’uomo di oggi nuovi
orizzonti di pensiero e di azione, criteri validi per orientarsi verso un futuro di speranza e
comportamenti fraterni per un umanesimo integrale dal volto umano e civilizzato.
Filosofo e teologo, audace e impegnato, che pensa, ragiona e agisce a partire dal concreto
contesto della sua epoca; ma, trascendendo dal suo contesto culturale, è ancora attuale per affrontare
con lucidità e senza complessi la permanente problematica umana.
Il pensiero scotista è espresso in chiave di speranza. Guarda al passato per apprendere,
analizza il presente per agire, ma spera in un futuro per chiarire. Con un’espressione lapidaria e
feconda dice che «nello sviluppo della storia umana cresce sempre la conoscenza della verità»18. È
tutto un postulato per l’interpretazione di una filosofia della cultura come realtà in divenire.
Se san Bonaventura è stato definito come «il secondo principe della Scolastica», Duns Scoto
è considerato come il suo perfezionatore e il rappresentante più qualificato della scuola
francescana19. Speriamo che questo VII Centenario della morte del Dottor Sottile e Mariano
costituisca un forte impulso per i centri francescani di studio, perché il suo messaggio sia ancora
valido per il futuro. Se Giovanni Paolo II, nel suo discorso alla cattedrale di Colonia (1980), lo
definì «torre spirituale della fede», questo deve costituire per i francescani un invito a scoprire in
Scoto un pensiero fecondo per il dialogo con la cultura del nostro tempo.
Roma, 8 novembre 2008 Festa del Beato Giovanni Duns Scoto ________________________ ________________________ Fr. José Rodríguez Carballo, OFM Fr. Marco Tasca, OFMConv Ministro generale Ministro generale Presidente di turno ________________________ ________________________ Fr. Mauro Jöhri, OFMCap Fr. Michael Higgins, TOR Ministro generale Ministro generale
18 Ordinatio IV, d. 1, q.3, n.8 (ed. Vivès XVI, 136). 19 Cf. Paolo VI in Alma parens; cf. Balic, K. “San Bonaventura alter scholasticorum princeps e G. Duns Scoto eius perfector”, in San Bonaventura maestro di vita francescana e di sapienza cristiana. Atti del Congresso Internazionale per il VII centenario di S. Bonaventura da Bagnoregio, Roma, 19-26 set. 1974 (Pontificia facoltà S. Bonaventura, Roma 1976, I, 429-446).