Direttore d’orchestra «Per una donna imporsi è dura … · bella vista su Città alta, ......

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44 L’ECO DI BERGAMOSABATO 1 NOVEMBRE 2014

«Per una donnaimporsi è duraMa ho piegatoanche i russi»Sta scrivendo una nuova opera lirica, dedicata a un grande personaggio storico bergamasco«Una meditazione sulla caducità del potere»

Damiana Natali sul podio mentre dirige

Èuno dei pochissimi di­rettori d’orchestradonna al mondo. È natatra i laghi piemontesima da 11 anni vive a

Bergamo dove dirige, con dol­cezza e fermezza, l’orchestra ArsArmonica, che ha fondato seianni fa. Sogna di vivere in unacasa costruita sugli alberi, mo­mentaneamente però abita inBorgo Palazzo, in un palazzo conbella vista su Città alta, tra paretiimbottite, per non disturbare ivicini di casa quando si abban­dona alla tastiera del pianoforte,strumento che ha iniziato a stu­diare a cinque anni. Quello acoda che tiene in salotto lo chia­ma «Friedrich», come se fosseuna persona di famiglia.

Lei proviene da un lignaggio di mu­

sicisti?

«No, papà lavorava in banca,mamma era un’impiegata am­ministrativa: era molto difficileper loro immaginare per la lorofiglia un futuro musicale. Cosìoltre al conservatorio ho fre­quentato anche il liceo classi­co».

Dove è cresciuta?

«In un piccolo paese vicino aBorgomanero, che nemmenoappariva sulla cartina. Da ragaz­za per me gli spostamenti eranodifficili, per comprare un cd ouno spartito dovevo prendere ilpullman e scendere a Milano…Ma è un luogo silenzioso, doveho potuto studiare, ascoltare lanatura, lavorare sull’interiorità.Un ambiente ideale per concen­trarsi».

Una ragazza che studia musica clas­

sica è diversa dalle altre?

«Sì. Io non amavo andare neipub o nelle discoteche come imiei compagni di liceo, e nonavevo i loro gusti. Mi ha fattopiacere quando li ho ritrovatidopo anni a un mio concerto,contenti di esserci e… In giaccae cravatta, comprati apposita­mente per l’occasione».

Studiava molto?

«Tantissimo e sempre. In paesemi sentivano suonare dalla mat­tina alla sera: mi chiamavano “laBeethova”. Ho iniziato a tenereconcerti di pianoforte giovanis­sima, ma già allora volevo diri­gere: suonavo in un’orchestra diragazzi e sognavo di essere alposto del maestro».

Cosa l’ha spinta verso la musica?

«L’emozione che provavo ascol­tando i capolavori sinfonici, fin

da bambina: indescrivibile. Stu­diavo anche danza ed ero affa­scinata dai balletti, da Ciaiko­vskij e i grandi autori russi, cheancora oggi mi sono rimasti nelcuore: li trovo molto vicini al­l’opera italiana, per la ricchezzadi temi, il lirismo, la forza checomunicano. La musica è ilgrande amore della mia vita».

Cos’ha di particolare, tra le arti?

«A differenza della pittura e del­la scultura, non permane, vivenel tempo in cui la esegui. L’emozione che devi creare de­v’essere talmente forte da poteressere ricordata anche quandosarà sparita dai sensi. La musicanon ha consistenza fisica: quan­do si smette di suonare, o di farsuonare ­ come capita a un diret­tore d’orchestra ­ si soffre per­ché non si ha più niente da guar­dare, da custodire…».

Da chi ha imparato a dirigere?

«Mentre frequentavo il Conser­vatorio di Torino mi mandaronoin Rai ad ascoltare le prove del­l’orchestra. Eravamo ammessiin pochi. Ho iniziato così, osser­vando i grandi direttori. Poi hofrequentato corsi di perfeziona­mento, ma quella è stata unascuola notevole».

Quale direttore l’ha affascinata?

«Wolfgang Sawallisch per l’ele­ganza e la precisione. RiccardoMuti per la personalità e la capa­cità di scavare nella musica. An­thony Pappano per l’immedia­tezza e profondità dell’interpre­tazione, e per la sua umanità.

Simon Rattle con un sopracci­glio muove il mondo. Poi quelliche non ho potuto incontrare dipersona: Kleiber, von Karajan,Gavazzeni, Walter, Giulini...».

Cosa prova quando dirige?

«In quel momento hai per lemani un tesoro, un potenzialeumano, oltre che sonoro: è comesuonare un grande strumentocollettivo. Quando suoni il pia­noforte sei abituato a vedere so­lo metà della Luna; quando sottola tua bacchetta suona l’orche­stra, inizi a vedere l’altra metà:è come se il mondo si girasse eti accorgessi che per anni haipercepito solo una parte dellospazio sonoro. La direzione perme è stata illuminante».

Come si fa a indirizzare un gruppo

di artisti? Lei da dove comincia?

«Ascolto anzitutto come suona­no, cerco di capire cosa ciascunopuò dare. Poi comincio a “sgros­sare” l’esecuzione. Ma la cosafondamentale è l’interpretazio­ne, quello che c’è dietro e dentroalle note scritte».

Per capire in che direzione andare,

ascolta quello che fanno i suoi or­

chestrali o segue una sua idea?

«Ascolto spesso, soprattutto sulpiano tecnico. Però in un’orche­stra ci vuole anche qualcuno checonduca, che trasformi quellamassa sonora in un’emozioneunica e irripetibile: questo è ilmio ruolo. Altrimenti si disper­dono le energie. Ciascun musici­sta è la tessera di un puzzle: iosenza di loro non sono musica,ma anche loro senza tutti gli altrinon sarebbero la stessa musica».

Come fa a tirar fuori con quella bac­

chetta un certo strumento?

«Oh, basta uno sguardo, sa? Avolte nemmeno: un cenno, an­che a occhi chiusi. Basta poco micreda, pochissimo. La mimicafacciale nella direzione d’orche­stra è fondamentale».

È un mestiere difficile?

«Ci vuole molta concentrazionee determinazione, e grande pre­parazione. A volte mi trovo adirigere professionisti che han­no una certa età e grande espe­rienza, hanno lavorato con di­rettori famosi e devo convincerlia suonare come sento sia giustoin quel momento. All’inizio èdura. Poi provano e apprezza­no».

Qual è stato il momento più duro

della sua carriera?

«Con un’orchestra di russi in

tournée in Italia: tutti uomini,a parte un paio di signore. Era laprima volta che venivano direttida una donna e nessuno miprendeva sul serio. Eseguivamola Quinta di Ciaikovskij, io lasentivo con dei tempi più dilata­ti, italiani, diversi dai loro. Hodovuto fermarmi e dire: “Sietevoi che dovete seguire me, nonio voi!”. Il corno non mi volevaassolutamente venir dietro. Allafine però mi ha ringraziato: “Tupiccola ma forte” ­ mi disse».

È una carriera quasi temeraria per

una donna.

«Sì, davvero. Sul podio si è abi­tuati a vedere un uomo. A voltemi hanno scambiata per l’assi­stente, per la segretaria del di­rettore. Prima me la prendevo,ora sorrido e penso alla frase diEinstein: “È più difficile spezza­re un pregiudizio che un atomo”.Nonostante tutto, però, il miolavoro è straordinario e non locambierei con nessun altro. Èimportante avere polso. E sa co­s’ha in più un direttore donna?Il sorriso».

Già, quella è un’arma che piega i

metalli... Lei è severa però.

«Esigo serietà, silenzio, concen­trazione, rispetto. Amo far capi­re e condividere quello che im­magino: se sono sul podio nonè per sentirmi più grande deglialtri, ma per fare grande musicainsieme agli altri».

Fa ancora concerti di pianoforte?

«Sì, anche in Germania: l’ultimavolta ho suonato alcune miecomposizioni e una Fantasia d’opera con temi di Verdi, Doni­zetti, Puccini, ed è stato un suc­cesso».

E compone.

«Sto lavorando a un Concertoper pianoforte e orchestra e aun’opera lirica per Bergamo cheho nel cuore di scrivere. Saràdedicata a un grande personag­gio della storia di questo territo­rio: una meditazione sulla cadu­cità del potere che, il più dellevolte, non basta per essere feli­ci».

Frequenta solo musicisti o anche

gente diversa?

«Ho amici che fanno tutt’altro,ma non amo la vita mondana. Mipiace avere tempo per compor­re, suonare, passeggiare nellanatura. Viaggio sempre, insegnoad Alessandria, seguo a Roma ilmaestro Anthony Pappano co­me assistente, sono direttoreartistico di due festival...».

Fa qualcosa per tenersi in forma?

«Non quanto dovrei. Mi piacenuotare, andare in bici, in vela;non la palestra. Amo tutti i fiori,passo le mie giornate di vacanzaai giardini botanici; adoro le casecostruite sugli alberi».

Bergamo le piace?

«È una città in cui si respira epercepisce arte ovunque, io mene sono innamorata la primavolta che l’ho vista, e la vivo sem­pre con occhi entusiasti».

Cosa manca in questa città?

«Il verde. È troppo costruita,mancano parchi, spesso nellezone centrali non ci sono alberi.Se fossi un amministratore iopunterei su piste ciclabili, quali­tà dell’aria, sull’arte e su manife­stazioni di livello». n Carlo Dignola

©RIPRODUZIONE RISERVATA

«Da ragazza in paese mi chiamavano

“la Beethova”: ero diversa dagli altri»

«A Bergamo si respira arte ovunque.

Mancano però parchi e piste ciclabili»

Damiana Natali Direttore d’orchestraL’intervista

Il curriculum

Ha fondatol’OrchestraArs Armonica

Damiana Natali si è diplomata in pia­

noforte al Conservatorio «G. Verdi»

di Torino, in composizione tradiziona­

le all’Istituto Donizetti di Bergamo, e

in direzione d’orchestra all’Accade­

mia Superiore di Musica di Pescara,

con Donato Renzetti. Ha seguito corsi

di perfezionamento all’Accademia

Chigiana di Siena con Maurizio Pollini,

a Fiesole con Carlo Savina, a Parigi con

Gerald Grisey. Ha ottenuto il Premio

di Composizione dell’International

Federation of Business and Professio­

nal Women nel 2000, il «Venere d’ar­

gento» per la musica nel 2010 a Erice.

Ha diretto orchestre come la Stabile

di Bergamo, la Filarmonica Italiana e

quelle di Milano e di Genova, l’Orche­

stra d’archi di Mario Brunello, la Gio­

vanile del Piemonte, l’Orchestra sin­

fonica del Mediterraneo, la «Monte­

verdi», quella del Conservatorio San­

ta Cecilia di Roma, la Gdm di Franco­

forte, la Balkan Festival Orchestra. Nel

2008 ha fondato l’Orchestra Ars Ar­

monica, composta da professionisti.

Insegna musica da 27 anni: oggi pres­

so il Conservatorio di Alessandria.

Ha scritto composizioni pianistiche,

sinfoniche, da camera e vocali. Nel

2001 il suo «Soffio di luce», dedicato

a Giovanni Paolo II, è stato trasmesso

in mondovisione. Nel 2004 l’opera «ll

re mendicante» è stata rappresentata

al Teatro Donizetti; nel 2008 «Princi­

pessa della Luna» ha ottenuto una

menzione di merito al Concorso del­

l’Associazione Lirica Italiana.