Post on 01-Mar-2021
L’ECO DI BERGAMO 41GIOVEDÌ 6 AGOSTO 2020
dei fatti. Diceva : «Bisogna sosta-re sui fatti, e per poterlo fare bi-sogna saper sostare su se stessi. Si è perso il contatto con noi stessi e questo dipende molto dalla velocità della comunica-zione, che non ci mette più in condizione di indugiare su nul-la». La capacità di parola dipen-deva, secondo lui, dalla capacità di ascolto e osservazione. Ha raccontato e partecipato alla ri-flessione sulla Grande storia, che per lui passava sempre dallapiccola storia. «Io che ho il privi-legio di parlare – diceva- voglio farlo per chi non ha la parola.È stato un intellettuale dove è dif-ficile esserlo: in televisione e, so-prattutto in politica. Ma lui ci è riuscito».Vincenzo Guercio
Zavoli, addio al cantore dell’ItaliaLa scomparsa. È morto ieri a 96 anni un «principe» dei giornalisti radio-tv e senatore. Il debutto in Rai con il GiroPoi una lunga lista di trasmissioni, da Tv7 a La notte della Repubblica. Una carriera di premi, fra i quali il Bancarella
magini, montava con meticolosapazienza sapendo costruire le emozioni della «diretta» anche quando il servizio era frutto di cesellate rifiniture in moviola. Era giornalista nella innata curio-sità delle fonti, nella verifica ma-niacale dei dettagli, nella guida diuna squadra di colleghi che spin-geva a superarsi. Per lui l’incipitdi una riunione di redazione erasempre quell’«alziamo l’asticella»che spesso è stato un autentico incubo per colleghi e collaborato-ri. Ma se l’uso della telecamera aveva per lui un piacere quasi daregista (tra i migliori amici ebbeCesare Zavattini e Federico Felli-ni), altrettanto appassionata erala ricerca sulla lingua, un italianosempre ricercato nella proprietàdell’espressione. Tutte virtù chel’hanno portato a scrivere, dalloscandaloso «Socialista di Dio» con cui vinse il Premio Bancarellanel 1981 fino all’autobiografico «ilragazzo che io fui» del 2011.
Era un «dominatore» la cuicertezza si appoggiava sulla con-sapevolezza del mestiere e sul pia-cere di mettersi ogni volta in di-scussione e in gioco anche nel contrasto tra ricerca della fede econvinzioni profondamente lai-che. Fin dal dopoguerra scelse l’impegno politico nella sinistra,avvicinandosi progressivamenteal Partito Socialista (scelta spessonon facile nella Rai democristianadi Ettore Bernabei) e poi ai Demo-cratici con cui entrerà in Senatonel 2001. In precedenza, per seianni dal 1980 era stato Presidentedella Rai formando un singolarequanto perfetto sodalizio col di-rettore generale Biagio Agnes.
La sua carriera è fitta di ricono-scimenti, dalla laurea honoris causa a Roma alla presidenza del-la scuola di giornalismo a Salerno,dalla guida della tv di San Marinoal cavalierato della Repubblica italiana.
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ROMA
GIORGIO GOSETTI
Era un «omone» SergioZavoli - morto ieri a 96 anni - capace di riempire il teleschermo(o la scena) con un carisma ap-poggiato alla sua fisicità: le manigrandi e forti che sapevano acca-rezzare un bambino o incutere timore ad altri uomini fatti, la cri-niera fattasi bianca e tagliata cor-ta della capigliatura da leone, la voce baritonale che trasmettevaemozioni con una semplice varia-zione d’accento.
Era un uomo diritto Zavoli, ca-pace di esercitare la dialettica del-l’accordo, sempre fiero dei suoi principi a cui non de-rogava anche nelle si-tuazioni più spinosetra politica, cronaca emestiere. Era un cro-nista che mai ha sa-puto rinunciare al vezzo di sentirsi taleanche quando era or-mai diventato il prin-cipe dei giornalisti ra-dio-televisivi e poi presidente della «sua» Rai e poi uomopolitico per 17 anni senatore dellaRepubblica.
Ma Zavoli è stato, prima di tut-to, un appassionato cantore del-l’Italia che cambiava, in curiosa sintonia con la poetica di CesareZavattini, usando quel mezzo (laradio con cui debuttò e poi la tv che seppe trasformare a sua im-magine e somiglianza) di cui ave-va intuito la potenza fin da giova-nissimo e che per tutta la vita haconsiderato «cosa pubblica» e quindi dovere etico e civile di one-stà del racconto e della testimo-nianza. Nato a Ravenna il 21 set-tembre 1923, cresciuto a Riminidebuttando a 20 anni come gior-nalista sul periodico degli univer-sitari mentre il regime fascista traballava, Zavoli entrò in Rai nel1947 facendosi notare per la pas-
sione per lo sport che nel 1958 glioffrì la prima chance da protago-nista: l’ideazione di una rubrica quotidiana, il «processo alla tap-pa» che completava le radiocro-nache del Giro. Il modello ideatoper la radio divenne fotografia dell’Italia attraversata dai ciclisticon la tv nel 1962 e fin dalla primapuntata il programma ebbe stra-ordinario seguito perché si facevaforza delle piccole storie che fiori-scono all’ombra delle imprese deicampioni.
È lunga la lista delle trasmis-sioni che hanno fatto di Sergio Zavoli un modello di giornalismomoderno, autentico anchorman
in anticipo sui tempi:«Tv7», «A Z», «Na-scita di una dittatu-ra», «La notte dellaRepubblica» (suglianni di piombo),«Viaggio intorno al-l’uomo», «Viaggio nelSud», «Nostra Pa-drona Televisione»,senza citare la dire-zione del Tg e delGiornale Radio e idue Prix Italia vinti
con le inchieste «Notturno a Cnosso» del ’54 e il celebrato «Clausura» del ’57 . Ma rispettoa molti suoi colleghi, Zavoli avevaun’idea precisa della forza che leimmagini potevano imprimere alracconto . Se intervistava un poli-tico o un terrorista, voleva che latelecamera si avvicinasse al sog-getto per frugare nei suoi linea-menti, per carpirne le reazioni. Seseguiva un avvenimento voleva che tutta la tecnica venisse impie-gata per rendere il movimento, lafisicità, il punto di vista. Per que-sto, già ai tempi del «Processo allatappa», fece ideare tecnologie ar-tigianali che hanno fatto storia: dall’uso del radiotelefono al du-plex, dalla cinepresa montata a bordo dell’auto fino al microfonovolante. Sergio scriveva con le im-
Zavoli premiato da Nicola Baroni a San Pellegrino
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Padre di inchieste memorabili,
di Sergio Zavoli si ricordano
soprattutto le sue grandi intervi-
ste, fra queste quella concessa a
mons. Loris Capovilla a pochi
anni dalla morte di Papa Roncal-
li. C’è chi ancora oggi dice che
quell’intervista ha segnato
contemporaneamente la storia
del giornalismo e della Chiesa.
Anche Bergamo lo ricorda con
affetto per averlo ospitato in
svariate occasioni. Alla fine degli
Anni Novanta venne invitato in
città per inaugurare la Fiera del
Libro (24 aprile 1998) e in quella
occasione presentò il libro «Ma
quale giustizia» (Piemme) nel
corso di un dibattito al quale
parteciparono Sergio Borsi,
allora direttore de «L’Eco»,
Marzio Tremaglia, assessore
regionale alla cultura e Adriano
Galizzi, magistrato.
Il 22 marzo 2001 prese parte al
Festival di Poesia di San Pelle-
grino che per l’occasione orga-
nizzò 5 incontri con autori di
bestseller: Sergio Zavoli (con
«Se Dio c’è», Mondadori), Sveva
Casati Modignani, Enzo Biagi,
Ernesto Ferrero e Giuseppe
Pontiggia. Nel 2005 ricevette
dallo stesso Festival il Premio
alla carriera e nella circostanza
presentò la sua raccolta di poe-
sie «L’orlo delle cose» (Monda-
dori). Del maggio 2003 anni è la
partecipazione a Bergamo al 7°
Congresso regionale della Socie-
tà italiana di Medicina generale,
con il libro «Il dolore inutile»
(Garzanti). Fra i primissimi
editori che diedero alle stampe i
suoi libri, anche la casa editrice
bergamasca Minerva Italica che
pubblicò a cavallo degli Anni
Settanta e Ottanta «I giorni
tascabili», «Itaglia mia», «Sui
banchi della vita». E.R.
Sergio Zavoli in una foto del 2007 ©RICCARDO GALLINI_GRPHOTO
Il giornalista a casa nostra
Al Festival di San Pellegrinoe alla Fiera di Bergamo
Ceruti: «Un intellettuale, fedele alla lingua italiana»Impossibile dimenti-
care la sua voce, inconfondibile, calda. Coniugata, di più, ad un uso impeccabile, preciso, pro-fondo, della lingua italiana. «Con Sergio Zavoli ho avuto un rapporto intellettuale, politico, di amicizia», ricorda Mauro Ce-ruti, a proposito del grande gior-nalista, con cui ha condiviso il ruolo di senatore, per il Pd, «dal 2008 al 2013». «Ci eravamo in-contrati in occasione di dibattitie tavole rotonde a partire dalla fine degli anni Ottanta, entram-bi interessati ai cambiamenti in-dotti dalla fine della guerra fred-da». Poi, al Senato, «eravamo
quasi compagni di banco. In lui ho ritrovato lo stesso maestro della lingua italiana che avevo conosciuto nella sua professio-ne di giornalista tv, scrittore, po-eta. Erano anni in cui si faceva palese il degrado della qualità del dibattito politico, anche nel-le sedi istituzionali. Ricordo che,in uno dei nostri primi incontri, mi disse: «La lingua è libertà. La qualità di politica e democrazia si misurano anche attraverso la qualità della lingua, tanto nelle sedi istituzionali quanto in am-bito popolare. Oggi viviamo una discesa della parabola sia politi-ca che linguistica. Mai come oggi
tanta scolarizzazione, mai comeoggi tanta involuzione della lin-gua italiana, nelle istituzioni po-litiche come nella comunicazio-ne giornalistica e televisiva. Più si comunica meno si comunica»,diceva. Dava un’importanza quasi sacrale alle parole. Gli ve-niva naturale selezionare espressioni precise, ben deter-minate, non lasciava nulla al ca-so, il suo discorso più improvvi-sato sembrava pronto per le stampe. Non alzava mai i toni. Ricordo non il suo disappunto, ma il suo dolore profondo, quan-do, tanto nell’aula del Senato quanto in commissione vigilan- Mauro Ceruti
za Rai, ascoltava discorsi di gret-tezza e povertà linguistica così inadatte al contesto. Il fatto che presiedesse lui la commissione metteva in evidenza la laica sa-cralità del luogo, come, d’altra parte, la brutalità del linguaggio che torrentiziamente stava inondando quelle nobili sale». Commissione vigilanza Rai do-ve entrarono contestualmente, nel 2008, Zavoli come presiden-te e Ceruti come sostituto di Ric-cardo Villari, destituito dalla ca-rica dopo essere passato a Fi puressendo stato eletto nel Pd. «In ogni dibattito tirava fuori il me-glio della sua capacità di lettura