portfolio 02

26
graphic design portfolio renata cagno

Transcript of portfolio 02

Page 1: portfolio 02

graphic designportfolio renata cagno

Page 2: portfolio 02
Page 3: portfolio 02

indice

premessalogotipibrochures_cataloghieventipublishingindie musicpackagingmanifestivideomodaricercacurriculum vitae

07

11

13

16

19

23

27

31

35

39

43

47

Page 4: portfolio 02

e la comunicazione pubblicitaria è significato intraprendere una carriera professionale mai abbandonata. I primi maestri in carne ed ossa sono stati: mia madre architetto e storico dell’architettura medievale e rinascimentale, che mi foraggia-va di carta e strumenti da disegno, mio padre geologo, insegnante, ma anche ottimo model-latore con l’argilla, la direttrice della sezione di Architettura dell’Accademia Reale di Belle Arti di Copenaghen, che nel 1988 mi prese in carico per un anno di scambi culturali Italia-Danimarca e con la quale ricordo lunghi giri nei boschi a raccogliere funghi e a conversare, alcuni docenti dell’Istituto Superiore di Design di Napoli: Almerigo de Angelis, Alfredo Profe-ta, Stefano Parisio-Perrotta, Mariella Barone, Pino Grimaldi e Gelsomino D’Ambrosio, Fabri-zio Lombardi, Ugo Pons-Salabelle, Rossella Baldini, Generoso Picone. Successivamente ho avuto il piacere di lavora-re con Gaetano Gravina ed Enzo Bergamene e d’incontrare Mimmo Jodice, Cesare Accetta, Fabio Donato soprattutto all’interno dalla Fon-dazione IDIS. Verso ognuna di queste persone sento un grande debito di riconoscenza.La comunicazione visiva è l’ambito in cui ho avuto modo di muovermi, ma i contenuti della comunicazione equivalgono al numero d’im-prese, soggetti, oggetti, memorie e sogni da cui ho potuto trarre spunto.Dalle banche grandi e piccole alla moda, dal settore medico a quel-lo nautico, dai prodotti alimentari alla discogra-fia, dall’editoria al settore immobiliare, la lista sarebbe davvero lunga da redigere nella sua interezza, ma ogni cliente ha rappresentato e rappresenta una quantità di stimoli ecceziona-le perché è un mondo di conoscenze che si dischiude alla narrazione.

Talvolta mi viene chiesto cosa faccio e ine-vitabilmente ho idea che la mia faccia si atteggi ad un’espressione tra l’attonito e

l’impaurito e comunichi perfettamente il senso di dubbio che mi assale. Non sò rispondere, e quindi parto con giri di parole, come uno stu-dente impreparato davanti ad un’ostica doman-da di filosofia. Il colmo per una persona che si occupa di comunicazione!Ho sentito la voglia, dopo anni di attività, di met-tere assieme un’antologia d’immagini dei miei lavori, per non fare più quella faccia. In futuro spero di poter semplicemente allungare all’in-terlocutore il mio quaderno con un bel sorriso.Quello che ho fatto nasce semplicemente dal-la passione per il disegno, i pennelli, espressa come per molti in età prescolare, divenuta at-tività quotidiana dai 12 anni in poi. Mia madre scoprì in quel periodo che il mio tempo libero era dedicato ad osservare e copiare i disegni di Leonardo da Vinci. Ovviamente avevo fatto an-che tanti altri disegni a tema libero ma fu lì che mi fu assegnato come premio di poter ricevere un “Corso di Disegno” in fascicoli e successiva-mente un abbonamento alla bellissima rivista di Maurizio Calvesi: “Art e Dossier”. Come accade in tutti i grandi amori, da allora in poi i libri d’arte che scovavo sulle bancarelle o in biblioteca presero ad occupare le mie gior-nate, le visite alle pinacoteche in Italia e, cre-scendo, all’estero divennero le grandi avventu-re per cui risparmiare ogni piccola entrata. A 8 anni nacque anche il rapporto con la fotografia, con una Canon AE1 comprata in seguito agli sforzi congiunti di tutta la famiglia e condivisa come oggetto sacro. Così, dalla prima infan-zia all’adolescenza, una bambina timida trovò il modo di studiare ed esprimere se stessa. A 19 anni venire in contatto con il design grafico

premessa

07

Page 5: portfolio 02
Page 6: portfolio 02

In occasione della permanenza della mia fa-miglia a New York ebbi la fortuna di incon-trare Alan Dye, Art Director della Ogilvy and

Mother. La Ogilvy, per chi non lo sapesse già, è una delle più famose agenzie al mondo, par-tecipata da David Ogilvy, britannico di nascita, newyorkese di adozione, eccezionale venditore e inventore negli anni ’50 del concetto di Brand Image. D.Ogilvy è considerato il padre di una rivoluzione creativa nel settore pubblicitario, autore, tra l’alto, del celebre: “Confessioni di un pubblicitario”. Alan, mi mostrò l’ultima cam-pagna della Levi’s e quella di Motorola a cui lavoravano in quel periodo, in seguito ebbe la generosità di condividere con me alcuni model-li di lavoro interni di grande interesse, mi disse che a suo avviso i lavori di Corporate Identity che avevo curato risultavano notevoli. L’ambito della progettazione di marchi è uno di quelli in cui ho accumulato l’esperienza più solida. Un marchio, o logotipo, viene definito parte fondante dell’identità di un’azienda, esso è progettato nell’ottica di una durevolezza che possa sostenere alcuni decenni di vita. Una forma sintetica è l’elemento basilare per creare marchi che resistano allo scorrere del tempo e il perfetto utilizzo del segno anche in monocro-mia è sempre auspicabile. Ciò nonostante, se pensiamo al marchio Fiat o a quello della Coca Cola, per fare solo due esempi classici, ci viene subito in mente come, mantenendo il più pos-sibile il carattere di un segno, sia anche utile rivederlo per renderlo sempre attuale. La ripetizione gioca un ruolo sostanziale nel rafforzare la credibilità di un marchio. È strano, eppure è proprio così: “crediamo” nelle parole e “crediamo” nei segni. Costruiscono la nostra realtà e, se ripetuti, risultano familiari e di con-seguenza rassicuranti. Un fenomeno esploso negli anni ’80 e mai consumatosi è quello delle griffe. La griffe non è nient’altro che il marchio

LEGACAMPANA

LEGACAMPANA

ANDROCLOGESTIONE C APITALI

TV

M

e quindi chi cerca il “griffato” cerca il marchio e lo esibisce come identificazione con una “fa-miglia” forte, che nobilita chi la indossa appor-tando una serie di attributi immateriali associati al prodotto (ricchezza, stile, atteggiamento vin-cente, ricercatezza, esotismo, etc).L’opera dello studio Minale & Tatterfield di Richmond mi è stata di riferimento negli anni della prima formazione grafica per l’interpreta-zione sintetica e spesso ironica dei loro lavori. Anche se l’esercizio di un calligrafo, così come quello di un grafico, consisterebbe nel piegarsi come un giunco e “farsi canale” del significato, in altri termini, tentare di creare forme pure che rispecchino un contenuto, accade che qualco-sa di sé rimanga appiccicato come un liquido organico al lavoro. C’è spesso una cifra di rico-noscibilità nei marchi a denunciare chi li ha pro-gettati, nel mio caso la presenza di pittogrammi risulta prevalente e forse pure la voglia di sorri-dere. Amo i colori vibranti, il senso del gioco e dell’inatteso.Uno dei termini che ricorre quando si progetta un marchio o un impaginato è la parola GAB-BIA. La gabbia è una sorta di struttura ‘aurea’ del segno, lo assurge ad opera architettonica, gli dona la lettura geometrico matematica che pure hanno le partiture musicali. Esistono gli amanti della gabbia, i disciplinati della grafica, che sostanzialmente fanno riferimento ad un segno filosoficamente e formalmente raziona-lista e questi sono giustamente moto stimati, esistono poi quelli che in animo fanno riferi-mento alle forme della natura, coloro che si identificano nell’architettura organica di Gaudì o di Steiner per cui la forma concede infinite variabili armoniche e questi son nel gergo chia-mati: gestuali. Anche se la lotta è ardua credo di ricadere più tra i gestuali che non tra i razio-nalisti, sarà perché provo semplicemente orro-re davanti alla parola GABBIA.

logotipi

11

Page 7: portfolio 02

L’essenzialità del marchio viene definita “identità”. La Corporate Identity cor-risponde al nostro nome e cognome,

stretta di mano, sorriso; ma ogni entità com-merciale ha bisogno di raccontare al pubblico i propri prodotti, affascinare e “ipnotizzare”. Sono stati versati fiumi d’inchiostro sulle pos-sibilità e sui pericoli della pubblicità, sulla per-suasione occulta, sulla creazione di desideri futili e fittizi. A questo proposito il bel lavoro di Vance Packard “The Hidden Persuaders” dato alle stampe nel 1957 costituisce ancora uno straordinario studio sulle dinamiche pubblicita-rie ma risulta altrettanto utile a chiunque si oc-cupi di politica e relazioni pubbliche. Ad esem-pio l’ascesa al potere di Berlusconi può essere letta facilmente attraverso le tecniche descritte in questo saggio. Del resto, a ben guardare, fu-rono le teorie di Freud, studiate ed esportate negli Stati Uniti dal nipote Edward Bernays, a costituire le basi del concetto di propaganda prima e di pubblicità poi. Personalmente voglio credere che ogni ambito possa essere vissuto con correttezza e quindi nutro massimo rispetto per tutti, anche per la categoria a cui appartengo: quella dei pubbli-citari. Spendere del tempo nel comprendere il senso di una produzione, sia essa materiale o immateriale, la sua storia, l’uso del prodotto e i suoi effetti secondari, discutere direttamente con la dirigenza e se possibile la linea di produ-zione di eventuali punti critici, testare in prima persona il prodotto, infine adoperarsi per veico-lare piacere, interesse, aiuto reale al pubblico di riferimento, questi i passaggi fondamentali del mio lavoro di comunicazione. La brochure porta in sé tre elementi: le imma-gini, il testo e la portabilità fisica di queste in-formazioni nella forma di un pieghevole, uno

spillato, una brossura o una raccolta di schede tecniche. I contenuti possono essere di natura fotografica, illustrativa, grafica, secondo una lo-gica narrativa informativa e possibilmente emo-zionale. I testi si prefiggono di rappresentare eccellenza, concretezza, affidabilità. Tutti i ma-teriali delle brochure e dei cataloghi sono legati al tempo, allo “spirito del tempo”, in maniera maggiore del segno-marchio progettato, come abbiamo detto, per durare il più a lungo pos-sibile. Le brochure aziendali si susseguono e rinnovano anno dopo anno. Questo fattore è le-gato alla necessità di raccontare nuovi prodotti e servizi stagione per stagione, associando un senso freschezza e piena vitalità all’azienda.Col passare degli anni si è espresso uno spo-stamento d’interesse dal solo materiale carta-ceo al web, questo può risultare molto positivo per quanto riguarda l’eco-sostenibilità per la riduzione dell’uso della carta come materiale di supporto. Viviamo in un periodo di transizione che ci vede passare dal quotidiano tradizionale a quello on-line, dal catalogo classico alla vi-sione “amazon-iana” che si traduce in visione, ordine e recapito entro le 24 ore a domicilio e su scala globale dei prodotti selezionati. Come si ama dire: “Tutto in un click”.Un’altra evoluzione del gusto che investe la scelta o meno di produrre brochure cartacee ri-guarda la possibilità di declinare nella forma di spot, documentari e video istituzionali le infor-mazioni che sarebbero state stampate in tipo-grafia. Documentare una linea di produzione, una location di prodotti doc, un making of di un disco o di un vino rosso possono essere modi molto accattivanti di farsi conoscere. Anche in-tegrare interviste ad esperti o testimonial noti può essere una scelta vincente per arricchire di familiarità e storia il prodotto in questione.

brochures_cataloghi

13

Page 8: portfolio 02

eventi

Nel settore pubblicitario la parola evento è abusata; è talmente vaga e onnipre-sente che darne una definizione risul-

ta arduo. Ciò nonostante la vita professiona-le di un graphic designer è punteggiata dagli eventi, dal “seguire eventi”. Cosa sono? Ogni volta che nasce un nuovo prodotto, ogni vol-ta che viene rifatto il look ad una macchina o c’è un nuovo conto in una banca o una nuova sede viene aperta al pubblico, così come per le famiglie esistono i battesimi e le comunioni, per il commercio ci sono gli eventi. Feste, so-stanzialmente, in cui si presenta quella nuova cosa: un rituale che dà il benvenuto all’ultimo nato dell’azienda. Si prende un locale o un po’ di suolo pubblico e si offre cibo e gadgets e prove gratuite di qualcosa e spesso ci sono delle hostess molto carine e sorridenti a far funzionare il rapporto tra promotori e pubblico, talvolta persone travestite da mascotte distri-buiscono campioni. Come in una festa ci può essere musica e divertimento. Anche parteci-pare ad una fiera di settore è un evento perché in pochi giorni richiede una grande interazione con il pubblico.A seconda della complessità dell’evento la co-municazione potrà allargare per così dire “a fisarmonica” la gamma dei propri prodotti che andranno dal design dello stand e dei suoi con-tenuti visivi e testuali, alla grafica tradizionale di pieghevoli, flyers, cartoline, biglietti e can-celleria, manifesti, all’ideazione di audiovisivi e prodotti interattivi per postazioni di informazio-ne alla clientela, segnaletica, badges, updates sul web così come inviti cartacei e telematici, cartelline, brandizzazione di oggetti legati in misura maggiore o minore al prodotto (ad es. le classiche magliette di un concerto, i poster e il catalogo di una mostra d’arte, penne, ma-gnetini, borse, piuttosto che spille e infinite po-tenziali declinazioni del logo).

Nelle mostre mercato l’esigenza è spesso di distinguersi da una massa di produttori concor-renti. Questo può risultare in una comunicazio-ne urlata. È bene non farsi tentare dall’eccesso e prediligere una coerenza d’immagine con il core business e la filosofia in cui l’azienda si rispecchia realmente. L’originalità nella pre-sentazione di sé deve poi sempre rammentar-si dell’esigenza di colpire senza confondere il pubblico fruitore.Ho cercato di ricordare quale evento mi abbia più colpito in questi ultimi tempi e me n’è venuto in mente uno soltanto: l’apertura delle Olimpiadi di Sochi. La grandeur impiegata nell’elaborare visioni oniriche mozzafiato mi ha fatto riflettere a lungo sulla natura poetica degli eventi effime-ri. Ovviamente c’è un elemento che suggerisce allo stesso tempo un’espressione di potenza dietro quella modalità celebrativa, la capacità di superare i limiti della materia, di sorpren-dere, di rendere ciò che è isolato collettivo. È forse anche in base a questi ragionamenti che grandi gruppi finanziari e industriali, in partico-lare dagli anni ’80 in poi, hanno iniziato anche in Italia a sponsorizzare eventi artistici. Nel 1983 la Fiat compra Palazzo Grassi a Venezia, lo fa restaurare da Gae Aulenti e lo riapre al pubblico con l’inaugurazione di una mostra sul Futurismo. Quell’evento diede il via anche nel nostro paese ad una tradizione virtuosa dove la committenza privata, essendo già presente e nota sul mercato, si pone l’obbiettivo di investi-re in cultura come un mecenate. L’associazio-ne tra brand ed azioni artistiche o umanitarie è gradualmente entrata a far parte dei must delle grandi aziende, penso a Diesel che sosteneva gli artisti underground, a Benetton con le sue campagne choc ideate da OlivieroToscani con i loro Colors Magazine e Fabrica, ad Ikea che stabilmente coopera con Unicef attraverso una sua fondazione.

15

Page 9: portfolio 02

HOST 18-22.10.2013

BE COOL

Page 10: portfolio 02

L’editoria è un settore vasto e comples-so. Progettare libri e riviste è ben diver-so dal concentrarsi sul segno iconico

o sulla singola pagina pubblicitaria, significa creare un rapporto confortevole tra il lettore e il prodotto editoriale, il ché richiede un’attenzione ai materiali, alle proporzioni, al ritmo percettivo dell’occhio sollecitato dagli scritti per molte ore. Il libro è considerato un oggetto magico perchè il lettore può esserene trasformato. Il progetto editoriale è quindi, a giusta ragione, considera-to dal grafico un atto emozionante e temerario.Copertine, sovracoperte, risguardie, rilegature cartonate, tessuti, titoli, indici, illustrazioni, otta-vi, sedicesimi, trentaduesimi… quando il tutto viene fuori in un solo oggetto sembra un mi-racolo.Anche i periodici richiedono un notevole impe-gno progettuale in quanto, in un tempo breve, fotografie, illustrazioni, testi vanno mandati in stampa rispettando griglie di impaginazione, varietà visiva, numero di pagine, inserzioni pubblicitarie. L’attuale veste grafica di I’M Ma-gazine, mensile di spettacolo, arte e cultura, il periodico per famiglie Small, dalla parte dei bambini e la testata di moda e costume Donna Mediterranea sono tre progetti che ho avuto il piacere di curare. Le riviste patinate hanno un ritmo visivo serra-to, titolazioni e incipit accattivanti, indici pirotec-nici. Tutto un po’ sopra le righe. In questo setto-re fare l’art director significa anche ideare linee di comunicazione visiva innovative, coordinare i servizi fotografici in esterna, l’esecuzione di fumetti e illustrazioni dedicate. La mole di lavo-ro e il tempo ridotto a disposizione sembrano sfide impossibili e tutto è caratterizzato da una frenesia delirante ma anche da tanto diverti-mento per il lavoro di squadra.

Uno dei fenomeni che ha caratterizzato negli ultimi decenni l’editoria periodica, fortemente indebolita dalla concorrenza dagli allegati pa-tinati ai quotidiani nazionali, è quello dell’af-fiancare alla rivista gadgets, cd, dvd, libri. Nel-le pagine interne vengono incollati campioni di cosmetici e fanno spesso la loro comparsa concorsi e offerte esclusive per i lettori. La lotta per la fidelizzazione è molto aspra. Il gruppo Condè Nast con i suoi Vogue, Gla-mour, Vanity Fair è un buon esempio di come un editore di periodici possa, diversificando i target, conquistarsi il ruolo dominante. Ogni dettaglio dovrà essere studiato alla perfezio-ne, dal formato alla carta, ai servizi sempre all’avanguardia, agli scrittori illustri ai personag-gi da intervistare, al fine di far divenire la rivista un vero e proprio status symbol. Il film “Il dia-volo veste Prada” tratto dall’omonimo roman-zo di Lauren Weisberger racconta molto bene il grado di lucida follia di chi deve sforzarsi di risultare sempre trand-setter del momento. Per ogni ‘numero’ la lista di collaboratori, gior-nalisti, fotografi, illustratori, astrologi, testimo-nial è molto lunga, così le spese per le location, i modelli e se ci si aggiungono quelle per la tiratura e distribuzione si evince che l’investi-mento risulta notevole. È un settore in cui biso-gna entrare con le spalle larghe, considerando finanziamenti a lungo termine che permettano l’opera di diffusione e promozione della testata. Nessuno vuole investire in pubblicità se il me-dia non offre una visibilità consistente (numero di copie vendute o distribuite) e un profilo con-sono al prodotto. Oggi sul web ogni rivista cartacea possiede il suo alter-ego virtuale aperto alle e-mail del pubblico, ricco di contenuti speciali, concorsi, link, cronologia della testata.

publishing

19

Page 11: portfolio 02

CARTE-ASTROLOGICHE

PEMBALIN

carte a

stro

logiche pem

balin

carte a

stro

logich

e pem

balin

CARTE-ASTROLOGICHE

PEMBALIN

carte a

stro

logiche pem

balin

carte a

stro

logich

e pem

balin

Page 12: portfolio 02

Questa è una storia personale. 1987: il posto è un teatro del quartiere Vomero, un edificio grigio, defilato dal

traffico, in una stradina secondaria. Si chiama Teatro Cilea. C’è un festival di gruppi emergenti, gruppi rock cittadini e io ci vado perché, come a tutti i giovani, a me la musica piace un sacco: da ascoltare, da gridare, da ballare allo sfini-mento. Sono gli anni del Pop inglese o Brit-pop e c’e’ tutto un interessante mondo di melodici un po’ dark e un po’ punk in giro, sessi indefini-ti, look eclettici, tutto polimorfo e quindi assolu-tamente in armonia con l’adolescenza. 17 anni e me ne sto nel mio teatrino di quartiere con gli amici delle manifestazioni a vedere che fanno questi gruppi rock giovanili. Ricordo quella sera per fotogrammi perché da allora sono passati quasi 30 anni. Ebbi la sensazione che qual-cosa di grande stesse per accadere e con gli occhi presi a scattare immagini: il palco con su tre ragazzi vestiti un po’ da vecchi, ragazzi che suonavano la fisarmonica, il piano, il clarinetto e cantavano. Un palco disadorno, qualche pro-iezione fissa sul fondo. La platea è piena di ra-gazzi partecipi, vivaci e questi del gruppo fanno una musica strana e hanno un nome che non si capisce subito: Le Loup Garou che significa “il lupo mannaro”. Quella musica non l’avevo mai sentita prima, ma mi piace, le parole sono tutte straniere, francesi spagnole, non si capi-sce quasi nulla ma lo stile è talmente potente e poetico che non puoi fare a meno di stare al gioco e io, che non li avevo mai né visti né sentiti, ne rimango colpita e commossa. Certo, commuoversi per un gruppo rock! Ma davvero vedere quei tre con le giacche larghe anni ’50, i capelli imbrillantinati e tirati dietro, l’aria seria, cantare e suonare con tutta l’anima quei pezzi che proprio nessuno capiva fu estremo. Fu un piccolo seme sotto la neve, un seme di cui velo-cemente mi dimenticai o così credetti. Passano due anni, mi iscrivo a lettere moderne, c’e’ la pantera e l’occupazione il che significa essere in facoltà anche la sera, spesso pernottare con i sacchi a pelo. Un giorno di quelli i musicisti arrivano da noi e diventiamo amici. Nasce uno

scambio e una collaborazione, uno stare insie-me che non finirà mai.Quello musicale è un ambito a metà tra comu-nicazione di eventi spettacolari ed editoriali. I dischi con le loro copertine e libretti interni sono edizioni ma poi ci sono anche i poster, le magliette, le locandine, gli inviti, le proiezio-ni durante i concerti, i videoclip che possono richiedere contributi grafici, fotografici e una direzione artistica e soprattutto c’è la parteci-pazione fisica del pubblico.In seguito mi sono interessata anche a Luis B. e chance Giardinieri un gruppo filiato dal prece-dente che esegue pezzi autoriali originali e ri-visitazioni fantastiche di brani italianissimi degli anni sessanta. Per loro ho realizzato l’identità, set, un manifesto fotografico e illustrato e la co-pertina di uno dei dischi definiti musicalmente più belli degli ultimi anni stampato sia in vinile che in cd: “Only the Lonly”. Gino Castaldo scrive su la Repubblica “..Di certo si tratta di una delle più originali proposte italiane del momento. Musica autoprodotta per picchiatelli, colma di una stralunata e sardoni-ca innocenza. Tra Forrest Gump e Chance il giardiniere.....”Luis B. e chance Giardinieri sono anche stati invitati da Serena Dandini a “Parla con me” ma Luis preferisce vivere la vita senza un telefo-nino, raccogliere noccioline nelle campagne avellinesi, far parte della banda del paese dove suona la tromba e non decidere mai cosa fare domani. Luis (al secolo Luigi Borriello) è un at-tento studioso delle stelle e delle loro simbolo-gie e talvolta, può leggere i quadri astrali delle persone che incontra. Nel tempo si è sempre più convinto delle teorie di Guy Debord l’auto-re e filosofo parla della nostra come la società dello spettacolo dove tutto diviene spettacolare ma non c’è più un contenuto ‘animico’. Un vero paradosso perché dove non c’è nulla d mostra-re si crea un grande show. Mi onoro di aver fatto qualcosa per il debordiano Luigi dato che, nel suo caso, c’è molto da raccontare.

indie music

23

Page 13: portfolio 02
Page 14: portfolio 02

La mia esperienza con le scatole di car-tone, i colletti, le capsule sui turaccioli, i foglietti illustrativi, le etichette e contro-

etichette, ovvero con parte di quel vasto mondo che viene definito packaging, si è sviluppata so-stanzialmente collaborando con due industrie alimentari campane: Piemme e Capri Natura. Limoncello Superstar! E poi, a seguire, i liquori aromatici come mandarinetto, nocino, basilico e alloro, la pasticceria industriale con i babà al rhum e naturalmente al liquore di limone, le uova di pasqua, i cioccolatini e le conserve. Un aspetto interessante del limoncello è l’in-contro tra la rappresentazione astratta del prodotto, ovvero la veste grafica, e la materia stessa. Per consuetudine il vetro mostra il li-moncello perché il liquore deve poter essere apprezzato nel suo colore naturale, di un giallo intenso molto bello, quindi la grafica non fa che dialogare timidamente con il contenuto per evi-tare di sovrastarlo. Quello del packaging è un settore molto com-plesso perché possiede una componente inge-gneristica, si tratta di materiali con due natu-re: una funzionale, essendo spesso finalizzati all’imballaggio, allo storaggio, alla spedizione del prodotto da commercializzare, l’altra comu-nicativa, perché è chiaro che la scatola deve “parlare” dallo scaffale o dalla vetrina dei nego-zi. Entrano qui in gioco la forma della bottiglia, del barattolo o della scatola così come l’etichet-ta e tutto ciò che va a vestire la confezione.

packaging

Una cosa divertente, e molti grafici lo sanno bene, è che la stessa industria vende spesso il medesimo prodotto a diverse linee distributive. Ad esempio può avere un suo brand originale, che porta appunto il proprio marchio e in cui i costi di produzione, così come quelli di distribu-zione, sono sostenuti tutti dall’azienda stessa, oppure può imbottigliare per un compratore di grande distribuzione, sotto un marchio quindi diverso, vendendo il prodotto a prezzi ribassati assicurandosi comunque un congruo fatturato sui grandi numeri. Quando nei supermarket ci troviamo davanti ad esempio ad una scatola di biscotti con marchio omonimo alla catena, di-ciamo Carrefour, è interessante andare a vede-re in calce alle diciture il luogo di fabbricazione, in molti casi si può ricostruire chi è l’effettivo produttore di quel biscotto e se ci può far pia-cere pagare un 20% in meno su quel prodotto di marca.A parte le etichette, che ho progettato in grande quantità, per il nostro e per il mercato estero, penso che sarebbe bello recuperare un po’ di libri di origami e imparare a fare altre forme con la carta. Solo l’amore per il gioco potrebbe por-tare un’evoluzione nel concetto di pack a cui sono abituata. Confesso la mia limitatezza in questo campo e un po’ me ne dispiaccio ma del resto la capacità di un grafico è in buona par-te legata alle produzioni che segue maggior-mente. Se i propri clienti ammettono soluzioni di packaging innovative si diventa sempre più bravi ma non altrimenti.

27

Page 15: portfolio 02
Page 16: portfolio 02

Il mondo del manifesto è sacro. Magari non quello dei 6x3 che ci appaiono tozzi, simbolo di una commercialità troppo espansa. Penso

invece ai 70x100 o ai 100x140 che hanno tutta un’altra classe, ti ci devi avvicinare un po’ di più, hanno un fascino fin de siécle. Se fosse per me esisterebbero solo quei poster verticali “alla maniera di Loutrec”, manifesti che contengano molta arte e pochi stereotipi. Tra un secolo manifesti così sorprendenti potreb-bero capitare nell’espositore di un museo per la gioia degli amanti della grafica a venire. Penso anche alle immagini di Magritte e Dalì elaborate talvolta per il nostro settore, a Wahrol che pren-de a piene mani dalla comunicazione di massa e ci dialoga magistralmente. In Italia allo splen-dido lavoro di Armando Testa, Bruno Munari, penso a Massimo Dolcini, Italo Lupi, al nostro Gelsomino d’Ambrosio, a Oliviero Toscani.I comandamenti del manifesto parlano di leg-gibilità, di sintesi, d’informatività. Così avviene che 4 pagine di testo vadano torchiate fino a divenire poche righe di copy, uno slogan ed un’immagine che inchiodi il passante. Un po’ come quando si progetta la copertina di un li-bro, un esercizio di stile davvero arduo e, pro-prio per questo, entusiasmante.I manifesti che ho fatto e che mi sono piaciuti di solito sono stati frutto di una forma di col-laborazione creativa, come un piccolo testimo-ne d’amore tra copy e art, un ping pong dove qualcuno mi ha servito una parola per riceve-re un’immagine. È in quel ping pong che a un certo punto viene fuori qualcos’altro.. qualcosa che ne io ne l’altro aveva mai pensato o visto, la pallina diventa una colomba e vola, e finalmen-te vive di vita propria! Allora il mio caro socio Paul della International Advertising di Londra me lo ricordo come mio compagno di magie, Melania di Leo l’amica di avventure recenti e

parte del movimeto Urto, che mi parla dell’ar-te concettuale con la deferenza di un uffician-te del sacro, un giorno dopo l’altro fino a fare un manifesto insieme, Andrea Donadio che mi racconta delle macchine per fare le granite che studia da qualche anno, con l’entusiasmo con cui si può parlare di una Ferrari, raccontando la storia, l’evoluzione, la forma. Fabrizio Tramon-tano, che ha accompagnato William Kentridge nella sua avventura napoletana per realizzare le opere artistiche della Metro Toledo e che mi comunica tutto l’entusiasmo di quell’esperienza attraverso una tonnellata di parole e immagini. Se non ci fossero state queste e tante altre per-sone sognanti i miei manifesti non sarebbero mai nati, è quindi grazie a loro che si è potuto giocare ad immaginare forme di comunicazio-ne non banali.Manifesto è sinonimo di “dichiarazione d’in-tenti”, penso ai manifesti delle avanguardie artistiche: il manifesto Dadaista, Surrealista, Futurista. Nel manifesto ci si mette il proprio decalogo e quindi ha un valore simbolicamente fondativo. Ogni marchio è la nascita di un’identi-tà ma ogni manifesto rappresenta un’avventura speciale intrapresa da quell’identità, un azione che viene presentata alla collettività. Quando ero nei miei vent’anni volevo scrivere un “Mani-festo Effervescentista” perché pensavo che si potesse agire filosoficamente e artisticamente contro la pesantezza, fosse utile suggerire vie eteree per superare le difficoltà o i dolori del quotidiano. Passai un lungo periodo a defini-re quali fossero i punti di questo manifesto e chissà che da quache parte non sopravviva qualcosa di cartaceo, in ogni caso questo è per dire che i manifesti sono propri del mondo del consumo, è vero, ma sono anche propri della natura estroversa della comunicazione umana e probabilmente ognuno di noi potrebbe pro-durne di bellissimi, come poesie visive.

manifesti

31

Page 17: portfolio 02

Riflessioni su una Didattica Accogliente

24 GIUGNO, ore 18 - Sala PAN

Palazzo delle Arti NapoliIl Laboratorio Creativo-Emozionale è un progetto

pilota del Liceo Ginnasio G. B. Vico destinato agli studenti e ai docenti che, attraverso il dialogo su

attività connesse all’espressione delle emozioni, ha voluto proporre una graduale pratica e conoscenza

delle potenzialità creative e una consapevolezza dell’autonomia percettiva, per offrire alla scuola

l’opportunità di sperimentare un nuovo approccio all’arte: non solo “materia di studio” ma soprattutto esperienza più immediata e aderente all’orizzonte

emotivo di un adolescente in crescita.Il progetto è nato per offrire ai docenti uno spazio

dove attingere a linguaggi extradisciplinari; agli studenti un luogo aperto in cui condividere un

momento di crescita interiore; alle famiglie una possibilità di dialogo con l’istituzione Scuola

sull’esperienza dei ragazzi, attraverso l’aiuto di operatori esperti.

LABORATORIOCREATIVO-EMOZIONALE

Interverranno:

Maria Clotilde Paisio, Dirigente Scolastico del Liceo Ginnasio G.B. Vico Napoli;

Fabio Pascapè, Direzione Centrale Cultura Unità Di Progetto PAN;

Melania Oppenheimer Di Leo, Coordinatrice;

Luciana Soravia, Docente e Referente coordinatrice del proget-to per il Liceo G.B. Vico;

Fabrizio Tramontano, Curatore de ‘L’Arte torna a Scuola’, ciclo di incontri con artisti del panorama contemporaneo italiano, parte del Progetto Creativo-Emozionale;

Marcella Rodriguez, Tommasina Montone, Maria Amendola, Rober-ta Mancini Conduttori del ‘Labora-torio espressivo con il linguaggio del colore’ parte del Progetto Creativo-Emozionale;

Enrico Muller, frate Lasalliano Docente e Coordinatore della cooperativa sociale Occhi Aperti

info e contatti: Melania Oppenheimer Di Leo, ph. 3482162488ufficio stampa: [email protected]

3332

Page 18: portfolio 02

La fruizione e produzione di videoclip ap-partiene culturalmente alla mia genera-zione. Adolescente negli anni ’80 sono

cresciuta con l’esplosione del fenomeno della video-music anglosassone: Peter Gabriel, i Cure, i Depache Mode, Boy George, i Talking Heads, i Duran Duran, Cyndi Lauper, Madon-na, Micheal Jeckson e tantissimi altri artisti inaugurarono il trend, mai spento, di associare intriganti cortometraggi ai loro brani di punta. In alcuni casi la qualità delle immagini risulta-va addirittura più originale di quella del brano musicale e pezzi come “Take me on” degli A-ha sono divenuti in quegli anni tormentone video e oggi costituiscono memoria storica di quelle sperimentazioni. Nel debutto alla regia di Ben Stiller, il riuscitissimo “Reality Bites” del ‘94, Wi-nona Ryder rappresenta il ruolo compulsivo di fruitore-produttore di video fatti in casa.La “Blob generation” ha assistito alla nascita di canali ipnotici come Mtv, Videomusic o ad esperimenti italianissimi come la trasmissione Mister Fantasy di Carlo Massarini. Il nostro im-maginario non può fare a meno di accendersi davanti a una forma narrativa che ci risulta pia-cevolmente familiare: il videoclip.È vero che un libro racconta una storia e ne siamo tutti appassionati sostenitori (non per niente questo portfolio ha la forma di un libro!) ma un filmato può risultare di maggiore impat-to perché usa oltre alla parola tutti i mezzi più emozionali: la musica, l’espressività fisica e vo-cale, la narrazione teatrale, il colore dato dal trattamento della fotografia e dalle luci, il mon-taggio, che dà un ritmo alla rappresentazione. È davvero difficile ricordarsi in quale dimen-sione si sia immersi quando si guarda un film ed è comprensibile che il linguaggio filmico sia considerato il più ipnotico di tutti, il più poten-te. Non per niente gli spot dominano il mercato

mondiale della pubblicità.Ho piacere di testimoniare i miei primi passi nel settore, l’interesse e la soddisfazione che ho provato nell’apprendere le basi del montaggio video, e l’idea che questo sia divenuto un am-bito per me adottivo. E tuttavia la complessità delle video-produzioni, comparata a quella del lavoro in buona parte in solitaria del grafico, è enorme. I soggetti chiamati in causa: di ordi-ne tecnico, logistico e produttivo sono elevati all’ennesima potenza. A favore degli sperimen-tatori l’evoluzione della tecnologia digitale sta rendendo possibili produzioni fino a qualche anno fa proibite a chi non possedesse grandi mezzi.E allora, in questo mondo nuovo, tecnologica-mente avanzato, pienamente uraniano, pos-siamo festeggiare, possiamo festeggiare che se abbiamo una storia da raccontare nessuno ci potrà fermare, il limite è la fantasia, la pas-sione e la costanza che mettiamo nel fare le cose. Con questi presupposti che mi ricordano un po’ lo slogan vincente dell’Ikea “Un Design Democratico”, con questi presupposti nasce-ranno molte nuove forme narrative figlie delle precedenti ma anche imbastardite e mixate e vedremo “mutanti” impensati. Film e sogno sono associati. Il film come sogno trasposto. Ognuno può “girare” il sogno che sente l’esigenza di condividere con gli altri. A volte uso il mio tempo libero, che è la cosa più preziosa che posseggo dopo i miei cari, per guardare dei video che non appartengono neanche un pochino al main-stream. I video giapponesi sono in assoluto i miei preferiti con i loro origami, la loro grafica che diventa mondo di luci, di forme, di soggettive, la musica speri-mentale, così fresca che ogni nota vola libera. Guardare l’altrove è rigenerante.

video

35

Page 19: portfolio 02
Page 20: portfolio 02

Maria Antonietta è il personaggio storico che mi viene in mente quando penso alla moda. La moda è femmina, giova-

ne, possibilmente trasgressiva altrimenti tutto sarebbe destinato alla ripetizione nel miglior caso di una noiosa classicità.Ogni donna occidentale incontra la moda in maniera prepotente e rispetto a questo incon-tro è chiamata a prendere una sua posizione personale. Ogni aspetto dell’immagine di sé: dal vestiario agli accessori, dal trucco alla ca-pigliatura è impegno serio e sembra costituire quasi un trattato antropologico, una narrazione enciclopedica che dichiara dallo stato d’animo al credo politico.A 15 anni ho ricevuto la prima rivista patinata da mia madre che ha ritenuto fosse il momen-to, quello, di conoscere le forme del femminile suggerite dalla moda. È stato bello! Come qua-si tutto quello che si fa a quell’età, e da allora ho guardato tutte le testate esistenti in Italia, da Amica a Cosmopolitan, da Gioia a Grazia, Elle, Marie Claire, Vogue, Glamour, etc. Negli anni ’80 le riviste erano molto ricche e il settore della manifattura tessile era esploso in Italia passan-do in molti casi dall’artigianale all’industriale, dal nazionale al globale. Erano stilisti nascen-ti: Armani, Ferrè, Krizia, Coveri, Versace e a questi anni appartiene lo strabiliante fenomeno delle Top Model.Per quanto si lotti con la moda per la natura caduca di ogni sua rappresentazione pure quel fascino esiste; nello sperimentare, nell’osare c’e’ un fulcro artistico, un fuoco. Periodicamen-te la moda, che è design, genera oggetti-capi destinati all’eternità, i cosiddetti intramontabili: jeans, tubino nero, camicia bianca, t-shirt, dol-cevita…L’Italia è la mecca dello stile e la Campania è la mecca della sartoria maschile, della produzio-ne di calzature, borse da donna, guanti già dal

‘600 come ben testimonia la splendida Fonda-zione Mondragone di Napoli.Nel settore della moda ho potuto curare marchi, cataloghi, uscite pubblicitarie, in alcuni casi an-che i servizi fotografici dei capi indossati e non. Questo ambito è davvero un po’ come vivere “Il diavolo veste Prada” dove l’effimero e l’as-soluta fascinazione trovano il loro palcosceni-co migliore. Curando Barba Camice e Barbaro Sportsware da Uomo, Tiki, i Borbonici, marchi manifatturieri prevalentemente maschili, posso testimoniare che il bello del design artigiana-le: la ricerca e cura dei tessuti, l’attenzione ad ogni dettaglio, la personalizzazione e cura del cliente che nasce da una passione sincera per il lavoro di sartoria sono elementi fondativi delle industrie di confezione campane che riescono a resistere alla crisi economica con prodotti di alta qualità. Per le pagine pubblicitarie di Bar-ba Camice mi sono avvalsa della collaborazio-ne di due fotografi napoletani: Lucia Dovere e Giovanni Portanova. Per Urban Jeans, uno dei marchi Colella (Alcott, Colella & Co, Urban Je-ans) ho avuto il piacere di lavorare con Fabri-zio Lombardi fotografo-artista per diversi anni parte della redazione di Vogue, Milano. Voglio ricordare Fabrizio Lombardi, mio maestro di fo-tografia all’ISD, che purtroppo ci ha lasciati. Ha fatto crescere in me la passione per il mondo della fotografia e cii ha fatto avvicinare al lavoro dei fotografi italiani e internazionali con affasci-nata reverenza. Fabira è un marchio di bigiotteria moda di cui ci siamo occupate con Alessia Alvino che ne curava il lancio con un marcato link al mondo dello spettacolo, anche in quel caso la fotogra-fa, Mariella Perruna, che si occupò dello sho-oting aveva lavorato per alcuni anni a Londra ai servizi di Vogue. Ho disegnato alcuni loghi per ricamo interno di linee di abbigliamento e accessori: l’Oca Loca, Movemai, Borbonici, e gestione di spazi moda: Planning,

moda

39

Page 21: portfolio 02
Page 22: portfolio 02

Nella saga di Harry Potter, che sintetiz-za molti aspetti dell’esoterismo, esi-ste la categoria dei “cercatori”. Questa

rappresentazione suggerisce che se gli esse-ri umani si dividono in categorie magiche, tra queste vi sia quella del (ri)cercatore. Facendo riferimento alla mia storia personale non posso fare a meno di ricordare che mia madre era un ricercatore di Storia Medievale e che più di una volta, con la mia famiglia, ci siamo trovati a vi-sitare cripte e locali paleocristiani, sotterranei di edifici insospettabili. Il mio ex marito, a sua volta un ricercatore nell’ambito della fisica e della biofisica, indagava ciò che di matematico e calcolabile c’è nella vita vivente, in particolare sulla scala infinitesimale del DNA.Non sognatevi di portarmi in campagna o su una spiggia, passerò tutto il tempo a raccoglie-re fossili, sassi e legnetti levigati. Da bambina il gioco più giocato era quello di trovare oggetti smarriti. Ogni volta che qualcuno perdeva qual-cosa io l’avrei trovata seguendo una serie di tecniche che avevo orgogliosamente messo a punto e talvolta semplicemente chiudendo gli occhi e facendo un bel respiro.La formula dello studio connaturato all’impegno professionale è l’unica che possa effettivamen-te dare risultati interessanti. Se si escludono le attività di ricerca anche la qualità di qualunque produzione è destinata ad un inesorabile de-clino. Più di una volta nella mia esperienza di lavoratore dipendente ho sentito tutte le forze creative venire meno perché il processo di ri-cerca non risulta sempre caro agli ambiti com-merciali. Per me ricerca è leggere, ascoltare, costruire, sognare, osservare e meditare su

opere, oggetti, piante e animali. In realtà esi-stono ovunque porte per l’infinito e possibilità concrete di ricerca. In questo ambito vanno in-serite molte cose a cui mi sono dedicata come la scrittura poetica, la scrittura teatrale, le col-laborazioni con gli amici musicisti, tese più ad enucleare concetti che non immagini editoriali, le ricerche sul ritratto fotografico, la pittura e la ceramica, la moda, il costume, il design d’in-terni... Quando, in base ad uno scambio con Marialu-isa Firpo, ho pensato di scrivere un pezzo su Frida Kahlo che potesse interpretare (Frida: L’Arte dell’Agguato-2012) non sapevo che nel metterlo in scena avrei potuto vedere e riela-borare alcuni conflitti interni che riguardano la gelosia. La scena in cui Frida canta “Paloma negra” unisce il dramma all’ironia e risolve una legatura. Questa è un po’ la logica alla base dello Psicodramma al quale si è largamente in-teressato Jodorowsky.Oppure il disegnare, per le letture pubbliche di Francesco Prota le carte astrologiche Pemba-lin mi ha dimostrato come noi siamo effettiva-mente meri fruitori del mondo delle idee e la miglior cosa da fare è permettersi di giocare con gli archetipi per poter immaginare mondi possibili. Non siamo i primi, non saremo gli ul-timi, i Tarocchi, le Carte Astrali, i Sigilli di Gior-dano Bruno, l’opera più recente di Gustav Jung per ricordare come l’eredità gnostiche possano essere trasmesse attraverso il gioco e la rap-presentazione. Anche leggere un libro ad alta voce in famiglia e farlo entrare nelle mura della propria casa, anche questo trovo che sia ricer-ca, ricerca condivisa.

ricerca

43

Contatti:

[email protected]+39 081 400497+39 3202946390

L'arte dell'agguato

“Niente vale piu' della risata. E'necessario ridere e abbandonarsi.Essere leggeri. La tragedia e' la cosa piu' ridicola che l'uomo ha”.

Frida Kahlo

Regia Renata CagnoLuci Cesare Accetta

Curatore musicale Francesco ProtaCostumi Federica TerracinaCoreografie Barbara LambrechtFotografo di scena John Newport

Riprese Giuseppe Cembalo

Interpreti:

Frida Kahlo Marialuisa FirpoIl Doppio Mena VelottoDiego Rivera Francesco ProtaCristina Kahlo Mena VelottoSpirito I Lorenzo PintoSpirito II Margherita DelrioSpirito III Francesca LegesseSpirito IV Mirella de ForgellinisOrchestrale I Andrea ProtaOrchestrale II Ferdinando ChinOrchestrale III Lollo SmithSerpente Piumato Lorenzo Pinto,

Mirella de ForgellinisMargherita Delrio, Francesca Legesse

PRESENTA a cura di Libero adattamento de Il Diario di Frida Kahlo Renata Cagno con Marialuisa Firpo

L'arte dell'agguato

Page 23: portfolio 02

contatti: prof. Luciana Soravia, Liceo G.B.Vico - NapoliMelania Oppenheimer Di Leo, 3482162488Marcella Rodriguez, 3397927139 - [email protected]

Liceo Ginnasio Statale G.B. Vico Napoli In collaborazione con: Con il patrocinio di:

Page 24: portfolio 02

Renata Cagnovia Emanuele De Deo 36, 80134 Napolitel. 081400497- [email protected] a Napoli, 25 .02.70C.F. CGNRNT7065F839P

EXCURSUS LAVORATIVO

2014In corso: Impaginazione catalogo Tainjin/Na-poli Design AwardImmagine: Modernissimo 20° AnniversarioManifesti: Laboratorio Creativo-emozionale2013Responsabile settore grafico-pubbicitario e videografico: Elmeco srl, fabbrica di macchine per granita, gelati e bibite fredde. Manifesto: Urto-Cubase-Pan2012Identità, materiali di cancelleria, pagine, calen-dari: Delta Costruzioni, Edilbelvedere2007/11Progettista grafica e art director: Shake Up Italia, agenzia di marketing2006Graphic Designer: Borrelli Camicie2005Docente: Istituto Superiore di Design2003-4Manifatture d’arte e gestione: The Mad Potter, art center, Hoboken NJ2002Graphic designer: Vitigno Italia, fiera mercato dei vitigni autoctoniGraphic designer: Digitalcomoedia, studio di videoproduzioni 3D2001Graphic designer: SAMA, tipografia2000Senior Designer: The Set, design studio, Maida Vale, Londra1998/99Middleweight Designer: International Adv, recruitment, Londra

curriculum vitae

47

Artworks pubblicati su:

Time: 04/10/14 22:39

48 NapoliSpettacoli Domenica 5 ottobre 2014IlMattino

LucianoStella *

Sembra ieri ma era il 1994quando riaprimmo in viaCisternadell’Olio,nelcuo-redi uncentro storico chestava rinascendo, il glorio-so Modernissimo: siamo

statilaprimamultisaladelSud,conilpri-mo «dolby surround» di Napoli: forsepochi ricordano che solo vent'anni fanellanostracittà icinemaavevanotuttiancora un sonoro monofonico. Sem-brò una rivoluzione, certamente fu uncambiodi abitudini per i cinefili e nonsolo: la novità erano certo le quattro lesale,ma anche la scelta di puntare sulcinema di qualità oltre che sul grandeprodotto americano, sempre di sicuroimpatto sul pubblico. L'obiettivo eraquellodifarvarcareaquantipiùnapole-tanipossibilela”portastretta”delcine-mad'essaietrascinarliversounorizzon-tepiùlargo,quellodiunamoreperilci-nemaa360gradi.Tecnologia, innovazione ed energia

culturale furono la formula vincentechediedevitaalnostroprogettodiMulti-cinemaModernissimo.Trasformammounastoricamonosa-

lachiusadaanniinuncinemaall'avan-guardia,omeinrealtàceneeranogiàinItaliaedinEuropa.Elofacemmoinunastretta via che collega Piazza Dante aPiazzadelGesù. Iniziammoi lavorinel1992 e nel '94 ci trovammo ad esserespontaneamenteefelicementepartediunriscattocollettivodellacittàedeisuoiluoghimeravigliosi.Il nostro nume tutelare fu

ed è l'indimenticabile Massi-moTroisi,cheerascomparsoda poco: ed in occasionedell'inaugurazione fuproprio«IlMattino»adonarciunasuabellissima foto, che ancoracampeggianell'atriodelcine-ma.Unodeiprimifilminpro-grammazionefu«IlPostino»einapoletaniaffollaronoper la

primavoltailModernissimoperveder-lo.Probabilmenteintantiricordanoan-coraquellasera,quelleemozionistrug-gentiprovatedinanziall'ultimocapola-

vorodiMassimo, inun luogonuovochesarebbepoidivenu-to familiare, un cinema «Mo-dernissimo».Sembra ieri ma sono tra-

scorsivent'annidi lavorostra-ordinarichehannovistopassa-re per le nostre sale centinaiadiautorieprotagonistidelcine-manazionaleedinternaziona-le. Difficile ricordarli tutti: dal

maestro Bernardo Bertolucci, che ten-neabattesimo ilnostroprimo«grandeevento», lamostradelle fotodiscenadiAngeloNoviconlapresentazionedellacopia restaurata de «Il conformista»;all’affascinanteFannyArdant,dallostre-pitoso «ppaziente inglese»RalphFien-nesalregistaamericanoSpikeLee,pro-tagonista di unamemorabile giornata,connoi, alla scoperta diNapoli e dellesue sfumature. E naturalmente, tutti imiglioriregistiitaliani,daNanniMoret-tiaMarcoBellocchio,checihannoscel-to,conamicizia,percentinaiadiincon-tri,diproiezioni,dianteprime.

Più di 3 milioni di spettatori hannofrequentatoinquestianniilModernissi-mo.Unacittà,unacomunità,unpopo-loditutteleetà.Intorno a noi, nel centro storico, in

questiannihannopurtroppochiusotut-ti i cinema della zona trasformando lalorodestinazioned'uso:credocheque-stechiusureabbianogravementeimpo-veritoleesperienzeculturalideinapole-tani.Menoluciacceselanotte,menoci-nema, meno discussioni, meno con-fronti, meno esperienze di condivisio-ne.MailModernissimoèdasempreotti-mista,visionario,energico,fattivo,(re)si-

stente.Equindiabbiamolaconsapevo-lezza dei vent'anni trascorsi ma anchel'orizzontedeldesideriodeiprossimian-niavenire.Ancoracirinnoviamoconletecnologie digitali più avanzate (sem-preper primi al Sud!) ancora abbiamovogliadiorganizzareincontri,proiezio-ni, dibattiti (ene faremodipiù, conuncalendariofissoescandito).Ancoraab-biamol'urgenteefattivasperanzadiren-dere, insieme a tutti gli altri attori dellasocietà,lanostracittàquelgioiellodivi-talità,creatività,vogliadivivere,apertu-rasocialecheNapolisadiesseremache(se si spengono luci edenergie) rischiaspessodismarrire.Veniamo quindi al presente: il Mo-

dernissimodopo20annisirinnovasen-zarinnegaresestesso,lostessorestylingdel locale ha sfumature vintage che ciauguriamoinostrispettatoriapprezze-ranno:naturalmenteabbiamosempreilcinemaalcentrodelprogetto,mavo-gliamodarepiùspazioallamusica,allacretivitàgiovane,alterritorio,insomma«ci siamo» e siamo pronti ad aprirci anuoveideeecollaborazioni.Venti anni fa abbiamo contribuito,

contantialtri,arilanciareuncentrostori-codovegli abitanti diChiaia, Posillipo,Vomero,enonsolo,simischiavanofeli-cemente. In questi ultimi anni invecesembrasisialentamentealzatounmu-ro invisibile che divide la città: noi tuttitendiamoarimanere”chiusi”neinostriquartieri,adimenticareuncentrostori-co che non sentiamo più identitario,cancellandolodainostriitineraridisva-go,culturali,divita.È tempodi tornareacrederciedan-

cheadinvestire, inrisorse,entusiasmo.Èundiscorsochenonvalesolocome”ri-chiesta”allapoliticaegliamministrato-rimachedeve vedereprotagonisti an-chegliimprenditori,glioperatoricultu-rali.NoidelgruppoModernissimoven-ti annidopoci sentiamopronti a rilan-ciare la sfida,aprendounnuovocorso:riappropriamoci tutti insieme del no-stro”gioiello”,cheèNapoli.*imprenditoreeoperatoreculturale

Per isuoiprimi20anni lamultisalasi fanuovamente«inquattro» tracinema,musica,culturaecibo,proponendounprogrammalungounannoetecnologiadiavanguardia.NeparlerannodomanialModernissimoconLucianoStellaDavidMcIntosh,vicepresidenteSonyDigitalCinemaperEuropaeUsa,EnricoFerrari,DigitalCinemaSolutionsaccountmanagerper Italia,SpagnaePortogallo,e ipartnerconcuièstatorealizzato ilprogramma.

La festaTra cinemamusicacultura, cibo

La storiaLa primamultisaladel SudL’aperturanel segnodi Troisi

Il progetto

Il Modernissimo, una sfida per il centro storicoA vent’anni dalla riapertura la sala si rinnova e rilancia. Stella: «È tempo di tornare a investire nel cuore di Napoli»

Page 25: portfolio 02

1997Grafico e messa in stampa: Hale Printers, tipografia, Harrow, Londra1996Producer: Digigraf, Fondazione IDIS, Napolivideoproduzioni, multimediali e 3D1995Copywriter: B&B Advertising, Napoliagenzia pubblicitaria1994Public relations per l’editoria italiana: Multivision Ltd, prodotti multimediali,Londra1993Impaginatore: RCS, edizioni Jr Designer: Union Graphics, Fondazione IDIS, studio graficoJr Designer: Segno Associati, studio grafico1992Illustratrice: FuturoRemoto, Fondazione IDIS, rassegna scientifica, poi divenuta Città della Scienza.Illustratrice: Milagro Adv, comunicazione

STUDI

1996Institut Français Grenoble1995American Study Center, TOEFL1994Cesvitec*, Computer Aided Design 1993Ilias, Software Adobe1991/92Istituto Superiore di Design, Grafica Pubblicitaria1988/92Università Federico II di Napoli,Facoltà di lettere moderne, indirizzo letterature straniere1988/89Accademia di Belle Arti di Copenaghen*anno di scambio interculturale 1983/88Liceo G. Marcalli di Napoli, diploma scientifico 58/601983/86British Council, Cambridge, First Certificate

* borsa di studio

49

Alcuni tra i clienti per cui ho lavorato:

Page 26: portfolio 02

“Uno dei termini che ricorre quando si progetta un marchio o un impaginato è la parola GABBIA. La gabbia è una sorta di struttura ‘aurea’ del segno, lo assurge ad opera architettonica, gli dona la lettura geometrico matematica che pure hanno le partiture musicali. Esistono gli amanti della gabbia, i discipli-nati della grafica, che sostanzialmente fanno riferi-mento ad un segno filosoficamente e formalmente razionalista e questi sono giustamente moto stima-ti, esistono poi quelli che in animo fanno riferimen-to alle forme della natura, coloro che si identificano nell’architettura organica di Gaudì o di Steiner per cui la forma concede infinite variabili armoniche e questi son nel gergo chiamati: gestuali. Credo di ri-cadere più tra i gestuali che non tra i razionalisti, sarà perché provo semplicemente orrore davanti alla parola GABBIA”.“I manifesti che ho fatto e che mi sono piaciuti di solito sono stati frutto di una forma di collaborazio-ne creativa, come un piccolo testimone d’amore tra copy e art, un ping pong dove qualcuno mi ha ser-vito una parola per ricevere un’immagine. È in quel ping pong che a un certo punto viene fuori qual-cos’altro... qualcosa che ne io ne l’altro aveva mai pensato o visto, la pallina diventa una colomba e vola. Finalmente vive di vita propria!” .