“DECENTRAMENTO POLITICO E DECENTRAMENTO … · per meglio dire, l’Erario regionale, l’altro...

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1 “DECENTRAMENTO POLITICO E DECENTRAMENTO FISCALE: L’ESPERIENZA SPAGNOLA” ÁLVARO RODRÍGUEZ BEREIJO 1 Universidad Autónoma de Madrid SOMMARIO: §1. Il decentramento fiscale in Spagna: una prospettiva costituzionale. §2. Evoluzione e sviluppo del decentramento fiscale in Spagna. §3. La prospettiva del federalismo fiscale: possibilità e limiti. §4. Riflessione finale.Il finanziamento autonomico e lo Statuto della Catalogna. §5. Bibliografía. §1.- Il decentramento fiscale in Spagna: una prospettiva costituzionale. Negli oltre 25 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, la Spagna ha portato a termine un processo complesso e politicamente delicato di decentramento politico assai profondo e, soprattutto, assai celere compiuta in poco piú di una decina d`anni. In altre parole, ha trasformato uno degli Stati europei più fortemente centralizzati in uno degli Stati più fortemente decentrati, in cui lo Stato gestisce il 51,2% della spesa pubblica, gli Enti locali il 12,8% e le Regioni (Comunità Autonome) il 36% della spesa pubblica complessiva. In tal modo, gran parte delle quote di autogoverno regionale fissate nel periodo costituente quale obiettivo ultimo dello sviluppo regionale, sono state portate a compimento. A determinare la problematica del decentramento finanziario della Spagna sono state, in larga misura, le scelte attuate a suo tempo dai costituenti nell’ambito della Costituzione del 1978. Si tratta di accorgimenti costituzionali che privilegiano un Erario delle spese e non delle entrate, frutto probabilmente delle condizioni politiche ed economiche del momento. In quel tempo, un sistema di finanziamento regionale basato sui tributi di ogni singola Regione (Comunidad 1 Il testo é stato originalmente la mia relazione alla Conferenza Internazionale tenuta a Ravenna il 13-14 di Ottobre 2006 su “Sovranitá fiscale degli Stati tra integrazione e decentramento”, diretta dal Prof. Adriano Di Pietro della Universitá di Bologna. Traduzione a cura della dott.ssa Saturnina Moreno González, Universidad de Castilla-La Mancha.

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“DECENTRAMENTO POLITICO E DECENTRAMENTO FISCALE: L’ESPERIENZA SPAGNOLA”

ÁLVARO RODRÍGUEZ BEREIJO1

Universidad Autónoma de Madrid

SOMMARIO: §1. Il decentramento fiscale in Spagna: una prospettiva costituzionale. §2. Evoluzione e sviluppo del decentramento fiscale in Spagna. §3. La prospettiva del federalismo fiscale: possibilità e limiti. §4. Riflessione finale.Il finanziamento autonomico e lo Statuto della Catalogna. §5. Bibliografía.

§1.- Il decentramento fiscale in Spagna: una prospettiva costituzionale.

Negli oltre 25 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, la Spagna ha

portato a termine un processo complesso e politicamente delicato di

decentramento politico assai profondo e, soprattutto, assai celere compiuta in

poco piú di una decina d`anni. In altre parole, ha trasformato uno degli Stati

europei più fortemente centralizzati in uno degli Stati più fortemente decentrati, in

cui lo Stato gestisce il 51,2% della spesa pubblica, gli Enti locali il 12,8% e le

Regioni (Comunità Autonome) il 36% della spesa pubblica complessiva. In tal

modo, gran parte delle quote di autogoverno regionale fissate nel periodo

costituente quale obiettivo ultimo dello sviluppo regionale, sono state portate a

compimento.

A determinare la problematica del decentramento finanziario della Spagna

sono state, in larga misura, le scelte attuate a suo tempo dai costituenti

nell’ambito della Costituzione del 1978. Si tratta di accorgimenti costituzionali che

privilegiano un Erario delle spese e non delle entrate, frutto probabilmente delle

condizioni politiche ed economiche del momento. In quel tempo, un sistema di

finanziamento regionale basato sui tributi di ogni singola Regione (Comunidad

1 Il testo é stato originalmente la mia relazione alla Conferenza Internazionale tenuta a Ravenna il 13-14 di

Ottobre 2006 su “Sovranitá fiscale degli Stati tra integrazione e decentramento”, diretta dal Prof. Adriano

Di Pietro della Universitá di Bologna. Traduzione a cura della dott.ssa Saturnina Moreno González,

Universidad de Castilla-La Mancha.

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Autónoma in lingua spagnola) avrebbe tendenzialmente provocato l’insorgenza di

grandi disuguaglianze sul piano della prestazione di servizi pubblici oppure dei

livelli di pressione fiscale significativamente diversi o addirittura una

combinazione di entrambi tali effetti, altrettanto perversi. Il risultato finale sarebbe

stato, probabilmente, un incremento dei compiti di ridistribuzione dell’Erario

centrale e, di conseguenza, un aumento crescente del suo fabbisogno di

finanziamento per poter così rettificare le disuguaglianze derivanti da un sistema

di finanziamento che avesse privilegiato un Erario delle entrate a un Erario delle

spese (Prof. SUREDA CARRIÓN).

Pertanto, tale accorgimento costituzionale soggiace a ragioni di carattere

storico. La Costituzione spagnola articola, quindi, al finanziamento regionale o,

per meglio dire, l’Erario regionale, l’altro cardine della costruzione di uno Stato

decentrato cui politici e accademici hanno convenuto di denominare “Stato delle

Autonomie”, in Erario delle spese, non delle entrate, poggiante su tre principi

fondamentali: uguaglianza, solidarietà interregionale e coordinamento con l’Erario

dello Stato; uguaglianza, solidarietà interregionale e coordinamento conferenti

all’Erario statale un ruolo necessariamente forte all’interno dell’equilibrio del

sistema.

La Corte Costituzionale ha evidenziato il carattere strumentale

dell’autonomia finanziaria delle Comunità Autonome [“piena disposizione di mezzi

finanziari per poter esercitare, senza condizionamenti indebiti e in senso lato, le

proprie competenze e, in modo particolare, quelle definite come esclusive” (STC2

201/1988,F.J.4º) ] quale garanzia della propria autonomia politica, cui è

indissolubilmente unita, e quale limite, dato che, contrariamente allo Stato, è

vincolata allo sviluppo e all’esercizio delle competenze assegnatele,

conformemente alla Costituzione (art.148 e 149 CE), dai rispettivi Statuti e Leggi

organiche delimitanti le competenze (SSTC 63/1986, 201/1988, 14/1986,

96/1990, 13/1992, 237/1992, 126/1999, 192/2000 e quella più recente STC

168/2004).

Inoltre, la Corte Costituzionale ha sottolineato l`importante contenuto

finanziario del principio di solidarietá invocato spesso dalla Costituzione, che “in

2 STC: Sentencia del Tribunal Constitucional. Sentenza della Corte Costituzionale [NdT].

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somma non é altro che un fattore di equilibrio fra l`autonomia delle nazionalitá e

le regioni e la indissolubile unitá della Nazione spagnola”(STC 135/1992)

La Costituzione delinea un Erario regionale essenzialmente asimmetrico,

anzi doppiamente asimmetrico.

Asimmetrico nel senso appena segnalato, di poteri e potestà regionali

diversi nei due rami del Fisco –il ramo delle entrate e quello delle uscite–, il che

ha fatto sì che, e di questo dirò più tardi, il funzionamento dell’Erario regionale

dipenda, in termini finanziari, oltremisura dallo Stato condizionandone anche

l’autonomia finanziaria e politica; e un Erario asimmetrico, nel senso che in seno

alla Costituzione coesistono sistemi di finanziamento diversi, derivanti dalla

presenza di un regime speciale di Convenzione o Accordo economico, copia di

un diritto storico riconosciuto e tutelato dalla Costituzione alle Regioni a regime

foral dei Paesi Baschi e della Navarra (1ª Disposizione aggiuntiva CE3). Non un

privilegio, bensì un diritto storico donde la Convenzione. Più avanti vedremo dove

si trova, a mio giudizio, il problema e quanto potremmo denominare il “privilegio”

derivante dal regime della Convenzione, che non risiede tanto nell’esistenza del

regime di per sé come piuttosto negli esiti cui conduce, vale a dire, come si

applica il sistema di Convenzione o Accordo economico delle Regioni forales e

come si procede al calcolo della “quota” (il loro apporto complessivo al

finanziamento delle spese generali dello Stato).

I tratti distintivi del sistema di finanziamento desumibile dalla Costituzione,

operativo da oltre un quarto di secolo, sono come segue:

1º. L’asimmetria, illustrata sopra;

2º. un sistema aperto, indeterminato, nel senso che la Costituzione spagnola è

alquanto parca per quanto riguarda la configurazione del finanziamento delle

Comunità Autonome e il ruolo che vi devono svolgere le risorse finanziarie loro

assegnate dall’art. 157 (imposte cedute; maggiorazioni delle imposte statali;

partecipazioni alle entrate dello Stato; trasferimenti del Fondo di compensazione

Interterritoriale; altri stanziamenti a carico del Bilancio generale dello Stato;

imposte proprie, tasse e contributi speciali e, infine, entrate patrimoniali e

operazioni di credito) della Costituzione.

3 CE: Constitución española. Costituzione spagnola.

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La Costituzione non definisce il ruolo che dev’essere svolto, nell’ambito di

tale finanziamento, da ciascuna risorsa enumerata dalla medesima, ma si limita

semplicemente a tracciare un quadro, ampio e impreciso, nonché a enunciare i

principi generali relativi all’autonomia finanziaria, al coordinamento con l’Erario

statale e di solidarietà tra tutti gli spagnoli, nel cui ambito dev’essere attuato il

sistema di finanziamento regionale.

La Costituzione affida a una legge organica statale ad hoc integrata nel

blocco della costituzionalità, la Legge organica sul finanziamento delle Comunità

Autonome (LOFCA), e comunque in nessun caso agli Statuti di Autonomia –

pertanto neppure lo Statuto di Autonomia, malgrado il rango e la natura di legge

organica, è la norma in grado di stabilire la portata delle competenze

fondamentali dello Stato nelle varie materie (art. 149.1 CE) oppure convenire la

delega o il trasferimento delle competenze esclusive dello Stato ex art. 150.2 CE)

- la norma preposta all’attuazione di tale specifica e all’articolazione concreta del

sistema di finanziamento.

La Costituzione non predetermina quale debba essere il sistema di

finanziamento regionale ma consente che il “finanziamento venga definito da una

legge organica integrata nel blocco della costituzionalità”, che svolge, così, una

funzione di delimitazione della portata concreta delle competenze regionali di cui

agli artt. 156 e 157 della Costituzione e costituisce perció parametro di

costituzionalitá (STC 68/1996; STC 192/2000); ecco perché nell’espressione

“blocco della costituzionalità” rientrano gli Statuti di Autonomia delle varie regioni

nonché alcune leggi organiche particolarmente significative, perché si richiamano

ad aspetti dell’assetto statale [mi riferisco, in questo caso, alla legge sul

finanziamento delle Regioni (Comunità Autonome); un altro esempio potrebbe

essere la Legge organica del Potere Giudiziario atta a disciplinare

l’Amministrazione della Giustizia], fondamentali in quanto a struttura e ad

architettura istituzionale, dal momento che con la medesima “si è inteso attivare

un intervento unilaterale dello Stato nell’ambito delle competenze per

raggiungere un grado minimo di omogeneità all’interno del sistema di

finanziamento regionale, eludendo così la difficoltà che sarebbe sorta qualora

tale sistema fosse dipeso esclusivamente dalle decisioni prese nell’iter di

elaborazione di ciascuno Statuto di Autonomia” (STC 68/1996, F.J.9º).

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Una questione importante, per quanto riguarda al sistema delle fonti

normative del finanziamento regionale, é il rapporto fra Statuto di Autonomia e le

leggi organiche varate dallo Stato per disciplinare l´esercizio delle competenze

finanziarie delle Comunitá Autonome prevedute dall´art.157.3 CE, che delimitano

e condizionano cosí il loro esercizio. Rapporto che non é di gerarchía ma di

competenza.

Ci troviamo cosí con tre norme tutte integranti del blocco della

costituzionalitá: la Costituzione, norma abilitante chi apre la possibilitá alle

Comunitá Autonome, alla sua libera decisione a mezzo dei suoi rispettivi Statuti ,

di assumere delle competenze finanziarie; gli Statuti di Autonomía, norme a

mezzo i quali e con fondamento nella previsione costituzionale [art.148.1.1ª CE]

hanno assumito delle competenze in materia finanziaria: organizzazione del

proprio Erario, finanziamento ...; ed in fine,la LOFCA,che stabilisce la cornice

normativa in cui le Comunitá Autonome devono svolgere le competenze

finanziarie assumite nel suo Statuto, articolando il loro esercizio (illustrativa fra

l`altro, la STC 56/1990,F.J.14º in proposito della LOPJ)

Tale forma singolare di strutturare l’autonomia nell’ambito costituzionale

è un corollario della mancanza di definizione stessa del Titolo VIII in quanto

all’assetto territoriale dello Stato, caratteristica questa nonché maggiore

singolarità della nostra Costituzione (la sua virtù o il suo difetto più grande, a

seconda dei punti di vista).

Infatti, nell’articolare, nel Titolo VIII, “l’indissolubile unità della nazione

spagnola" con il "diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni che la

costituiscono" di cui all’art. 2, la Costituzione non nomina né definisce lo Stato

che dà forma al nuovo assetto e alla distribuzione territoriale del potere politico; in

un certo qual modo "de-constituzionalizza", utilizzando l’espressione coniata dal

Prof. CRUZ VILLALÓN, l’assetto territoriale dello Stato, nell’affidarla, in forza del

principio dispositivo che presiede il processo di decentramento politico (art.143 e

151 CE), a quanto risulti dagli Statuti di Autonomia e dalle altre leggi organiche

costituenti il cosidetto "blocco della Costituzionalità” nonché alla successiva

dinamica costituzionale (art. 150 CE).

La Costituzione nomina, ma non definisce, le "nazionalità" e non ne

illustra i tratti distintivi né specifica gli elementi che possono fungere da base per

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una Comunità Autonoma affinché la stessa possa essere dichiarata nazionalità o

regione né attribuisce a tale differenziazione alcuna conseguenza di natura

giuridica esplicita oltre al modo diverso di accesso all’autonomia (art. 151 e art.

143 e disposizioni aggiuntive 1ª, 2ª e 4ª CE).

Tale indeterminatezza costituzionale relativamente all’assetto

organizzativo dello Stato derivante dalla scelta effettuata nel Titolo VIII della

Costituzione svolse, pur tuttavia, in quel momento storico delle Cortes costituenti

la funzione di formula di transazione (“patto apocrifo”, secondo l’espressione

utilizzata da HERRERO DE MIÑÓN) tra le varie tendenze politiche – unitarie e

plurinazionalistiche – e le loro diverse nonché contrapposte concezioni della

Spagna quale nazione.

Di conseguenza, la nostra Costituzione non definisce né un “sistema”

né un “modello” di finanziamento. Definisce soltanto la cornice in cui sviluppare o

attuare il finanziamento regionale, la cui concretezza viene lasciata a un

processo politico e legislativo successivo (STC 192/2000, F.J.4º). Evidenzio

questo punto, su cui mi soffermerò più avanti, perché sta facendo sì che nel

funzionamento pratico del sistema, i meccanismi di finanziamento regionale

vengano definiti mediante processi di negoziazione politica, di contrattazione,

piuttosto che un finanziamento regionale ordinato secondo norme di natura

legislativa.

La conseguenza di questa scelta costituzionale è un ambito aperto,

dinamico, flessibile talmente difficile da chiudere al pari del medesimo ordine

costituzionale di distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Comunità

Autonome di cui agli artt. 148 e 149 CE, che contraddistingue la Costituzione

spagnola per quanto riguarda l’assetto territoriale dello Stato.

3º. Oltre a questo carattere aperto, indeterminato, il sistema di finanziamento

regionale in Spagna è un sistema instabile dal momento che, avendone affidato

la sua articolazione concreta a una legge organica posteriore (la LOFCA), che

manca della rigidità propria delle norme costituzionali, ne consente la continua

rimessa in discussione al riparo del dibattito politico, come evidenziato dal fatto

che l’ultimo modello di finanziamento approvato nel 2001, entrato in vigore nel

2002, denominato allora “definitivo”, è stato riaperto e oggi è di nuovo al centro

del dibattito sulla riforma territoriale a seguito del finanziamento della sanità e,

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soprattutto, del processo di riforma degli Statuti di Autonomia avviato con

l’approvazione del nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna nel luglio del

2006. Ci si potrebbe chiedere se verrà prospettato nuovamente, in futuro, al

riparo, ad esempio, del finanziamento dei costi derivanti dall’immigrazione

clandestina.

Ciò si deve al fatto che la definizione del modello di finanziamento

avviene sulla base del risultato economico di una negoziazione politica che si

traduce negli Accordi di finanziamento tra lo Stato e le Comunità Autonome,

nell’ambito del Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria o nell’ambito delle

Commissioni miste bilaterali Stato-Comunità Autonome.

Il finanziamento si definisce più in base al risultato e in virtù degli accordi

politici che per l’applicazione di norme legislative dibattute e approvate dalle

Cortes Generales, con il conseguente degrado del significato del Diritto, in questo

caso del Diritto che emana dalla Costituzione e dal blocco della costituzionalità.

Norme e principi giuridici della Costituzione finanziaria, aperti e naturalmente

indeterminati, ma pur sempre norme giuridiche, relegate in un piano meramente

strumentale ove la norma giuridica e i criteri di distribuzione delle entrate

finanziarie e dei meccanismi di solidarietà previsti nelle stesse, vengono lasciati

al libero arbitrio e alla libera disposizione delle forze politiche, subordinandoli a

criteri che presiedono la negoziazione politica: la contrattazione sul risultato

economico del finanziamento e il dibattito sull’efficacia o sull’efficienza del calcolo

e l’applicazione delle variabili scelte. Quasi come dire che il Diritto deve cessare

laddove incomincia la politica e la forza [normativa] dei fatti.

(RAMALLO MASSANET- ZORNOZA PÉREZ; ORTÍZ CALLE)

4º. Infine, si tratta di un sistema anche insufficiente, pur se si potrebbero

avanzare certe riserve al riguardo, dal momento che il deficit derivante

dall’accollo delle spese sanitarie [per porre un esempio significativo addotto quale

ragione atta a giustificare l’esigenza di una riforma del sistema di finanziamento

regionale] potrebbe essere ampiamente coperto mediante la soppressione di una

delle varie emittenti televisive regionali in alcune Comunità Autonome.

Puntualizzato quanto sopra, si può parlare, effettivamente, d’insufficienza nel

senso e nella misura in cui il decentramento finanziario attuato tramite il sistema

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di finanziamento regionale secondo i vari Accordi sui “modelli” di finanziamento

siglati nel tempo, non è andata di pari passo né è stata adattata al processo di

decentramento politico dei trasferimenti e dell’accollo delle competenze da parte

delle Regioni (Comunità Autonome).

Pertanto, l’apertura e l’instabilità del sistema di finanziamento delle

Comunità Autonome è la conseguenza stessa del modello di Stato configurato

nella nostra Costituzione territoriale; del carattere intrinsecamente aperto

dell’ordine costituzionale di distribuzione delle competenze; ed della coesistenza

dei vari sistemi di finanziamento delle Comunità Autonome (sistema di

Convenzione o di Accordo economico per le regioni forales dei Paesi Baschi e

della Navarra; regime fiscale speciale delle Canarie; sistema di regime comune

per il resto delle Comunità Autonome).

Di conseguenza, il risultato è un sistema generale di finanziamento che

oscilla tra un finanziamento poggiante sulla partecipazione alle imposte statali o

ai tributi condivisi che dotino le Comunità Autonome di una certa capacità

normativa e gestionale e di maggiore autonomia tributaria, senza che il modello

di finanziamento abbia privilegiato chiaramente, nel tempo, una delle due

alternative: o tributi condivisi o finanziamento mediante partecipazioni statali, il

che ha trasformato gli Erari regionali, sul piano delle entrate, in Erari di

trasferimenti mentre dal punto di vista funzionale, sono, predominantemente,

Erari di spese. Si è venuta così a creare quell’immagine di Erario regionale

parassita che dipende oltremisura, in termini finanziari, dall’Erario dello Stato.

È opportuno segnalare –per quanto dirò successivamente– che

decentrare i tributi allo scopo di creare o stabilire una corresponsabilità fiscale

delle Comunità Autonome nel finanziamento del proprio volume di spesa,

affinché non siano soltanto Erari di spesa ma anche Erari di entrata, non equivale

a territorializzare il prodotto delle esazioni come è stato fatto nell’ambito dei

meccanismi di finanziamento degli ultimi modelli (IRPF4, IVA., Imposte speciali)

che non è “corresponsabilità fiscale” ma un’altra modalità di partecipazione alle

entrate statali che non contribuisce a migliorare l’autonomia tributaria degli Erari

regionali e a renderli responsabili, finanziariamente e politicamente, del livello di

spesa assunto nel mettere a punto o nel definire le proprie politiche pubbliche.

4 IRPF: Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas. Imposta Sul Redditto delle Persone Fisiche [NdT].

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Una valutazione lacunosa di tale differenza può soggiacere alla visione oltremodo

ottimistica dell’evoluzione del finanziamento regionale nella STC 289/2000,

F.J.3º.

§ 2.- Evoluzione e sviluppo del decentramento fiscale in Spagna

Tradizionalmente, il sistema di finanziamento delle Comunità Autonome

a regime comune si è sostenuto sui trasferimenti dell’Erario statale, derivanti in

sostanza, dalla partecipazione alle entrate dello Stato e, recentemente, sulle

imposte statali cedute su cui dispongono di una limitata capacità normativa ed di

gestione.

L’evoluzione del finanziamento regionale nell’arco di questi 25 anni, può

essere suddivisa in varie fasi (Virginia POU):

Prima fase: 1980-1996. Il volume del finanziamento regionale deriva dai

trasferimenti mediante partecipazione alle entrate dello Stato (un trasferimento

incondizionato, calcolato in funzione di una serie di variabili, popolazione,

superficie, insularità, impegno fiscale, ecc., che intendeva coprire le spese della

prestazione dei servizi assunti dalle Comunità Autonome cui si aggiunge

l’esazione delle imposte statali cedute (Imposte sul patrimonio, sulle successioni

e sulle donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e sugli atti giuridici documentati)

nei cui confronti non venivano cedute né la gestione né la capacità normativa, e

le tasse applicate ai servizi ceduti.

Seconda fase: 1997-2001. Il finanziamento s’incentra sulla cessione alle

Comunità Autonome del 15% dell’IRPF, costituente la cosiddetta “quota

regionale” dell’imposta, cui si aggiungeva una partecipazione territorializzata

dell’IRPF, anch’essa pari al 15%. Si mise altresì a punto una garanzia che

assicurava alle Comunità Autonome una crescita minima dell’esazione dell’IRPF

regionale uguale all’incremento del Prodotto Interiore Lordo (PIL) nominale. Tale

finanziamento veniva poi completato dalle “partecipazioni alle entrate dello

Stato”, con il prodotto delle “imposte cedute” e le tasse.

In tale modello del 1997, rimasto in vigore fino al 2001, la Sanità

trasferita veniva finanziata al margine del modello generale di finanziamento delle

competenze regionali. L’ammontare dei trasferimenti condizionati atti a finanziare

le competenze sanitarie veniva determinato annualmente in funzione del bilancio

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dell’INSALUD5, su scala statale. Dal canto loro, gli stanziamenti di ogni Regione

venivano calcolati mediante coefficienti rappresentanti la popolazione protetta. Il

bilancio dell’INSALUD veniva incrementato annualmente, a sua volta,

percentualmente in base al PIL nominale nazionale mentre la base applicata a

ogni Regione veniva aumentata mediante aggiunta di fondi atti a coprire le spese

di assistenza a sfollati, docenza nonché per compensare le Comunità Autonome

in cui si era verificato un calo della popolazione.

La terza e ultima fase, attualmente in corso dal 2002, ad approvazione avvenuta

della legge 21/2001 del 27 dicembre, atta a disciplinare il cosiddetto “nuovo e

definitivo sistema di finanziamento” delle Comunità Autonome a regime comune

e delle città a Statuto di Autonomia [Ceuta e Melilla]. il finanziamento delle

Comunità Autonome ivi incluse, in questo caso, le competenze in materia di

istruzione e di sanità, avviene tramite le risorse di cui appresso:

Si cedono il 33% dell’IRPF relativo alla quota o alla tariffa regionale; il

35% dell’IVA.; il 40% delle Imposte speciali su determinati consumi, tabacchi,

idrocarburi, alcool e bevande dissetanti [in sostanza, birra]; la totalità

dell’esazione delle Imposte su determinati mezzi di trasporto [possono far

incrementare l’aliquota d’imposta fissata dallo Stato fino al 15%] e sull’elettricità

[fissare un’aliquota d’imposta regionale fino al 2%]; l’insieme dell’esazione della

nuova imposta, rientrante nell’IVA, sulle vendite al dettaglio di certi prodotti

derivanti da idrocarburi [fino a 4,8 centesimi al litro] (denominato, in alcune

Comunità Autonome, “il centesimo sanitario” sulla benzina e sul gasolio per

l’industria automobilistica) e l’esazione delle imposte cedute. Tale finanziamento

veniva integrato dal “Fondo di sufficienza”, ovvero un trasferimento dello Stato

calcolato in base alla differenza tra il fabbisogno di finanziamento e le entrate

ottenute nel paniere delle imposte, prendendo come punto di riferimento il 1999 e

aggiornato secondo un indice di crescita dei tributi dello Stato. V’erano poi,

naturalmente, i meccanismi di solidarietà interregionale quali il Fondo di

compensazione interterritoriale e gli Stanziamenti di livellamento a carico del

Bilancio Generale dello Stato.

Ben diversa è la Convenzione o l’Accordo economico con le Regioni

forales dei Paesi Baschi e della Navarra che, come anzidetto, è una copia dei

5 INSALUD: Instituto Nacional de Salud [NdT].

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diritti storici riconosciuti e tutelati dalla Costituzione nella Prima disposizione

aggiuntiva e in cui l’ente Provincia foral dei territori storici gestisce e riscuote gran

parte dei tributi diretti e indiretti dello Stato, costituenti il sistema fiscale.

Di conseguenza le Regioni forales dispongono di un sistema tributario in

pratica proprio e differenziato per finanziare le spese con un’ampia autonomia

tributaria, non fruibile dalle Comunità Autonome a regime comune, dal momento

che potranno “mantenere, stabilire e regolare il regime tributario nell’ambito del

loro territorio” entro i limiti derivanti dalla Costituzione, dall’osservanza

dell’assetto impositivo generale dello Stato e delle norme sul coordinamento e

sull’armonizzazione con il sistema tributario statale e dei Trattati e delle

Convenzioni internazionali, singolarmente le norme del Diritto comunitario.

L’Erario foral versa all’Erario dello Stato una quota (“cupo”), quale contributo al

sostegno degli oneri generali dello Stato, la cui fissazione o calcolo è sempre

stato al di sotto di quanto dovevano effettivamente apportare in base al loro livello

di reddito.

Oltre alla capacità normativa tributaria, diversa e superiore, attribuita dal

regime della Convenzione o dell’Accordo economico alle Regioni forales e il cui

utilizzo da parte dell’ente Provincia foral genera conflitti, tensioni e pregiudizi

nelle Comunità Autonome limitrofe e persino nell’Unione europea, nella misura in

cui tale capacità normativa propria, con un’autonomia per niente raffrontabile a

quella delle Comunità Autonome a regime comune in relazione ai loro tributi, fa sì

che ci sia serviti della Convezione o dell’Accordo per stabilire agevolazioni fiscali

nel proprio territorio, per richiamare investimenti e per lo stabilimento di nuove

imprese oppure per ridurre la tassazione di chi usufruisce della vicinanza a tali

Regioni, il che ha provocato un “effetto frontiera” che si scontra con i principi di

uguaglianza nonché con quelli di libera circolazione, libertà di impresa (libertà di

stabilimento) e libera concorrenza di cui sia alla Costituzione spagnola (artt. 31.1,

38, 138, 139.1 e 2 CE) sia ai Trattati costitutivi dell’Unione europea (art. 52 e art.

92, attualmente art.43 e art.87 TCE), e che si sta esprimendo, pur se ancora in

modo incipiente, in decisioni giurisprudenziali di grande respiro che segneranno il

futuro dello sviluppo e del modo di procedere del regime della Convenzione

economica. Ad esempio, la sentenza della Corte Costituzionale, STC 96 /2002

F.J.7º a 10º, relativamente ad alcuni accorgimenti specifici del regime della

Convenzione della Navarra; la recente ed importante sentenza della Corte

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Suprema di Cassazione (sezione del contenzioso-amministrativo) del 9 dicembre

2004 sulle norme forales dell’Ente Provincia della Vizcaya, di Guipúzcoa e di

Álava atte a disciplinare l’IS6 oppure le decisioni della Commissione Europea

[Decisione 93/337/CEE del 10 maggio 1993; Decisione1999/718/CEE di 24

febbraio 1999; Decisione 2000/795/CEE del 22 dicembre 1999;

Decisione2001/1762 y 1763/CEE ambedue di 11 luglio 2001; e Decisione

2003/192/CEE ] e la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità

Europee, in materia di ferie fiscali e di riduzioni o sgravi fiscali a favore di alcune

imprese stabilite nel territorio della Comunitá Autonoma (ad esempio, il caso

Ramondín o il caso Daewoo) adottati dall’Ente Provincia dei Paesi Baschi e chi

vengono considerate aiuti di Stato e per ción incompatibili con il Trattato

[Sentenza CGCE di 23 ottobre 2002; Sentenza CGCE di 11 novembre 2004,

assunto Daewoo España S.A. ed Sentenza CGCE di 11 novembre 2004, asunto

Ramondín S.A.; Sentenza della di Primera Istanza delle CE di 6 marzo 2002,

asunto Daewoo España S.A.].

Tuttavia, e non è poco, oltre alle conseguenze derivanti da una capacità

normativa così intensa del regime di Convenzione, il dato più vistoso e rilevante è

il fatto di fornire maggiori risorse alle Regioni forales di quelle fornite dal sistema

LOFCA alle Comunità Autonome a regime comune, per cui le Regioni forales

possono e sono in grado di prestare non solo più servizi ma anche servizi di

qualità superiore. Ad esempio, secondo i dati del 1997 esaminati dal Prof. José

V. SEVILLA SEGURA, Madrid ha avuto a disposizione 240.493,6 pesetas per

abitante, la Catalogna 269.298,1 per abitante e i Paesi Baschi 396.000 pesetas,

vale a dire il 50% di finanziamento in più per abitante. La media nazionale è pari

a 276.143 pesetas per abitante.

L’aspetto saliente di questa evoluzione del finanziamento regionale in

Spagna, malgrado la persistente dipendenza iniziale delle Comunità Autonome a

regime comune dai trasferimenti incondizionati dell’Erario statale e dal modello

che potremmo denominare, volendo, “parassita”, di partecipazione alle entrate

dello Stato o in definitiva di meccanismi di “territorializzazione” dell’esazione delle

grandi imposte generali dello Stato, si è verificato un certo spostamento, pur se

ancora insufficiente, verso una maggiore incidenza sul finanziamento regionale di

6 IS: Impuesto sobre Sociedades. Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche [NdT]

13

quanto ottenuto dalle imposte statali cedute quali, le richiamo, l’imposta sul

patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e

l’imposta sugli atti giuridici documentati.

In base a dati elaborati da Virginia POU, nel periodo 1992-2003,

l’incidenza delle entrate tributarie sul totale delle entrate non di carattere

finanziario delle Comunità Autonome è aumentata dal 17,8% al 54,5%,

soprattutto dal 1998 in poi, anno in cui nel garantire alle Comunità Autonome una

crescita minima del gettito dell’IRPF uguale all’incremento del PIL nominale, si è

verificato un consolidamento delle imposte dirette quale elemento forte del

finanziamento regionale.

Nel 2002, all’attivazione del “nuovo e definitivo” (sic) sistema di

finanziamento regionale, il trend si è accentuato: le entrate tributarie sono

raddoppiate o quadruplicate rispetto al 2001 grazie alle imposte cedute (IRPF,

IVA, Imposte speciali). Dal canto loro, le entrate derivanti dalle tasse sui servizi

prestati, sebbene abbiano fatto registrare un aumento medio annuo del 5%

coerentemente al processo di assunzione delle competenze, con un’importanza

marginale, tuttavia, nell’ambito del finanziamento regionale.

In conclusione, i vari sistemi o modelli di finanziamento applicati nell’arco

dei venticinque anni di sviluppo dello Stato regionale hanno condotto a un

incremento graduale dell’autonomia finanziaria delle Comunità Autonome in

rapporto alla loro dipendenza dai trasferimenti ricevuti dall’Erario statale.

Malgrado questo rafforzamento apparente dell’autonomia tributaria,

l’incidenza dei trasferimenti dall’Erario statale all’Erario regionale quale elemento

fondamentale del finanziamento è tuttora assai rilevante: il 48,4% nel 2002 e il

44,5% nel 2003 dal momento che alcune Comunità Autonome (quelle a minor

reddito pro capite) presentano tuttora un’elevata dipendenza dai trasferimenti

incondizionati del Fondo di sufficienza nonché dai trasferimenti condizionati del

Fondo di compensazione interterritoriale derivanti dallo Stato.

Il ricorso all’indebitamento delle Comunità Autonome è cresciuto, nel

periodo 1992-2001, a un ritmo medio annuo dell’11% malgrado i limiti quantitativi

e qualitativi imposti dalla LOFCA e dalla legge sulla stabilità di bilancio del 2002

nonché dagli obiettivi di stabilità e di convergenza dell’Unione europea.

In merito alle spese, il tratto distintivo saliente è l’enorme incidenza, circa

il 50%, delle partite relative alle competenze delle Comunità Autonome in fatto di

14

istruzione, sanità e servizi sociali sulle spese complessive del proprio Bilancio,

che condiziona fortemente l’elaborazione budgetaria nonché la messa a punto

delle politiche pubbliche.

Tale eccessiva dipendenza finanziaria dell’Erario regionale (come

avviene anche nel caso dell’Erario degli enti locali) da risorse di finanziamento

derivanti da fonti statali desta preoccupazione e dovrebbe essere corretta per vari

motivi.

Sia per ragioni concernenti la propria autonomia politica e finanziaria che

può ritrovarsi così al centro di un processo di mediatizzazione se non addirittura

compromessa (vid. STC13/1992, F.J.7º e STC 104/2000, F.J.4º), creando

distorsioni ed effetti indesiderabili nel funzionamento globale dell’Erario generale

e nella distribuzione equa delle entrate pubbliche, che per ragioni di uno

stanziamento razionale ed efficiente delle risorse pubbliche (consone ai principi

costituzionali delle spese pubbliche dell’art. 31.2 della Costituzione spagnola).

Infatti, un’Amministrazione cui viene affidato la decisione di provvedere

alla spesa delle risorse pubbliche ma non di provvedere alla loro esazione,

propende più facilmente verso un’espansione non controllata della spesa

pubblica e ad accollarsi impegni e richieste sociali di prestazione di beni e servizi

pubblici che poi non è in grado di finanziare e di adempiere. Tenderà, quindi, a

trasferirli verso quel livello di governo (lo Stato), dotato di fonti di finanziamento. E

un Erario di trasferimenti è propenso a divenire più facilmente un Erario

«parassita» caratterizzato da noncuranza per quanto concerne il controllo dei

contribuenti e la gestione tributaria e la generalizzazione e personalizzazione

nella distribuzione del carico fiscale; dall’irresponsabilità fiscale relativamente alle

decisioni e alle richieste di spesa pubblica nonché un cattivo stanziamento delle

risorse pubbliche; dall’assenza di un rapporto tra l’Erario regionale e i propri

contribuenti, il che inciderà negativamente sull’educazione tributaria dei cittadini e

non farà che rafforzare il sentimento di disapprovazione popolare e di rigetto nei

riguardi delle imposte regionali e locali, già piuttosto forte nell’attualità.

Una stretta correlazione entrata-spesa pubblica è la migliore garanzia dei

cittadini stante la tendenza della burocrazia politica alla crescita incontrollata

delle spese, a un loro scadente stanziamento o al loro scialacquio. Quanto

maggiore è il divario tra la decisione inerente la spesa pubblica e la decisione

inerente il finanziamento, tanto più si rafforzerà la creazione, da parte dei

15

governanti, di illusioni finanziarie e addirittura politiche (A. PUVIANI) nei

contribuenti, nel renderli meno consapevoli del costo dei beni e dei servizi

pubblici di cui usufruiscono. Si rafforza, così, la credenza, falsa ma

profondamente radicata nell’ideologia dello Stato sociale cui è particolarmente

propensa l’opinione pubblica delle nostre società industriali, a forte spirito

corporativo, secondo cui i beni pubblici forniti dalla spesa pubblica di una data

Amministrazione sono gratuiti o privi di costo (una sorta di «diritti sociali

acquisiti»). In verità, in seno all’Erario pubblico, sia sul piano delle entrate che su

quello delle spese, si tratta sempre di giochi a somma zero. In altre parole, il

beneficio o il vantaggio di uno, viene pagato da un altro.

E dietro questo effetto di illusione finanziaria, che adombra l’analisi costo-

beneficio, è più facile per i politici e governanti delle Comunità Autonome

nascondere i difetti di un’amministrazione e di una gestione scadenti dei servizi

pubblici e dell’aumento della spesa pubblica che ne deriva, dal momento che

sono finanziati, in gran parte, con risorse che i loro contribuenti (ed elettori) né

vedono né versano direttamente alla propria Comunità Autonoma.

Così facendo, la funzione di controllo e di restrizione del potere fiscale e

della spesa pubblica assegnata tradizionalmente, in seno a un Erario

democratico, al sistema politico rappresentativo (qualsiasi Amministrazione, a

prescindere dal proprio livello di governo, risponde politicamente delle proprie

decisioni finanziarie di spesa e di entrata nei riguardi dei propri contribuenti

elettori) dà anch’essa esito negativo. Analogamente a un consumatore che, male

informato, effettuerà sempre acquisti scadenti, neppure la condotta dei

contribuenti-votanti soggetti a illusioni finanziarie, che modificano il calcolo

razionale del costo-beneficio delle decisioni finanziarie degli enti politici

(sopravalutando o sottovalutando la quantità o la qualità dei beni e dei servizi

pubblici o delle imposte), sarà ottimale. Ciò snaturerà il processo di rivelazione

delle preferenze dei consumatori di beni pubblici che avviene mediante il

processo politico democratico (mercato politico / voto), determinante le

dimensioni e la composizione dei beni pubblici «acquistati» con le imposte

nell’ambito di un Erario pubblico democratico.

§ 3.- La prospettiva del federalismo fiscale: possibilità e limiti

16

Un’ultima riflessione. È pur vero che le possibilità delle Comunità

Autonome a regime comune relativamente alla disponibilità di un sistema

tributario proprio sono, certamente, limitate ma non inesistenti; e sono limitate

perché il costituente –a seguito della scelta di partenza, di cui dicevo all’inizio– ha

dato prova di una diffidenza straordinaria nei riguardi dello sviluppo di un sistema

tributario proprio delle Comunità Autonome quale modello di finanziamento. Si

tratta di limiti alquanto rigorosi riportati nella Costituzione (artt. 138, 139, 156.1 e

157.2) e nella LOFCA (artt. 6, 9 e 12): i principi di coordinamento e di solidarietà;

divieto di attuare misure tributarie su beni posti al di fuori del proprio territorio;

divieto di attuare misure tributarie comportanti un ostacolo alla libera circolazione

delle merci e dei servizi; divieto della doppia tassazione e della duplicità

impositiva [non si possono imporre tributi su fatti imponibili gravati dallo Stato; né

su materie riservate agli Enti locali dalla legislazione locale]. Ciò ha determinato

una preminenza dello Stato sulle fonti tributarie di finanziamento [lo Stato detiene

il potere tributario originario (art.133.1 CE) e la competenza esclusiva sull’Erario

generale (art. 149.1.14ª) ], lasciando pochissimo spazio fiscale al potere tributario

proprio delle Regioni (Comunità Autonome).

Ciò è stato altresì accentuato dall’interpretazione della Corte

Costituzionale relativamente ai limiti costituzionali della doppia imposizione (art.

6.2 e 3 LOFCA) data la sussistenza impositiva tra i vari livelli di governo; è assai

significativa, ad esempio, la dottrina chiaramente restrittiva della sentenza

289/2000,F.J.5 sull’imposta delle Baleari su determinati impianti che incidono

sull’ambiente (una posizione più indulgente al riguardo, nelle SSTC 37/1987,

F.J.14º e 186/1993, F.J.4º sull’imposta regionale su terre sottoutilizzate

rispettivamente dell’Andalusia e dell’Estremadura che prendendo spunto dalla

differenziazione tra fatto imponibile e materia imponibile od oggetto del tributo, ed anche di una interpretazione litterale del termine “fatto imponibile”, ammette che

“relativamente a una medesima materia impositiva, il legislatore può selezionare

varie circostanze che diano luogo ad altrettanti fatti imponibili, determinanti, a loro

volta, figure tributarie diverse”). Secondo il raggionamento della Corte “l´art.6.2

della LOFCA non ha come finalitá vietare alle Comunitá Autonome stabilire tributi

propri su oggetti materiali o fonti impositive giá gravate per lo Stato, poiché dato

che la realtá económica nelle sue diverse manifestazioni é tutta coperta da tributi

statali, ció porterebbe a negare pratticamente la possibilitá di creare, almeno in

17

momento, nuovi imposte autonomici. Ció che l`art.6.2 vieta nei suoi propri termini

é strettamente la duplicitá di fatti imponibili”. La STC 289/2000, F.J.4º ritiene che

il secondo limite dell’art. 6.3 LOFCA riconduce il divieto di duplicità impositiva alla

“materia imponibile” su cui grava effettivamente il tributo a prescindere del modo

in cui il legislatore articoli il fatto imponibile; conclude con il “divieto [per la

Regione – Comunità Autonoma] di qualsivoglia sovrapposizione, non autorizzata

legalmente in precedenza, tra la fonte di ricchezza su cui grava un tributo locale e

un nuovo tributo regionale”. Si tratta di un’interpretazione piuttosto ampia del

limite di duplicità impositiva, in cui s’identifica la materia imponibile o l’oggetto

imponibile con il fatto imponibile [che impedisce l’imposizione, a cura delle

Comunità Autonome, di tributi sostanzialmente uguali ad un altro di natura

statale, anche se non vi è piena coincidenza sul fatto imponibile] che ha ridotto

ancor più l’ipotetico campo di cui dispongono o potrebbero disporre le Comunità

Autonome ai fini della creazione dei loro tributi. Per quanto il Tribunale avesse già

espresso in una sentenza un po’ datata, la STC 150/1990, F.J.3º, a proposito

della soprattassa del 3% stabilita dalla Regione Madrid sull’IRPF statale, che

“nessuno dei limiti costituzionali condizionanti il potere tributario proprio delle

Comunità Autonome può essere interpretato in modo tale da rendere inattuabile

l’esercizio di quella potestà tributaria”.

Donde le possibilità per le Regioni (Comunità Autonome) di “inventare”

nuove imposte sono straordinariamente limitate, pur se non inesistenti.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’esistenza di una vera e

propria finalità extrafiscale del tributo regionale (di tutela ambientale o un’altra

finalità) [e non fittizia, come avveniva nel caso della STC 289/2000, F.J.5º], non

meramente di esazione, può fungere da base alla Corte Costituzionale per

negare l’esistenza di una duplicità impositiva in relazione alle imposte statali o

locali presenti, dal momento che il loro oggetto di gravame “non ha carattere

contributivo bensì retributivo”, il che evita eventuali confusioni relativamente a

imposte statali o locali finalizzate all’esazione o alla contribuzione. È questo il

caso della STC 168/2004, a proposito del tributo sugli elementi patrimoniali delle

attività di protezione civile, imposto dalla Comunità Autonoma de Catalogna. A

giudizio della Corte Costituzionale, il tributo autonomico in questo caso aveva un

carattere finalistico – il finanziamento per i soggetti passivi dei servizi di

prottezione civile – non versando piú sui beni patrimoniali o sulle attivitá

18

economiche como accade nei tributi locali in gioco nel caso, dal che nessuna

incompatibilitá puó ravissarsi dal punto di vista costituzionale.

Pertanto, un’interpretazione costituzionale ponderata che, nel chiarire la

propria giurisprudenza, fissi la portata e i limiti del doppio divieto di sussistenza di

cui alla Costituzione e alla LOFCA, si delinea quale interpretazione capitale per

ordinare, in futuro, i rispettivi spazi fiscali dei vari livelli di governo.

È altresì vero che le Comunità Autonome che hanno sempre mantenuta

aperta, sin dall’inizio –a partire dalla STC 150/ 1990 della Corte Costituzionale–

la possibilità di avvalersi del meccanismo delle soprattasse sulle imposte statali,

hanno dato prova, sin dall’inizio, di essere scarsamente o per niente interessate

ad accollarsi il costo politico di tale modalità di copertura delle spese cui hanno

preferito, invece, una comoda negoziazione mediante trasferimenti di entrate

dall’Erario dello Stato che, consentiva loro di fare appello altresì al vittimismo

politico e di addurre incessantemente al bisogno di nuovi e maggiori trasferimenti

delle entrate da parte dello Stato.

È evidente che, nello sviluppo graduale delle Stato delle Autonomie, i limiti

definiti nella LOFCA hanno dato luogo a una notevole asimmetria tra le

competenze materiali assunte gradualmente dalle Comunità Autonome e lo

scarso sviluppo del loro potere tributario, il che genera, in ultima istanza, una

situazione di squilibrio finanziario verticale (Prof. RAMALLO MASSANET).

Pare logico ritenere che ogni decentramento delle competenze materiali

debba essere seguito dal relativo decentramento delle competenze finanziarie e

che, nell’ambito di queste, i tributi rappresentino un ruolo più rilevante, sia per

ragioni di autonomia politica degli enti territoriali che per ragioni di uno

stanziamento razionale ed efficace delle risorse nella produzione di beni pubblici.

Orbene, è altresì chiaro che non tutte le distribuzioni delle materie

imponibili tra i vari livelli di governo sono prudenti e convenienti e che non tutte le

ridistribuzioni dello spazio fiscale trovano spazio nella Costituzione, dal momento

che l’autonomia finanziaria deve svolgersi in ogni caso "conformemente ai

principi di coordinamento con l’Erario statale e il principio di solidarietà tra tutti gli

spagnoli" (art. 156.1 CE.), il che deve necessariamente riflettersi in qualsivoglia

ristrutturazione delle materie imponibili.

L’equilibrio dell’Erario regionale nei suoi due rami, quello delle entrate e

quello delle spese, in modo tale che si facciano carico della loro corresponsabilità

19

fiscale, potrebbe essere affrontato in un prossimo futuro, a partire dalla

trasformazione delle imposte statali cedute in imposte regionali (ribadisco un`idea

giá esposta nel 1985). Bisognerà provvedervi, logicamente, con tutta la prudenza

del caso e nel pieno rispetto dei principi di solidarietà, di coordinamento e di

cooperazione interterritoriale tendendo, comunque, chiaramente verso formule di

distribuzione dei tributi nella linea di un federalismo fiscale ove i tributi sono

distribuiti tra i vari livelli di governo, cosicché ogni Erario pubblico si accolli il

potere e la responsabilità fiscale relativi al grado di sviluppo dei propri servizi e

alle proprie politiche pubbliche di spesa.

Probabilmente ciò richiederebbe la riserva, mediante una legge organica di

armonizzazione, o qualcosa di simile, a favore dello Stato, di competenze mirate

derivanti dall’art. 138 CE che garantisce un equilibrio economico adeguato e

giusto tra le varie parti del territorio spagnolo e dagli artt. 139, 157 e 149.1.1ª, 13ª

e 14ª CE, per armonizzare e coordinare la gestione regionale di tali imposte, sia

per garantire la solidarietà interterritoriale, l’uguaglianza relativamente alle

condizioni fondamentali dei cittadini nell’osservanza dei doveri di cui alla

Costituzione, e singolarmente, del dovere di contribuire, e l’unità e la coerenza

del sistema tributario, elemento indispensabile della politica economica del

Governo; nonché per evitare eventuali o possibili conseguenze sia in termini di

tassazione eccessiva o di sovratassazione, che potrebbe conculcare

l’interdizione della portata di confisca del sistema tributario (art. 31.1 CE), nonché

- fatto oggi più frequente - della competitività fiscale al ribasso tra le Comunità

Autonome, fenomeno chiaramente riscontrabile nelle imposte statali cedute, quali

l’imposta sul patrimonio, l’imposta sulle successioni e sulle donazioni e, persino,

nella quota regionale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche fino

all’estremo, della soppressione dell’imposta [caso dell’imposta sulle successioni e

sulle donazioni] in alcune Comunità Autonome.

Un esercizio simile del potere tributario regionale nel suo spazio fiscale

proprio relativamente alle figure impositive [cedute dallo Stato] che occupanti una

posizione fondamentale nell’ambito del sistema tributario statale desta gravi

interrogativi sia sul piano della prospettiva del principio costituzionale di

uguaglianza tributaria e dell’eguale posizione o condizione fondamentale dei

cittadini stante l’adempimento del dovere costituzionale relativo alla contribuzione

20

(art. 31.1. CE e art. 149.1.1ª CE) che su quello dell’omogeneità fondamentale che

consenta di configurare il regime giuridico dell’assetto dei tributi quale vero

sistema e garantirne l’unità quale esigenza indeclinabile dell’uguaglianza degli

spagnoli, fatto questo non incompatibile con le competenze tributarie delle

Comunità Autonome, tanto per usare le parole della Corte costituzionale nella

STC 19/1987, F.J.4º.

E sebbene una certa disuguaglianza fiscale dei cittadini a seguito del

territorio di residenza o a seguito dei beni servizi pubblici prestati nel medesimo,

sia intrinseca in uno Stato politicamente e finanziariamente decentrato, come

attestato dalla Corte Costituzionale, è ovvio che un’uniformità assoluta nel

trattamento giuridico dei diritti e doveri dei cittadini in ogni tipo di materie e su

tutto il territorio nazionale, sarebbe incompatibile con il principio di autonomia

garantito dalla Costituzione (STC 37/1987,F.J 9º e 10º [sull’imposta sulle terre

sottoutilizzate dell’Andalusia] e STC14/1998, F.J.11º D [sull’imposta relativa alle

riserve cinegetiche della legge sulla caccia in Estremadura]). Tuttavia,

l’autonomia, che non è sovranità, come attestato nella STC 4/1981, deve

conformarsi al principio dell’unità della Nazione ove tale principio raggiunge il suo

vero senso, cosicché da conservare una sostanziale unità di regime dei diritti e

dei doveri fondamentali su tutto il territorio dello Stato. A tale riguardo, appare

piuttosto significativa la dottrina della STC 25/1981, F.J.3º e della STC

76/1983,F.J.13º.

Ecco perché, il grande quesito è: “Quanta disuguaglianza personale e

territoriale dei cittadini nell’adempimento del dovere costituzionale di contribuire è

costituzionalmente tollerabile in seno a uno Stato decentrato qual è il nostro Stato

delle Autonomie?” soprattutto laddove ciò avviene nell’ambito di grandi imposte

generali sul reddito o sul patrimonio costituenti l’ossatura del sistema tributario e

mediante cui si persegue la personalizzazione del gravame e la giusta

distribuzione del carico fiscale in base alla capacità economica (STC 182/1997,

F.J.9º).

In secondo luogo, si potrebbe sviluppare anche un campo –che finora ha

avuto un’incidenza minima sul finanziamento regionale di alcuni servizi o politiche

pubbliche – qual è l’utilizzo delle altre figure tributarie diverse dall’imposta quali i

contributi speciali, le tasse e i prezzi pubblici basati sul principio del beneficio

(costo-beneficio dell’utente o del consumatore di beni e servizi pubblici), dove si

21

possono mettere a punto, altresì, meccanismi di stanziamento delle risorse

pubbliche atte a rendere molto più chiaro e visibile agli occhi dei contribuenti e

dei cittadini, il costo fiscale da loro assunto all’atto dell’espressione del loro voto a

favore di una determinata politica pubblica. Si tratta di entrate tributarie che

trovano nell’ambito regionale e in quello locale, ove l’Amministrazione è più vicina

al cittadino e data la natura stessa dei servizi prestati, il luogo più adeguato per il

loro sviluppo.

Infine, un’ultima riflessione sul finanziamento regionale della Spagna,

trasformatosi oramai nella tela di Penelope. Il risultato privilegiato derivante per il

finanziamento delle Regioni forales dal sistema di Convenzione, come abbiamo

visto, un finanziamento rappresentante –secondo uno studio condotto per conto

della Fundación Alternativas dal Prof. del Valle– il 67% in più rispetto alle Isole

Baleari, la regione più penalizzata dall’odierno sistema di finanziamento. Tale

risultato privilegiato, unito alla tradizionale e ormai secolare tendenza

dell’immodificabilità o petrificazione della quota (“cupo”) e, pertanto, al

congelamento delle somme versate dalle Regioni forales a sostegno degli oneri

generali dello Stato e alla solidarietà interregionale, naturalmente inferiore a

quanto dovrebbero effettivamente versare dato il loro livello di reddito,

contravviene a quanto stabilito apertamente dall’art. 138.2 della Costituzione

secondo cui “le differenze tra gli Statuti di Autonomia non possono comportare, in

nessun caso, privilegi economici o sociali”.

Pertanto, non è la Convenzione di per sé, quale derivato del diritto

storico al fuero, tutelato e riconosciuto dalla Costituzione, bensì il risultato

dell’applicazione del regime di Convenzione, sia per quanto riguarda il calcolo e

la fissazione della quota (“cupo”) (opacità e mancata trasparenza degli elementi

tecnici utilizzati a tal fine) che per quanto concerne la modalità d’impiego della

potestà normativa oppure la capacità normativa di alcune imposte nello stabilire

“effetti frontiera” o agevolazioni fiscali che si cimentano con la libera concorrenza,

con la libertà d’impresa, con l’uguaglianza, ecc., a costituire un fattore

d’ingiustizia comparativa che avvelena il dibattito sul finanziamento regionale e

che genera pretese di accordo finanziario da parte delle altre Regioni come

evidenziato, in larga misura, nell’ambito del falso confronto che ha interessato

l’iter di elaborazione e di approvazione dello Statuto di Autonomia della

Catalogna, relativamente alle bilance fiscali territoriali, volto a misurare i flussi

22

fiscali rispondendo a due quesiti: “Come imputare regionalmente le entrate

dell’Erario dello Stato?” e “Come imputarne regionalmente le spese?

Si tratta di un falso dibattito dal momento che le “bilance fiscali”, risultato

del rilevamento dei flussi fiscali mediante un sistema di entrate e uscite [proventi

e spese] e l’elemento risultante – surplus o deficit fiscale – sono, come attestato

dal Prof. SUREDA CARRIÓN “concetti economici vuoti che gli esperti iniziano a

colmare di contenuto quando procedono al compito complesso di definire quali

flussi fiscali registreranno nella partita delle entrate della bilancia e quali nella

partita delle uscite” e “la pubblicazione di questi dati servirà soltanto a dar vita a

un dibattito tra definizioni, di rilevanza accademica alquanto dubbiosa e dal nullo

interesse pratico”. Infatti, le conclusioni cui si può giungere sono valide soltanto

entro i limiti della singolare metodologia scelta da ogni gruppo di studio (i vari

studi condotti in Spagna, partendo da quelli di Antoni Castells e di López

Casanovas fino all’ultimo studio curato da Ezequiel Uriel Sánchez, evidenziano la

disparità dei risultati e la mancata omogeneità risultante dalle metodologie

proprie di ognuno).

Tuttavia, il fatto più negativo del dibattito sulle bilance fiscali territoriali è il

suo utilizzo interessato al servizio di una concezione inconfessata [quella dei

nazionalisti periferici] sulla Nazione spagnola e sullo Stato, apertamente

incompatibile con la Costituzione spagnola e con i cardini stessi su cui essa

poggia. Soprattutto perché travia completamente il senso della problematica

centrale di ogni Erario democratico: la distribuzione, giusta e bilanciata, dei tributi

e delle spese pubbliche tra i cittadini e la funzione ridistributiva del reddito e delle

ricchezze affidata all’Erario pubblico in uno Stato sociale e democratico di Diritto

come proclamato dall’art. 1 della Costituzione, allo scopo di rendere reale e

possibile una società più egualitaria e più giusta. Inoltre, viene tralasciato il

significato dei principi costituzionali di uguaglianza, di solidarietà economica,

politica e sociale, sia personale che interterritoriale, sulla cui base viene imposto

a tutti il dovere costituzionale e civico di contribuire al sostegno della spesa

pubblica (art. 31.1 della Costituzione).

Le imposte non vengono versate dai territori delle Comunità Autonome

bensì dalle persone conformemente alla loro capacità economica, al loro reddito,

al patrimonio e alle spese o ai consumi dichiarati. Il fatto che ciò determini un

trasferimento di risorse o di reddito da una regione più ricca ad un’altra più

23

povera è semplicemente la conseguenza logica di un sistema fiscale moderno

nell’ambito di un Erario democratico come quello previsto dalla Costituzione.

D’altro canto, sia i criteri elementari di razionalità economica che il

rispetto dei principi costituzionali fondamentali (unità dell’ordine economico, unità

di mercato, unità fiscale e di solidarietà interregionale, coordinamento e

cooperazione interterritoriale) rendono impossibile l’ipotesi di frammentazione del

regime tributario in funzione del territorio, estendendo a tutte o a varie Comunità

Autonome il regime di Convenzione economica attualmente in vigore, per ragioni

storiche, alle Regioni forales, in modo tale che ogni territorio provveda al gettito e

gestisca tutte le imposte all’interno del proprio e versi [negozi] all’Erario statale

soltanto una somma o una quota globale per coprire la parte proporzionale

spettante a ogni territorio sia per il sostegno dei servizi generali dello Stato che

per l’osservanza del principio di solidarietà interterritoriale. Ciò comporterebbe,

molto semplicemente, la bancarotta finanziaria dell’Erario statale nonché la

negazione dei principi e delle funzioni attribuite a tale Erario dalla Costituzione.

Sarebbe come ritornare mutatis mutandis al sistema fiscale dei “redditi

provinciali” del vecchio regime, precedente all’unità fiscale della Spagna che

prende avvio con la riforma fiscale di Alejandro Mon – Ramón de Santillán del

1845.

§ 4.- Riflessione finale. Il finanziamento autonomico e lo Statuto della Catalogna.

Il sistema di finanziamento regionale, di cui abbiamo tracciato, per sommi

capi, i tratti distintivi e l’evoluzione, è stato sostanzialmente modificato dal nuovo

Statuto di Autonomia della Catalogna varato il 19 luglio dalla Legge Organica

6/2006, in cui, prendendo spunto dal principio di bilateralità dei rapporti Stato–

Comunità Autonoma della Catalogna, si introducono nuovi criteri di finanziamento

regionale cui viene attribuita una funzione particolarmente rilevante, quasi

determinante, nella definizione e nella concretezza del sistema generale di

finanziamento regionale della Catalogna a tal punto che le norme della LOFCA e

quelle riportate nello Statuto “verranno interpretate armonicamente” (14ª

Disposizione aggiuntiva). Tale fatto può rivelare una grande complessità data la

disparità esistente tra di loro nonché spezzare la necessaria omogeneità del

24

sistema di finanziamento regionale non appena tali criteri verranno estesi e diffusi

alle altre Comunità Autonome a regime comune.

Una questione previa che dev`essere chiaramente stabilita é appunto il

rapporto fra le leggi organiche integranti del blocco della costituzionalitá, per

derivarsi direttamente dalla Costituzione (art.157.3), e gli Statuti di Autonomía.

Ovviamente si tratta di norme de diversa natura, contenuto e portata,

come diversa é anche la procedura per la loro approvazione; tuttavía l`elemento

della loro articolazione no é mai la gerarchía ma bensí la competenza.

Giá abbiamo detto prima che la funzione della LOFCA – parimenti a

quanto accade con le altre leggi organiche prevedute nella Costituzione – é

delimitare l`autonomía e l´esercizio delle competenze finanziarie assumite per le

Comunitá Autonome disciplinando ed condizionando l`esercizio di queste

competenze; per ció, le loro disposizioni non possono essere contravvenite o

semplicemente ignorate dalla Comunitá Autonoma, nemenno per il loro Statuto di

Autonomía. Appunto perché la ragione di essere e la funzione della LOFCA é

proprio il disegno di un sistema di finanziamento regionale dotato di coerenza

interna e di omogeneitá in modo che sia applicabile a tutte le Comunitá

Autonome a regime comune, “eludendo che tale sistema fosse lasciato

esclusivamente a quello che fosse deciso da ciascun Statuto di Autonomía”, per

dirlo con le stesse parole della STC 68/1996,F.J.9º. Appunto per ció la LOFCA

costituisce parametro di costituzionalitá.

Lo Statuto di Autonomia di ogni Comunitá puó, senz`altro, contenere

delle norme e principi riferite al loro finanziamento che complementino ed

svolgano la assai breve regolazione costituzionale dell`Erario regionale (art. 156

a 158 CE), ma sempre che quella regolazione sia integrabile nel insieme del sistema i cuoi elementi strutturali vengono definiti dalla LOFCA e che soltanto allo

Stato compie fissare (art.156 CE e art.149.1.14ª CE). Vale a dire, sempre che

siano riconducibili all´ unitá del sistema di finanziamento autonomico. Questa

unitá del sistema é un corolario dei principi di solidarietá e di coordinamento che

reggono il decentramento politico e finanziario che la Costituzione spagnola

stabilisce.

Ció significa che le norme dello Statuto e quelle della LOFCA devono

essere suscettibili (ed oggeto) di una interprettazione integrale, armonica (vide. la

STC 85/1984,F.J.3º) senza che, in caso di conflitto, devanno necessariamente

25

prevalere quelle statutarie, anzi al contrario, prevalgono quelle della Legge

organica statale che delimita e regolamenta le competenze autonomiche in

materia, cui esercizio si accomoderá allo stabilito in quest`ultima, come

corretamente si diceva nello Statuto catalano di 1979 [D.A.7ª].

É partendo da tali premesse come devono venire valutati gli elementi di

bilateralitá nella regolazione del finanziamento regionale che si contengono nel

Titolo VI dello Statuto della Catalogna, come sono : la Commisione mista per gli

Affari Economici e Fiscali Stato-Generalitá; la Agenzía Tributaria di Catalogna; la

fissazione dei percentuali della partecipazione negli imposte statali ceduti od i

criteri per il finanziamento della Catalogna.

Bisogna avvertire, dinanzitutto, che la bilateralitá e l`asimmetría non

sono,in linea di massima e per se stessi, contrari alla Costituzione od

incompattibili con essa ed i suoi principii di organizzazione territoriale, in

particolare quelli del`Erario regionale. Anzi, fin dai primi momenti del andamento

dello Stato Autonomico e della messa in atto del sistema di finanziamento hanno

coesistito sempre, in tutte le Comunitá Autonome, nei suoi rapporti finanziarie

con lo Stato elementi di bilateralitá e di asimmetria (ad. es. i accordi o patti sul

finanziamento nelle Commissioni Miste paritarie di ogni Comunitá Autonoma

sugli imposte statali ceduti o sulla partecippazione nell`entrate dello Stato; e cosí,

l`Accordo sul modello di finanziamento per il quinquennio 1997-2001 é stato

respinto dalla Andalusía, Castiglia- La Mancia ed Estremadura) al insieme che

elementi di multilateralitá (Accordi nel seno del Consiglio di Política Fiscale e

Finanziaria delle Comunitá Autonome).Senza che ció significhi fare meno delle

competenze esclusive dello Stato ”sull`Erario Generale” (art.149.1.14ª CE) per

conformare, a mezzo la Legge Organica cui si riferisce l`art.157.3 CE, il sistema

di finanziamento autonomico e per preservare l`unitá e coerenza del sistema

fiscale nel suo complesso (STC 192/2000,F.J.4º).

Gli elementi di bilateralitá e di asimmetria, anche in materia di

finanziamento autonomico, sono a gran misura il corolario o conseguenza del

modello stesso di decentramento politico tracciato dal Titolo VIII della

Costituzione poggiante sul cosidetto “principio dispositivo”, sommariamente

riferito al incominciare questa esposizione. E per ció, difficilmente evittabili;

ancorché dopo piú di 25 anni di svolgimento dello Stato Autonomico (sopratutto

dopo i Patti Autonomici dal 1992) abbiano primato nei rapporti Stato-Comunitá

26

Autonome – oltre gli elementi di omogeneitá e di uglianza competenziale – i

meccanismi di multilateralitá (il Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria delle

Comunitá Autonome) a mezzo i quali si ha voluto cercare una omogeneitá negli

accordi di finanziamento; meccanismi di multilateralitá, fra l`altro, sempre

incompiuti a mancanza della precisa e necessaria riforma del Senato per

ricondurlo, in maniera effetiva,alla funzione di Camera di Rappresentanza

Territoriale che la Costituzione li ha assegnato (art.69.2 CE).

Peró conviene,anche, avvertire che questa bilateralitá nei rapporti

finanziarie Stato-Comunitá Autonome, possibilitata dalla Costituzione e dalla

LOFCA, non ha nulla a che vedere con i sogni nazionalisti che vorrebero

associarla ad una sorte di “sovranitá compartita”, di rapporti finanziarie fra uguali,

senza sottordinazione gerárchica e “sotto un coordinamento fiscale (europeo)

unico” (G.LÓPEZ CASASNOVAS); oppure che “finisce con il attuale soggezione

dello Statuto alla LOFCA ed vieni a porre entrambi norme nello stesso piano”

(Miquel ICETA), concezzione che é radicalmente incompattibile con la

Costituzione. Poiché come ha dichiarato la Corte Costituzionale “non si puó

discutere la posizione di superioritá che costituzionalmente corrisponde allo Stato

come conseguenza del principio di unitá e del supremo interesse della Nazione”

(STC 76/1983,F.J. 13º).

Per tutto ció,le norme della LOFCA e le norme contenute nello Statuto

“devono essere interpretati armonicamente”,senz`altro (Disposizione Aggiuntiva

14ª dello Statuto di Catalogna e Disposizione finale della LOFCA), peró avvendo

sempre presente la rispettiva posizione di ambedue norme nel ordine

costituzionale di distribuzione di competenze.

Armónica integrazione normativa che, al di lá della lógica, puó rivelarsi

un compito assai difficile e di grande complessitá data la disparitá di filosofia di

ambedue testi legali; siccome la disparitá di criteri di finanziamento in cui si

fondano, che puó spezzare l`equilibrio e la necessaria omogeneitá del sistema di

finanziamento regionale non appena tali criteri verrano estesi e diffusi alle altre

Comunitá Autonome a regime comune (se ció risulta possibile).

Nella prima reunione del Consiglio di Política Fiscale e Finanziaria avuta

nel mese di settembre, dopo la approvazione dello Statuto della Catalogna, si

hanno rivelato in modo palese le difficoltá di un simile finanziamento a libera

richiesta di ogni Comunitá (a la carta),al estendere a tutt`esse il criterio del

27

percentuale del PIL regionale in investimenti statali che si é varato per la

Catalogna nel suo Statuto [il 18,8% nel 2006], per la inviabilitá e per la

insolidarietá in esso portante. Lo stesso Ministro delle Finanze, Pedro Solbes, in

occasione della presentazione in Parlamento del disegno di Bilancio dello Stato

per il 2007, é stato costretto ad avvertire che “il sudoku [del bilancio] puó

complicarsi fin al infinito” (sic) per la difficoltá di quadrare i conti pubbliche se tali

criteri di investimento statale si generalizzassero”

Il nuovo Statuto della Catalogna prende spunto dal modello di

finanziamento definito dalla LOFCA, nelle sue varie riforme e nelle Delibere del

Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria che, come abbiamo visto, combinava,

con intensità varia, le risorse finanziarie derivanti dalla partecipazione alle entrate

dello Stato, dalle imposte statali cedute, in toto o in parte, e dagli stessi tributi.

Tuttavia, fa un passo in più e configura un modello basato su una maggiore e più

ampia cessione delle imposte statali, con il riconoscimento, inoltre, della capacità

normativa sulle medesime affiancata dalla gestione tributaria da parte del

Governo (Generalidad) catalano; non soltanto su tali imposte ma anche sulle

altre imposte statali riscosse in Catalogna per il tramite di un Consorzio con

l’Agenzia tributaria dello Stato, cosicché l’Agenzia tributaria della Catalogna potrà

trasformarsi in Amministrazione tributaria ordinaria (unica) in Catalogna; fino al

estremo che la Generalitá di Catalogna assume le competenze in materia di

revisione in via amministrativa degli atti di gestione tributaria della Agenzia

Tributaria di Catalogna, riducendosi le competenze della Amministrazione

generale dello Stato (Tribunali Economico-Amministrativo Regionale e quello

Centrale) a la semplice “unificazione della dottrina” [amministrativa]:

- il 50% dell’IRPF, con un aumento delle competenze normative su tale

scaglione dell’imposta (imposizione dell’aliquota impositiva, delle

esenzioni, delle detrazioni e delle agevolazioni sull’imponibile o sulla

quota);

- il 50% del gettito dell’IVA, determinato in funzione dei consumi sul

territorio regionale, con cessione delle competenze normative nelle

operazioni al dettaglio;

- il 58% della rendita delle imposte speciali: sugli idrocarburi, sulle attività

del tabacco, sull’alcool e sulle bevande derivate, sulla birra, sul vino e

sulle bevande fermentate e imposte sui prodotti intermedi, con la

28

cessione delle competenze normative nel regime tributario al dettaglio

dei prodotti su cui gravano imposte speciali di fabbricazione.

ha ribadito la Corte Costituzionale, “gli Statuti di Autonomia, nonostante la

sua forma di legge organica, non sono strumenti ne utili ne

costituzionalmente adeguati, per la sua natura e modo di approvazione La

portata e condizioni della cessione verrano stabilite dalla Comissione mista

di Affari Economici e Fiscali Stato-Generalitá, organo bilaterale di

composizione paritaria per i rapporti con lo Stato in questa materia. Il

Governo tramitterá la delibera della Comissione come un disegno di legge

(Disposizione Aggiuntiva 12ª). Siamo di fronte ad una specie di “accordi

normativi” di effeto vincolante per le parti.

Ma é alquanto dubbio che lo Statuto (come fa la sudetta D.A.) possa fissare

il percentuale della cessione degli imposte statali sui quali non ne ha la

competenza, predeterminando il contenuto di decisioni statali ed imponendo

un mandato al potere legislativo dello Stato sul contenuto della Legge di

Cessione dei Tributi. Nemmeno il carattere “pattato od concordato” che di

solito si attribuisce alla norma statutaria o la suggerenza di che quello che si

predetermina é soltanto il contenuto di un futuro dissegno di legge cui

elaborazione spetta al Governo della Nazione, consentono, al mio avviso,

sollevare questa obbiezione. La ragione é ben chiara e ha a che vedere con

il rapporto fra norme integranti del blocco della costituzionalitá in presenza

in questa materia e che abbiamo rilevato prima. Come chiaramente, per

compiere trasferimenti o deleghe di competenze di una materia de titolaritá

statale consentite dall`art.150.2 della Costituzione”.... poi “lo Statuto é il paradigma degli strumenti giuridici di autorganizzazione, il trasferimento e la

delega entrano invece nell`ambito della heterorganizzazione” (STC

56/1990,F.J.5º).

Inoltre, in tanto si tratta di una questione chi riguarda al sistema di

finanziamento regionale nel suo insieme (multilateralitá) dev`essere

accordata per lo Stato a mezzo di una apposita legge generale e con il

dibattito di tutte le Comunitá Autonome. A meno che si affermi (e non é

mancato chi lo abbia fatto) che nella Costituzione spagnola non c`é [e non si

impone] nessuna concezione dell`Erario come un Erario di coordinamento,

oppure che non fa parte consostanziale del contenuto costituzionale della

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LOFCA la determinazione dei percentuali della cessione dei tributi statali

alle Comunitá Autonome.

Nello Statuto della Catalogna vengono fissati alcuni criteri che

determineranno e condizioneranno, inevitabilmente, il sistema di finanziamento

delle Comunità Autonome. Infatti si stabilisce che:

- gli investimenti dello Stato in infrastrutture nella Catalogna,escluso il

Fondo di Compensazione Interterritoriale(!!), in un lasso di tempo di 7

anni, si equipareranno al PIL della Catalogna in relazione alla Spagna

presa nel suo insieme (6ª Disposizione aggiuntiva). Un vero privilegio

per la Catalogna che urta in modo palese con i principi di coordinamento

e di solidarietá interterritoriale della Costituzione e della LOFCA; criterio

fra l`altro di molto difficile, e forse impossibile, generalizzazione alle

restanti Comunitá Autonome, poiché favorisce particolarmente a quelle

regioni piú ricche; appunto per ció la Andalusia si é disposto

fretturosamente ad domandare (nel suo Statuto adesso a dibattito nelle

Camere) che il criterio applicabile nel suo caso sia quello del equivalente

al peso della popolazione sul totale complessivo della Spagna.

- il livello delle risorse finanziarie disponibili per la Catalogna si fisserà

secondo criteri di “fabbisogno di spesa” [determinato in funzione della

popolazione, rettificato in base ai costi differenziali e alla demografia;

della densità di popolazione, della popolazione immigrante e della

densità dei centri abitati], della “capacità fiscale” e dello “impegno o

sforzo fiscale”.

Il modello si chiude con una nuova formula di articolazione della solidarietà

e della compensazione finanziaria interterritoriale, che tiene conto dell’apporto

finanziario della Catalogna ai servizi generali prestati dallo Stato nel territorio, che

pur non equiparato al regime di Convenzione economica, intende avvicinarsi in

quanto ai risultati. È significativa l’istituzione di un aggiornamento quinquennale

del sistema di finanziamento a cura di una Commissione mista per gli Affari

economici e fiscali Stato-Governo catalano (Generalitat) (art. 212).

Infatti, nell’ambito dello Statuto della Catalogna vengono messi a punto

nuovi criteri inerenti l’applicazione dei meccanismi di conguaglio finanziario o di

30

livellamento con cui s’intende attuare – come non poteva essere altrimenti - al

mandato costituzionale di solidarietà interregionale di cui agli artt. 138 e 139 CE.

Tuttavia, in seguito s’introducono limiti alquanto chiari e precisi alla funzione di

ridistribuzione territoriale del reddito e della ricchezza derivante dall’applicazione

del sistema tributario e dell’odierno sistema di finanziamento regionale dato che:

- il contributo ai meccanismi di livellamento e di solidarietà avverrà

conformemente al principio di trasparenza e si valuterà a cadenza

quinquennale;

- il finanziamento non deve comportare effetti discriminatori per la

Catalogna nei riguardi delle altre Comunità Autonome;

- il livello delle risorse finanziarie della Catalogna (determinati in base ai

criteri suddetti) potrà essere “regolato” affinché il sistema generale di

finanziamento disponga di risorse sufficienti a garantire il livellamento e

la solidarietà con le altre Comunità Autonome, vale a dire che i servizi

relativi all’istruzione, alla sanità e altri servizi sociali essenziali dello

Welfare State (Stato assistenziale) prestati dai vari governi regionali

possano raggiungere livelli analoghi nell’insieme dello Stato, pur tuttavia

con una restrizione importante: “purché [i vari governi regionali]

effettuino uno sforzo fiscale anch’esso analogo” a quello della

Catalogna. Ma ¿cos`é uno sforzo fiscale analogo, come si definisce e

come si fa a calcolarlo, date le ben note differenze esistenti, sia in

reddito che in richezza, fra le Comunitá Autonome?.

- Lo Stato garantirà che l’applicazione dei meccanismi di livellamento non

alteri in alcun caso la posizione della Catalogna nell’ambito

dell’ordinamento dei redditi pro capite tra le Comunità Autonome prima

del livellamento (art. 208.5). É il cosidetto “principio di ordinalitá”, come

limite generico alla solidarietá interterritoriale, che é stato presso dal

Diritto tedesco ed in particolare dalla Sentenza della Corte

Costituzionale Federale (Bundesverfassungsgericht) del 11 novembre

1999 in proposito della Legge di Compensazione Finanziaria

[Finanzausgleichgesetz] fra la Federazione ed i Länder. Principio

assolutamente novedoso ed strano ai criteri e principi del sistema

disegnato dalla LOFCA, ma che in ogni modo non compie stabilire

unilateralmente allo Statuto di una Comunitá Autonoma ma corrisponde

31

esclusivamente allo Stato mediante una apposita modifica della LOFCA,

in quanto affeta a tutte le Comunitá a regime comune.

Si tratta di limitazioni con cui s’intende “equilibrare” la sua bilancia fiscale: cioé,

quanto apportato dalla Catalogna alle entrate fiscali dello Stato e le risorse

finanziarie corrispondentemente ricevute. Un’idea che, come segnalato in

precedenza, è profondamente regressiva e per niente solidale e che sovverte i

principi e la configurazione dell’Erario pubblico di cui alla nostra Costituzione.

I criteri di finanziamento stabiliti dal nuovo Statuto della Catalogna

privilegiano chiaramente a questa Comunitá ed a altre regioni ricche, a maggior

reddito ed economie più dinamiche contrariamente a quanto avviene per le

regioni meno abbienti e meno sviluppate, il che unito ai massimali previsti per la

ridistribuzione interterritoriale del reddito via il sistema fiscale e per la solidarietà,

è destinato a provocare aggravi comparativi e fortissime tensioni politiche con

altre Comunità Autonome nonché gravi problemi di legittimità costituzionale data

la mancanza di solidarietà implicita.

L’effetto ridistributivo derivante dall’odierno sistema di finanziamento

regionale – che fa sì che le risorse apportate dalle Comunità Autonome alle

entrate fiscali dello Stato sia direttamente proporzionale al loro livello di reddito e

di ricchezza mentre quanto ricevuto dalle entrate generate dallo Stato nel suo

insieme sia inversamente proporzionale al loro livello di reddito o di ricchezza –

illustra chiaramente la gravità e la portata delle conseguenze.

Naturalmente la LOFCA prevede eventualmente un canale legale di

correzione delle disuguaglianze finanziarie tra le Comunità Autonome, sia

mediante il Fondo di compensazione interterritoriale che mediante il Fondo di

sufficienza finanziaria, oppure mediante gli appositi stanziamenti nel Bilancio

generale dello Stato. Tuttavia, i problemi derivanti da un sistema di finanziamento

regionale basato sui principi e sui criteri di cui allo Statuto della Catalogna, non

appena interesseranno tutte le Comunità Autonome a regime comune,

riguarderanno non soltanto la legitimitá costituzionale e la solidarietá

interterritoriale ma anche la sostenibilità e l’equilibrio del modello.

Infatti, lo Statuto della Catalogna suppone un forte assottigliamento del

muscolo finanziario dello Stato nelle sue fonti delle entrate che, pur se nel

momento attuale di prosperità e di crescita economica, non sembra pregiudicare

l’attuabilità del sistema, nelle fasi di depressione del ciclo, caratterizzate da

32

un’accusata contrazione dell’attività economica, da disoccupazione e da

dissavanzo del bilancio, potrebbe intaccare seriamente la capacità fiscale dello

Stato e l’equilibrio dei conti pubblici, con il rischio di compromettere la funzione

che allo Stato spetta nella correzione degli squilibri economici regionali e nel far

effettivo il principio costituzionale della solidarietá.

D’altro canto, è motivo di preoccupazione il fatto che l’ormai tradizionale

tendenza degli Erari territoriali a cercare in fonti esogene di finanziamento la

copertura della propria spesa pubblica – già più volte denunciata dalla dottrina

accademica – non soltanto non viene corretta nel modello dello Statuto della

Catalogna ma viene rafforzata fino all’estremo di svuotare le fonti delle entrate

del’Erario dello Stato.

L’assottigliamento finanziario dello Stato può pregiudicare in futuro – con

congiunture economiche meno favorevoli e la prevedibile riduzione dei

trasferimenti dei fondi strutturali dell’Unione europea, man mano che la Spagna

converge verso la media del reddito dell’Unione – la capacità di finanziamento dei

programmi statali di spesa destinati a politiche nazionali o infrastrutturali

d’interesse comune per tutti gli spagnoli, qualunque sia il loro territorio di

residenza.

Per quanto riguarda la spesa pubblica, lo Statuto di Autonomia della

Catalogna introduce una norma di valenza e di portata tutt’altro che trascurabili.

Lo Stato ha usufruito sempre di un potere di spesa (spending power) da

imputare al Bilancio generale e il cui esercizio ha suscitato numerosi conflitti con

le Comunità Autonome quando veniva esercitato su materie o nell’ambito di

competenze assunte dalle Regioni nei loro Statuti. La giurisprudenza

costituzionale è stata copiosa e ha espresso chiaramente tale conflittualità finché

la STC 13/1992 [relativa alla Legge di Bilancio dello Stato] e la STC 79/1992

[relativa ai Fondi strutturali FEOGA7 dell’Unione europea] ha cercato di risolverla

con una dottrina equilibrata, conciliando il principio di sovranità finanziaria (di

spesa) dello Stato nella sua azione di sovvenzione [che le consente di porre il

suo potere di spesa al servizio di una politica di equilibrio sociale in settori che ne

abbiano bisogno, quale attuazione dei mandati o delle clausole costituzionali

7 FEOGA: Fondo Europeo de Orientación y de Garantía Agrícola [NdT].

33

generiche, come quelle del Capitolo III del Titolo I, il cui espletamento spetta, in

via prioritaria, a chi dispone di una maggiore capacità di spesa (STC

13/1992,F.J.7º)] e l’ordine statutario di distribuzione delle competenze, evitando

lo spiazzamento di quelle competenze decentrate a favore delle Comunità

Autonome.

Non si verifica, dunque, una perdita assoluta di potere da parte dello Stato

per eventuali interventi in tali materie –ad esempio, l’Assistenza sociale–

attribuite esclusivamente dagli Statuti di Autonomia alle Comunità Autonome, dal

momento che lo Stato può detenere competenze concorrenti in forza di titoli

riconosciuti dalla Costituzione, finalizzati all’attuazione di politiche sociali atte a

garantire:

a) le condizioni fondamentali dell’uguaglianza nell’esercizio o nel godimento

dei diritti costituzionali (singolarmente, per quanto interessa in questo momento, i

diritti sociali del Capitolo III del Titolo I) (art. 149.1.1ª CE);

b) l’attuazione dei mandati costituzionali relativi all’uguaglianza degli

spagnoli ovunque sul territorio dello Stato (art. 139.1 CE);

c) la solidarietà interterritoriale e la coesione sociale su tutto il territorio

nazionale (artt. 2 e 138.1; artt. 156.1 e 158.2 CE).

Funzioni spettanti allo Stato, intrinseche alla sua natura di Stato sociale e

democratico di Diritto propugnato dall’art. 1.1 CE.

Di conseguenza, in molti casi (sebbene non in tutti), la Corte Costituzionale

ha dichiarato la territorializzazione dei fondi statali di modo che possano essere

gestiti, in forma decentrata, dalle Comunità Autonome competenti in materia

(STC 13/1992, F,J. 9º).

Or bene, il nuovo Statuto della Catalogna fa un passo in più per riuscire a

ottenere (benché parzialmente) quanto non ottenuto in precedenza dalla Corte

Costituzionale, vale a dire la totale territorializzazione dei fondi budgetari in azioni

d’incentivazione settoriale espletate nel territorio della Catalogna; “il Parlamento

catalano (Generalitat) partecipa alla determinazione del carattere non

territorializzabile delle sovvenzioni statali e comunitarie. Partecipa, altresì, nei

termini fissati dallo Stato, alla loro gestione e formalità” (art. 114.5 Statuto della

Catalogna). In altre parole, precisamente quelle che la STC 13/1992 (v.gr. le

partite budgetarie del Bilancio Generale dello Stato dello 0,52% del gettito

34

dell’IRPF destinati ad altri fini d’interesse sociale) e la STC 79/1992 (fondi del

FEOGA) avevano dichiarato che non potevano essere oggetto di

territorializzazione e che spettavano allo Stato, mediante la gestione centralizzata

dei fondi da parte di organismi dell’Amministrazione generale, quando ciò fosse

imprescindibile per garantire la piena effettività delle misure nell’ambito

dell’ordinamento di base del settore; le medesime possibilità di acquisizione e di

godimento da parte degli eventuali destinatari su tutto il territorio nazionale o per

evitare il superamento della somma complessiva dei fondi statali destinati al

settore.

Cioè che era in precedenza competenza esclusiva dello Stato diviene ora

competenza condivisa non perché così lo disponga la Costituzione ma perché lo

prevede lo Statuto di Autonomia.

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