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Capitolo 3 Teorie alternative dell’equilibrio economico Il sistema economico è in equilibrio quando l’offerta trova sul mercato una domanda uguale e corrispondente: in questo caso le imprese riescono a vendere a prezzi remunerativi tutto ciò che è stato prodotto e mantengono i livelli di produzione e di occupazione. Al contrario se ciò che è prodotto non è interamente venduto sul mercato, se la domanda non è in grado di assorbire l’offerta, le imprese cercheranno di diminuire l’offerta riducendo la produzione ed accrescendo la disoccupazione. Si possono considerare due impostazioni teoriche che spiegano in misura contrapposta il funzionamento del sistema economico e la determinazione del reddito di equilibrio: l’impostazione che definiamo liberista e quella keynesiana. Si tratta di impostazioni teoriche estremamente semplificate che vengono espressamente esposte in modo contrapposto. 3.1 L’impostazione liberista La prima impostazione, quella liberista, si basa su tre presupposti fondamentali: a) l’esistenza di mercati perfettamente concorrenziali e perfetta flessibilità dei prezzi.

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Capitolo 3

Teorie alternative dell’equilibrio economico

Il sistema economico è in equilibrio quando l’offerta trova sul mercato una domanda uguale e corrispondente: in questo caso le imprese riescono a vendere a prezzi remunerativi tutto ciò che è stato prodotto e mantengono i livelli di produzione e di occupazione. Al contrario se ciò che è prodotto non è interamente venduto sul mercato, se la domanda non è in grado di assorbire l’offerta, le imprese cercheranno di diminuire l’offerta riducendo la produzione ed accrescendo la disoccupazione.

Si possono considerare due impostazioni teoriche che spiegano in misura contrapposta il funzionamento del sistema economico e la determinazione del reddito di equilibrio: l’impostazione che definiamo liberista e quella keynesiana. Si tratta di impostazioni teoriche estremamente semplificate che vengono espressamente esposte in modo contrapposto.

3.1 L’impostazione liberista

La prima impostazione, quella liberista, si basa su tre presupposti fondamentali:

a) l’esistenza di mercati perfettamente concorrenziali e perfetta flessibilità dei prezzi.

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Mario Oterisulla base di questo presupposto esiste sempre un prezzo che è in grado di portare in equilibrio domanda ed offerta. Non è possibile che su un mercato si possa verificare un eccesso di produzione: il prezzo tenderebbe a ridursi sino a portare in equilibrio domanda e offerta. Analogamente un aumento dei prezzi porterebbe il mercato in equilibrio in caso di un eccesso di domanda sull’offerta.

b) la legge degli sbocchi o Legge di Say.per la Legge di Say tutto ciò che è prodotto trova sempre sul mercato una domanda corrispondente. Infatti poiché il valore della produzione è identico al valore dei redditi distribuiti , se l’ammontare del reddito è speso interamente, tutto ciò che è prodotto troverà sempre sul mercato una domanda in grado di acquistarlo. Com’è noto le famiglie spendono direttamente una parte del reddito per acquistare beni di consumo mentre una parte viene ad essere risparmiata. Secondo questa impostazione le famiglie sono disposte a risparmiare, cioè a rinunziare al consumo presente, soltanto se possono avere un consumo futuro maggiore. In altri termini sono disposti a non consumare oggi solo se possono ottenere sul reddito risparmiato un interesse positivo : essi considerano infatti il risparmio come una funzione crescente del tasso d’interesse di mercato. D’altra parte l’Investimento, cioè la spesa fatta dalle imprese per acquistare beni che servono a produrre altri beni, dipende dallo stesso tasso d’interesse: infatti le imprese prendono a prestito i mezzi necessari per effettuare la spesa per gli investimenti pagando il tasso d’interesse previsto dal mercato. Esiste perciò sempre, sul mercato, un tasso d’interesse in grado di portare in equilibrio Risparmi e

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Teorie alternative dell’equilibrio economicoInvestimenti. In tal modo ciò che non è speso dalle famiglie viene ad essere speso dalle imprese.

c) la teoria quantitativa della moneta.secondo questa teoria la moneta può influenzare soltanto il livello generale dei prezzi e le altre variabili monetarie ma non ha effetti sul livello del reddito e sulle altre variabili reali. La teoria quantitativa si basa su una semplice identità :

M v = p Y la quantità di moneta in circolazione(M) per la sua velocità di circolazione (v) è sempre uguale al valore del reddito monetario dato dal reddito reale (Y) per il livello generale dei prezzi (p). Questa identità si trasforma nella Teoria quantitativa della moneta assumendo che la velocità di circolazione della moneta è costante e che il reddito è dato al livello di pieno impiego e non può variare. I liberisti ritengono che la moneta abbia solo la funzione di mezzo di pagamento e sia perciò domandata (= tenuta) solo per fare fronte alle spese che si devono effettuare, visto che non vi è coincidenza fra incassi ed esborsi. Poiché le abitudini di spesa sono abbastanza standardizzate ( Natale, fine settimana, vacanze estive, pagamento imposte etc.) la quantità di moneta domandata è stabile e, di conseguenza, anche la sua velocità di circolazione, cioè il numero di scambi che la moneta può sostenere nel sistema economico in un determinato periodo di tempo. Avremo perciò _ _

Mv = pYNe consegue che un aumento della quantità di moneta (M) potrà fare aumentare soltanto il livello generale dei prezzi (p)

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Mario Oteridato che la velocità di circolazione (v) è costante e il reddito reale (Y) è determinato al livello di pieno impiego e non può aumentare. In altri termini un aumento della quantità di moneta ha come unica conseguenza l’aumento dei prezzi ma non ha alcun effetto sul reddito reale e sulla quantità di prodotto.

Sulla base dei tre presupposti illustrati, l’impostazione liberista afferma che il sistema economico è in grado di garantire un equilibrio di pieno impiego se lasciato libero di operare secondo le regole della concorrenza e se non vi sono rigidità che impediscono la perfetta flessibilità dei prezzi.

La perfetta flessibilità dei salari è in grado di assicurare sul mercato del lavoro un equilibrio di piena occupazione. Infatti l’esistenza di disoccupazione è determinata da un eccesso di offerta sulla domanda di lavoro: si verifica se al livello attuale di salario reale i lavoratori offrono più lavoro di quanto le imprese non siano disposte ad assumerne. Ma se i salari sono perfettamente flessibili l’eccesso di offerta fa diminuire i salari monetari ( e quindi reali) portando ad una situazione di equilibrio dove domanda e offerta sono uguali.Questo è un equilibrio di pieno impiego poiché tutti quelli che vogliono lavorare a quel salario possono trovare occupazione: non esiste disoccupazione involontaria. Può essere disoccupato soltanto chi sceglie di non lavorare al salario di equilibrio, si tratta di disoccupazione volontaria .

Poiché siamo nel breve periodo la disponibilità di fattori produttivi ( impianti, macchinari, etc.) e il livello delle tecniche sono da considerarsi dati, cioè non modificabili, dato il numero di lavoratori occupati si determina, attraverso la funzione di produzione, la quantità di output prodotta nel

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Teorie alternative dell’equilibrio economicosistema economico: si tratta del livello di produzione di pieno impiego che è determinato indipendentemente dal livello generale dei prezzi. Data l’offerta di pieno impiego, la domanda aggregata, cioè la spesa per consumi e investimenti del settore privato e del settore pubblico e la spesa netta proveniente dal resto del mondo (export meno import), determina il livello generale dei prezzi. La flessibilità del tasso d’interesse , eguagliando risparmio e investimento, fa sì che tutto quello che viene offerto sul mercato trovi una domanda in grado di assorbirlo, come sostenuto dalla Legge di Say. Un aumento di una componente della spesa, necessariamente finanziata dalla creazione di una maggiore quantità di moneta, ha come unico effetto quello di fare aumentare il livello dei prezzi lasciando invariata la quantità offerta al livello di pieno impiego. Infatti anche se l’iniziale aumento dei prezzi dovesse ridurre il salario reale , accrescendo la domanda di lavoro, si determinerebbe sul mercato del lavoro un eccesso di domanda sull’offerta che spingerebbe il salario nominale verso l’alto riportando il salario reale al precedente livello di equilibrio. Quindi un aumento della domanda sostenuto da una crescita della quantità di moneta avrebbe come unico effetto quello di fare aumentare il livello generale dei prezzi e il salario nominale, lasciando invariati il livello di occupazione, il livello di produzione e il salario reale, confermando la dicotomia ( separazione) fra settore reale e settore monetario e la neutralità della politica monetaria previste dalla teoria quantitativa della moneta.

Secondo l’impostazione liberista il livello del reddito dipende dalla capacità del sistema economico di produrre beni e servizi, cioè dalla disponibilità di risorse, dalla loro

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Mario Oteriorganizzazione, dalla produttività dei fattori, dal livello della tecnica. Sono perciò essenziali per la crescita fattori come l’istruzione, la ricerca scientifica di base ed applicata, la realizzazione di forme concorrenziali sia sul mercato dei fattori che sul mercato delle merci. Può anche determinarsi una situazione di equilibrio con disoccupazione ma questa dipende dal fatto che il potere dei sindacati impedisce una diminuzione dei salari nominali, ovvero che l’esistenza di normative sociali vincolano la flessibilità dell’occupazione etc.( rigidità dei salari e dell’occupazione).

3.2 L'impostazione keynesiana e l'equilibrio del reddito nazionale

Secondo l'impostazione keynesiana il sistema economico può trovarsi in una situazione di equilibrio pur senza raggiungere il pieno impiego delle risorse: equilibrio dunque con disoccupazione.

I keynesiani mettono in discussione i presupposti sui quali si basa l'impostazione liberista. Innanzitutto negano che in una moderna economia di mercato la concorrenza perfetta sia prevalente: l'oligopolio e la concorrenza

monopolistica sono invece le forme di mercato più diffuse. I prezzi non sono perfettamente flessibili ma sono invece rigidi verso il basso: piuttosto che ridurre i prezzi le imprese preferiscono ridurre la quantità prodotta e l'occupazione.Negano anche che il mercato del lavoro possa essere un mercato di concorrenza perfetta con salari flessibili dove

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Teorie alternative dell’equilibrio economicol’incontro fra domanda e offerta determina sempre un salario di equilibrio e il pieno impiego delle risorse. Ritengono questo tipo di impostazione poco credibile: assumere che i salari siano sempre al livello di equilibrio e che il mercato del lavoro sia perfettamente concorrenziale , significa ignorare una serie di elementi, come ad esempio la forza dei sindacati e la qualificazione del lavoro, che hanno evidente influenza sul livello del salario. In effetti tanto maggiore la forza o l’organizzazione dei sindacati tanto più elevato tende ad essere il livello dei salari, così come aumenta il potere contrattuale del lavoratore a seconda della sua qualificazione. D’altra parte sono evidenti le differenze fra i paesi: il mercato del lavoro nei paesi anglosassoni, cioè negli Stati Uniti e nel Regno Unito è diverso dal mercato del lavoro nei paesi dell’Europa continentale, dove ci sono maggiori garanzie, ed entrambi i mercati sono diversi da quello del Giappone dove l’identificazione del lavoratore con l’azienda è molto forte, l’azienda diventa “la famiglia” del lavoratore. Al di là di queste differenze considerano, comunque, alcuni elementi comuni a tutti i mercati del lavoro: innanzitutto il fatto che i salari tendono a mantenersi al di sopra di quello che si chiama salario di riserva, cioè il salario minino che il lavoratore è disposto ad accettare per rimanere nell’impiego. In effetti i contratti dei lavoratori hanno una durata temporale piuttosto ampia e non vengono messi in discussione continuamente: anche se le condizioni del mercato spingono i salari verso il basso nelle nuove contrattazioni, quelli già siglati continuano a mantenere un livello più elevato sino alla scadenza. Altro elemento comune è considerato il fatto che il livello dei salari è fortemente influenzato dalle condizioni esistenti sul mercato del lavoro. E’ noto che il livello del

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Mario Oterisalario è diverso a seconda che sul mercato del lavoro esista un elevato livello di disoccupazione ovvero si sia vicini al pieno impiego: tanto maggiore il livello di disoccupazione tanto più elevato l’eccesso dell’offerta di lavoro sulla domanda e tanto minore tende ad essere il livello dei salari. Anche l’esistenza di vincoli ed elementi normativi ed istituzionali possono influenzare il livello del salario: ad esempio alcuni economisti americani ritengono che un sussidio di disoccupazione troppo elevato permetta ai lavoratori di non accettare qualunque offerta di lavoro e, quindi, spinge verso l’alto il livello dei salari.

Si nega poi la validità della Legge di Say. Non è vero che ogni offerta sia in grado di creare la propria domanda sul mercato ma il contrario: è il livello della domanda aggregata che determina il livello dell'offerta. Si afferma, infatti, che non necessariamente il tasso d'interesse porta in equilibrio Risparmi e Investimenti. I risparmi sono decisi dalle famiglie sulla base del reddito corrente piuttosto che del livello del tasso d'interesse: anche se il tasso d'interesse dovesse essere particolarmente elevato, se le famiglie si trovano con un reddito basso, appena sufficiente a coprire le spese essenziali, difficilmente risparmiano. Solo quando il reddito è elevato le famiglie restano con una parte del loro reddito non speso (= Risparmio) dopo avere effettuato la spesa per consumi. Ma non è detto che questo reddito sia dato a prestito a chi deve fare investimenti: se le prospettive sono negative può essere più conveniente mantenere questo reddito in forma liquida , detenere cioè moneta, piuttosto che acquistare titoli. D'altra parte non è detto che le imprese siano disposte ad effettuare investimenti anche se il tasso d'interesse è basso. Infatti la spesa per Investimenti è fatta dalle imprese per accrescere il

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Teorie alternative dell’equilibrio economicoreddito futuro e ottenere maggiori profitti: se le prospettive sono negative, se i rendimenti attesi non coprono i costi da sostenere, nessuna impresa può essere disposta ad investire anche se il tasso d'interesse è basso. In una moderna economia di mercato la crisi non è legata alla scarsità di mezzi, che non permette di impiegare risorse in modo produttivo, ma si può verificare nell'abbondanza di mezzi quando,per l’insufficienza della domanda di mercato, le imprese rinunziano ad utilizzare le risorse esistenti. Se le aspettative sono negative, le imprese hanno già fermato gli impianti e chiuso gli stabilimenti licenziando lavoratori, difficilmente fanno nuovi investimenti per accrescere la capacità produttiva.

Anche la teoria quantitativa della moneta è messa in discussione. Si ritiene che la velocità di circolazione della moneta non sia stabile ma possa variare dato che gli operatori tengono moneta non solo come mezzo di pagamento, per fare fronte alle loro spese, ma anche come riserva di valore in alternativa ad altri strumenti finanziari, come titoli, obbligazioni etc. In relazione alle aspettative sull'andamento dei mercati finanziari, gli operatori possono ritenere più conveniente vendere titoli e detenere moneta facendo diminuire la sua velocità di circolazione. D'altra parte il livello del reddito non è necessariamente quello di equilibrio di pieno impiego ma può variare in relazione all'andamento della domanda aggregata. Se il livello del reddito di equilibrio e la velocità di circolazione della moneta possono variare viene meno la teoria quantitativa della moneta e, con essa , la separazione fra settore reale e monetario del sistema economico (dicotomia) e la neutralità della politica monetaria che può influenzare, invece, le variabili reali.

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Secondo l’impostazione keynesiana il livello di equilibrio del reddito dipende dal livello della domanda aggregata. Dato il livello della domanda aggregata le imprese adeguano l’offerta, determinando la quantità da produrre ed il livello di occupazione. In regime di concorrenza imperfetta ( oligopolio e concorrenza monopolistica) le imprese non hanno convenienza a ridurre i prezzi di fronte ad una domanda insufficiente ad assorbire la produzione di pieno impiego : piuttosto riducono la produzione e l’occupazione e vendono quella quantità a prezzi remunerativi. Sul mercato delle merci la domanda aggregata determina il livello di produzione, e le imprese richiedono la quantità di lavoro necessaria a realizzare quel livello di output. Ovviamente nulla garantisce che la domanda di lavoro sia al livello di pieno impiego: l’equilibrio può aversi anche con risorse non occupate e un salario superiore a quello di equilibrio. Secondo l’impostazione liberista la flessibilità dei salari potrebbe spingere i lavoratori ad accettare una riduzione dei salari nominali accrescendo l’occupazione sino al livello di pieno impiego. Ma l’aumento dell’occupazione comporta un aumento della produzione e dell’ offerta aggregata che non trova, sul mercato delle merci, una domanda corrispondente dato che questa non è cresciuta. Per eguagliare la domanda all’offerta le imprese devono ridurre i prezzi dei prodotti ma in tal modo, accrescendo il costo per unità di prodotto, determinano un aumento del salario reale che le costringe a ridurre la domanda di lavoro e l’occupazione. Alla fine si tornerebbe al livello iniziale di equilibrio con prezzi e salari nominali più bassi, ma con redditi reali e disoccupazione invariati. Secondo i keynesiani l’unico modo per ridurre la

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Teorie alternative dell’equilibrio economicodisoccupazione e portare il reddito al livello di pieno impiego è quello di accrescere la domanda aggregata in modo da offrire alle imprese la possibilità di vendere maggiori quantità di prodotti a prezzi remunerativi. A questo scopo il governo può svolgere un ruolo importante per spingere il sistema economico verso il pieno impiego delle risorse.

3.3 Rappresentazione grafica

L'analisi grafica dell'impostazione liberista prende le mosse dal mercato del lavoro dove i lavoratori offrono una quantità di lavoro (curva Ls) crescente rispetto al salario reale (W/P) mentre le imprese, che eguagliano produttività del lavoro e salario reale, domandano (curva Ld) una maggiore quantità di lavoro quando il salario diminuisce. Dall'incontro fra domanda e offerta si determina il salario reale di equilibrio e il livello di pieno impiego della forza lavoro (L*): a quel salario infatti trovano occupazione tutti quelli che sono disposti a lavorare. Nel grafico sottostante si rappresenta la funzione di produzione che, dato lo stato delle tecniche e il livello di capitale esistente, permette di determinare il livello di prodotto realizzabile con il pieno impiego della forza lavoro (Y*). Nel terzo grafico la bisettrice permette di spostare il valore del prodotto di pieno impiego dall'ordinata all'ascissa e di individuare così sul quarto grafico, che rappresenta il mercato delle merci, la produzione offerta nel sistema economico al livello di pieno impiego delle risorse (curva AS verticale).

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Dato il reddito reale di pieno impiego (Y*), rappresentato da una curva di offerta aggregata verticale ( curva AS), nel quarto grafico la curva di domanda aggregata (curva AD), che rappresenta la spesa delle famiglie per consumi, delle imprese per investimenti, la spesa pubblica e le esportazioni nette, determina il livello generale dei prezzi. Una eventuale disoccupazione, pari ad L1-L*, potrebbe essere determinata soltanto da un livello di salario reale (w'/p) troppo elevato: la

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Teorie alternative dell’equilibrio economicoriduzione del salario nominale da w' a w riporterebbe in equilibrio il mercato del lavoro al livello di pieno impiego.

Nel modello keynesiano, invece, il punto di partenza è

rappresentato dal mercato delle merci dove l'offerta si adegua la livello dei prezzi P ( curva AS orizzontale) e la domanda aggregata (curva AD) determina il livello di produzione (Y) richiesto sul mercato. Attraverso la bisettrice si riporta questo livello di output sulla funzione di produzione in modo da individuare il livello di occupazione necessario per realizzarlo.

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Mario OteriQuesto livello rappresenta l'occupazione richiesta dalle

imprese e permette di determinare il livello del salario reale che le imprese sono disposte a pagare: questo livello di occupazione L1 può essere al di sotto del pieno impiego determinando un salario (w'/p) e una disoccupazione pari a L’ – L’’ . Se il salario dovesse diminuire al livello (w/p) e portare l'occupazione al livello di pieno impiego ( L*) la maggiore offerta (Y*) non troverebbe sul mercato delle merci una domanda in grado di assorbirla ai prezzi correnti. L'eventuale diminuzione del livello generale dei prezzi farebbe aumentare il salario reale sino a riportare l'occupazione al livello L1 . L'unico modo di portare l'occupazione e la produzione al livello di pieno impiego è quello di accrescere la domanda aggregata (spostamento da AD a AD') con l'intervento pubblico.

3.4 Curva di Phillips e offerta aggregata

Nelle due visioni , liberista e keynesiana, il livello generale dei prezzi e il livello di produzione non sono collegati fra di loro: nella prima il livello di produzione, e di occupazione, tende ad essere stabile a livello di pieno impiego ed è sostanzialmente determinato dalla capacità produttiva del sistema economico, mentre il livello dei prezzi dipende dalla domanda aggregata e, specificamente, dalla quantità di moneta in circolazione. La curva di offerta aggregata si presenta verticale ad indicare che non vi è alcuna relazione fra la quantità di beni e servizi prodotti e il livello generale dei prezzi. Come abbiamo visto la flessibilità dei salari porta sempre in equilibrio il mercato del lavoro, quindi si produce e si vende tutto ciò che può essere prodotto a livello di pieno impiego, si ha perciò assenza di disoccupazione. La

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Teorie alternative dell’equilibrio economicoflessibilità dei prezzi porta in equilibrio anche il mercato delle merci rendendo la domanda aggregata uguale all'offerta di pieno impiego: un eccesso di domanda, infatti, determina un aumento dei prezzi, ma lascia invariato il livello del prodotto. Questa impostazione implica una separazione netta fra settore reale e settore monetario, la dicotomia classica, e rende del tutto superfluo, o addirittura dannoso, l'intervento del governo o dell'autorità monetaria.

Nell’impostazione keynesiana, invece, il livello di produzione dipende sostanzialmente dal livello della domanda aggregata, piuttosto che dalla capacità produttiva del sistema, mentre il livello generale dei prezzi è considerato sostanzialmente stabile. Come abbiamo visto si ritiene che i mercati non siano di tipo concorrenziale e che i prezzi siano relativamente rigidi verso il basso: di fronte ad una domanda aggregata insufficiente ad assorbire la produzione di pieno impiego, le imprese preferiscono ridurre la produzione e l'occupazione piuttosto che ridurre i prezzi e i salari; può determinarsi, quindi, una situazione di equilibrio con disoccupazione.

Il settore privato è dunque fondamentalmente instabile e diventa necessario l'intervento del settore pubblico e dell'autorità monetaria per mantenere i livelli di reddito e di occupazione. Non vi è dicotomia, poiché il tasso d'interesse, che si determina sul mercato monetario, influenza la spesa per investimenti, mentre il livello del reddito, che si determina sul mercato delle merci, influenza la domanda di moneta. Nelle due impostazioni, dunque, il livello generale dei prezzi e il livello di produzione sono considerati separatamente: per i liberisti il livello di produzione è stabile mentre il livello dei prezzi dipende dalla domanda aggregata e dalla quantità di moneta; per i keynesiani

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Mario Oteriinvece i prezzi sono stabili mentre il livello di produzione dipende dal livello della domanda aggregata.

Figura 3.4.1 Curva di Phillips

w/p

0 u u

L’opportunità di collegare il livello generale dei prezzi e il livello di produzione, e quindi la formalizzazione di una curva di offerta aggregata crescente, fu reso possibile dall’analisi di un economista inglese A.W. Phillips che, esaminando i dati del Regno Unito fra il 1861 e il 1957, evidenziò una relazione negativa fra tasso d’incremento dei salari e tasso di disoccupazione: tanto più elevato il livello di disoccupazione tanto minore il livello d’incremento dei salari e viceversa, con un livello di disoccupazione che rendeva stabile il livello dei salari. L’analisi di Phillips metteva in evidenza come, mano a mano che

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Teorie alternative dell’equilibrio economicosi riducevano i livelli di disoccupazione, aumentava la forza dei lavoratori e, quindi, la possibilità di ottenere salari più elevati, ovvero come al crescere della disoccupazione si poteva ridurre il potere dei lavoratori e, quindi, la possibilità di ottenere salari crescenti. Studi condotti negli Stati Uniti da P. Samuelson e R. Solow, per un periodo relativamente più breve (1890-1960), confermarono sostanzialmente questa relazione inversa tra andamento dei salari e disoccupazione.

W = f(u)La relazione inversa fra tasso d’incremento dei salari e livelli

di disoccupazione venne formalizzata nella cosiddetta Curva di Phillips che , con riferimento al Regno Unito nel periodo considerato, individuava in un tasso del 5% il livello di disoccupazione minimo in grado di garantire la stabilità dei salari, mentre tassi di disoccupazione più bassi si associavano con tassi d’incremento dei salari sempre più elevati.

Indicando in ascissa il tasso di disoccupazione (u) e in ordinata il salario reale (w/p) la curva di Phillips si presenta decrescente da sinistra verso destra , ad indicare che il livello di salario reale diminuisce mano a mano che aumenta il tasso di disoccupazione, sino ad incontrare l’asse delle ascisse ad indicare il tasso di disoccupazione che rende stabile il livello dei salari.

Il passaggio dalla curva di Phillips alla curva di offerta aggregata crescente è abbastanza semplice. Innanzitutto si basa sul fatto che i prezzi dei prodotti sono correlati in maniera diretta ai costi di produzione e specificamente al livello del salario: un aumento del costo del lavoro superiore agli incrementi di produttività rappresenta per le imprese un aumento di costo per unità di prodotto, aumento che può assorbire accrescendo i prezzi

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Mario Oterio, a parità di prezzo, riducendo i profitti; poiché le imprese non vedono positivamente una riduzione dei profitti è probabile che, quando la situazione del mercato lo permette, le imprese rispondano ad un aumento dei salari con un aumento dei prezzi. Salari e prezzi si muovono dunque, in genere, nella stessa direzione.

W↑ P↑ D’altra parte i livelli di disoccupazione possono essere

considerati contrapposti ai livelli di occupazione: un aumento del tasso di disoccupazione (u) rappresenta, infatti, una riduzione del tasso di occupazione (n) e viceversa.

u ↓ n↑ La relazione inversa fra tasso d’incremento dei salari e tasso di disoccupazione individuata dalla curva di Phillips, può essere sostituita da una relazione diretta fra tasso d’incremento dei salari , e dei prezzi, e tasso di occupazione: per aumentare l’occupazione le imprese devono aumentare i salari e, quindi, i prezzi.

P↑ n↑ L’ultimo passaggio consiste nell’evidenziare il legame fra livelli di produzione e livelli di occupazione: in genere ogni aumento di occupazione è collegato ad un aumento di produzione, anche se non è sempre vero che aumenti di produzione siano determinati da aumenti di occupazione. In conclusione si può porre una relazione diretta fra il livello di produzione e il livello generale dei prezzi: si può, in definitiva, prendere in considerazione una curva di offerta aggregata (AS) crescente.

P↑ AS ↑

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Teorie alternative dell’equilibrio economico

3.5 Il trade-off fra inflazione e disoccupazione

Basandosi sulla curva di Phillips sono state elaborate politiche d'intervento a sostegno del sistema economico attuando uno scambio virtuale, un trade-off, fra aumento dei salari, aumento dei prezzi, inflazione, da un lato, e riduzione della disoccupazione, aumento della occupazione e della produzione, dall'altro, cioè si è ritenuto di poter ridurre il livello di disoccupazione e accrescere il livello di produzione accettando un aumento del tasso d'inflazione. La possibilità di “scambio” si basava sull’esistenza di asimmetrie informative fra imprese e lavoratori: poiché i lavoratori non erano in grado di valutare esattamente la riduzione del loro potere d’acquisto e di mantenere invariato il salario reale, le imprese realizzavano una riduzione del costo per unità di prodotto e potevano accrescere la domanda di lavoro e la produzione.La possibilità di "scambio" mutava da paese a paese e gli stessi governi potevano avere atteggiamenti diversi sulla base delle proprie preferenze in termini di inflazione e di livelli del reddito, ad esempio il governo tedesco aveva come obbiettivo quello di mantenere basso il tasso d'inflazione mentre quello italiano "preferiva" ridurre i livelli di disoccupazione. In ogni caso era possibile attuare questo scambio con l’intervento pubblico: le politiche di sostegno della domanda aggregata, mediante una spesa pubblica in deficit o politiche monetarie espansive, facevano aumentare il livello di produzione e di occupazione riducendo la disoccupazione, anche se si doveva “pagare” un certo costo in termini di aumento dei prezzi.

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Figura 3.5.1 Modello AD-AS

P AD1 AS

E1

P1

E P

Y Y1 Y

Nel modello AD/AS con la curva di offerta aggregata crescente, il livello generale dei prezzi e il livello di reddito di equilibrio sono determinati dall’incontro simultaneo fra domanda e offerta. Nella figura 3.5.1 l’offerta AS e la domanda AD si incontrano nel punto E determinando il livello dei prezzi P e il livello del reddito Y. Non è detto che il reddito di equilibrio corrisponda alla piena occupazione delle risorse: in questo caso il governo può intervenire accrescendo la domanda aggregata, che si sposta da AD a AD1, determinando un nuovo equilibrio nel punto E1, con un livello dei prezzi P1 più elevato e un livello di produzione maggiore Y1.Questa politica è andata bene nel periodo fra gli anni cinquanta e la fine degli anni sessanta, quando si è verificato una grande

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AD

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Teorie alternative dell’equilibrio economicocrescita della produzione e una consistente riduzione della disoccupazione con un tasso d'inflazione sostanzialmente stabile, una crescita continua con bassa inflazione. E’ stata messa in crisi, tuttavia, negli anni settanta, quando lo scambio fra inflazione e livelli di crescita della produzione non si è più verificato, e si è determinata una situazione di aumento sempre più elevato dei tassi d'inflazione in concomitanza con tassi di crescita del reddito e della produzione a livelli minimi e in alcuni anni addirittura negativi. Una situazione che è stata definita "stagflazione" ad evidenziare la compresenza di stagnazione ed inflazione. Partendo da una situazione iniziale di equilibrio nel punto E, determinato dall’incontro fra curva di domanda AD e curva di offerta AS, con un reddito pari a Y* e un livello dei prezzi pari a P, si può ipotizzare un aumento dei costi delle imprese, legato ad esempio all’aumento improvviso del prezzo del petrolio, che spinge le imprese ad aumentare il livello dei prezzi a parità di produzione. La curva AS si sposta verso sinistra e verso l’alto in AS1 determinando un nuovo equilibrio in E1, con un livello del reddito Y1 inferiore e un livello dei prezzi P1 più elevato. Il governo, per mantenere il precedente livello di produzione e di occupazione, può tentare di accrescere la domanda aggregata nella speranza di attivare il trade-off fra inflazione e disoccupazione. La curva AD si sposta verso l’alto e verso destra in AD1 determinando un nuovo equilibrio in E2 con un ulteriore aumento dei prezzi P2 e riportando il reddito al livello Y*. A questo punto, tuttavia, gli operatori si rendono conto del continuo aumento dei prezzi e cercano di ottenere gli incrementi dei salari necessari a ripristinare il loro potere d’acquisto reale: si determina un nuovo aumento dei costi per le imprese che reagiscono aumentando i prezzi. Sul grafico la funzione di

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Mario Oteriofferta aggregata si sposta verso l’alto e verso sinistra in AS2; si raggiunge così un nuovo equilibrio in E3 con un livello dei prezzi P3 ancora più elevato e un livello del reddito che tende sostanzialmente a ritornare al livello Y1.

Figura 3.5.2 Stagflazione

P AS2

E3 AS1

P3 E2 ASP2 E1

P1

P E AD1

AD

0 Y1 Y2 Y*

Alla fine si è dovuto riconoscere che le politiche di sostegno della domanda, attuate per mantenere i livelli di reddito e di occupazione, non erano più sostenibili perché non facevano altro che alimentare l'inflazione con livelli crescenti di disoccupazione. Hanno ripreso, quindi, vigore le posizioni di quanti, come M. Friedman, avevano criticato a livello teorico il

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Teorie alternative dell’equilibrio economicotrade-off fra inflazione e disoccupazione ed avevano evidenziato i limiti delle politiche di sostegno della domanda aggregata, sostenendo che non era possibile contenere a lungo i livelli di disoccupazione accettando continui aumenti dei prezzi, perché alla fine gli operatori si sarebbero resi conto che l’aumento dei prezzi riduce il loro reddito reale, e quindi, avrebbero chiesto a loro volta aumenti dei redditi spingendo ancora verso l'alto i prezzi. Se invece di guardare al breve periodo, si fosse avuta una visione più ampia in termini temporali , ci si sarebbe resi conto che non era possibile “ingannare tutti tutte le volte” e alla fine si sarebbe tornati a tassi di inflazione indipendenti dai livelli di occupazione. Basandosi su queste critiche si è introdotto nell’analisi economica dell’inflazione il concetto di aspettative, che ha profondamente mutato l’analisi considerando l'effetto dell’aumento atteso dei prezzi sui comportamenti attuali degli operatori. E' chiaro che se gli operatori si aspettano che il livello dei prezzi si mantiene stabile nel tempo, non mutano le loro scelte e non chiedono aumenti dei salari e dei redditi per mantenere stabile il loro potere d'acquisto, non cercano d'inseguire gli aumenti dei prezzi. Se invece si aspettano che i prezzi non sono stabili ma in continuo aumento, cercano di riportare i loro redditi reali al passo con l’inflazione, e quindi, si crea una rincorsa sempre più ampia fra salari e prezzi.

3.6 Stagflazione e teoria delle aspettative

Di fronte all’improvvisa accelerazione dei tassi d’inflazione e dei livelli di disoccupazione degli anni settanta, gli economisti hanno elaborato analisi più approfondite del mercato del lavoro dove i salari non sono stati più considerati perfettamente flessibili e le

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Mario Oteriaspettative sull'inflazione attesa giocano un ruolo fondamentale nella determinazione dell'equilibrio. Sono stati introdotti, in particolare, i concetti di aspettative adattive e di aspettative razionali: nel primo caso si ipotizza che gli operatori imparino con l’esperienza e formino le loro aspettative sulla base degli avvenimenti passati; nel secondo invece gli operatori sono in grado di prevedere esattamente l’andamento dei prezzi atteso e, specialmente, di adeguare prontamente i propri redditi. Nel caso di aspettative razionali la relazione fra inflazione e disoccupazione viene meno: la curva di Phillips diventa verticale ad indicare che il livello di occupazione è indipendente dal livello del salario reale. Fig. 3. 6.1 Modello AD/AS con aspettative razionali

P AS

P1 E1

P E AD1

AD

Y * Y

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Teorie alternative dell’equilibrio economicoSe infatti gli operatori sono in grado di prevedere esattamente l’aumento dei prezzi e di adattare prontamente i loro redditi, il costo del lavoro rimarrà invariato in termini reali e le imprese non saranno più in grado di accrescere i livelli di occupazione. Le politiche di sostegno della domanda diventano inutili e controproducenti dato che hanno come risultato soltanto quello di determinare un aumento dei prezzi lasciando invariati i livelli di occupazione e di produzione. Si ritorna alla curva di offerta aggregata verticale già vista nell’impostazione liberista. Un aumento della domanda aggregata non ha alcun effetto sui livelli di produzione dato che gli operatori sono in grado di anticipare prontamente l’aumento dei prezzi lasciando invariati i redditi reali. Un aumento della domanda aggregata da AD a AD1 fa aumentare il livello dei prezzi sino a P1 ma lascia invariato il livello di produzione a Y * .Nel caso di aspettative adattive, basate cioè sull'esperienza del periodo precedente, invece, si è cercato di ristabilire un legame fra inflazione e disoccupazione rendendo possibili politiche di sostegno della domanda aggregata e di intervento delle autorità monetarie, almeno nel breve periodo. Alcuni economisti hanno sostenuto, infatti, che nel breve periodo fosse ancora opportuno intervenire con politiche monetarie e fiscali per ridurre gli effetti del ciclo economico evitando che le fasi di recessione si trasformino in crisi più gravi o che le fasi di boom degenerino in eccessi d'inflazione. Nel medio periodo invece queste forme d'intervento sono state considerate meno proponibili perché si ritiene che gli operatori imparino dall’esperienza e che, quindi, la curva di Phillips e la curva di offerta aggregata diventino verticali. In altri termini si ritiene che la possibilità di influenzare il livello di occupazione e di produzione dipenda esclusivamente dall’inflazione imprevista che può sorprendere gli operatori, ma

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Mario Oteriuna volta che gli operatori modificano le loro aspettative incorporando il nuovo tasso d’inflazione il livello del reddito ritornerà al livello precedente. Nella fig. 3.6.2 la curva di offerta aggregata AS incorpora il tasso d’incremento del livello dei prezzi (ad es. 3%) atteso dagli operatori e con la curva AD determina il reddito Y* e un tasso d’inflazione uguale al livello atteso (P = Pe) . Se le autorità vogliono accrescere il livello di reddito possono attuare politiche di sostegno della domanda aggregata spostando la curva in AD1: in tal modo il nuovo equilibrio si determina nel punto E2 , il livello di produzione cresce ad Y1 e il tasso d’incremento dei prezzi diventa del 5%.

Fig. 3.6.2 Modello AD/AS con aspettative adattive.

P AS LP

AS1

8% E3 AS

5% E2

3% E1

AD1

AD

Y* Y1 Y

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Teorie alternative dell’equilibrio economico

Tuttavia il tasso d’incremento del livello dei prezzi (5%) è superiore a quello atteso (3%) - P > Pe - gli operatori adattano le loro aspettative al nuovo tasso e cercano di ottenere redditi più elevati adeguando salari e prezzi : la curva di offerta incorpora le nuove aspettative sul tasso d’inflazione e si sposta verso l’alto a sinistra sino a quando le aspettative non sono uguali al tasso d’inflazione effettivo.

Alla fine il livello di produzione ritorna al suo livello naturale , cioè a quel livello che rende uguali inflazione attesa e inflazione realizzata mantenendo stabile il livello dei prezzi . Come nel caso delle aspettative razionali anche in questo caso si ritorna alla fine allo stesso livello di reddito ma con un tasso d’inflazione sempre più elevato: la curva di offerta aggregata di lungo periodo diventa verticale.

3.7 La liberalizzazione dei mercati e la crisi

Con l'introduzione delle aspettative, in seguito alla stagflazione degli anni settanta, l'impostazione liberista diventa prevalente nell'analisi economica e nelle scelte operative dei governi. Il ruolo della domanda aggregata è fortemente ridimensionato e si affida sostanzialmente alle componenti dell'offerta la possibilità di accrescere il livello del reddito: si mettono in risalto fattori strutturali, cioè legati ai livelli e alla qualità degli investimenti, alla capacità di produzione e alla produttività dei fattori, al livello di istruzione e al capitale umano. Fattori condizionati dalla capacità produttiva del sistema piuttosto che dal livello di spesa.

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Mario OteriLa fiducia nel libero mercato porta ad una progressiva

riduzione dei vincoli e ad una crescente integrazione internazionale. Innanzitutto si smantellano i controlli e i vincoli alla libera circolazione dei capitali imposti dagli accordi di Bretton Woods; si ritiene infatti che, in tal modo, l'imponente massa di liquidità che si è creata sui mercati internazionali possa trovare gli investimenti più produttivi favorendo, al tempo stesso, lo sviluppo delle iniziative più efficienti e il finanziamento degli impieghi più vantaggiosi. L'andamento delle borse diventa la misura della situazione economica in una rincorsa continua, che va da Tokio a Londra a New York per ricominciare di nuovo da Tokio senza sosta nell'arco delle ventiquattro ore.In secondo luogo si accresce l'integrazione dei mercati estendendo gli accordi sugli scambi e riducendo le barriere alla libera circolazione delle merci. I mercati dei paesi emergenti sono invasi dai beni a tecnologia avanzata prodotti dai paesi più sviluppati, mentre i mercati dei paesi industriali si aprono a prodotti che hanno costi di produzione, e specificamente costi del lavoro, molto inferiori. Si assiste ad un progressivo decentramento delle produzioni a maggiore intensità di lavoro verso i paesi emergenti, mentre i paesi più avanzati si specializzano nelle produzione di servizi e di beni ad elevato valore aggiunto. Al tempo stesso i paesi più avanzati cercano di ridurre il costo del lavoro riducendo i vincoli istituzionali e accrescendo l’impiego di lavoratori sottopagati come gli immigrati e i precari in genere.

In questo contesto si ritiene che il ruolo delle istituzioni debba essere limitato. Per quanto riguarda il Governo si afferma che la politica fiscale, togliendo risorse all’iniziativa privata, finisca con l’alterare il

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Teorie alternative dell’equilibrio economicofunzionamento del mercato e a produrre uno spreco di risorse. Il ruolo del governo deve essere sostanzialmente ridotto tagliando innanzitutto le imposte, che limitano la spesa privata per finanziare un intervento pubblico costoso e improduttivo, e riducendo quindi la spesa pubblica per rispettare la regola del pareggio di bilancio.Per quanto riguarda la Banca Centrale si sostiene un rilevante ridimensionamento per evitare interventi che possono rivelarsi inefficaci e dannosi per il mercato. In effetti l’idea di Milton Friedman, che il tasso di crescita dell’offerta di moneta debba essere costante e indipendente dall’andamento economico, si rivela pericolosa per la stabilità del sistema ed è abbandonata rapidamente dalla Riserva Federale, alla Banca Centrale si affida essenzialmente il compito di combattere l’inflazione per garantire la stabilità del potere d’acquisto. Le Banche Centrali acquisiscono una crescente autonomia dai rispettivi governi e limitano i loro interventi alla stabilità del sistema monetario, impegnando la loro credibilità per mantenere la fiducia degli operatori nella moneta. L’obiettivo della politica monetaria diventa essenzialmente il controllo del tasso d‘inflazione con la Banca Centrale che manovra il costo del denaro per influenzare la domanda aggregata e mantenere stabile il livello dei prezzi.Per quanto riguarda i regime valutari si abbandona progressivamente il sistema dei cambi fissi , che richiedevano un costante intervento della Banca Centrale, e si afferma fra le valute principali un sistema di cambi flessibili che affida all’andamento del mercato la determinazione del rapporto di cambio.

In questi anni l’andamento economico dei paesi industriali è stato caratterizzato da tassi di crescita del prodotto relativamente bassi con una sostanziale stabilità dei tassi d’inflazione che si

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Mario Oterisono mantenuti a livelli minimi. E’ cresciuta enormemente l’integrazione dei mercati e nuove potenze, come la Cina, l’India e il Brasile si sono affermate, facendo registrare tassi di crescita particolarmente elevati e inondando i mercati internazionali di prodotti a basso prezzo. La competizione si è dimostrata, perciò, sempre più agguerrita sul mercato dei prodotti determinando un progressivo dislocamento di processi e di settori produttivi nei paesi emergenti . Sui mercati finanziari si assiste alla proliferazione di strumenti finanziari e ad una crescita degli scambi e dei valori che si autoalimenta e si trasforma, in assenza di controlli a livello internazionale, in una bolla speculativa.Allo stesso tempo sono venuti al pettine problemi di fondo, come l’inquinamento atmosferico e dell’ambiente, l’esaurimento di risorse fondamentali come il petrolio e l’acqua, la saturazione di un modello di crescita basato sul ciclo dell’automobile e sul consumo illimitato di beni, che hanno cominciato a mettere in crisi molte certezze sulla possibilità di una crescita illimitata senza interventi adeguati e nuove scelte.

L'esplosione della bolla speculativa sui mercati finanziari che si è verificata nel 2008, e la conseguente crisi di fiducia degli operatori, hanno precipitato l'economia mondiale in una fase di depressione che ha coinvolto drammaticamente i mercati e gli operatori. La possibilità di fronteggiare la crisi con interventi di politica monetaria, si è rivelata molto limitata nel momento in cui le Banche Centrali si ritrovano con strumenti vincolati al controllo dell'inflazione; dopo tanti anni ha acquistato nuova consistenza l'ipotesi della trappola della liquidità. D'altra parte i governi si sono trovati in difficoltà sia a riattivare gli strumenti della politica fiscale, che era stata progressivamente ridimensionata e vincolata da rigidi parametri, che ad approntare

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Teorie alternative dell’equilibrio economiconuovi strumenti d'intervento capaci di fermare una crisi che ha coinvolto l'intero sistema economico internazionale. Il modello liberista, dominante nella teoria economica, è entrato in crisi e si è tornati a considerare la possibilità di maggiori controlli e regolamentazioni sui mercati, di interventi di salvataggio e di sostegno dei settori in crisi, di nuovi strumenti per il rilancio della domanda aggregata. Lo spettro della deflazione e del crollo dei prezzi, considerato scomparso dalla realtà economica e riapparso all’inizio degli anni novanta nell’economia giapponese, ritorna ad essere considerato nell'analisi economica con sempre maggiore attenzione.

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