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STEFANO VALENTINI 

APRILE 2010 

STORIA DELLE COSTELLAZIONI 

LE STELLE DEI FARAONI 

2400 aC ‐ 200 aC  

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STEFANO VALENTINI 

STORIA DELLE COSTELLAZIONI 

LE STELLE DEI FARAONI 

2400 aC ‐ 200 aC  

 APRILE 2010 

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Storia delle costellazioni Le stelle dei Faraoni 2400 aC ‐ 200 aC  Autore: Stefano Valentini Stampato in: Mentana, 6 Ottobre 2009   2ª Edizione, rivista e corretta: Mentana, 19 Aprile 2010  Copyright © Stefano Valentini, 2009‐2010 Via Gaspare Spontini 46 00013 Mentana (Roma) Email: [email protected]  Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta  con sistemi elettronici, meccanici o altri, senza l’autorizzazione scritta dell’autore.  In copertina: Particolare del soffitto della camera sepolcrale di Seti I. Valle dei Re, Egitto 

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2400 aC - 200 aC Le stelle dei Faraoni

Testimonianze astronomiche degli antichi Egizi

Gli antichi Egizi furono tra i primi al mondo ad effettuare delle metodiche

osservazioni delle stelle e ad entrare in possesso di discrete conoscenze

astronomiche, ma di tale sapere, purtroppo, sono giunte sino a noi solo poche

testimonianze, costituite per lo più da pitture sui sarcofagi, ornamenti sui soffitti

delle camere sepolcrali e iscrizioni sulle pareti dei templi.

La quasi totale mancanza di papiri, o di altri documenti scritti, è probabilmente

dovuta al fatto che, a partire da lII secolo aC, la maggior parte dei testi relativi

alle secolari conoscenze scientifiche degli antichi Egizi venne trasferita nella

Biblioteca di Alessandria di Egitto, che, in quei tempi, era considerata la capitale

mondiale della cultura; malauguratamente, però, nei secoli successivi la

biblioteca subì numerosi incendi, fino alla sua totale distruzione, avvenuta

intorno al III secolo dC.

Le più remote testimonianze astronomiche dell’antico Egitto non possono

dunque essere ricercate nelle biblioteche, ma nei musei e nelle località

archeologiche di questo paese.

 

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I Testi delle Piramidi ( Piana di Saqqarah )

Nella Piana di Saqqarah, circa 15 km a sud-ovest del Cairo, si incontrano, ad

esempio, le piramidi del re Unas e dei suoi immediati successori, risalenti

all’incirca al 2400 aC. Proprio sulle pareti interne delle camere sepolcrali di

questo complesso di costruzioni si trovano i cosiddetti Testi delle Piramidi, una

serie di riti religiosi in cui si trovano molti richiami alle stelle: da questi testi

apprendiamo, ad esempio, che per gli antichi Egizi avevano grande importanza

la dea Nut, le Stelle Imperiture e le Stelle Infaticabili.

La dea Nut era la divinità che rappresentava il Cielo, e gli antichi Egizi erano

soliti raffigurarla con il corpo nudo inarcato sopra la terra, il dio Geb, mentre

l’aria, il dio Shu, l’aiutava a rimanere sospeso su di essa; alcuni studiosi hanno

anche avanzato l’ipotesi che il corpo della dea possa essere una raffigurazione

dell’arco descritto dalla Via Lattea nel cielo ( fig.1 ).

Le Stelle Imperiture erano visibili volgendo lo sguardo verso nord e sembravano

descrivere dei cerchi più o meno ampi intorno al polo, senza scendere mai al

disotto dell’orizzonte: ciò, a modo di vedere degli antichi Egizi, era simbolo di

vita eterna e, per tale motivo, esse erano ritenute divinità immortali ( fig.2 ).

Le Stelle Infaticabili, invece, potevano essere osservate solo in particolari

periodi dell’anno e che, nel corso della notte, sembravano percorrere sulla volta

celeste archi molto più ampi di quelli descritti dalle stelle imperiture ( fig.2 ).

Purtroppo i Testi delle Piramidi sono puramente discorsivi e, nel loro contesto,

non appare alcuna rappresentazione grafica delle costellazioni; tuttavia, i nomi

di alcune stelle ricorrono più frequentemente di altri e, fra questi, troviamo

Sopdet ( la splendente ), la cui corrispondenza con la nostra Sirio è chiaramente

deducibile dal nome stesso; Sah, riconducibile probabilmente al nostro Orione, e

Meskhetiu, la zampa del toro, identificabile forse con la nostra Orsa Maggiore.

 

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Fig. 1 Papiro raffigurante la dea Nut inarcata sulla terra e con il corpo ricoperto di stelle.

Su di essa corre, da est verso ovest, la barca in cui siedono il dio Ra, il Sole, ed altre divinità.

Fig. 2 Le tracce apparenti descritte sulla volta celeste dalle Stelle Imperiture e da quelle Infaticabili

 

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Le stelle decanali e il calendario

In alcune località dell’Egitto il culto stellare era molto sviluppato ed esisteva

addirittura una speciale casta sacerdotale, i Controllori dell’Ora, i cui adepti

osservavano regolarmente i pianeti e le stelle per tenere un computo preciso

delle ore della notte e del passare dei giorni.

Questi precursori degli astronomi, dopo secoli di osservazioni, avevano

individuato trentasei stelle, equamente distanti sulla volta celeste, il cui sorgere

sull’orizzonte orientale consentiva di determinare l’ora della notte con una

precisione sufficiente alle loro necessità. Queste medesime stelle, inoltre,

accompagnavano il sorgere del Sole a distanza di dieci giorni l’una dall’altra e,

per tale motivo, vennero poi chiamate Stelle Decanali o Decani.

Con queste trentasei stelle gli antichi Egizi realizzarono un calendario di dodici

mesi, ciascuno dei quali era diviso in tre decadi esatte e l’inizio di ogni decade

era contraddistinto dal levare eliaco, ovvero dal sorgere simultaneo a quello del

Sole, di uno di tali astri. I dodici mesi vennero raggruppati in tre stagioni, che

presero i nomi di Akhet ( l’inondazione ), Peret ( la semina e la crescita ) e

Shemu ( il raccolto ) mentre, almeno inizialmente, i mesi vennero indicati solo

con un numero progressivo nell’ambito della stagione; solo in epoche molto più

tarde, vennero assegnati loro dei nomi propri: Thoth, Phaophi, Athyr, Khoiak,

Tybi, Mekhir, Phamenoth, Pharmuthi, Pakhon, Payni, Epiph, Mesore.

Le stelle che segnavano le trentasei decadi fornivano però un anno la cui

lunghezza era di soli 360 giorni e per pareggiare il conto con il ciclo dei 365

giorni che intercorrevano tra una levata eliaca di Sopdet e quella successiva, gli

antichi Egizi furono costretti ad aggiungere altri 5 giorni, detti giorni prima

dell’anno, dedicati ciascuno ad una divinità: Osiris, Horus, Seth, Isis e

Nephthys, ossia i nomi dei figli che Nut ebbe dal dio Geb ( la Terra ).

 

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Gli orologi stellari diagonali

Non avendo antiche mappe di riferimento, è oggi praticamente impossibile

abbinare le stelle decanali alle nostre stelle; tuttavia, la lista dei trentasei decani

deve essere ritenuta come il più antico catalogo stellare conosciuto, visto che

alcune sue riproduzioni sono state rinvenute all’interno di alcuni sarcofagi

egiziani risalenti al 2100 aC., rinvenuti per lo più ad Asyut, nel Medio Egitto.

Asyut sorge lungo le rive del Nilo ed in passato era dedicata ad Anubis, un dio

dalla testa di sciacallo: da qui si pensa derivi il successivo nome greco di

Lycopolis, ovvero città dei lupi. Dal punto di vista archeologico la località è

molto importante per la presenza di una necropoli rupestre che ospita le

sepolture di alcuni governanti della zona, vissuti tra la IX e la XII Dinastia,

ovvero tra il 2100 e il 1800 aC.

Nella necropoli sono stati rinvenuti numerosi sarcofagi i cui coperchi

contengono le tabelle stellari note come Tavole delle Stelle Nascenti, nel cui

ambito sono state trovate le più antiche raffigurazioni celesti egizie, relative

generalmente alla dea Nut, alla stella Sopdet, nelle vesti della dea Isis, a Sah,

nelle sembianze del dio Osiris, e a Meskhetiu, una figura descritta come la

zampa anteriore del cielo settentrionale ( fig.4 ). Proprio su quest’ultima

raffigurazione, Meskhetiu, si sofferma spesso l’attenzione degli astronomi

poiché su di essa è delineata una serie di sette stelle che, più o meno,

definiscono una figura simile a quella della nostra Orsa Maggiore, ma che altri

studiosi ritengono invece possa trattarsi della costellazione di Cassiopea.

Sulla base dei disegni presenti su questi sarcofagi, nel 1992 lo studioso Kurt

Locher ha cercato di identificare le figure di Sopdet ( Sirio ) e Sah ( Orione )

con gli allineamenti di alcune stelle delle attuali costellazioni di Orione, del

Cane Maggiore, della Lepre e della Colomba, ma tali abbinamenti sono

puramente soggettivi e privi di qualsiasi certezza ( fig.5 ).

 

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Nelle colonne a destra e a sinistra di queste raffigurazioni, relative alle varie

decadi dell’anno, sono riportati i nomi delle stelle decanali in base al loro

sorgere nel corso della notte: nella riga più in alto si legge il nome del primo

decano che appariva ad est dopo il tramonto del Sole; poi il nome di quello che,

col suo sorgere, segnava la seconda ora della notte e così via, verso il basso, fino

alla stella decanale dell’ultima ora, ovvero quella che si levava poco prima del

sorgere del Sole.

Scorrendo la tavola da destra verso sinistra, i geroglifici delle varie stelle

decanali slittano, di colonna in colonna, di una riga verso l’alto; ciò è dovuto al

fatto che, da una decade all’altra, le stelle anticipano il loro sorgere di circa 40

minuti, ovvero di un intervallo pari ad un ora della notte egiziana: per tale

motivo queste tabelle vengono oggi definite anche come Orologi Stellari

Diagonali.

Poichè ogni anno il Nilo cominciava ad esondare nelle campagne quando

Sopdet, la stella più luminosa del cielo, si levava al mattino insieme al Sole, si

decise di adottare il sorgere eliaco di tale stella come primo giorno dell’anno e la

rispettiva decade come prima colonna a destra della tabella stellare.

L’uso delle Tavole delle Stelle Nascenti venne abbandonato però nell’arco di

pochi secoli perché, con l’andar del tempo, la tabella calendariale, di 365 giorni,

e l’anno reale, di 365.25 giorni, venivano a sfasarsi in maniera troppo evidente,

tanto da far cadere l’inizio dell’anno a volte in estate, a volte in primavera, a

volte in inverno e a volte in autunno.

Gli Egiziani scelsero così di adottare nuove e più semplici forme di liste stellari,

come quella ritrovata nella zona archeologica di Deir e-Bahari, nei pressi di

Luxor, nell’Alto Egitto.

 

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Fig. 4 Particolare di una Tavola delle Stelle Nascenti

Fig. 5 Le costellazioni di Sopdet e Sah nell’interpretazione di K. Locher (1992 )

 

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Il soffitto astronomico della tomba segreta di Senenmut

Deir el-Bahari, una conca naturale nei pressi della piana di Luxor, l’antica Tebe,

venne scelta dalla regina Hatshepsut ( XVI secolo aC ) per la realizzazione del

proprio tempio, che affidò all’ingegno di Senenmut, architetto di corte e suo

amante. Questi, senza preoccuparsi troppo delle voci di corridoio, pensò bene di

realizzare vicino al tempio della sua regina anche quella che, nei suoi progetti,

doveva diventare la sua ultima dimora, ma problemi di ordine morale e politico

lo costrinsero ad abbandonare il progetto e a farsi poi tumulare in un’altra

località.

Sebbene la cosiddetta tomba segreta di Senenmut sia stata quindi abbandonata in

corso d’opera, sul suo soffitto si può comunque ammirare una caratteristica

pittura a sfondo astronomico divisa in due pannelli, di cui quello meridionale è

dedicato ai decani, mentre quello settentrionale rappresenta una sorta di

almanacco astronomico. La particolarità di questa pittura è dovuta al fatto che, a

parte alcuni piccoli dischi e altri minuscoli dettagli colorati in rosso, tutto il

resto del disegno appare semplicemente delineato in nero, come se fosse stato

realizzato con inchiostro china, ben lungi dalle pitture policrome delle tombe

egizie di quei tempi.

Nel pannello meridionale ( fig.6 ) si può notare come la fascia superiore sia

suddivisa in più colonne, nelle quali sono riportati i nomi dei decani e delle

divinità ad essi associati, mentre nella parte inferiore figurano alcune

rappresentazioni pittoriche che si estendono su più colonne e che, quindi, sono

probabilmente riferite alle costellazioni di cui alcuni decani dovevano far parte.

Tra le varie figure sono riconoscibili una Barca, una Pecora, una forma ovoidale

detta la Miriade, Sah, Sopdet e, alla loro sinistra, i pianeti Giove e Saturno.

Venere è ritratta come un airone e Mercurio è citato alla sua destra, mentre

Marte è assente.

 

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Fig. 6 Tomba di Senenmut a Deir el-Bahari: pannello meridionale

 

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La tabella decanale appare dunque in forma semplificata rispetto a quelle che

abbiamo trovato nei coperchi dei sarcofagi del 2000 aC: sono infatti scomparse

le decadi suddivise nelle dodici ore della notte e rimangono solo i nomi delle

stelle decanali, elencati nell’ordine del loro levare eliaco nel corso dell’anno.

Nel pannello settentrionale ( fig.7 ) si notano dodici circoli che rappresentano i

mesi dell’anno e, al centro, due gruppi di disegni in cui figure umane ed animali

sono mischiate fra loro: tali figure, secondo alcuni studiosi, rappresenterebbero

le costellazioni settentrionali, ovvero quelle che girano intorno al polo senza mai

tramontare.

Tra queste raffigurazioni si possono riconoscere Meskhetiu, la zampa del toro,

qui completa di testa e corna; An, la divinità con la testa di falco che impugna

una lancia con la quale sembra voler colpire il toro; Serket, la dea Scorpione

posizionata sopra al toro, e Saq, il piccolo coccodrillo alla sua sinistra.

Più in basso troneggia la figura di Isis-Djamet, la divinità ippopotamo, sulla cui

schiena si allunga un coccodrillo di grandi dimensioni, mentre le sue zampe

anteriori sembrano poggiare su di un piccolo coccodrillo in posizione verticale e

su di un Palo d’Ormeggio, che forse rappresenta il polo nord.

Sulla sinistra, all’altessa del muso dell’Ippopotamo, si osserva invece Haqu,

definito come il coccodrillo predatore, e, sotto di lui, il Leone Divino e, ancora

più al di sotto, il dio Sobek, anch’esso nelle sembianze di un coccodrillo, che

sembra attaccare un Uomo con le mani alzate.

Questi disegni sono ritenuti, a tutt’oggi, la più antica raffigurazione pittorica

delle costellazioni egiziane e sembrano essere il prototipo di un nuovo modo di

rappresentare il cielo nelle camere sepolcrali dei faraoni, come testimoniato

anche dai soffitti delle tombe reali nella vicina Valle dei Re.

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Fig. 7 Tomba di Senenmut a Deir el-Bahari: pannello settentrionale

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Il soffitto astronomico della tomba di Seti I

La Valle dei Re è un sito vicino all’antica Tebe, scelto tra il 1500 ed il 1000 aC

come sede principale per la sepoltura dei sovrani dell’Antico Egitto; in arabo è

conosciuta oggi con il nome Biban el-Moluk, ovvero la Valle delle Porte dei Re.

Una delle tombe qui presenti e più importanti dal punto di vista astronomico è

quella del faraone Seti I ( 1306-1290 aC, XIX dinastia ), perché sul soffitto della

sua camera sepolcrale si trovano due pannelli abbastanza simili a quelli

rinvenuti nella tomba di Senenmut, ma riccamente colorati in oro su fondo blu.

Sul pannello meridionale si osservano i decani e i pianeti, mentre su quello

settentrionale si possono distinguere le raffigurazioni delle costellazioni e di

alcune divinità ( fig.8 ).

Nel pannello dei decani, alcune colonne appaiono come al solito allargate per

includere due o più stelle, segno evidente dell’appartenenza ad un’unica

costellazione, mentre la parte relativa ai pianeti, sulla sinistra, appare oggi

deteriorata.

Purtroppo una parte del soffitto appare oggi lesionato, ma, per nostra fortuna

intorno alla metà del XIX secolo, quando il soffitto era ancora intatto, Karl

Lepsius ne fece un accurato disegno, consentendoci così di sapere, ad esempio,

che su di esso appariva anche la raffigurazione del pianeta Marte, mancante nel

soffitto di Senenmut.

Nel pannello opposto si ritrovano, invece, le classiche raffigurazioni della dea-

ippopotamo Djamet, di Meskhetiu, del coccodrillo Sobek, del Leone Divino e

delle divinità dall’aspetto umano, ma tutte con caratteristiche diverse da quelle

del soffitto di Senenmut: Meskhetiu, ad esempio, appare ora in forma completa,

mentre il Leone risulta molto più grande e circondato di stelle.

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Fig. 8 Tomba di Seti I nella Valle dei Re: il soffitto astronomico

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Le tabelle stellari ramessidi

Queste stesse figure, con lievi differenze, si trovano anche nelle vicine tombe

dei faraoni Ramses VI, VII e IX , ma a differenza di quelle di Senenmut e Seti I,

dove riempiono buona parte del soffitto, qui occupano una parte decisamente

minore nell’ambito dell’intero scenario.

Le tombe di Ramses VI, VII e IX non meritano attenzione solo perché ospitano

alcune raffigurazioni delle costellazioni, ma anche perché al loro interno

appaiono anche nuove forme di orologi stellari, simili a quelle viste nei

sarcofagi del 2000 aC, ma con evidenti miglioramenti.

Questi nuovi orologi stellari, dipinti sulle pareti dei corridoi tombali, sono

costituiti da ventiquattro tavole, una per ogni quindicina dell’anno, e ogni tavola

è caratterizzata da una griglia, di 12 o 13 linee orizzontali e 9 verticali, collocata

al di sopra, o al fianco, di una sagoma umana seduta; sulla destra, in alto, appare

il numero del mese nell’ambito della stagione e il primo giorno di validità della

tabella, mentre al di sotto, uno per riga, appaiono i nomi delle stelle che segnano

le ore della notte ( fig.9 ).

Per la realizzazione di queste tavole, due sacerdoti si posizionavano uno di

fronte all’altro sulla terrazza di un tempio, lungo la linea nord-sud; quello più a

nord aveva tra le mani un bay, uno strumento di mira, mentre l’altro reggeva un

merkhet, essenzialmente un filo a piombo ( fig.10 ).

Allo scadere dell’ora, il sacerdote più a nord osservava le stelle più prossime alla

sagoma del collega e le annotava su una tavola quadrettata descrivendo la loro

posizione rispetto alla sagoma stessa: opposta al cuore, sopra l’occhio di destra

( o di sinistra ), sopra l’orec-chio di destra ( o di sinistra ), sopra la spalla di

destra ( o di sinistra ).

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Fig. 9 Esemplare di tabella stellare ramesside relativa alla 2a quindicina del mese di Phaophi

Fig. 10 Ricostruzione di una osservazione con il bay ed il merkhet

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Una volta realizzate le ventiquattro tavole guida, nell’uso quotidiano era

sufficiente consultare quella relativa alla giusta quindicina del mese e controllare

il passaggio delle varie stelle al meridiano per determinare l’ora della notte:

certo, la precisione non era elevata ( molto dipendeva infatti dalle dimensioni

della “sagoma” ), ma per quei tempi era più che sufficiente.

Dagli orologi stellari ramessidi è stata ricavata una lista di ventisette stelle

orarie, di cui però, è molto difficile tentare una valida identificazione con le

stelle in cielo; molto più facile, invece, è notare il loro raggruppamento in

costellazioni, tra le quali spiccano:

• il Gigante,

• l’Oca,

• il Leone,

• il Palo di ormeggio

• l’Ippopotamo.

• Sah,

• le stelle della Miriade,

• le stelle dell’acqua,

• la stella Sopdet,

• la stella Aryt,

• la stella Sar,

• le due Stelle,

• le stelle della Moltitudine.

W.M.F. Petrie, nel 1940, ha realizzato due mappe complete delle costellazioni

citate nelle tabelle stellari ramessidi, basandosi su considerazioni pratico-

astronomiche ( Fig. 11 ).

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Fig. 11 Ricostruzione delle costellazioni egizie da parte di F.M. Petrie

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Il soffitto astronomico del Ramesseum

Ramesseum è il nome coniato nel 1829 dall’archeologo francese Jean-François

Champollion per indicare il tempio funerario di Ramses II ( 1297-1213 aC ),

fatto erigere dal faraone stesso, nei pressi della necropoli di Tebe, e dedicato al

dio Amon. Diodoro Siculo, uno storico greco antico, lo descrisse come la

maestosa tomba di Osimandia, corruzione greca di Usermaatra, parte del

prenome di Ramses II.

Sebbene del tempio originale sia rimasto in piedi ben poco, in una delle sale

ipostile minori si può ancora osservare uno dei più bei soffitti astronomici in

pietra dell’antico Egitto ( fig.12 ).

Su di esso si scorgono delle raffinate rappresentazioni dei decani e delle

costellazioni, ma l’altezza delle colonne ed il non perfetto stato di conservazione

del soffitto, esposto a tutte le intemperie, rendono difficile l’individuazione delle

singole figure: nella riga superiore si trovano le raffigurazioni delle stelle

decanali e dei pianeti; nella riga di mezzo le costellazioni settentrionali,

affiancate dalle divinità lunari, e, nella riga inferiore, una sorta di calendario

con mesi e festività associate.

Nella striscia superiore sono facilmente identificabili le classiche raffigurazioni

decanali della Barca e della Pecora, di Sah e di Sopdet, mentre Giove, Saturno e

Marte ( a sinistra di Sopdet ), sono raffigurati nelle varie sembianze del dio

Horus; Venere appare ancora nelle vesti di un airone, mentre Mercurio, alla sua

destra, è raffigurato nei panni di un piccolo dio Seth.

Al centro del soffitto, si riconoscono facilmente le figure dell’Ippopotamo, privo

del classico coccodrillo sulla schiena, di Meskhetiu, del Leone, del Coccodrillo,

della dea Serqet e del dio An, tutti disposti e raffigurati in maniera ancora una

volta diversa dai soffitti descritti in precedenza.

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Fig. 12 In alto: veduta aerea del Ramesseum.

In basso: Particolari del soffitto astronomico del Ramesseum.

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La clessidra di Karnak

Nel vicino Tempio di Karnak, al di là

del Nilo, è stato rinvenuto uno dei più

antichi orologi ad acqua oggi conosciuti.

La logica delle raffigurazioni è la stessa

del soffitto del Ramesseum: in alto i

decani e i pianeti; nel mezzo le costel-

lazioni e le divinità, in basso mesi e

festività; ma la realizzazione di tale vaso

è anteriore a quella del tempio giubilare

di Ramses II di almeno un secolo e, dunque, questo reperto archeologico può

essere considerato come un prototipo di tale soffitto.

Il soffitto astronomico di Medinet Habu

Se dal Ramesseum ci si dirige ancora più a sud, verso la vicina località di

Medinet Habu ( la città di Habu ), si arriva alle rovine del grande tempio di

Ramses III, al cui interno si possono ancora ammirare i resti di una volta

astronomica molto simile a quella del tempio di Ramses II ( Fig.13 ).

Sebbene non rimangano che pochi frammenti dell’intero soffitto, si può infatti

intuire che nella parte superiore dovevano essere elencate le stelle decanali e i

pianeti; nella zona centrale dovevano apparire le costellazioni settentrionali e le

raffigurazioni di alcune divinità lunari, mentre nella fascia inferiore doveva

essere presente il classico calendario con i nomi dei mesi e delle festività

associate.

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Fig. 13 In alto: veduta aerea del tempio di Ramses III a Medinet Habu.

In basso: particolare dei resti del soffitto astronomico.

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La decadenza dell’astronomia egizia

Le rappresentazioni pittoriche e le incisioni presenti nelle tombe e nei templi

giubilari dei faraoni non forniscono purtroppo alcun valido aiuto circa

l’abbinamento delle antiche costellazioni egiziane con le stelle in cielo, poiché il

numero e la disposizione delle figure non sembrano avere alcuna attinenza con

la realtà.

Con i faraoni ramessidi terminò, inoltre, la fase dell’antica astronomia egizia,

poiché dopo tale dinastia iniziò una lenta ed inesorabile decadenza dell’Egitto,

che andò incontro ad un periodo di frequenti cambiamenti di stirpi reali, a volte

libiche, a volte etiopiche e raramente egizie, fino ad arrivare alla conquista

persiana da parte di Cambise ( 524 aC ), ed alla successiva liberazione da parte

di Alessandro Magno, avvenuta nel 332 aC.

In quegli anni le usanze e le tradizioni egiziane si integrarono con quelle dei

popoli dominanti ed anche le rappresentazioni stellari nei soffitti dei templi e

delle tombe cominciarono a risentire di questa fusione: accanto alle costellazioni

tradizionali egiziane fecero infatti la loro comparsa anche figure celesti a noi più

familiari, come quelle dei dodici segni zodiacali, di origine babilonese ( fig.14 ).

Gli zodiaci di Esnah e Denderah sono due delle ultime e più belle testimonianze

dell’arte astronomica egiziana, realizzate poco prima del formarsi della frattura

che separerà per sempre l’Astronomia dall’Astrologia, che, fino ad allora, si

erano invece evolute l’una nell’altra.

La fondazione del Museo e della Biblioteca di Alessandria d’Egitto darà infatti

una spinta definitiva allo studio scientifico e metodico degli astri, atto a stabilire

la loro reale natura, mentre nei luoghi di culto si continuerà a sostenere che gli

astri dovevano essere studiati solo per stabilire quale influenza essi avessero

sugli eventi umani.

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Fig. 14 In alto: riproduzione di una tavoletta babilonese con le raffigurazioni dell’Idra e del Leone. In basso: ricostruzione delle posizioni reciproche delle principali costellazioni babilonesi.

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Gli zodiaci di Esnah

Esnah era nota nell’antichità con il nome di Ta-Senet, ma durante il periodo

tolemaico il suo nome venne tramutato in Latopolis, dal nome del pesce sacro

Lates. La città si trova sulla riva occidentale del Nilo, circa 30 km a sud di

Luxor, in una zona ricca di reperti archeologici.

Lo zodiaco rettangolare esistente

Al centro della città, in una fossa profonda 10 m sotto il livello della strada

principale, è possibile ammirare il Tempio di Khnum, che, sebbene sia uno degli

ultimi templi innalzati in Egitto, risulta meno integro di altri monumenti edificati

secoli prima ( fig.15 ).

Di esso si è conservato infatti il solo portico, diviso dalle colonne in sette

navate: sopra a quella centrale si possono vedere due file di avvoltoi in volo,

mentre su quelle laterali appaiono decorazioni a carattere astronomico.

Tutte le rappresentazioni delle costellazioni zodiacali sono scolpite su due file

parallele e inserite in mezzo alle figure dei decani: nella riga superiore appaiono

le costellazioni del Leone, del Cancro, dei Gemelli, del Toro, dell’Ariete e dei

Pesci, mentre in quella inferiore figurano la Vergine, la Bilancia, lo Scorpione, il

Sagittario, il Capricorno e l’Acquario.

Tutte le costellazioni zodiacali sono facilmente riconoscibili anche perché

appaiono sovrastate ognuna da un nugolo di stelle, ma, come al solito, la loro

distribuzione è del tutto casuale e non ne consente una identificazione in cielo.

I pianeti appaiono disseminati tra le costellazioni zodiacali: Giove, Venere e

Marte nella riga superiore; Saturno e Mercurio in quella inferiore.

Agli estremi del pannello si possono osservare poi due figure stilizzate della dea

Nut, mentre, per la prima volta, sono del tutto assenti le tradizionali costellazioni

settentrionali egizie.

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Fig. 15 In alto: Tempio di Khnum ad Esnah, in centro città.

Al centro e in basso: riproduzione dello zodiaco rettangolare.

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Lo zodiaco rettangolare disperso

Poco a nord ovest di Esnah esisteva un altro tempio dedicato al dio Khnum, il

cui portico conteneva uno zodiaco ancora più antico, databile al 200 aC , ma nel

1893 fu raso al suolo per far posto ad un canale. Se oggi ne conosciamo le

fattezze, lo dobbiamo solo al disegnatore che accompagnava gli archeologi al

seguito di Napoleone, che ne realizzò un pregevole schizzo ( fig.16 ).

Nel portico di questo tempio, nell’ambito di due pannelli paralleli collocati ai

lati opposti del pronao, apparivano le raffigurazioni dei pianeti e delle

costellazioni zodiacali, accompagnate, al di sopra e al di sotto, da due diverse

processioni di decani.

Tra le figure che riempiono il pannello di sinistra si possono riconoscere: il

Leone, il Cancro, i Gemelli, il Toro, l’Ariete ed i Pesci, mentre, tra quelle che

riempono il pannello di destra sono riconoscibili i segni dell’Acquario, del

Capricorno e del Sagittario, quest’ultimo in parte lesionato.

Lo Scorpione, la Bilancia e la Vergine sono purtroppo mancanti, perché la parte

di pannello in cui essi si dovevano trovare risultava già crollata all’epoca della

spedizione napoleonica.

Tra le figure delle costellazioni zodiacali si trovano anche le rappresentazioni

dei pianeti: Giove, a destra del Leone, la Luna, al di sopra del Toro, il Sole, al di

sopra dell’Ariete, Venere, a destra dei Pesci, e Marte, a destra del Capricorno.

Saturno e Mercurio sono assenti probabilmente perché si trovavano nella parte

di soffitto crollata.

Nella striscia inferiore del pannello di destra, in prossimità della zona rovinata, è

possibile individuare ancora una parte delle classiche raffigurazioni relative alle

costellazioni settentrionali egizie: Djamet, l’Ippopotamo con il Coccodrillo sulla

schiena, il Palo d’Ormeggio e quella che, probabilmente, è una parte del toro

Meskhetiu.

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Fig. 16 In alto: collocazione del tempio distrutto di Khnum e riproduzione della facciata.

In basso: riproduzione dello zodiaco rettangolare.

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Lo zodiaco rettangolare di Denderah

Circa 50 chilometri a nord di Luxor, sulla riva occidentale del Nilo, incontriamo

la città di Denderah, cha dagli antichi Egizi era conosciuta come Iunet e dai

Greci come Tentyris. Qui si trova il tempio della dea Hator, che risale alla fine

del II sec. aC, ma che fu edificato dai Tolomei e dai Romani su un tempio

preesistente, databile forse alle prime dinastie ( fig.17 ) .

Il portico del tempio è costituito da ventiquattro colonne, come quello di Esnah,

e i soffitti sono coperti da geroglifici ed ornamenti che hanno più o meno a che

fare con l’astronomia; in particolare, i due colonnati più esterni sorreggono

quello che viene definito lo Zodiaco Rettangolare di Denderah ( Fig.18 ) .

Nelle fasce superiori dei due pannelli che costituiscono lo zodiaco, tra numerose

figure, si vedono le rappresentazioni dei segni zodiacali ( sei per ogni fascia ) ed

in quelle inferiori appaiono delle barche sulle quali ci sono le figure che

rappresentano i decani. Nella prima parte dello zodiaco sono raffigurati il

Capricorno, il Sagittario, lo Scorpione, la Bilancia, la Vergine ed il Leone; nella

seconda parte sono rappresentati il Cancro, i Gemelli, il Toro, l’Ariete, i Pesci e

l’Acquario.

Fig. 17 Tempio di Hathor a Denderah

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Fig. 18 Riproduzione dei pannelli dello zodiaco rettangolare di Denderah.

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Lo zodiaco circolare di Denderah

Salendo al piano superiore del tempio di Hator, si arriva ad una cappella,

composta da tre piccole sale e, in quella centrale, si può ammirare un soffitto a

carattere prettamente astronomico. Tale soffitto è diviso in due parti da una

specie di nicchia cilindrica, nella quale si vede una figura femminile, la dea

Hator, vestita con un abito lungo, stretto e trasparente.

A sinistra del corpo della dea appare uno zodiaco circolare ( fig.19 ), che, in

realtà, è una copia di quello originale, trasferito fin dal 1828 al Museo del

Louvre di Parigi.

Il disco raffigurante lo zodiaco è sorretto da quattro coppie di divinità

inginocchiate con la testa di falco e, in corrispondenza dei punti cardinali, tra

ogni coppia vi è una figura femminile in piedi, con a fianco dei geroglifici; una

banda circolare con inscrizioni geroglifiche circonda l’intero disco sorretto da

questi personaggi.

Lungo il bordo del disco sono scolpite trentasei figure della stessa altezza, che

rappresentano i decani, e sullo sfondo si possono vedere delle stelle e dei

geroglifici, la maggior parte dei quali ricordano quelli presenti nella tomba di

Senenmut, in quella di Seti I, nel Ramesseum e sulla Clessidra di Karnak.

Tra il bordo e la zona centrale del disco sono rappresentati i dodici segni

zodiacali, distribuiti su una specie di spirale appena delineata, dove il Leone

occupa la zona più esterna ed il Cancro quella più interna.

Ma oltre ai dodici segni delle zodiaco troviamo anche alcune rappresentazioni di

origine più antica, come Sah, Sopdet e alcune delle costellazioni circumpolari,

tra le quali sono ben distinguibili Meskhetiu, l’Ippopotamo che tiene in mano il

Palo di ormeggio, e uno Sciacallo posto tra i due, che rappresenta

verosimilmente l’Orsa Minore.

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Fig. 19 Riproduzione dello zodiaco circolare di Denderah.

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Conclusione

Con la comparsa degli zodiaci, i decani lasciarono definitivamente il centro

dell’attenzione alle costellazioni di origine ellenico-babilonese, e i riferimenti

alle stelle, da questo momento, saranno sempre più rivolti all’aspetto astrologico

piuttosto che a quello della misura del tempo; gli stessi decani perderanno via

via il loro significato e diventeranno delle mere suddivisioni in decadi dei dodici

segni zodiacali.

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