Università della Calabria
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Corso di Laurea in Servizio Sociale
‘Elaborato finale’
Da Plicum a plexum La Misericordia come sistema adattativo complesso
Docente Tutor Candidata
prof. Antonio Samà Michela Corrado Matricola 162371
Anno Accademico 2016/2017
Indice
Capitolo Primo. Un’organizzazione complessa
1. Cos’ è un’organizzazione: nota sul termine ……………......................... p a g . 1
2. Da un sistema complicato a un sistema complesso…….......................... p a g . 3
3. Le teorie della complessità………………………………........................ p a g . 6
4. I sistemi adattativi complessi…………………………………………… p a g . 8
Capitolo Secondo. La Misericordia è un’organizzazione complessa? I servizi erogati
1. La struttura della Misericordi…………………………………………… p a g . 11
2. La Mission…………………………………………………..................... p a g . 12
3. La descrizione della Misericordia: il Modello Tavistock………………. p a g . 13
4. Protezione Civile………………………………………………………... p a g . 18
5. Supporto 118……………………………………………………………. p a g . 19
6. Banco Alimentare…………………………………………...................... p a g . 21
7. Messa alla Prova………………………………………………………… p a g . 22
8. Misericordia e complessità……………………………………………… p a g . 23
Capitolo Terzo. Il coordinamento interno
1. La rete organizzativa: gli studi………………………………………….. p a g . 26
2. Le componenti delle rete organizzativa: il caso Misericordia…………………………………………………………….. pag. 29
3. Forme di coordinamento: il contributo di Mintzberg…………………… p a g . 33
4. La leadership……………………………………………………………. p a g . 37
5. Il coordinamento e leadership nella Misericordia………………………. p a g . 39
Capitolo Quarto. Il meta servizio: la Misericordia e il suo ambiente
1. Il meta servizio ed il suo ruolo nella rete della Misericordia…………………………………………………………….. pag. 42
2. La rete della Misericordia………………………………………………..pag. 43 3. Il meta servizio delle reti della Misericordia……………………………. p a g .
45
Conclusioni……………………………………………………………………... pag. 48
Bibliografia ……………………………………………………………………. pag. 50
Introduzione
Scopo del presente lavoro di tesi di laurea è di mettere in relazione l’esperienza di
un’associazione di volontariato, la Misericordia, con gli studi della teoria della complessità
applicati alle organizzazioni.
La tesi si propone di trattare i problemi organizzativi che si presentano tanto in un’azienda
che produce beni materiali, quanto in un’associazione di volontariato che ha come “prodotto”
servizi per persone che versano in condizioni di bisogno.
Lo sforzo è di comprendere ed integrare gli aspetti teorici (es. dell’approccio socio-
tecnico, dell’organizzazione a rete, della complessità) con un’esperienza diretta e pratica
all’interno dell’Associazione. Questo richiede la diretta applicazione, sul campo, di
apprendimenti teorici ad esperienze pratiche.
Il presente lavoro si articola in quattro capitoli:
- il primo capitolo discute il concetto di organizzazione comparando i diversi approcci
teorici dalla teoria classica all’evolversi della teoria della complessità;
- il secondo capitolo si focalizza sulla struttura organizzativa della Confraternita di
Misericordia e cerca di applicare i principi della teoria della complessità alla suddetta
organizzazione;
- il terzo capitolo, esplicitando e connettendo il concetto di rete organizzativa e di
coordinamento di Mintzeberg, affronta il nodo ed il tipo di coordinamento
dell’Associazione e le sue interconnessioni con l’ambiente circostante;
- il quarto capitolo, infine, ricorre al concetto di meta- servizio per meglio affrontare e
comprendere il ruolo del coordinamento di coordinamenti in un’ associazione come la
Misericordia.
Il principale motivo che mi ha spinto ad indagare la connessione tra una pratica del tutto
volontaria come la Misericordia e la teoria della complessità, la quale è per lo più associata ad
organizzazioni molto più articolate e di certo non su base volontaria, è la mia stessa
esperienza vissuta all’ interno dell’Associazione. Esperienza che mi ha fatto nascere delle
curiosità, delle domande: cosa si cela dietro un’organizzazione di volontariato? Chi c’è dietro
gli apparenti semplici servizi che si erogano? Quelli di cui tutti beneficiano? È un’attività
complessa o solo complicata? Il lavoro che segue è il tentaivo di rispondere a questi, ed altri,
interrogativi.
Capitolo Primo
Un’organizzazione complessa
1. Cos’è un organizzazione: note sul termine
Il termine “organizzazione” deriva dalla lingua greca (organon) e significa letteralmente
strumento, motivo per cui usiamo tale termine per configurare un insieme di persone, un
gruppo formalmente unito con fini ed obiettivi comuni. Più che mai nell’attuale società il
termine descrive l’insieme di relazioni sociali che quotidianamente viviamo e con cui ci
confrontiamo. Antonio Strati nel suo libro “L’analisi organizzativa, paradigmi e metodi” 1
offre una valida proposta per studiare i nuovi approcci, le nuove metodologie, mettendo in
evidenzia l’ulteriore affinamento degli strumenti di analisi empirica per quanto concerne la
nascita e l’evoluzione dell’organizzazione. Il termine organizzazione può essere studiato
anche mediante la doppia valenza che ha il termine: “organizing” cioè come processo che crea
organizzazione ed “organizations” ovvero l’organizzazione intesa come fattore sociale
oggettivo.
Le origini del concetto di organizzazione che usiamo oggi sono sicuramente connesse
all’idealtipo di burocrazia di Max Weber e allo Scientific Management di Frederick Winslow
Taylor. Entrambi gli approcci configurano l’organizzazione come un corpo distino e separato
da tutto quello che è la società fino a creare una sorta di confine sia mentale che fisico che
separa le organizzazione da altri fenomeni sociali.
Per Weber la burocrazia è la forma più alta di organizzazione sia nelle imprese che nelle
pubbliche amministrazioni. La burocrazia ha come caratteristiche la conformità alle regole, la
divisione specializzata delle competenze, la gerarchia d’ufficio e il ruolo degli addetti.
Nell’insieme, tutte queste caratteristiche costituiscono i due principi essenziali del modello
burocratico: l’impersonalità, che assicura un trattamento eguale a tutti i soggetti che si trovano
nella medesima situazione, e la competenza, cioè la necessità di conoscenza specializzata. La
Strati A., L’analisi organizzativa. Paradigmi e metodi, Carocci, Roma, 20061
! 1
burocrazia riguarda fenomeni organizzativi eterogenei applicabili sia ad un ufficio pubblico
che ad un’azienda.
L’approccio organizzativo di Frederick W. Taylor si applicò inizialmente allo studio di
metodi finalizzati al miglioramento della produttività in fabbrica. L’organizzazione scientifica
del lavoro, comunemente denominata anche taylorismo, è un repertorio di principi
organizzativi del lavoro basato su una precisa concezione teorica dell’organizzazione
d’impresa.
I principi essenziali sono: la standardizzazione, intesa come utilizzo di un elevato rigore
scientifico per le operazioni di lavoro sulla base di una segmentazione del processo di lavoro
in sequenze ben distinte tra loro, ma correlate sulla base di tempi e metodi; la gerarchia di
ruoli e compiti tra chi progetta e chi esegue il lavoro; il principio della “one best way” ovvero
l’idea secondo cui ad ogni problema esiste un’unica soluzione ottimale, fondata su
metodologie di analisi rigorosamente scientifiche che garantiscono che tutto sia calcolabile in
anticipo e razionalmente governabile.
Naturalmente, ci sono stati altri filoni di studi sulle organizzazioni susseguitesi nel tempo
man mano che le organizzazioni sono cambiate, studi che hanno aggiunto nuove
caratteristiche o ripreso tratti delle organizzazioni già studiati, fino a farci notare come il
concetto sia polisemico dato che sotto la stessa denominazione di organizzazione non si studia
un identico fenomeno sociale, ma si sono analizzati aspetti e dimensioni non confrontabili tra
loro. L’organizzazione è un sistema complesso, composto da un mix di forze e dimensioni
diverse, che devono essere adeguatamente gestite dai manager per portare l’organizzazione
verso il successo. Per interpretare la realtà organizzativa, oltre alle teorie citate, vengono
utilizzate le metafore. Esse aprono nuove strade alla conoscenza ampliando gli orizzonti; con
la possibilità di accedere a nuovi significati dove la parola non è più dominata ma ci domina.
G. Morgan ha proposto una serie di metafore utilizzate per descrivere la realtà organizzativa 2
e sono:
• Organizzazioni come macchine
• Organizzazioni in quanto organismi
• Organizzazioni come cervelli
• Organizzazioni come sistemi culturali
• Organizzazioni come sistemi politici
Morgan G., Images. Le metafore dell’organizzazione, Franco Angeli, 20012
! 2
• Organizzazioni come prigioni psichiche
• Organizzazione come flusso e come divenire
Queste metafore presentano una forte carica espressiva, ma hanno anche un limite. La
metafora, infatti, ci fa capire la realtà, ma contemporaneamente la distorce, offrendo quindi un
contributo parziale. Da un lato ci fa capire concetti importanti, ma dall’altro lato è incompleta
e a volte fuorviante. Quindi una singola metafora non è in grado di offrirci una
rappresentazione completa. Per questo motivo l’organizzazione deve essere analizzata
attraverso l’utilizzo di diverse metafore, di diversi approcci teorici in modo da considerare
differenti aspetti di uno stesso sistema, evidenziando che caratteristiche diverse possono
coesistere.
2. Da un sistema complicato a un sistema complesso
Come detto, nel susseguirsi degli anni, differenti e svariate sono state le teorie che con
diversi punti di vista si occuparono di tutto ciò che è pertinente con il concetto di
organizzazione.
Oltre alle già citate teorie della burocrazia di Weber e l’organizzazione scientifica del
lavoro di Taylor, troviamo, tra le altre, la scuola struttural-funzionalista, delle relazioni
umane, delle relazioni industriali e dei sistemi socio-tecnici. Ognuna di queste scuole
naturalmente guarda l’ampio spettro dei fenomeni sociali nei contesti organizzativi. Queste
scuole saranno poi investite dal dibattito organizzativo che, dagli anni settanta, ha messo in
crisi il paradigma razional-positivista per aprire ad approcci diversi che si interessavano a più
fenomeni. In questo periodo si fa strada la teoria della complessità. È possibile far risalire le
origini della teoria della complessità con la teoria dei sistemi avanzata dal biologo von
Bertalanffy (1971), a sua volta preceduto da altri pionieri come il russo Bogdanov , ricevendo 3
negli ultimi due decenni numerosi altri contributi da filosofi e scienziati di varia formazione
scientifica, e soprattutto dai ricercatori che nel 1984 dettero vita all’Istituto di Santa Fe di
New Messico. L'Istituto di Santa Fe (SFI) è un centro di ricerca e istruzione multidisciplinare
privato, senza scopo di lucro. L’ istituto si è dedicato alla creazione di un nuovo tipo di
Gorelik G., “Bogdanov's Tektologia. General Systems Theory and Cybernetics”, in Cybernetics and Systems, 3
Vol.18, n.2, 1978, pp.157-175
! 3
comunità di ricerca scientifica, perseguendo la scienza emergente, fornendo collaborazioni
multidisciplinari tra le scienze fisiche, biologiche, computazionali e sociali.
Quando si parla si scienza della complessità si ritiene opportuno puntualizzare la differenza
tra i due aggettivi, complicato e complesso, che speso nell’ uso quotidiano tendono a essere
usati indifferentemente. La differenza la si può cogliere dall’etimologia dei termini;
complicato deriva dal latino cum plicum, dove plicum indica la piega di un foglio, mentre
complesso deriva dal latino cum plexum, dove plexum indica il nodo, l’intreccio. La
complicatezza rimanda quindi alla linearità del plicum, mentre la complessità ci fa percecipire
l’interconnessione del plexum. La teoria della complessità si concentra su come le parti a un
micro-livello in un sistema complesso influenza il comportamento emergente e il risultato
complessivo a livello macro. Alcuni sostenitori della teoria della complessità come
McKenzie, James, Byeon usano il concetto di entropia per spiegare meglio l’approccio. Una
semplice definizione di entropia è disordine. È la tendenza di un sistema a muoversi verso un
altro stato casuale, la disorganizzazione o casualità dell'organizzazione. La teoria della
complessità è in grado di afferrare processi dinamici dei fenomeni generici di entropia nelle
organizzazioni e nella società in generale.
Lo studio della complessità ha via via interessato ambiti sempre più diversi delle scienze,
dalla biologia alla fisica e alla chimica, dalla psicofisiologia all’epistemologia genetica e alle
neuroscienze. In particolare nelle scienze umane la teoria della complessità ha avuto
interessanti applicazioni in ambito cognitivo con Van Geet, Finkie, Robertson, pedagogico,
sociologico con grandi studiosi come Luhmann, Zolo, etico e giuridico. Una possibile mappa
storica dell’evoluzione e delle varie linee di sviluppo degli studi sulla complessità è la
seguente.
! 4
!
Figura 1. Map of the complexity sciences. Fonte: Brian Castellani 4
La mappa di Brian Castellani è una macroscopica introduzionetransdisciplinare alle
scienze della complessitàche vanno dal 1940 al 2015. Dalla mappa emerge che dai tre nuclei
principali delle Teoria dei sistemi, cibernetica e intelligenza artificiale degli anni 40-50, si
dipartono diverse linee di studio. L’ unione di queste tre discipline portano alla nascita della
teoria della complessità.
Lo studio della complessità prende, quindi, avvio da una sensazione, o meglio da una presa
di coscienza, della scarsa conoscenza dei fenomeni che accadono intorno a noi. È proprio
questa la molla che fa scattare la necessità di una comprensione più profonda ed accurata
della realtà, appunto, nella sua complessità. Joel de Rosnay offre una definizione più 5
completa delle caratteristiche di un sistema complesso; esso è:
http://www.art-sciencefactory.com/complexity-map_feb09.html 4
De Rosnay J., Il microscopio: verso una visione globale, Edizione Dedalo, 1977, pag.117-1185
! 5
• composto da una grande varietà di componenti o di elementi che possiedono delle
funzioni specializzate;
• questi elementi sono organizzati per livelli gerarchici interni;
• i diversi livelli e gli elementi individuali sono collegati da una grande varietà di
legami. Ne viene fuori un’altra identità di interconnessioni;
• le interazioni tra gli elementi di un sistema complesso sono di tipo non lineare.
La non linearità delle interazioni è una caratteristica molto importante scoperta nei primi
anni Ottanta dai fisici che iniziarono a rendersi conto che molti sistemi disordinati potevano
essere descritti dalla dinamica non lineare. Nei sistemi lineari il tutto è rigorosamente uguale
alla somma delle sue parti e le connessioni non portano nessun valore aggiunto. Se invece le
connessioni vengono considerate non lineari, si attribuisce loro l’importanza di determinare la
struttura e l’organizzazione del sistema.
Gli sviluppi più originali della teoria della complessità riguardano le nuove modalità di
collaborazione tra le scienze, empiriche, matematiche e fisiche da un lato, e la filosofia e il
mondo dei saperi umani dall’altro; l’uso di una nuova metodologia di ricerca grazie alla
simulazione al computer e all’approccio bottom-up che si affianca alle tradizionali
metodologie sperimentale e deduttiva, e infine porta una visione ampliata e più approfondita
dell’evoluzionismo.
La complessità di un’organizzazione, quindi, emerge dalle interrelazioni, interazioni e
interconnessioni degli elementi dentro un sistema e tra questo sistema e il suo ambiente.
Nel dettaglio siamo in grado di individuare come sistemi complessi, quei sistemi che
presentano principalmente quattro proprietà caratterizzanti:
- Non determinismo, ovvero l’impossibilità di descrivere il sistema con funzioni
deterministiche, il comportamento del sistema complesso è condizionato dalla totalità
dei suoi componenti;
- Non decomponibilità, l’impossibilità di essere decomposto e ridotto in parti più piccole
per via della sua struttura caotica;
- Distribuzione, la dinamica del sistema non è centralizzata ma include elementi che
interagiscono, distribuendo ad ogni entità e ad ogni interazione nel micro livello una
parte che costituisce la dinamica nel macro livello;
- Emergente, un comportamento emergente o proprietà emergente può comparire quando
un numero di entità semplici (agenti) operano in un ambiente, dando origine a
comportamenti più complessi in quanto collettività. ! 6
Le organizzazioni complesse sono, quindi, chiaramente sistemi di feedback in cui gli attori
sociali non si adattano all’ ambiente sociale e/o organizzativo, bensì contribuiscono a
modificarlo e co- generarlo.
3.Le teorie della complessità
Il quadro teorico della teoria della complessità, o della “nuova scienza”, si compone di tre
principali teorie: la teoria del caos, la teoria delle strutture dissipative e la teoria dei sistemi
adattativi complessi.
L’immagine della scienza della complessità e la rottura epistemologica con la scienza
classica è iniziata con la teoria del caos che sottolinea la dipendenza sensibile dalle condizioni
iniziali e che ha avuto una prima applicazione in campo fisico con il meteorologo Lorenz, il
quale scoprì un sistema di equazioni non-lineari che davano una descrizione semplificata del
moto atmosferico. Una delle più importanti caratteristiche della teoria del caos è il cosiddetto
“effetto farfalla”, ipotizzato da James Maxwell nel 1876 e successivamente dimostrato nel
XIX secolo da Henri Poincarè; “l’effetto farfalla” fu anche analizzato da Edward Lorenz in
uno scritto del 1963 preparato per la New York Academy of Sciences. Secondo tale
documento “un meteorologo fece notare che se le teorie erano corrette, un battito di ali di un
gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre ”. In discorsi e 6
scritti successivi Lorenz usò più volte la poetica della farfalla fino a tenere una conferenza
stampa nel 1972 intitolata “Predictability: does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off
a tornado in Texas?” questa fu la frase di Lorenz che si ritiene essere l‘atto ufficiale della
nascita della “scienza del caos” che ha messo bene in evidenza come piccolissime variazioni
nelle condizioni iniziali di un sistema dinamico producono altre variazioni che crescono
all’evolvere del sistema stesso fino a raggiungere uno stato in cui non è più possibile
ricostruire lo stato iniziale del sistema e non si possono più prevedere gli atti futuri. Quando ci
si trova in presenza del caos bisogna prevedere la natura qualitativa del sistema nel suo
complesso e i limiti quantitativi in cui lo stesso si muoverà.
L’altra teoria che ha contribuito a mettere in crisi la teoria classica della scienza è stata
quella delle strutture dissipative, cioè sistemi termodinamici non isolati, in cui si ha
interscambio con l’esterno mettendo così in crisi in concetto di reversibilità del tempo. Il tutto
Lorenz E., Deterministic nonperiodic flow, Academy of Sciences, New York, 19636
! 7
si è sviluppato con Ilya Prigogine che ha studiato sistemi aperti che scambiano materia ed
energia con l’ambiente circostante, cioè sistemi dissipativi che ricevono e consumano energia
tratta dall’esterno. Ciò avviene in qualsiasi sistema aperto: una società, in un ecosistema che
si sviluppa o in un’organizzazione. Un grande esempio di tale teoria è dato dalla instabilità di
Bénard che ci dimostra come la vita è un ordine che sorge per fluttuazione in un sistema
aperto, come quello della superficie terrestre che riceve energia dal sole. Così Prigogine
sembra gettare un ponte tra la scienza meccanicistica newtoniana e il mondo della vita . Nel 7
libro “La Nuova Alleanza” per Prigogine i sistemi aperti che scambiano energia e materia con
l’ambiente esterno, sono sistemi dissipativi che ricevono e consumano continuamente energia
tratta dall’esterno. Le strutture dissipative sono caratterizzate dalla loro sensibilità e
fluttuazione: mentre nei sistemi isolati vicino all’equilibrio le fluttuazioni si attenuano
velocemente, una piccola fluttuazione in una struttura dissipativa non lineare può essere
amplificata e far passare il sistema ad una nuova situazione facendo così auto-organizzare
l’intero sistema. Questo processo è ciò che Prigogine chiama “ruolo costruttivo del non
equilibrio” . La differenza principale tra queste tre teorie, secondo Stacey (2003), è che il 8
caos e le teorie delle strutture dissipative cercano di costruire modelli matematici di sistemi a
livello macro (cioè sistemi interi e popolazioni), mentre la teoria dei sistemi adattivi
complessi tenta di formulare modi di interazione per le singole entità che vanno poi a
costituire un sistema oppure popolazione.
Così via via che si sviluppano studi e teorie, interessi ed esperimenti si giunge man mano
ai sistemi complessi e alla loro applicazione diretta nello studio delle organizzazioni.
4. I sistemi adattativi complessi
Prima di capire cosa siano i sistemi adattativi complessi è opportuno definire cosa sia un
sistema e in questo può aiutarci la definizione di Miller 9
Prigogine I., Stengers I., La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Torino, Einaudi, 19997
Prigogine I. “La termodinamica della vita” in Prigogine I., La nuova alleanza. Uomo e natura in una scienza 8
unificata, Longanesi, Milano, 1981
Miller G.J., La Teoria Generale dei sistemi viventi, Franco Angeli, Milano, 1986, p.489
! 8
«Il termine sistema ha molti significati. Vi sono sistemi di numeri e di equazioni, sistemi di
valori o di pensiero, sistemi di leggi, sistemi solari, sistemi organici, sistemi economici,
sistemi di comando e di controllo, sistemi elettronici […]. I significati del termine «sistema»
vengono spesso confusi. Il più generale, tuttavia, è il seguente: un sistema è un insieme di
unità interagenti che sono in relazione tra loro. La parola «insieme» implica che le unità che
lo compongono hanno proprietà comuni, il che è essenziale ai fini della interazione e
relazione tra esse. Lo stato di ciascuna unità è vincolato, coordinato, o dipendente dallo stato
delle altre unità. Inoltre vi è almeno un’operazione che si può applicare alla somma di queste
unità che dà un valore che è maggiore del valore che si ottiene applicando quell’operazione
alla somma di quelle unità prese singolarmente».
La teoria della complessità studia i sistemi complessi e un particolare tipo sono proprio i
sistemi adattativi complessi (Complex Adaptive System). La complessità nei sistemi adattativi
si riferisce al potenziale del comportamento emergente complesso e ai fenomeni
imprevedibili.
I sistemi adattativi complessi sono stati studiati da Holland , che li definisce: gruppi di 10
agenti legati in un processo di co-adattamento, in cui le mosse di adattamento di ciascuno
hanno conseguenze per l’intero gruppo di individui. Ne consegue che i sistemi adattativi
complessi sono strettamente correlati con i sistemi non lineari, cioè un tipo di sistema il cui
comportamento non è uguale alla somma delle singoli parti che lo compongono. Il
comportamento di tali sistemi dipende dall’ interazioni delle parti di cui si compone e non dal
comportamento delle parti stesse. Mentre ogni parte di un sistema complesso agisce secondo
il proprio interesse, collettivamente provocano il movimento del sistema in una certa
direzione, che può essere difficile prevedere.
Lo scopo principale degli elementi del sistema è proprio l’adattamento, e per raggiungerlo
ricercano continuamente nuovi modi di fare le cose e di apprendere.
Nel tentativo di connettere complessità ed organizzazione, nei suoi studi Ralph Stacey 11
definisce i sistemi adattativi complessi come sistemi dinamici capaci di adattarsi ed evolvere
con l’ambiente in costante cambiamento. Egli postula che processi reattivi complessi sono al
centro dell’azione individuale e collettiva che spinge il cambiamento e l’equilibrio
Holland J.H., Adaptation in natural and artificial systems: an introductory analysis with applications to 10
biology, control and artificial intelligence, MIT Press Cambridge, 1992
Stacey R., Management e caos, la creatività nel controllo dell’impresa, Guerini e Associati, 199611
! 9
organizzativo. Stacey individua tre tipi di ordine-disturbo: equilibrio stabile; instabilità 12
esplosiva; e instabilità limitata. Tuttavia, solo sotto l'ultimo di queste, instabilità limitata, i
sistemi complessi hanno la capacità di trasformarsi per sopravvivere. Se i sistemi diventano
troppo stabili, si ossificano e muoiono. In condizioni di "instabilità limitata" i sistemi, quindi,
sono costantemente posti al limite tra ordine e caos.
I sistemi adattativi complessi sono costituiti da un largo numero di agenti interrelati in
modo non lineare, i cui principi guida sono:
• auto-organizzazione: un processo dal basso garantito da dinamiche di retroazione
positiva, di cooperazione e di collaborazione. I fenomeni emergenti sembrano avere
una vita propria, con proprie regole e leggi. Cosi l’organizzazione emerge dalle e
attraverso le interazioni degli agenti del sistema.
• Orlo del caos: l’evoluzione porta i sistemi adattativi complessi in un’area tra ordine e
disordine a cui Chris Langton ha dato il nome di “orlo del caos” . Troppo ordine 13
genera morte per fossilizzazione, troppo disordine genera morte per disintegrazione,
mentre l’orlo del caos genera creazione.
• Principio ologrammatico: un sistema adattativo complesso è fortemente legato al
proprio ambiente, al quale reagisce adattandosi, e facendo ciò lo crea allo stesso
tempo. Per descrivere questa relazione si fa riferimento al principio ologrammatico
(dal greco holos intero e gramma trasferimento), cioè un trasferimento dell’intero
nella parte. Il principio ologrammatico afferma che nei sistemi adattativi complessi la
parte è nel tutto e il tutto è nella parte.
• Impossibilità della previsione: nei sistemi complessi il futuro non è prevedibile.
• Potere delle connessioni: nei sistemi adattatici complessi le connessioni tra i nodi del
sistema sono sempre più numerose e potenti.
• Causalità circolare: nei sistemi adattativi complessi la causa agisce sull’effetto, che a
sua volta retroagisce sulla causa. Nascono cosi circoli virtuosi e viziosi, i quali
possono essere concatenati e dare origine alla complessa rete della vita.
Stacey R., Strategic Management and Organisational Dynamics: The Challenge of Complexity, Prentice-Hall, 12
Harlow, 2003
Waldrop M., Complessità: uomini e idee al confine tra ordine e caos, Instar Libri, Torino 199613
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• Apprendimento try and learn: apprendere in ambienti complessi significa imparare a
gestire la complessità dell’ambiente esterno. Per Hollande esistono due tipi di 14
apprendimento: apprendimento per sfruttamento cioè perfezionare ciò che si possiede,
e apprendimento per esplorazione che consiste nel togliere alcune vecchie connessioni
e aggiungercene di nuove. Bateson sostiene che l’apprendimento dei sistemi 15
adattativi complessi è più efficace se avviene per esplorazione, introducendo il
concetto try and learn.
Una comprensione dei sistemi e delle teorie della complessità fornisce un migliore
apprezzamento di come ciascuno dei sottosistemi dell'organizzazione si interseca e
interagisce, e la natura dell'interazione tra i vari componenti.
Tutti gli studi sulla teoria della complessità e sui sistemi adattivi complessi non fanno altro
che rafforzare il paradosso di ogni organizzazione: la presenza di stabilità e instabilità,
concorrenza e cooperazione, ordine e disordine, caos ed equilibrio.
Ivi, p. 46814
Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 1990, p. 12115
! 11
Capitolo Secondo
La Misericordia è un organizzazione complessa? I servizi erogati
1. La struttura della Misericordia
Misericordia, dal latino miseris-cor-dare cioè dare il cuore ai miseri, è il nome di numerose
associazioni cattoliche dedite all’assistenza e al supporto di persone che versano in condizione
di bisogno. Diffuse in tutto il mondo, in Italia se ne contano circa 700 e se ne rintracciano le
origini nel 1244 a Firenze, periodo in cui si rintracciano le prime forme di partecipazione
volontaria dei cittadini alla vita della comunità. In secoli politicamente confusi, le
Confraternite si trovarono spesso a svolgere un ruolo da protagonista sul piano religioso e
civile fino a finire nel XV secolo sotto il controllo diretto o indiretto delle grandi Casate
Italiane come le famiglie degli Sforza, dei Medici e dei Savoia che le riorganizzano secondo i
propri fini di politica sociale. Pur registrandosi un numero elevato di Confraternite su tutto il
territorio per secoli non si sono sviluppati rapporti di reciproco contatto, ognuna propugnava
devozione ma solo nella comunità di appartenenza. Uno degli eventi fondamentali della
nascita del movimento avvenne con l Unità d’Italia quando tra le Misericordie politicamente
più attente e vigili emerse la necessità di dare vita a un organismo superiore, rappresentativo
delle istanze locali e delle tradizioni dell’intero movimento, a cui affidare la conduzione del
dialogo con il governo centrale. Nel 1899 si riunirono a Pistoia i rappresentanti di 40
Confraternite e diedero vita alla Federazione nominando un presidente nazionale.
Altro evento importante che porta il movimento alla configurazione odierna si verifica con
la fine del secondo periodo bellico, periodo in cui la Federazione si pose immediatamente a
costituire le premesse per la ripresa. A Firenze nel 1947 si tenne un Congresso Nazionale nel
quale, approvando il testo del nuovo statuto, furono allargati i compiti dell’ente federativo al
quale fu dato un carattere esplicitamente nazionale diventando Confederazione. La
Confederazione, dotata di un Presidente Nazionale onorario e di un Presidente Nazionale
effettivo, diede cosi inizio a una più larga attività di coordinamento e organizzazione di tutte
le Misericordie presenti in Italia. Dal punto di vista statutario l’Assemblea Nazionale è
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l’organo principale del movimento composto da un Presidente elettivo con un mandato di
durata di 4 anni con possibilità di rielezione, da un Consiglio di Presidenza, dal Consiglio
Nazionale composto da 22 membri, dal Collegio dei Probiviri e dei Sindaci Revisori, dal
Consiglio dei Saggi e infine dall’Assistente Spirituale per non dimenticare la matrice cattolica
del movimento. Al fine di rendere più capillare l’azione di coordinamento del Movimento
sono stati istituiti sul territorio i Consigli Zonali, attualmente, composti da legali
rappresentanti degli associati con sede nella zona di rifermento. Per armonizzare la comune
azione amministrativa dei Consigli Zonali è stata inoltre istituita in ogni regione la
Conferenza Regionale presieduta dal Presidente della Confederazione e composta dai
Coordinatori dei Consigli Zonali della regione di riferimento e dai Consiglieri Nazionali.
Attualmente le Misericordie operano in molteplici e complessi servizi nell’ambito socio-
sanitario avvalendosi di strutture moderne e con oltre 2500 automezzi. I principali settori di
intervento sono:
• Trasporti sanitari e sociali
• Protezione civile
• Gestione di ambulatori specialistici
• Gestione di case di riposo
• Assistenza domiciliare e ospedaliera
• Consultori familiari
• Raccolta di aiuti e missioni umanitarie internazionali
• Assistenza a carcerati, anziani, immigrati, ecc.
La Confederazione opera molto anche a sostegno della progettualità, della consulenza e
dell’innovazione verso le associate anche con corsi di qualificazione e formazione sia per i
dirigenti delle Misericordie stesse (in molti casi, vero e proprio management) che verso i
singoli confratelli.
Esempio emblematico del Movimento delle Misericordie è la Confraternita di Misericordia
di Trebisacce nata nel 1999 ad opera di 30 consociati, attualmente divenuti più di 40.
Gli organi di cui si compone la Confraternita sono l’Assemblea, il Magistrato che è
l’organo di governo della Confraternita stessa il quale, in seduta comune, delibera sulle varie
decisioni dell’associazione
2. La Mission ! 12
La mission di un’organizzazione è il suo scopo, la giustificazione stessa della sua esistenza
e al contempo ciò che la differenzia dalle altre. La mission di un organizzazione è
l’equivalente del suo compito primario , ovvero il fine per cui è stata creata l’organizzazione 1
e che deve essere assolutamente conseguito nelle diverse fasi di vita dell’organizzazione. Il
compito primario fa diretto riferimento alla teoria sistemica che interpreta l’organizzazione
come un sistema aperto, all’interno di una costante relazione con il proprio ambiente esterno.
La mission della Misericordia di Trebisacce possiamo trovarla e sintetizzarla dall’ Art.1 del
regolamento interno che recita: «esercitare le proprie attività senza fini di lucro con lo scopo
di promuovere per mezzo dei confratelli, l’esercizio volontario di opere di misericordia, di
carità, di pronto soccorso, di intervento per iniziative benefiche e per pubbliche calamità
anche in collaborazione con altri enti e con ogni pubblico potere». La Confraternita di
Misericordia di Trebisacce nasce con lo scopo di erogare servizi sociali e sanitari in un
contesto geografico poco “attrezzato” e poco tutelato dalle politiche sociali. Le relazioni che
gli individui, in questo caso i volontari, vanno a istaurare con l’organizzazione di cui fanno
parte sono di solito guidate e regolate dal compito primario di quest’ultima, cioè dalla sua
mission. Siamo molto spesso abituati a pensare erroneamente che tutte le organizzazioni
sociali, come nel caso della Misericordia, siano state create e vengano gestite sulla base di
pianificazioni, strategie e politiche razionali, ma l’ ampio sviluppo delle teorie organizzative
che abbandonano e si discostano sempre più dalle teorie razionali del modello burocratico di
Weber e dall’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, ma si avvicinano sempre più al
concepire l’organizzazione non più come struttura ma come un insieme di processi e di flussi 2
che creano il loro ambiente circostante ,ci dimostra sempre più che in alcuni casi, nonostante
la razionalità del progetto originario, l’adeguatezza delle risorse investite qualcosa nell’
organizzazione non procede come ci si aspetta. Nasce cosi l’esigenza di una teoria
organizzativa che potesse superare le precedenti teorie americane dove tutto era o doveva
essere calcolabile in anticipo, che potesse superare il principio one best way, che superasse la
visione dell’organizzazione come un corpo distinto e separato dal resto della società. Il
modello Tavistock fornisce una base plausibile per spiegare molti dei fenomeni irrazionali che
si verificano all’interno di un’organizzazione (o come in questo caso di un’associazione),
nelle dinamiche emotive dei gruppi proponendo una specifica metodologia di formazione che
Rice A.K., The Enterprise and Its Enviroment,Tavistock Publication, London,19631
Weick K.E., The Social Psychology of Organizing, McGraw-Hill, 19792
! 13
consente di migliorare la comprensione delle relazioni di gruppo, l’assunzione dei ruoli e
l’esercizio della leadership.
3. La descrizione della Misericordia: il modello Tavistock
Il modello Tavistock iniziò dal secondo dopo guerra iniziò un lungo percorso di analisi dei
processi istituzionali e di intervento consulenziale nelle organizzazioni pubbliche e private
applicandone i risultati alla comprensione del funzionamento dei team di lavoro, all’analisi
dei sistemi socio-sanitari, all’esplorazione delle professioni d’aiuto, alla diagnosi
organizzativa e alla consulenza aziendale che condussero gradualmente a ragionare per
sistemi e per strutture cogliendo il fenomeno e l’oggetto dell’analisi come un insieme
strutturato di parti e delle relazioni tra esse facendo emergere la struttura come una totalità. Il
metodo Tavistock non si pone come un sistema chiuso e onnicomprensivo, ne tantomeno si
propone una spiegazione integrale dei fenomeni e dei processi istituzionali e organizzativi,
bensì può rivelarsi importante nell’individuare il problema o la difficoltà perché utilizza un
sistema esplorativo basato su tre differenti ottiche associate : 3
- Microscopica, focus sui dettagli e sull’individuo;
- Radioscopica, indagine in profondità;
- Grandangolare, indagine su un campo allargato, sul sistema nel suo insieme e
sull’ambiente circostante.
Il metodo Tavistock ha i suoi fondamenti nella teoria clinica dell’organizzazione studiando
gli aspetti inconsci del comportamento degli individui e dei gruppi all’interno di
un’organizzazione ed il modo in cui esse ne influenzano il funzionamento.
Le matrici teoriche del modello Tavistock sono principalmente due:
• La psicoanalisi dei gruppi così com’è stata inaugurata da W. Bion negli anni 50, e
sviluppata poi da E. Jaques, P. Turquet, H. Bridger i quali l hanno applicata ed
esportata anche in contesti istituzionali allargati;
• La teoria sistemica, nata negli USA e in Gran Bretagna a partire dalla teoria generale
dei sistemi e degli studi di K. Lewin, e sviluppata poi come teoria socio-tecnica nel
campo dei gruppi e delle organizzazioni da studiosi come A.K. Rice, E. Trist, E.
Miller, W.G. Lawrence e altri.
Perini M., “Il Metodo Tavistock e le Group Relations Conferences”, http://www.psyveneto.it, 20133
! 14
Il modello può essere considerato sia come un metodo di analisi con scopi di ricerca, sia come
un metodo di formazione per tutti coloro che operano in posizione di leadership o di
collaboratori, e al contempo può essere uno strumento di diagnosi e di consulenza
dell’organizzazione. Queste tre dimensioni su cui si articola il modello contribuiscono a
creare una teoria clinica dell’organizzazione la quale considera le istituzioni umane
suscettibili di “sofferenze” che turbano le persone che ci lavorano, il morale e il compito
primario dell’organizzazione. L’assunto di base che rappresenta in nodo concettuale del 4
modello teorico del Tavistock si riassume nella formula che vede l’organizzazione come
sistema socio tecnico , cioè una struttura con aspetti formali e aspetti informali, ugualmente 5
importanti e rilevanti per spiegare il comportamento, l’agire, il crescere o il fallire di
un’organizzazione. Il concetto di sistema socio-tecnico appare per la prima volta in una
ricerca di Eric Trist sulla riorganizzazione del lavoro in una miniera di carbone in cui per la
prima volta si iniziò a vedere l’organizzazione non più come un sistema rigidamente
determinato, ma al contrario, dove è possibile scegliere la soluzione organizzativa più
adeguata. I principi su cui si basa il sistema socio tecnico sono tre:
• Due differenti ordini di variabili, tecniche e sociali che concorrono in pari misura a
definire un sistema produttivo
• Ogni organizzazione è un sistema aperto e l’equilibrio di tale sistema va ricercato
nell’interscambio con l’ambiente
• È possibile scegliere tra diversi modelli organizzativi quale sia più adatto a conciliare le
esigenze tecniche con quelle dell’intero sistema.
Al fine di comprendere meglio il funzionamento di un sistema socio tecnico è utile la
seguente mappa che mette al centro l’issue ovvero il problema da affrontare intorno a cui
ruota l’organizzazione, i singoli membri e la rete di organizzazioni
Rice A.K, The Enterprise and Its Enviroment4
Miller E.J. e Rice A.K., System of Organization. The control of Task and Sentient Boudaries, Tavistock 5
Publications, 1967! 15
!
Il tipo di apprendimento promosso e sostenuto dal modello è di tipo esperienziale, ciò
significa che la fonte di cambiamento e di acquisizione è data dall’opportunità di vivere e
rivivere in gruppo nel “qui e ora”.
Rice, uno dei principali e più incisivi rappresentanti del Tavistock, postula che sia possibile
formalizzare l’agire delle organizzazioni sulla basa di un modello di tipo input-output. Egli
intende l’organizzazione come importatrice di molteplici elementi (input) ed esportatrice di
prodotti e servizi (output), dopo un opportuno processo di trasformazione. Nel caso
dell’Associazione gli input sono i finanziamenti, le disposizioni normative, i mezzi di cui ha
bisogno per esplicitare il proprio compito primario, i quali mediante il processo di
“conversione” si trasformano in prodotti in uscita: maggiore o minore visibilità o prestigio
che influirà poi su nuove richieste, l’iscrizione di nuovi volontari o abbandono da parte dei già
iscritti, attivazione di nuovi servizi o chiusura di quelli esistenti. Ogni organizzazione si
caratterizza in base al suo compito primario che può essere inteso sia come l’obiettivo
istituzionale dell’organizzazione e sia come ciò che vincola e garantisce la sopravvivenza
stessa dell’organizzazione.
Il paradigma Tavistock usa molto il concetto dell’organizzazione come sistema aperto di
Von Bertalanffy prestando particolare attenzione al concetto di confine, che nella prospettiva
psico sociale non è altro che l’identità dell’individuo che, in situazioni di stress, di ansia o di
cambiamento tende a proteggersi sia dal gruppo che dall’organizzazione stessa. Ma poiché
l’organizzazione è concepita come sistema aperto il confine si presenta contemporaneamente
come una struttura permeabile attraverso la quale avvengono gli scambi e le transazioni tra il
sistema e l’ambiente esterno. La funzione regolatrice che governa gli scambi tra il sistema e il
! 16
suo ambiente esterno può essere rappresentata come collocata sul confine in cui la posizione
funzionale deve essere occupata dalla leadership. Un autore che ben sintetizza tutto
l’approccio socio-tecnico e i suoi componenti è Federico Butera mediante il cubo
organizzativo 6
!
Mediante la riflessione e l’approfondimento di ogni faccia del cubo organizzativo a si può
ulteriormente capire la strutture complessa di un organizzazione, applicandola alla
Confraternita di Misericordia di Trebisacce.
La prima questione da identificare sono gli obiettivi e le prestazioni dell’unità
organizzativa. Mentre l’obiettivo è il fine che l’organizzazione intende raggiungere, le
prestazioni sono le misure degli obiettivi, o meglio sono la misura del grado di
raggiungimento degli obiettivi. Gli obiettivi, nel caso della Misericordia sono:
− Economici: ottimizzazione delle risorse economiche a disposizione dell’associazione
per mantenere un giusto equilibrio tra costi e la qualità dei servizi
− Tecnici: utilizzo di strumenti elettromedicali efficienti, funzionali e moderni
− Sociali: porre gli utenti in ambienti lavorativi sicuri e confortevoli.
Le prestazioni economiche, invece, sono legate alla produttività del servizio ovvero al far
crescere il numero di utenti soddisfatti; le prestazioni tecniche sono legate al funzionamento
Butera F., Metodi di analisi del lavoro e delle organizzazioni, 2005 http://www.sociologia.unimib.it/DATA/6
Insegnamenti/2_2147/materiale/metodi%20di%20analisi%20del%20lavoro%20e%20delle%20organizzazioni ! 17
delle macchine e delle procedure di accesso; infine le prestazioni sociali si riferiscono alla
qualità della via di lavoro dei volontari e di chi opera.
L’ altra faccia del cubo rappresenta le risorse, data da tecnologie, risorse economiche
persone e tutto ciò che fa parte del patrimonio che ogni organizzazione possiede per il
raggiungimento dei suoi obiettivi. Nel caso dell’Associazione le risorse comprendono
innanzitutto i volontari, poi i mezzi dotati di tutta l’attrezzatura necessaria per far fronte a
esigenze sanitarie o sociali, attrezzature per emergenze di masse come tende, radiotrasmittenti
ecc., una sede operativa attrezzata con aule di formazione, un deposito banco alimentare e il
deposito del banco farmaceutico.
La terza faccia del cubo rappresenta la configurazione organizzativa che riguarda i
componenti costitutivi di un soggetto organizzativo e le relazioni tra i suoi componenti. Il
primo elemento è il processo, di cui ne danno un ottima definizione Miller e Rice «processo è
una trasformazione o una serie di trasformazioni che hanno luogo sull’oggetto dell’attività
funzionale di un sistema, come risultato del quale l’oggetto viene cambiato nella sua
posizione, forma, misura o in qualche altro aspetto» . In breve sono gli input e gli output, che 7
applicati all’Associazione diventano le richieste pervenute dagli utenti che si trasformano
mediante conversione in servizi erogati. Dopo il processo troviamo le attività lavorative e i
compiti, il sistema di governo, i sistemi di gestione del personale, la struttura organizzativa
con i relativi ruoli e infine le microstrutture, ossia la suddivisione in team che realizzano
effettivamente i processi operativi. Nel caso dell’associazione trattata la microstruttura non
sono altro che la suddivisione delle varie attività svolte: Protezione Civile, Supporto 118,
Banco Alimentare e Messa in prova.
4. Protezione Civile
La protezione civile nasce nel 1982 con la finalità di dotare il Paese di un organismo
capace di mobilitare e coordinare tutte le risorse nazionali utili ad assicurare assistenza alla
popolazione in caso di emergenza. Nasce a seguito del terremoto in Irpinia del 1980 che era
stato caratterizzato da un grave ritardo dei soccorsi evidenziando la necessità di istituire una
struttura e un organo che si occupasse di emergenze di questo tipo. Si struttura così il
Miller E.J. e Rice A.K., System of Organization 7
! 18
Dipartimento di Protezione Civile facente parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e
con la legge n.225 del 1992 il Dipartimento ha il compito di indirizzo, promozione e
coordinamento dell’intero sistema. Il Dipartimento opera in stretto raccordo con Regioni,
Province, Comuni e Associazioni di volontariato occupandosi delle previsione e prevenzione
dei rischi, del soccorso e dell’assistenza delle popolazioni colpite da calamità, e del contrasto
e superamento dell’emergenza. Il servizio di Protezione Civile delle Misericordie rappresenta
il maggiore fenomeno di volontariato del settore contando su più di settantamila confratelli.
Dispone di numerosi mezzi e attrezzature avendo una colonna mobile composta da P.M.A.
cioè posti medici avanzati. P.A.S.S. ovvero posto di assistenza socio sanitaria, cucine da
campo, sala operativa, tende, ecc. Le Misericordie hanno arricchito di volta in volta la loro
esperienza, affinando le procedure, precisando gli obiettivi operativi secondo le leggi vigenti,
raggiungendo efficienza e consapevolezza fino all’ attivazione dell’U.G.E.M. acronimo che
indica l’ufficio per la gestione dell’emergenza di massa, composto da sei dirigenti che
governano in modo collegiale tutte le attività di Protezione Civile delle Misericordie. La
Misericordia di Trebisacce è iscritta dal 2000 sia nel Registro Regionale di Protezione Civile
sia nel Registro di Protezione Civile della Confederazione Nazionale delle Misericordie.
Attività molto interessante a cui sta partecipando la suddetta associazione è il progetto
Soccorso Senza Barriere che si occupa di pianificare il soccorso di persone con disabilità
riuscendo a far creare una mappa sinottica della disabilità ovvero una mappa che, in caso di
emergenza, possa individuare dove si trovino le persone con disabilità sul territorio colpito.
Figura importante all’interno della protezione civile della Confraternita Misericordia di
Trebisacce è quella del Disaster Manager che opera nel campo della sicurezza. I suoi compiti
principali sono: organizzare gli interventi, coordinare i soccorsi e l’operato dei componenti
delle strutture predisposte alla gestione ed alle attività delle operazioni di soccorso. Per
meglio definire queste competenze, le caratteristiche e le conoscenze di tale figura è stata
pubblicata la norma UNI 11656:2016 intitolata “Attività professionali non regolamentate -
Professionista delle Protezione civile (disaster manager) - requisiti di conoscenza, abilità e
competenza”. Dall’entrata in vigore di questa disposizione gli enti locali e territoriali possono
favi riferimento per potersi avvalere di professionisti qualificati ad esplicitare determinate
mansioni. A seguito del terremoto in Campania del 1980 la prima pagina del Mattino di
Napoli si intitolava “FATE PRESTO”, riferita ai soccorsi che tardavano ad arrivare. Oggi per i
volontari di protezione civile quella frase si è trasformata in “FACCIAMO PRIMA” cercando
di ottimizzare tempistiche di organizzazione e di intervento. ! 19
5. Supporto 118
Il sistema di emergenza sanitaria 118 comprende l’insieme organizzato e coordinato di
persone e strutture che interagiscono a livelli diversi e con competenze specifiche per il
raggiungimento di un obiettivo comune: rispondere a tutte le esigenze del cittadino che
rivestono carattere di emergenza sanitaria. Prima dell’istituzione del 118 chi si occupava di
emergenza sanitaria erano esclusivamente gruppi di volontari composti da persone formate
attraverso corsi di primo soccorso che operavano in maniera autonoma. Il trasporto della
persona malata o infortunata era espletato in modo disomogeneo e senza un coordinamento da
associazioni ed enti preposti all’emergenza extra ospedaliera. Ciò creava confusione per la
difficoltà nel contattare chi svolgeva il soccorso sul territorio; ritardo nei soccorsi poiché le
prestazioni fornite non erano omogenee nella qualità e nei tempi di intervento; mancato
coordinamento dei soccorsi perché sullo stesso evento sopraggiungevano più unità di
soccorso. Con l’attuazione di un sistema di emergenza sanitaria si è creato un’organizzazione
univoca basata su una serie di interventi volti a raggiungere l’omogeneità teorica e operativa
del soccorso extra ospedaliero. Si sono stabiliti protocolli di intervento uguali per tutti,
personale professionale, medici e infermieri, sono stati dislocati nelle sedi dei volontari per
operare in collaborazione con i soccorritori volontari sui mezzi di soccorsi, sono stati istituiti
corsi di formazione per il personale volontario altamente specializzati. Secondo l’art. 2 della
“Legge quadro sul volontariato” (n. 226/1991), il volontario è colui che “senza fini di lucro
anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà” presta attività in un’organizzazione
in modo “personale, spontaneo e gratuito”. La legge sul volontariato, nonostante dia una
definizione dettagliata e univoca di volontariato, non definisce veste e ruolo giuridico del
volontario soccorritore, creando una carenza normativa in merito ai diritti e doveri specifici di
tale figura. I doveri e i diritti di tale figura possono farsi risalire ai Protocolli e Linee Giuda in
vigore, siano essi internazionali, nazionali o regionali e solo a causa di un’inosservanza delle
indicazioni presenti in tali guide il volontario ne risponderà personalmente nelle sedi preposte
per infrazione delle norme del Codice civile e/o Codice Penale. I compiti fondamentali di un
volontario soccorritore all’interno del sistema di Emergenza-Urgenza 118 sono:
− salvataggio: ricognizione, liberazione, evacuazione
− valutazione: accertamento delle funzioni vitali
! 20
− stabilizzazione: emostasi, disinfestazione e medicazione, immobilizzazione
− trasporto: in ospedale o in apposite strutture
− supporto: a medici o infermieri
La Confraternita di Misericordia di Trebisacce fornisce servizio di supporto 118 grazie al
protocollo di intesa tra il servizio 118 e le associazioni convenzionate per la gestione degli
interventi di emergenza dal 2011. Per espletare al meglio il servizio si avvale di circa 15
Soccorritori Volontari adeguatamente formati e sottoposti a continui retraining dei corsi che
necessitano per lo svolgimento di un tale servizio. Tra tutte le attività svolte dall’associazione
di certo questa è quella più complessa dal punto di vista organizzativo per la presenza delle
numerose connessioni che deve avere con gli enti, con le strutture ospedalieri e per i numerosi
requisiti richiesti dalle convenzioni. La Confraternita, in ambito di Supporto 118, risponde
naturalmente dall’ASL territoriale, in questo caso di Cosenza, che la coordina, mediante il
centralino delle emergenze in tutte le sue attività di soccorso, e vigila sull’ottemperanza dei
requisiti da avere per lo svolgimento di tale servizio. A livello interno il servizio viene
coordinato dal Governatore e dal Vice Governatore che si occupano della turnazione dei
volontari, della formazione continua degli stessi, e dell’idoneità dei mezzi di soccorso. La
Confraternita è dotata di una postazione di 118 permanente per tutto l’anno e di una
postazione estiva facente parte del piano operativo “Vacanze Sicure”. In un periodo di carenza
di fondi per la sanità come questo odierno, la presenza di volontari soccorritori fa davvero la
differenza nel colmare alcuni vuoti del nostro welfare territoriale.
6. Banco alimentare
La fondazione Banco Alimentare Onlus nasce nel 1989, coordina e guida la Rete Banco
Alimentare costituita da ogni organizzazione di banco alimentare territoriale. Promuove il
recupero delle eccedenze alimentari e le redistribuzione alle strutture caritative che ne fanno
richiesta. Il dono gratuito di alimenti permette alle associazioni assistite di destinare maggiori
risorse alla propria mission, nel segno di una concreta sussidiarietà che porta ad aiutare circa
8.000 associazioni. I benefici del Banco Alimentare sono tanti naturalmente di diversa natura:
• Sociale: alimenti ancora consumabili non diventano rifiuti ma si trasformano nella
“spesa” mensile di tante persone
! 21
• Economico: donando le eccedenze, le aziende restituiscono loro un valore economico
contenendo i costi di stoccaggio e di smaltimento
• Ambientale: il recupero degli alimenti permette un risparmio di risorse energetiche
abbattendo le emissioni di CO2
• Educativo: pone al centro il valore del cibo nonché fa riflettere sui tanti sprechi che
quotidianamente noi sottovalutiamo e che per tanti altri invece vanno a costituire la
propria sussistenza.
Le organizzazioni della Rete del Banco Alimentare sono accreditate presso l’AGEA
(Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) e pertanto usufruiscono della donazione di derrate
alimentari destinati agli indigenti dal Fondo di Aiuti Europei agli Indigenti (FEAD). Nel 2003
nasce un altro importante programma della Fondazione Banco Alimentare: Siticibo.
Siticibo è la prima e vera applicazione della cosiddetta legge del Buon Samaritano n. 155
del 2003, ed ha lo scopo di recuperare il cibo cotto e fresco in eccedenza nella ristorazione
organizzata e dal 2009 il programma è anche di recupero dai punti vendita della Grande
Distribuzione Organizzata.
A livello di distribuzione nazionale il Banco Alimentare prevede una sede in ogni regione
in cui le singole associazioni si recano per prendere gli alimenti e a loro volta distribuirli. Uno
dei principi cattolici della Confraternita di Misericordia è il “Dar da mangiare agli affamati”
e lo mette in pratica aderendo al banco alimentare dal 2003. Ogni mese un rappresentante
dell’Associazione si reca presso l’organizzazione territoriale del Banco Alimentare per ritirare
gli alimenti in base al numero di indigenti dichiarati di assistere: attualmente sono circa 130
famiglie. Dopo aver preso gli alimenti naturalmente c’è la fase delle distribuzione in cui,
nonostante la difficoltà nel gestire le risorse e le varie situazioni che possono sorgere, si cerca
sempre di porre in primo piano la dignità della persona e la sua soggettività. Si cerca infatti di
consegnare gli alimenti sempre nel rispetto della privacy della persona, e cercando di tenere
conto, nei limiti del possibile, di eventuali intolleranze alimentari o semplicemente dei “gusti”
della persona. L’erogazione e al contempo l’usufruire di un tale servizio porta con sé due
problematiche molto rilevanti e più volte sperimentate dalla Confraternita stessa. La prima
problematica è il rischio di stigmatizzazione causato dal fatto stesso che richiedere la
prestazione significa identificarsi come persona che versa in uno stato di bisogno, che molte
volte si fa fatica ad accettare e porta a quello che viene definito non take up, ovvero persone
in stato di bisogno scelgono di non candidarsi per la prestazione. L’ altro limite è la “trappola
! 22
della povertà” che si verifica quando l’erogazione di un servizio non incentiva chi ne 8
usufruisce a far in modo di abbandonare l’aiuto che gli si da ma al contrario ne si approfitta.
L’ Associazione prima di erogare il servizio si accerta naturalmente dell’esistenza reale della
situazione di bisogno e può farlo solo mediante l’attestazione del reddito della famiglia, il
quale molte volte però non tiene conto di altri fattori che possono influire, come la
coabitazione di persone disabili o anziani o la presenza di esigenze non calcolabili dal Pil.
Questa è una situazione simile all’opinione di Marthe C. Nussbaum sul Pil. Esso non può
indicare la vera qualità di vita delle persone, non può tenere conto dei vari fattori che incidono
quotidianamente sul benessere della persona, motivo per cui abbiamo bisogno di un approccio
delle capacità , basato sulla singola persona, che possa chiedersi cosa sono effettivamente in 9
grado di essere e di fare le persone attraverso una valutazione comparata della qualità della
vita di ognuno.
7. Messa alla prova
La sospensione del procedimento penale con messa alla prova è una modalità alternativa di
definizione della pena mediante la quale è possibile pervenire a una pronuncia di
proscioglimento per estinzione del reato, laddove il periodo di prova si concluda con esito
positivo. È un istituto nato dalla legge 67 del 2014 che ha natura consensuale e funzione di
riparazione sociale e individuale a cui possono accedere sia persone maggiorenni che
minorenni. Il programma viene guidato e gestito dall’ UEPE che oltre a predisporre il
programma, prende in carico l’interessato, controlla lo svolgimento della prova, fungendo da
tramite con il giudice con relazioni periodiche e una relazione finale, e può modificare,
abbreviare e persino revocare la messa alla prova. I soggetti ammessi a tale istituto sono
chiamati a prestare lavori di pubblica utilità a seguito di reati puniti con pena non superiore a
4 anni. La Confraternita di Misericordia di Trebisacce si mette a disposizione di tale istituto
mediante accordi, protocolli e convenzioni con i tribunali e lo fa dal 2001. Fino ad oggi ha
ospitato nella sua sede 4 minori che dato il vigente obbligo di frequenza della scuola
prestavano massimo sei ore di lavoro di pubblica utilità e due adulti le cui ore dipendevano
Ferrera M., Le Politiche Sociali. L’Italia in una prospettiva comparata, Il Mulino, 20068
Nussbaum M.C., Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del PIL, Il Mulino, 2012 9
! 23
dalla pena a loro carico. All’interno dell’Associazione la responsabilità della gestione della
persona è dell’organo del magistrato che a sua volta può designare un volontario come
supervisore per controllare e vigilare sul corretto espletamento del programma e sugli orari di
entrata ed uscita. Il servizio della messa alla prova naturalmente va a rafforzare sempre la
matrice cattolica e cristiana dell’intero movimento delle Misericordie, nascendo proprio
dall’opera di misericordia corporale più antica dell’intero movimento: “visitare i carcerati”. In
questo caso sono i detenuti a recarsi presso l’Associazione avendo la possibilità di sentirsi
parte di un gruppo, acquistando una maggiore fiducia in se stessi e in quello che sono o
possono essere in grado di fare e di essere, scoprendo magari nuove attività che possono
interessare molto di più rispetto a quelle che si praticavano prima.
8.Misericordia e complessità
L’approccio dei sistemi complessi permea le organizzazioni, comprese le associazioni di
volontariato, viste non solo più come strutture statiche o insieme di persone che si associano
volontariamente, bensì come sistemi viventi con sottosistemi, vari sottosistemi di cui si
compongono e con vari livelli di dipendenza interna ed esterna .La complessità emerge là
dove le variabili in gioco diventano molte o troppe per essere direttamente controllate, emerge
quando l’ organizzazione si trova ad operare in condizioni di crescente imprevedibilità, dettata
da turbolenze e discontinuità generate dai sistemi sociali ed economici di cui è parte. Se ci
focalizziamo sull’ esempio della Confraternita di Misericordia di Trebisacce capiamo che essa
è costituita da parti di diverso tipo, con funzioni diverse e specializzate che hanno tra di loro
legami e relazioni basati su continui flussi di risorse, materiali e non, e di informazioni che
determinano una continua e costante interazione tra le parti dell’Associazione. La complessità
esterna della Misericordia è caratterizzata da un largo numero di elementi ambientali che sono
rilevanti per l’organizzazione e da relazioni complesse ed imprevedibili dettate dai vari utenti
che si rivolgono a essa portatori di diverse necessità e bisogni; mentre la complessità interna
si riferisce a una struttura di tipo reticolare e decentrata che deve far fronte continuamente a
nuove esigenze. Un tipico aspetto della complessità dell’Associazione può essere considerata
l’erogazione dei servizi che dipende notevolmente dall’ interazione tra i volontari con le loro
disponibilità e la necessità di un servizio che viene richiesto. Proprio da questa stretta
interdipendenza emerge una delle caratteristiche principali dell’approccio della complessità, ! 24
ovvero che l’Associazione è qualcosa di più della somma delle singole parti che la
compongono. La complessità della Misericordia emerge anche dall’ articolazione dei suoi
sottosistemi o sistemi funzionali: Protezione Civile, Supporto 118, Banco Alimentare e Messa
alla Prova, i quali operano mediante la spinta di fattori propulsivi, ognuno dei quali è a sua
volta composto da più sottosistemi, rappresentati dalle sue unità operative, tutte alla continua
ricerca di nuovi equilibri interni ed esterni. La Misericordia è un sistema complesso, aperto e
in relazione con il sistema sociale (utenti/beneficiari dei servizi) economico (convenzioni
statali e donazioni) e politico (destinatario di fondi o incentivi statali o comunali).
Offre una gamma assai vasta di servizi e prestazioni a fronte di una quantità limitata di
risorse economiche disponibili, trattandosi di un’organizzazione non profit.
Per meglio approfondire il sistema complesso della Misericordia e i suoi sotto sistemi con
il relativo compito primario è utile adattare una figura rappresentata nel libro l’Inconscio a
Lavoro di Anton Obholzer e Vega Zagier Roberts.
! Figura 2. Organizzazione dei servizi della Misericordia. Fonte (adattata da): Obholzer e Vega Roberts (1994) op. cit. pg. 74
SUPPORTO 118
ASL TERRITORIALE DI COSENZA
POSTAZIONE
BANCO ALIMENTARE
AGEA
DISTRIBUZIONE
PROTEZIONE CIVILE
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
REGIONE
MESSA ALLA PROVA
TRIBUNALE
U.E.P.E
! 25
I sistemi complessi richiedono, quindi, inevitabilmente un approccio sistemico in ogni
momento di analisi, di gestione e di valutazione e lo si può attuare solo mediante una visione
dell’insieme e non particolaristica, ponendo più attenzioni alle relazioni che alle parti.
Esattamente come in questo caso non è sufficiente guardare come sia nata o come sia stata
creata la Misericordia o il suo statuto, bensì bisogna guardare chi l’ha creata, chi ne fa parte,
con che ruolo se ne fa parte, come interagiscono tra loro e come interagiscono con l’ambiente
di cui fanno parte o con cui si confrontano ogni giorno pronti in qualsiasi momento a crescere,
adattarsi alle nuove esigenze o ai nuovi bisogni e cambiare: “sopravvivere è adattarsi e
adattarsi è cambiare” . 10
Scott R., Le Organizzazioni, Il Mulino, 198510
! 26
Capitolo Terzo
Il coordinamento interno
1. La rete organizzativa: gli studi
I primi studi organizzativi in materia di rete organizzative risalgono agli anni 60 con
l’approccio socio tecnico e con studiosi come Emery e Trist e Thompson. Con la teoria di
Emery e Trist ci si concentra principalmente sulle relazioni che si creano tra gli elementi
dell’ambiente transazionale, ovvero l’ambiente in cui si verificano modificazioni rilevanti
nell’ organizzazione, tali relazioni costituiscono quello che viene definito “tessuto causale
delle organizzazioni”. Questi autori mettono in risalto il fatto che l’intensificarsi delle
relazioni presenti in tale ambiente condiziona fortemente l’assetto organizzativo delle
aziende. Essi, inoltre, attribuiscono all’ambiente generale una propria specificità,
“indipendente dalle caratteristiche delle singole organizzazioni che lo costituiscono” . La 1
teoria di Thompson può essere considerata un’evoluzione della teoria di Emery e Trist. Egli,
infatti, considera indipendente dalle organizzazioni sia l’ambiente generale che quello
specifico e sottolinea l’importanza delle transazioni esistenti tra l’organizzazione centrale
(focal organization) e l’ambiente (organization set) con il quale interagisce (sia esso generale
o specifico) . In particolare, egli è uno dei primi studiosi ad affermare che la pluralità 2
dell’ambiente specifico e la variabilità di quello generale implicano, per l’organizzazione di
riferimento, la gestione di numerose relazioni e vincolano il processo di formulazione delle
strategie. Secondo Thompson le relazioni interorganizzative possono assumere
fondamentalmente due configurazioni: Network “segregato” e Network “integrato” . Nel 3
primo caso si assiste alle presenza di un’organizzazione centrale che intrattiene rapporti di
scambio con gli attori appartenenti al proprio ambiente di riferimento, tra i quali, tuttavia, non
Martinez M., Teorie di Organizzazione in Economia Aziendale. Dall’Organismo al network, Franco Angeli, 1
1997, pag. 123
Lomi A., Reti Organizzative. Teoria, Tecnica e Applicazioni, Il Mulino, 1991, pag. 212
Ivi, pag. 233
! 26
vi è alcuna interdipendenza reciproca. Nel secondo caso, al contrario, esistono relazioni di
interdipendenza sia tra l’organizzazione centrale e gli attori coinvolti nel network che tra gli
stessi attori. È evidente che a seconda del tipo di network appare differente il ruolo assunto
dall’impresa centrale e, di conseguenza, anche la sua struttura organizzativa.
Negli ultimi anni la continua evoluzione dei mercati e l’adozione di tecnologie sempre più
sofisticate ha determinato un cambiamento dei fattori che favoriscono la competitività
aziendale rendendo necessari investimenti considerevoli e, allo stesso tempo, accordi con
diversi partners. E’ per questo motivo che le moderne organizzazioni sono legate ad altri attori
(o organizzazioni) da innumerevoli relazioni, indispensabili sia per l'acquisizione di risorse
(materiali e immateriali) che per la cessione e scambio dei beni e/o servizi prodotti. Le
relazioni, dunque, sono indispensabili per la crescita delle singole organizzazioni e, a volte,
anche per la propria sopravvivenza. Le relazioni interaziendali, connesse a strutture
organizzative particolarmente flessibili, infatti, sono in grado di produrre performance
organizzative molto più efficaci rispetto a quelle determinate dalle tradizionali strutture
gerarchiche, caratterizzate da meccanismi di coordinamento e controllo di tipo formale e
gerarchico. Questo non significa che le organizzazioni di tipo gerarchico non siano efficienti
in nessun contesto, piuttosto, sta a significare che le organizzazioni di tipo tradizionale
dovrebbero sviluppare delle relazioni interaziendali favorendo comportamenti collaborativi.
In questo scenario, dunque, particolare rilevanza assume il concetto di rete, con tutte le sue
interdipendenze ed i meccanismi di coordinamento ad essa correlati. Il concetto di rete (o
network), che secondo una prima accezione generale può essere definito come “un insieme di
nodi legati da relazioni o connessioni” , è stato utilizzato in letteratura con riferimento a 4
fenomeni organizzativi molto diversi fra loro, quali ad esempio alleanze strategiche, il
decentramento produttivo di attività da parte di un’impresa centrale verso imprese
subfornitrici, e così via. Ad esso fanno riferimento numerose teorie ed approcci organizzativi.
Una definizione particolarmente significativa del concetto di rete ci viene fornita da Perrone,
il quale la definisce come «una combinazione di processi di coordinamento prevalentemente
non gerarchici e di strutture organizzative basate sull’integrazione per linee orizzontali e su
una gestione aperta dei confini, interpretati, agiti e progettati da un’impresa focale per
ottenere simultaneamente obiettivi di efficienza dinamica e di varietà di combinazioni
produttive e di prodotti su una larga scala di attività, in ambienti dinamici e ad alto
Wellman e Berkowitz, citato in Soda G., Reti tra imprese. Modelli e prospettive per una teoria del 4
coordinamento, Carocci, Roma, 1998, pag. 24! 27
rischio» .Nella definizione fornita sono racchiuse le principali caratteristiche della forma 5
organizzativa a rete, vale a dire:
• la presenza di un’impresa centrale, definita “impresa focale”;
• la presenza di organizzazioni, che costituiscono il cosiddetto ambiente
transazionale, definito anche organization set dotate di piena autonomia e
reciprocamente indipendenti, sia dal punto di vista decisionale che da punto di
vista della proprietà, che ruotano intorno all’impresa focale, attraverso rapporti di
scambio e di collaborazione in un’ottica di sistema aperto;
• la presenza di un coordinamento di tipo prevalentemente non gerarchico, basato
sulla cooperazione e sulla reciproca fiducia. Tale meccanismo di coordinamento è
caratterizzato da un adeguato mix di rapporti formali e informali in grado di
assicurare la massima flessibilità;
• la presenza di un obiettivo comune da perseguire, oltre che di processi decisionali
congiunti;
• l’ottimizzazione dell’uso delle risorse scarse disponibili, attraverso un meccanismo
di condivisione;
• la presenza di dinamicità e complessità ambientale.
Due fenomeni stanno alla base dello sviluppo delle organizzazioni a rete:
• il nuovo orientamento delle organizzazioni ai processi invece che alle norme e alle
strutture formali: le process centred organization, ovvero unità centrate sulla
realizzazione di processi più che di procedure e di responsabilità burocratiche, le
quali partecipano alla realizzazione di un flusso di eventi controllati tendente a
ottimizzare il rapporto fra mercato e organizzazione, i modi di gestire la catena del
valore e di appropriazione dei margini, la configurazione del coordinamento e
controllo, la divisione del lavoro sia fra imprese e istituzioni, sia fra tecnologie e
organizzazione e soprattutto la divisione del lavoro fra gli uomini;
• il riemergere prorompente delle comunità di lavoro basate largamente su sistemi di
regolazione sociale che si sviluppano all'interno e che coesistono con le strutture
razionali formalizzate.
Queste caratteristiche della rete organizzativa appaiono inizialmente all’interno della singola
organizzazione e si estendono poi alle reti.
Perrone V., “La rete”, in Costa G., Nacamulli R. (a cura di), Manuale di Organizzazione Aziendale, II Volume, 5
Edizioni Utet, Torino, pag. 613! 28
La Rete si caratterizza per l’elevato grado di flessibilità, cooperazione oltre che per
l’adozione di un adeguato mix di rapporti formali e informali basati sull’amicizia e sulla
fiducia reciproca. Essa è costituita da una serie di unità semiautonome che ricevono input e
producono output di cui è possibile definire il valore. Le attività interne di ciascuna unità sono
gestite da gruppi nei quali le relazioni gerarchiche sono pressoché assenti e dove, al contrario,
prevalgono le relazioni di tipo cooperativo.
Ciascun gruppo è responsabile del raggiungimento degli obiettivi e assolutamente
autonomo rispetto alle strategie da adottare al fine del raggiungimento degli stessi. Il
raggiungimento degli obiettivi da parte delle singole unità può essere favorito dal flusso di
informazioni, qualitativamente e quantitativamente superiori rispetto a quelle riscontrabili
nelle singole organizzazioni gerarchiche, gestite a livello centrale e rese accessibili in maniera
agevole.
“Connettere, cooperare e conoscere” sono per Lavinia Bifulco i processi principali 6
attraverso cui si compongono e ricompongono le interazioni nelle reti organizzative.
La morfologia di una rete organizzativa è costituita principalmente dalle connessioni, dai
nodi e dalle strutture.
2. Le componenti della rete organizzativa: il caso della Misericordia
Le connessioni formali sono, tra i possibili tipi di legame tra i nodi della rete, quelle più
riconoscibili, quelle cioè che più danno la sensazione di un sistema organizzato. Si riferiscono
alla forma giuridica adottata per stipulare l’accordo, ma anche alle norme e alle procedure che
l’organizzazione a rete si dà. Sebbene questo tipo di connessione non sia sufficiente a tenere
unito il sistema e nonostante livelli di governamence emergano anche in reti non formalizzate
giuridicamente, la formalizzazione garantisce, in linea teorica, decisioni rapide e impegnative
che contemporaneamente non intaccano l’autonomia dei singoli soggetti né innescano
rapporti gerarchici e di potere. Oltre alle connessioni formali, componente hard
dell’organizzazione a rete, è possibile distinguere gli elementi soft e cioè le regole e pratiche
della cooperazione e le comunicazioni scritte e verbali; queste hanno a che fare con la cultura
dell’organizzazione e si manifestano attraverso il modo di lavorare insieme, la modalità di
prendere una decisione, l’utilizzo di riunioni e incontri, ecc. E’ attraverso l’analisi di questo
Bifulco L., Che cos’è una organizzazione, Carocci, Roma, 20066
! 29
livello, del linguaggio, dei valori, del modo in cui si mantengono e si rafforzano le relazioni
che è possibile comprendere la vitalità e lo sviluppo del sistema a rete.
I nodi o sistemi sono le parti costitutive di una rete organizzativa, si tratta di entità grandi o
piccole capaci di cooperare con gli altri nodi. I nodi possono essere interni o esterni ai confini
giuridico amministrativi di un’organizzazione
I nodi, che sono parti costitutive di un’organizzazione a rete, sono orientate ai risultati,
relativamente autoregolate, capaci di cooperare tra loro e di interpretare gli eventi esterni.
L’autonomia dei nodi ovviamente non esclude differenze di potere, di influenza, di vantaggio
reciproci. In sintesi, si può affermare che un ingrediente di successo dell’esperienza
dell’impresa rete è stato la vitalità dei suoi nodi costituenti. Una parte costitutiva della rete è
data dalle connessioni o relazioni fra i nodi. Tali connessioni sono di varia natura, coesistenti
e in molti casi sinergiche più che opposte. In un’impresa rete esse esistono e sono importanti,
rappresentano però solo alcune fra le connessioni che tengono unito il sistema.
Nell’organizzazione a rete è fondamentale lavorare insieme su un problema, prendere una
decisione collegiale, portare a termine un progetto.
La struttura organizzativa è senz’altro lo strumento per eccellenza di integrazione della
rete, è infatti attraverso la gestione dei processi, la definizione dei ruoli, i metodi di lavoro e il
sistema di competenze che è possibile attivare processi di integrazione culturale tra i diversi
attori della rete. La complessità della dinamica è nota, bisogna riuscire a bilanciare la crescita
della rete con la crescita dei singoli soggetti e quindi trovare un equilibrio tra le esigenze di
integrazione del soggetto rete con quelle di entità degli attori che ne fanno parte. Passare da
un’identità rigida e limitata ad un’identità aperta e fluida vuol dire prendere coscienza
dell’ambiente entro cui si opera e tenerne conto.
Nelle reti di un’organizzazione ha luogo la piena permeabilità non solo fra imprese e unità
organizzative interne, fra mercato e organizzazione, ma fra organizzazione, istituzioni e
società, e, soprattutto, fra organizzazioni e persone. Tali reti non possono funzionare senza
una profonda integrazione fra dimensioni economiche e sociali, sia all'interno, sia all'esterno:
esse sono insiemi di comunità vitali. Riprendendo e usando la terminologia di Federico Butera
la Confraternita di Misericordia potrebbe essere definita come un impresa eccellente
socialmente capace ovvero un’organizzazione normale che ha come missione primaria quella 7
di produrre ricchezza per tutti gli stakeholder e per la società e di essere competitiva sul piano
Butera F., Progettazione di organizzazioni complesse: dal castello alla rete, Franco Angeli, 20057
! 30
territoriale. Essa adotta contemporaneamente strategie di costo, di qualità e di
diversificazione. A questo scopo essa è capace di difendersi dalle diseconomie esterne e di
operare per costruire propositivamente economie esterne assumendo, con fini e metodi
trasparenti e leciti, il sistema istituzionale e sociale come arena per acquisire vantaggi
competitivi rispetto ad altre imprese. Essa ha anche valori, che sancisce in un'apposita carta
dei valori con cui essa dichiara impegni e si assume spontaneamente responsabilità
riguardanti la comunità territoriale gli utenti e i membri dell'organizzazione.
L’organizzazione, oltre a essere eccellente e socialmente responsabile, è, soprattutto,
strutturalmente capace di pianificare e gestire l'integrazione fra sistema economico, sistema
tecnico e sistema sociale interno ed esterno: il suo governance system, la sua organizzazione
interna, la sua cultura di impresa, le relazioni stabili con le istituzioni e le organizzazioni del
territorio le consentono di coniugare una capacità di generare elevati livelli di produttività,
redditività e innovazione e di assicurare alti livelli di qualità della vita di lavoro insieme a una
forte capacità di fertilizzare socialmente i territori in cui opera. Il tutto può essere studiato e
rappresentato mediante il seguente schema che mette in risalto la mission dell’organizzazione,
il suo interagire con l’ambiente circostante e l’integrazione tra i suoi componenti:
!
Figura 3. Progettazione di organizzazioni complesse: dal castello alla rete. Fonte: Butera (2005), op. cit. pag. 48
! 31
La figura, esattamente come l’organizzazione analizzata, mette in risalto l’etica dei valori
che guida la mission stessa dell’organizzazione, utilità dei servizi erogati con i relativi costi
che devono essere quanto più possibile ridotti ed ottimizzati trattandosi di un’associazione di
volontariato. Altro elemento che lo schema aiuta a sottolineare come importante per
l’associazione è lo sviluppo economico territoriale motivo per cui beneficia di finanziamenti o
aderisce a bandi nazionali per poter incrementare l’economia locale.
Un evoluzione dell’approccio sistemico dell’organizzazione a rete, che può meglio aiutarci
a capire la rete organizzativa della Confraternita di Misericordia è la teoria del sistema vitale 8
che si focalizza sulle relazioni tra le parti del sistema quindi dell’organizzazione, i suoi sotto-
sistemi cioè le sue unità organizzative, e i suoi sovra- sistemi ovvero l’ambiente di
riferimento. Questo approccio consente lo sviluppo di una struttura organizzativa con un alto
grado di coerenza fra i suoi sotto sistemi, e una sintonia di finalità con i sovra- sistemi. I
principali postulati del sistema vitale sono 4:
- un sistema è vitale se può sopravvivere in un particolare tipo di ambiente possedendo
quindi la proprietà di apertura finalizzata al raggiungimento della sopravvivenza
- deve possedere la proprietà di isotropia, ovvero tutti i sistemi vitali hanno una
identità di forma a prescindere dalla loro configurazione specifica
- il sistema vitale è proiettato verso il perseguimento di finalità e il raggiungimento di
obiettivi
- il sistema vitale ha la possibilità di dissolvere se stesso inteso come entità autonoma
nel sovra-sistema in cui fa riferimento.
Importante nella rete di un’associazione di volontariato è la presenza degli stakeholder che
può essere ben spiegata usando proprio una mappa di Andrea Francesconi:
Bear S., L’azienda come sistema cibernetico, Edizioni Isedi, 19738
! 32
Figura 4. Comunicare il valore dell’azienda non profit. Fonte: Francesconi(2007), op. cit. pag. 74
Si evidenzia cosi l’importanza degli stakeholder ovvero portatori di interessi che ricercano
a vario titolo la soddisfazione dei propri bisogni che possono essere primari o secondari. Gli
stakeholder primari sono persone o gruppi di persone vitali per l’impresa i quali influiscono in
modo diretto sulla dinamica evolutiva dell’organizzazione nel medio e lungo termine che nel
caso dell’associazione presa in esame sono i dirigenti, gli utenti e i finanziatori che donano
mediante il 5 per mille. Gli stakeholder secondari, invece, non sono vitali per l’organizzazione
ed influiscono in modo indiretto sulla dinamica evolutiva dell’organizzazione che nel caso
della Misericordia sono il Comune, la cittadinanza locale e le istituzioni.
L’organizzazione a rete è in sintesi una sorta di arena sociale in cui conflitto, cooperazione
coordinamento qualità ed efficienza convivono inestricabilmente è quella appena descritta
può essere considerata la rete i suoi rispettivi nodi di interazione costante della Misericordia.
3.Forme di coordinamento: il contributo di Mintzberg
«L’organizzazione, da un punto di vista economico, nasce per effetto della divisione del
lavoro che crea attività specializzate, che si sono dimostrate più produttive delle attività
generiche. Certe forme di divisione del lavoro si trovano anche in natura e sono connaturate
! 33
alle attività umane e alle forme sociali affermatesi in diverse epoche storiche» . Questo 9
pensiero di Adam Smith pone l’accento su uno dei fattori che maggiormente caratterizzano la
struttura organizzativa, vale a dire sulle attività specializzate.
Nella specializzazione, ogni compito è affidato al soggetto maggiormente dotato di
competenza e talento, ed è messo in atto producendo esperienza ed apprendimento, in un
percorso che certamente favorisce l’innovazione. Strettamente connessa alla specializzazione,
è il concetto della divisione del lavoro, che comporta la scomposizione di un compito
complesso in una serie di attività sequenziali nettamente più semplici e la loro assegnazione
ad un singolo soggetto oppure ad un gruppo di soggetti. La definizione di compiti divisi tra
competenze specializzate, determinano l’emergere di alcune necessità in capo ai singoli
soggetti che comportano la definizione di un sistema di coordinamento capace di ricomporre
il lavoro in modo sia efficace che efficiente. Tale coordinamento si può realizzare attraverso la
predisposizione di una adeguata struttura organizzativa.
Uno dei maggiori studiosi del coordinamento all’interno dell’organizzazione è Mintzberg.
Lo studioso, esponente dell’approccio secondo cui la struttura sociale di un’organizzazione
varia in relazione al tipo di ambiente in cui si trova a d operare, detto “contingentista”,
sostiene che le imprese che si danno un assetto più conforme alle condizioni ambientali sono
più efficienti rispetto a quelle che hanno strutture non corrispondenti. Per essere ottimale,
quindi, la progettazione di un’organizzazione deve essere realizzata in corrispondenza di
alcune “contingenze” ritenute strategiche. A tal proposito, lo studioso individua come
elementi essenziali i meccanismi di coordinamento e la parti che compongono
l’organizzazione.
Le variabili dell’organizzazione devono essere scelte in maniera da garantire un’armonia
ed una coerenza sia tra gli elementi interni sia tra questi e le condizioni esterne. Le stesse
variabili che Schein fa rientrare nella cultura organizzativa ovvero «l’insieme coerente degli 10
assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad
affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno
funzionato abbastanza bene da poter essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto
di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi». Tale coerenza è importante in
Smith A., Ricerca sopra la natura e le cause delle ricchezze delle nazioni, 17769
Schein E. H., Oganizational culture and leadership, Jossey- Bass, 198510
! 34
quanto contribuisce ad assicurare il coordinamento tra i diversi membri e le diverse unità
organizzative.
Concetti teorici successivamente ampliati da Mintzberg il quale afferma a sua volta che la 11
scelta delle forme organizzative deve obbedire a una logica sistemica e rigorosa, basata sulla
coerenza tra le varie parti. Nel cercare di costruire questa coerenza ci si è resi conto dei vari
problemi connessi appunto alla divisione del lavoro o nello svolgimento dello stesso da parte
degli operatori i quali di si trovano quotidianamente di fronte a incertezze , le quali possono 12
essere strategiche, metodologica o sulle risorse sociali a disposizione. Motivo per cui nasce
l’esigenza di teorizzare delle forma di coordinamento mirato alla costruzione del sapere e alla
strumentazione dei servizi. Per Mintzberg il coordinamento aiuta a gestire le incertezze
derivanti dal compito. Il quale a sua volta piò essere stabile o dinamico, oppure semplice
complesso.
Cinque meccanismi, teorizzati da Mintzberg, spiegano le modalità fondamentali attraverso
le quali avviene il coordinamento:
1. Adattamento reciproco: consegue il coordinamento attraverso il semplice processo
della comunicazione informale. Il controllo del lavoro resta nelle mani di chi lo
esegue. La conoscenza di quello che va fatto si sviluppa man mano che il lavoro
procede. Tale meccanismo è adatto alle organizzazioni più semplici e a quelle più
complesse.
2. Supervisione diretta: il coordinamento avviene tramite una persona che assume la
responsabilità del lavoro di altri, dando loro ordini e controllando le loro azioni.
3. Standardizzazione delle competenze: il coordinamento si realizza attivando un
percorso che porta ogni operatore a interiorizzare lo stesso quadro concettuale di
riferimento, a pensare le cose nello stesso modo e ad impiegare le stesse metodiche
operative. In altre parole, gli operatori acquisiscono un unico stile professionale e in
questo modo garantiscono uno standard qualitativo omogeneo esattamente come
spesso avviene nei servizi rivolte alle persone.
4. Standardizzazione del processo: gli operatori si mettono d’accordo su una sequenza
da seguire e cercano di adottare tutti le stesse procedure.
Mintzeberg H, La progettazione dell’organizzazione aziendale, Il Mulino, Bologna, 198511
Toniolo Piva P., I servizi alla persona. Manuale organizzativo, Carocci, Roma 200712
! 35
5. Standardizzazione dei risultati: gli operatori concordano un risultato da raggiungere e
poi ciascuno è autonomo nella scelta del modo, del percorso e dei mezzi per
ottenerlo.
Il passaggio da un meccanismo all’altro è determinato dall’aumento della complessità delle
attività svolte, considerando come ultimo meccanismo il ritorno al primo ovvero
all’adattamento reciproco, adatto sia a condizioni molto semplici sia a condizioni molto
complesse.
Tali meccanismi di coordinamento, secondo Mintzberg , devono essere utilizzati da tutti 13
gli attori organizzativi coinvolti nei processi decisionali della stessa organizzazione. Gli attori
organizzativi possono essere in tal modo identificati:
1. il nucleo operativo: comprende le persone (gli operatori) che svolgono l’attività
fondamentale direttamente collegata all’ottenimento dei prodotti e dei servizi. Questi
svolgono quattro funzioni principali: a. procurano input per la produzione (materie
prime) b. trasformano input in output c. distribuiscono gli output (vendita e
distribuzione) d. forniscono supporto diretto alle funzioni di input, trasformazione e
output (manutenzione macchine e organizzazione magazzini) Rappresenta il cuore di
ogni organizzazione e al suo interno vige la standardizzazione massima.
2. Il vertice strategico: è formato dalle persone che hanno la responsabilità globale
dell’organizzazione. Deve assicurare che l’azienda assolva alla missione in modo
efficace e che risponda ai bisogni degli stakeholder. Svolge 3 funzioni: a. supervisione
diretta b. gestione delle condizioni di confine e cioè delle relazioni dell’organizzazione
col suo ambiente c. sviluppo della strategia dell’azienda Fra i manager del vertice
strategico l’adattamento reciproco è il meccanismo privilegiato di coordinamento.
3. La linea intermedia: il vertice strategico è collegato al nucleo operativo dalla catena di
manager della linea intermedia che detengono l’autorità formale. È necessaria per
supervisionare le varie parti di un’azienda di grandi dimensioni. Infatti ogni manager
non può dirigere più di uno specifico numero di operatori (ampiezza del controllo). I
compiti di un manager della linea intermedia sono: a. raccogliere feedback sulla
performance della propria unità e trasmetterli ai manager superiori; b. intervenire nel
flusso delle decisioni; c. gestire situazioni di confine con altre unità interdipendenti con
Mintzeberg H, La progettazione dell’organizzazione aziendale13
! 36
la propria; d. formulare la strategia per la sua unità (concreta e dettagliata) che è
comunque influenzata dalla strategia generale.
4. La tecnostruttura: comprende gli analisti che contribuiscono all’attività organizzativa
influenzando il lavoro di altri. Essi progettano, modificano il lavoro e addestrano le
persone che lo svolgono ma non vi partecipano. Comprende analisti che adattano e
modificano l’organizzazione per far fronte ai cambiamenti ambientali e analisti che
controllano e regolarizzano l’attività dell’organizzazione.
5. Lo staff di supporto: numerose unità, tutte specializzate, che forniscono all’azienda un
supporto “esterno” al suo flusso operativo (es: mensa, ufficio legale, laboratori). Tali
unità svolgono funzioni specifiche e operano come mini-organizzazioni che vengono
finanziate dall’organizzazione e le forniscono servizi specifici. Sono presenti a vari
livelli della gerarchia secondo il destinatario del servizio. Anche se non rappresenta le
relazioni informali, il seguente diagramma, tratto da Mintzberg , costituisce una 14
rappresentazione accurata della divisione del lavoro, mostrando in modo immediato
quali posizioni esistono nell’organizzazione, le modalità di raggruppamento di queste
posizioni in unità, come l’autorità formale fluisce fra esse.
Figura 5. Le cinque parti dell’organizzazione. Fonte: Mintzberg (1985)
Mintzberg H., Scegliere il miglior modello organizzativo, Harvard Espansione, n.13, 198114
! 37
VERTICE STRATEGICO
LINE INTERMEDIASTAFF DI
SUPPORTOTECNOSTRUTTURA
NUCLEO OPERATIVO
A questi elementi di base, che sono i meccanismi di coordinamento e le parti che
compongono un’organizzazione, Mintzberg affianca l’esame dei parametri di progettazione
organizzativa, cioè delle diverse variabili organizzative che, nel loro insieme, definiscono
l’assetto della struttura di un’organizzazione. I parametri in questione riguardano:
• la progettazione delle posizioni individuali
• la progettazione della macrostruttura
• i collegamenti laterali
• il sistema decisionale.
Dopo aver esaminato i parametri, o variabili organizzative, Mintzberg prende in
considerazione i fattori situazionali o contingenti, ovvero gli stati o le condizioni
dell’organizzazione che influenzano una determinata configurazione organizzativa. Questi
fattori situazionali per lo studioso sono: l’età e la dimensione dell’organizzazione, la
tecnologia, l’ambiente esterno e il potere. Bisogna comunque precisare che per lo studioso
ogni configurazione organizzativa è costituita da un insieme coerente e organico di
caratteristiche, o parametri, che la rendono particolarmente adatta ad affrontare una
determinata situazione. Mintzberg individua cosi cinque forme di configurazioni 15
organizzative:
1. la struttura semplice: il meccanismo di coordinamento più elementare è quello
della supervisione diretta, eseguita dal vertice che accentra le varie funzioni;
2. la burocrazia meccanica: quando, a seguito della crescita dell’organizzazione, la
supervisione diretta non è più sufficiente, si passa ad un altro tipo di coordinamento
basato sulla standardizzazione dei processi;
3. la burocrazia professionale: cioè quando il meccanismo di coordinamento non si
esercita sulla standardizzazione del modi di lavorare, ma sulla standardizzazione
delle capacità dei dipendenti;
4. la soluzione divisionale: consiste nella standardizzazione dei risultati, ovvero degli
output;
5. l’adhocrazia: si tratta di un meccanismo non gerarchico, estremamente immediato
ed informale.
Mintzberg H, La progettazione dell’organizzazione aziendale15
! 38
4. La leadership
Un buon coordinamento di un organizzazione pone la necessità che all’interno vi siano
delle figure che in qualche modo si assumano la responsabilità di coordinare ovvero un leader
e un manager. Secondo Kotter , la vera sfida per il buon funzionamento di una qualsiasi 16
organizzazione è determinata proprio dal bilanciamento di un buon livello di management e
una buona dose di leadership. Kotter precisa che il manager, ponendosi come guida, esercita il
controllo sulle persone, mentre i leader fa leva sul soddisfacimento dei bisogni fondamentali
per delle persone per generarne la motivazione. La funzione basilare della leadership è
controllare i processi interni in modo che siano coerenti con il compito primario
dell’organizzazione e regolare gli scambi attraverso il confine istituzionale.
Le funzioni del leader sono ben esplicate da Mario Perini , soprattutto in un’associazione 17
di volontariato le quali consistono nelle fasi dello stretching per il cambiamento e i risultati,
nell’empowerment delle persone, nel coaching, ossia nel supportare una persona nel
raggiungere uno specifico obiettivo, e nello sharing ossia nello scambiare e condividere
informazioni e conoscenza. Le persone costituiscono il vero patrimonio all’interno
dell’organizzazione-associazione e spesso, se non si capisce questa importanza, possono
sorgere problemi che si riflettono su tutto il funzionamento. Ecco perché il counseling deve
entrare a far parte della vita organizzativa, quale insieme di tecniche e abilità volte ad aiutare,
orientare.
La leadership comporta in sintesi la gestione contemporanea sia della struttura formale
dettata dall’organizzazione sia del complesso di rapporti e relazioni che vengono a crearsi tra
le varie persone coinvolte. Un buon leader dovrebbe possedere le competenze e la
motivazione per risolvere numerosi problemi e per rimuovere gli ostacoli che possono
impedire le innovazioni. È proprio la forte motivazione, legata all’insoddisfazione e indicata
da Quaglino come volontà, desiderio e passione riscontrabile nei comportamenti di lavoro, 18
che spinge a confrontare ciò che siamo con ciò che potremmo essere, e obbliga a superarci. Il
management, invece, in un’ottica di efficienza ed efficacia, è una figura necessaria nelle
organizzazioni in quanto la sua azione consente il raggiungimento degli obiettivi prefissati,
Kotter J.P., “Ma cosa fanno davvero i leader?”, in Quaglino G., Leadership. Nuovi profili di leader per nuovi 16
scenari organizzativi, Raffaello Cortina, 2005
Perini M., L’organizzazione nascosta. Dinamiche inconsce e zone d0ombra nelle moderne organizzazioni, 17
Franco Angeli, 2010
Quaglino G.P., Voglia di fare. Motivati per crescere nell’organizzazione, Guerini e Associati, 199918
! 39
gestendo in un giusto equilibrio i conflitti e le diverse tensioni legate ai diversi traguardi. I
manager, infatti, muovendosi in un contesto certamente complesso, dovranno prestare molta
attenzione al bilanciamento tra attività interne ed ambiente esterno, mantenendo
costantemente in equilibrio, tra soggetti e forze talvolta divergenti e conflittuali, è l’attività di
gestione aziendale. Il raggiungimento degli obiettivi, inoltre, non potrà prescindere dalla
valutazione delle performance attraverso i principi legati all’efficienza ed all’efficacia. Gli
autori Simonet e Tett propongono un utile metafora che fa meglio comprendere le due
dimensione, sostenendo che i leader tendono a “pensare fuori dalla scatola” in modo 19
innovativo, prefigurando sempre nuovi scenari. Secondo questi autori una possibile
distinzione potrebbe risiedere principalmente nello scopo e nella vision in cui i leader
costruiscono ponti verso il futuro attraverso la pianificazione strategica, la tolleranza
dell’ambiguità, mentre i manager sono maggiormente focalizzati sulla implementazione
operativa immediata, sulla pianificazione a breve termine. Per entrambi, però, è fondamentale
identificare e risolvere problemi, proporre attività e lavorare bene con gli altri sostenendo i
cambiamenti ambientali e organizzativi. Entrambi sono figure indispensabili per il buon
funzionamento dell’organizzazione.
5. Il coordinamento e leadership nella Misericordia
Tutte le caratteristiche organizzative citate, le forme di coordinamento e le figure di leader
e manager riguardano chiaramente anche un organizzazione di volontariato come la
Misericordia, considerandole però situazionali, cioè funzionali alla specificità dell’azione di
governo, utilizzando spazi, tempi, risorse e finanziamenti in riferimento ad obiettivi e finalità
specifici.
In questo caso le competenze del management progettuale, organizzativa, decisionale)
integrate con quelle della leadership (creare le condizioni di cambiamento, infondere fiducia e
creare empowerment) possono perseguire gli obiettivi propri dell’associazione: assicurare la
gestione unitaria dell’organizzazione, promuovere una collaborazione con il territorio e
organizzare attività secondo i criteri di efficienza ed efficacia propri dell’associazione. Il
leader in questione è quindi molto flessibile ma allo stesso tempo autoritario e coinvolgente.
Simonet, T., Journal Leadership e Organizational Study, 201219
! 40
Quella presente nella Misericordia è quindi un tipo di leadership trasformazionale avente 20
una competenza complessa costituita da un insieme di comportamenti, abilità, azioni precise e
orientate alla trasformazione, intesa come compito e valore per la crescita. Il suddetto tipo di
leadership è dimostrabile se si riflette sui vari servizi che si erogano, ognuno dei quali
presuppone competenze e abilità diverse a livello professionale. La complessità nel settore no
profit, come nel caso analizzato, richiede alcune caratteristiche particolari e nuove, ovvero
non necessità più di essere carismatico nel senso weberiano del termine, ma deve trasformarsi
in uno “smart leader” ossia un leader che crede fortemente in ciò che fa e in ciò che 21
propone di fare ai suoi volontari. Estremamente importante, poi, è la necessità che il leader
sappia comprendere la reale natura della motivazione dei volontari, poiché solo una vera
motivazione può portare a costruire un ambiente di lavoro a sua volta stimolante e motivante.
Per quanto concerne il coordinamento, invece, non va di certo dimenticato che un
organizzazione come la Misericordia si caratterizza per l’assunzione di assetti organizzativi di
tipo organico, con una bassa differenziazione verticale, un basso grado di formalizzazione e
naturalmente il suo porre la persona al centro, come fine e non solo come mezzo in quanto
destinatari dei servizi erogati. Quando si parla di coordinamento quindi non bisogna
dimenticare chi si coordina, ovvero i volontari che sono caratterizzati da una naturale libertà
nelle loro scelte, nel tempo da dedicare e a volte anche nelle mansioni da svolgere. I
meccanismi che di conseguenza permettono al leader, in questo caso al Governatore dell’
Associazione, di coordinare l’organizzazione e chi ne fa parte possono essere :
- sviluppare il legame tra bisogni del volontario e sistema di ricompense( non
economiche) affinché ognuno sia soddisfatto
- programmazione dei piani di utilizzo dei volontari
- comunicazione con i volontari attraverso riunioni, eventi, formazione.
Si configura cosi un coordinamento di supervisione diretta con le varie parti 22
dell’organizzazione:
- il nucleo operativo, rappresentato dai volontari, trasforma gli input in output;
Burns J.M., Leadership ,Harper Collins Publisher, 197820
Spazzolini F., Costantini M., Fedeli M., Gestire l’impresa sociale. Non management del no profit, Maggioli 21
Editore, 2014
Mintzberg H., La progettazione dell’organizzazione aziendale22
! 41
- un vertice strategico, rappresentato in questo caso dal Governatore, che ha il compito
sia di negoziare accordi e decisioni con l’ambiente esterno che con quello interno,
alloca le risorse e autorizza decisioni importanti;
- la linee intermedia che si crea quando cresce l’articolazione delle attività, rappresentata
in questo caso dal Magistrato in cui ognuno è responsabile di un determinato servizio.
Applicando le cinque parti dell’organizzazione di Mintzberg si andrebbe a delineare il
seguente schema:
Figura 6. Le cinque parti dell’organizzazione nella Misericordia. Fonte: (adattata da) Mintzberg (1985)
Emerge, in sintesi come la Misericordia abbia una configurazione organizzativa a struttura
semplice con un meccanismo di coordinamento a supervisione diretta e naturalmente parte
fondamentale dell’organizzazione è il vertice strategico.
Qualunque sia il metodo di coordinamento adottato emerge sempre la necessità, per i
servizi che si erogano, di essere dotati di ruoli decisionali, che devono possedere una
competenza di merito e tecnica sugli interventi sociali e, contestualmente, sviluppare
competenze di gestione e coordinamento.
! 42
GOVERNATORE
MAGISTRATOCOMMERCIALISTA
AVVOCATO FORMATORI
VOLONTARI
Capitolo Quarto
Il meta servizio: La Misericordia ed il suo ambiente
1. Il meta servizio ed il suo ruolo nella rete dei servizi
Studiando e vivendo dentro un’organizzazione, ci si è resi sempre più conto che soprattutto
se si tratta di organizzazioni che si rivolgono ai bisogni delle persone, gli operatori che vi ci
lavorano non possono risolversi tutti i problemi da soli in una sorta di autogestione.
Quotidianamente un operatore può trovarsi ad affrontare vari tipi di incertezze sul suo operato
e sulle risorse a lui disponibili. Troviamo un esaustiva classificazione e divisione dei tipi di
incertezza in un manuale di Paola Piva, la quale classifica le incertezze in:
• incertezza strategica
• incertezza metodologica
• incertezza sulle risorse sociali
Nasce, di conseguenza, la necessità per gli operatori di poter contare sui ruoli di
coordinamento e di gestione molto saldi, ruoli che hanno appunto il compito di non perdere
mai di vista il funzionamento generale del servizio. Mentre i singoli operatori, pressati dagli
utenti quotidianamente possono dimenticarsi delle attività organizzative, i coordinatori
devono, invece, tener sempre presenti le funzioni che garantiscono la qualità complessiva del
sistema organizzativo.
A questo bisogna poi aggiungere che ogni operatore ha una testa bifronte: con una faccia
dialoga con l’utente attraverso le attività dirette come l’ascolto, la progettazione e l’
intervento; con l’atra faccia invece deve dialogare e confrontarsi continuamente con
l’organizzazione di cui fa parte e i suoi componenti e lo fa tramite il lavoro indiretto di
coordinamento, memoria e valutazione. Considerando proprio l’ampiezza del lavoro indiretto
che un servizio deve attivare per rendere produttive le attività dirette all’utente, si può parlare
di necessità di un meta servizio, ovvero una sorta di luogo figurato dove tutto il lavoro
indiretto si svolge. La presenza di un meta-servizio presuppone la necessità di professionalità
specifiche, di una propria cultura, di saperi e di strumenti ad hoc. È quindi molto importante
! 42
un buon coordinamento che vada a costruire il sapere e la strumentazione più giusta del meta
servizio. Il meta servizio diventa, quindi, una sorta di luogo organizzativo sovraordinato ai
singoli centri di erogazione, con il compito di alimentare e sostenere la progettualità, lo
sviluppo, la ricerca e la coerenza interna alla rete complessiva.
Strettamente collegata al meta servizio è, quindi, un’organizzazione dei servizi a rete in cui
i diversi soggetti produttivi, o nodi del sistema, convergono su obiettivi comuni, avendo
interiorizzato una cultura progettuale e le regole che governano lo scambio di prodotti o
servizi tre l’uno e l’altro . 1
Il meta-servizio, all’interno di una rete organizzativa dei servizi aiuta a governare alcuni
dei fattori di incertezza dei vari operatori, monitorando il territorio e la popolazione in cui
opera, orientando l’utenza verso il servizio che più soddisfa il suo bisogno e reperire più
risorse necessarie per farvi fronte. Secondo Zilanti e Rovai vi sono diversi tipi di rete : 2
1. reti informali o primarie: familiari, amici, colleghi in cui i rapporti sono basati sulla
reciprocità e affettività
2. reti secondarie formali: istituzioni ed enti pubblici che producono servizi e
prestazioni in sostegno dei bisogni espressi
3. reti secondarie informali: volontari appartenenti alle reti informali primarie che
sentono il bisogno di unire le proprie forze per offrire aiuto e sostegno
4. reti artificiali: si caratterizzano per la condivisione di una situazione comune come i
gruppi di mutuo auto aiuto
5. reti profit: comprendono organizzazioni non profit basate su norma e regole che le
istituiscono e ne condizionano i tipi di intervento e le forme di solidarietà.
2. La rete della Misericordia
La Confraternita di Misericordia analizzata fin qui è di certo una rete profit che basa il suo
operato sul settore socio sanitario dato che i servizi che eroga vanno dal supporto 118 al
banco alimentare ad altre attività rivolte agli utenti. Quella della Misericordia può essere
considerata una rete sociale ovvero “un’associazione d’individui e gruppi legati insieme da un
Toniolo Piva P., I servizi alla persona. Manuale organizzativo, Carocci, 20011
Zilanti A., Rovai B., Assistenti sociali professionisti. Metodologia del lavoro sociale, Carocci, 20142
! 43
sistema interconnesso” , immagine che mette in evidenza la caratteristica di legami tra 3
differenti nodi e l’intreccio formato dai vari rapporti.
La rete in questione, non va dimenticato, è una rete di un organizzazione di volontariato, il
che presuppone che sia costituita da soggetti interdipendenti che decidono volontariamente di
collaborare sulla base della condivisione valoriale e del riconoscimento dell’importanza
strategica di perseguire uno specifico obiettivo progettuale. Considerare l’importanza di una
rete per un’organizzazione di volontariato come la Misericordia significa soprattutto non
perdere mai di vista la necessità per la persona che accede alla rete dei di trovare soluzione ai
problemi o ai bisogni senza momenti di discontinuità. C’è la necessita quindi di costruire una
risposta che travalichi i confini dell’organizzazione spostando il suo baricentro di riferimento
sulla persona e sulla popolazione target a cui si rivolge la rete dei servizi non dimenticando
mai le caratteristiche del territorio in cui si opera. La prima rete da tenere conto
nell’associazione descritta è naturalmente quella con la Confederazione Nazionale della
Misericordia e i suoi relativi organi da cui dipende direttamente. Non va tralasciato poi il
rapporto e le relazioni che si hanno a livello territoriale con le atre Confraternite con cui
avvengono spesso incontri per progettazioni di servizi a livello regionale.
La rete dell’associazione può essere suddivisa in tre macro aeree di intervento: sociale,
sanitaria e civica. Per quanto concerne l’ambito sociale la Misericordia eroga i servizi di
banco farmaceutico, banco alimentare e servizio di accompagnamento di anziani o disabili.
Per il banco farmaceutico l’associazione si appoggia alle varie farmacie locali che mettono a
disposizioni farmaci senza obbligo di ricetta, mentre per il banco alimentare oltre al rapporto
di interdipendenza con l’organo nazionale che eroga i prodotti sul territorio, l’altro alleato
importante sono i Comuni e i loro servizi sociali con cui avvengono frequentemente incontri
al fine di poter trovare soluzioni ancor più favorevoli per poter far fronte ai bisogni di più
persone. Infine la rete di anziani e disabili si costruisce in primis con i familiari degli stessi e
poi con varie strutture ricreative o di recupero e riabilitazione in cui appunto accompagnare
gli stessi.
L’ambito sanitario è invece un po’ più burocratico rispetto agli altri servizi dato che
l’associazione è direttamente dipendente dall’ASP territoriale tramite convenzione, la quale
direttamente crea la rete dell’associazione tramite le centrali operative, gli ospedali e punti di
primo intervento e tutto il relativo personale operante.
Piccardo C., Sviluppo Organizzativo, Guerini e Associati, 19913
! 44
Infine, il campo civico comprende le attività di protezione civile che si esplica con la
continua e costante relazione tra l’associazione e il dipartimento sia nazionale, regionale e
naturalmente quello locale dei Comuni.
Emerge cosi che la maggior rete dell’associazione è comunque quella con gli Enti Pubblici,
Amministrazioni locali e terzo settore con un’ottica di responsabilità reciproca. Da questo può
essere utile il concetto di accountability , ovvero la necessità che il comportamento dei diversi 4
soggetti che operano sul territorio sia in grado di:
• generare valore per la comunità di riferimento
• misurare e rendere riconoscibile tale valore
• tendere conto alla collettività delle proprie azioni e degli effetti prodotti. Il seguente
schema sintetizza a pieno la rete e le interconnessioni dell’associazione.
! Figura 1. Gestione dei rapporti con gli enti pubblici di volontariato. Fonte: Salvinelli, Vaccario, Zerbato (2012), op. cit. pag. 9
L’importanza delle associazioni di volontariato all’ interno del sistema Pubblico viene
sancita dalle Legge 266/91, la quale sottolinea il loro apporto nel conseguimento delle finalità
sociali, civili e culturali. La rete della Misericordia è di certo governata da un sistema di
governance, ovvero una modalità di governo che si basa sul coinvolgimento e la condivisione
dei soggetti del territorio, pubblici e privati, inseriti in un sistema a rete multilivello che,
autonomamente, perseguono finalità comuni.
Salvinelli D., Vaccario C., Zerbato S., Gestione dei rapporti con gli enti pubblici di volontariato, Collana a 4
cura del CSV di Verona, 2012 http://www.csvbelluno.it/images/Pubblicazioni_scaricabili/13_rapporti_con_enti_pubblici_per_odv.pdf
! 45
Il sociale è ormai fatto di reti che oltre a erogare servizi qualitativamente migliori
costruiscono legami e generano trame di reti fitte e durature.
3. Il meta servizio delle reti della Misericordia
La cooperazione tra le organizzazioni è ormai una necessità che scaturisce dal costante
aumento delle interdipendenze reciproche sperimentando cosi condizioni di partnership. Con
il termine meta servizio è stato precedentemente indicato il centro propulsore dedito a
sviluppare attività indirette necessarie per il buon funzionamento di un servizio.
Così nasce l’esigenza di un meta servizio di rete per far fronte a un eventuale mancanza di 5
coordinamento dei servizi, il quale si occuperà di: • gestire casi multiproblematici
• ottenere la collaborazione anche da parte di soggetti che tendono spontaneamente a
ignorarsi
• dirimere conflitti di autorità e problemi di competenza
• costruire una cultura comune per l’interpretazione dei casi multiproblematici
• produrre delle regole condivise sulle metodologie d’intervento.
Se consideriamo l’autonomia organizzativa di cui è dotato ogni singolo servizio che si
interfaccia con il cittadino, appare ancora più evidente la necessità di un meta servizio di rete
inteso come «luogo organizzativo sovraordinato ai singoli centri di erogazione, con il
compito specifico di alimentare la progettualità e sostenere la coerenza della rete complessiva
dei servizi» . 6
Le principali attività che dovrebbero essere previste, coordinate e gestite insieme dai
servizi in rete sono:
• monitorare il territorio e le esigenze della popolazione
• orientare l’utenza nei vari servizi
• coordinare le metodologie e i programmi d’intervento dei diversi servizi
• reperire risorse spontanee nel territorio e negoziare le risorse istituzionali.
Il meta servizio di rete è ciò che viene anche definito come lavoro inter-organizzativo,
ovvero quando più di un’organizzazione partecipano alla creazione di un’organizzazione
Toniolo Piva P., I Servizi alla Persona5
Ivi, pag. 906
! 46
nuova. Importanti nel lavoro inter- organizzativo sono le relazioni, che Galbraith chiama
relazioni laterali , ovvero relazioni che non fanno parte del processo di lavoro, o decisionale, 7
principale delle organizzazioni coinvolte nel lavoro intero organizzativo, ma sono appunto al
lato.
Per darci una immagine e capire di cosa stiamo parlando, possiamo attingere al lavoro di
Rice e Miller che rappresentano lo schema di una relazione inter-organizzativa. Supponiamo 8
di avere quattro organizzazioni: A, B, C, D, che devono costruire una partnership per un
progetto di intervento. I membri di ciascuna organizzazione sono identificati con i cerchi. Un
membro per ciascuna organizzazione si sposta verso la nuova organizzazione, e diventa così il
rappresentante del sistema di riferimento. Si delinea così una nuova organizzazione.
!
Figura 2. Schema di relazione inter-organizzativa secondo il sistema sociotecnico. Fonte: Miller e Rice (1965)
Possiamo identificare quattro tipi di relazioni di lavoro inter-organizzativo:
1. Relazione tra committenti e fornitori
2. Alleanze e imprese comuni
3. Associazioni di organizzazioni
4. Organizzazioni che stanno insieme per apprendere.
Le funzioni del meta servizio di rete della Misericordia si basano principalmente sul
monitoraggio del territorio con le relative esigenze, ragione per cui, ad esempio, da circa due
Galbraith J., Designing Complex Organizations, Addison-Wesley Publishing, 19737
Miller E., Rice K., Systems of organizations, Tavistock Publications, 1967 8
! 47
anni la stessa associazione ha partecipato ai bandi del Servizio Civile Nazionale redigendo dei
progetti che si basassero proprio su alcuni bisogni del territorio in aumento. Altra funzione del
meta servizio di rete della Misericordia è di certo il reperire risorse spontaneamente nel
territorio puntando a un equa distribuzione e naturalmente lo fa con i servizi di banco
alimentare e farmaceutico citati in precedenza. Oltre naturalmente ai sistemi di governo
dell’associazione, come appunto l’Assemblea Nazionale che in questo caso si andrebbe a
configurare come una relazione di associazione di organizzazioni, il Consiglio Zonale
purtroppo l’associazione in questo caso non ha un meta servizio di rete molto forte, forse
dovuto soprattutto alla sua principale peculiarità, ovvero la volontarietà dell’adesione. La
vera sfida probabilmente consiste proprio nel consolidare, formalmente, i rapporti tra le
organizzazioni di volontariato e le pubbliche amministrazioni con regole precise e condivise
da tutti gli attori, capaci di ottimizzare le risorse messe a disposizione senza snaturare la
missione e l’organizzazione di ciascuno. Una condivisione di obiettivi e progettualità che
passa necessariamente attraverso l’identificazione di ruoli, funzioni e responsabilità.
! 48
Conclusioni
Ho iniziato questo lavoro spinta dalla curiosità di poter scoprire fino a che punto e in che
misura può la teoria applicarsi alla pratica, motivo per cui ho fatto un lavoro su un case study:
La Misericordia. All’ inizio del percorso la curiosità mi ha fatto porre dei quesiti: cosa si cela
dietro un’organizzazione di volontariato? Chi c’è dietro gli apparenti semplici servizi che si
erogano? Quelli di cui tutti beneficiano? È un’attività complessa o solo complicata?
Proverò ora a rispondere.
Ho iniziato l’elaborato introducendo il concetto di organizzazione, termine con il quale si
configura un insieme di persone, un gruppo formalmente unito con fini ed obiettivi comuni.
Dopo un breve excursus teorico sulle vari approcci dediti allo studio dell’organizzazione mi
sono focalizzata sulla teoria della complessità e di come essa possa adattarsi alle
organizzazioni e all’organizzazione oggetto del mio caso studio. La complessità emerge,
quindi, là dove le variabili in gioco diventano molte o troppe per essere direttamente
controllate, emerge quando l’organizzazione si trova ad operare in condizioni di crescente
imprevedibilità, dettata da turbolenze e discontinuità generate dai sistemi sociali ed economici
di cui è parte. Il quadro teorico della teoria della complessità, o della “nuova scienza”, si
compone di tre principali teorie: la teoria del caos, la teoria delle strutture dissipative e la
teoria dei sistemi adattativi complessi. Mi sono per lo più voluta focalizzare sulla complessità
nei sistemi adattativi, che si riferisce al potenziale del comportamento emergente complesso,
ai fenomeni imprevedibili e sono strettamente correlati con i sistemi non lineari, cioè un tipo
di sistema il cui comportamento non è uguale alla somma delle singoli parti che lo
compongono.
Se ci focalizziamo sull’ esempio della Confraternita di Misericordia di Trebisacce, e vi
applichiamo la sintesi appena fatta dei concetti cardine su cui ruota il presente lavoro, ovvero
scienza della complessità e sistemi adattativi complessi, capiamo che essa è costituita da parti
di diverso tipo come i suoi sotto sistemi di Banco Alimentare, Supporto 118, Protezione
Civile, con funzioni diverse e specializzate ma che hanno tra di loro legami e relazioni. La
complessità esterna della Misericordia è caratterizzata da un largo numero di elementi
ambientali che sono rilevanti per l’organizzazione e da relazioni complesse ed imprevedibili ! 48
dettate dai vari utenti che si rivolgono a essa portatori di diverse necessità e bisogni; mentre la
complessità interna si riferisce a una struttura di tipo reticolare e decentrata che deve far
fronte continuamente a nuove esigenze.
Altro elemento importante analizzato è la forma di coordinamento della Misericordia e
della sua relativa rete. Coordinamento che usando una terminologia di Mintzeberg è definito a
supervisione diretta. Proprio la struttura reticolare, durante l’analisi fatta, è risultata una della
componenti più importanti nel buon funzionamento dell’organizzazione. Essa è infatti una
rete fatta da più soggetti, enti ed istituzioni i quali insieme alla Misericordia erogano o
ottimizzano servizi.
Ci sarà certo tanto da imparare e modificare man mano che i bisogni cambiano, ma di certo
il lavoro diretto e indiretto di tutti gli operatori della Misericordia è un lavoro ben progettato,
studiato, modificato e adeguato costantemente all’ambiente esterno e a quello interno.
All’ inizio dell’elaborato per questioni di giuste terminologie ho fatto la differenza tra
complicato e complesso, che in modo erroneo a volte vengono usati come sinonimi. Riprendo
qui la differenza per dare la mia visione del lavoro: complicato deriva dal latino cum plicum,
dove plicum indica la piega di un foglio, mentre complesso deriva dal latino cum plexum,
dove plexum indica il nodo, l’intreccio. La complicatezza rimanda quindi alla linearità del
plicum, mentre la complessità ci fa percepire l’interconnessione del plexum.
Per semplificare o sintetizzare quello che è emerso potremmo dire che un sistema
complesso è qualcosa di più di un sistema complicato: la Misericordia è esattamente questo.
! 49
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