VESCOVO EDUARDO PARENTE
S. Ecc. Il Vescovo Eduardo Parente, di origini
grazzanisane, figlio di Lorenzo e di Mancini
Elisabetta, nacque in Capua provincia di
Caserta, il 2 ottobre 1887 e ivi morì il 25
settembre 1935 all’età di 58 anni. Iniziò e
completò gli studi presso il Seminario di
Capua. Fu nominato Vescovo nella sede
vacante della diocesi di Terme antica dimora
episcopale della provincia romana della
Cappadocia, facente parte del patriarcato di
Costantinopoli. E’ presente nella cronistassi
dei vescovi titolari: Eduardo Parente † (4
agosto 1926 – 25 settembre 1935 deceduto).
Nel 1933 fece parte del Comitato Direttivo per
l’ampliamento del Museo Campano e per
l’inaugurazione del Monumento ai Caduti in
guerra della città di Capua. Riguardo a
quest’ultimo, a lavori conclusi, organizzò,
unitamente al Comitato, una manifestazione inaugurale alla quale intervennero, oltre
alle autorità del luogo, S.A.R. il Principe Umberto di Savoia e S.A.R. la Principessa
Maria José. Sono annoverati tra i partecipanti anche due nostri compaesani: il Cav.
Prof. Giovanni Raimondo, Presidente del Comitato ONB e comandante dei giovani
avanguardisti e il Comm. Oreste Lauro. Per l’occasione fu pubblicato un opuscolo dal
titolo: “ Inaugurazione del Monumento ai Caduti in guerra e dell’ampliamento del
Museo Campano”. All’interno è presente un suo discorso. Fu fondatore dell’Album
in Omaggio a Francesco de Renzis XII Barone di Montanaro, e IV di S. Bartolomeo.
Tra i suoi scritti si trovano: saggio monografico del 1907 “Eduardo Parente/Augusto
Conti e la sua corrispondenza epistolare col Cardinale Capecelatro”; discorso
“S.E.Mons. Eduardo Parente Vescovo titolare di Terme pronunciato nel salone del
Municipio di Capua “In memoria del Maestro Giuseppe Martucci nel
venticinquesimo anno della sua morte, 1909 – 1934”; discorso del 2 luglio 1913
tenuto nell’Accademia letterario-Musicale del seminario di Capua in omaggio a
Mons. Gennaro Cosenza “Il nuovo Arcivescovo di Capua e l’esultanza
dell’Archidiocesi”. Nella documentazione appartenente alla famiglia del Vescovo
Eduardo risulta che la sorella Angelina donò alle suore Immacolatine lo stabile con
ogni arredo sito in Capua alla via Oreste Salomone col vincolo di essere ospitata e
con l’obbligo che in detto stabile fosse creato un pensionato per gli anziani come, in
effetti, avvenne prendendo il nome di “ PENSIONATO PARENTE “. Si apprende altresì che
la stessa sorella, nel 1940, s’interessò che giungessero a Capua i frati Cappuccini ai
quali Mons. Salvatore Baccarini affidò la cura pastorale parrocchiale. Dei documenti
menzionati, una parte è conservata dagli eredi ed altra si trova nel Museo Campano di
Capua; di detti se ne riportano di seguito i frammenti essenziali.
Visione ingresso dello stabile
PENSIONATO PARENTE
sito in Capua.
Sul fascicolo personale presente nel
Museo Arcivescovile di Capua è scritto
Mons. Eduardo Parente
Vescovo Titolare di Terme
Confessa entrambi i sessi in tutte le chiese
dell’archidiocesi
TITOLI E BENEMERENZE
R. LICEO-GINNASIO
Principe Tommaso di Savoia Duca di Genova
S. MARIA C.V.
Parente Eduardo alunno della 1° classe
Liceale ha meritato il Primo Biennio
Nell’anno scolastico 1893 -94
S. Maria C.V. Giugno 95
Il Preside
N Stranieri
REGNO D’ITALIA
LICENZA D’ONORE DAL LICEO
ANNO SCOLASTICO 1896 - 96
Consiglio degli insegnanti del liceo di S.
Maria C.V. nell’adunanza del 27 Giugno
1896. Vedute le classificazioni conseguite
ciascun anno del corso liceale dell’alunno
Signor Parente Eduardo figlio di Lorenzo
nato a Capua addì 2 Ottobre 1877 Veduto
l’articolo 62 del Regolamento per i Ginnasi e i Licei approvato con R.D. 20 ottobre
1894, dispensa il predetto alunno dall’esame per tutte le materie e gli conferisce il
presente diploma di
LICENZA d’ONORE
Dato in S. Maria C.V. il 6 Marzo 1897
Visto il R. Provveditore agli Studi
Il Preside
Luigi Moschettini
OPERA NAZIONALE
PER LA PROTEZIONE DELLA MATERNITA’
E DELL’INFANZIA (ISTITUITA CON LA LEGGE DICEMBRE 1925 – IV n. 2277)
S. E. il Mons. Parente Don Eduardo PROPOSTO DALLA FEDERAZIONE PROVINCIALE
DI Napoli E’ ISCRITTO FRA I SOCI ANNUALI
DELL’OPERA NAZIONALE PER LA PTOTEZIONE
DELLA
MATERNITA’ E DELL’INFANZIA
Roma lì 9 Dicembre 1930 - ANNO – IX –
IL REGIO COMMISSARIO
OPERA ITALIANA PRO ORIENTE
DIPLOMA di BENEMERANZA
rilasciato a
S.E. Parente Eduardo
Vescovo di Capua
SOCIO BENEMERITO DELL’OPERA
ITALIANI!
AMATE IL PANE
CUORE DELLA CASA
PROFUMO DELLA MENSA
GIOA DEI FOCOLARI
RISPETTATE IL PANE
SUDORE DELLE FRONTE
ORGOGLIO DEL LAVORO
POEMA DI SACRIFICIO
ONORATE IL PANE
GLORIA DEI CAMPI
FRAGRANZA DELLE TERRA
FESTA DELLA VITA
NON SCIUPATE IL PANE
RICCHEZZA DELLA PATRIA
IL PIU’ SOAVE DONO DI DIO
IL PIU’ SANTO PREMIO ALLA
FATICA UMANA
Roma 1927 anno II Mussolini
DEL SUO FUNERALE NE PUBBLICO’ UN ARTICOLO IL GIORNALE:
“ROMA”
Mercoledì 2 Ottobre 1935,
“Le onoranze funebri a S.E.
Monsignor Parente.
Capua 29
Tutta Capua e larga
rappresentanza dei paesi
vicini hanno seguito
lacrimando la salma del
Vescovo Eduardo Parente
cui sono stati resi onori
funebri di cui già uguali non
si ricordano a memoria di
uomo. Per disposizione del Comando della Divisione gli sono stati resi gli onori
militari con l’intervento della banda musicale del 10° Genio di S. Maria C.V. e del
Dopolavoro. Tutto il personale dello Stabilimento governativo, a sua richiesta, è stato
da questo Colonnello Direttore Comm. Pascucci messo in libertà per la durata delle
esequie ed ha seguito commosso il feretro. Vi era il Capitolo Metropolitano al
completo. Il Fascio di Combattimento, il Fascio Giovanile, i Balilla, le Giovani
Italiane, le Associazioni cattoliche maschili e femminili, le Confraternite cittadine, le
Società Operaie e le Suore di tutti gli ordini. Il corteo funebre occupava per ben due
chilometri le strade della città. Nell’atrio antistante al Duomo lo Avv. Cav. Uff.
Pastore Galderio ha pronunciato commosse parole rilevando i lati poliedrici della
figura di Mons. Eduardo Parente: sacerdote, cittadino, apostolo, studioso, oratore,
artista sempre ammirato, sempre ricercato, sempre esaltato da tutte le classi sociali.
Durante la messa, battuta dal maestro Valletta e celebrata da S.E. Monsignor
Baccarini, Arcivescovo di Capua,Mons. Giuseppe Della Cioppa, Decano del Capitolo
Metropolitano tessè l’elogio funebre del Presule estinto narrandone la vita dalla
infanzia alla morte, dedito sempre alle opere di pietà, agli studi ed alla propaganda
religiosa. Presso il tumulo leggevasi le seguenti due epigrafe: « All’illuminato
sacerdozio cattolico sposò il fervore di cittadino italiano ben operante, che i suoi
cinquantasette anni occupò nello adempimento del suo apostolato, col sollievo degli
afflitti ed il perdono dei tristi. Milite della fede, apostolo della carità, sempre e su
tutto dilesse la Religione e la Patria, a cui consacrò la sua non lunga, ma operosa
giornata». Dopo l’assoluzione alla salma impartita da Mons. Baccarini, si è riformato
il corteo fino all’uscita della città a Porta Napoli ove fra una folla enorme di popolo
arrampicantesi fin sugli spalti delle vecchie fortificazioni, l’avv. Andrea Mariano
dette l’ultimo commosso saluto alla salma in nome del compagno di tutta la vita
dall’infanzia alla maturità e del popolo di Capua, che il defunto aveva sempre amato
sorretto ed onorato. La sua commossa parola elettrizzò lo ambiente e gli occhi di tutti
si inumidirono alla rievocazione delle virtù dello Estinto. Fra gli intervenuti notai:
S.E. il Vescovo d’Isernia Mons. Tesauri, il Piodestà Barone Michele Pasca di
Magliano, il Comandante del Presidio Comm. Pascucci, il Segretario del fascio
Polito, il Pretore Dott. Paturzo, il Comandante del Presidio Colonnello Dima, il
Presidente della Congregazione di Carità colonnello Guillet, il comandante della
compagnia dei Carabinieri Cap. Manfredonia, l’Arcidiaconi di Sorrento prof
Iaccarino, il Maggiore Capaldo, il Preside del R. Istituto magistrale Cav. Graziani, il
Direttore dell’Ufficio imposte Dirette Dott. Soriano, il Vice Podestà Dott.
Treppiccione, la Segretaria del fascio Femminile Felicetta Nicoletti, la Direttrice dei
RR Educandati Emma Iossa e la Sig.na Erminia Guerrieri da Napoli, le Signore
Leonardo, Smaniotto e le sig.ne Caprio e Martellini da teano, il cav. Viciglione di
Marcianise, l’Ing. Vito di Calvi , l’Ispettore Ventriglia, l’avvocato Pepe di Casagiove,
il Segretario del Fascio di Grazzanise Rag. Parente, il Segretari Capo del Comune
cav. Petroli e tanti e tanti altri. A casa Parente affluiscono a centinaia telegrammi e
lettere di condoglianze. Tra oltre duecento telegrammi notiamo quello di S.M. il Re.
Sua Maestà il Re esprime le sue vive condoglianze per la scomparsa dell’insigne
Monsignor Eduardo Parente
Mattioli»
ALCUNI TELEGRAMMI E LETTERE DI CONDOGLIANZE.
S. A. R. la Duchessa d’Aosta: « Con vivo dolore apprendo la morte di S.E. il
Venerato Vescovo Parente che apprezzavo ed ammiravo altamente per averlo
conosciuto e rimasta molto attaccata . Iddio certamente gli avrà dato, la corona
meritata dalla sua pietà e dalla sua vita esemplare, ma per chi rimane è una grande
sciagura.
Prendo parte al loro dolore
Duchessa Heléne D’Aosta»
L’Alto Commissario:
«Apprendo con vivo cordoglio immatura perdita Venerato Presule ed invio sentite
condoglianze
Alto Commissario Baratono»
S.E. il Cardinale Ascalesi:
«Addolorato invio condoglianze prometto preghiere
Cardinale Ascalesi»
Il Segretario Federale:
«Nome Camice Nere Napoletane e mio personale invio espressioni profondo
cordoglio improvvisa perdita Eccellenza Parente, Presule degnissimo negli studi e
nelle opere
Federale: Picone»
✽✽✽
“INAUGURAZIONE
DEL
MONUMENTO AI CADUTI IN GUERRA
E
DELL’AMPLIAMENTO DEL MUSEO CAMPANO”.
All’augusta presenza
delle LL.AA.RR. il
Principe Umberto e la
Principessa Maria José la
città di Capua ha
inaugurato il monumento
ai suoi figli caduti in
guerra, riconsacrando le
reliquie dei propri ricordi
e la coscienza delle patrie
grandezze. Omaggio di
riconoscenza, ora di
benedizione e cattedra di
ammaestramento il
monumento agli eroi, che
latinamente poggiarono
sulle altezze dell’epopea,
scrivendo col sacrificio
delle loro giovinezze i
canti omerici del grande poema d’Italia. Omaggio di riconoscenza. E’ per vero se
ancora echeggia nei cuori l’eco di quelle ore così dense ed emozionanti della storia,
in cui la Gerusalemme ai lidi dell’eroico Belgio, alle rive del Piave ed alle nostre
cime dolomitiche tutto s’infranse quanto ieri pareva di bronzo, ed a bandiere che
erano di guerra e di sangue una se ne sostituì, che annunziò il ritorno di novelle
serenità, Capua così ricca di benemerite, patriottiche tradizioni, non poteva
dimenticare quanta balda gioventù sacrificò il fiore degli anni suoi, allorquando il
terribile flagello della guerra travolse la vantata civiltà in vortici di fiamme ed in
gurgiti di sangue. E non pure la terra rosseggiò di sangue. Ah! Quel ribollire dei mari
e degli oceani; quel palpitar dei flutti, quello avvolgersi in vortici insoliti ed in voci
nuove, quando tante vite innocenti, ancora ignare delle passioni e dei conflitti umani,
furono sepolte nel profondo, prima ancora che le passioni ed i conflitti stessi. E nel
limpido azzurro dei cieli quelle ali, che Iddio stesso c’insegnò a disattendere valide e
salde alla conquista degli spazi, quante volte quelle ali resero lacrimosa la terra! Ma
la terra ed i mari si ritemprarono nell’ardimento delle eroiche vittime. E nel momento
– simbolo di riconoscenza – Capua ha voluto effigiare Oreste Salomone, il pilota
della morte, che, fissando dappresso la pupilla immensa del sole, consacrò nel tempo
il trionfo degli ardimenti e della generosità della stessa terra natia, che oggi torna a
Capua alla testa dei cento caduti in guerra, i cui nomi sono incisi nella pietra. Non
puro omaggio di riconoscenza, ma ora di benedizione. E’ per vero sarebbe mai
possibile che ad una semplice pietra dovrebbero far naufragio tutte le altezze del
genio e del valore, tutte le risorse della forza, della virtù e dell’eroismo? Ah! No; la
speranza cristiana, questa bella figlia del cielo, batte al cuore del padre, della sposa,
dei figli, e soavemente li conforta, perché coloro che essi piangono non son morti, ma
vivono e vivranno nella gloria della patria immortale, sotto i raggi immarcesibili di
un sole, che no piega e non piegherà a tramonto. E’ però il monumento perpetuando i
nomi degli eroi, creerà monumenti nuovi e più belli, i monumenti dei cuori e
dell’affermazione cristiana; avendo saputo questi eroi ottemperare alla grande voce
dell’ubbidienza, del dovere e del sacrificio: ubbidienza, dovere, sacrificio, che sono
tre grandi idealità ed anche tre grandi cristiane realtà. Ma anche cattedra di salutare
ammaestramento. Ascoltate, infatti, la grande voce, che da quel monumento si
disprigiona, e che suona così: “ Fratelli, non più tempeste, non più onde contro onde:
unitevi, amatevi, e pace duratura e feconda sia tra di voi. Che forse non siam morti,
perché altre morti desolassero la vostra terra? Ascoltate il nostro grido : unitevi,
amatevi, imparate a non contrastare, ma a sollevare, formatevi un’eredità non di odi e
rancori, ma di amore e di carità”. Questo il monumento, che Capua ha inaugurato, e
la cui cerimonia è riuscita quanto mai solenne e degna della storia per l’intervento
delle LL.AA.RR. il Principe Umberto e la Principessa Maria José. Personificazione
fulgidissima delle sue benemerite, millenarie tradizioni; figlio di quel Re soldato, che
ebbe ed ha sempre la sovranità quale esercizio austero di virtù e la suprema potestà
quale simbolo di sublimi doveri, e che, nel periodo della grande guerra, portò alle sue
vette alpine la sua fede pura ed incontaminata come le nevi, Umberto di Savoia,
sintesi sublime di questa Patria novella, di cui egli, nel turbinio della guerra, sentì
palpiti inenarrabilie di cui, in anni che speriamo lontani, raccoglierà scettro e corona,
Egli, fiore elettissimo della sua stirpe magnanima, insieme con l’Augusta Principessa,
che, con la grazia della sua regale grandezza, incoraggia ogni nobile iniziativa, ha
voluto dare la sovrana sanzione ai generosi intendimenti della cittadinanza capuana,
tanto lieta ed orgogliosa di trasfondere l’anima sua nell’anima sabauda e di mostrare
con manifestazioni di entusiasmo indescrivibile la sua fiducia patriottica, invitta ed
invincibile, in Casa Savoia.
Capua 8 dicembre 1933 – XII
EDUARDO PARENTE Vescovo
FOTO INAUGURAZIONE MONUMENTO
I SUOI SCRITTI
ALBUM IN OMAGGIO A FRANCESCO DE RENZIS XII BARONE DIMONTANARO E, IV
DI S. BARTOLOMEO
(Testo composto di 263 pagine. Si riportano esclusivamente recensioni e lettere).
Capua
A
Francesco De Renzis
R. Tip.Giannini &Figli
Napoli
Strada Cisterna dell’Olio
AI LETTORI
Quando da terra straniera Francesco de Renzis ritornò
gelida salma nella sua città genitrice, ov’egli, tra l’affetto
dei concittadini all’aer dolce dei monti, pensava di
venire, un giorno, a prendere riposo e compiere
serenamente i suoi anni Capua con tenerezza di madre pianse sulla tomba del gran
figlio perduto, e il suo dolore immenso, profondo non ebbe parole. Rientra la calma
negli animi, la dura riflessione mostrò in tutta la realtà il gran vuoto che la morte
aveva prodotto, e vuoi per l’arcana voce del dovere, vuoi per il bisogno forte
dell’anima di rivivere in qualche modo con l’estinto e combattere la terribile
possanza dell’oblio che involge tutte le cose mortali, sorse l’idea di rendere solenni
onoranze alla memoria dell’Illustre cittadino. Con nobili parole, che in pochi ed
efficacissimi tocchi ricordano la cavalleresca figura del de Renzis, S.M. Vittorio
Emanuele III aderì alle onoranze, contribuendo alla loro effettuazione, alla quale
contribuirono altresì S.E. il Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro
dell’Interno On. Giolitti e S.E. il Ministro degli affari esteri on. Tittoni – presidente
onorario del Comitato dello scorso anno, due ricordi marmorei furono qui inaugurati
in memoria di Francesco de Renzis, la cui nobile vita e geniale figura, dinanzi alla
maestà di tutto un popolo commosso e plaudente, fu lumeggiata, come meglio non si
sarebbe potuto, dall’eloquente parola di S.E. l’on Prof. Emanuele Gianturco, oggi
Ministro dei Lavori Pubblici. Ma un altro momento si volle che in omaggio alla
memoria dell’illustre cittadino sorgesse dalle pagine di un Album così solennemente
aperto dalla sovrana adesione di S.M. il Re d’Italia, da quella di S.M. il Re della Gran
Bretagna, dalla parola di S.A. il Principe Napoleone, dalle lettere degli insigni uomini
preposti alla Presidenza del Senato d’Italia e della Camera dei deputati e dalla parola
del ministro degli Affari Esteri. Aderendo cortesemente all’invito, che loro volsi in
nome di Capua, ben centocinquanta, tra uomini politici,letterati, artisti, alcuni
stranieri e ventisei signore mandarono versi leggiadri, autografi musicali, elette prose,
articoli o brevi pensieri, che sono stati distribuiti in due parti, distinguendo quelli su
de Renzis e quelli su argomenti varj. A S.E. l’on. Gianturco, che ha consentito la
pubblicazione del suo discorso in quest’ Album a quanti hanno onorato e arricchito
l’Album della loro parola ed a coloro che nella compilazione di esso mi coadiuvarono
con tanta cortesia - al chiarissimo Direttore del Giornale d’Italia, Alberto Bergamini,
all’on Comm. Angelo broccoli, al Comm. Vincenzo Bindi e al Prof. Francesco de
Felice – rendo di gran cuore infiniti ringraziamenti. Un voto, intanto, accompagni
queste pagine, specie nella Campania felice, di cui Francesco de Renzis fu uno dei
più felici rappresentanti, dimostrando sempre e dappertutto in sé mirabilmente
congiunta alla nobiltà della prosapia la nobiltà dell’intelletto e dei voleri, come per
la tomba di lui dettò S.E. Ferdinando Martini. Quod bonum felix faustumque sit.
Possano queste pagine non essere un semplice tributo d’affetto e d’onore alla memori
a di Francesco de Renzis, ma tener viva nei nostri cuori l’immagine di lui, come nei
giorni in cui tanto fascino esercitava su di noi la sua parola fervida di alti sensi e
vibrante di gran fede nei migliori destini della patria. Il sacro fuoco che vivificò
quell’anima eletta riviva nelle nostre fibre; quello che fu il principio, il proposito, il
voto della dignitosa sua vita s’innovi in noi; il ricordo della virtù s’imprima e
fruttifichi efficacemente nei nostri spiriti. Così avverrà che impulsi e propositi
generosi si affermeranno moltiplicheranno; e noi, migliorando noi stessi, e
continuando in opere degne la nobile personalità di Francesco de Renzis, onoreranno
col più solenne omaggio la memoria di lui; mentre il suo spirito, alitando d’intorno,
r3enderà grazie e benedizioni. Ma, erede dell’antica grandezza, Francesco de Renzis
ci ricorda altresì tutta una eletta coorte d’illustri conterranei, che con la loro storia e
coscienza ci dettero una storia gloriosa di tanti secoli, una storia che tanto più arduo e
grave e difficile rende il compito delle nuove generazioni. Raggio di divina virtù, il
sole, che sì benefico splende, vivificando così soavemente e potentemente la
Campania felice, donde impresse all’estatica fantasia italiana le prime visioni d’una
natura redentissima,dia tanto di vigore al cuore e di luce all’intelletto, che mente e
cuore all’ombra della cara memoria di Francesco de Renzis, possano assorgere alla
più utile considerazione di tutta la gloriosa storia campana e, compresi dell’arduo
compito, preparare alla patria nuove glorie e nuovi trionfi.
Capua , 5 Giugno, 1906
Eduardo Parente
RINGRAZIAMENTI E ELOGI
IL BARONE RIENZO DE RENZIS
Gentilissimo Signor Parente
Ho ricevuto la comunicazione riferentesi a quanto è stato
fatto per le onoranze a mio padre e all’iniziativa sua per la
compilazione di un album commemorativo. Creda che
apprezzo tutta l’opera disinteressata e ammiro il risultato
ottenuto . Questo mi dimostra non solo quanto vero e
sincero rimpianto abbia lasciato la morte prematura di mio
padre, ma anche l’intelligente e solerte attività spiegata
nel raggiungere il compito intrapreso.. A lei, come a tutti i
membri del Comitato, esprimo la riconoscenza mia e di
tutta la famiglia. All’imponente manifestazione di stima, che la cittadinanza capuana ,
la provincia e tutti gli amici e conoscenti vogliono rendere alla memoria di
Francesco de Renzis, senso vieppiù quanto sia difficile per me continuare
degnamente una stirpe, che da Cola di Rienzo tribuno e senatore, a Leopoldo martire
per la libertà e a Francesco mio padre, tanti ricordi di virtù civili e intellettuali mi
tramandò. Mi pare di esser un viandante affranto dal peso della bisaccia, e per l’aspra
strada disperi di giungere alla meta agognata. E’ solo mio scopo nella vita di
tramandare onorato un casato che illibato ed illustre ebbi quale retaggio paterno. Se
voi ricordate in Francesco de Renzis l’uomo che tutta la vita e la facoltà dedicò al
paese natio e alla patria, io piango in lui un padre che di bontà e d’affetto circondò la
mia giovinezza, e i due precetti in due parole si compendiano, onore e dovere. Scrivo
da questo paesello di Montanaro, che tante generazioni di de Renzis albergò, e in cui
mio padre agognava passare i vecchi anni. Tanto non gli fu concesso, e morì sulla
breccia, affranto da un lavoro senza tregua; ed io, pochi giorni prima di sua morte,
correggevo presso il suo letto le bozze del suo ultimo scritto in commemorazione del
Cimarosa. Morì sereno; e l’ultimo suo desiderio ho adempiuto, riportando la mortale
sua spoglie in Capua ov’egli nacque e che tanto amò in vita. Capua vuole adesso
ricordare questo suo figliolo. Rinnovo a lei, al Comitato e a tutti che di lui serbano
memoria la mia riconoscenza sincera.
Mi creda, intanto,
Castello di Montanaro, 5 dicembre 1905
Devotissimo
Rienzo de Renzis
Barone di Montanaro
Gentilissimo
Signor Eduardo Parente
Capua.
IL SINDACO DI CAPUA
Illustrissimo e carissimo amico
Con vero intelletto d’amore avete curato la compilazionedi
un Album, il cui sommario, da me con tanto compiacimento
letto, attesta la grande importanza di esso, che, nel bel
concerto di si illustri scrittori italiani e stranieri, è un vero
monumento intellettuale. Il barone Francesco de Renzis fu
indubbioiamente un’autentica illustrazione della Campania e
uno dei più nobili esempi della genialità e versatilità
dell’ingegno meridionale. Nella lista dei centocinquanta
collaboratori ho letto nomi di personaggi, che di Francesco de Renzis negli studi,
nelle armi, nelle lettere, nel Parlamento e nella diplomazia, e ciò considerando, se
anche io non sapessi di certi interessanti articoli storici e letterari, potrei bene
argomentare che l’album sarà non solo un monimento letterario, ma un documento
storico nella secdonda metà del secolo scorso. Esso, inoltre, onorando la memoria di
Francesco de Renzis, onora altresì questa citt;ed io, a nome di essa, rimgraziando voi,
ringrazio tutti coloro che hanno collaborato al detto Album, dal quale spero che
Capua saèprà trarre ammaestramenti e impulsi a generose azioni. Con tale augurio vi
prego accogliere i sensi di mia sincera stima e affetto.
Capua, 30 maggio 1906
Devotissimo
Avv. Giovanni Rotondo
Illustrissimo
Signor Eduardo Parente
Capua
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO PROVINCIALE DI TERRA DI LAVORO
Egregio Signor Parente
Apprendo con molta soddisfazione che la pubblicazione
tanto desiderata in memoria e onore di Francesco de
Renzis. Non dubito che l’Album corrisponderà alla
comune aspettativa, degna dell’uomo che fu certamente
tra i primi cittadini di questa nostra Terra di Lavoro –
una delle più geniali figure di cittadino, soldato, scrittore,
uomo politico dell’Italia nuova. E non potrà essere
diversamente, perché alla compilazione dell’opera Ella ha
dato tanto intelletto d’amore e così affettuosa premura da
meritare veramente la gratitudine non pure degli amici,
degli ammiratori del nostro Uomo dei cittadini di Terra di
Lavoro, ma di tutti gl’Italiani perché a tutti – nelle diverse
manifestazioni della sua vita - Francesco de Renzis resta
esempio d’ogni migliore virtù.
Con osservanza
Caserta 1 giugno 1906
Federico Grossi
FRANCESCO DE RENZIS
Soldato, scrittore, diplomatico, attinse le cime per vie
dirette, e adoperò la penna e la spada entrambe come armi
sacre per la patria, per la libertà, per la Verità
Vittoria Aganoor Pompilj
Illustre Signore,
La sua lettera, che è modello della cortesia squisitissima,
non so se più mi confonde o mi onori. Ne la ringrazio dal
più vivo del cuore; e a mostrarle, pure, questi miei sensi di
animo grato, sarei più che mai lieto di poter preparare
qualcosa da inviarsi a codesto onorevole Comitato per la
circostanza solenne; ma dubito che non me lo consentiranno
il tempo e le forze. Presentemente sono qua per ragioni di salute; e, tornato, oltre i
consueti lavori, avrò da proseguire il mio volume sulla vita e sugli scritti del
compianto Prof. Augusto Conti; volume che dovrà uscir tra non molto, e certamente
non dopo l’anniversario della morte di lui. Mi scusi Ella dunque, e si accerti che
questa per me è privazione forte, che volentieri concorrerei, sia pure in molto povero
modo, a celebrare la cara memoria di quell’uomo insigne che fu Francesco de
Renzis. Tuttavia se mi si riesca di vincere questi impedimenti che io Le ho
sinceramente accennati, sarà per me una festa, e subito Le manderò quel che mi sia
riuscito di preparare. Accolga, illustre Signore, i miei osequj sinceri, e i sensi della
mia stima profonda.
Bagni di Montecatini 28 luglio 1905
Augusto Alfani
Ill.mo Sig. Eduardo Parente
Capua
Caro signor Parente
Può ben credere quanto mi sarebbe grato
associarmi alle persone cospicue, che hanno
in animo di onorare la memoria dell’illustre
barone Francesco de Renzis; ma la malattia, che mi affligge da più di sei mesi e
ancora non mi abbandona, me ne impedisce. Voglia egli intanto scusarmi e gradire la
mia adesione.
G.B. Gandino.
Signor Parente,
Non credo che si possa degnamente contribuire
all’Album da pubblicarsi in memoria
dell’Illustre de Renzis, se non toccando qualche
punto della sua mirabile operosità letteraria,
politica, patriottica e diplomatica. Ora, non
trovandomi io in grado di scrivere qualche cosa di speciale su tale argomento, debbo
rinunciare a quello che sarebbe stato mio vivo desiderio di corrispondere
all’onorevole invito era veramente quello di essere aggiunto alla schiera degli illustri
scrittori chiamati a compilare l’Album commemorativo di una delle più pure e
autentiche glorie dell’Italia contemporanea. Le chiedo, intanto, scusa, e la ringrazio
delle cortesi parole
Napoli 28 luglio 1906
Michele Kerbaker
Egregio Signor Parente
Non so, sinceramente, se mi sarà dato di
corrispondere al cortese invito;ma questo io so,
che è dover mio, che è bisogno dell’animo mio
ringraziarla dell’onore impartitomi. Partecipo,
intanto, col pensiero e con l’animo alle onoranze, con cui Capua commemora
Francesco de Renzis.
Napoli 31 ottobre 1906
Giustino Fortunato.
Signor Parente
Mio padre è da lunghi mesi ammalato;
tuttavia egli nutriva qualche speranza di
poter rispondere all’invito cortese: di qui il
ritardo di questa risposta. Ma, siccome le
sue condizioni di salute non gli permettono assolutamente di occuparsi, egli viene
nella determinazione di declinare l’invito a mio mezzo, dichiarandosi dolentissimo di
non poter partecipare attivamente alle ben degne onoranze da tributarsi alla memoria
di quell’illustre patriota e geniale scrittore, che fu Francesco de Renzis.
Venezia 19 maggio 1906
Mario Pascolato
Egregio Signor Parente
Facendo plauso alla sua bella iniziativa cittadina e
patriottica dell’onorevole Comitato per la onoranze a
Francesco de Renzis, mi pregio inviarle i seguenti distici
destinati all’Album d’omaggio in memoria dell’illustre
italiano. Alla tenuità del contributo supplisca la sincerità del
sentimento; ed Ella lo aggredisca insieme coi miei vivi
ringraziamenti per le nobili parole che le piacque
indirizzarmi.
DISTICHA
Felix qui pulcro studio rum et laudis amore
Ductus, in haec totum contulit ingenium.
Ast animo et meritis longe felicior ille
Cui patriae decus et amxima cura salus.
Hic aerit etatum dominus. Quid enim nisi cives
Sint ominus memores splendida fama uvat?
Omnia fert tempus. Benefacta manent. Dat onorem
Quem mors ipsa fovet posteritatis amor.
Aloisa Anzoletti
Villae Rsae apud Tridentum
d.XV Kal sept. MDCCCCV.
Saggio Monografico
DEL 1907
AUTORE
EDUARDO PARENTE ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈
≈ ≈ AUGUSTO CONTI
e la sua corrispondenza epistolare
col CARDINALE CAPECELATRO
Prem stab. lito-tip. F. CAVOTTA S. Maria Capua Vetere - 1907 ≈ ≈ ≈ ≈ ≈ ≈
A Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Biagio Pisani
Arcivescovo Titolare di Lepanto e Ausiliare
di Capua e all’Ill.mo Padre Giorgio Brocchetti
dell’Oratorio di Napoli
Eccellenza, Rev.mo Padre,
All’antico rispetto e alla grande ammirazione per le
egregie doti di mente e di animo che vi adornano , un
sentimento di profonda gratitudine, si è unito in me in
questi ultimi mesi; sia per la gentile premura che voi, Eccellenza, e Voi,
reverendissimo Padre, avete avuta nel consigliarmi fin dal primo giorno di cui vi
manifestai il proposito di iscrivermi nella milizia ecclesiastica; sia per la squisita
cortesia che m’avete usata, concedendomi di leggere la corrispondenza epistolare di
Augusto Conti col Cardinale Capecelatro, da Voi in gran parte e con tanta cura
custodita. Dal bisogno di manifestare in qualche modo la mia riconoscenza nacque in
me il pensiero di dedicare a Voi il presente scritto; pensiero tanto più vivo per il
ricordo della stima e dell’affetto riverente che il Conti nutrì sempre per Voi e che voi,
nella grande bontà dell’animo vostro, abbiate già accennatola dedica è per me onore e
allegrezza vivissima. Ma in verità, più che sdebitarmi, avrò ora nuovi e maggiori
doveri di deferenza e di gratitudine, che m’è assai grato di attestare con vera
effusione di cuore; giacché la dedica a Voi, insieme all’attraente titolo di
quest’opuscolo, che porta in fronte i nomi illustri del Cardinale Capecelatro e di
Augusto Conti, avvalorerà non poco questo mio povero scritto. Chiedo, intanto,
copiose benedizioni, e con gran rispetto mi pregio di ripetermi
Capua, il giorno di San Carlo Borromeo del 1907
Dev.mo umil.mo servo
EDUARDO PARENTE
DISCORSO
≈ S.E. MONS. EDUARDO PARENTE
VESCOVO TITOLARE DI TERME
PRONUNCIATO NEL SALONE DEL MUNICIPIO DI
CAPUA
IN MEMORIA
DEL Maestro GIUSEPPE MARTUCCI
NEL VENTICINQUESIMO ANNO DELLA SUA MORTE
1909-1934
✽
1936 TIPOGRAFIA L. DI LAURO
Telefono interno 81386
Salve, o Capua, antica e cospicua capitale della
Campania, fra tutte le città italiche solo a Roma
seconda, e che, insieme con Corinto e Cartagine,
avresti potuto sostenere, secondo l’enfatica
espressione di Cicerone , il peso e la gloria
dell’impero del mondo. Quante memorie ne desta il
tuo nome glorioso; quanti fatti illustri, quante guerre
strenuamente combattute; quanti atti di eroico valore;
quanti uomini insigni nelle arti, nelle lettere, nelle
armi, nel maneggio dei pubblici uffici; quale
splendore nel magistero della chiesa;quale fulgore di civiltà non ti resero nobilissima!
Fondata dai Tirreni,iniziò il suo periodo di luminosa grandezza. Fu metropoli potente
e ricchissima al tempo della etrusca repubblica con i settanta senatori. Aprite Tito
Livio e voi leggerete le pagine luminose del progresso e della grandezza capuana.
Salve, o Capua nuova, che quantunque per magnificenza e per grandezza, non potevi
neppure lontanamente paragonarti alla Capua antica, pure se ti vennero continuate e
perpetuate tutte le antiche tradizioni. Volgete lo sguardo alla sua sede episcopale; la
serie dei Pastori risale all’età degli Apostoli: sede illustrata sede illustrata,
imporporata dal sangue di vescovi capuani, i quali confermarono col martirio quella
fede che avevano predicata al popolo capuano; sede, che vanta un San Vittore, le cui
lettere vanno elencate fra quelli dei padri della Chiesa; un san germano anch’egli
cittadino capuano e vescovo di Capua, tanto caro al patriarca del monachismo
occidentale. Sede illustre, che, anche negli ultimi tempi,
ha avuto porporati insigni, fra cui il cardinale
Capocelatro, che fu cittadino attivo ed onorario di Capua,
ove per ben 32 anni esplicò la sua attività episcopale e
letteraria e fu il precursore dei tempi nuovi. Spaziando
limpido l’occhio nei domini della storia squarciò il velo
dell’avvenire, e, inneggiando ai progressi della scienza astronomica e degli
osservatori, il regio di Catania e il pontificio del Vaticano, auspicò che fosse questo il
preludio di ben altro incontro, che compisse il voto supremo di ogni buon italiano.
Ammirazione e strepito accolse quel voto, ma noi oggi siamo ben lieti di salutare nel
cardinale Capocelatro il precursore delle nuove fortune d’Italia. Qui nella Capua
nuova, il valore delle armi in Ettore Fieramosca; il segno politico di Pietro delle
Vigne; il genio della sapienza di san Tommaso d’Aquino, patrizio capuano, qui la
cultura storica di Camillo Pellegrino. E fermandomi al secolo XIX, mi sia concesso di
rammemorare il senso politico e patriottismo di Salvatore Pizzi e di Francesco De
Renzis, il valore militare del generale Mezzacapo, la scienza chirurgica di Ferdinando
Palasciano, chirurgo di fama mondiale e creatore della Croce Rossa sui campi di
battaglia, l’erudizione archeologica del Canonico Gabriele Iannelli, che, di per sé,
inventario vivente e parlante e geloso custode del nostro patrimonio archeologico e
bibliografico, fu il fondatore del Museo Campano di questo Museo, che costituisce il
santo orgoglio di quanti sono figli di Capua, animatissimi delle patrie grandezze e
desiderosi di vedere alto, fuori l’onda del tempo e delle lotte, i commentari espressi
nel marmo, nel bronzo, nella pietra ed ogni specie di cimeli, che raccolgono le grandi
vestigie della nostra storia e della nostra civiltà. E che dire del poema dei nostri
caduti per la patria? Vi sono giorni d’esaltazione e di memorie , in cui il popolo
sente il bisogno di ritrovarsi, per un’ora almeno, per riconsacrare la
religione dei suoi ricordi e la coscienza dei suoi fati, per riaccendere le
lampade in un rito di fraternità e di purificazione, che, disarmando gli spiriti
di ogni egoismo e di ogni scorta impura, ravvicina i fastigi del passato al ritmo
fuggente della vita che passa, e, rievocando le gesta grandiose e titaniche, l’anima
della patria elevi al cospetto della storia e di più vivi fulgori illumini, nelle sue glorie
millenarie, il volto sublime di questa patria nobilissima. Ebbene quest’ora noi la
vivemmo l’anno scorso in quella solenne cerimonia, onorata da tanta cospicue
autorità con a capo l’Alto Commissario della Provincia il Gr. Uff. Pietro Baratono:
cerimonia resa altamente nobile e suggestiva dall’ambita presenza delle LL. AA. RR.
gli augusti Principi di Piemonte, il cui intervento segnò una data quanto mai gloriosa
nei fastigi della cittadinanza capuana; onde noi anche da queste pagine siamo lieti di
rinnovare ad essi gli atti della nostra profonda ammirazione e riconoscenza. Noi la
vivemmo quell’ora dinanzi al monumento, che perenne il
nome di Oreste Salomone ed i nomi dei nostri cento
militari, che accesero latinamente le altezze dell’epopea, e
con lo strazio delle loro carni e col sacrificio delle loro
giovinezze scrissero i canti omerici del grande poema
d’Italia. Ma anche nell’arte della musica non eccelse il
genio di Capua? Non fu sotto questo cielo incantevole, che nel secolo XVIII fiorirono
Rinaldo e Marcello da Capua e Giovanni Furno? Non fu sotto questo cielo
incantevole, che nel secolo XIX emersero Andrea De Simone e Raffaele Coppola? E
fra tutti questi musicisti non si eleva forse e non vola come aquila Giuseppe Martucci,
nato il 6 gennaio 1856 in un modesto basso a Via Monte dei pegni da Orsola
Martucciello e da un modesto suonatore di tromba Gaetano Martucci? Non vi rechi
meraviglia la povertà dei suoi natali: è tanto più bello contemplare il Martucci
nell’apoteosi della gloria, quanto più da un basso loco e tra più folti spineti cominciò
egli a salire. Piuttosto vi rechi meraviglia, che un Vescovo, affatto ignaro di musica,
vi parli oggi di un principe della musica, e ve ne parli qui, nel palazzo della città, a
questo punto, dove per vari anni tuonò autorevolissima la parola di un legittimo
rappresentate della città di Capua, che ci resse in qualità di Sindaco e che cospicue
benemerenze portarono ad altissimo ufficio della presidenza della Camera dei
deputati, la parola di S.E. l’Avvocato Antonio Casertano; qui, a questo punto, donde,
parecchi anni addietro, in memoria dell’Ambasciatore De Renzis risuonò la voce
fascinatrice di un principe del giure e della parola, di un insigne mio maestro, di un
rappresentante perfetto della feconda anima meridionale, la voce del Ministro del Re
Emmanuele Gianturco. Ma il nobile invito del benemerito Circolo di cultura Donne
Professioniste ed Artiste, egregiamente presieduto dalla gentildonna Prof Concetta
Casertano Pizzi; l’amore che ebbi sempre per il bello, sorgente di virtù e di valore;
l’esser fratello di colui, che s’adoperò nel 1914 per la commemorazione martucciana
e la mia qualità di cittadino capuano amatissimo delle glorie patrie e delle patrie
grandezze, affinché il debito onore si tributi a quelle glorie, e da quelle glorie derivi
sprone e incoraggiamento a ben fare; tutte queste ed altrettante ragioni varranno, io
credo, a riconciliarmi in qualche modo il vostro generoso compatimento; mentre io da
questo compatimento sorretto, cercherò di mostrarvi in Giuseppe Martucci una delle
più fulgide espressioni del mezzogiorno d’Italia nella sovrana arte dei suoni. Vorrei
in questo momento avere la possente parola dei grandi oratori classici e ripetere
efficacemente il sentimento profondo e vibrante del 31 maggio 1914, quando fu
consacrato, come in apoteosi, la memoria di Giuseppe Martucci. Non v’è parola
quanto possente e colorita, che possa produrre tutte le
sfumature del sentimento e rispecchiare l’anima di
questa nobile terra. Solo la musica potrebbe descrivere
così forti sentimenti o almeno tentare di riprodurli.
Grande in quel giorno era la mestizia del cielo; ma più
grande era la mestizia nostra per la perdita del grande
scomparso. Alla parola del Sovrano d’Italia una parola
non meno vibrante si unì, la parola di questo popolo capuano, che amava il figlio suo,
perché sapeva, com’egli, pur giunto alle supreme altezze dell’arte, si onorasse di
essere figlio di un popolano; perché sapeva com’egli amico di grandi, non fu mai
cortigiano, e, amico del popolo, non fu mai uno dei tanti tribuni da strapazzo, che non
servono alla causa del popolo, ma alla causa propria; perché sapeva come egli, figlio
di popolano ed amico del popolo aveva sentita ed attuata tutta l’alta aristocrazia e
tutta la sovrana nobiltà dell’arte per riguadagnare all’Italia il posto che le spettava fra
le nazioni del mondo; perché sapeva che la più grande e feconda eredità che ci
abbiano lasciato i nostri maggiori non sono state specialmente le terre fecondate dai
loro sudori, non sono state le città solidalmente fabbricate, ma bensì l’eredità della
fede, delle lettere e delle arti, con le quali abbiamo conquistato il mondo.
Precocissimo fu il nostro Martucci. Aveva appena dieci anni, quando dette a Capua il
primo concerto insieme con sua sorella Teresina. Sotto ilo cielo di Capua genitrice,
egli sent’ fremere lo spirito dell’arte, a cui legò il suo nome: e quel concerto fu una
vera rivelazione, fu tutta una promessa; e di esso giova ricordare l’attestato di tre
insigni nostri concittadini, il Pizzi, il Cuccari e il Brandi, che si segnalarono nella vita
pubblica capuana; attestato che fa parte dei vari certificati custoditi dall’esimia
Signora Maria Martucci, che fu l’angelo tutelare e l’ispiratrice benefica del suo
dolcissimo Giuseppe. Poco dopo il Martucci si allontanò da Capua per entrare nel
conservatorio musicale di Napoli e seguire la su carriera artistica. Correvano gli anni
belli delle lotte audaci e delle superbe battaglie, combattute con tanta fede in difesa di
quell’alta concezione dell’arte, la quale per le vie luminose di una libertà sin d’allora
contesa, tentava di slanciarsi al possesso della storia e dell’estetica. Abbracciare in
una visione sintetica il dominio dell’arte pura con un concetto universale, senza
inciampi, senza barriere, senza vieti pregiudizi: ecco il sogno degli eletti, nella cui
schiera, fin da giovanotto, militò con tanta fede Giuseppe Martucci. E se questa
precoce anima di artista, tutta pervasa da desiderio irrefrenabile di apprendere, di
diffondere e di prodigare il verbo dell’arte pura , palpitò dei primi sogni nel Collegio
celebre, che per tradizione si era fatto proprio il concetto di un’estetica assoluta, ligia
a forme e ad atteggiamenti, generanti sana bellezza, dobbiamo riconoscere che nel
nostro giovane Martucci ebbe forza assoluta un’ampia e vigorosa energia intuitiva
tutt’affatto personale. Beniamino Cesi aveva già inculcato
lo studio dei classici, riuscendo ad abbattere il regno della
rumorosa fantasia su motivi d’opera e della vuota
sentimentalità. Ma la sua nobile opere si era rivolta
specialmente alla letteratura pianistica. Giuseppe Martucci,
quando i perspicaci insegnanti di Paolo Serrao non ancora
lo avevano iniziato ai segreti dell’armonia e del
contrappunto, aveva avuto in quella scuola la visione del nuovo ed ancor del più
vasto orizzonte, che un giorno avrebbe dovuto aprirsi per lui. E con questa gloria si
affermò pianista squisito nel giro dei concerti, che egli fece in Italia, in Germania, in
Inghilterra, in Francia, ove Antonio Rubistein lo proclamò gloria Italiana. E quando
quei pochi spiriti eletti lo chiamarono in Napoli a insegnare nel Conservatorio ed a
dirigere la Società del quartetto, la preparazione di lui era già interamente compiuta:
il Martucci era veramente un maestro. Nei pochi anni in cui egli potette dirigere la
benefica istituzione, i suoi sapienti programmi rivelarono ad un pubblico, dapprima
stupefatto, poi a grado a grado convinto ed entusiasta, tutto un mondo di sensazioni
nuove e dolcissime, le quali di quel pubblico elevarono l’intellettualità e la
sensibilità a tal segno, da renderlo capace di comprendere le espressioni dell’arte
musicale più elevate, più ardue e più complesse . Così, in breve tempo, Napoli che,
fino verso il 1880, in fatto di cultura musicale ristagnava in una sonnolenza torpida ed
ignara, ad un tratto si trovò, per opera e per merito di Martucci, ridestata dal suo
torpore e messa alla testa della cultura musicale italiana. Compositore di aristocratica
eleganza, il Martucci seppe fondere nell’opera sua il più schietto sentimento d’Italia e
il più austero temperamento nordico. Il sapiente ed impeccabile magistero della
forma trattiene e contiene lo slancio sentimentale, lo trattiene, ma per ciò stesso ne
raddoppia le infrenate energie. Fedele alle forme del sommo maestro Bonn, egli non
rinnega nessuna delle sostanziali conquiste posteriori della musica strumentale,
intessendo soprattutto su quel classico traliccio un ricamo prettamente moderno di
ansie e di aspirazioni. E dalla mente, confusa dalla bellezza del sogno ideale, ma
immaginosa sempre; dal cuore pulsante; dall’animo vibrante di passione si
sprigionarono, con impeto e con foga, le maggiori concezioni, quelle che dovranno
divenire patrimoni della nuova Italia musicale, le Fantasie, i Concerti, i quartetti, le
Sinfonie meravigliose. Ai successi del pianista i successi del compositore: i premi
ripetutamente conseguiti alla Società del Quartetto di Milano e l’esecuzione in quel
Conservatorio dei più importanti lavori, sino allora compiuti. Se a tutto questo
aggiungete i concerti dell’Orchestra napoletana, che, iniziati a Torino nel 1884,
furono per tutti gli italiani come la rivelazione d’un nuovo aspetto della poderosa e
complessa anima artistica di Giuseppe Martucci, voi conchiuderete che ormai, a soli
28 anni, l’esecutore, il compositore, il direttore si erano affermati in modo completo
ed assoluto. E se Beethoven sinfonista era in quel tempo quasi del tutto trascurato in
Italia, l’opera di Wagner era addirittura derisa come la
stravagante espressione di un ingegno folle. Martucci
rivelò a Napoli e all’Italia tutta la bellezza di quelle
pagine di Riccardo Wagner e ne diffuse intorno la luce
trionfale. E quando Bologna lo ebbe a direttore del suo
Liceo Musicale, a 16 anni di permanenza del maestro
valsero a conquistare a Bologna la reputazione di
cittadella della grande arte musicale e al pubblico bolognese quella del più serio ed
evoluto fra gli altri della penisola. Ma la premura dei suoi concittadini di adozione lo
richiesero con insistenza commovente nella città dei suoi studi e dei suoi uffici,
perché fosse stato possibile riprendere il raggiante commino, interrotto nel 1886.
Ebbene egli ritornò a Napoli; accettò la direzione del Conservatorio San Pietro a
Majella; e le cinque operose annate di concerti orchestrali ebbero un’efficacia
definitiva per la cultura musicale napoletana. Ma quale la ragione di questo altissimo
prestigio del Martucci? Il Martucci non era un musicista, ma era la musica, era
un’anima essenzialmente e nobilmente meridionale, era un’anima musicale, dotata di
una sensibilità sottilissima. Da questa sensibilità derivava una coscienza d’arte, che
pochissimi altri musicisti hanno posseduto a si alto grado, e di tale coscienza artistica
il compositore e l’interprete hanno dato frequenti e non dubbie prove : la prima, che
egli, a meno di trent’anni, aveva saputo ideare e comporre il Concerto per pianoforte,
col non accostarsi per molto tempo alla Sinfonia, sembrandogli di non essere
abbastanza degno dell’ardito cimento. Un’altra prova egli dette nel penetrare bene
addentro nell’anima dell’autore, da lui eseguito, riuscendo in tal modo singolare
animatore delle sublimi concezioni di Beethoven e di Wagner, e facendo vibrare di
fremiti nuovi alcune pagine italiane, che sembravano avere già ricevuta un’impronta
definitiva dalle tradizionali esecuzioni: sensibilità profondamente meridionale dello
spirito del Martucci, che aveva il suo contrapposto in una compostezza cerebrale,
quale si sarebbe pensata in un musicista nordico dei più austeri. Essa rifulge
smagliante nelle sue opere più poderose, nella Prima e nella Seconda Sinfonia, in cui
il sostrato classico beethoveniano è tutto pervaso dal grande soffio di modernità,
quasi a rilevare l’intima e ardente lotta della sua anima musicale, che gridava il
fremito, lo sgomento verso il mistero della vita. Guardatelo nelle sue esecuzioni; e
voi rimarrete fatalmente attaccati a quella magica bacchetta, che, con lieve fremito, si
agitava nell’aria per rendere più intenti e sospingere all’attacco i cento archi,
irresistibilmente avvinti alla incrollabile volontà dell’infallibile duce. Senonchè
Martucci soffrì, profondamente e nobilmente soffrì. Chi sa misurare infatti la portata
del sagrifizio, logorante nell’anima e nel corpo, che un musicista, un direttore, artista
nel vero senso della parola, viene compiendo dinanzi ad un pubblico, allorquando nel
guidare masse numerose di esecutori non sempre agili, né spiritualmente preparate a
eseguirlo nella sfera di idealità superiori, si propone di rivelare e di far comprendere
la grandezza nobilissima dell’anima che ha concepito nel quadro di bellezza? Sono
ore di angoscia dolorosa, frammiste a lampi fugaci di gioia; incubi spaventosi, solcati
da lievi speranze; lagrime che si confondono col mesto sorriso; sconforti che si
alternano a vere esaltazioni dello spirito affranto. E quando nel dicembre del 1908, fu
chiamato alla ribalta di S. Carlo dal clamore incessante degli applausi, lo si vide
trascinare a stento la persona emaciata e disfatta. Un sorriso lieve e mestissimo gli
sfiorava con ineffabile dolcezza le labbra esangui. L’ardua prova era vinta, ma
l’eroico lottatore ne usciva ferito a morte. Il terribile male, che lo insidiava, lo aveva
assalito nella stanchezza e minacciava prostrarlo. Gaetano negri, eletto ingegno e
smagliante scrittore, che non fu credente, sebbene visse sempre nel desiderio della
fede, scrisse che la necessità di sciogliere il problema della morte è nell’uomo sentita
più fortemente ancora della necessità di sciogliere il problema della vita, ed è ciò che
ancora oggi una forza irresistibile alla ragione. La storia dell’umanità è assai più
determinata dal modo di comprendere la morte, che dal modo di comprendere la vita.
Verissimo ciò che afferma il Negri in queste parole ricche di luce e di sapienza
cristiana. E però mi è caro il rilevare che il Martucci comprese e sciolse
cattolicamente il problema della morte. In quel periodo egli sentì vivo ed imperioso il
bisogno di riconciliarsi con Dio. E si conciliò. E quando venne l’ora del supremo
passaggio, le voci superne che egli aveva saputo far vibrare ed echeggiare nel cuore
di tutta Italia, si accompagnarono a lui d’accanto, in una gigantesca sinfonia, degna di
cantare la gloria di dio immortale. E la Marcia funebre dell’Eroica e l’Inno al
Creatore e l’Inno alla Gioia, tutto questo mondo di bellezza echeggiò presso di lui a
suo grande conforto, a sua grande gioia. Capua ha voluto oggi rendere testimonianza
della comune gratitudine cittadina al figlio insigne, al felice rappresentante del
mezzogiorno d’Italia, al grande Maestro nell’arte dei suoni; ed in verità ha
degnamente operato; ben degna di tramandare gli insegnamenti che possono trarsi
dalla vita laboriosa ed artistica del Martucci. Insegnamenti ai maestri, affinché essi
siano intenti sempre meglio ai sacri diritti dell’arte e dell’onore d’Italia.
Insegnamento a tutti. Un giorno Riccardo Wagner proferiva un augurio ideale,
Giuseppe Martucci, giovinetto, lo accolse, ed, in breve, compì il miracolo di
avvicinarsi ad un’altissima visione dell’arte pura, mostrando in sé e nella prodigiosa
sua opera mirabilmente compendiate le nobilissime armonie della grande arte dei
suoni.- Questo miracolo di pure e sovrane armonie lo ricordi spesso Capua agli
italiani a monito della stessa vita individuale e sociale: lo ricordi specie in quest’ora
solenne, in cui, per l’altissimo intelletto e per l’illuminata sapienza di Sua Santità Il
Sommo Pontefice Papa Po XI, di Sua Maestà il Sovrano d’Italia Re Vittorio
Emanuele III e di Sua Eccellenza il Duce Benito Mussolini, si è assorti alla più
consolanti armonie fra la religione e il patriottismo. Con vivo entusiasmo la
condivida Capua la sua gloria con Napoli, dove il Martucci iniziò e compì la sua
gloriosa carriera, e dove all’incanto impareggiabile della natura si disposa tutto lo
spirito sfolgoreggiante dell’arte, irradiato oggi possentemente dall’altissimo e
nobilissimo patronato delle LL.AA.RR. gli augusti Principi di Piemonte, sintesi
sublime di supreme idealità anche nel campo dell’arte. Insegnamento particolarissimo
renda Capua ai suoi figli, specie oggi che essa vive quasi soltanto di illustri e grandi
memorie, ma che può tuttavia alimentare belle e liete speranze. Il sacro fuoco, che
vivificò l’anima eletta di Giuseppe Martucci riviva nelle fibre dei cittadini capuani;
quello che fu il principio, il proposito, il voto della dignitosa sua vita s’innovi in essi;
ilo ricordo delle virtù s’imprima e fruttifichi efficacemente nei loro spiriti. Così
avverrà che impulsi e propositi generosi si affermeranno e moltiplicheranno; e i
Capuani, migliorando se stessi, e continuando in opere degne la personalità del
Martucci, onoreranno col più solenne omaggio la memoria di lui; mentre il suo
spirito, alitando dintorno, renderà grazie e benedizioni.
TELEGRAMMI
Il telegramma della Signora Martucci
_______
La Signora Maria Martucci, dolente di non essere potuta intervenire alla
commemorazione per ragioni di salute, inviò il seguente dispaccio:
“ Esimia Signora CONCETTA CASERTANO CAPUA
“Commossa per l’omaggio alla memoria di
“Giuseppe Martucci, ringrazio dell’invito, spiacente
“che ragioni di salute mi vietano intervenire
“alla commemorazione. Assisterò in ispirito
“alla nobile città, a Sua Eccellenza Mons.
“ Parente ed a Lei.
“A tutti i componenti della odierna celebrazione
“giunga l’espressione della profonda
“riconoscenza mia e dei miei figli.
MARIA MARTUCCI
✽
Ringraziamento del Circolo di cultura Donne Professioniste
ed Artiste di Capua
_______
Eccellenza
In nome dei Circolo, che ho l’onore di dirigere e mio personale,
sento il bisogno di ringraziare l’eccellenza Vostra vivissimamente
per la magnifica orazione, elargita in occasione della
commemorazione Martucciana al pubblico capuano,
che ascoltò riverente, ammirato, commosso
Con profondo ossequio mi creda
Obbligatissima
CONCETTA CASERTANO PIZZI
A Sua Eccellenza
Mons. EDUARDO PARENTE
VESCOVO
CAPUA
Sac. EDUARDO PARENTE
Il nuovo Arcivescovo di Capua
e l’esultanza dell’Archidiocesi
≈
Discorso letto il 2 luglio 1913
Nell’Accademia letterario-musicale
Del Seminario Capuano in omaggio
a Mons. GENNARO COSENZA
Eccellenza reverendissima,
Signori,
E’ davvero giocondo e commovente lo spettacolo che
da due giorni presenta la città di Capua, abbandonata ad
un vero plebiscito di esultanza e di giubilo.
Dall’entusiasmo di quel nobile corteo di dignitari
ecclesiastici, militari e civili,che, domenica, accolse
Vostra Eccellenza nel primo solenne ingresso in questa
vetusta città, alle espressioni di riconoscenza di tanti
figli della povertà e del dolore, cui ieri voi, Eccellenza,
confortando e benedicendo, distendeste la mano paterna
(I); dai frenetici applausi di tutta una fitta calca di popolo, che, domenica, fluttuante
quasi vasta marea, accompagnò Vostra Eccellenza nella nostra cattedrale; a questa
eletta adunanza di prelati, di ufficiali, di signore e di cittadini insigni, qui convenuti
per partecipare alla festa del nostro Seminario, è tutta una dolce armonia di pensieri e
d’ affetti, vibranti all’unisono come le corde di un’angelica cetra, dinanzi a cui
l’animo sentesi profondamente affascinato e commosso, come già «il rapito Patmos
Evangelista» all’udire i concenti della celeste Gerusalemme. Ebbene, dinanzi a
questo spettacolo solenne, dove troverò io la parola rispondente all’arcano
linguaggio, di tanti cuori e di tante intelligenze, dove troverò la parola scintillante di
luce, che si armonizzi per dolcezza di eloquio con i suoi musicali e con le note
melodiose di tanti canti sublimi? E però quando mi è stato
(I) Il giorno innanzi, Sua Eccellenza il nostro Arcivescovo aveva visitato l’ospedale
Palasciano e il mandicicomio femminile.
affidato l’onorifico compito di pronunciare in si fausta circostanza il discorso di
prolusione, io, nel primo momento, ho temuto non poco; ma, soldato della religione e
della Chiesa, avvezzo non da ora alle lotte ed ai
cimenti, mi sono spinto con coraggio nell’arringo di
questa festa, confortato dal pensiero di compiere un
dovere e dalla speranza sicura che la mia parola
susciterà facile compatimento, giacché, se debole in sé,
avrà, incontra stabilmente, questo di buono, di essere,
cioè, non una parola convenzionale, ma l’espressione
viva dei miei sentimenti, che ho cercato di significare
con la stessa spontaneità e col medesimo slancio, con cui sono scaturite dal cuore del
popolo tante entusiastiche dimostrazioni: ho fatto come colui che sente vivamente ciò
che si agita dentro di sé, e senz’altro dice ciò che dentro gli suona. Consentite perciò,
Eccellenza, che, al cospetto di sì onorata assemblea, io raccolga tutte le
manifestazioni e tutti gli attestati del giubilo, sprigionatisi da mille cuori e risuonanti
su mille labbra e, componendoli tutti come fiori in un serto olezzante, lo deponga ai
vostri piedi, e, intanto, mi domandi il perché di tanta esultanza, che ne ha avvinti in
un sentimento ed in un palpito comune. E’ vero che, specie in certe occasioni, la gioia
è un dovere ed insieme un bisogno dei popoli costumati e gentili e che solo i vili non
si sollevano, né si esaltano; ma è pur vero che queste nostre sono qualche cosa dippiù
che semplici feste e semplici manifestazioni di doverosa accoglienza. Esse sono feste
di popolo che crede, di popolo che ricorda, di popolo che sa. E prima che la mia
parola si fermi a dichiarare in qualche modo questo triplice significato degli attuali
festeggiamenti, permettete, Eccellenza, che io rivolga un deferente pensiero alla
memoria del vostro predecessore, che, lustro dell’Episcopato ed onore del Sacro
Collegio, fu soprattutto gloria di questa città, al cui nome quello del Capecelatro si
era intimamente connesso, per cui anche in certi periodi difficili, che spesso
attraversa la vita così degli individui come delle città e delle nazioni, il nome di
Capua non cessò giammai di risuonare alto e rispettato perfino nelle più lontane
contrade, giacché risuonava insieme con quello di Alfonso Capecelatro. La vita
vissuta ininterrottamente in questa terra genitrice mi addita nel sentimento
schiettamente religioso una delle ragioni dell’entusiasmo del popolo capuano, devoto
con vero affetto filiale alla Chiesa cattolica, a questa immensa società, che, nata con
una piccola schiera di apostoli e di discepoli, assembrati sotto le volte del Cenacolo, è
oggi diffusa per il mondo intero, ed alla quale, fin dai primi tempi, i seguaci di gesù
Cristo dettero spontaneamente il nome di madre, il nome dell’amore più grande e più
affettuoso che commova le creatura umane. E però facendomi eco dei sentimenti dei
mie concittadini, che con tanto entusiasmo si commuovono per questa festa, la quale
torna anche ad onore della Chiesa cattolica, io con quanto ho di cuore la saluto questa
nostra grande Madre comune, gloriosa di una storia tante volte secolare e ricca di
dottrina divina, che da diciannove secoli si va
ripetendo in tutto l’universo, in Occidente ed in
Oriente, fra popoli civili e popoli barbari, fra ricchi e
poveri, fra villici dalle mani incallite dal lavoro e fra
contadini abbronzati dal sole, come fra i potenti ed i
grandi, viventi nella luce del cattolicesimo. Ma la
storia e la gloria della Chiesa cattolica, che dura da
tanti secoli, e che durerà quanto il moto lontana, é
insieme gloria e storia di un’istituzione nata con la Chiesa stessa, il giorno in cui
Gesù pose in Pietro il fondamento di essa, onde nacque nel mondo una grande parola,
che raccoglie in sé tante idee, tanti affetti, tante speranze, la grande parola il Papato,
venutaci dall’Oriente, come dall’Oriente ci viene la luce. E’ il Papato infatti la
sorgente donde derivano quasi tutti i fonti di vita, che largamente si spargono nei
popoli cristiani; è esso il principio unitivo di tutte le verità, l’alto potere collocato sul
vertice della santa monarchia della Chiesa, potere, in cui vive e vigoreggia lo stesso
Episcopato cattolico, il quale è come il corpo di un’unica persona morale con a capo
il Sommo Pontefice,l nello stesso tempo in cui con la sua autorità di giurisdizione, col
suo carattere sacramentale, con la grazia del suo ufficio e con la sua celeste dignità è
limpida e viva fontana di tutta l’operosità del Vescovo. Oh la grande figura del
Vescovo! Ritto sul fastigio della gerarchia, tutto premuroso nella fedeltà alla Chiesa,
nel culto delle scienze sacre, nella tutela della tradizione, nell’educazione dei fedeli,
nel soccorso di tutti i miserabili, santificato dalla rugiada della santa unzione;
cavaliere di Dio dall’anello simboleggiante il connubio con la Chiesa e dai guanti
della grazia e della benedizione, affinché le sue mani si serbino pure e innocenti al
servizio di un’anima generosa e attiva; capitano, armato di scettro pastorale e
ricoverta dalla gemmata mitria, simboleggiante nella sua forma la doppia forza che
egli deve ricavare dal V. e dal N.; oh! Come è nobile e grandiosa la figura del
Vescovo, sacerdote perfetto nella grandezza, ricongiungentesi, per una successione
non interrotta, ai primi eletti di Cristo. Fu la sua mano feconda che diede alla Chiesa
primitiva il sacerdozio; e d’allora in poi le onde sacre della gerarchia non cessarono
di scaturire dalla medesima fonte. E’ vero che talvolta la sublime gerarchia
ecclesiastica è vituperata, o tenuta a vile; ma è pur vero che, assai delle volte l’ostilità
contro il cattolicesimo non è ostilità alle sue dottrine, ma contro a ciò che gli
avversari immaginano che esse siano, non è ostilità contro gli istituti della nostra
gerarchia, ma contro l’idea nebulosa e falso che essi ne hanno nella loro mente e che
turba i loro sonni. Però, vivaddio, il popolo di Capua e di tutta la nostra Archidiocesi,
insieme con la fede nella Chiesa cattolica, ha serbato
sempre vivo il sentimento di sottomissione, di rispetto, di
ossequio, all’Autorità, e specialmente al proprio Vescovo,
per cui le feste di questi giorni sono state e sono non
soltanto feste di preti, ma feste di popolo e di ogni ordine
di cittadini, dai più alti rappresentanti civili agli umili
popolani, dai forti commercianti agl’innocenti fanciulli,
dai cultori esimii degli studii e dagli alti operai del pensiero e della penna ai modesti
lavoratori dell’officina e dei campi. Ma è questo altresì un popolo che ricorda, e che
perciò reca nelle sue sublimi manifestazioni i generosi impulsi di una coscienza
temprata alla grandezza del Passato ed ai fasti immortali di quest’antica Metropoli, di
cui voi, Eccellenza, avete fatto parola nella lettera pastorale, che testé pubblicata,
augurando che i figli s’ispirino sempre meglio agli esempi luminosi dei padri. Certo,
noi ricorderemo sempre con santo orgoglio l’avere una sede episcopale così vetusta,
che risale ai tempi degli Apostoli, e che ebbe come primo vescovo San Prisco, uno
dei discepoli di Gesù. Noi li ricorderemo con affetto vivo ed efficace tutti quei grandi
vescovi, cha da San Prisco fino all’841dopo Cristo illustrarono la Chiesa capuana: da
San Quarto a San Quintino; da San Panfilo, sotto di cui fu celebrato in Capua il
famoso Sinodo plenario di tutta la Chiesa occidentale, a San Simmaco ed a San
germano; da San Vittore a San decoroso, che tanta parte ebbe nella lotta contro i
Monoteliti, a da san Vitaliano a san Paolino. Né il periodo dei vescovi Sicopolitani,
quando la sede vescovile da Capua, distrutta per opera dei saraceni, fu trasferita a
Sicopoli, resterà un periodo triste per noi; giacché, senza dire che i vescovi
Sicopolitani si dissero pur sempre Capuani, quel periodo è una delle tante prove
luminose di ciò che possa la forza e la vitalità del Cristianesimo. La Chiesa capuana,
infatti, battezzata da San Prisco e irrigata dal sangue di tanti Martiri, aveva in sé
germi quando mai fecondi di vita: e però essa doveva necessariamente risorgere a
fasti più gloriosi, come in effetti rispose, quando la sede vescovile, trasferita da
Sicopoli nella Capua nuova, fu elevata a prima sede metropolitana di tutte le
provincie meridionali d’Italia, e s’iniziò quella serie di arcivescovi e Cardinali, che
sono stati nostro vanto e nostra gloria , e fra i quali si annovera anche il nome di
Roberto Bellarmino con tanto entusiasmo ricordato nella lettera pastorale di Vostra
Eccellenza, come illustrazione teologica italiana e principe fra i controversisti contro
l’eresia protestante. Certamente i cittadini di Capua, e in special modo il clero, le
ricorderanno e rievocheranno con ardore sempre vivo queste glorie fulgidissime per
trarne stimolo a ben fare; ma, in verità, non è stato solo il ricordo delle glorie testé
accennate uno degli elementi ispiratori dell’attuale
esultanza. I più vecchi fra i nostri concittadini, specie in
questi giorni hanno ricordato ciò che essi videro
personalmente nel tempo della loro giovinezza; ricordi
personali, che hanno spesso manifestati ai loro figliuoli,
perché li custodissero come un patrimonio sacro e come
una delle glorie più pure di questa fortunata città.
Ripetuti anche a me fin dai miei teneri anni, quei ricordi erano costantemente
vivificati da due ritratti custoditi con tanta cura in famiglia , e sotto di cui erano
rispettivamente scritti a chiari caratteri il nome del cardinale Giuseppe Cosenza e
quello del cardinale Francesco Saverio Apuzzo, i quali nomi furono tra i primi che io
cominciassi a compitare, e che spesso ripetevo ad alta voce, quasi a prova dei miei
progressi nella mia lettura. Ebbene, oggi soprattutto i nostri vecchi e con essi anche i
loro figliuoli hanno ricordato quei due campioni della dottrina cattolica e della pietà
cristiana, che furono appunto monsignor Giuseppe Cosenza e monsignor Francesco
Saverio Apuzzo, i quali vissero una vita veramente degna dei tempi apostolici e
ascesi sul fastigio dell’episcopato e decorati dalla porpora cardinalizia, rifulsero tanto
più luminosamente, a guisa del sole, che quando si eleva sull’orizzonte, più illumina
la terra, inondando di luce i monti e rischiarando la pianura e le valli. Membro
d’importanti Accademie e dell’Almo Collegio dei teologi di Napoli, F.S. Apuzzo,
dopo di avere insegnato ed essere stato rettore dell’Università di Napoli, ove
sedevano quei giganti del pensiero, che riscuotevano l’ammirazione dell’Europa,
dopo di avere insegnato ai principi reali, facendo rifulgere fra le dolcezze della Corte
lo spirito di mortificazione e di preghiera; dopo di essere stato presidente per la
pubblica istruzione, non cessando giammai di lumeggiare le grandi armonie fra la
scienza e la fede ; egli, che aveva già rette così felicemente le sorti della Chiesa
Sorrentina, legò il suo nome benemerito alla sede arcivescovile Capuana,
continuando le gloriose tradizioni dell’Immortale suo zio Giuseppe Cosenza, teologo
insigne e Vescovo esemplarissimo. Giacchè o illustri signori la vita del cardinale
Giuseppe Cosenza era stata tutta una serie di alte benemerenze e di carità operosa, per
cui egli, vescovo di Andria, era chiamato il Borromeo delle Puglie , e, promosso ad
arcivescovo di Capua, era rassomigliato ora a San Vincenzo dei Paoli ed ora a San
Francesco di Sales per quella sua soave dolcezza, che piegava ogni volontà più
riluttante e disarmava i cuori più inclinati a vendetta. Entrate nel nostro Duomo, e
quelle sacre mura vi ripeteranno un cantico di osanna a Lui, che volle profondervi
magnificenze, oro e capolavori. Entrate col vostro fantasioso pensiero nelle prigioni
di quel tempo, e vi troverete i monumenti della sua carità, la quale valse a spezzare
molte catene. Entrate negli ospedali, e vi sentirete l’eco della sua generosità. Entrate
nei tuguri, e, anche lì, voi troverete i segni della carità di lui, che visse beneficando
sempre, e recando tutto il possibile sollievo alla miseria
ed al dolore, triste sfondo nel quadro della vantata
prosperità di ogni popolo. Con memore e grato
pensiero il 30 di questo mese i cittadini capuani
trasporteranno da l cimitero comunale nella nostra
cattedrale le spoglie mortali di questi due campioni
della Chiesa, compiendo così un dovere, che insieme
voto ardentissimo di tanti anni (I). Ebbene alle sacre urne, che racchiuderanno quelle
spoglie, noi andremo spesso a inchinarci; ad esse noi condurremo spesso i nostri
giovani leviti, affinché s’ispirino ad opere egregie. Io non so ridire la indicibile
commozione provata pochi giorni or sono, quando, insieme col rappresentante della
città di Capua e col rappresentante del Capitolo metropolitano vidi dischiudere
l’avello contenente gli avanzi dei cardinali Cosenza ed Apuzzo. Mi si consenta però
di manifestare un pensiero, che allora mi balenò alla mente. Io pensai e dico che
quell’avello si è oggi dischiuso dopo tanti anni, forse perché le ossa di Giuseppe
Cosenza e di Francesco Saverio Apuzzo hanno dovuto avere anch’esse un fremito di
esultanza per il novello Pastore, che viene a reggere con fedeltà e prudenza
l’Archidiocesi capuana ; io credo che esse, apparendo oggi, dopo tanto tempo,ai
nostri sguardi, abbiano voluto mandare un saluto beneaugurante a voi ,
Eccellenza,che vi siete assiso sulla sede degli illustri zii, e di essi siete il benemerito
erede; erede non di beni ecclesiastici, giacché questi beni i cardinali Cosenza e
Apuzzo li elargirono a pro della Chiesa e dei poverelli, ma di un patrimonio
incomparabile nobile e grande che voi avete saputo ben custodire ed accrescere, il
patrimonio delle più eletti virtù. La conoscenza di queste virtù, le quali per tanti anni,
in terra a voi vicina, hanno dato in Vostra Eccellenza manifestazioni così fulgide,
costituisce appunto l’altra e principalissima cagione dell’esultanza del popolo
capuano, che entusiasticamente saluta ed ammira nell’Eccellenza Vostra il fedele e
prudente dispensatore dei doni di Dio, sia nel campo della scienza che in quello della
pietà. Giovinetto ancora, nella tenera età di 17 anni, voi eravate già Principe nel
circolo teologico del liceo arcivescovile di Napoli. Laureato in teologia con
pienissimi voti, diveniste ben presto Maestro e poi Decano dell’almo Collegio
teologico.
(I) Il 30 dello scorso luglio, infatti, con solenne e commovente cerimonia, ebbe luogo la
traslazione degli avanzi dei due illustri Cardinali, di cui S.E. Monsignor Mario Palladino
tessé l’elogio con dotta e magistrale parola.
Professore di scienze sacre nel liceo arcivescovile di Napoli e nel collegio
ecclesiastico di Maria, che, per parecchi anni, fu la più alta scuola teologica per il
clero di tutto il Mezzogiorno d’Italia; professore di scienze sacre nel seminario di
Caserta, che, specialmente per lo studio delle discipline teologiche è salito così alto
da gareggiare con i primi d’Italia, voi, a buon diritto,
Eccellenza, rifulgete tra coloro che sanno sedere in
teologica famiglia; e però tutta un’eletta schiera di discepoli
e d’ammiratori molti dei quali sono anche vescovi o
membri cospicui dell’illustre clero napoletano si sono
inchinati e s’inchinano riverenti, onorando in voi il maestro
ideale, sia per la profonda coltura, che per il metodo d’insegnamento, per cui con
parola facile e limpidissima piacevole ai giovani d’ingegno e accessibile nello stesso
tempo anche alle tarde intelligenze , sapete spiegare gli alti e profondi misteri della
fede. Come più conosciuta e più amata sarebbe la Chiesa, se molti fossero i maestri
sullo stampo di Vostra Eccellenza! Grande n’è il bisogno specie oggi che la coltura
profana, progredendo di pari passo con la ignoranza religiosa, tenta continuamente
d’infrangere le grandi armonie fra la scienza e la fede, e determina quei contrasti, che,
sebbene impossibili teoricamente, sorgono così spesso in pratica fra una scienza mal
digerita ed una scienza ignorata o mal intesa. E però in quest’ora solenne e dinanzi a
voi, Eccellenza, m’è assai grato di manifestare l’augurio fervido, che sorgono
numerosi i maestri, i quali con profonda conoscenza della dottrina cattolica, con
parola limpida, vivificata dallo spirito buono e con l’intelletto saturo di scienza seria
e soda, ridicano alle nuove generazioni la parola della fede. E se così avverrà, allora
soltanto noi cattolici potremo sperare di riprendere completamente quel primato
intellettuale, che prima del secolo XVI ci apparteneva senza contrasto, e la cui mercé
potemmo mantenere l’unità della fede nel pensiero attraverso quel portentoso Medio
Evo, che, fra tanti capolavori, ci dette Somma di San Tommaso d’Aquino e il poema
dell’Alighieri, i quali basterebbero essi soli a glorificare il Medio Evo e l’Italia. Ma
se voi, Eccellenza, non cessando giammai di seguire tutto il movimento scientifico,
specie per ciò che riguarda la Bibbia e la Teologia, vi siete levato così alto nella
conoscenza delle cose divine; d’altra parte avete sentito come non meno nobile, né
meno fruttuoso sia quel catechismo cattolico, che è il tentativo più ardito e santo fatto
nelle età antiche e moderne di un insegnamento nobile e condensato. E però avete
voluto e curato che l’istruzione religiosa s’impartisse in tutta la diocesi di Caserta con
vari incoraggiamenti di premi agli alunni delle scuole catechistiche; vi siete adoperato
sia perché sodalizi di signore si costituissero per promuovere viepiù la cristiana
educazione delle giovanette, sia perché nelle case fondate da Vostra Eccellenza in
Caserta, in Maddaloni e Cervino le suore del Sacro Cuore e le Immacolatine
esercitassero nel modo migliore la loro operosità efficacemente educatrice. Non
contento di tutto ciò, avete voluto voi medesimo, per il
corso di tanti anni, impartire lezioni di catechismo alle
alunne delle scuole normali: opere tutte, che, insieme con
le conferenze per gli uomini e con l’impulso efficacissimo
dato al culto dell’Eucarestia, dinanzi alla quale s’impara
talvolta più che in lunghe ore di studio, costituiscono una
scuola bene ordinata per la progressiva educazione dei
cuori e delle coscienze e per la conoscenza sempre più larga e profonda del Vangelo,
che ha in sé un insegnamento così popolare e sublime da nutrire ed educare in pari
tempo l’umile intelletto di una femminetta e di un bambinello e la mente acuta e
nobilissima di Sant’Agostino, di un San Tommaso, di un Galileo, di un Vico,. Ma,
egregi Signori, chi, come il novello nostro Pastore, ha studiato profondamente la
scienza delle cose divine e quindi è entrato nella conoscenza più viva della grandezza
dei benfizii di Dio, non poteva non sentire tanto più imperioso il bisogno d’innalzare
a Dio la mente e il cuor, di benedirlo e di ringraziarlo, elevandogli templi, eternando
sui marmi i sensi della propria ammirazione, ed apprestando nello stesso tempo ai
fedeli i mezzi per poter esplicare nel miglior modo quel culto eterno, che è così
naturale e necessario alla nostra natura, e che, mentre è manifestazione di fede e di
pietà, ne costituisce insieme l’alimento. E qui come mi torna grato ricordare quelle
soavi impressioni dell’animo mio, quando, anche nella vita laicale, di passaggio per
la città di Caserta, io assistevo spesso alle sacre funzioni, che Vostra Eccellenza
rendeva più solenni con quel sentimento di fede viva e fervorosa pietà, che traspariva
dal volto. Ma particolarmente mi torna grato e vivissimo il ricordo di quel sermone
vibrante di spirituale entusiasmo, che, voi, Eccellenza, pronunziaste nella cattedrale
di Caserta, quando con l’incoronazione dell’Addolorata vedeste effettuato quello che
per tanti anni era stato il sospiro ardente dell’anima vostra, e quell’incoronazione che
voi voleste considerare come trionfo di fede al cospetto dell’incredulità, come trionfo
di devozione dinanzi al dominante indifferentismo, come trionfo di sentimento
cristiano contro il materialismo pratico, che pervade tutti gli ordini sociali. Ma a che
dilungarmi su ciò che abbiano potuto gli slanci di una pietà fervorosa e di uno zelo
ardente per il decoro della casa di Dio?La cappella sorta nel seminario di Caserta,
l’adornamento della cattedrale, la chiese intitolata a San Gennaro, il tempio che si va
edificando a Maddaloni in onore di sant’Alfonso, la benemerita istituzione del lavoro
per le chiese povere: tutte queste e altrattali opere, sorte per Vostra Eccellenza, hanno
forse bisogno d’illustrazione, non parlano forse da sé con l’eloquenza della realtà,
dimostrando anch’esse come in Vostra Eccellenza alla profonda coltura si sia
disposata in ogni tempo una grande pietà? E però, a buon diritto, i Capuani, consci
del passato, e dal passato traendo i più lieti auspici per l’avvenire, salutano
entusiasticamente nell’Eccellenza Vostra il fedele
dispensatore dei doni divini, sia nel campo della scienza che
in quello della pietà. Fra gli inestimabili benefizi di Dio c’è
pure questo che Egli ha creato per noi il diletto della musica,
la quale non solo serve a ricreare onestamente i nostri animi,
ma anche a nobilitarli ed a elevarli alla infinita Cagione di
tutte le cagioni. Ebbene Monsignore Gennaro Cosenza, nella sua anima misticamente
artistica, non poteva non avvertire l’importanza ed il fascino della preghiera
accompagnata dalla musica, per cui noi diventiamo sulla terra gli emuli dei
comprensori celesti. Certo la preghiera fervente è l’alito dell’anima, è la chiave che
apre i tesori della misericordia celeste; ma la musica, che meglio ci parla della
misericordia di Dio e dei suoi attributi, e che ha misteriose ma pur verissime e
profonde attinenze con i pensieri e con gli affetti dell’animo nostro, vivifica, solleva e
corrobora la nostra prece, ond’è che quando più ci eleviamo a Dio col suono e col
canto,tanto più copiosa e benefica discende la pioggia vivificatrice, tanto più larghi e
fecondi si diffondono per l’universo i rivi della vita divina, che rallegrano la terra di
salute, di conforto, di tranquillità, di vittoria. E però monsignor Cosenza pensò, e
premurosamente attuò anche questo pensiero, che, cioè, delicate armonie musicali
accompagnassero nella cattedrale di Caserta la grandezza delle funzioni e
accrescessero la maestà delle cerimonie religiose (I). Arcano è il linguaggio dei
suoni, non mai smentito presso di noi, che, fra tanto sorriso di cielo e di terra, siano
sempre rimasti i grandi signori della musica. Ebbene lo compia ancora oggi la musica
il suo altissimo ufficio. Col potente suo linguaggio dica essa a Vostra Eccellenza ciò
che la mia debole parola non ha saputo dire, ed insieme col cantico entusiastico
dell’animo mio echeggi ancora una volta nelle note melodiose dei suoni l’esultanza
del popolo di Capua e di tutta l’Archidiocesi, esultanza, che auguro feconda di fiori e
frutti sani, in modo che tutti, e clero e popolo, e vecchi e giovani, e madri e suore, e
operai della penna e operai delle officine e dei campi, compiano la loro missione,
rispondendo agli alti valori manifestati da Vostra Eccellenza nella lettera pastorale. E
meglio che non sappia io dire, esprima altresì la musica un voto vivo e fervidissimo,
che ci sia dato, cioè di solennizzare, non a lungo andare, un altro fausto evento, per
cui alla violacea tunica si sostituisca la fiammante porpora: voto, che nei cuori di
(I) Per opera di S.E.Mons. Cosenza un grandioso organo adorna oggi la Cattedrale di
Caserta
quanti, ammirando in Vostra Eccellenza il fedele dispensatore dei doni di Dio e
l’erede benemerito della mistica dolcezza del cardinale Cosenza e della nobilissima
energia del cardinale Apuzzo, riconoscendo nell’Eccellenza Vostra una gloria
dell’Episcopato ed uno dei più felici rappresentanti della Campania felice, di questa
terra più feconda, che per la grandezza del suo sentimento religioso, vide elevarsi
sublime e maestosa la millenaria Badia di Montecassino; e per la possente energia
sprigiona dosi dal suo seno vide spingersi in alto le infocate e fumanti vette del
Vesuvio.
Ricerca Prof. Francesco Parente – Turillo Parente
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