POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria Civile e Ambientale
Corso di Laurea in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio
Cooperazione Internazionale per l’Accesso all’Energia
Sviluppo di un Modello di Valutazione per Progetti in Ambito Rurale
Relatore: Prof.ssa Emanuela COLOMBO
Co-relatore: Ing Andrea CASALEGNO
Ing. Irene BENGO
Tesi di Laurea di:
Tomaso AMATI
Matr. 722020
Anno Accademico 2010 – 2011
“Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del
giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per
considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco
chiara.[…]
i
Sommario
Estratto…………………………………………………...………………………….iii
Lista degli acromimi……………………………………………………….………..iv
1. Energia e Sviluppo……………………………………………………………….1
1.1 Introduzione…..…………………………………………………………………………...1
1.2 La questione energetica……...…………………………………………………………….3
1.3 Relazione tra energia e sviluppo..……..………………………………………..…………5
1.4 L’accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo..……………………………………...11
1.4.1 La situazione rurale……………………………………………………………..14
1.5 I possibili impatti dell’energizzazione…..……………………………………………….16
2. La Cooperazione come Strumento per lo Sviluppo…..………………………19
2.1 Introduzione..…………………………………………………………………………….19
2.2 L’evoluzione della cooperazione……..………………………………………………….21
2.3 Globalizzazione e Interdipendenza…..…………………………………………………..28
2.3.1 Lo sviluppo umano e sostenibile………………………………………………..28
2.3.2 Il paradigma della Governance....……………………………………………….30
2.3.3 Gli Obiettivi del Millennio……………………………………………………...31
2.4 Gli attori della cooperazione……………..………………………………………………34
2.4.1 Donatori bilaterali…………….……………………………………………...….34
2.4.2 Donatori multilaterali…………………………………………...………………34
2.4.3 Attori non-governativi: la società civile e il settore privato…………………….36
2.5 I flussi e le modalità degli aiuti………………...………………………………………...37
2.6 La cooperazione nel settore energetico………...………………………………………...43
3. Pianificazione della Progettualità....…………………………………………..47
3.1 Introduzione………..…………………………………………………………………….47
3.2 L’efficacia dell’aiuto……...…………………………………………………………...…48
3.3 Il focus sui risultati……...………………………………………………………………..53
3.3.1 Result Based Management e Managing for Developing Results………………53
3.4 La gestione del progetto……………………………………...………………………......57
3.4.1 Il Project Cycle Management…………………………………………………...59
3.5 La valutazione del progetto………………………...…………………………………….65
4. Metodologia di Ricerca…...………………………...………………………….71
4.1 Obiettivi del lavoro……..………………………………….…………………………….71
4.2 Descrizione della metodologia...…………………………………………………………73
4.3 Definizione dell’approccio…...…………………………………………………………..75
ii
4.3.1 La catena dei risultati…………………………………………………………...75
4.3.2 Le dimensioni della valutazione………………………………………………..78
4.3.3 Gli indicatori energetici in letteratura…………………………………………..82
4.3.4 La definizione dei bisogni………………………………………………………89
5. Sviluppo del Modello di Valutazione…...……………………………………..96
5.1 Il caso cooking……..…………………………………………………………………….98
5.1.1 Lo schema di progetto…………………………………………………………..98
5.1.2 Definizione degli indicatori di progetto....…..…..…………………………….100
5.1.3 Definizione delle dimensioni……....…………………………...……………..104
5.2 Il caso light & appliances...……………………………………………………………..109
5.2.1 Lo schema di progetto…...………….…………………………………………109
5.2.2 Definizione degli indicatori di progetto.……………………………………....114
5.2.3 Definizione delle dimensioni…….………………………………………...….119
6. Analisi Critica e Conclusioni…...….…………………………………………123
Bibliografia…………..…………………………………………………………….125
Ringraziamenti……………………………………………………….……………128
iii
Estratto
Da sempre il legame tra energia e sviluppo ha caratterizzato la storia dell’umanità. Oggigiorno la
questione energetica è considerata un tema fondamentale tanto al Nord quanto al Sud del mondo,
caratterizzata sia dalla complessità degli aspetti tecnici, che dalla multidisciplinarietà delle
tematiche e dall’interdipendenza con lo sviluppo economico, umano e ambientale.
Ad oggi 1,4 miliardi di persone non ha accesso all’energia elettrica, un ulteriore miliardo non
dispone di reti elettriche affidabili e 2,7 miliardi di persone si affidano alle biomasse tradizionali
per la cottura dei cibi e l’illuminazione.
Di queste circa il 99% vive nei Paesi in Via di Sviluppo, e, in particolare, più del 80% in zone
rurali.
Tali mancanze sono causa e acuiscono il “developement divide” che impedisce di rompere il ciclo
della povertà. La fornitura di servizi energetici adeguati risulta quindi la chiave per uno sviluppo
sostenibile.
I progetti di cooperazione internazionale possono rappresentare una soluzione al problema. Lo
scopo della cooperazione internazionale è infatti quello di favorire lo sviluppo duraturo di un paese
e la fuoriuscita della popolazione dalle condizioni di povertà. Le politiche della cooperazione si
sono evolute nel tempo e sono oggi sintetizzate dai Millenium Development Goals. Sebbene
l’accesso universale all’energia non sia direttamente menzionato come obiettivo, è riconosciuto
essere leva fondamentale per il raggiungimento degli stessi.
Al fine di migliorare l’efficacia degli aiuti, nasce l’Aid Effectiveness Movement che porta alla
stesura della Dichiarazione di Parigi del 2005. Uno dei principi sanciti è di focalizzare gli
interventi sui risultati, evidenziando il bisogno di migliorare la misura e i sistemi di valutazione
degli stessi.
Tali premesse costituiscono le condizioni che portano in questo lavoro di tesi alla definizione di un
approccio di valutazione dei progetti di cooperazione, sviluppato in particolar modo per gli
interventi di energizzazione in ambito rurale.
Il modello di valutazione proposto si basa sulla schematizzazione degli elementi del progetto
secondo la “catena dei risultati”, ridefinita in base alle caratteristiche proprie dei progetti di
cooperazione. Dall’analisi di letteratura si sono delineate le buone pratiche della progettazione
unitamente ai criteri maggiormente condivisi della valutazione che hanno permesso la definizione
delle “dimensioni della valutazione”. Queste, esplicitate all’interno della catena dei risultati,
rappresentano le caratteristiche e i criteri sui quali deve basarsi la valutazione di un progetto per
farne emergere tutte le peculiarità.
Partendo dall’analisi dei bisogni energetici delle popolazioni rurali, si è sviluppato l’approccio per
le due tipologie principali di interventi: il miglioramento delle condizioni legate ai bisogni di
cucina, e i progetti di elettrificazione per soddisfare le esigenze di illuminazione e di alimentazione
dei dispositivi elettrici. La schematizzazione dei due casi ha quindi permesso di popolare le
dimensioni della valutazione di indicatori appropriati per una valutazione complessiva dei progetti.
iv
Lista degli acronomi
AAA Accra Agenda for Action
AfDB African Development Bank
ADB Asian Development Bank
APS Aiuti Per lo Sviluppo
CE Commissione Europea
CR&W Combustible Renewable & Waste
DAC Development Assisstance Commitee
EDI Energy Development Index
EISD Energy Indicators for Sustainable Development
GHG GreenHouse Gases
HDI Human Development Index
HLF High Level Forum
IEA International Energy Agency
IBRD International Bank for Recostruction & Development
ICTs Information & Communication Tecnologies
IDA International Development Association
IE Impact Evaluation
LCDs Least Developed Countries
LFA Logical Framework Approach
M&E Monitoring & Evaluation
MDGs Millenium Development Goals
MfDR Managing for Development Results
OECD Organization of Economic Co-operation and Development
ONG Organizzazioni Non Governative
ONU Organizzazione delle Nazioni Unite
OO Other Official Flows
PCM Project Cycle Management
PCS Politica di Cooperazione allo Sviluppo
PIL Prodotto Interno Lordo
v
PVS Paesi in Via di Sviluppo
QL Quadro Logico
RBM Result-Based Management
RNL Reddito Nazionale Lordo
TFC Total Final Comsumption
TPES Total Primary Energy Supply
UNDP United Nation Development Program
WB World Bank
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
1
1 Energia e Sviluppo
1.1 Introduzione
Energia e sviluppo oggi costituiscono un binomio inscindibile perché non è pensabile che ci
sia sviluppo in mancanza di energia.
Da sempre il legame tra energia e sviluppo ha caratterizzato la storia dell’umanità. La
disponibilità di energia ha permesso un’organizzazione del tempo più efficiente e in attività non
solo di sussistenza, ma anche di carattere più astratto ed intellettuale, che han portato all’evoluzione
del pensiero culturale, umanistico, scientifico e artistico.
Oggi l’accesso all’energia è diventato ancora più essenziale: senza energia diviene, infatti,
più complesso fornire e depurare le risorse idriche, conservare i farmaci e far funzionare gli
ospedali, migliorare la produzione agricola e supportare la filiera agroalimentare, incrementare le
opportunità di scolarizzazione e di educazione, accedere al mondo dell’informazione e della
comunicazione.
Nel settembre del 2010 Ban Ki Moon, segretario generale delle Nazioni Unite (ONU),
dichiara l’obiettivo mondiale di accesso universale all’energia per il 2030 descrivendo l’importanza
dell’accesso all’energia per la riduzione della povertà e il ruolo dei servizi energetici nell’assicurare
il raggiungimento dei Millennium Development Goals (MDGs) (Paragrafo 2.3.3):
“Universal energy access is a key priority on the global development agenda. It is a
foundation for all the MDGs. … Without energy services, the poor are cut off from basic amenities.
They are forced to live and work in unhealthy, polluted conditions. Furthermore, energy poverty
directly affects the viability of forests, soils and rangelands. In short, it is an obstacle to the
MDGs.”
Ad oggi, nonostante le dichiarazioni e gli impegni, i numeri evidenziano una situazione
drammatica: 1,4 miliardi di persone non ha accesso all’energia elettrica, un ulteriore miliardo non
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
2
dispone di reti elettriche affidabili e 2,7 miliardi di persone si affidano alle biomasse tradizionali per
la cottura dei cibi e l’illuminazione [1].
Tali mancanze sono causa ed acuiscono il “development divide” che impedisce di rompere il
ciclo della povertà. Fonti di energia adeguate e convenienti sono state la chiave per lo sviluppo
economico e la transizione dalle economie basate sull’agricoltura di sussistenza alle moderne
società industriali. L’energia occupa il ruolo fondamentale non solo per la generazione di benessere
industriale e commerciale, ma è indispensabile per il benessere sociale ed economico: è la chiave di
volta per alleviare la povertà, migliorare lo stato del benessere ed elevare gli standard di vita.
Sebbene l’energia sia considerata un bene essenziale, non bisogna dimenticare che essa rappresenta
solo un mezzo con cui raggiungere un fine, e il fine è rappresentato da buona salute, alti standard di
vita, economia sostenibile e ambiente pulito, come è mostrato in Figura 1.1 che evidenzia la
relazione sussistente tra accesso all’energia e sviluppo umano.
Sviluppo delle capacità umane
Qualità di vita
Aspettativa di vita
Capacity building e fomento della creatività
Participazione sociale, politica, economica
Sviluppo
economico
Accesso a
servizi
energetici
migliori
Aumento
della
produzione
Risorse per
migliorare i servizi
energetici
Risorse per l’educazione,
la sanità, la
comunicazione, il lavoro
Conoscenze,
creatività
Fonte: adattamento da World Energy Assessment, 2002. [47]
Figura 1.1: Relazione tra accesso all’energia e sviluppo umano.
La questione energetica oggi è divenuta tema fondamentale tanto al Nord quanto al Sud del
mondo. Seppure con toni differenti, è caratterizzata dalla complessità degli aspetti tecnici da
affrontare, dalla multidisciplinarietà delle conoscenze necessarie per gestirli e dall’ interdipendenza
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
3
del tema energia con lo sviluppo economico ed umano, con la tutela ambientale e la gestione delle
risorse e dei servizi per lo sviluppo [2].
Nei paesi sviluppati, dove un alto livello di accesso è oramai garantito, le principali sfide
rivestono aspetti qualitativi: miglioramenti tecnologici, di economie e di politiche per salvaguardare
le risorse, per tendere verso sistemi autosufficienti e alleviare la pressioni geo-politiche, per
produrre sempre minori impatti ambientali e contrastare il Climate Change. Nei Paesi in via di
sviluppo (PVS) in primo piano è ancora il tema dell’accesso a fonti e sistemi energetici moderni.
Bisogna sottolineare come la grande sfida che emerge in questi contesti potrebbe, e
dovrebbe, essere affrontata facendo tesoro delle lezioni imparate nei decenni passati nel Nord del
mondo. Infatti, grazie alle tecnologie avanzate e alla sensibilità agli effetti dei sistemi energetici, un
paese in via di sviluppo oggi può affrontare la transizione tecnologica ed economica con costi molto
inferiori e con danni ambientali ridotti rispetto a quelli che, in passato, han dovuto sopportare
durante il loro sviluppo i paesi oggi sviluppati.
L’accesso all’energia è essenziale per la crescita economica e per la riduzione della povertà.
Nessun paese al mondo ha potuto sviluppare la sua economia senza un apporto abbondante di
energia. Allargare l’accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo significa aumentare il tasso di
elettrificazione, installando dei sistemi da collegare alle reti elettriche esistenti oppure dei sistemi
off-grid per soddisfare la richiesta di una comunità remota, favorire l’utilizzo dei combustibili
moderni, per liberare donne e bambini dal fardello di dover procacciare la legna per cucinare, etc.
La prospettiva delle persone che vivono in condizioni di povertà energetica può essere ben
sintetizzata dalla testimonianza di Rosa, una donna Keniana, riportata dal Poor People’s Energy
Outlook 2010 [3]:
“For me getting energy for cooking and lighting is a daily worry. It’s so hard to find
firewood that I cook for my family only once a day, in the evening. The fire provides the light for
cooking and eating a meal with my children. After eating is bedtime.”
1.2 La questione energetica
Rendere la fornitura di energia sicura e limitare il contributo dei consumi di energia al
cambiamento climatico sono le due principali sfide che il settore energetico sente di dover
affrontare sulla via dello sviluppo sostenibile. In realtà esiste un ulteriore prova di proporzioni
eguali se non maggiori che la comunità internazionale è tenuta a fronteggiare: garantire l’acceso
universale all’energia. È infatti allarmante che oggigiorno miliardi di persone non abbiano accesso
ai più basici servizi energetici come l’elettricità e impianti moderni e puliti per la cucina.
All’alba del Terzo Millennio la realtà mondiale è ancora spaccata in due, il Nord ed il Sud
del mondo si trovano a coesistere divise da radicali disparità non solo economiche ma anche
tecnologiche e di sviluppo che si traducono in mancanza di opportunità per i paesi in via di
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
4
sviluppo. Un esempio di grande impatto delle disparità energetiche è fornito da Figura 1.2, dove
sono riportati i consumi di elettricità a scopo residenziale per New York e l’Africa Sub-Sahariana.
Fonte: Energy Poverty How to make energy access universal?, 2010 [9]
Figura 1.2: Consumo residenziale di elettricità a New York e in Africa Sub-Sahariana
Per i paesi ad alto reddito è ormai opinione condivisa che l’attuale economia dell’energia
basata sulle fonti fossili non sia sostenibile nel lungo termine per gli impatti ambientali, il
depauperamento delle risorse e la sicurezza degli approvigionamenti, lasciando auspicare un futuro
energetico sostanzialmente differente.
Nei paesi a medio reddito, tra cui si collocano i grandi emergenti come Cina e India,
crescono rapidamente l’economia e i fabbisogni, generalmente soddisfatti con fonti e tecnologie
non sempre allo stato dell’arte per quanto riguarda la sicurezza e il controllo delle emissioni. Questi
paesi, in ragione delle ripercussioni ambientali a livello globale di una crescita incontrollata e non
guidata dal principio della sostenibilità, sono chiamati alla responsabilità (sancita anche
dall’accordo di Copenhagen) di coniugare le esigenze dello sviluppo economico nelle tre
dimensioni della sostenibilità stessa.
Infine, i paesi a basso reddito si trovano a dover fronteggiare il tema dell’accesso all’energia
per ampie fasce della loro popolazione. Lo scenario di previsioni non sembra stravolgere il peso
delle economie di questi ultimi, ma fa notare come nel tempo e in accordo con i rispettivi sviluppi,
la loro quota di consumo è destinata a crescere e, dunque, le tecnologie, le strategie e le politiche
energetiche da adottare in questi contesti avranno un impatto sempre più rilevante a livello globale.
Il conteso energetico è, quindi, molteplice e diversificato in base alle condizioni locali e ai
punti di vista con cui lo si vuole affrontare: tecnologico, sociale, economico, ambientale…
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
5
investendo ampie aree e discipline del sapere tutte tra loro legate e dipendenti che caratterizzano
l’approccio di studio multidisciplinare della tema energia.
Di seguito si cercherà di definire il contesto globale, concentrandosi su la mancanza di
accesso a fonti e servizi energetici moderni nel Sud del mondo, evidenziando il ruolo che l’energia
riveste in tali contesti e le conseguenze derivanti a livello sociale, economico ed ambientale.
1.3 Relazione tra energia e sviluppo
Lo sviluppo della società umana è stato caratterizzato durante tutta la sua storia dal ruolo
delle risorse di energia. La crescita dell’accesso all’energia durante la rivoluzione industriale è stata
la forza motrice per la costruzione dell’odierno sistema sociale: la disponibilità di fonti energetiche
unitamente agli sviluppi tecnologici (l’invenzione della macchina a vapore per esempio) ha portato
a una drastica crescita della popolazione e dei consumi.
Oggi l’accesso alle forme moderne di energia è essenziale per la fornitura di acqua pulita,
servizi e cure mediche e porta a grandi benefici per lo sviluppo grazie alla somministrazione
affidabile ed efficiente di luce, calore, combustibili e attrezzature per cucinare, servizi di
telecomunicazione…
Da molto tempo la comunità internazionale è a conoscenza della stretta relazione tra livello
di ricchezza e uso di energia. Tabella 1.1 fotografa sinteticamente con gli ultimi dati disponibili la
situazione mondiale. La relazione tra livello di benessere e uso di energia si può iniziare a delineare
osservando le ultime tre colonne della tabella. L’indicatore riportato per stimare il livello di
ricchezza è il PIL pro capite a parità di potere d’acquisto, mentre l’indicatore più usato in seno la
comunità internazionale per la fornitura di energia è il Total Primary Energy Supply (TPES) che
rappresenta l’energia primaria totale fornita calcolata in tonnellate di petrolio equivalente (tep, toe
con dicitura anglosassone). L’energia primaria si riferisce alle fonti di energia come si trovano allo
stato naturale. L’uso totale globale delle varie fonti di energia comprende carbone, petrolio, gas,
nucleare, idroelettrica, geotermica, solare, eolica, biomassa e rifiuti. La TPES è uguale alla
produzione più le importazioni meno le esportazioni meno i bunkeraggi marittimi internazionali e
più o meno le variazioni delle scorte e rappresenta l’ utilizzo totale di energia del paese in un anno.
Nell’ultima colonna è riportato l’Indice di Sviluppo Umano (Human Development Index, HDI),
indicatore sviluppato principalmente dall’UNDP a partire dagli anni ottanta per ampliare l'accezione
tradizionale di sviluppo incentrata solo sulla crescita economica (Paragrafo 2.3.1).
Le macro-regioni che presentano valori di PIL pro capite e TPES pro capite inferiori alla
media mondiale sono L’Africa, l’Asia, e l’America Latina. Infatti è esattamente in queste regioni
che si trovano principalmente i paesi definiti in vai di sviluppo. In particolar modo nell’Africa Sub-
Sahariana si trovano 31 dei 55 paesi definiti dall’UNDP come Least Developed Countries (LDCs).
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
6
Tabella 1.1: Relazione tra sviluppo e energia per macro-regioni
Macro-regioni in accordo con
classificazione ONU statistic
division
Popolazione 2008
milioni
PILPPP pro capite 2008
$
TPES pro capite 2008
tep
HDI 2008
MONDO 6.740 9.060 1,82 0,62
AFRICA 976 (14,5%) 1.528 0,67 0,46
ASIA 4.077(60,5%) 4.117 1,23 0,62
EUROPA 735 (10,9%) 25.618 3,67 0,82
AMERICA LATINA & CARAIBI 577 (8,6%) 7.725 1,31 0,70
NORD AMERICA 338 (5,0%) 46.012 7,54 0,90
OCEANIA 26 (0,5%) 34.966 4,16 0,82 Fonte: elaborazione dati UN World Population prospect 2010. Revision; banca dati IEA, 2008; Human Development
Report UNDP 2010
Una delle principali classificazioni per catalogare i paesi in base al livello di sviluppo
economico si basa sulla valutazione del Reddito Nazionale Lordo (RNL, Gross National Income,
GNI). In base a tale classificazione, costantemente aggiornata dall’OECD-DAC, le nazioni si
possono distinguere in:
Paesi a basso reddito con RNL < 975$ (Low Income Economies)
Paesi a medio reddito a loro volta suddivisi in Lower Middle Income Economies
(975$ < RNL <3855$) e Upper Middle Income Economies (3855$ < RNL <11906$)
Paesi ad alto reddito con RNL >11906$ (High Income Economies)
Come si può notare in Tabella 1.2 e in Figura 1.3 la classificazione dei paesi in base ai
consumi energetici (TPES pro capite) porterebbe a risultati analoghi rispetto a quella basata su
indicatori economici. Ancora una volta si nota come i paesi meno ricchi abbiano livelli di consumi
di energia molto bassi. La relazione di causalità tra reddito e uso di energia è valida in entrambe le
direzioni (Figura 1.1): sebbene più alti livelli di reddito possono favorire l’uso di maggiori
quantitativi di energia, è anche vero che l’aumento dei consumi energetici possono aiutare lo
sviluppo economico e innalzare quindi i livelli di reddito [4].
Tabella 1.2: Relazione tra sviluppo ed energia in base al reddito
Paesi classificicati sul reddito in accordo con OECD-DAC
Soglia di reddito RNL pro capite
$
Popolazione 2008
milioni
RNL pro capite 2008
WB atlas method
$
TPES pro capite 2008
tep
HDI 2008
BASSO REDDITO <975 976 (14,6%) 523 0,42 0,31
MEDIO REDDITO <11906 4.652 (69,5%) 3251 1,24 0,56
ALTO REDDITO >11906 1.069 (16,0%) 39669 5,32 0,8 Fonte: elaborazione dati UN World Population prospect 2010, Revision; banca dati IEA 2008; Human Development
Report UNDP 2010
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
7
Fonte: elaborazione banca dati World Bank, 2008
Figura 1.3: Distribuzione dei paesi in base al RNL e alla TPES pro capite
L’indicatore TPES fornisce un’idea generale della quantità totale di energia usata per “far
funzionare” un paese, ma non fornisce indicazioni sulla qualità dell’energia stessa. Si è visto come
lo sviluppo economico e umano dipenda fortemente dalla quantità di energia consumata. Anche la
qualità intrinsecamente diversa delle diverse fonti e forme di energia ha un ruolo preponderante per
lo sviluppo. In Figura 1.4 viene riportato, il confronto tra le diverse fonti energetiche che
compongono la TPES mondiale divisa per macro-regioni. Interessante è notare l’andamento di
combustible renewable & waste, (CR&W) che rappresenta la parte di TPES fornita da biomassa
liquida, solida e dai rifiuti.
A livello mondiale l’uso di CR&W si attesta attorno al 10% della TPES e i paesi dell’Asia,
Africa e Sud America contribuiscono per circa l’80% al totale. Considerando che più dell’80% della
popolazione mondiale vive in queste regioni, contando per circa il 55% della TPES mondiale, lo
sbilanciamento del consumo di biomassa evidenzia come i paesi a basso reddito dipendano da fonti
di energia tradizionali e locali.
Negli ultimi anni le politiche dei paesi più sviluppati stanno puntando verso un maggior uso
di CR&W come fonte “pulita” con tecnologie avanzate in un’ottica di sostenibilità e di diminuzione
della dipendenza dai combustibili fossili. Al contrario, nei paesi a basso reddito, il consumo di
CR&W evidenzia la natura di sussistenza delle economie e la mancanza di sistemi energetici
moderni nei paesi in via di sviluppo. Infatti il consumo di CR&W è una condizione necessaria e
contingente: la biomassa è disponibile a livello locale, è generalmente economica in quanto
composta principalmente da legna, rifiuti agricoli e animali (ma richiede tempo e risorse fisiche per
la raccolta), e direttamente utilizzabile per soddisfare i bisogni energetici basici (cucinare e
illuminare) con tecnologie di conversione semplici (ma non efficienti e altamente inquinanti).
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
8
Fonte: elaborazione banca dati IEA, 2008
Figura 1.4: Suddivisione della TPES per fonti
Ulteriori informazioni possono essere date dall’analisi del Total Final Consumption (TFC).
Il TFC rappresenta la parte di energia primaria che arriva al consumo finale, è quindi una
percentuale della TPES dalla quale vengono sottratte le perdite per conversione e trasformazione,
l’energia usata dagli impianti energetici e le perdite di sistema. In Figura 1.5 è riportato il TFC per
destinazioni d’uso e per macro-regioni. Considerando sempre l’Africa a titolo di esempio, si può
notare l’importanza del settore residenziale sia in termini percentuali (60% circa) che in confronto
con le altre macro-regioni. Tale dato supporta l’analisi precedentemente esposta sull’uso di CR&W:
i bassi consumi pro capite, l’elevata percentuale che la biomassa riveste tra le fonti energetiche, e
l’importanza del settore residenziale tra gli altri, portano a concludere che in contesti poveri, come
la maggior parte dei paesi del continente africano, la poca energia a disposizione è consumata per
soddisfare bisogni basici legati agli ambiti domestici (luce e cucina) attraverso fonti povere e
facilmente disponibili direttamente usate con tecnologie anch’esse povere.
Confrontando i valori di TFC pro capite riportati in Figura 1.5 con i valori di TPES pro
capite di Tabella 1.1, si può osservare come il rapporto tra le due grandezze sia estremamente
elevato per l’Africa (74%). Ciò da un’indicazione, non dell’efficienza del sistema energetico
africano, che converte l’energia primaria in modo migliore e subisce meno perdite rispetto ad altre
realtà, ma, al contrario, ne evidenzia l’inesistenza. La gran parte dell’energia primaria, non viene
convertita in forme più sicure e pulite (produzione di elettricità, raffinazione dei combustibili), ma è
direttamente usata dall’utente finale.
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
Mondo Nord America Europa America Latina Asia Africa
carbone & torba petrolio gas naturale nucleare idroelettrico rinnovabili CR&W
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
9
Fonte: elaborazione banca dati IEA, 2008
Figura 1.5: Suddivisione del TFC per settore e valore pro capite in tep
Fin ora si è osservata la relazione tra energia e sviluppo principalmente su basi economiche.
Per ampliare il concetto di sviluppo, prendendo in considerazione altri aspetti oltre a quello
economico, i valori di HDI sono stati riportati sia in Tabella 1.1 che in Tabella 1.2 dove si può
notare come anche questi ultimi si allineino con i dati di uso di energia. Per evidenziare tale
relazione, in Figura 1.6 si mostra un grafico con l’HDI in ordinata e il consumo di energia elettrica
in ascissa.
Fonte: elaborazione banca dati IEA, 2008; Human Development Report UNDP 2010
Figura 1.6: Relazione tra HDI e consumo di elettricità pro capite
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
Mondo Nord America Europa AmericaLatina
Asia Africa
industria trasporti residenzialel servizi pubblici & commercio usi non energetici altro
1,25 5,15 0,49 0,76 0,57 1,73
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
1
0 5000 10000 15000 20000
HD
I
Consumo di elettricità pro capite (kWh)
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
10
Il consumo di elettricità pro capite è un indicatore che dà indicazioni più precise rispetto la
TPES rispetto l’effettiva quantità consumata e rispetto anche la qualità dell’energia consumata,
essendo l’elettricità le forma più “moderna” il cui consumo implica l’esistenza di un sistema
energetico sviluppato.
Una correlazione ancora più precisa si può osservare tra HDI e indice di sviluppo energetico
(Energy Development Index, EDI) che al suo interno considera anche l’accesso all’energia (Figura
1.7).
Infatti l’EDI è stato sviluppato dall’IEA per comprendere meglio il ruolo dell’energia nello
sviluppo umano. È calcolato dalla composizione di quattro indicatori, ognuno dei quali cattura un
aspetto specifico della potenziale povertà energetica:
Il consumo di energia pro capite: che rispecchia la situazione generale di sviluppo
economico di un paese.
Il consumo di energia elettrica pro capite nel settore residenziale: che serve come
indicatore dell’affidabilità dei servizi energetici e della capacità del consumatore a
pagare.
La parte di combustibili moderni usati nel settore residenziale, come misura del
livello di accesso a impianti puliti per la cucina.
La percentuale di popolazione con accesso all’elettricità.
Fonte: elaborazione banca dati IEA, 2010; Human Development Report UNDP 2010
Figura 1.7: Relazione tra HDI e EDI
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0,7
0,8
0,9
0 0,2 0,4 0,6 0,8 1
Hu
man
De
velo
pm
en
t In
de
x
Energy Development Index
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
11
1.4 L’accesso all’energia nei paesi a basso reddito
L’accesso all’energia non è ancora un’opportunità per tutti e sebbene i tassi di accesso
varino anche nei paesi più sviluppati, è nei paesi in via di sviluppo che la situazione è drammatica e
dove i più poveri devono sopportare questo enorme svantaggio.
In generale, per calcolare e studiare la situazione di accesso all’energia dei paesi si fa
riferimento principalmente a due grandezze: l’accesso all’elettricità e a combustibili moderni per
cucinare (Tabella 1.3). La popolazione stimata senza accesso all’elettricità supera i 1,4 miliardi di
persone, più del 20% della popolazione mondiale, mentre 2,7 miliardi sono le persone che
dipendono ancora dalla biomassa tradizionale, circa il 40% della popoalzione globale [1].
In entrambi i casi più del 99,8% delle persone private dell’accesso risiedono nei PVS,
principalmente nei paesi dell’Africa Sub-Sahariana, e in Asia. Nell’Africa Sub-Sahariana il numero
di persone senza accesso all’elettricità e ai combustibili moderni è simile, mentre nelle regioni
asiatiche sono molte le persone con accesso all’elettricità ma che ancora dipendono da combustibili
tradizionali.
Tabella 1.3: Numero di persone senza accesso all’elettricità e dipendenti dalla biomassa
tradizionale
Numero di persone senza accesso all'elettricità
2009 (milioni)
Numero di persone dipendenti da usi tradizionali della biomassa per cucinare
2009 (milioni)
Africa 587 657
Africa Sub-Sahariana 585 653
Asia 799 1937
Cina 8 423
India 404 855
altra Asia 387 659
America Latina 31 85
PVS 1438 2679
Mondo 1441 2679 Fonte: adattamento da World Energy Outlook 2010 [1]
In Figura 1.8 viene riproposta la relazione tra ricchezza ed energia vista nel capitolo
precedente, evidenziando, in questo caso, il tasso di accesso della popolazione all’elettricità (a) e ai
combustibili moderni (b) rispetto al tasso di persone con un reddito inferiore a 2 $ al giorno nei
paesi in via di sviluppo.
In figura 1.9 vengono presentate due mappe in cui i PVS sono classificati in base al tasso di
persone senza accesso all’elettricità (a) e ai combustibili moderni (b).
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
12
Nota: la dimensione delle bolle è proporzionale alla popolazione
Fonte: Energy Poverty How to make energy access universal?, 2010 [9]
Figura 1.8: Relazione tra reddito e (a) accesso all’elettricità, (b) accesso a combustibili
moderni nei paesi in via di sviluppo
(a)
(b)
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
13
Fonte: The Energy Access Situation in Developing Countries, 2009 [6]
Figura 1.9: Mappa con tasso di persone senza accesso (a) al elettricità; (b) ai combustibili
moderni nei paesi in via di sviluppo
La mancanza di accesso energetico non è sempre legata alla mancanza effettiva di fonti
energetiche. Nella maggior parte dei casi i paesi del Sud del mondo, sebbene ricchi di materie
prime, non riescono a sfruttarle per trarre reale profitto e tradurre tale ricchezza in crescita
energetica.
I motivi per cui non si riesce ad effettuare questo salto sono vari: politici, culturali ed
economici. Solo recentemente le istituzioni governative locali e le organizzazioni internazionali
hanno iniziato ad avvertire e a riconoscere il problema e ad indirizzare i loro aiuti allo sviluppo.
(b)
(a)
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
14
Inoltre i paesi del Terzo Mondo non dispongono delle capacità tecnologiche per affrontare il
problema e le loro disponibilità finanziarie sono troppo scarse nel caso in cui non sia in atto una
politica di incentivazione.
I dati di accesso prima presentati risultano certamente utili per inquadrare il tema e dare
un’idea indicativa della magnitudo del problema, non bisogna però dimenticare che i contesti e le
situazioni sono anche diversificate e dipendenti dagli ambiti locali.
All’interno del problema stesso di accesso possono distinguersi tre macro situazioni che
rispondono a caratteristiche e prospettive diverse: il livello nazionale, la condizione delle periferie o
nei quartieri informali (informal suburbs) dei grandi agglomerati urbani dei PVS, e le zone rurali
remote.
Per quanto riguarda il livello nazionale le principali necessità sono quelle di attivare
politiche di lungo periodo, che, unitamente ad alti investimenti, possano generare la creazione di
sistemi energetici moderni, basati, a seconda dei contesti, su grandi infrastrutture come su piccoli e
medi progetti mirati ed integrati. Anche dove presenti le reti elettriche nei PVS non sono affidabili:
la media di black-out nell’erogazione di energia nell’Africa Sub-Sahariana è maggiore a 50 giorni
all’anno, e di 20 giorni l’anno in America Latina, con conseguenti danni possibili per il sistema
economico e produttivo locale.
Nelle periferie informali esiste un problema di insufficiente accesso all’energia, legato ad
altre questioni che da sempre affliggono tali tipi di quartieri nati e costruiti senza controlli. In tali
situazioni spesso le reti elettriche cittadine non arrivano e si riscontrano allacciamenti illegali ed
insicuri. Infatti, la quasi totalità di coloro che non hanno accesso a reti affidabili, un miliardo di
persone a livello globale, vive nelle periferie urbane.
Ma è certamente nelle zone rurali dove i tassi di accesso all’energia raggiungono i valori
minimi e le conseguenze di tale mancanza sono vissute più intensamente. Le zone rurali possono
permettere, per le loro caratteristiche, un ampio range di soluzioni semplici ed innovative grazie alla
costruzione di mini e micro reti elettriche con lo sviluppo di tecnologie rinnovabili e moderne. Se le
aree rurali sono le più afflitte dalla mancanza di energia, sono anche quelle che presentano maggiori
potenzialità d’intervento con costi limitati e maggiori impatti nel medio periodo.
1.4.1 La situazione rurale
La quota di popolazione che vive in zone rurali al 2010 risulta essere attorno al 49%. La
percentuale aumenta prendendo in considerazione solo i PVS (54%), mentre considerando i soli
LDCs si arriva al 70%.
Circa l’85% delle persone senza accesso all’elettricità vive nelle zone rurali dei PVS dove
la connessione alla rete elettrica nazionale risulta difficoltosa [1]. In tabella 1.4 si riportano i tassi di
elettrificazione per macro-regioni, e si possono notare le sostanziali differenze tra le popolazioni
urbane e rurali.
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
15
Tabella 1.4: Tassi di elettrificazione per macro-regioni divisi in zone urbane e rurali, 2009
Tasso di elettrificazione %
Tasso di elettrificazione urbana
%
Tasso di elettrificazione rurale
%
Africa 41.9 68,9 25.0
Africa Sub-Sahariana 30.5 59.9 14.3
Asia 78.1 93.9 68.8
Cina & Est Asia 90.8 96.4 86.5
Sud Asia 62.2 89.1 51.2
America Latina 93.4 98.8 74.0
PVS 73.0 90.7 60.2
Mondo 78.9 93.6 65.1
Fonte: elaborazione banca dati IEA, 2009
Le necessità dei 1229 milioni di persone che vivono nelle realtà rurali dei PVS senza
accesso all’elettricità stimolato e sensibilizzato la comunità internazionale che negli ultimi anni si è
sempre più interessata al problema e ha sviluppato apposite politiche.
Le politiche di elettrificazione rurale possono essere varie a seconda dei beneficiari
(famiglie, fattorie, villaggi), delle risorse disponibili, e dei bisogni individuati. Ovviamente anche le
scelte tecnologiche sono differenti e impostate secondo le condizioni locali. In generale si possono
distinguere tre tipologie d’interventi. L’estensione della rete, laddove le condizioni lo permettano
(distanza, costi, densità di domanda), può essere la scelta preferibile. Molto spesso, però, è difficile
il verificarsi contemporaneamente di tutte le condizioni in comunità rurali disperse. Grazie alle
nuove tecnologie, negli ultimi anni si stanno sempre più diffondendo interventi di creazione di mini
e micro reti locali e di sistemi stand-alone. In questi casi l’uso di energie rinnovabili viene spesso
preferito. Numerosi sono esempi di progetti di micro e mini centrali idroelettriche, digestori
anaerobici centralizzati, pannelli fotovoltaici stand-alone sviluppati nei contesti rurali. [7]
Una delle questioni più difficili che i progetti di elettrificazione devono affrontare è la
disponibilità a pagare dei beneficiari. Infatti spesso devono essere previste tariffe speciali e sussidi
per garantire l’accesso anche ai più poveri delle zone rurali. In India, per esempio, la rete nazionale
arriva a circa il 95% della popolazione, ma solo un 50-60% può permettersi di pagare la
connessione o le bollette elettriche [5].
Dei 2,7 miliardi di persone nei PVS che per cucinare dipendono da biomassa tradizionale
come legna, charcoal, residui agricoli e sterco animale, circa l’82% vive in zone rurali [1].
In Figura 1.10 si può notare la grande sproporzione tra il numero di persone dipendenti da
biomassa tradizionale nelle aree urbane e nelle zone rurali. Nelle città l’accesso a combustibili
moderni risulta considerevolmente maggiore rispetto le aree rurali; parziale eccezione è la regione
Sub-Sahariana dove anche nelle zone urbane l’accesso non supera il 60%.
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
16
Fonte: Energy Poverty How to make energy access universal? [9]
Figura 1.10: Numero e percentuale di popolazione per macro-regioni dipendente dalla
biomassa tradizionale per la cucina
Mentre circa il 70% della popolazione urbana dei PVS usa combustibili moderni come
principale fonte di cucina, solo il 19% della popolazione rurale ne ha accesso come fonte principale.
Nelle zone rurali degli LDCs e nell’Africa Sub-Sahariana le percentuali scendono ancora, 3% e 5%
rispettivamente. Inoltre le principali tecnologie di combustione impiegate tra coloro che usano
combustibili solidi, come la legna e il charcoal, nelle zone rurali sono il fuoco aperto (three stone
fire) e stufe non efficienti e prive di canna fumaria [6].
Le azioni che vengono intraprese per cambiare la realtà che le percentuali appena viste
hanno espresso sono principalmente due: il cambio di combustibile e la diffusione di stufe o cucine
moderne (improved stoves). Il passaggio da combustibili solidi di origine tradizionale a combustibili
moderni liquidi (GPL, kerosene) o gassosi (gas metano) comporta spesso anche la diffusione di
nuove apparecchiature di cucina che permettono una combustione più efficace e la dispersione dei
fumi tramite canna fumaria.
1.5 I possibili impatti dell’energizzazione
Aumentare l’accesso a servizi energetici moderni nei paesi in via di sviluppo, soprattutto
nelle zone rurali, può avere profondi e positivi impatti economici, sociali ed ambientali sulle
comunità locali (Figura 1.11).
Di grande importanza risultano essere gli impatti economici dell’accesso all’elettricità come
un processo di generazione di reddito. L’uso di elettricità dovrebbe sviluppare i processi produttivi;
la crescita del lavoro e del business a sua volta dovrebbe aumentare la domanda di elettricità
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
17
attivando una crescita virtuosa sia per i fornitori di energia che per le comunità beneficiarie.
Sebbene l’elettricità sia certamente un mezzo importante per lo sviluppo di attività produttive, altre
condizioni dovranno essere verificate e implementate da programmi paralleli [7].
Oltre agli impatti economici, considerevoli possono essere i benefici sociali. A livello
domestico l’elettricità è principalmente usata per l’illuminazione mediante lampadine e per l’uso di
ventole, televisori, computer e telefoni (quando disponibili). Le organizzazioni internazionali per
molto tempo hanno studiato i benefici sociali derivanti dall’accesso all’elettricità osservando che i
principali sono dovuti all’incremento delle ore di luce, all’accesso all’informazione e alla
comunicazione e a migliori cure mediche. Quando l’elettricità è usata per alimentare
elettrodomestici, i lavori diventano meno tediosi. Grazie alla migliore qualità e maggiore quantità di
luce, le ore di studio per i bambini possono prolungarsi portando a conseguenti benefici per
l’educazione [8].
SALUTE Riduzione dell’inquinamento indoor
causato da cucina e illuminazione Conservazione dei medicinali in
frigoriferi Uso di computer e tecnologie
moderne
AMBIENTE Impatti sul cambiamento climatico Riduzione del disboscamento e
della degradazione dei suoli Riduzione dei consumi usando
apparecchiature efficienti
ECONOMIA Risparmi di soldi a livello
domestico Creazione di piccole imprese Creazione di posti di lavoro
EDUCAZIONE Incremento delle ore di luce
permettendo di studiare dopo il tramonto
Incremento del tempo per lo studio Crescita di conoscenze grazie
all’informazione e alla comunicazione
SERVIZI ENERGETICI
MODERNI
Figura 1.11: Impatti dei servizi moderni di energia
L’uso di biomassa in combustioni inefficienti è una delle cause principali di morte nei PVS.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che quasi 2 milioni di morti all’anno per polmoniti,
malattie croniche ai polmoni e cancro ai polmoni siano associate all’inquinamento derivante dal
cucinare mediante biomassa e carbone e che il 99% dei casi si verifichi nei PVS. I più colpiti
risultano essere i bambini e le donne, maggiormente a contatto con i fumi della cucina [6].
Oggigiorno le morti premature causate dai fumi di cucina sono maggiori del numero di morti per
malaria e tubercolosi [9].
Spesso le attività di procacciamento della legna possono avere conseguenze sulla salute
dovuto alla frequenza e ai carichi da supportare oltre che essere attività che consumano molto
Capitolo 1: Energia e Sviluppo
18
tempo. Il tempo dedicato alla ricerca di combustibili da bruciare potrebbe essere speso per studiare
o svolgere attività generatrici di reddito. Emerge, in questo caso, anche una questione legata
all’equità di genere essendo spesso le donne a occuparsi delle questioni legate alla casa.
Aspetti ambientali come la degradazione del terreno e la deforestazione possono essere
legati all’uso di biomassa. Sebbene la deforestazione su larga scale non possa essere attribuibile alla
domanda di legna per la cucina, la produzione di charcoal, per usi anche cittadini, può portare a
diminuzioni anche sensibili di aree forestali [10].
La diffusione di stufe efficienti diminuirebbe quindi l’inquinamento dell’aria all’interno
delle case, ridurrebbe le quantità di combustibili necessarie, liberando parte del tempo dedicato alla
raccolta, o di spesa per comprare il combustibile, e ridurrebbe le pressioni ambientali.
In tutte le questioni energetiche bisogna fare riferimento ai cambiamenti climatici. Se è vero
che in contesti come quelli descritti, il bisogno umano dovrebbe superare qualsiasi altro vincolo, e i
livelli di consumi sono talmente bassi da non costituire al momento un serio problema,
bisognerebbe sempre cercare di preferire soluzioni e tecnologie a basso impatto clima alterante.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
19
2. La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo
Sviluppo
Visti i problemi di accesso all’energia esposti nel capitolo precedente, si riconoscono i
progetti di cooperazione internazionale quali una delle possibili soluzioni. Di seguito verranno
quinti delineati i tratti caratteristici della cooperazione internazionale allo sviluppo.
2.1 Introduzione
Il termine cooperazione, nel suo significato più generale, denota l’opera prestata per la
realizzazione di determinate attività (generalmente organizzate in comune) volte al conseguimento
di specifici obiettivi.
Il concetto di sviluppo, nell’accezione di processo, nasce nel secondo dopoguerra per
descrivere il procedimento grazie al quale i paesi “arretrati” si sarebbero “messi al passo” di quelli
industrializzati e per indicare, pertanto, un passaggio a una condizione migliore, tanto sul piano
individuale, quanto su quello sociale. Per essere davvero rilevante su quest’ultimo e, quindi, utile
alle persone, lo sviluppo deve diffondersi in modo organico, fondandosi sulle conoscenze e sui
sistemi esistenti, confrontandosi con le idee moderne in modo empatico.
Per Cooperazione allo Sviluppo s’intende, dunque, un processo politico sistematico e
strutturale volto, su iniziativa di alcuni Paesi e in collaborazione con altri, ad incidere sulle strutture
economiche, politiche e sociali dei Paesi più arretrati e, pertanto, si configura in modo più
complesso e articolato rispetto alle pur fondamentali iniziative tese ad accrescere le possibilità
economiche dei Paesi svantaggiati.
Come tale, esso nasce, da un lato, dal bisogno fondamentale dell’umanità di vivere,
soprattutto dopo l’esperienza delle grandi guerre, nella pace e nel benessere; dall’altro lato però,
esso si profila come strumento essenziale per la costruzione di nuove relazioni politico-economiche
fra gli Stati e per il perseguimento di determinati obiettivi specifici. Questa dicotomia rappresenta
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
20
una caratteristica riscontrabile nell’intera evoluzione storica del concetto di Cooperazione allo
Sviluppo [11].
Rispetto ad altre forme di quell’attività sociale che chiamiamo cooperazione (nella politica,
nella produzione, nel commercio) consistenti in un rapporto tra soggetti, individuali o collettivi, che
si accordano e collaborano prevalentemente su un piano di parità, per il raggiungimento di un
obiettivo condiviso, la cooperazione allo sviluppo presenta, tra gli altri, due caratteri peculiari:
l’obiettivo non è inteso allo stesso modo da tutti, varia nel tempo, a seconda delle circostanze, delle
teorie, degli interessi prevalenti, cambiando con essi programmi, progetti, strumenti (si veda
Paragrafo 2.2); sui due lati del rapporto e, in misura minore, anche all’interno di ciascuno di essi, i
soggetti sono eterogenei (Paragrafo 2.4) [12].
La politica di cooperazione allo sviluppo (PCS) è l’insieme di politiche attuate da un
governo, o da un’istituzione multilaterale, che mirano a creare le condizioni necessarie per lo
sviluppo economico e sociale duraturo e sostenibile in un altro paese. L’attuazione della PCS può
essere realizzata da organizzazioni governative, nazionali o internazionali, o da organizzazioni non
governative (ONG). I vari attori della PCS saranno discussi in dettaglio nel Paragrafo 2.4. Un
elemento fondamentale della PCS è il trasferimento di risorse verso i paesi bisognosi, l’aiuto
pubblico allo sviluppo (APS). In base alla definizione adottata dal Comitato di aiuto allo sviluppo
(Development Assisstance Commitee, DAC), il foro di discussione che coordina i principali paesi
donatori, l’APS è costituito da risorse finanziarie pubbliche sotto forma di doni o di prestiti a tasso
agevolato, e da assistenza tecnica; non sono considerati tali i prestiti o l’assistenza a carattere
militare.
Nonostante gli enormi progressi nelle condizioni di vita registrati negli ultimi quarant’anni,
ancora oggi esistono grandi disparità tra paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo (PVS).
Questa drammatica situazione di povertà rende la promozione dello sviluppo e lo sradicamento
della povertà una priorità imprescindibile per la comunità internazionale non solo per ragioni etiche,
ma anche per la stabilità politica ed economica globale.
La necessità di sopperire alla scarsità di risorse finanziarie nei paesi meno sviluppati è stata
(e per molti versi è ancora) la principale giustificazione per la creazione della PCS. Se è vero che
già all’inizio del XX secolo alcuni paesi elargivano aiuti finanziari alle rispettive colonie, l’origine
della PCS viene generalmente fatta coincidere con i piani di ricostruzione postbellica e la creazione
del sistema delle Nazioni Unite. Gran parte delle istituzioni e degli strumenti che caratterizzano il
panorama odierno della cooperazione allo sviluppo sono stati creati negli anni immediatamente
successivi alla Seconda guerra mondiale.
All’ingresso della sede della World Bank (WB) si può leggere una frase che, ad oggi, più di
ogni altra, chiarisce i motivi della cooperazione internazionale allo sviluppo: “il nostro sogno è un
mondo senza povertà”. È infatti lo sradicamento della povertà l’obiettivo diventato centrale
nell’ultima decade per la comunità dei donatori, come ufficialmente sancito dalla Dichiarazione del
millennio delle Nazioni Unite (ONU). Povertà non è solo mancanza di reddito, ma anche di
nutrizione, salute, istruzione, e partecipazione alla vita sociale.
Il quadro politico e organizzativo della cooperazione allo sviluppo è mutato più volte nel
corso della storia, attraversando fasi evolutive e involutive che ne hanno profondamente segnato il
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
21
funzionamento. L’inizio della fase attuale è fatto risalire al 2000, anno in cui a New York si tenne la
conferenza del Millennio delle Nazioni Unite, dove i rappresentanti di 192 nazioni e 23
organizzazioni internazionali hanno aderito a un dichiarazione di principi in cui sono stati fissati
otto grandi obiettivi di sviluppo, i noti Millennium Development Goals (MDGs).
Per l’opinione pubblica la PCS viene spesso confusa con l’assistenza umanitaria, che ne
rappresenta una parte importante, ma pur sempre limitata. Mentre l’assistenza umanitaria risponde
a situazioni di emergenza per alleviare le sofferenze di chi viene colpito da catastrofi naturali o da
guerre, lo scopo della PCS è di favorire lo sviluppo duraturo di un paese e la fuoriuscita della
popolazione dalle condizioni di povertà.
Le motivazioni che hanno dato vita alla cooperazione possono essere molteplici: da quelle
prettamente etiche e “altruistiche”, come la solidarietà umana, la necessita di un più equo ordine
mondiale, la giustizia globale; a motivazioni socio-politiche più “egoistiche” come la volontà di
promuovere i propri interessi nazionali, ideologici, politici o commerciali. A livello economico la
creazione della PCS sarebbe la naturale proiezione verso l’esterno del meccanismo di
ridistribuzione del reddito (lo Stato sociale) a livello nazionale. Gli economisti tendono a
concordare che, a prescindere da considerazioni umanitarie, è economicamente sensato trasferire
risorse ai paesi meno sviluppati. Il disaccordo nasce in merito all’efficacia relativa di questo
strumento nel perseguire gli obiettivi prefissati. Considerando la scarsità di capitale nei PVS, ogni
euro investito avrebbe una produttività marginale e un tasso di rendimento più elevati rispetto allo
stesso euro investito nei paesi più avanzati, dove il capitale “abbonda”. Infine, in virtù della
crescente interdipendenza mondiale, sarebbe nell’interesse dei donatori aiutare i PVS per prevenire
anche conflitti e crisi finanziarie, sanitarie, ambientali, che potrebbero diffondersi e avere
ripercussioni su scala globale [13].
2.2 L’evoluzione della cooperazione allo sviluppo
Gli obiettivi della PCS sono chiaramente influenzati dalla situazione politica internazionale
e dal pensiero dominante in un certo periodo storico. Talvolta si parla addirittura di paradigmi
indicando l’adozione di un’intera comunità scientifica, di un modello interpretativo e normativo
che, per un certo periodo è riconosciuto ed utilizzato.
Si è detto come la nascita della cooperazione allo sviluppo sia fatta risalire storicamente alla
ricostruzione post bellica, ma alcuni dei suoi principi si possono ritrovare anche nei decenni
precedenti. Generalmente si distinguono le fasi dell’evoluzione della PCS con le decadi che portano
al nuovo secolo. Di seguito se ne riassumono le caratteristiche salienti, aggiungendo, in breve, una
descrizione degli avvenimenti e sfide della PCS degli anni duemila, che saranno ripresi in dettaglio
nel Capitolo 3.
Per la stesura di questo paragrafo si sono consultati:[11];[13]; [14].
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
22
La nascita della cooperazione
Le idee a fondamento della cooperazione allo sviluppo, pur fiorendo in alcune parziali
accezioni già nel XVIII secolo (si pensi al concetto di progresso e sviluppo del pensiero illuminista,
ai contributi teorici di Ricardo o Smith), iniziarono a maturare organicamente solo dagli anni Trenta
del secolo scorso.
Dopo la crisi di Wall Street del 1929 e l’inizio della “grande depressione”, grazie alle
politiche del New Deal di Roosevelt, negli Stati Uniti trovarono attuazione alcune delle principali
idee formulate da Keynes nella sua opera più nota, la “General Theory” (1936). Secondo il grande
economista inglese, lo stato ha il compito di assumere una funzione regolatrice del ciclo economico,
realizzando politiche espansive attraverso il sostegno alla domanda al consumo, la difesa
dell’occupazione e l’incentivazione degli investimenti. La crescita economica ottenuta con
l’amplificazione degli effetti degli interventi pubblici riuscirebbe, secondo la teoria di Keynes, a
compensare ampiamente le risorse investite dallo stato e i temporanei deficit di bilancio, nonché a
promuovere anche un certo sviluppo sociale. Queste concezioni furono di fondamentale importanza
non solo per gli sviluppi ed i riscontri avuti nelle politiche economiche attuate dagli Stati
industrializzati fino agli anni Sessanta, ma anche per le influenze esercitate sulle politiche di
ricostruzione e cooperazione nel periodo post-bellico.
I principi alla base della cooperazione allo sviluppo sono da ricercarsi anche negli accordi
stipulati dalle grandi potenze mondiali negli anni centrali del secolo scorso: la Carta Atlantica,
firmata il 14 agosto 1941 da Roosevelt e Churchill, la Carta delle Nazioni Unite, sottoscritta il 26
giugno 1945, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 ne sono degli esempi;
questi accordi stabilirono l’impegno nel rispetto di alcuni diritti e valori fondamentali di tutta
l’umanità (quindi, comuni a tutti gli Stati) quali la pace, l’accesso ai commerci e alle materie prime,
la libertà di scegliere la forma di governo sotto la quale vivere e contribuirono a tracciare alcuni fra
i principali caratteri, fondamenti e obiettivi della cooperazione allo sviluppo.
Da ricordare in questi anni è anche la nascita di numerosi organismi internazionali come il
Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel 1946, la Banca Internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo (più tardi World Bank) e altri numerosi fondi e agenzie specializzate dell’ONU che,
ponendosi come obiettivo una lotta di portata globale alla fame, alle malattie, all’analfabetismo e ai
fattori di disgregazione economica e sociale, assumeranno un ruolo fondamentale negli anni
successivi per l’evoluzione e la diffusione della cooperazione.
I processi tangibili di assistenza inter-governativa volti a promuovere lo sviluppo economico
e sociale dei Paesi arretrati costituiscono un fenomeno relativamente recente. Questo non significa
che nel passato non esistessero relazioni o forme di aiuto tra governi, ma è solo dopo il 1945 che
nasce l’idea di instaurare relazioni cooperative interstatali che possano contribuire ad assicurare
stabilità e sviluppo; e, sempre in questo periodo, ha origine l’idea che la crescita economica e la
promozione sociale delle aree più arretrate costituiscano fattori irrinunciabili per il buon
funzionamento del sistema politico-economico internazionale ma soprattutto siano una
responsabilità dell’intera comunità mondiale.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
23
Gli Anni Cinquanta
Sebbene l’accezione moderna dell’idea di Sviluppo sia introdotta dal presidente degli Stati
Uniti Harry S. Truman che, il 20 Gennaio 1949, in occasione del suo discorso inaugurale,
dichiarando che i benefici del progresso scientifico e industriale dovevano essere messi a
disposizione delle zone sottosviluppate: “Ciò che abbiamo in mente – affermò Truman – è un
programma di sviluppo basato sul concetto di equo scambio democratico”, in questa prima fase,
l’obiettivo di sviluppo coincide con la mera crescita del reddito. Il modello economico prevalente,
elaborato dagli economisti americani Harrod e Domar, prevede che la crescita del reddito sia
proporzionale all’investimento (e quindi al risparmio). Con una concezione quasi meccanicistica, ci
si attende che l’aumento dell’investimento alimenti la crescita del reddito dei paesi arretrati e che
questa abbia ricadute positive sulla popolazione. La strategia per raggiungere tale obiettivo è di
promuovere l’industrializzazione: tutte le risorse disponibili devono essere usate per questo fine. La
teoria economica assegna all’industria un ruolo chiave nel processo di modernizzazione che
procederebbe in modo lineare secondo gli “stadi dello sviluppo” come li definì l’economista Walter
Rostow. Perchè il processo possa decollare e autosostenersi, è necessaria una massa critica di
risorse (principalmente infrastrutture) e di una quota costante di investimenti mancanti nei PVS. Il
trasferimento di risorse da parte dei donatori darebbe ai PVS quella spinta (big push) che
permetterebbe loro, nell’arco di 10-15 anni, di recuperare il ritardo e non avere più bisogno di aiuti.
Lo stato ha quindi un ruolo centrale nel dirigere questo processo di industrializzazione. Attraverso
l’elaborazione di piani pluriennali, supplisce alle presunte inefficienze dei mercati e alloca risorse
alle industrie nascenti, che devono essere adeguatamente protette dalla competizione delle
importazioni.
Dalle parole del Presidente Truman traspare anche l’obiettivo implicito degli Stati Uniti di
consolidare l’influenza su numerosi Paesi in via di Sviluppo, a testimonianza del carattere
marcatamente politico o ideologico delle prime politiche di Cooperazione allo Sviluppo. Sono
infatti gli Usa che, in quegli anni, gestiscono il 50% delle risorse destinate al Terzo Mondo.
La fine del secondo conflitto mondiale contribuì ad aggravare la perdita di ruolo delle
potenze coloniali europee, già avviatasi negli anni precedenti a causa dei progressi civili e dei
movimenti nazionalistici sviluppatisi nelle colonie e a causa dell’azione anti-colonialistica degli
organismi internazionali, in particolare dell’ONU. L’avvio e il rapido progredire dei processi di
decolonizzazione portò da un lato all’indipendenza di numerosi Paesi, dall’altro evidenziò i gravi
problemi del sottosviluppo. La condizione in cui i nuovi Stati indipendenti si ritrovarono fu una
completa assenza di qualsiasi infrastruttura, non solo fisica, ma anche politico istituzionale,
professionale, economica e amministrativa, nonché del sistema sanitario, della pubblica istruzione e
dei servizi previdenziali. Naturalmente tali infrastrutture non potevano sorgere spontaneamente con
il solo trasferimento di capitali e conoscenza dai Paesi Occidentali, ma era ormai di fondamentale
importanza avviare in quei Paesi la costruzione partecipata e assistita di un’economia moderna e
autonoma e di istituzioni in grado di gestirla.
In questo decennio si parla soprattutto di collaborazione, assistenza o, più genericamente, di
aiuto piuttosto che di cooperazione, e le relazioni economiche instaurate in questa direzione hanno
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
24
soprattutto natura bilaterale, poiché le organizzazioni internazionali sono ancora molto giovani e
assumono come loro principale priorità la ricostruzione post-bellica. Solo dagli anni Sessanta la
Cooperazione comincia ad assumere una propria configurazione come approccio o processo politico
relativamente autonomo.
Gli Anni Sessanta
Il progresso della teoria economica portò con sé una parziale ri-orientazione della strategia
di sviluppo negli anni ’60. Da un modello in cui lo sviluppo sembra trainato da un solo settore
(l’industria) e il principale vincolo è la carenza di risparmio, si passa a un modello in cui si
riconosce l’importanza dei legami intersettoriali e dell’accesso ai mercati internazionali. Il settore
agricolo, negletto nel decennio precedente, fu rivalutato. L’aumento dell’attività e della prodizione
agricola, è necessario per creare un surplus che finanzi il settore moderno (urbano/industriale).
Negli anni Sessanta si riscontrò una notevole crescita delle risorse destinate sia al canale
bilaterale sia a quello multilaterale. Questo incremento fu dovuto soprattutto all’aumento del potere
delle immagini mediatiche e all’inaugurazione del Decennio dello Sviluppo da parte del presidente
degli Stati Uniti J.F. Kennedy. Grazie alla diffusione degli strumenti di comunicazione di massa,
l’opinione pubblica occidentale prese finalmente coscienza dell’esistenza della fame e della
sofferenza in molte zone del mondo, e lo shock che derivò dalla consapevolezza che gran parte
della popolazione mondiale viveva in condizioni di miseria mentre solo qualcuno era immerso nel
benessere, sconvolse gli animi e colpì l’immaginario degli occidentali a tal punto da determinare un
aumento dei trasferimenti nei confronti dei Paesi più arretrati. La politica adottata dagli Usa
influenzò notevolmente l’ambiente politico, in special modo i governi radicali che stanziarono
ingenti finanziamenti e stabilirono la devoluzione dell’1% del loro PIL ai programmi di APS.
Se la motivazione economica degli aiuti è chiara – favorire l’accumulazione capitalistica nei
PVS e l’industrializzazione – l’obiettivo politico-ideologico è altrettanto evidente. In questa fase gli
Stati Uniti d’America rappresentano da soli circa i due terzi del totale degli aiuti che sono
esplicitamente considerati come uno strumento per contenere il diffondersi del comunismo. L’uso
strategico degli aiuti sarà una caratteristica ricorrente durante tutta la guerra fredda. Ingenti flussi di
APS saranno erogati, principalmente dalle due super potenze USA e URSS, ai paesi “amici” a
prescindere dall’effettivo stato di bisogno e, soprattutto, dall’uso cui i loro governanti destinavano
tali fondi.
Nel 1960 nacque l’Associazione internazionale per lo sviluppo (International Development
Association, IDA), affiliata alla banca mondiale. La sua finalità è di finanziare, attraverso prestiti a
lungo termine ed erogati a condizioni particolarmente vantaggiose, lo sviluppo nei paesi meno
sviluppati dei PVS. Contestualmente furono create le banche regionali di sviluppo in Asia, Africa e
America Latina. (Asian Development Bank, ADB, African Development Bank, AfDB,
Interamerican Development Bank, IADB).
Per quanto riguarda il canale bilaterale, gli aumenti maggiori negli aiuti provennero dai
Paesi del Nord Europa e dal Canada, ma crebbero anche i flussi provenienti dai Paesi dell’Est e
dalla Cina. Nel 1961 nasce il DAC per coordinare ed orientare i donatori bilaterali. L’assistenza
multilaterale, invece, raddoppiò il suo peso sul totale dei flussi conferiti ai Paesi in via di Sviluppo.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
25
Questi progressi furono dovuti principalmente a una migliore definizione macroeconomica della
cooperazione internazionale e al conseguente miglior funzionamento delle pratiche e delle
Organizzazioni ad essa destinate.
Gli Anni Settanta
La fine degli anni ’60 vide il progressivo affermarsi di un nuovo paradigma, che pose la
riduzione della povertà e il miglioramento delle condizioni di vita quale obiettivo centrale della
PCS: il così detto approccio dei bisogni essenziali (basic human needs). La dimensione umana era
stata generalmente trascurata negli anni precedenti perché si riteneva che sarebbe stata
automaticamente migliorata attraverso la crescita del reddito nazionale, grazie al così detto trickle
down effect.
Alla fine degli anni Sessanta cominciarono a sorgere le prime critiche e i primi dubbi sugli
effetti degli interventi di Cooperazione.
Nel 1969 Lester Pearson, ex primo ministro canadese, venne incaricato di effettuare
un’indagine sull’impatto degli aiuti allo Sviluppo (“Partners in development”). Dalla ricerca emerse
che per un verso, il Decennio aveva conseguito un grande successo perché quasi tutti i Paesi in via
di Sviluppo erano riusciti a incrementare il loro PIL pro capite; per l’altro, però, le aspettative
relative ai programmi di aiuti all’estero erano cariche di disillusione e di sfiducia poiché l’impatto
era stato minimo e l’economia tradizionale era andata degradandosi, anche se il numero degli
abitanti che dipendevano da essa era cresciuto: i poveri, quindi, nonostante gli interventi, erano
aumentati.
Nel suo rapporto alla commissione, Pearson osservò con un’analisi impietosa che era ormai
divenuta irrinunciabile una revisione dei progetti di aiuto allo sviluppo e che era necessario
ristabilire la fiducia negli obiettivi prefissati. Vennero, quindi, identificati alcuni obiettivi comuni
quali il progresso sociale, la ridistribuzione delle ricchezze, l’efficienza dell’amministrazione
pubblica, la stabilità politica e la partecipazione democratica. Si deve allo stesso rapporto di Pearson
la formulazione dell’obiettivo, poi adottato dalle Nazioni Unite, di un aumento degli aiuti fino al
0,7% del PIL del paese donatore.
Sull’impulso della banca mondiale il nuovo paradigma prese forma, sotto l’etichetta di
bisogni essenziali e ridistribuzione con crescita. Gli aiuti iniziarono ora focalizzarsi su risultati
concreti (outcomes), di cui beneficino direttamente i poveri.
Il decennio 1970-80 fu però caratterizzato da un sostanziale deterioramento delle condizioni
economiche di molti PVS. La crisi petrolifera del 1973, sebbene abbia favorito le nazioni
produttrici, fu un fardello per i paesi importatori. Al contempo, i prezzi delle materie prime di molti
beni esportati dai PVS (tè, cotone e gomma) continuarono a calare contribuendo allo squilibrio e
all’indebitamento che pose le basi per la crisi del debito dei primi anni ’80.
È pero in questi anni che lo Sviluppo stava generando una vera e propria “industria” di istituzioni
governative e intergovernative, programmi di ricerca universitaria, ricercatori specializzati,
professionisti e programmi di beneficenza di ogni sorta. In questo contesto, nascono e si affermano
le prime ONG.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
26
Gli Anni Ottanta
Dal 1979 le politiche neo-liberiste di Reagan negli Stati Uniti e della Thatcher in Gran
Bretagna, unitamente allo scoppio del debito in molti PVS e la crescente disillusione circa
l’efficacia degli aiuti, causarono l’avvio di politiche economiche che segnarono la fine delle azioni
espansive di stampo keynesiano. Queste nuove impronte politiche sancirono la riduzione degli
interventi statali, in particolar modo la fornitura esclusivamente pubblica dei servizi sanitari,
dell’istruzione, dell’acqua, dell’energia e dei mezzi di trasporto, riaffermando la centralità del
mercato per il buon funzionamento dell’economia e portando con sé una conseguente diminuzione
di fondi pubblici da destinare ai programmi di Sviluppo per i Paesi più arretrati.
Nel resto del mondo, mentre le “tigri asiatiche” e altri numerosi Paesi di recente
industrializzazione cominciarono ad assumere i tratti delle economie sviluppate, gli stati africani si
incamminarono sulla strada del declino, con una produzione alimentare incapace di tenere il passo
con l’incremento demografico, la siccità e le guerre civili sempre più numerose.
Nel 1980 i debiti dei PVS ammontavano a 660 miliardi di dollari e, nel 1990 erano più che
raddoppiati, raggiungendo 1540 miliardi di dollari. Alcuni dei fattori caratterizzanti di questo
problema furono la drastica riduzione delle esportazioni dei Paesi più svantaggiati e l’aumento dei
prezzi delle importazioni, l’aumento dei tassi di interesse nel mercato finanziario internazionale e
l’apprezzamento della moneta americana.
La crisi debitoria contribuì a peggiorare le già difficili condizioni di questi Paesi: la
necessità di affrontare il debito, infatti, vincolò le poche risorse prodotte all’assolvimento degli
obblighi di pagamento piuttosto che ai programmi di Sviluppo promossi soprattutto in campo
sociale, sanitario ed educativo.
Il riorientamento della dottrina della PCS implicò anche un cambiamento nelle modalità di
erogazione degli aiuti. Da un lato il finanziamento “a progetto” passò in secondo piano e lasciò il
posto ad articolati aiuti di programma, dall’altro molti donatori iniziarono a erogare in misura
crescente assistenza direttamente al settore privato o attraverso le ONG.
Verso la fine degli anni ottanta, con la pubblicazione del rapporto “Our common future” o
rapporto Brundtland, il tema della sostenibilità ambientale e sociale dei processi di sviluppo entrò a
pieno titolo nel dibattito sulla cooperazione. L’innovazione di questo rapporto fu di individuare un
nesso specifico tra ambiente e sviluppo. La sostenibilità ecologica non può essere garantita senza
una sostanziale riduzione della povertà, poiché la povertà e l’iniqua distribuzione delle risorse, sono
tra le principali cause di degrado ambientale. Da queste conclusioni nacque la necessità di integrare
gli approcci di tutela ambientale e lotta alla povertà, per promuovere uno sviluppo sostenibile.
Beneficiando di questa ricca elaborazione concettuale, e sotto una pressione crescente della
società civile, la comunità dei donatori pose la promozione dello sviluppo sostenibile al centro delle
strategie di sviluppo nel summit di Rio de Janeiro del 1992. In questa sede fu adottata l’Agenda 21,
un documento programmatico che delinea una partneship globale per uno sviluppo sostenibile e
fissa obiettivi ambiziosi in termini di tutela dell’ambiente ed eliminazione della povertà.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
27
Gli Anni Novanta
Gli anni Novanta segnarono, paradossalmente, l’apice della crisi dell’APS e, nel contempo,
l’avvio di enormi sforzi in sede internazionale per riorientarne le funzioni e gli assetti operativi. Le
politiche di austerity dei bilanci pubblici, le conseguenze restrittive degli accordi di Maastricht,
l’esclusione dell’aiuto allo Sviluppo dalle priorità politiche ed il generalizzato calo di fiducia nella
sua efficacia, furono alcune tra le principali cause del declino generalizzato dei trasferimenti dai
Pesi più industrializzati. Questo regresso risultò ancora più preoccupante se correlato alla
circostanza che le economie del Nord del Mondo hanno goduto, negli anni Novanta, di una crescita
stabile e soddisfacente. Il peggioramento non si riscontrò tuttavia nella stessa misura in tutti i Paesi:
alcuni Stati del Nord Europa (Olanda, Norvegia, Svezia, Danimarca), pur adottando severe politiche
di bilancio, confermarono una partecipazione attiva nelle politiche di Sviluppo.
Nel delineare le cause di questa crisi non bisogna però dimenticare che gli anni Novanta si
aprirono con il collasso dei regimi e delle economie dell’Est e con la Guerra del Golfo. Tali
situazioni condussero ad una radicale trasformazione del sistema internazionale e ad una
conseguente necessità di creare nuove politiche di sviluppo che avessero l’obiettivo di ricucire il
“tessuto sociale”
Infine l’incessante scoppio di conflitti su scala regionale rese problematica la Cooperazione,
non solo perché ne condizionò gli interventi, ma anche perché, in questo modo, ebbero maggiore
priorità i progetti d’emergenza che, anche se indispensabili e di aiuto, tolsero risorse ai programmi
di Sviluppo.
Le crisi finanziarie hanno dolorosamente reso evidente un fattore imprescindibile
nell’elaborazione delle strategie di sviluppo: la qualità delle istituzioni e della governance.
La parola chiave della PCS negli anni novanta diventò ownership, a indicare
l’appropriazione del processo decisionale da parte degli attori locali, da realizzarsi attraverso il
coinvolgimento di tutti coloro che hanno un interesse nel processo di sviluppo, gli stakeholder.
Questi elementi confluirono nel documento strategico sul ruolo della cooperazione allo
sviluppo nel XXI secolo adottato dal DAC nel 1996. Nacquero quindi i documenti strategici per la
riduzione della povertà (Poverty reduction strategic papers), preparati congiuntamente alle autorità
locali, dai rappresentanti della società civile del paese interessato e dai donatori.
Questa evoluzione, combinata con la disillusione di molti donatori verso la capacità e
volontà dei governi dei PVS a far beneficiare i più poveri dei frutti dello sviluppo, ebbe
implicazioni pratiche anche sulla realizzazione dei progetti di cooperazione. Molte agenzie di
cooperazione abbracciarono entusiasticamente il cosiddetto “approccio partecipativo” (community-
driven approach) e affidarono in misura crescente la realizzazione dei propri programmi di
cooperazione direttamente a ONG, sia del “Nord” che del “Sud”, che diventarono attori
fondamentali della PCS.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
28
2.3 Globalizzazione ed Interdipendenza
2.3.1 Lo sviluppo umano e sostenibile
Con il sorgere del nuovo millennio appare sempre più urgente la necessità di ridurre
l’enorme divario che ancora oggi separa Nord e Sud del mondo.
I diversi rapporti sullo Sviluppo del genere umano, pubblicati negli ultimi decenni da
organizzazioni mondiali governative e non governative, hanno messo in evidenza le conseguenze di
un degrado in continua crescita a livello sociale, economico ed ecologico, particolarmente critico
nei Paesi in via di Sviluppo.
Il miglioramento della qualità della vita, la garanzia delle condizioni sanitarie e la tutela dei
diritti, sono valori universali che incidono sullo sviluppo del genere umano in qualunque Paese del
mondo, indipendentemente dal suo sviluppo specifico.
Le logiche dell’interdipendenza economica, ambientale e sociale che permeano i contesti
globali portano inevitabilmente a comprendere che il mondo è sempre più un’unica Nazione per la
quale è necessario identificare una nuova idea di modello (o meglio di modelli) di sviluppo che
sappia integrare e preservare le culture, le tradizioni e le proprietà intellettuali favorendo al
contempo l’integrazione, la crescita sociale, la promozione umana e il mantenimento della pace nel
mondo.
L’idea di sviluppo è evoluta nel tempo e ha subito più di una rivisitazione. A partire dal
famoso discorso di Truman del 1947, lo sviluppo viene associato direttamente al parametro della
ricchezza economica: i paesi con un prodotto interno lordo elevato vengono definiti “sviluppati”, gli
altri, irrilevanti per l’economia mondiale, “sottosviluppati”.
Di conseguenza, da quel momento, la cooperazione internazionale orienta le proprie scelte
verso la crescita economica, lasciando a margine altri aspetti come la partecipazione al processo di
sviluppo, la sanità, l’istruzione e la tutela dei fondamentali diritti dell’uomo. Riamane salda la
convinzione che la crescita economica sia un passaggio obbligato per poter giungere alla
democrazia e ai diritti umani.
La teoria dello sviluppo basato sui basic needs fu avanzata più tardi negli anni settanta dalla
Banca Mondiale e pone al primo posto il raggiungimento di un livello di qualità della vita minimo
per gli strati più poveri della popolazione. Questo implica uno spostamento di punto di vista:
dall’accumulazione del capitale, alla redistribuzione delle risorse e all’offerta di beni e servizi
primari. Nell’attuazione di tale teoria si presentarono, però, alcuni limiti: l’assenza di una
definizione chiara e univoca dei “bisogni di base”; la mancanza di coinvolgimento della società
civile e più nello specifico dell’individuo quale beneficiario ultimo. Infatti l’impostazione del
processo di sviluppo viene pianificato dallo Stato e dalle Organizzazioni Internazionali attraverso
l’offerta “dall’alto” e l’individuo rimane soggetto passivo.
Come precedentemente accennato, l’idea di sviluppo sociale ed ambientale, che si
affiancano e intersecano con quello economico, vengono definitivamente introdotte nel dibattito
pubblico con il rapporto Brundtland del 1987. Lo Sviluppo è sostenibile quando permette di
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
29
soddisfare le proprie esigenze senza compromettere la possibilità delle generazioni future di
soddisfare le proprie. Concetto che si sintetizza con un vecchio proverbio keniano divenuto ormai
celebre: “Questa terra non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, ma presa in prestito dai nostri figli”.
La sostenibilità, sia in senso lato sia riferita ad un progetto o un programma, è ora composta da tre
dimensioni, insieme necessarie ma singolarmente non sufficienti (Figura 2.1).
Figura 2.1: Le sfere della sostenibilità
Il concetto di sviluppo umano è stato elaborato da un gruppo internazionale di intellettuali
ed è teso a far emergere le ambiguità e le contraddizioni che si nascondono dietro la parola
sviluppo. La teoria viene ufficializzata nel 1990 con la pubblicazione del primo Rapporto sullo
Sviluppo Umano dell’UNDP (United Nation Development Programme). Il Rapporto definisce lo
sviluppo umano come un processo che va oltre la disponibilità di beni e servizi, coinvolgendo prima
di tutto le capacità e le libertà individuali. Questo approccio non guarda quindi allo sviluppo come
aumento del PIL di un paese, ma come creazione di un ambiente in cui le persone possono
sviluppare le loro potenzialità e condurre una vita in grado di soddisfare i propri desideri, bisogni e
interessi. A misura di tale situazione nasce l’Indice di Sviluppo Umano (Human Development
Index, HDI), un solo numero, dello stesso livello di immediatezza del PIL, ma non cieco rispetto
agli aspetti sociali. L’HDI combina tre dimensioni:
l’aspettativa di vita
l’accesso al sapere calcolando gli anni di scolarizzazione
la condizione di vita attraverso RNL pro capite
Pertanto non si concentra esclusivamente sull’aspetto economico ma cerca di inquadrare le
opportunità di ampliamento delle capacità di scelta individuali e collettive, al fine di soddisfare non
solo i bisogni materiali vitali, ma anche i bisogni relativi alla vita sociale. In questo modo
l’individuo da soggetto passivo, destinatario di beni e servizi, diventa soggetto attivo del processo
di sviluppo e il processo viene promosso dal basso al fine di favorire il rafforzamento delle capacità
individuali e collettive.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
30
2.3.2 Il paradigma della Governance
Gli approcci alla programmazione nel settore della “cooperazione e sviluppo” hanno subito
nella storia numerose evoluzioni. Si è passati dalle prime concezioni in linea con schemi
monodirezionali del tipo Donatore-Accettore fino alle più moderne visioni in merito alle azioni
collettive, agli approcci partecipati e al paradigma della Governance.
Oggi, a seguito anche dell’evoluzione del concetto stesso di sviluppo, emerge la rilevanza
del processo mediante il quale gli individui e le collettività soddisfano i propri bisogni. I bisogni
umani, nella loro natura ambivalente, psicologica e materiale, attivano un processo di ricerca che
produce la risposta a tali bisogni. Ma vi possono essere molte risposte, tutte in grado di soddisfare
in qualche modo il bisogno che le aveva stimolate. Più in generale, sarebbe da considerarsi
sostenibile solo lo sviluppo che soddisfa i bisogni umani offrendo risposte che non facciano male
alla salute favoriscano la solidarietà, scoraggino la violenza e l’esclusione, e siano compatibili con
l’equilibrio ambientale.
Il concetto di co-sviluppo che si fonda sula visione di un’origine comune per tutti gli
uomini: la stratificazione sociale si è originata poiché la disponibilità di risorse divenne maggiore
rispetto all’effettivo fabbisogno di sussistenza delle comunità umane, l’idea di co-sviluppo sta nel
voler rimarginare le ferite sociali, economiche e culturali attraverso l’incontro alla pari tra i popoli.
Il co-sviluppo in questo senso è inteso come dialogo costruttivo da cui far nascere un’idea ed un
interesse comuni, rispetto alle questioni locali e globali (“thik globally, act locally”).
La partecipazione risulta dunque un elemento essenziale della progettazione poiché permette
lo sviluppo delle capacità di una comunità – intesa in senso lato, comprende il sistema delle
Istituzioni, delle Imprese, dell’Università e della Società civile - l’acquisizione informale e la
divulgazione dei processi in atto nel territorio. La partecipazione “attiva” è in grado di garantire non
solo l’accesso all'informazione, ma soprattutto la reale possibilità per ogni stakeholder di esprimere
il proprio punto di vista, le proprie proposte e di essere parte attiva in tutte le fasi di un processo di
sviluppo.
La linea guida ispiratrice di questa evoluzione è stata la focalizzazione sui risultati che
rappresentano l’impatto effettivo del progetto e la realizzazione di una visione antropologica e
motivazionale dello sviluppo, di respiro più ampio. Dall’idea di “produrre” risultati e di doverli
monitorare solo fino a chiusura del progetto si è passati all’idea di “costruire” risultati di impatto
(partendo da analisi ex ante della situazione locale), monitorabili ex-post, autosostenibili dai
beneficiari e durevoli nel tempo, attraverso l’impiego autogestibile delle proprie risorse.
E’ pertanto emersa nel tempo la necessità che l’approccio alla pianificazione degli interventi
sia sempre più ispirato da accordi e obiettivi condivisi e si focalizzi sul trasferimento di conoscenza
(vista come opportunità per i PVS) e di tecnologie appropriate (per l’autonomia) nell’ottica di
progettare un aiuto allo sviluppo delle civiltà locali, offrire opportunità di mercato, agevolare
l’integrazione e la vivibilità dei territori per massimizzare il beneficio di tutti gli stakeholder
costruendo sinergie e progetti che contribuiscano alla realizzazione del più ampio programma di
sviluppo dei popoli.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
31
Il Millennio appena avviato, ha già segnato la necessità di un nuovo paradigma. La
cooperazione allo sviluppo del Terzo Millennio deve portarci a non pensare più a cosa il Nord può
fare per il Sud, trasferendovi dei prodotti o dei modelli predefiniti, ma il “Nord & il Sud” del mondo
devono lavorare insieme, stringere partnership, attivare progetti e percorsi di ricerca e di
innovazione per condividere un processo.
E tale processo, alla luce delle dinamiche dell’interdipendenza, altro non è che una delle
poche strade concrete verso (i possibili modelli per) uno sviluppo globale (sufficientemente) equo e
durevole [15].
2.3.3 Gli Obiettivi del Millennio
Le nuove frontiere dello sviluppo oggi portano direttamente verso le sfide del millennio,
così come declinati dalle Nazioni Unite. Tali sfide rappresentano un insieme di obiettivi complessi
nelle singole specificità e multidisciplinari nel loro insieme e costituiscono la sfida per l’Umanità e
la Società Civile nel prossimo decennio.
Da più parti, le realtà che operano nel settore della cooperazione (dalle istituzioni nazionali
agli organismi internazionali alle Organizzazioni non profit) richiedono che si crei cultura e si
formino competenze per professionisti in grado di operare con attenzione in questi contesti,
producendo risultati significativi e di impatto per lo Sviluppo.
Durante il Vertice del Millennio convocato dalle Nazioni Unite nel settembre del 2000, 191
capi di stato provenienti da tutto il pianeta hanno firmato la Dichiarazione del Millennio, un
documento che sottoscrive impegni precisi per la lotta alla povertà; essi comprendono interventi per
il rafforzamento della cooperazione fra le Nazioni Unite e le organizzazioni regionali, politiche in
favore di un sistema finanziario e commerciale multilaterale ed equo, politiche di esenzioni
doganali, miglioramento della qualità dei programmi e relative al condono del debito dei Paesi
poveri, come mostrato in Figura2.2.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
32
Figura2.2: Obiettivi del Millennio
Firmando questa dichiarazione, quindi, i Governi dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite si sono impegnati a raggiungere otto obiettivi concreti entro il 2015. Questi Obiettivi
superano la semplice fiducia della crescita economica come panacea per i problemi umani; pongono
invece l’individuo e la riduzione della povertà al centro degli obiettivi dello Sviluppo globale. Essi
sono basati su un complesso di valori fondamentali, quali la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la
tolleranza, il rispetto per la natura e la responsabilità condivisa.
SVILUPPARE UNA PARTNERSHIP GLOBALE PER LO SVILUPPO
Traguardogli stati membri si sono promessi di realizzare in cooperazione, entro il
2015, una serie di interventi di sviluppo principalmente in quattro aree:
cooperazione allo sviluppo, debito estero, commercio nazionale,
trasferimento delle tecnologie
ASSICURARE LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE
Traguardointegrare i principi di sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi
di sviluppo delle nazione e arrestare entro il 2015 la distruzione delle
risorse ambientali
COMBATTERE L’HIV/AIDS, LA TUBERCOLOSI, LA MALARIA E LE ALTRE
MALATTIE
Traguardo
arrestare e invertire la tendenza alla diffusione dell’HIV/AIDS e delle altre
malattie entro il 2015.
MIGLIORARE LA SALUTE MATERNA
Traguardo
ridurre entro il 2015 di tre quarti il tasso di mortalità materna (rispetto al
valore registrato nel 1990)
DIMINUIRE LA MORTALITA’ INFANTILE
Traguardo
ridurre di due terzi (rispetto al valore registrato nel 1990) il tasso di
mortalità infantile al di sotto dei cinque anni di età entro il 2015
PROMUOVERE L’UGUAGLIANZA DI GENERE E L’EMPOWERMENT
DELLE DONNE
Traguardo
eliminare la disuguaglianza di genere in tutti i livelli di istruzione
ASSICURARE L’ISTRUZIONE ELEMENTARE UNIVERSALE
Traguardo
assicurare entro il 2015 che in ogni luogo i bambini e i ragazzi siano in
grado di completare un ciclo completo di istruzione primaria
ELIMINARE LA FAME E LA POVERTA’ ESTREMA
dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che vivono con meno di
un dollaro l’anno e dimezzare la percentuale di persone che patiscono la
fame
Traguardo
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
33
Configurandosi come un patto tra Nord e Sud del Mondo, la Dichiarazione del Millennio
richiede responsabilità da entrambe le parti: i paesi poveri s’impegnano a promuovere riforme a
livello nazionale, a incanalare gli aiuti per raggiungere gli Obiettivi, a migliorare la governance e a
eliminare la corruzione, mentre i paesi ricchi, da parte loro, puntano ad incrementare l’APS sino a
portarlo allo 0,7% del RNL nazionale, a migliorare la qualità degli aiuti, a investire in servizi sociali
di base, a promuovere la cancellazione del debito, a eliminare le distorsioni quali l’aiuto vincolato
(tied aid) che favorisce le imprese del paese donatore anziché aiutare e far crescere strutture locali e
ad adottare regole di scambio commerciali internazionali ed eque, fondate su principi di giustizia
universali.
A sette anni dalla firma della Dichiarazione non tutti gli obiettivi intermedi sono stati
raggiunti e in molti paesi l’incremento dell’aiuto pubblico allo Sviluppo è ancora lontano dalla
promessa di raggiungere lo 0,7 % del RNL (Figura2.3). Per invertire la tendenza e raggiungere gli
Obiettivi del Millennio serve una rinnovata volontà politica nello spirito di parternariato e un
impegno costante e concreto da parte di tutti i paesi aderenti.
Fonte: OECD-DAC
Figura 2.3: APS nel 2010 dei principali donatori. A) Quantità in miliardi di dollari. B) Come
percentuale del RNL.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
34
2.4 Gli attori della cooperazione
Chi fa cooperazione allo sviluppo? Numerosi sono gli attori che partecipano alla discussione
delle politiche di cooperazione, al loro finanziamento e realizzazione. Dati recenti indicano che un
tipico paese beneficiario ospita una media di 30 donatori e riceve 240 missioni all’anno. Nel 2006 ci
furono circa 70.000 attività di aiuto con una media di 1,7 milioni di dollari per progetto. La struttura
di aiuto internazionale ora include più di 230 organizzazioni internazionali, fondi, e programmi, e
60.000 organizzazioni della società civile [16].
A grandi linee, si possono distinguere attori pubblici e privati. I primi includono i governi e
le istituzioni internazionali. I secondi includono le imprese e il cosiddetto settore no-profit.
2.4.1 Donatori bilaterali
Tutti i governi dei paesi sviluppati e un numero crescente di paesi emergenti attuano in
qualche misura una PCS. I principali paesi donatori sono i 22 membri del DAC, che rappresentano
complessivamente circa il 95% di tutti i flussi di APS. I principali governi donatori non DAC sono i
paesi arabi, in particolare l’Arabia Saudita. Nuovi donatori stanno emergendo sia nel gruppo dei
paesi OCSE (Turchia, Corea del Sud) sia tra i paesi non-OCSE (Cina, Taiwan, India, Israele).
A seconda del paese, la responsabilità dell’attuazione della PCS può essere attribuita a un
ministero della Cooperazione (come il caso del Department for International Cooperation, DFID,
del Regno Unito), ad un agenzia specializzata, più o meno autonoma dal governo (è il caso della
Gesellschaft fur technische Zusammennarbeit, GTZ, in germania, organizzata come un impresa
privata, ma facente parte del governo, o dell’Agence francaise du developpement, AFD, in Francia),
oppure a un dipartimento all’interno del Ministero degli Affari Esteri, MAE, (come la Direzione
generale per la cooperazione allo sviluppo, DGCS, in Italia - si veda Paragrafo 2.6).
Il DAC è il forum, all’interno dell’OECD, dove si discute di cooperazione allo sviluppo.
Creato nel 1961, il comitato lavora per l’armonizzazione delle politiche di cooperazione, la raccolta
e disseminazione di dati, la produzione di linee guida e raccomandazioni per i donatori. La PCS di
ciascun paese membro viene periodicamente esaminata ad opera di altri due paesi (peer review). Gli
esaminatori valutano in che misura le raccomandazioni prodotte dal DAC sono state attuate, come
la PCS del paese possa essere migliorata e quali esempi importanti per gli altri membri possano
esserne tratti.
2.4.2 Donatori multilaterali
Accanto ai governi, numerosi organismi multilaterali operano nell’ambito della
cooperazione allo sviluppo. I principali sono riassunti in Tabella 2.1. Questi includono le istituzioni
finanziarie internazionali, le agenzie delle Nazioni unite e la Commissione Europea (CE). Tra le
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
35
istituzioni finanziarie internazionali, le banche regionali di sviluppo e le Istituzioni di Bretton
Woods sono sicuramente gli attori principali. In particolare, la Banca internazionale per la
ricostruzione e lo sviluppo (IBRD) e la già citata Associazione internazionale per lo sviluppo
(IDA), entrambe facenti parte del gruppo della Banca Mondiale, sono tra i maggiori donatori.
L’IDA è un fondo che eroga prestiti a interessi zero ai paesi più poveri, che non hanno la capacità
finanziaria di contrarre prestiti a termini di mercato; la IBRD estende invece prestiti ai governi dei
paesi con redditi pro capite relativamente elevati. Sempre del gruppo della Banca Mondiale, la
Società finanziaria internazionale (International finance corporation, IFC) è un’agenzia che opera
per promuovere lo sviluppo dell’industria privata nei PVS attraverso l’erogazione di appositi prestiti
direttamente al settore privato e la mediazione verso il mercato internazionale del credito. Il
programma per lo sviluppo (UNDP) è tra le principali agenzie ONU ed ha come missione la
condivisione delle conoscenze e delle esperienze e il rafforzamento delle capacità dei PVS, per
contribuire all’affermazione di governi democratici, alla lotta contro la povertà e alla prevenzione e
ricostruzione delle crisi umanitarie.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
36
Tabella 2.1: Principali Istituzioni Finanziarie Internazionali
Istituzioni Finanziarie Internazionali (IFI)
Istituzioni di Bretton Woods
Fondo monetari internazionale (www.imf.org)
Gruppo della Banca Mondiale (www.worldbank.org), include IBRD, IDA, IFC e
MIGA
Banche regionali di sviluppo
Banca asiatica di sviluppo (www.adb.org)
Banca africana di sviluppo (www.afdb.org)
Banca interamericana di sviluppo (www.iadb.org)
Banca di sviluppo caraibica (www.caribank.org)
Banca islamica di sviluppo (www. Idb.org)
Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (www.ebrd.org)
Fondi specifici
Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (www.ifad.org)
Fondo nordico per lo svilppo (www.ndf.fi)
Fondo arabo per lo sviluppo economico e sociale (www.arabfund.org)
Agenzie delle Nazioni Unite
Programma delle Nazioni Unite er lo sviluppo (www.undp.org)
Fondo delle nazioni unite per l'infanzia (www.unicef.org)
Programma alimentare mondiale (www.wfp.org)
Unione europea
Commissione europea: Dg Sviluppo, Dg Relex ed Echo (www.europa.eu.int)
Banca europea degli investimenti (www.eib.org)
2.4.3 Attori non-governativi: la società civile e il settore privato
Le ONG rappresentano la realtà più importante e variegata fra gli attori della società civile
coinvolti nella cooperazione allo sviluppo. In Italia il Coordinamento delle ONG per la
cooperazione internazionale allo sviluppo (COCIS) definisce le ONG come “associazioni private,
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
37
senza fini di lucro, che promuovono e realizzano azioni di cooperazione internazionale finalizzate
allo sviluppo dei paesi poveri. Operano sulla base di principi di solidarietà tra i popoli, per la
promozione ed il rispetto dei diritti fondamentali dell’umanità”.
La legislazione italiana (d.lgs. 460/19979) qualifica le ONG come un particolare tipo di
associazioni di volontariato, che svolgono attività senza scopo di lucro. In quanto Organizzazioni
non lucrative d’utilità sociale (ONLUS), le ONG svolgono un’attività a beneficio di soggetti terzi
rispetto ai soci; in particolare, esse perseguono queste finalità operando nel campo della
cooperazione internazionale allo sviluppo. Non sono considerate tali quelle ONLUS che, ad
esempio, si occupano di alleviare la povertà nei paesi sviluppati.
L’universo ONG è eterogeneo e complesso. Esso copre un’ampia gamma di attività, che
vanno dall’intervento umanitario in zone di crisi alla promozione del commercio equo e solidale
passando per l’educazione e la sensibilizzazione ai problemi dello sviluppo. Semplificando,
possiamo distinguere due tipi di organizzazioni (non mutuamente escludentisi): quelle di opinione
(advocacy), che promuovono a vari livelli una determinata causa o movimento di opinione, e quelle
operative, il cui scopo primario è la progettazione ed esecuzione di progetti di cooperazione.
Sebbene la dimensione esatta dell’universo ONG sia sconosciuta, la Banca Mondiale ha
stimato che vi sarebbero fino a trentamila ONG al lavoro nei PVS. Nel 2002 le ONG ufficialmente
riconosciute dall’ONU erano 2.236, di cui 131 di grandi dimensioni e attive su più temi.
L’emergere delle ONG quali attori chiave della cooperazione allo sviluppo, è uno dei tratti
più innovativi e caratterizzanti degli ultimi due decenni. Benchè la loro origine risalga alle
emergenze umanitarie prodotte dalle guerre mondiali (Croce rossa internazionale), è soprattutto
dagli anni ottanta che hanno conquistato la ribalta ed esteso il loro campo di azione.
Grazie alla loro indipendenza, conoscenza del territorio e capacità di arrivare laddove i
donatori tradizionali non possono o non sono in grado di arrivare, le ONG sono riconosciute come
strumento essenziale per la cooperazione allo sviluppo. Come anticipato in precedenza, con
l’emergere negli anni novanta dell’approccio partecipativo, i donatori privilegiano il ricorso alle
ONG per la realizzazione dei progetti. Tale approccio ha inoltre favorito la moltiplicazione delle
ONG provenienti dagli stessi PVS, che si presentano come rappresentanti della società civile e
diretti interlocutori tra i bisogni locali e i donatori.
2.5 I flussi e le modalità degli aiuti
I trasferimenti di risorse dal donatore al beneficiario vengono classificati a seconda della
loro fonte (pubblica, privata), della finalità che intendono perseguire, del livello di sviluppo del
destinatario e delle condizioni eventuali di rimborso.
La cooperazione può essere finanziaria, realizzata essenzialmente con doni e crediti d’aiuto;
materiale, con l’invio di beni (ad esempio aiuti alimentari); tecnica, con il trasferimento di capacità
operative per mezzo di esperti ed attrezzature. Al fine di interpretare i dati, é opportuno notare che i
donatori riportano due tipi di grandezze. Gli impegni (commitments) e gli esborsi (disbursements).
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
38
Nel primo caso un donatore si impegna a trasferire a un beneficiario una certa prestazione. Perché
possa essere registrato nelle statistiche ufficiali degli aiuti è necessario che sia sancito da un accordo
tra le parti e abbia un’approvata copertura finanziaria. Nell’accordo vengono specificati l’oggetto
della prestazione, le condizioni di trasferimento e l’eventuale rimborso. Nel secondo caso invece,
l’esborso rappresenta la somma effettivamente trasferita dal donatore al beneficiario. Si può trattare
di un trasferimento diretto di fondi o dell’acquisto di beni o servizi per il beneficiario.
Tra la registrazione dell’impegno e l’attuale esborso dei fondi può intercorrere un lasso di
tempo più o meno lungo. In molti casi, le somme effettivamente sborsate sono inferiori a quelle
impegnate. Quando si voglia valutare l’ammontare di risorse effettivamente trasferite al
beneficiario, si deve guardare agli esborsi netti. L’analisi degli impegni é comunque importante
perché essi rappresentano la volontà del donatore su quantità, tipo e destinazione settoriale degli
aiuti.
Per quanto riguarda la varietà delle risorse trasferite verso i paesi beneficiari si distinguono,
innanzitutto, i trasferimenti effettuati dal settore pubblico da quelli del settore privato. Per essere
classificati come APS (Official development assistance, ODA) un trasferimento in moneta o in
natura deve soddisfare quattro requisiti: il donatore dev’essere pubblico, il destinatario deve essere
un PVS, la finalità principale di un trasferimento deve essere un dono o un prestito erogato a
condizioni privilegiate. Sono esclusi dall’APS qualsiasi tipologia di dono o credito teso a finanziare
spese militari. Più precisamente il glossario del DAC definisce APS tutti “quei flussi ai PVS e alle
istituzioni multilaterali forniti da organi pubblici, inclusi i governi statali e locali, o i loro organi
esecutivi, ciascuna transizione dei quali soddisfa le seguenti condizioni:
È amministrata con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo economico e il benessere
dei PVS.
È a condizioni agevolate (concessionali) e contiene un elemento di dono pari almeno
al 25%.
I crediti di aiuto inclusi nell’APS sono prestiti a condizioni agevolate, ossia contengono un
elemento “dono” che li differenzia dai finanziamenti di carattere commerciale. Tre caratteri
identificano questo elemento: il tasso di interesse praticato dal donatore rispetto al tasso di mercato,
la maturità del prestito, e il cosiddetto “periodo di grazia” (vale a dire l’intervallo che intercorre tra
l’erogazione del prestito e il momento in cui il primo rimborso di capitale é effettuato.)
Accanto ai flussi finanziari, L’APS include la fornitura di cooperazione tecnica. Questa si
prefigge di rafforzare le capacità umane e istituzionali nei PVS ed include tutti i doni a cittadini dei
PVS perché ricevano una educazione o formazione, nonché i pagamenti a consulenti, esperti,
insegnanti, che prestino servizio nei PVS beneficiario degli aiuti. Nel calcolo degli aiuti sono inclusi
anche i costi accessori di trasferimento di macchinari ed equipaggiamento. La cooperazione tecnica
rappresenta oltre un terzo del totale degli aiuti erogati ogni anno.
La lista dei paesi eleggibili per ricevere APS viene compilata e aggiornata dal DAC
periodicamente. Nel dicembre 2005 la lista é stata semplificata, con la decisione di distinguere i
paesi recipienti di aiuti solo in base a criteri di reddito pro capite (RNL pro capite (GNI per
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
39
capita))[17]. La lista aggiornata al 2008 include paesi quali PVS – eleggibili cioè a ricevere APS –
tutti i Paesi meno avanzati (Least Development Countries, LDCs), i paesi a basso reddito pro capite
(inferiore a 975 dollari) (Others Low Income) e medio reddito pro capite inferiore a 11.906 dollari)
(Low Middle e Upper Middle Income), fatta eccezione per quelli che fanno parte del G8, dell’UE o
in fase di ingresso all’UE.
Infine, tutti gli altri trasferimenti pubblici verso PVS, che non soddisfano gli altri due criteri
dell’APS (loro finalità primaria non é promuovere lo sviluppo o il loro elemento di dono é inferiore
al 25%), sono classificati come altri flussi ufficiali (Other Official Flows, OOF).
Per quanto concerne le modalità di erogazione degli aiuti, queste sono numerose e
presentano diverse caratteristiche gestionali e di condizionalità. Una distinzione importante é tra
“aiuto progetto” ed “aiuto programma”. L’aiuto progetto é finalizzato alla realizzazione di un
particolare intervento (ad esempio la costruzione di una scuola) e prevede pertanto una
specificazione assai dettagliata delle spese e delle attività finanziate. L’aiuto programma, invece,
prevede il trasferimento di risorse finanziarie al paese beneficiario per sostenere il funzionamento
delle attività di governo, e non tanto di specifiche attività. Tra i vari strumenti dell’aiuto
programma, é opportuno ricordare i programmi di sostegno alla bilancia dei pagamenti, quelli di
sostegno al bilancio, quelli settoriali e quelli di riduzione del debito. Il sostegno alla bilancia dei
pagamenti implica il trasferimento di risorse al paese, affinché questo possa importare beni e servizi
di cui ha bisogno o fare fronte ai problemi di debito estero. I programmi di sostegno al bilancio
servono a finanziare il bilancio pubblico. Il sostegno settoriale è un tipo di sostegno che serve a
finanziare specifici programmi settoriali (ad esempio l’educazione o l’energia), mentre i programmi
di cancellazione del debito sono utilizzati per cancellare in parte totalmente il debito che il governo
del paese beneficiario ha nei confronti del governo del paese donatore. Essi non riguardano però il
debito commerciale, ma liberano risorse che sarebbero altrimenti utilizzate per ripagare il capitale e
gli interessi.
Accanto agli aiuti pubblici non bisogna scordare le risorse trasferite dal settore privato ai
PVS. Queste includono le donazioni e gli altri interventi a fine non-lucrativo effettuate da ONG o
altri enti no- profit. In particolare, le fondazioni filantropiche hanno assunto un ruolo e dimensioni
molto importanti negli ultimi anni. Basti pensare che la Fondazione Gates nel 2005 ha erogato 950
milioni di dollari di aiuti internazionali. Queste risorse non sono contabilizzate come aiuti, in quanto
non erogate dal settore pubblico.
Per quanto riguarda il volume dei flussi di aiuti, il DAC produce un database aggiornato di
tutti i flussi degli aiuti classificati per tipologia, anno, donatore, settore e beneficiario. Un esempio
riassuntivo dei dati consultabili è mostrato in Figura 2.4.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
40
Fonte: OECD-DAC
Figura 2.4: Schema riassuntivo degli APS lordi dei paesi DAC nel 2008-09
Il volume degli aiuti é cresciuto fortemente tra il 1980 e il 1992, anno in cui la tendenza si é
invertita. Gli aiuti hanno ricominciato a crescere nuovamente nel 1998, per raggiungere infine i
livelli di inizio del decennio nel 2003. In termini relativi (APS/RNL), la tendenza é stata
costantemente al ribasso per tutti gli anni Ottanta e Novanta, salvo estemporanee inversioni, legate
all’andamento del ciclo economico (Figura 2.5). Vari fattori concorrono a spiegare la riduzione
degli aiuti negli anni Novanta. La fine della guerra fredda e dell’uso strategico degli aiuti,
l’emergere di nuovi problemi globali e le difficoltà di bilancio in alcuni paesi donatori, si sono
combinati con uno scetticismo tra molti osservatori circa l’efficacia degli aiuti stessi. L’aumento
degli aiuti iniziato nel 2002, riflette sia gli impegni presi dai governi nella Conferenza
internazionale sul finanziamento dello sviluppo di Monterrey, sia l’accresciuta consapevolezza e
impegno di alcuni paesi – dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre – della necessità di
promuovere lo sviluppo nei PVS per contenere il diffondersi del terrorismo.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
41
Fonte: elaborazione banca dati OECD-DAC
Figura 2.5: Andamento temporale delle erogazioni nette di APS da tutti i donatori.
Tradizionalmente una delle giustificazioni dell’aiuto allo sviluppo é stata la miopia e
riluttanza degli investitori privati ad avventurarsi nei PVS. I donatori sopperirebbero a questa
inefficienza del mercato e opererebbero da catalizzatori per l’investimento privato. Se gli
investimenti privati sono stati inferiori agli aiuti nei primi anni della cooperazione, la proporzione si
é invertita negli ultimi decenni. Negli anni sessanta, gli aiuti ai PVS erano di tre volte superiori ai
flussi privati. Negli anni Novanta il rapporto é cambiato e i flussi privati ai PVS hanno raggiunto, in
alcuni anni, anche livelli due volte superiori all’APS. L’accresciuta importanza dei flussi di capitale
privato rispetto all’APS testimonia l’accresciuta fiducia degli investitori nei PVS. Due precisazioni
sono però doverose. In primo luogo questi flussi tendono ad essere assai più volatili di altre forme
di finanziamento. Come mostra Tabella2.2 i flussi privati sono crollati in concomitanza della crisi
del debito del 1982 per poi aumentare all’inizio degli anni Novanta. In secondo luogo se é vero che
i flussi hanno in qualche misura sopperito alla riduzione degli aiuti dopo il 1992, ciò non si é
verificato in maniera uguale in tutte le regioni. In Africa l’APS rappresenta ancora la principale
fonte di finanziamento (quasi il 90% negli anni Novanta).
Tabella 2.2: Percentuali di aiuti per tipologia e per decade
Fonte: elaborazione banca dati OECD-DAC
0
0,1
0,2
0,3
0,4
0,5
0,6
0
20000
40000
60000
80000
100000
120000
140000
19
61
19
63
19
65
19
67
19
69
19
71
19
73
19
75
19
77
19
79
19
81
19
83
19
85
19
87
19
89
19
91
19
93
19
95
19
97
19
99
20
01
20
03
20
05
20
07
20
09
APS (ODA) in miliardi di USD ai prezzi del 2009 (scala sinistra)
APS (ODA) come percentuale del PNL (GNI) (scala destra)
1971-1980 1981-1990 1991-2000
APS 36,7 50,8 40,4
OOF 8,7 6,6 5,1
Flussi privati 50,7 38,2 50,7
Doni ONG 3,9 4,4 3,8
Totale 100 100 100
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
42
La distribuzione geografica degli aiuti è significativamente cambiata nel corso degli ultimi
trent’anni, a riflettere sia l’attenuarsi in alcune regioni della necessità di aiuti, sia le mutate
condizioni geopolitiche. L’importanza dell’Africa è cresciuta tra l’inizio degli anni Settanta e la fine
degli anni Ottanta, passando da poco più di un quarto a quasi la metà degli aiuti totali Figura 2.6.
Questa crescita é avvenuta a scapito dell’Asia, area che stava sperimentando forti tassi di sviluppo
durante quegli anni. Una nuova accelerazione si è avvertita a partire dal 2001: in virtù del
persistente ritardo di sviluppo del continente africano, i governi dei paesi del G8 hanno deciso di
lanciare il Piano d’azione per l’Africa. Nel successivo meeting si è deciso di dirigere verso l’Africa
più della metà di tutti gli aumenti degli aiuti allo sviluppo degli anni successivi. Il picco di flussi di
aiuti che beneficiano l’Asia che si nota in Figura 2.6 è chiaramente dovuto alla situazione di
emergenza conseguente lo tzunami del dicembre 2004.
Fonte: elaborazione banca dati OECD-DAC
Figura 2.6: Andamento temporale delle erogazioni nette di APS in milioni di dollari
(prezzi al 2009) per continente
0
10000
20000
30000
40000
50000
60000
19
60
19
62
19
64
19
66
19
68
19
70
19
72
19
74
19
76
19
78
19
80
19
82
19
84
19
86
19
88
19
90
19
92
19
94
19
96
19
98
20
00
20
02
20
04
20
06
20
08
europe africa
america asia
oceania developing countries unspecified
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
43
2.7 La cooperazione nel settore energetico
L’energia è sempre più riconosciuta come elemento fondamentale nei processi di sviluppo
dei popoli e sempre più presente nelle politiche di cooperazione.
Sebbene non sia stato sviluppato uno specifico obiettivo del millennio sul tematiche
energetiche, l’energia risulta essere fondamentale per il conseguimento di tutti gli 8 MDGs.
Infatti [1]:
MDG 1, ridurre la povertà estrema e la fame: l’accesso a servizi energetici moderni
facilità lo sviluppo economico garantendo mezzi più efficienti e duraturi per portare
avanti attività produttive e basiche incombenze casalinghe.
MDG 2, assicurare l’istruzione elementare universale: l’accesso a combustibili
moderni e cucine efficienti facilita la frequenza scolastica, lasciando liberi gli
studenti da attività dispendiose di tempo come la raccolta di legna. L’elettricità è
importante per l’educazione in quanto aiuta la diffusione di tecnologie di
comunicazione e informazione, ma anche garantisce bisogni basici come la luce.
MDG 3, Promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne:
l’accesso a forme di energia moderne libera le donne dal dover raccogliere la legna e
altre attività fisiche e dispendiose di tempo. L’illuminazione pubblica migliora la
sicurezza delle donne la notte.
MDG 4, 5, 6, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna e
combattere l’HIV, la malaria e altre malattie: la sostituzione della biomassa come
combustibile da cucina, usando tecnologie più pulite diminuisce i rischi alla salute
dei fumi. L’elettricità e i servizi energetici moderni supportano il funzionamento
degli ospedali e dei centri medici
MDG 7, assicurare la sostenibilità ambientale: ridurre il consumo di biomassa
allevia le pressioni ambientali. La promozione di energie rinnovabili è congruente
con la riduzione di gas a effetto serra.
MDG 8, sviluppare una partneship globale per lo sviluppo: l’elettricità è essenziale
per alimentare le tecnologie di informazione e comunicazione.
In Figura 2.9 si può notare l’andamento dei flussi di aiuti nel settore energia negli ultimi
quarant’anni. Il trend si può spiegare considerando due principali fattori [18]:
Dopo una crescita costante fino la metà degli anni ’80, come conseguenza del
“pacchetto di Helsinki” – con le misure che limitavano l’uso di aiuti vincolati – gli
aiuti all’energia sono precipitati fino i primi anni 2000. Con nuove regolamentazioni,
i membri DAC hanno ridotto i loro interventi nel settore di produzione di energia
(grossi progetti di infrastrutture), e si sono focalizzati su aspetti di sviluppo delle
capacità ( supportando lo sviluppo di politiche energetiche) e su progetti di piccola
scala, che comportano minori quantità di aiuti.
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
44
Gli aiuti all’energia hanno ripreso a salire nei primi anni del 2000, con l’adozione del
protocollo di Kyoto che ha portato all’aumento dei finanziamenti sulle energie
rinnovabili. Nel periodo 2003-08, gli aiuti bilaterali nel settore energetico sono
aumentati con un tasso medio annuo del 16% in termini reali.
Fonte: Measuring aid for energy, OECD-DAC. [18]
Figura 2.9: Serie storica degli impegni nel settore energetico
Nel 2007-08, la media degli impegni (commitments) di aiuti totali nel settore energetico è
stata quasi di 7 miliardi di dollari. Tra i membri DAC, i maggiori donatori nel 2007-08 sono stati il
Giappone e gli Stati Uniti (con circa 1,4 miliardi di dollari ognuno), seguiti dalla Germania (844
milioni $) e dalla Spagna (261 milioni $).
Sul piano multilaterale, l’IDA è l’agenzia predominante. I suoi flussi rappresentano il 63%
degli aiuti multilaterali nel 2007-08, seguita dalle istituzioni EU con il 24%. Tali percentuali
sottolineano come, dalla parte multilaterale si privilegino finanziamenti ai paesi più poveri, per i
quali l’accesso all’energia deve fungere da leva allo sviluppo.
Considerando le sole donazioni bilaterali dei paesi DAC, sei dei maggiori stati beneficiari si
trovano in Asia. Il continente asiatico riceve il 61% dei flussi per il settore energetico tra il 2003-08
grazie agli ingenti finanziamenti degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan, del Giappone in Iraq, India,
Indonesia e Vietnam, e, a grossi progetti quali quelli eolici della Spagna in Tunisia e idroelettrici
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
45
della Germania in India. I paesi lower middle income hanno ricevuto la maggior parte degli aiuti
(56%), e i low income un restante 38%.
Il grafico in Figura 2.10 mostra come i settori di trasmissione/distribuzione elettrica, insieme
con le politiche energetiche contino più della metà dei flussi di aiuti nell’energia DAC nel 2007-08.
Dall’altra parte si può osservare l’incremento al settore delle rinnovabili a scapito delle energie
convenzionali che avviene tra il 2000-01 e il 2007-08.
Fonte: Measuring aid for energy, OECD-DAC. [18]
Figura 2.10: Impegni energetici per settore
I due principali obiettivi che la cooperazione internazionale si pone nel settore energetico
sono: l’incremento dell’accesso unitamente al miglioramento dell’affidabilità delle forniture di
energia, e facilitare lo spostamento verso uno sviluppo ambientalmente più sostenibile [19].
Nel primo obiettivo si include sia l’accesso all’elettricità, sia l’uso di combustibili moderni.
Particolarmente importante risulta l’accesso domestico a soluzioni pulite per la cucina. Il primo
obiettivo oltre ad includere l’affidabilità dei servizi energetici deve considerare l’accessibilità
(affordability) degli stessi per garantire l’estensione dell’accesso anche alle fasce di popolazione più
povera. Per il soddisfacimento dei MDGs, fondamentali risultano il collegamento dei progetti
energetici con altri interventi e, all’interno degli stessi progetti, garantire lo sviluppo di mercati
locali dell’energia e assicurare che le tematiche sociali vengano considerate [20].
Le principali politiche energetiche su cui si basano i progetti dell’Asian Development Bank
sono la promozione dell’efficienza e delle risorse rinnovabili, la massimizzazione dell’accesso per
Capitolo 2: La Cooperazione Internazionale come Strumento per lo Sviluppo
46
tutti, e la promozione di riforme nel settore energetico, della capacity building, e della governance
[21].
L’UNDP, delineando le aree prioritarie di intervento dei progetti energetici, pone l’accento,
sulla promozione di tecnologie pulite e di servizi moderni per le zone rurali. Grande importanza
viene inoltre data al rafforzamento delle politiche e dei framework a livello nazionale oltre che
all’aumento dell’accesso ai finanziamenti per il settore energetico. Tali considerazioni sono riprese
anche dalla World Bank che individua come pilastri strategici fondamentali il miglioramento delle
performance finanziarie e il rafforzamento della governance (Figura 2.11).
Fonte: Energy strategy approach paper, World Bank 2009 [19]
Figura 2.11:Framework per la strategia energetica
La componente finanziaria risulta di primaria importanza soprattutto nella fornitura di
servizi per i più poveri. Nei progetti energetici, specificatamente nelle aree rurali, si riscontrano
spesso bassi tassi di capacità a pagare. Per far fronte a questo problema, la gestione di sussidi,
tariffe speciali e micro-credito risulta di grande utilità. In tale ottica la Global Partnership for Output
Based Aid (GPOBA) è divenuta un importante risorsa di assistenza finanziaria. La partnership, nata
nel 2003all’interno della World Bank, supporta l’approccio di finanziamento in base ai risultati
(Output-Based Aid, OBA) per fornire i servizi basici ai più poveri. Nel settore energetico ha
sviluppato sistemi di sussidi e modelli di finanziamento specifici per le necessità delle zone rurali
[22].
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
47
3 Pianificare la Progettualità
3.1 Introduzione
Come si è visto nel capitolo precedente, la cooperazione internazionale ha vissuto diverse
fasi, da alcuni chiamate addirittura paradigmi per i radicali cambiamenti intercorsi nella definizione
che si è data al termine “cooperazione” stesso e ai suoi obiettivi. L’inizio della fase attuale viene
stabilito il 2000 con la dichiarazione dei Millennium Development Goals.
Sebbene le teorie alla base della cooperazione si siano evolute ininterrottamente,
focalizzando sempre più il loro scopo sull’individuo e i suoi bisogni – si pensi al passaggio tra il
concetto di sviluppo meramente economico a quello di sviluppo sostenibile, dai finanziamenti per
l’industrializzazione a quelli per soddisfare i basic needs, dal considerare l’individuo come entità
passiva ai processi partecipati che considerano i beneficiari come attori attivi – le critiche
sull’efficacia degli aiuti si sono costantemente susseguite nel tempo.
Ad oggi le critiche predominanti possono essere cosi raggruppate: il sistematico
disattendere, da parte dei donatori, i target stabiliti per l’ammontare dei finanziamenti; la retorica
sottostante le grandi proclamazioni ha evidenziato come gli obiettivi uniformemente stabiliti siano
inadatti alla diversità che sussiste tra i PVS e fondamentalmente irraggiungibili per molti di essi; la
gestione dei finanziamenti e dei progetti risulta frammentata, di impatto non mirato, con scarso
coinvolgimento dei beneficiari [12].
Se la soluzione del primo punto è prettamente di stampo politico-economico, e la crisi
finanziaria attuale non aiuta certo a risolverla, in risposta alla seconda critica si può affermare che la
stesura di obiettivi generali e condivisi, sebbene in alcuni casi irraggiungibili, non per forza oscuri
le peculiarità e diversità di ogni territorio, ne, tantomeno, freni gli sforzi per conseguirli. Le vere
sfide da risolvere per le grandi agenzie internazionali, come per le piccole ONG, risiedono in realtà
nel terzo punto. È infatti dai primi anni novanta che si avverte la necessità di aumentare la
partecipazione locale, migliorare il coordinamento strategico, oltre che operativo, e favorire
l’allineamento degli obiettivi e delle politiche di donatori e beneficiari.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
48
Giustificato o meno che sia l’attuale sentimento di sfiducia verso gli aiuti internazionali (aid
fatigue), sussiste ai nostri giorni un sostanziale consenso sul fatto che gli aiuti siano efficaci quando
prevedibili e stabili nel tempo. Esiste anche un’ampia letteratura di valutazioni che sottolineano la
profonda differenza di efficacia che genera un pacchetto ben gestito di interventi coordinati rispetto
una serie di iniziative isolate o saltuarie, realizzate più per esaurire il budget a disposizione che per
ottenere dei risultati condivisi [23].
A questo proposito, sin dall’inizio degli anni novanta, è nato un dibattito sull’efficacia degli
aiuti, promosso dall’OECD attraverso i suoi periodici documenti a tema intitolati Better Aid. Il
dibattito ha condotto all’odierna presa di coscienza della necessità di procedere a una
semplificazione dei meccanismi di erogazione e gestione degli aiuti, portando a promettenti sviluppi
con la sottoscrizione della Dichiarazione di Parigi nel marzo 2005.
Nella prima parte del capitolo si delineeranno, quindi, le regole ed i principi che sono stati
sviluppati negli ultimi anni dalla comunità internazionale per favorire l’efficacia degli aiuti e
migliorare le proprie perfomance. Successivamente, tenendo conto di tali principi, si descriveranno
le buone pratiche della gestione dei progetti.
3.2 L’efficacia dell’aiuto: Aid Effectiveness
L’obiettivo delle Nazioni Unite di raggiungere lo 0,7% del RNL da destinare alla
cooperazione internazionale, salvo le rare eccezioni dei paesi del nord Europa, non è mai stato
raggiunto, sebbene il volume complessivo di aiuti dal 2002 al 2008 sia raddoppiato. Diviene quindi
necessario risponder ad alcune questioni importanti: “la quantità di finanziamenti disponibili è ben
gestita? I risultati a cui si perviene sono quelli attesi? Le procedure e i risultati vengono valutati
rigorosamente? In sintesi: gli aiuti sono efficaci? E come si possono migliorare?”
I governi donatori e le agenzie internazionali di aiuto hanno compreso che i loro numerosi
approcci differenti stavano imponendo enormi costi di gestione ai paesi beneficiari riducendo
l’efficacia dell’aiuto. Hanno cosi iniziato a lavorare insieme e con i paesi in via di sviluppo, al fine
di armonizzare i loro progetti e migliorare gli impatti.
Il movimento sull’efficacia dell’aiuto iniziò nel 2002 all’International Conference on
Financing For Development a Monterrey, in Messico, nella quale si giunse al Monterrey
Consensus. Questa prima conferenza tenuta dall’ONU per risolvere le questioni chiave dei
finanziamenti per gli aiuti, ha ospitato 50 capi di stato o di governo, più di 200 ministri, leader del
settore privato come della società civile e manager delle maggiori organizzazioni di finanza,
commercio e economia. Alla conclusione dei lavori ci fu un significativo accordo per incrementare i
fondi destinati allo sviluppo, ma con la consapevolezza che maggiori soldi da soli non sarebbero
bastati. I donatori, come i PVS, volevano avere la certezza che gli aiuti sarebbero stati usati il più
efficacemente possibile.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
49
Il Monterrey Consensus enfatizzò il bisogno di:
Armonizzare gli approcci allo sviluppo tra i donatori.
Ridurre i costi di transazione per i paesi beneficiari.
Aumentare la capacità dei PVS di riconoscere il valore delle informazioni e
valorizzarle (absorptive capacity) e migliorare i sistemi di gestione finanziaria
attraverso la capacity building.
Aumentare l’ownership locale nella progettazione e implementazione dei framework
per la lotta alla povertà.
Un nuovo paradigma di aiuto inteso come una partnership, più che come una relazione a
senso unico tra donatore e beneficiario, stava nascendo.
Nel 2003, gli attori della cooperazione si riunirono a Roma per il primo High Level Forum
on Harmonization (HLF). A questo meeting, organizzato dall’OECD, le agenzie donatrici si
impegnarono a lavorare insieme ai PVS per coordinare e ottimizzare le loro attività a livello locale
accordandosi sul fare il punto dei progressi concreti prima del successivo HLF. A Roma venne
inoltre scritta un dichiarazione che vincolava ad azioni specifiche, i cui punti salienti sono in seguito
riassunti:
Portare assistenza in accordo con le priorità del paese.
Emendare politiche, procedure, e pratiche per facilitare l’armonizzazione.
Implementare standard o principi di buone pratiche per la gestione dell’assistenza
allo sviluppo.
Intensificare gli sforzi dei donatori per cooperare a livello locale.
Fornire supporto per rafforzare la leadership dei paesi partner e la ownership dei
risultati di sviluppo.
Ottimizzare le procedure e le pratiche dei donatori.
Promuovere approcci armonizzati nei programmi globali e regionali.
Nel febbraio del 2005 la comunità internazionale si riunì a Parigi per il secondo HLF.
Sebbene alcuni progressi rispetto l’armonizzazione fossero in corso, forte era la consapevolezza che
il lavoro da fare era ancora molto. Il processo di aiuti era ancora fortemente guidato dalle priorità
dei donatori, e amministrato attraverso i loro canali. L’aiuto era ancora troppo poco coordinato,
frammentato, non prevedibile e poco trasparente. Profonde riforme erano ancora essenziali per
dimostrare l’effettivo potenziale degli aiuti nella lotta alla povertà. La Dichiarazione sull’Efficienza
degli Aiuti di Parigi fu firmata da più di 100 rappresentanti dei governi ed attori della cooperazione,
sia donatori che beneficiari, rappresentando un largo consenso nella comunità internazionale. Il
cuore della Dichiarazione, oramai divenuta sinonimo di efficacia dell’aiuto, sancisce l’impegno di
tutti nell’aiutare i governi dei PVS a formulare ed implementare il loro proprio piano di sviluppo,
conformemente alle proprie strategie nazionali, usando, qualora possibile, i propri sistemi di
pianificazione e gestione.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
50
La Dichiarazione indica, inoltre, 12 indicatori chiave per fornire una misurabile traccia per
seguire i progressi, e ulteriori 11 indicatori obiettivo da essere raggiunti per il 2010.
La Dichiarazione è focalizzata su 5 principi (Figura3.1):
1. Ownership: I PVS devono condurre le proprie strategie e politiche di sviluppo, e
gestire le loro proprie azioni sul campo. Questo è essenziale affinchè l’aiuto
contribuisca realmente allo sviluppo sostenibile. I donatori devono supportare i PVS
nel costruire i loro sistemi istituzionali e di management attraverso le proprie
conoscenze. L’obiettivo posto per il 2010 è che tre quarti dei PVS abbiano loro
strategie di sviluppo.
2. Alignment: I donatori devono allineare gli aiuti secondo le priorità emerse dalle
strategie di sviluppo dei PVS. Qualora possibile, devono usare le istituzioni e
procedure locali al fine di costruire strutture sostenibili nel tempo. Se tali strutture
non dovessero esistere, o essere troppo deboli per gestire gli aiuti efficacemente, i
donatori si impegnano ad aiutare a crearle e rinforzarle, sempre in partnership con i
governi locali. I donatori s’impegnano anche nel migliorare la prevedibilità degli
aiuti e di “svincolare” questi ultimi da ogni tipo di obbligazione riguardante i beni e
servizi da comprare al paese donatore (tied aid).
3. Harmonization: I donatori devono coordinare il loro lavoro di sviluppo tra di loro per
evitare duplicazioni e costi di transazione elevati per i paesi poveri. Nella
Dichiarazione di Parigi, si sono impegnati a coordinare meglio a livello locale per
alleviare la pressione sui governi beneficiari, ad esempio riducendo il gran numero di
missioni sul campo duplicative. I donatori hanno concordato l’obiettivo di fornire i
due terzi di tutti i loro aiuti attraverso il cosiddetto "approccio basato sul
programma" entro il 2010. Questo significa che l’aiuto va direttamente a sostegno di
una particolare strategia guidata dal paese beneficiario, per esempio il piano sanitario
nazionale, anziché frammentato in molteplici progetti individuali.
4. Managing for results: tutte le parti devono focalizzarsi maggiormente sui risultati
dell’aiuto, il miglioramento della vita dei poveri. È necessario sviluppare strumenti e
sistemi per misurare gli impatti. L’obiettivo posto dalla Dichiarazione di Parigi è di
arrivare al 2010 con la riduzione di almeno un terzo dei PVS senza un solido
framework di valutazione delle performance per misurare l’impatto degli aiuti.
5. Mutual accountability: I donatori e i PVS sono responsabili nel condividere in modo
più trasparente le informazioni sull’uso dei fondi e il raggiungimento degli impatti
sia vicendevolmente, sia ai cittadini ed i parlamenti. [24]
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
51
Fonte: The Paris Declaration on Aid effectiveness, 2005 [24]
Figura3.1: La piramide di efficacia degli aiuti. I principi della dichiarazione di Parigi.
Un primo ciclo di monitoraggio dei 12 indicatori della Dichiarazione di Parigi è stato
condotto nel 2006 sulla base di attività svolte nel 2005 in 34 paesi. Una seconda indagine è stata
organizzata nei primi mesi del 2008 in cui 54 paesi hanno esaminato i progressi rispetto agli
obiettivi a livello nazionale. Quest’ultimo campionamento ha coperto più della metà di tutta
l'assistenza ufficiale allo sviluppo. L'evidenza suggerisce che finora sono stati compiuti progressi.
Per esempio, più di un terzo dei PVS indagati ha migliorato i loro sistemi per la gestione dei fondi
pubblici; quasi il 90% dei paesi donatori hanno svincolato i propri aiuti e la cooperazione tecnica è
più in linea con i programmi di sviluppo dei PVS. Nonostante questi miglioramenti, tuttavia, i
risultati del sondaggio mostrano che il ritmo del progresso rimane troppo lento per raggiungere gli
obiettivi fissati per il 2010 [25]. In particolare, anche se molti paesi hanno compiuto sforzi
significativi per rafforzare i loro sistemi nazionali (per esempio migliorando il modo in cui
gestiscono i loro fondi pubblici), in molti casi i donatori sono ancora riluttanti ad usarli. Gli impegni
presi sono risultati rilevanti, nonostante la prevedibilità dei flussi di aiuti rimanga bassa (con poco
più di un terzo degli aiuti erogati nei tempi previsti), rendendo così difficile o impossibile per i
governi pianificare il futuro. Nel complesso, dei cinque principi, l’ownership ha avanzato
maggiormente, con l’allineamento e l’armonizzazione che hanno progredito in modo meno
uniforme mentre gli ultimi due principi hanno mostrato i minori progressi [26].
Il Terzo High Level Forum sull’efficacia degli aiuti (HLF-3) si è tenuto nel 2008 ad Accra,
in Ghana. Il suo scopo era di fare il punto dei progressi compiuti finora, e accelerare la dinamica di
cambiamento. Il Forum di Accra si è svolto in un momento di rapida evoluzione degli aiuti
internazionali. I paesi donatori come la Cina e l'India stavano diventando sempre più importanti ed
erano aumentati i fondi e programmi globali che canalizzano gli aiuti per affrontare problemi
specifici, come il Global Fund to fight AIDS, o il Global Environmental Facility (GEF). Fonti di
finanziamento private come la Bill e Melinda Gates Foundation stavano diventando attori principali
e gruppi della società civile sono sempre più attivi. I nuovi giocatori portano cospicue risorse
fresche e competenze per il processo di aiuto, ma anche aumentano la complessità dei PVS nella
gestione degli aiuti.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
52
L'incontro di Accra è stato diverso dai suoi predecessori in quanto i paesi invia di sviluppo
hanno avuto un ruolo più attivo nella preparazione dell’agenda. Anche La società civile è stata
coinvolta maggiormente nelle discussioni sull’efficacia degli aiuti, con più di 300 gruppi presenti.
Durante il Forum, i ministri hanno approvato la Accra Agenda for Action (AAA). Questa
dichiarazione ministeriale è stata sviluppata con il supporto del consenso del gruppo multi-
nazionale lavorando sotto l'egida del Working Party on Aid Effettiveness dell’OECD. L’AAA
individua tre aree principali in cui i progressi verso la riforma sono ancora troppo lenti.
1. Country ownership. L’Accra Agenda for Action afferma che i governi dei paesi in
via di sviluppo hanno ancora bisogno di assumere una leadership rafforzata delle
proprie politiche di sviluppo e devono impegnarsi ulteriormente con i propri
parlamenti e cittadini nella loro definizione. I donatori devono impegnarsi a
sostenerli nel rispetto delle loro priorità, investendo nelle loro risorse umane e nelle
istituzioni, facendo un maggiore ricorso dei loro sistemi per fornire l’aiuto, e
aumentando ulteriormente la prevedibilità dei flussi.
2. Building more effective and inclusive partnerships. L’AAA che si incorporino tutti I
contribute dei diversi soggetti – PVS, fondi globali, donatori, settore privato, ONG –
in una partnership più comprensiva. Lo scopo è quello che si usino gli stessi principi
e le stesse procedure per tutti i gli attori, cosi da aumentare la coerenza degli sforzi e
quindi degli impatti.
3. Achieving development results—and openly accounting for them. L’Accra Agenda
for Action afferma che la valutazione e dimostrazione dell’impatto deve essere
posizionato al centro degli sforzi per rendere gli aiuti più efficaci. Vi è una forte
attenzione nell’aiutare i paesi in via di sviluppo a produrre un sistema statistico-
informativo per meglio monitorare e valutare l'impatto. Più che mai, i cittadini e i
contribuenti di tutti i paesi si aspettano di vedere i risultati tangibili degli sforzi di
sviluppo. In AAA, i paesi in via di sviluppo s’impegnano a rendere pubblici le
proprie entrate, spese, bilanci, appalti pubblici e audit. I donatori s’impegnano a
divulgare regolarmente e tempestivamente informazioni sui loro flussi di aiuti. [27]
Il fatto che i ministri abbiano firmato queste dichiarazioni ad Accra, rende l’AAA un
documento politico, piuttosto che una prescrizione tecnocratica, per cambiare il business as usual e
aprire una nuova via di lavoro condiviso. Lo scopo ultimo degli sforzi per l’efficacia degli aiuti è di
aiutare i PVS a costruire strutture e sistemi locali funzionanti per essere in grado di gestire il loro
sviluppo e ridurre la dipendenza dagli aiuti [28].
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
53
3.3 Il focus sui risultati
Nel mondo di oggi, è essenziale fornire informazioni basate sulle prestazioni del settore
pubblico in modo da soddisfare le esigenze del pubblico di conoscere, di creare trasparenza politica
e per consentire ai governi di gestire le loro prestazioni e imparare modi per migliorarle. La
fornitura d’informazioni significative e tempestive sulle prestazioni favorisce anche una maggiore
attenzione alla pianificazione e offre buone indicazioni di ciò che sta funzionando e cosa no. Nei
paesi sviluppati, questa tendenza è stata guidata soprattutto da una crescente domanda pubblica per
informazioni combinate con i vincoli di spesa in aumento. I PVS, d'altra parte, sono stati spinti
soprattutto dalla chiamata per l'uso efficiente delle risorse per la riduzione della povertà e la riforma
della politica.
Il focus sui risultati è al centro dell'agenda sull'efficacia degli aiuti. Ciò significa spingere
tutte le parti, i governi dei paesi partner e i donatori, a dimostrare i risultati. I donatori e i beneficiari
obbligano l'un l'altro a dimostrare che stanno adempiendo agli impegni e alle promesse prese.
3.3.1 Result Based Management e Managing for Development Results
Managing for Development Results (MfDR) si basa su anni di lavoro da parte delle
istituzioni pubbliche e agenzie di sviluppo, e riflette un crescente consenso globale sull'importanza
della misurazione delle performance nello sviluppo internazionale.
Managing for Development Results è una strategia di gestione che si concentra sulle
prestazioni di sviluppo e sul miglioramento sostenibile dei risultati nei paesi. Esso fornisce un
quadro per l'efficacia dello sviluppo in cui vengono utilizzate informazioni sulle prestazioni per
migliorare il processo decisionale. Include anche strumenti pratici per la pianificazione strategica,
gestione del rischio, il monitoraggio dei progressi, e valutazione dei risultati.
MfDR nasce come joint venture tra governi donatori e partner e agenzie multilaterali tra cui
la WB, l’UNDP e le banche regionali di sviluppo, all’interno del Working Party on Aid
Effectiveness ospitato dall’OECD-DAC.
Questo approccio ha importanti implicazioni per i leader nazionali, i funzionari del settore
pubblico, i donatori e i cittadini. Al suo livello più fondamentale, chiede di puntare sulla gestione
dei risultati in tutti gli aspetti del processo di sviluppo. Come tale, esso incarna principi
generalmente accettati di buon governo: obiettivi chiari, processi decisionali basati sulle evidenze,
la trasparenza e miglioramento continuo. Nel contesto attuale, MfDR affronta anche una serie di
questioni politiche, compresi gli obiettivi e gli standard internazionali, la ownership del paese,
l'armonizzazione e allineamento degli sforzi dei donatori, la responsabilità per i risultati di sviluppo,
e la partecipazione della società civile.
Ci sono quattro caratteristiche che distinguono questo approccio dalla tradizionale pubblica
amministrazione (Tabella 3.1): obiettivi e strategie condivise; bilanci basati sulle performance;
processi decisionali basati sulle evidenze e responsabilità pubblica. Ognuna di queste caratteristiche
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
54
ha importanti implicazioni politiche, solleva questioni difficili, e richiede una leadership
determinata [29].
Così come è attualmente inteso, MfDR implica che gli obiettivi non solo siano chiari e
misurabili, ma che essi siano espressi come risultati di sviluppo (outcomes), come per esempio la
ridotta mortalità infantile o l’aumentata frequenza scolastica. E 'generalmente accettato che questi
obiettivi dovrebbero essere in numero limitato e concreto, misurabili con indicatori condivisi. Uno
dei principi fondamentali del metodo è che gli obiettivi dovrebbero essere ampiamente approvati
all'interno del paese e che i donatori dovrebbero allineare i loro sforzi con questi obiettivi nazionali
ovunque sia possibile. Nel tentativo di migliorare la pianificazione, il collegamento degli interventi
con i risultati, e rendere più sistematico il monitoraggio delle prestazioni, gli addetti ai lavori sono
soliti usare le catene dei risultati, schemi logici che mostrano le strategie e le ipotesi di
collegamento tra ingressi, uscite, esiti e gli impatti a cui contribuire.
Tabella 3.1: Caratteristiche MfDR
1. Obiettivi e strategie condivise
Focus sui risultati con indicatori condivisi
Largo accordo sugli obiettivi e allineamento delle risorse
Uso della catena dei risultati
2. Performance-based Budget
Collegare i piani al budget
Programmare il budgeting
Impegni dei donatori prevedibili e quadri di spesa a medio termine
3. Processo decisionale sulla base delle evidenze
Uso di statistiche sui risultati, sistemi di monitoraggio e protocolli di valutazione
Flessibilità operazionale e di budget
Revisione annua delle performance da parte di tutti gli stakeholder
4. Resonsabilità pubblica
Mutua responsabilità
Condivisione di informazioni trasparenti
Incentivi basati sulle performance
Raggiungere un accordo sugli obiettivi e strategie è un'impresa politica e tecnica complessa.
In genere, significa trasformare le strategie in piani, liste di desideri in priorità, e lunghe liste di
potenziali indicatori in una serie limitata di indicatori chiave. La questione politica più importante e
sensibile associata alla definizione di obiettivi condivisi, è il mezzo con cui si stabiliscono questi
obiettivi, che deve essere legittimato e misurato. Da un punto di vista pratico, l'enfasi principale ai
MfDR è stato sugli Obiettivi di sviluppo del millennio e sugli obiettivi stabiliti attraverso strategie
di riduzione della povertà. Garantire consenso nazionale su questi obiettivi, assicurando
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
55
l'allineamento dei donatori con loro, richiede spesso un cambiamento significativo nei processi di
pianificazione. Sviluppare e attuare meccanismi consultivi robusti e dare priorità agli obiettivi può
risultare particolarmente impegnativo, considerato il numero e la gamma di potenziali interessati e
le conseguenti molte richieste.
L'approccio richiede dati credibili e procedure per la previsione dei risultati attesi, statistiche
robuste, monitoraggio delle prestazioni dei sistemi e protocolli di valutazione per valutare la
performance effettiva e alimentare nuovamente i cicli di pianificazione e budgeting. Per essere utili,
queste informazioni sulle prestazioni devono essere basate sulla domanda e costruite su misura per
riflettere le esigenze dei decisori.
L'introduzione graduale delle tecniche di gestione basata sui risultati (Result-Based
Management, RBM) nel 1990 ha aiutato il settore pubblico e le agenzie di sviluppo a adottare un
approccio più sistematico alla gestione di tutti gli aspetti del progetto e del programma.
Results-based management è un approccio volto a raggiungere importanti cambiamenti nel
modo di operare delle organizzazioni, con il miglioramento delle performance come orientazione
centrale. Il RBM è caratterizzato da una forte nozione di casualità. Ipotizza, infatti, che diversi input
e attività portino logicamente a determinati risultati, mostrabili attraverso la catena dei risultati (si
veda il Paragrafo 4.3.1). I risultati di sviluppo sono quindi intesi come sequenziali, ed i
cambiamenti sono collegati a una serie di passi gestionali nel ciclo di programmazione. Il RBM
chiede ai manager di pensare regolarmente alla misura in cui l’attuazione delle loro attività ha una
ragionevole probabilità di raggiungere i risultati desiderati, e, se necessario, di effettuare continui
aggiustamenti per garantire che si ottengano i risultati voluti.
Oggi giorno in letteratura i due termini, MfDR e RBM, s’intercambiano e confondo,
assumendo praticamente lo stesso significato. Tradizionalmente, il RBM si è focalizzato
maggiormente sulle performance interne delle agenzie più che sullo sviluppo delle condizioni di
vita delle persone. MfDR applica gli stessi principi del RBM – buona pianificazione, monitoraggio,
valutazione, apprendimento delle migliori pratiche – ma cerca di mantenere l’attenzione
sull’assistenza allo sviluppo cercando di dimostrare risultati reali e concreti. MfDR è anche uno
sforzo per rispondere alle crescenti richieste di responsabilità pubblica dei cittadini sia nel mondo
sviluppato sia nei PVS su come l'assistenza viene utilizzata, quali risultati sono stati raggiunti, e
come, tali risultati sono appropriati nel determinare il desiderato cambiamento nello sviluppo
umano. Questo approccio favorisce le agenzie di sviluppo a concentrarsi sulla costruzione di
partnership e di collaborazione e a garantire una maggiore coerenza. Allo stesso modo, si promuove
una maggiore attenzione per la sostenibilità attraverso misure che migliorano la titolarità nazionale
e lo sviluppo delle capacità. MfDR è RBM in azione, ma è orientata più verso l'ambiente esterno e
verso i risultati che sono importanti per i programmi dei paesi e meno verso le prestazioni interne
dell'agenzia [30].
MfDR si basa su cinque principi:
Focalizzare il dialogo sui risultati in ogni fase del processo decisionale.
Allineare la programmazione, il monitoraggio e la valutazione con i risultati.
Mantenere le misurazioni semplici.
Gestire per, non attraverso, i risultati.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
56
Usare le informazioni sui risultati per imparare e prendere decisioni.
I concetti che caratterizzano MfDR sono ripresi dai condivisi principi di Parigi sull’efficacia
degli aiuti. Armonizzazione, allineamento, ownership, disegnano quindi il quadro concettuale per
gli strumenti usati nel MfDR (Figura 3.2).
Figura 3.2: Schema concettuale MfDR
MfDR può essere applicato a diversi livelli e contesti: a livello nazionale per pianificare e
implementare le strategie di sviluppo, a livello di programma e di progetto per monitorare i risultati
e assicurarsi che siano in linea con le strategie, o all’interno delle agenzie per coordinare gli sforzi e
definire sistemi condivisi [31].
Molte istituzioni e agenzie sia nei paesi sviluppati che nei PVS ora utilizzano una varietà di
tecniche pratiche di gestione dei risultati, tra cui i modelli logici, la pianificazione strategica basata
sui risutati, il monitoraggio e la valutazione result-based.
Scopo del MfDR è anche quello di uniformare ed armonizzare i diversi strumenti utilizzati,
facendone emergere le migliori pratiche.
Si è visto come il progressivo aumento degli attori, unitamente all’ampliamento dei campi di
intervento abbiano portato a una maggiore frammentazione dei progetti, cresciuti in numero, ma
ridotti in dimensioni. La frammentazione nella gestione degli aiuti è generalmente dannosa per
l’efficienza complessiva e per la coerenza degli impatti sul campo [32].
Per questo motivo la cooperazione internazionale negli ultimi anni si è concentrata
principalmente sulla definizione di nuovi metodi di gestione delle politiche e dei programmi al fine
di creare un ambiente uniforme e regolato in cui inserire i singoli progetti. Il progetto rimane
dunque l’elemento primo della cooperazione, e la sua buona gestione risulta fondamentale per
consentire degli impatti mirati e uno sviluppo duraturo.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
57
A livello di gestione dei progetti, gli strumenti principalmente utilizzati per la buona
gestione e valutazione sono il project cycle managament (PCM) e la relativa matrice logica (logical
Framework), il monitoraggio e la valutazione (M&E), e la valutazione d’impatto, le cui
caratteristiche verranno descritte nei paragrafi successivi. La nascita di questi strumenti è
antecedente al MfDR, dunque il ruolo del nuovo approccio è quello di rimarcare l’importanza dei
risultati in ogni fase di progettazione, e di collegare i risultati interni del progetto (outputs) a quelli
dei programmi e delle strategie (outcomes).
3.4 La gestione del progetto
Un progetto è una serie di attività con lo scopo di raggiungere specificati obiettivi in un
definito periodo di tempo e con un determinato budget.
Un progetto dovrebbe comprendere anche:
Una chiara identificazione degli attori interessati (stakeholders), inclusi i beneficiari
finali.
Una chiara definizione degli accordi di gestione e coordinazione.
Un sistema di monitoraggio e valutazione.
Un adeguato livello di analisi finanziaria costi-benefici.
Un progetto di cooperazione ben formulato deve bilanciare le politiche di sviluppo dei
donatori con le priorità e i programmi del paese beneficiario [33].
Un progetto generalmente risponde a bisogni settoriali, mentre il bisogno della persona è
globale, si è visto come il fenomeno stesso della povertà sia multi-dimensionale. Per poter essere
rilevante, il progetto dovrà, quindi, essere inserito e pianificato all’interno dei programmi e delle
politiche nazionali. In Figura 3.3 si possono notare a livello qualitativo le differenze d’ambito dei
progetti, dei programmi e delle politiche.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
58
SCALA TEMPORALE
SCALA GEOGRAFICA
Azioni
Progetti
Programmi
Politiche
Figura 3.3: Ambiti di intervento di politiche, programmi, progetti
Nel paragrafo 3.1 si sono viste le problematiche, e i conseguenti principi risolutivi,
riguardanti l’efficacia degli aiuti. I contenuti delle dichiarazioni di Parigi ed Accra, sebbene siano
stati ideati principalmente a livello di politiche e programmi, possono e devono essere declinati
anche ai progetti. Un “buon” progetto, infatti, per essere tale, dovrà essere armonizzato con i
piani nazionali, essere gestito a livello locale e i suoi risultati dovranno essere valutati e
verificati con la responsabilità di tutte le parti in gioco.
I progetti di cooperazione internazionale sono per definizione progetti multi-obiettivo
(finalizzati allo sviluppo sociale, economico, ambientale etc) e multi-stakeholder, cioè devono
rispondere a diversi obiettivi per soddisfare le esigenze di tutti i portatori di interesse. Si può
asserire che tali progetti sono multi-obiettivo perché multi-stakeholder, infatti differenti stakeholder
hanno differenti obiettivi [34]. Per evitare il fallimento del progetto, tutti gli interessi dovranno
essere presi in considerazione fin dalle prime fasi attraverso un approccio partecipativo.
L’assenza di partecipazione nell’iter decisionale fu segnalata dai Resoconti di Valutazione
del DAC svolti durante gli anni ’80 come una delle cause principali dell’inefficacia dei progetti di
sviluppo. Altre mancanze salienti evidenziate furono la non rilevanza rispetto le effettive esigenze
dei beneficiari, la mancata previsione dei rischi, l’ignoranza dei fattori che potevano influenzare
negativamente la sostenibilità dei benefici di lunga durata e il non tenere conto degli insegnamenti
tratti da precedenti esperienze [35].
Al giorno d’oggi per sopperire alle inefficienze della progettazione viene usato il metodo del
Project Cycle Management, divenuto sinonimo di buona progettazione per tutta la comunità
internazionale e del quale verranno di seguito spiegate le caratteristiche salienti.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
59
3.4.1 Il Project Cycle Management
Il Project Cycle Management (PCM), altrimenti definito Logical Framework Approach
(LFA), è ampiamente in uso dai primi anni ’60 in quasi tutte le agenzie delle Nazioni Unite (FAO,
UNDP ecc.). A partire dal 1993, la Direzione Generale della Commissione Europea responsabile
degli aiuti per lo sviluppo e quella responsabile per i rapporti con i Paesi terzi lo hanno adottato
come standard, pubblicando il Manuale “Project Cycle Management, An Integrated Approach”,
destinato a fornire agli operatori ai diversi livelli le informazioni minime necessarie per
comprendere i principali concetti e strumenti. Da allora in poi un numero consistente di Direzioni
generali della Commissione ha adottato il PCM o il Quadro Logico come standard, soprattutto di
progettazione.
In Italia il Ministero degli Esteri (Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo) ha
adottato il PCM come standard per la progettazione, il monitoraggio e la valutazione dei progetti da
essa finanziati.
Il PCM è un termine usato per descrivere le attività di gestione e le procedure di decisione
usate durante il ciclo di vita del progetto.
Il PCM aiuta ad assicurare che:
Il progetto supporti e sia centrato con gli obiettivi delle politiche di sviluppo.
Il progetto sia rilevante per le strategie condivise e per i reali problemi dei
beneficiari.
Il progetto sia realizzabile, gli obiettivi siano realisticamente raggiungibili
considerando i limiti dell’ambiente e le capacità di chi implementerà il progetto.
I benefici siano sostenibili.
Al fine di perseguire tali obiettivi il PCM:
Richiede la partecipazione attiva degli attori chiave (stakeholder) e aiuta a
promuovere l’ownership locale.
Usa il LFA per la realizzazione delle analisi e delle valutazioni.
Incorpora criteri per una valutazione di qualità in ogni fase del progetto.
Richiede la produzione di documenti chiave di buona qualità in ogni fase di gestione
per supportare le decisioni con informazioni precise. [33]
Una delle ragioni per cui le organizzazioni internazionali hanno trovato utile adottare
l’approccio del PCM è che esso aiuta a fare progetti “migliori”, ciò significa necessariamente porre
l’attenzione, in fase di progettazione, ad alcuni aspetti quali: la rilevanza, la coerenza interna e la
sostenibilità. La qualità di un progetto, infatti, è determinata in modo rilevante dalle scelte che si
fanno in fase di progettazione: a progetto iniziato, i margini per eventuali aggiustamenti sono
sempre più esigui.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
60
L’idea di fondo che ispira il PCM è che sia opportuno predisporre sin dall’inizio di proposte
basate sui problemi dei destinatari o beneficiari degli interventi e quindi capaci di produrre un vero
miglioramento nella vita di questi.
La Figura 3.4 illustra in modo efficace quale sia la dinamica che s’instaura tra i protagonisti
della progettazione o della programmazione.
Politicivalori
Beneficiaribisogni
Esperticompetenze
Prima
Adesso
In futuro
Figura 3.4: L’equilibrio dei ruoli per la progettazione
I tre principali protagonisti della programmazione e della progettazione sono posti
idealmente ai tre angoli di un triangolo equilatero. I protagonisti della progettazione sono, di norma:
I decisori politici, i quali sono portatori, sulla base del mandato dei cittadini, di valori e di
linee programmatiche.
Gli esperti, portatori di un know-how tecnico-specialistico e orientati a fornire soluzioni.
I beneficiari e gli altri soggetti coinvolti in una determinata situazione, gli stakeholders;
questi di solito sono portatori soprattutto di problemi, di bisogni insoddisfatti.
Dove si trova il baricentro in questo “triangolo della programmazione”? In altri termini chi
determina veramente le decisioni, chi “pesa” di più?
Questo baricentro, nella fase attuale, si trova certamente più vicino all’angolo degli esperti:
la maggior parte dei progetti è oggi ideata e predisposta da società di consulenza che rispondono
agli avvisi di gara, senza la partecipazione dei beneficiari finali.
Il PCM auspica, invece, che in futuro le decisioni “a monte” sugli interventi siano sempre
più basate su problemi reali espressi dai destinatari degli interventi e che, quindi, destinatari e attori
chiave intervengano o siano coinvolti anche nella fase di progettazione iniziale. Il PCM prevede
alcuni strumenti appositi, nei quali è possibile in modo realistico far partecipare i principali attori
alle fasi di progettazione e anche di valutazione, assicurando così una gestione “partecipata” durante
tutto il progetto.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
61
Questo concetto di progettazione basata sulla capacità di un progetto di rispondere ai reali
problemi e bisogni dei beneficiari è definito rilevanza di una proposta progettuale.
Un secondo aspetto che può favorire una progettazione di qualità è la coerenza interna.
Con questo termine si intende che i legami logici tra i diversi elementi del progetto (attività,
risultati, obiettivi) siano consistenti. In altre parole, significa verificare, prima della partenza del
progetto, che le attività previste portino effettivamente a quei risultati, che quei risultati conducano
agli obiettivi generali e specifici stabiliti. Questo tipo di progettazione strutturata è resa possibile
dall’utilizzo del Quadro Logico (QL) (Logical Framework o Logframe), una matrice di
progettazione di massima che permette di inquadrare in modo sintetico, chiaro e facilmente
trasmissibile gli elementi fondamentali di un’idea progettuale.
Il terzo aspetto importante da tener presente durante la progettazione, secondo l’approccio
PCM, è la sostenibilità. Un progetto sostenibile è un progetto i cui benefici per i destinatari
continuano anche dopo la fine del progetto.
L’adozione di strumenti strutturati (Quadro Logico) nella fase di progettazione è di
fondamentale importanza anche per la fase di monitoraggio e di valutazione.
Nel monitoraggio, per esempio, il fatto di aver stabilito con precisione il numero e la natura
delle attività (gli indicatori “di attività”) rende più facile tenere sotto controllo lo svolgimento delle
azioni stesse. Il project manager ha così uno strumento più oggettivo per identificare e gestire le
eventuali inadempienze dei partner.
Nella valutazione intermedia, una progettazione così strutturata permette non solo di
verificare l’andamento delle attività in corso ma anche di valutare se il risultato di queste attività sia
ancora realistico ed eventualmente modificarlo.
Così come in fase di valutazione finale, o ex-post, la determinazione d’indicatori
oggettivamente verificabili rende più cogente e meno soggettiva l’azione di valutazione.
Ogni progetto, all’interno di un programma o di una politica, segue in linea di massima un “ciclo di
vita” composto dalle seguenti sei fasi (Figura 3.5) [34]:
Nella fase di Programmazione, il contesto nazionale e quello settoriale sono analizzati per
identificare problemi, opportunità ed impedimenti che potrebbero essere affrontati dalla
cooperazione internazionale. quest’attività implica una revisione analitica degli indicatori
socio economici e delle priorità degli enti donatori. Lo scopo di questa fase è in primo luogo
di identificare ed accordarsi sugli obiettivi generali di cooperazione e le relative priorità
settoriali. In secondo luogo, lo scopo è quello di fornire un quadro di programmazione
rilevante e fattibile nel quale possano essere preparati i progetti specifici. Per ogni priorità
individuata saranno formulate strategie che tengano conto delle esperienze passate.
Nella fase di Identificazione sono individuate e sottoposte ad ulteriore analisi e studio le
azioni specifiche da intraprendere. Ciò avviene in forma di consultazioni con i gruppi
beneficiari in forma di analisi dei problemi che si trovano ad affrontare e di identificazione
di possibili soluzioni. In seguito si decide sul grado di rilevanza di ciascuna idea-progetto
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
62
rispetto sia ai gruppi beneficiari sia al quadro di programmazione stabilito, e vengono scelte
quelle idee-progetto da approfondire in fase di formulazione.
Nella fase di Formulazione, le idee-progetto giudicate rilevanti sono elaborate in piani di
progetti operativi. I gruppi beneficiari e gli altri attori partecipano alla specificazione
dettagliata dell’idea-progetto. Essa è poi verificata in basa alla sua fattibilità (grado di
probabilità di successo) e sostenibilità (probabilità che generi benefici i lungo periodo). Si
decide quindi di formulare unaa proposta formale di finanziamento.
Nella fase di Finanziamento, le proposte sono esaminate dalle autorità competenti che
decidono se finanziare o meno il progetto. L’ente finanziatore ed il paese beneficiario
concordano le modalità di realizzazione e le formalizzano in un documento legale.
Nella fase di Realizzazione, il progetto è eseguito: tutti i mezzi materiali ed immateriali
necassari sono messi in opera cosi come previsto dal piano di finanziamento. Nel corso di
questa fase, chi gestisce il processo verifica, in consultazione con tutti gli stakeholder, il
progresso effettivamente ottenuto rispetto al progresso pianificato, per determinare se esso
sia orientato al raggiungimento dei propri obiettivi. Il progetto, se necessario, è ri-orientato e
corretto ed alcuni obiettivi possono essere modificati secondo i cambiamenti significativi
intercorsi dal momento della formulazione del progetto.
Nella fase di Valutazione, l’ente finanziatore ed il paese con cui opera valutano il progetto
per stabilire quali obiettivi siano stati raggiunti e per identificare le lezioni utili per
migliorare la progettazione futura.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
63
Figura 3.5: Le fasi del PCM
Tre tratti caratterizzano il ciclo di progetto:
Il ciclo individua e definisce le decisioni chiave, le esigenze informative e le
responsabilità specifiche di ogni fase.
Le fasi del ciclo sono progressive.
Il ciclo del progetto trae dalla fase di Valutazione gli elementi per costruire, in base
all’esperienza, la progettazione futura.
Lo scopo del ciclo di progetto è quello di assicurare che tutti gli attori siano attivamente
coinvolti nelle decisioni da prendere, e che tali decisioni siano fondate su informazioni sufficienti e
rilevanti. La partecipazione deve quindi essere garantita in ogni fase, e la trasparenza assicurata
grazie all’uso di strumenti precisi e condivisi.
A questo proposito, fondamentale risulta la distinzione tra le fasi di Identificazione e
Formulazione. La preparazione di un progetto prende corpo in un contesto sociale e politico ove si
formano le condizioni del progetto e ove spesso devono essere conciliate richieste ed aspirazioni
contrastanti. Nella fase di Identificazione l’effettiva rilevanza delle idee-progetto può essere definita
in maniera sistematica grazie ai differenti steps previsti: coinvolgimento degli stakeholder, analisi
degli stakeholder, analisi dei problemi, analisi degli obiettivi e delle strategie.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
64
Il PCM prevede nella fase di Identificazione, uno o più incontri di progettazione
partecipativa con il metodo GOPP (Goal Oriented Project Planning). In questi incontri sono
predisposte: l’analisi degli stakeholder, per fare emergere tutti i possibili attori in gioco unitamente
ai loro interessi, le aspettative e i contributi che possono apportare; l’analisi dei problemi, che
identifica gli aspetti negativi della situazione dove si vuole intervenire e le relazioni causa-effetto
delle problematiche; e l’analisi degli obiettivi, che presenta un quadro esauriente della situazione
futura desiderata.
Queste potranno poi essere pienamente sviluppate nel corso della Formulazione, con la
certezza che esse siano basate su effettive esigenze dei gruppi beneficiari e siano state
sufficientemente fatte proprie da parte degli attori coinvolti.
La trasparenza e la consistenza delle informazioni che supportano l’intero iter decisionale
viene assicurata dal Quadro Logico, una matrice di progettazione molto utile per definire in maniera
chiara i diversi elementi di un intervento progettuale e per visualizzarli in modo efficace, favorendo
quindi anche una riflessione comune sul progetto (Tabella 3.2). La definizione del QL si ricava
direttamente dell’albero degli obiettivi, costruito nella rispettiva fase di analisi. La parte più
significativa del QL è quella della logica di intervento. La logica di intervento è articolata in quattro
livelli, legati tra loro da un rapporto di causa-effetto in senso verticale, dal basso verso l’alto,
secondo il quale le attività portano ai risultati, i risultati conducono al raggiungimento dello scopo
del progetto e lo scopo contribuisce al raggiungimento degli obiettivi generali (Tabella 3.3).
Tabella 3.2: Quadro Logico del progetto
LOGICA DI
INTERVENTO INDICATORI
FONTI DI
VERIFICA IPOTESI
OBIETTIVI
GENERALI
SCOPO (OBIETTIVI
SPECIFICI)
RISULTATI
ATTIVITA'
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
65
Tabella 3.3: Logica di intervento del progetto
LOGICA DI
INTERVENTO
DEFINIZIONE
(che cos'è?)
SIGNIFICATO
(A che domanda risponde?)
Obiettivi
generali
I benefici sociali ed economicidi medio
e lungo termine al raggiungimento dei
quali il progetto contribuirà
Perché il progetto è importante per la
società?
Obiettivi
specifici
Il beneficio tangibile per i beneficiari (il
miglioramento di una condizione di vita
dei beneficiari)
Perché i beneficiari ne hanno bisogno?
Risultati I servizi che i beneficiari riceveranno
dal progetto
Cosa i beneficiari saranno in grado di
fare, di sapere o di essere grazie alle
attività del progetto
Attività Ciò che sarà fatto durante il progetto
per garantire la fornitura dei servizi
Cosa sarà fatto per fornire i servizi?
Fonte: adattamento da Project Cycle Management Guidelines, 2004. [33]
3.5 La valutazione del progetto
La valutazione dei progetti risulta essere un elemento fondamentale per la buona riuscita
degli stessi a garanzia del conseguimento degli obiettivi attesi. Gli scopi principali della valutazione
delle attività di sviluppo sono: fornire ai governi, alla società civile, alle agenzie internazionali,
conoscenze basate sulle esperienze passate; migliorare la fornitura dei servizi; dimostrare i risultati
raggiunti a tutti gli stakeholder.
In letteratura il termine “valutazione” può assumere diversi significati e risponde a
metodologie differenti a seconda dell’oggetto della valutazione e dello scopo. Il termine usato per
fare riferimento alla valutazione dei programmi e dei progetti in senso generale è Monitoring &
Evaluation (M&E), e, correntemente assume una definizione di dettaglio dalla nascita del RBM e
del MfDR, result-based M&E.
Nel PCM, per esempio, la valutazione è la fase conclusiva del ciclo ed ha il fondamentale
scopo di indirizzare i successivi interventi oltre che di verificare i risultati, è quindi una fase
essenziale che necessita di strumenti adeguati.
Rimanendo nell’ambito del PCM, una prima generale distinzione può essere data ai termini
monitoraggio, valutazione ed audit (Tabella 3.4).
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
66
Tabella 3.4: Caratteristiche monitoraggio, valutazione, audit
Monitoraggio Valutazione Audit
Chi? responsabilità interna sia interna che esterna ed
indipendente sia interna che esterna
Quando? durante tutto il ciclo di vita In itinere, ex-ante , ex-post ex-ante, a chiusura lavori
Perché?
controllare i progressi,
ridefinire i piani, attuare
azioni correttive
imparare e trasmettere
lezioni per altri progetti,
assicurare le responsabilità
fornire garanzie agli
stakeholder
Fonte: adattamento da Project Cycle Management Guidelines, 2004. [33]
In generale si possono definire:
Monitoraggio: Il monitoraggio prevede la raccolta, l’analisi e l’uso sistematico ed
esaustivo delle informazioni necessarie alla gestione e verifica dell’andamento del
progetto e alla presa di decisioni adeguate. Il monitoraggio è parte integrante della
gestione ordinaria di un progetto. Il suo scopo primario è quello di permettere a chi
lo gestisce di identificare e risolvere eventuali criticità e verificarne costantemente
l’andamento in modo da valutare il progresso e/o evidenziare scostamenti dal piano
progettuale di partenza. Il PCM prevede che l’organismo o il partenariato
responsabili dell’esecuzione del progetto tengano sotto stretto controllo l’andamento
delle attività, predisponendo rapporti o schede periodiche di monitoraggio, che
dovranno dare conto del “se” e del “come” le azioni previste sono realizzate. Le
informazioni per il monitoraggio non sono sempre rilevate da Rapporti formali ma
anche da comunicazioni informali.
Valutazione: consiste nella verifica della capacità del piano progettuale di
raggiungere gli obiettivi e soprattutto i risultati attesi.
Audit: è una valutazione della adeguatezza dei controlli di gestione per garantire
l'uso efficiente e l'economico delle risorse, la salvaguardia del patrimonio,
l'affidabilità dei finanziatori, il rispetto delle norme, regole e delle prassi consolidate,
l'efficacia della gestione del rischio e l'adeguatezza delle strutture organizzative. La
valutazione è più strettamente legata al MfDR e all’apprendimento, mentre l’audit si
concentra sul controllo di conformità.
Il monitoraggio e la valutazione si possono quindi considerare come due sottofasi distinte. Il
primo ha finalità informative e risponde alla domanda: “si stanno facendo le cose come si era
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
67
progettato?”, la seconda è volta a migliorare la programmazione fornendo un giudizio complessivo
sul valore di un intervento seguendo criteri prestabiliti.
La pianificazione, il monitoraggio e la valutazione sono comunque fasi intercorrelate ed
essenziali per la buona riuscita di un progetto (Figura 3.6). Senza una corretta pianificazione e una
chiara articolazione dei risultati attesi, non è chiaro cosa e come deve essere monitorato, di
conseguenza il monitoraggio non può essere fatto bene. Senza una pianificazione efficace (chiari
quadri logici), la base per la valutazione è debole, di conseguenza risulterà complesso ottenere una
valutazione efficace. Senza un attento monitoraggio, verranno meno i dati necessari da cui
effettuare la valutazione. Il monitoraggio è necessario, ma non sufficiente, per la valutazione [30].
Figura 3.6: Ciclo di progetto secondo il RBM
Il monitoraggio si concentra sulle risorse, sulle attività e sui risultati riportati nel Quadro
Logico. Per elaborare un sistema di monitoraggio adeguato al progetto è bene aver chiara la
definizione degli obiettivi ai quali fare riferimento con gli indicatori che forniscono la base per
misurare le performance. La scelta degli indicatori e le loro caratteristiche risultano tanto importanti
nel monitoraggio quanto nella valutazione e verranno analizzati in dettaglio nel Paragrafo 4.3.3.
La valutazione del progetto può avvenire in diversi momenti a seconda dei quali assume
finalità differenti. In generale si possono distinguere la valutazione ex-ante, prima del
finanziamento del progetto, la valutazione in itinere, in uno stadio intermedio dello stesso, e la
valutazione ex-post a chiusura dei lavori.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
68
Nel ciclo di vita di un progetto, la valutazione ex-ante è quell’azione che, prima dell’inizio
delle attività progettuali, permette all’eventuale finanziatore dell’intervento o agli stessi partner di
giudicare la qualità del progetto stesso ed eventualmente di apportare correttivi o di perfezionare il
lavoro di progettazione. Un buon progetto, secondo il concetto di qualità che sottostà a questa
tecnica di valutazione ex-ante, deve risolvere efficacemente e stabilmente i problemi dei beneficiari,
cambiando in senso positivo la loro vita.
La valutazione ex-ante si concentra sui criteri di qualità precedentemente descritti quali la
rilevanza, la coerenza interna, la sostenibilità.
Valutare la rilevanza significa analizzare in che misura la proposta progettuale è basata sui
reali bisogni e problemi dei beneficiari. Tale valutazione può contribuire a una definizione più
concreta di partecipazione attiva, osservando se gli stakeholder sono stati effettivamente coinvolti
nel percorso di progettazione ed hanno pertanto avuto la chance di esprimere i loro problemi.
In questa fase risulta inoltre importante valutare la robustezza o le possibili incongruenze dei
rapporti di causa-effetto della logica di intervento. Valutare la coerenza interna del progetto appare
estremamente rilevante per progetti articolati e complessi. Molto spesso i progetti non tengono in
dovuta considerazione i fattori di rischio che possono far “fallire” il progetto o definiscono in modo
dettagliato le sole attività senza identificare con eguale chiarezza ciò che i beneficiari del progetto
saranno in grado di fare, sapere, essere… per effetto di queste attività (i risultati) né quale sarà il
miglioramento concreto che il progetto produrrà nella vita dei beneficiari (l’impatto).
Una buona proposta progettuale deve dimostrare, già in fase di progettazione, che
realizzando quelle azioni, con le appropriate risorse, determinati benefici sono assicurati
definitivamente per i beneficiari. Per valutare quindi la sostenibilità di una proposta progettuale, è
opportuno verificare se questa tiene sufficientemente conto dei seguenti aspetti:
Il sostegno politico al progetto.
L’uso di tecnologie appropriate.
La tutela ambientale.
Differenze socio culturali o di genere.
La redditività economica.
La valutazione cosiddetta “in itinere” si effettua all’incirca a metà dello svolgimento del progetto.
In fase di valutazione intermedia, si prevede la realizzazione di un workshop nel quale i partner o i
responsabili del progetto procedono a valutare l’andamento delle azioni e ad apportarvi eventuali
correttivi.
La valutazione ex-post si effettua dopo che è passato un certo lasso di tempo (da sei mesi a due
anni) dalla fine del progetto. Questa valutazione è di norma “esterna”, effettuata dall’ente
finanziatore o da consulenti indipendenti, giacché il progetto stesso non è più in essere.
La valutazione ex post ha, inoltre, l’obiettivo di ricavare indicazioni utili per i decisori politici
(policy maker) per l’elaborazione di nuove strategie, attraverso l’evidenziazione di buone prassi.
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
69
L’analisi si concentra sui fattori di successo o insuccesso registrati nel corso dell’attuazione, sulle
realizzazioni e sui risultati, anche dal punto di vista della loro durata.
L’attività di verifica realizzata nella fase di valutazione ex-post, che viene in genere condotta da
consulenti esperti o da Commissioni appositamente costituite, ha come obiettivo quello di
analizzare gli effetti positivi o, al contrario, negativi che il progetto ha portato sull’ambiente inteso
in senso fisico, politico, e sociale.
Facendo riferimento al Quadro Logico del progetto, l’impatto dovrebbe corrispondere a ciò che era
indicato al livello degli Obiettivi generali. Per verificare l’impatto di un progetto in maniera
ottimale è auspicabile che questa attività di verifica sia fatta con la partecipazione dei beneficiari.
La fase di valutazione viene programmata utilizzando alcuni criteri di riferimento. I criteri di
riferimento più utilizzati in seno alla comunità internazionale (WB, UNDP, ADB…) fanno
riferimento a quelli predisposti dal DAC [37]:
Rilevanza
Efficacia
Efficienza
Impatto
Sostenibilità
Questi criteri di valutazione sono stati ripresi e sviluppati dall’EuopAid della Commissione
Europea e saranno analizzati in dettaglio nel Paragrafo 4.3.2
Si è detto che la valutazione ex-post dovrebbe verificare anche gli obiettivi generali del
progetto, ma spesso le valutazioni si fermano alla verifica degli obiettivi specifici. Infatti è
importante sottolineare che mentre il progetto non è direttamente responsabile di raggiungere gli
obiettivi generali (che ne costituiscono piuttosto la “giustificazione sociale”), esso è responsabile di
conseguire l’obiettivo specifico, il cui raggiungimento determina l’efficacia del progetto stesso.
L’obiettivo specifico di norma viene raggiunto dai beneficiari dopo che il progetto è stato portato a
termine. Ciò che resta sul campo, a progetto appena terminato, sono i risultati, vale dire quello che i
beneficiari sono in grado di fare, di essere o di sapere grazie alle azioni del progetto.
I grandi donatori internazionali, in accordo con quanto sancito a Parigi, spendono sempre
maggiori risorse per attuare e migliorare i propri sistemi di M&E. I report di M&E che vengono
redatti nel corso della vita del progetto sono numerosi ed eseguiti sia internamente sia da organismi
esterni ed indipendenti. Uno degli aspetti significativi della valutazione dei progetti risulta essere
proprio l’indipendenza dell’organismo valutatore.
Oltre all’indipendenza, altre caratteristiche chiave di cui si sente sempre maggior bisogno in
tutta la comunità internazionale affinchè i sistemi di M&E misurino le reali performance del
progetto, sono la significatività, l’accuratezza, e la rilevanza per le decisioni delle informazioni. Le
informazioni devono infatti essere significative rispetto ciò che si vuole misurare, gli obiettivi del
progetto, e inoltre devono essere comprensive e riferite alle decisioni prese per evidenziare il grado
di bontà delle stesse [38].
Capitolo 3: Pianificare la Progettualità
70
Nelle maggiori banche per lo sviluppo, i report di valutazione di fine progetto
(Implementation Completion Report, ICR), cosi come i report indipendenti di valutazione delle
performance (Project Performance Assessment Report, PPAR), si basano su dati ed informazioni
raccolte durante l’implementazione e fino ad un massimo di 6 mesi dopo la chiusura del progetto.
Tali valutazioni servono principalmente per valutare i progetti secondo i criteri sopra visti per fare
emergere cosa ha funzionato e cosa meno, e per classificare gli stessi su scale di soddisfacimento
dei criteri. Le informazioni raccolte hanno quindi scopo divulgativo per gli stakeholder e per far
emergere lezioni utili per i manager delle organizzazioni. Risulta però difficile valutare il reale
impatto che il progetto ha avuto sul lungo periodo. Per sopperire a tale mancanza, negli ultimi anni
si è diffuso l’uso della valutazione di impatto (Impact Evaluation, IE).
L’Impact Evaluation è la valutazione dell’impatto conseguito da un intervento sul benessere
finale. La spinta di focalizzarsi su risultati dimostrabili e su come questi contribuiscano al
raggiungimento dei MDGs, si è tradotta negli ultimi anni in un aumento della diffusione dell’IE.
La definizione attuale di IE è: “counterfactual analysis of the impact of an intervention on
final welfare outcomes” [39]. In alter parole, la IE provvede a una identificazione sistematica degli
effetti – positivi o negativi, diretti o indiretti – sugli individui, le istituzioni, e l’ambiente causati da
un’attività di sviluppo come un programma o un progetto [40].
Se la progettazione dell’IE può iniziare contemporaneamente alle prime fasi del progetto, e
per la raccolta dei dati ci si potrà avvalere delle informazioni derivanti dal monitoraggio e dalle
valutazioni antecedenti, gli impatti finali si dovranno valutare passato un lasso di tempo di almento
5-7 anni dalla chiusura del progetto.
Questo limite, unito al consistente costo, fa sì che l’IE venga effettuata in un numero
ristretto di casi, privilegiando ovviamente quei progetti che per dimensioni o caratteristiche
innovative forniscono maggiori indicazioni e lezioni per il futuro.
Il problema di fondo di questo tipo di analisi è rappresentato dal “counterfactual”, che è a
comparazione tra ciò che è successo e ciò che sarebbe accaduto senza alcun intervento.
Il dibattito sull’IE riflette il più ampio dibattito nelle scienze sociali relativo al ruolo dei
metodi qualitativi e quantitativi. Esistono studi di IE basati sul metodo partecipativo, ed altri su
metodi econometrici. Ad oggi si riconoscono i limiti e le potenzialità di entrambi e, sebbene ci sia
una forte spinta per i metodi rigorosi, si ritiene che il modo migliore di valutare l’impatto sia
rappresentato dalla giusta via di mezzo [41].
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
71
4 Metodologia di Ricerca
4.1 Obiettivi del lavoro
Lo scopo di questo lavoro è di definire un modello di valutazione dei progetti di
cooperazione specificatamente costruito per i casi di energizzazione in ambito rurale che permetta
la misura dei reali impatti da essi prodotti seguendo le buone pratiche apprese dalla letteratura.
Si è visto nei precedenti capitoli come gli obiettivi e le pratiche della cooperazione allo
sviluppo siano mutate nel corso del tempo. Ad oggi l’individuo e la lotta alla povertà in senso lato
sono al centro dell’agenda della cooperazione. Con la nascita dei MDGs nel 2000 la comunità
internazionale si è posta obiettivi multidisciplinari e complessi nelle singole specificità. Tutte le
politiche, i programmi e i progetti di cooperazione allo sviluppo devono essere collegati nei loro
obiettivi finali al raggiungimento dei MDGs, e la misura del come e del quanto il singolo progetto
apporta in termini complessivi dovrebbe essere valutata, dimostrata e calcolata. Con la rinascita
della cooperazione internazionale all’inizio del nuovo secolo, nuovi attori sono entrati in gioco,
portando con sé nuove capacità e pratiche, ma rendendo anche la gestione degli aiuti più
diversificata e complessa. Con la Dichiarazione di Parigi del 2005 la comunità internazionale si è
data nuove regole e principi: i paesi beneficiari devono avere un ruolo più attivo nei processi e gli
aiuti devono essere diretti in base ai loro bisogni, le procedure degli attori della comunità
internazionale devono armonizzarsi ed allinearsi sia con i PVS che tra di loro, tutti gli sforzi della
cooperazione devono tendere a risultati ben definiti, valutabili, misurabili, condivisi e in linea con
gli obiettivi generali di sviluppo.
Negli ultimi anni gli sforzi, e le conseguenti pubblicazioni, delle maggiori agenzie e banche
internazionali di sviluppo su temi quali il miglioramento e la misura dei risultati dei progetti, la
revisione e l’uniformazione degli approcci di monitoraggio e valutazione, la ricerca di indicatori
chiave per valutare lo sviluppo, sono notevolmente aumentati [38].
Si è visto, inoltre che la valutazione non è utile solo per dimostrarne il livello di successo di
un progetto, e conseguire quindi il finanziamento finale, ma che è fondamentale per progettare e
gestire lo stesso in maniera efficace. Le fasi di pianificazione e di valutazione di un progetto
risultano essere fortemente correlate: senza una buona definizione della prima sarà difficile ottenere
una valutazione efficace, e viceversa.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
72
Da tali considerazioni nasce il bisogno di avere strumenti a supporto della valutazione come
per esempio sistemi di misurazioni delle performance (PMS) di progetto condivisi che permettano
di valutare, e quindi gestire, i progetti di qualsiasi tipologia. Se gli obiettivi generali di sviluppo
sono ora definiti dai MDGs, e quindi univoci per tutti i tipi di progetto, la valutazione di come
questi possano essere raggiunti, dei bisogni cui il progetto si fa carico, e dell’efficacia con cui li
risolve, sarà fortemente dipendente dal settore del progetto.
Molte istituzioni hanno le loro formulazioni per la valutazione, tali formulazioni sono
differenti tra loro e spesso non condivise, inoltre nessuna ha elaborato sistemi di valutazione
specificatamente per il settore energetico. In comparazione con i settori dell’educazione, o
dell’acqua e della sanità, dove le procedure di M&E sono già ben stabilite, il settore dell’energia è
stato lento a sviluppare proprie metodologie. In aggiunta il settore energetico ha frequentemente
non inserito l’integrazione dello sviluppo sociale e delle prospettive dei beneficiari finali negli
schemi di M&E, concentrandosi invece su fattori tecnici e finanziari [42].
Dal 2009 la World Bank ha rafforzato la misura dei risultati introducendo una collezione ed
aggregazione di indicatori chiave standardizzati da progetti supportati dall’IDA in sette settori, trai
quali ancora manca l’energia.
L’accesso all’energia è stato dichiarato fondamentale per la lotta contro la povertà, energia e
sviluppo oggi costituiscono un binomio inscindibile perché non è pensabile che ci sia sviluppo in
mancanza di energia.
Il vecchio approccio dei progetti energetici, legato alla mera costruzione di grandi
infrastrutture sta venendo lentamente sostituito dai nuovi approcci focalizzati sui bisogni e lo
sviluppo delle persone.
Mentre la necessità di schemi di M&E è generale per tutti i tipi di progetti, gli strumenti
specifici applicati – indicatori, metodi analitici, procedure di raccolta dati – devono essere adattati
alle specifiche condizioni locali e ai bisogni degli stakeholder. Lo sviluppo di schemi di M&E per i
progetti energetici si confronta con alcune difficoltà e sfide specifiche rispetto ai più classici
progetti nei campi dell’educazione, della salute e dell’acqua [43]:
I servizi energetici sono necessari per la produzione di cibo, beni e servizi. Di
conseguenza, la catena causale, che porta dalla fornitura di energia ai miglioramenti
nella vita delle persone, risulta spesso lunga e complessa.
I servizi energetici portano spesso a miglioramenti in molti aspetti della vita delle
persone. Quindi, il M&E dovrà misurare i miglioramenti delle condizioni in più di
un’area.
Gli impatti positivi derivanti dall’accesso all’energia, si manifestano spesso molti
anni dopo la chiusura del progetto. La valutazione dovrà quindi essere estesa per un
lungo periodo di tempo.
Gli effetti positivi dell’energia richiedono spesso molti altri input. Bisogna quindi
porre attenzione ad attribuire i miglioramenti ai diversi fattori presenti per riuscire a
isolare gli impatti specifici dell’energia.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
73
In questo lavoro, la definizione dell’approccio si basa sulle caratteristiche e gli obiettivi
generali dei progetti cooperazione analizzate nei capitoli precedenti, e può quindi considerarsi
ragionevolmente valido per tutte le casistiche di interventi. L’approccio è poi declinato al caso di
progetti energetici in zone rurali, partendo dai bisogni delle persone ed evidenziando le peculiarità
degli interventi, si sviluppa un modello di valutazione con indicatori specificatamente definiti.
Concentrare l’approccio al solo ambito rurale è utile per un primo reale sviluppo dello stesso
potendo così utilizzare informazioni circoscritte e giungere a definizioni di dettaglio. Un sistema di
valutazione generale è bene che sia costruito dal particolare, inoltre l’ambito rurale raccoglie in se
già molte tipologie diverse di interventi. Non bisogna dimenticare, inoltre che sono proprio le zone
rurali le più “assetate” di energia e dove si possono avere grandi impatti con interventi appropriati
che spesso non comportano l’impiego di sistemi tecnologici complessi.
4.2 Descrizione della metodologia
Al fine di costruire un modello di valutazione dei progetti di cooperazione di energizzazione
delle zone rurali è stata seguita la metodologia presentata in Figura 4.1.
Definizione dell’approccio
Definizione della catena dei risultati
Definizione delle dimensioni della valutazione
Ricerca degli indicatori energetici
Definizione dei bisogni energetici
Sviluppo del modello
Declinazione della catena dei risultati con sviluppo dello «schema di progetto»
Definizione dei possibili indicatori risultanti dallo schema di progetto
Definizione degli indicatori nelle dimensioni della valutazione
Figura 4.1: Descrizione della metodologia di ricerca
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
74
Uno strumento ideale per schematizzare gli interventi ed evidenziare la logica degli stessi è
stato valutato essere la catena dei risultati. Questa è stata quindi descritta e ridefinita in base alle
caratteristiche ritenute importanti dei progetti di cooperazione.
Basandosi sull’analisi di letteratura descritta nel Capitolo 3, sono state definite le
dimensioni della valutazione, quali quelle caratteristiche e quei criteri sui quali deve basarsi la
valutazione di un progetto per fare emergere tutte le peculiarità dello stesso. Le dimensioni della
valutazione sono state quindi rapportate agli elementi catena dei risultati evidenziandone i nessi
logici e causali.
Dovendo basare la valutazione su evidenze concrete e misurabili, è stata svolta una ricerca
di letteratura sugli indicatori energetici. Analizzando le caratteristiche che questi devono avere,
sono state riscontrate due principali fonti che, per importanza e pertinenza a questo lavoro, verranno
descritte nel dettaglio.
Secondo lo schema della catena dei risultati, il progetto parte dall’individuazione del
bisogno. Al fine di sviluppare il modello di valutazione, sono stati quindi analizzati i bisogni
energetici delle popolazioni rurali. Basandosi sia su valori indicativi di bisogni riportati dai report
delle grandi agenzie e organizzazioni, sia su dati di consumi emersi da analisi di contesto e da
progetti specifici, si sono descritti e classificati i bisogni.
Dalla classificazione dei bisogni sono emerse due macro tipologie: le necessità legate alla
cucina; l’illuminazione e i bisogni che implicano l’uso di apparecchiature elettriche. In base a
queste due categorie è stato sviluppato il modello di valutazione: gli elementi della catena dei
risultati sono stati riempiti creando lo “schema di progetto” per entrambe le categorie. Lo schema
di progetto rappresenta la schematizzazione secondo la catena dei risultati di quanto un progetto
ideale possa fare per rispondere al bisogno predisposto. Parallelamente agli schemi di progetto
ideali viene descritto un progetto reale che permette di osservare in un caso specifico quanto
descritto nel caso generale. Il progetto reale è stato scelto per la congruenza dei bisogni che vuole
soddisfare con quelli delineati in questo lavoro.
Basandosi sugli schemi di progetto sono stati individuati per ogni elemento degli stessi gli
aspetti da tenere in considerazione e i possibili indicatori descrittivi. Questi sono stati rielaborati e
inseriti nelle dimensioni della valutazione per creare un set d’indicatori in grado di valutare tutti gli
aspetti importanti di un progetto.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
75
4.3 Definizione dell’approccio
In questo paragrafo viene descritta nel dettaglio la definizione dell’approccio prodotto dal
lavoro di tesi.
4.3.1 La catena dei risultati
Per assicurare una buona progettazione degli interventi esistono in letteratura diversi
strumenti. Gli elementi caratterizzanti di tutti gli strumenti sono l’identificazione chiara e univoca
dei nessi logici e causali del progetto.
La pianificazione e la progettazione di un intervento si basano sull’analisi iniziale della
situazione in essere e, una volta definiti gli ambiti di intervento e i conseguenti obiettivi, verranno
individuati e pianificati tutti i passaggi e le attività che dovranno portare all’ottemperamento degli
obiettivi.
Chiariti gli aspetti iniziali e finali del progetto, è di fondamentale importanza sviluppare
schemi logici e causali che identifichino i passi e i collegamenti tra le entrate e le uscite desiderate
del progetto. La costruzione di questi diagrammi in fase di pianificazione serve per fare emergere
fin dalle fasi iniziali un disegno specifico del progetto che, una volta vagliato ed esaminato da tutti
gli stakeholder, costituirà l’ossatura per il monitoraggio delle attività e la valutazione finale.
Si è visto come con l’approccio del PCM, la trasparenza e la consistenza delle informazioni
che supportano l’intero iter decisionale vengono assicurate dal Quadro Logico. Per assicurare le
relazioni di causalità tra gli elementi di progettazione viene definita la logica di intervento. La
logica di intervento è articolata in quattro livelli, legati tra loro da un rapporto di causa-effetto in
senso verticale, dal basso verso l’alto, secondo il quale le attività portano ai risultati, i risultati
conducono al raggiungimento dello scopo del progetto e lo scopo contribuisce al raggiungimento
degli obiettivi generali.
La medesima logica è riscontrabile nella catena dei risultati (result o casual chain) (Figura
4.2) definita e utilizzata dall’OECD-DAC per schematizzare logicamente e casualmente gli
elementi del progetto.
INPUTs OUTPUTs OUTCOMEs IMPACTsACTIVITIEs
Fonte: OECD-DAC
Figura 4.2: La catena dei risultati
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
76
Facendo riferimento al glossario dell’OECD-DAC [44], si possono definire:
Inputs: Tutte le risorse finanziarie, umane e materiali usate per l’intervento di
sviluppo. Materiali e servizi portati sul campo dal progetto o dagli stakeholder.
Attività: Quello che il progetto fa. Azioni fatte e lavoro eseguito attraverso i quali gli
Inputs sono mobilitati per produrre specifici Outputs.
Outputs: I prodotti, i beni e i servizi che sono direttamente sotto il controllo del
progetto.
Outcomes: L’effetto voluto o raggiunto nel medio periodo da un Output
dell’intervento. Un primo livello di conseguenze derivanti dagli Outputs. Spesso gli
Outcomes dipendono anche da Inputs, Attività e decisioni fuori dal controllo del
progetto.
Impatti: Effetti diretti o indiretti, desiderati o non voluti, positivi o negativi, di lungo
termine derivanti dal’intervento di sviluppo. Consequenze di lungo termine delle
attività del progetto direttamente legate agli obiettivi nazionali di sviluppo o ai
MDGs.
La terminologia utilizzata all’interno della catena dei risultati può differire a seconda di chi
la usa e al significato che dà ai termini. Per chiarezza in Tabella 4.1 si comparano i termini usati dal
PCM con quelli ora presentati e che saranno di seguito usati nella trattazione.
Tabella 4.1: Corrispondenza terminologie PCM e OECD-DAC
PCM OECD-DAC
Attività Attività
Risultati Outputs
Obiettivi
specifici Outcomes
Obiettivi
generali Impatti
La robustezza del disegno della catena dei risultati è condizione necessaria per una buona
progettazione. Al suo interno andrebbero evidenziati tutti gli elementi del progetto, cercando di
includere anche i possibili fattori esterni, che costituiranno la “mappa” del progetto stesso. Si è già
visto come uno degli obiettivi della valutazione ex-ante sia quello di analizzare la coerenza interna
del progetto, che, detto in altre parole, significa proprio valutare il disegno della catena dei risultati.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
77
In questo lavoro, la catena dei risultati verrà utilizzata per definire gli schemi dei progetti e
consentirne quindi la valutazione. Al fine di una più completa e pertinente trattazione, in base alle
caratteristiche riscontrate dei progetti di cooperazione, il lavoro di tesi ha quindi definito una nuova
catena dei risultati ampliandola e ridefinendo alcuni elementi.
Infatti, i progetti di cooperazione nascono dalla necessità di rispondere ai bisogni delle
persone. Un progetto parte proprio dall’identificazione dei bisogni e dei problemi degli stakeholder.
Lo scopo finale dei progetti sono i risultati, assicurare impatti positivi e duraturi per il gruppo
beneficiario. La buona progettazione di un intervento parte della definizione chiara e condivisa dei
bisogni cui il progetto vuole fronteggiare, e quindi dei risultati finali che si aspetta di conseguire.
In conformità a tali considerazioni la catena dei risultati è stata ridisegnata. Il disegno di
Figura 4.3 costituirà l’ossatura di base di questo lavoro per schematizzare gli elementi del progetto e
quindi valutarli.
NEEDs
RESOURCEs
INPUTs
OUTCOMEs
OUTPUTs
ACTIVITIEs
IMPACTs
PROJECT BOUNDARY
Figura 4.3: La catena dei risultati ridefinita
Come si può notare in Figura 4.3, sono stati aggiunti due elementi alla catena dei risultati: i
Bisogni e le Risorse.
I Bisogni rappresentano le necessità e le aspettative specifiche dei beneficiari. Ottemperare
ai bisogni significa creare i presupposti per conseguire impatti di lunga durata legati al
miglioramento generale delle condizioni di vita e connessi ai MDGs. Come si vedrà nel Paragrafo
4.3.4, nel caso dei progetti energetici una generale definizione dei bisogni può risultare più
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
78
difficoltosa rispetto ad altre tipologie di progetti. Cionondimeno si ritiene che l’inserimento dei
Bisogni come elemento chiave e di partenza della catena dei risultati sia pertinente con gli obiettivi
dei progetti di cooperazione – rispondere alle necessità delle persone – e sia essenziale, quindi,
come elemento di valutazione finale.
Con il termine Risorse si intendono tutte le materie, fonti, capacità e competenze umane
presenti in loco. Gli Input rappresentano tutte le entità materiali o immateriali usate nel progetto,
comprendendo quindi sia le Risorse del posto che fattori portati dall’esterno.
Distinguere nel disegno di progetto le Risorse dagli Input, è utile per rimarcare l’importanza
delle prime. Si ritiene che la definizione di tutte le risorse presenti il loco e del loro potenziale uso,
sia un elemento caratterizzante il progetto e che deve quindi comparire nel disegno dello stesso.
Il termine “chain” (catena) è conveniente da usare, ma in molti casi la realtà è più complessa
di una sequenza lineare di cause ed effetti. In Figura 4.3 si possono osservare i confini del progetto
(linea tratteggiata). I Bisogni e le Risorse sono elementi dati dalle condizioni locali e quindi fuori
dal controllo del progetto (il progetto controlla l’uso che fa delle risorse e la maniera con la quale
definisce e risponde ai problemi). Generalmente, anche gli impatti finali potranno dipendere da
fattori fuori dal controllo del progetto, per questo motivo è utile annotare nella catena dei risultati
come assunzioni ipotetiche anche quelle condizioni e quei rischi che potrebbero influenzare il
progetto.
4.3.2 Le dimensioni da valutare
Valutare una qualsiasi attività vuol dire dare un giudizio sulla qualità della stessa. Tale
giudizio dovrà essere fondato su dei parametri di riferimento che ne caratterizzano la qualità. Nella
revisione della letteratura esposta precedente si sono enunciate varie caratteristiche che qualificano
un progetto. La valutazione dovrà quindi concentrarsi sull’analisi di tali caratteristiche: per dare un
giudizio complessivo di qualità bisognerà quindi osservare i molteplici aspetti rilevanti del progetto
secondo criteri prestabiliti. Si è visto come i progetti di cooperazione, in particolare quelli
energetici, siano multidimensionali. Per valutare questi tipi di progetti risulta essenziale definire dei
punti chiave, o domande a cui rispondere, sui quali focalizzare la valutazione. Oltre che per una
corretta valutazione, definire anticipatamente i criteri di giudizio è utile per evitare soggettività e
incomprensioni nell’esecuzione e nella divulgazione della stessa.
Si è visto (Paragrafo 3.4.1) come nel PCM i tre aspetti principali considerati per garantire la
qualità del progetto siano la rilevanza, la coerenza interna e la sostenibilità cosi definiti:
Rilevanza: la progettazione degli interventi in base ai problemi individuati dei
beneficiari.
Coerenza interna: la consistenza dei legami logici tra gli elementi del progetto.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
79
Sostenibilità: la perdurabilità dei benefici del progetto anche dopo la chiusura dei
lavori.
Per garantire l’ottemperanza di questi tre aspetti, nel PCM si sottolinea l’importanza della
partecipazione attiva durante tutte le fasi di progettazione e della trasparenza, sia nel condurre la
partecipazione, sia nello scrivere e disegnare l’intero progetto.
La comunità internazionale ha definito dei criteri fondamentali per la valutazione dei
progetti. Le principali banche multilaterali (WB, ADB, AfDB...), sebbene ognuna usi differenti
declinazioni e sfumature, per valutare i propri progetti fanno tutte riferimento ai criteri di
valutazione predisposti dall’OECD-DAC. Per dare un’giudizio di qualità sul progetto, evidenziare
sia cosa ha funzionato che quello che non ha avuto successo al fine di imparare per il futuro e
rendere conto ai finanziatori, i criteri di valutazione usati sono:
Rilevanza: l’estensione con cui gli interventi rispondono alle priorità dei beneficiari, ai
programmi dei paesi riceventi, e alle politiche dei donatori.
Efficacia: l’estensione con cui gli interventi rispondono agli obiettivi predisposti, tenendone
in conto anche l’importanza relativa.
Efficienza: misura la relazione qualitativa e qualitativa tra gli Output e gli Input sia del
punto di vista economico che tecnico, per comparare diversi approcci alternativi.
Impatto: i cambiamenti positivi e negativi prodotti da un intervento di sviluppo,
direttamente o indirettamente, intenzionali o non intenzionali. Si includono i principali
impatti e effetti derivanti dalla attività sugli indicatori sociali, economici, ambientali e di
sviluppo. L'esame dovrebbe valutare i risultati sia voluti che non voluti e dovrebbe includere
anche gli effetti positivi e negativi derivanti dai fattori esterni, quali i cambiamenti in
termini delle condizioni commerciali e finanziarie.
Sostenibilità: misura il grado con cui i benefici delle attività potrebbero continuare una
volta finiti i finanziamenti del donatore.
La Commissione Europea (CE), attraverso l’EuropAid – il dipartimento responsabile delle
politiche di cooperazione dell’Unione Europea –, ha implementato i criteri DAC predisponendone
ulteriori due da applicare alle politiche CE.
Coerenza/Complementarietà: con i programmi di sviluppo della CE, e le politiche
del paese beneficiario.
Valore aggiunto alla comunità: l’estensione con cui l’intervento di sviluppo
aggiunge benefici a quelli che si avrebbero avuti dall’intervento isolato di uno Stato
Membro in un paese partner.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
80
Attraverso l’analisi ragionata della letteratura si è giunti alla definizione delle dimensioni
rilevanti della valutazione che rappresentano i criteri, o meglio, i macro-indicatori in base ai quali
si analizzerà il progetto in questo lavoro. Le dimensioni sono state inserite all’interno della catena
dei risultati per evidenziare i collegamenti tra gli elementi della catena stessa. In Figura 4.4 si
possono osservare (in rosso) le dimensioni individuate come rapporti tra gli elementi della catena.
Di seguito vengono fornite le definizioni date alle dimensioni, che in alcuni casi differiscono
leggermente da quelle di letteratura appena esposte.
NEEDs
RESOURCEs
INPUTs
OUTCOMEs
OUTPUTs
ACTIVITIEs
IMPACTs
EFFICIENCY
EFFICACY
RELEVANCE
MDGs,National
development
plansEXTERNAL
COHERENCE
STAKEHOLDERS
EQUITY
INVOLVEMENT
RESOURCES VALUE
INT
ER
NA
L C
OH
ER
EN
CE
SU
ST
AIN
AB
ILIT
Y
Figura 4.4: Le dimensioni della valutazione
Rilevanza: è la misura di quanto il progetto risponde alle reali esigenze dei
beneficiari. Considerando la catena dei risultati la si può definire come il rapporto tra
gli Outcomes e i Bisogni. Valutare un progetto secondo questo criterio significa
rispondere alle domande: “Il progetto risolve dei reali problemi della popolazione?
Quanto sono significativi i risultati del progetto in base alle aspettative dei
beneficiari?”. Un banale esempio di progetto non rilevante potrebbe essere quello di
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
81
portare una connessione internet wireless in una comunità dove non esistono ne
computer ne rete elettrica e allo stato attuale la popolazione non potrebbe neanche
sostenerne i costi. Tale definizione risulta quindi simile a quella riscontrabile nel
PCM mentre rispetto la definizione dell’OECD-DAC è incentrata solo sui Bisogni.
Efficienza: è la misura dell’uso razionale delle risorse per raggiungere gli obiettivi
desiderati. Il suo valore viene calcolato come rapporto tra gli Input e gli Output del
progetto. Risponde alla domanda: “si potevano conseguire risultati analoghi con un
uso minore di materiali/soldi/lavoro? Esistevano alternative migliori?”. La
definizione è del tutto analoga a quella data dal DAC.
Efficacia: rappresenta la misura di come e quanto i prodotti dell’intervento abbiano
contribuito ai risultati voluti. Gli Output del progetto hanno generato gli Outcome
desiderati? Definisce quanto il disegno del progetto fosse appropriato per gli obiettivi
predisposti.
Valore delle Risorse: è la misura di quanto le risorse locali siano state ben usate e
gestite nel progetto. Rappresenta il rapporto tra Risorse e Input. Le materie e le
competenze per svolgere le Attività sono state portate dell’esterno o sono state
valorizzate quelle locali? Il Valore delle Risorse si collega al discorso sugli aiuti
“svincolati” visto nel Capitolo 2. Questa dimensione deriva direttamente dall’aver
inserito l’elemento Risorse nello schema di progetto, infatti in letteratura non si trova
definizione analoga.
Coerenza esterna: rappresenta il grado di accordo e convergenza tra gli Impatti
verificatisi e gli obiettivi dei piani nazionali di sviluppo o dei MDGs. La sua
definizione deriva in parte da quella di rilevanza dell’OECD-DAC ed in parte da
quella di coerenza/complementarità della CE.
Equità: è la stima dell’accessibilità al servizio da parte di tutti i beneficiari.
Rappresenta la percentuale di stakeholder che è beneficiata dagli Outcome. Può
rappresentare anche l’affordability (capacità a pagare) degli stakeholder per il dato
servizio e considera inoltre le eventuali disparità interne alla popolazione non
considerate dal progetto, come quelle di genere.
Coinvolgimento: rappresenta il grado di partecipazione di tutti gli attori chiave.
Definisce se e quanto ci sia stata partecipazione attiva nell’iter decisionale degli
stakeholder. Il coinvolgimento considera anche la Trasparenza, che definisce la
qualità dello stesso rispondendo al “come” si siano prese le decisioni e sia avvenuta
la partecipazione. Deriva direttamente dall’importanza espressa dal PCM sulla
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
82
partecipazione attiva ai fini di una buona progettazione. Una buona partecipazione
attiva ha anche valenza trasversale in quanto può garantire che siano rispettate
dimensioni chiave come la Rilevanza e il Valore delle Risorse.
Impatto: la definizione data è del tutto concorde con quella sopra esposta. L’impatto
risulta quindi sia elemento della catena dei risultati, che dimensione della
valutazione. Nel valutare l'impatto di un progetto, è utile considerare le seguenti
domande: Che cosa è successo a causa del progetto? Che differenza reale ha
apportato l'attività svolta a favore dei beneficiari? Quante persone sono state
beneficiate?
Con l’esposizione delle dimensioni appena delineata si ritiene di poter valutare un progetto
sia nella sua interezza sia nei suoi elementi fondamentali evitando inutili ridondanze, e di aver
sintetizzato e completato quanto riportato in letteratura.
Nello schema di Figura 4.4 si possono osservare anche la Coerenza interna e la
Sostenibilità, caratteristiche progettuali ritenute importanti ma non inserite come dimensioni della
valutazione.
Infatti, in questa trattazione, la sostenibilità è considerata nella sua interezza durante tutto il
ciclo del progetto. La valutazione della stessa deriva direttamente dalla valutazione di tutte le altre
dimensioni attraverso parametri ed indicatori che facciano emergere gli aspetti ambientali, sociali
ed economici che la contraddistinguono. In altre parole il concetto di sostenibilità, cosi come qui
inteso, permea tutta la valutazione e come si nota in Figura 4.4 ne racchiude tutto il disegno. Inoltre,
si ritiene che la perdurabilità dei benefici sia assicurata dal buon soddisfacimento delle altre
dimensioni rilevanti individuate.
Discorso analogo si fa per la coerenza interna. Si è visto come nel PCM questa valuti la
robustezza della catena causale del ciclo del progetto facendo emergere possibili debolezze o punti
di forza dello stesso. Per come sono state precedentemente definite la dimensioni della valutazione,
la coerenza interna viene direttamente valutata a partire dal Valore delle Risorse, dall’Efficienza,
dall’Efficacia e dalla Rilevanza che analizzano i collegamenti tra gli elementi del progetto.
4.3.3 Gli indicatori energetici in letteratura
Le dimensioni della valutazione sopra esposte per essere applicate e consentire la vera e
propria valutazione del progetto dovranno essere popolate da indicatori propriamente scelti in base
alle caratteristiche del progetto e alle definizioni delle dimensioni stesse.
Lo sviluppo di indicatori appropriati risulta, quindi, elemento chiave per la pianificazione e
la valutazione di un progetto.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
83
Un indicatore è un fattore o una variabile, qualitativa o quantitativa, che fornisce un mezzo
semplice e affidabile per misurare i risultati, per riflettere le modifiche connesse ad un intervento, o
per aiutare a valutare le prestazioni di un attore dello sviluppo [44].
La definizione degli indicatori utili per monitorare e valutare il progetto dovrebbe avvenire
già nelle prime fasi di pianificazione dello stesso, in accordo con gli obiettivi predisposti.
In generale si possono distinguere diversi tipi di indicatori. Gli indicatori di stato sono utili
per valutare le condizioni in essere in un determinato istante temporale, principalmente usati nelle
valutazioni ex-ante, per conoscere le condizioni iniziali, i problemi ed i bisogni dei beneficiari e per
poter poi osservare le differenze avvenute grazie agli interventi con la valutazione ex-post. Gli
indicatori di attività, legati a scadenze temporali, sono usati principalmente per il monitoraggio
degli interventi. Gli indicatori di impatto sono utili per valutare lo stato finale conseguente la
chiusura del progetto ed evidenziare le differenze con lo stato iniziale.
Gli indicatori possono essere sia quantitativi che qualitativi. I primi danno evidenze
numeriche facilmente maneggiabili e confrontabili, i secondi possono essere utili, soprattutto per i
progetti di cooperazione, a fare emergere evidenze difficilmente contabilizzabili come gli impatti
sociali. Sia gli indicatori quantitativi che qualitativi risultano essere utili per valutare un progetto,
infatti, la raccolta di evidenze numeriche, riportando, per esempio, il numero di “improved stoves”
prodotte in un determinato lasso temporale, può portare a risultati differenti rispetto a sviluppare
domande qualitative circa come le nuove stufe abbiano cambiato l’uso del tempo, i metodi di cucina
o la nutrizione. Se nel passato si riteneva che l’unico modo per misurare gli impatti fosse attraverso
numeri e percentuali, negli ultimi anni si sta riconoscendo l’importanza di metodi qualitativi, come
interviste, dati multimediali, fotografie, per fare emergere aspettative che dati quantitativi non
possono produrre [42].
Idealmente gli indicatori dovrebbero essere sviluppati in collaborazione con tutti i
partecipanti e le parti interessate. Condurre un tale esercizio può rivelare le diverse aspettative e
priorità dei beneficiari e donatori. Per esempio, in un programma di elettrificazione, uno degli
indicatori suggeriti dal realizzatore del progetto è stato il numero di case collegate alla rete. I
beneficiari, invece, hanno suggerito che l'indicatore utilizzato dovrebbe essere il numero di famiglie
in grado di utilizzare la connessione elettrica per illuminazione per almeno 3 ore ogni notte ogni
mese, riflettendo così le percezioni e i differenti criteri che gli esecutori e i beneficiari stavano
usando per giudicare il successo e la sostenibilità del programma.
I costi e i metodi di raccolta dei dati possono variare molto, ma si è dimostrato che una
buona definizione degli indicatori partecipata con tutti gli stakeholder, sebbene inizialmente possa
costare più soldi e tempo, diminuisce drasticamente il rischio di fallimento del progetto [42].
Per valutare un progetto è essenziale misurare i cambiamenti risultanti dalle attività svolte. I
cambiamenti diretti – Outputs – come il numero di stufe prodotte dalla comunità, possono risultare
più facilmente misurabili degli Outcomes (come la riduzione di consumo di legna) e degli Impatti
(come il miglioramento delle condizioni di salute o di genere). Quindi per valutare completamente
un progetto di sviluppo bisogna essere capaci di integrare indicatori sia per calcolare i più concreti
risultati del progetto, sia per misurare e descrivere i risultati legati alle più ampie nozioni di
sviluppo.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
84
Le caratteristiche generali che un buon indicatore deve avere sono definite dall’acronimo
SMART che significa:
Specific all’obiettivo che deve misurare.
Measurable sia qualitativamente che quantitativamente. Ad, esempio se è espresso come
valore percentuale si deve specificare rispetto a cosa questa percentuale viene calcolata.
Available e Affordable. È opportuno valutare i costi per il reperimento dei dati e pesarli in
base al valore che questo indicatore va ad aggiungere al processo di monitoraggio.
Relevant nel fornire informazioni ai gestori.
Time-bound, cosicché si possa capire in che momento aspettarsi che gli obiettivi siano stati
raggiunti.
Nella ricerca bibliografica svolta sugli indicatori in ambito energetico, si sono incontrate due
principali fonti che, per le loro caratteristiche risultano interessanti da proporre in questo lavoro e
che saranno quindi descritte di seguito.
Indicatori energetici per lo sviluppo sostenibile
Gli indicatori energetici per lo sviluppo sostenibile (EISD) sono stati definiti nella
pubblicazione “Energy Indicators for Sustainable Development: Guidelines and Methodologies”
nell’Aprile del 2005 a Vienna, nata da un’iniziativa internazionale avente lo scopo di definire le
metodologie e le linee guida per il calcolo e per l’utilizzo di parametri che fossero universalmente
riconosciuti come idonei a descrivere il livello di sviluppo di un Paese. È stato possibile portare a
termine questo lavoro con successo grazie alla partecipazione delle più importanti associazioni non
governative quali International Atomic Energy Agency (IAEA), United Nations Department of
Economic and Social Affairs (UNDESA), International Energy Agency (IEA), Eurostat e European
Environment Agency (EEA) [45].
Le strutture tematiche, le linee guida, le metodologie e gli indicatori energetici presentati nel
documento riflettono l‘esperienza delle agenzie riconosciute in tutto il mondo come leader per le
analisi dell’ambiente e dell’energia. Grazie a questa collaborazione sinergica è stato possibile
fornire agli utenti dei mezzi di analisi per lo sviluppo sostenibile più comprensibili e universalmente
accettati.
Gli indicatori EISD possono essere considerati indicatori di “stato”. Risultano quindi utili
per valutare lo stato energetico di un paese o di una regione e non sono direttamente collegati
all’attività progettuale, se non per calcolare le differenze a livello nazionale risultanti prima e dopo
lo svolgersi di un grosso progetto.
Il grande interesse suscitato da questi indicatori deriva dal fatto che sono stati elaborati
considerando le tre sfere della sostenibilità: gli aspetti economici, quelli sociali e quelli ambientali.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
85
Per stabilire se l’uso attuale dell’energia sia sostenibile, e per modificarlo nel caso non lo
fosse, si utilizzano quindi indicatori che vengono calcolati in relazione alle tre dimensioni dello
sviluppo sostenibile evidenziandone l’importanza anche a livello di decision-making.
Ogni set di indicatori rappresenta aspetti e conseguenze della produzione e dell’uso
dell’energia e, considerati tutti insieme, questi indicatori dipingono un quadro completo dell’intero
sistema, incluse interconnessioni e scambi tra le varie dimensioni dello sviluppo sostenibile e le
implicazioni a lungo termine delle decisioni attuali. Il cambiamento del valore dell’indicatore nel
tempo evidenzia il progresso o la mancanza di progresso in direzione dello sviluppo sostenibile.
Lo stesso valore per un dato indicatore energetico non ha lo stesso significato per due diversi
stati. Il significato dipende dal livello di sviluppo del paese, dalla natura della sua economia, dalla
geografia, dalla disponibilità di risorse energetiche locali, etc; quindi si deve essere cauti nel
confrontare gli indicatori di diverse nazioni. Ad ogni modo la variazione del valore di un indicatore
per un singolo stato aiuta a quantificare il progresso dello stato stesso.
Come detto, alcuni indicatori focalizzano l’attenzione sui servizi legati all’energia al fine di
ridurre la povertà e migliorare le condizioni di vita, mentre altri riguardano l’impatto ambientale.
Gli indicatori EISD sono in totale 30 e sono suddivisi, classificati in tre dimensioni: sociale,
economica ed ambientale. Questi sono ulteriormente ripartiti su 7 temi e 19 sottotemi. Alcuni
possono essere inclusi in più di una dimensione grazie all’interconnessione tra le varie categorie.
Ad esempio l’indicatore SOC2, e annoverato nella dimensione sociale, considera anche la questione
economica poiché richiede la spesa sostenuta per l’acquisto di energia. L’ECO12 e l’ECO13 non
riguardano strettamente solo la sfera economica ma anche l’impatto ambientale (Tabella 4.2).
Tabella 4.2: Gli indicatori EISD
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
88
Fonte: Energy Indicators for Sustainable Development: Guidelines and Methodologie, 2005. [45]
I Key Impact Indicators per progetti finanziati dall’ACP-EU Energy Facility
I progetti implementati sotto la ACP-EU Energy Facility sono accomunati dagli stessi
obiettivi generali elencati in seguito [46]:
Miglioramento delle condizioni di vita
Aumento dell’accesso ai servizi energetici per i poveri
Aumento della copertura di infrastrutture energetiche in aree rurali e peri-urbane
Miglioramento della governance e della gestione del settore energetico
Tutti i progetti finanziati con il supporto dell’Energy Facility si basano sulla metodologia del
PCM e sono obbligati ad impostare la matrice del Logical Framework. Nel LogFrame dovranno
quindi essere inseriti gli indicatori di monitoraggio e valutazione specifici del progetto. Questi
indicatori specifici andranno selezionati in accordo alla seguente procedura:
1. Rilevanza per ciascuno scopo dei componenti dell’Energy Facility e risultati attesi
2. Rilevanza degli obiettivi generali e lo scopo del progetto
3. Considerazione di indicatori già applicati per gli obiettivi generali del progetto e obiettivi
del progetto, in accordo con il LogFrame.
Per consentire una valutazione univoca degli impatti, a tutti i progetti sotto la ACP-EU
Energy Facility viene richiesto di redigere un set di indicatori chiamato Key Impact Indicators.
Questi indicatori chiave saranno comuni a tutti i tipi di progetto permettendone quindi confronti. Se
i singoli progetti svilupperanno indicatori riferiti alle proprie specificità, gli impatti globali sono
comuni e dovranno quindi essere calcolati allo stesso modo per tutti i progetti. Inoltre risulta
efficace conoscere, già in fase di pianificazione del progetto, gli impatti globali desiderati per
permettere una pianificazione e gestione del progetto più mirata.
I Key Impact Indicators si dividono in tre categorie principali nelle quali gli impatti di tipo
sociale risultano preponderanti, evidenziando come anche un progetto energetico debba in ultimo
considerare e valutare aspetti sociali.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
89
I Key Impact Indicators si dividono in:
Miglioramento del benessere/condizioni di vita
o Diminuzione della percentuale di popolazione che vive con meno di 1$ PPP
o Creazione di nuove imprese nelle aree del progetto come risultato verificabile degli
output del progetto
o Posti di lavoro creati nell’area del progetto come risultato verificabile degli output
del progetto
Miglioramento dell’accesso ai servizi energetici
o Posti in ospedali e cliniche connessi alla rete elettrica nell’area di progetto
o Posti in ospedali e cliniche con livelli di consumo dell’energia elettrica annuale
adeguato
o Scuole connesse alla rete elettrica
o Scuole con livelli di consumo dell’energia elettrica annuale adeguato
o Pompe per l’acqua alimentate con elettricità o con combustibile nei centri della
comunità
o Mulini motorizzati nelle cooperative rurali e piccole imprese
o Attrezzature moderne per cucinare (es. stufe)
o Abitazioni con accesso ad una luce per leggere in una stanza almeno per 4 ore al
giorno
o Consumo totale di elettricità nelle famiglie
o Beneficiari con accesso all’elettricità proveniente dalla rete elettrica
o Beneficiari con accesso all’elettricità non proveniente da rete elettrica
o Capacità installata grazie al progetto
Miglioramento della governance
o Numero di piani e strategie presentati ed approvati
o Numero di reti di stakeholder attive un anno dopo l’inizio del progetto
o Numero di stakeholder chiave formati per la pianificazione per la gestione del
progetto.
4.3.4 La definizione dei bisogni
I progetti di cooperazione nascono dalla necessità di rispondere ai bisogni delle persone.
Fondamentale, quindi, risulta conoscere i bisogni energetici dei beneficiari. Ma quali sono i bisogni
basici di energia? Esiste un valore di riferimento di consumo di energia che garantisca il benessere?
Riuscire a identificare valori di riferimento riguardo la quantità e la qualità di un bene o di
un servizio da fornire è di rilevante importanza come parametro di ingresso alla progettazione. La
comunità internazionale ha sempre cercato di definire degli standard in ogni settore. Si pensi, ad
esempio, ai progetti sull’acqua: la quantità giornaliera minima vitale di acqua è stata definita
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
90
dall’OMS, gli standard di qualità affinchè un’acqua sia potabile si incontrano nelle legislature di
tutti i paesi. Per l’energia si riesce ad arrivare ad un grado di sintesi e di dettaglio cosi preciso?
L’energia nella vita delle persone viene usata in diverse forme – elettricità, calore, energia
meccanica… – e risponde a molteplici bisogni. Proprio per queste ragioni risulta difficile calcolare
e sintetizzare in un singolo valore le molteplici necessità che l’energia adempie. Inoltre l’energia
non è che un mezzo per compiere attività e generare servizi, e quindi quali di queste attività possono
essere svolte con forme di energia primordiali e “grezze”, come la forza umana o animale, senza
inficiare il benessere della persona o della comunità? Come si definiscono i bisogni basici in questo
caso?
Per rispondere a queste domande non basta il buon senso unito a strumenti tecnici, ma sono
necessarie un gran numero di ipotesi ed assunzioni, per la maggior parte legate al contesto
ambientale specifico.
In letteratura esistono alcuni esempi di calcoli per definire il fabbisogno energetico
giornaliero di una persona. Si veda ad esempio il Word Energy Assessment del 2002, che riporta
una potenza di 0,1 kW per persona per soddisfare i bisogni basici (80% per cucinare, 20% per
l’elettricità) in ambiente rurale dove non ci sia necessità di riscaldamento [47]. Altre fonti riportano
consumi di 50-100 kWh per persona all’anno di elettricità per soddisfare bisogni essenziali quali
l’illuminazione, la salute, l’educazione, la comunicazione e i servizi di comunità, e ulteriori 50-100
kg di petrolio equivalente di combustibili moderni per la cucina ed il riscaldamento (equivalenti a
0,14-0,17 kWh/d pro capite di energia elettrica, e 1,6-3,2 kWh/d pro capite di energia termica) [48].
Anche la definizione di povertà energetica (energy poverty) è molto discussa: Modi et al.[49]
calcolano un valore di 50 kg di petrolio equivalente di energia commerciale annua per capita come
valore minimo essenziale (40 kg petrolio equivalente per cucinare e i restanti elettrici). Altri
approcci definiscono una soglia del 10-30% del reddito speso per servizi energetici come
riferimento di povertà energetica [50].
Questi calcoli si basano su molteplici ipotesi e assunzioni arbitrarie sia riguardo ai consumi
degli apparecchi sia alla definizione di cosa è un bisogno basico, e prestano poca attenzione al tipo
di fonti di energia disponibili [51].
In tabella 4.3 vengono riportati alcuni valori di consumi di elettricità in zone rurali incontrati
in letteratura e riferiti ad analisi di contesto di situazioni reali. Per permettere un confronto
nell’ultima colonna sono riportati i consumi con uguale unità di misura (kWh/d pro capite),
calcolati a partire dai valori della prima colonna considerando una famiglia media di 5 persone ove
necessario.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
91
Tabella 4.3: Livelli di consumo di elettricità in zone rurali
Consumo rurale di elettricità Paese Referenza
KWh/d pro capite
10 kWh/y pro capite Uganda UN-WATER/WWAP/2007/02. 0,03
27 kWh/mese per famiglia Perù
Peru: National survey of rural household energy use. ESMAP 0,17
20 kWh/mese per famiglia Perù
Experencias Latino Americanas en el desarollo de proyectos de electrificacion rural. 0,13
In questo lavoro risulta fondamentale un’analisi dei bisogni energetici delle popolazioni
rurali. Secondo lo schema di progetto adottato, la catena dei risultati inizia con l’identificazione dei
bisogni dei beneficiari. Di seguito si esporrà quindi un’analisi qualitativa dei possibili bisogni cui
l’energia deve rispondere in zone rurali.
Il primo passo che è stato fatto per calcolare i bisogni è stato quello di definire tre scenari
differenti che potessero comprendere tutte le casistiche incontrate in letteratura. Gli scenari sono
stati costruiti perché le necessità delle comunità in aree rurali dei PVS non sono omogenee, anche a
piccole distanze le caratteristiche possono variare significativamente. I tre scenari di consumi sono
stati cosi definiti:
Essenziale: corrisponde ad uno scenario in cui l’uso dell’energia è il minimo per la
sopravvivenza in una realtà di mera sussistenza.
Basico: i bisogni ed i consumi aumentano migliorando le condizioni di vita dei
singoli e della comunità.
Complementario: i bisogni ed i consumi aumentano includendo anche attività
economiche.
Successivamente, sempre in base a quanto osservato in letteratura sono state catalogate le
categorie di consumi in: domestici, servizi comuni, agricoltura e piccole imprese (Figura 4.5).
Per i servizi comuni sono state identificate le sottocategorie: scuole, centri sanitari e
community center che comprende anche possibili servizi delocalizzati come il pompaggio
dell’acqua e l’illuminazione pubblica.
Sia per la categoria agricoltura che per la categoria piccole imprese, sono stati considerati i
bisogni energetici riscontrati dall’analisi di comunità rurali più comuni. Per l’agricoltura è stato
notato che i principali consumi energetici che si sviluppano per primi in presenza di fonti di energia
sono collegati alla preparazione della terra, all’irrigazione, all’essicamento e all’uso di recinzioni
elettriche. Nella categoria della piccola industria sono inserite solo basiche attività di ridotte
dimensioni come la lavorazione dei metalli, la produzione di latte e pane, la carpenteria e la
macelleria.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
92
CATEGORIES
Domestic
Community services
agricultural
Small enterprices
Schools
Health centers
Community centers
Figura 4.5: Le categorie dei bisogni
In Tabella 4.4, 4.5, 4.6, sono elencati i possibili bisogni riscontrati dall’analisi di letteratura
in base agli scenari. Le tabelle sono divise in base alle categorie sopra esposte. Tale elenco non
vuole essere esaustivo ma comprende un’ampia gamma di consumi riscontrati nelle comunità rurali,
permettendo quindi di sviluppare un’idea di base delle possibili necessità.
Tabella 4.4: I bisogni energetici essenziali per comunità rurali
CATEGORY SUBCATEGRY USES
Domestic Domestic Cooking
Domestic Domestic Ligthing
Community services
Health services Ligthing
Community services
Health services Refrigeration
Tabella 4.5: I bisogni energetici basici per comunità rurali
CATEGORY SUBCATEGRY USES
Domestic Domestic Communication,
Information
Domestic Domestic Heating
Domestic Domestic Cooling
Community services
Education Ligthing
Community services
Education Communication,
Information
Community services
Health services Electric appliances
Community services
Community center Water pumping
Community services
Community center Public light
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
93
Tabella 4.5: I bisogni energetici basici per comunità rurali
CATEGORY SUBCATEGRY USES
Domestic Domestic Ventilation
Domestic Domestic
Other Electric Appliances
Community services
Education Cooling/heating
Community services
Health services Cooling/heating
Community services
Health services Comunication Information
Community services
Community center
Ligthing
Agriculture Agro
Land preparation
Agriculture Agro Irrigation
Agriculture Agro Drying
Agriculture Livestock Water pumping
Agriculture Livestock Electric fences
Small enterprices
Carpentry Other electric
appliances Drill
Small enterprices
Carpentry Other electric
appliances Circular saw
Small enterprices
Carpentry Other electric
appliances Sander
Small enterprices
Carpentry Other electric
appliances Keyhole saw
Small enterprices
Bakery Other electric
appliances Mixer
Small enterprices
Metalworking Other electric
appliances Electric Welder
Small enterprices
Metalworking Other electric
appliances Bench grinder
Small enterprices
Metalworking Other electric
appliances Polishing
Small enterprices
Metalworking Other electric
appliances Compress
gun
Small enterprices
Production of grain flours
Other electric appliances
Mill
Small enterprices
Milk production Other electric
appliances Milker
Small enterprices
Milk production Refrigeration Refrigerator
Small enterprices
Butcher shop Refrigeration Refrigerator
Small enterprices
Butcher shop Other electric
appliances Circular saw
In base a quanto emerso da Tabella 4.4, i bisogni sono stati riassunti e schematizzati secondo
Figura 4.6. Tale schema permette una visualizzazione e catalogazione più immediata dei possibili
bisogni, evidenziando anche le forme e fonti di energia che possono portare al soddisfacimento
degli stessi.
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
94
DOMESTIC
Biomass and or fuels
Electricity
COMMUNITY
AGRICULTURAL
Land preparation Irrigation Water pumping Drying Electric fences
ENTERPRICES
Lighting
Powering appliances
Communication and information
Refrigeration Ventilation Cooling Other appliances
Refrigeration Communication
and information Water pumping Pubblic light Ventilation Cooling
Powering appliances
Lighting
Powering appliances
Lighting
Powering appliances
Electricity
Electricity
Essential
Basic
Complementary
Heating
Cooking
Electric applaiances
Biomass and or fuels
Electricity
Cooking
Figura 4.6: Schematizzazione dei bisogni energetici
Il caso più emblematico di bisogno dipendente dalle condizioni locali è quello del
riscaldamento, qui classificato come basico. Ovviamente, a seconda del clima e dell’altitudine del
luogo, il riscaldamento dell’ambiente può risultare essenziale come, al contrario, complementario se
non inutile. Si può considerare una temperatura domestica diurna attorno ai 12°C come standard
Capitolo 4: Metodologia di Ricerca
95
minimo [3], condizione verosimilmente spesso naturalmente verificate in molti PVS. Generalmente
la necessità del riscaldamento viene trattata unitamente a quella della cucina. Spesso sono proprio i
fumi e i gas caldi delle stufe per la cucina a garantire una fonte di riscaldamento interno. In questi
casi, qualora un progetto prevedesse l’applicazione di stufe efficienti provviste di canna fumaria per
cucinare, bisogna valutare la perdita di calore domestico e le possibili conseguenze.
L’illuminazione è un bisogno umano essenziale. Le persone che non possono “accendere la
luce” nelle loro case dopo il tramonto perdono molte ore produttive. Uno standard minimo
quantitativo di necessità d’illuminazione domestica è stato proposto pari a 300 lumen per abitazione
[50]. L’illuminazione risulta inoltre fondamentale per i centri sanitari, gli ospedali e le scuole.
L’illuminazione può essere garantita sia attraverso l’uso di candele e di combustibili quali il
kerosene, e l’elettricità. Una lampadina a incandescenza da 100 W fornisce circa 12,8 kilolumen per
kWh, mentre una lampada a kerosene 0,1kLm/kWh. Le lampadine a fluorescenza sono, inoltre,
quattro volte più efficienti di quelle a incandescenza. L’elettricità è da considerarsi la forma più
adatta e moderna confrontando le emissioni inquinanti, la qualità della luce, la sicurezza e i costi di
approvigionamento [3].
Un altro bisogno essenziale è quello di cucinare: circa l’80% dei cibi vengono consumati
cotti [52]. Le condizioni e i conseguenti impatti delle tipologie di combustibili e tecnologie per la
cottura nei PVS sono state descritte nel Capitolo 1. Anche in questo caso la quantificazione dei
bisogni risulta difficoltosa e dipendente dalla tipologia di combustibile e dalla tecnologia in uso.
Una proposta di standard minimo per valutare le necessità calorifiche per la cottura è di un consumo
di 1 kg di legna o 0,3 kg di charcoal o 0,04 kg di GPL o 0,2 litri di kerosene al giorno per persona
utilizzando una stufa che abbia un’efficienza almeno del 40% maggiore rispetto al fuoco aperto
[53].
Essenziale è stato considerato il bisogno di mantenere a temperature adeguate i medicinali
nel centro medico. In questo caso, come in tutti i casi in cui sia necessaria l’elettricità per alimentare
apparecchiature, un’idea quantitativa del bisogno può essere fornita dai consumi specifici dei
macchinari, dalle ore di utilizzo e dal numero di persone che la stessa apparecchiatura serve.
La comunicazione e l’accesso alle informazioni sono fattori intrinsechi alle relazioni sociali
ed economiche delle persone. Il bisogno di accedere alle tecnologie di comunicazione e
informazione (information & communication tecnologies, ICTs) è stato classificato come basico.
Le ICTs sono principalmente le radio, i televisori, i computer (e l’accesso a internet) e i telefoni.
Altri bisogni, classificati come basici o complementari in Figura 4.6, richiedono
principalmente l’uso di macchinari ed apparecchiature elettriche per essere soddisfatti.
In conformità con Figura 4.6 si sono quindi classificati i bisogni in base all’energia
impiegata per soddisfarli: energia destinata ad usi termici, principalmente prodotta da combustione
per le esigenze di cucina; energia elettrica per soddisfare i bisogni di illuminazione e di
alimentazione di apparecchiature elettriche. Ciò ha permesso di delineare due macro tipologie di
interventi che verranno descritte nel successivo capitolo: il miglioramento delle condizioni legate
alle necessità di cucina, e gli interventi di accesso all’energia elettrica.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
96
5. Sviluppo del Modello di Valutazione
Lo sviluppo del modello di valutazione si basa sui concetti esposti nei paragrafi precedenti:
il progetto viene schematizzato secondo gli elementi della catena dei risultati, quest’ultima parte
dalla definizione dei bisogni, e la valutazione è basata sulle dimensioni precedentemente delineate.
In base all’analisi dei bisogni si è giunti a considerare due differenti tipologie di progetti
energetici nelle zone rurali: progetti che rispondono all’esigenza di cucinare, e progetti che,
mediante la fornitura di elettricità, soddisfano le esigenze di illuminazione e di alimentazione dei
vari macchinari ed elettrodomestici elettrici. Queste due tipologie saranno analizzate di seguito
separatamente.
Per entrambe si è costruito uno schema di progetto disegnato in conformità alla catena dei
risultati e basato su quanto visto in letteratura. Gli schemi presentati vogliono racchiudere in
maniera sequenziale e logica tutte le possibili attività e i conseguenti plausibili risultati che le due
tipologie di progetto possono affrontare. Gli schemi di progetto non si riferiscono quindi a una
situazione specifica e reale, ma, bensì, mirano ad allineare le principali evidenze che emergono dai
singoli interventi. Un progetto specifico potrà quindi sviluppare solo una parte dello schema che
verrà presentato. Lo schema generale vuole essere di indirizzo e contorno delle varie possibilità
esistenti, i progetti specifici dovranno poi sviluppare i propri schemi in base alle loro peculiarità.
Descritti gli schemi di progetto, verranno quindi individuati gli aspetti da valutare e i
conseguenti possibili indicatori basandosi sugli schemi stessi. Gli indicatori cosi ottenuti verranno
quindi rielaborati per formare le dimensioni della valutazione. Oltre agli indicatori EISD e i Key
Impact Indicators, presentati in Paragrafo 4.3.3, altre fonti studiate sono state: gli indicatori delle
banche dati della WB, della IEA, dell’UNDP e gli indicatori riportati dalla Global Reporting
Initiative.
La descrizione dei progetti ideali sarà affiancata dall’analisi di un progetto reale, scelto per
la corrispondenza dei bisogni cui vuole rispondere con quelli sopra delineati. Ciò permetterà di
osservare l’applicazione ad un caso reale del modello, facendo emergere le differenze e le
specificità del caso reale rispetto a quello ideale. Il progetto presentato è sviluppato dal 2006 da una
ONG italiana, LVIA, in partnership con altri attori locali ed internazionali ed è intitolato:
“HydroBioPower: livelihood improvement in rural area through collaborative development of
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
97
renewable energy sources in Oroma and Southern Nations Regional States of Ethiopia”. Gli
obiettivi generali che si propone sono l’aumento dell’accesso ai servizi energetici nelle aree rurali, il
miglioramento della gestione e della governance energetica e il miglioramento della cooperazione
cross-boarder nel settore energetico. L’aumento all’accesso all’energia viene sviluppato mediante
schemi casalinghi di produzione a basso costo di biogas per le esigenze di cucina, e pico-micro
impianti di produzione idroelettrica a livello di villaggio per soddisfare principalmente i bisogni di
illuminazione (si vedano i Box).
In conclusione si vuole sottolineare come, data la generalità dell’approccio, non si
valuteranno direttamente le singole tecnologie, ma l’appropriatezza delle stesse deriverà dalla
valutazione globale del progetto. La scelta della tecnologia più appropriata in un progetto energetico
usa approcci e principi simili a quanto definito nel caso del progetto: si basa sull’individuazione dei
bisogni e del contesto locale confrontando tra le possibili scelte tecnologiche la più sostenibile
economicamente, socialmente ed ambientalmente. Data la similitudine dei concetti, si ritiene che
valutando il progetto nel suo complesso emerga indirettamente anche una valutazione della
tecnologia scelta.
HydroBioPower project
L’obiettivo principale del progetto è di migliorare l’accesso ai servizi energetici delle popolazioni rurali povere in
Etiopia, in particolare in villaggi isolati. Nelle zone rurali dell’Etiopia la dipendenza da fonti energetiche
tradizionali è superiore al 99,5%, e meno dell’1% della popolazione ha accesso all’elettricità.
Le attività che il progetto predispone di svolgere sono principalmente tre: lo sviluppo di sistemi per la produzione
di biogas a livello domestico; l’implementazione di impianti idroelettrici di piccola taglia a livello di villaggio; e
attività di formazione e capacity building.
I principali risultati che il progetto auspica sono:
1) L’implementazione per 1.400 famiglie di sistemi di biogas a basso costo in 45 villaggi
1.400 schemi di biogas per 8.400 beneficiari
Costruzione di 200 latrine connesse agli impianti
20 piccole imprese formate sulla costruzione, l’installazione e il mantenimento
Fornitura del capitale iniziale nei 45 villaggi
Sensibilizzazione su questioni sanitarie per i beneficiari dei 45 villaggi
2) La costruzione di 10 impianti idroelettrici per servire 10 comunità rurali
Costruzione di 5 pico (5-6 kW) e 5 micro (12-14 kW) per circa 18.500 beneficiari
Piani finanziari e erogazione di prestiti per i 10 schemi
85 kW di potenza totali
10 operatori formati per O&M
70 membri di 10 comitati elettrici formati
Sensibilizzazione su questioni ambientali per i beneficiari dei 10 villaggi
3) Capacity building
16 funzionari regionali e 3 locali formati sulle tecnologie idroelettriche
16 funzionari regionali e 3 locali formati sulle tecnologie di digestione anaerobica
Definizione di standard di qualità per le due tecnologie
Disseminazione di informazioni sui benefici delle due tecnologie per 15.00 persone
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
98
5.1 Il caso cooking
Nel Capitolo 1 si è visto come l’uso di combustibili tradizionali, come la biomassa solida
composta principalmente da legna, charcoal, residui agricoli e sterco animale, combusta con
tecnologie povere come il fuoco aperto o stufe non efficienti e sprovviste di canna fumaria, sia
diffusa nelle zone rurali dei PVS. Si sono inoltre descritte le conseguenze e gli impatti che queste
pratiche comportano sulla salute delle persone, il consumo di tempo, le condizioni di genere ed
economiche. Nel precedente capitolo, grazie all’analisi dei bisogni, si sono definite le esigenze
legate alle attività di cucina come le principali incombenze legate all’uso di energia da risolvere e
migliorare. Di seguito sarà quindi esposto il modello per i progetti che rispondono a tale bisogno.
5.1.1 Lo schema di progetto
Una delle principali attività che i progetti mettono in atto per cambiare le condizioni legate
alle necessità di cucina è la costruzione e diffusione di stufe più efficienti (improved stoves). Queste
permettono combustioni efficienti con conseguente risparmio di combustibile e riduzione di
emissioni inquinanti sia per la più completa combustione sia per il veicolamento dei fumi
all’esterno della casa. Parallelamente, un’altra attività che un progetto può intraprendere è il cambio
di combustibile (fuel switch) (può essere inteso anche l’uso di elettricità con cucine elettriche). Tale
opzione svincola le famiglie dall’ attività di ricerca e procacciamento di legna, può garantire
migliori combustioni, minori emissioni e costanza nella fornitura. Tutte le tipologie di progetti
possono prevedere attività formative e di sensibilizzazione in loco. Se lo scopo ultimo di un
progetto è che le attività proseguano anche una volta finito l’intervento, bisognerà valutare
l’esistenza o meno di conoscenze in loco in grado di proseguire le attività e come il progetto si sia
mosso in tale direzione.
In Figura 5.1 è riportato lo schema di progetto che risponde al bisogno di cucina. In aggiunta
alle attività appena descritte si riportano le attività di gestione e controllo, presenti in tutti i progetti.
Nello schema si possono notare i nessi logici tra i vari elementi del progetto a partire dal bisogno
fiano ad arrivare ai MDGs.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
99
Cooking
Materials, labour, money
Diffusion of improved stoves and/or fuel switch
Use of improved stoves in houses
Reduced replacement
frequency
Reduced wood (fuel)
consumptionTime saved
Reduced indoor pollution
Creation of improved stoves market & istitutional capacity building
Job, expertise, income creation
Improved child care
Increase school attendance for girls
Money saved
Time saved Money
saved Forest (fuel)
saved
Less health deseases
Money earned
NEED
ACTIVITIEs
INPUTs
OUTPUTs
OUTCOMEs
IMPACTs
MDGs PovertyEducation
Gender
Poverty
Gender
Education
Environment
Health Poverty
Awareness & training campains
Nutrition chanches
Management & control
Figura 5.1: Schema di progetto del caso cooking
Nella valutazione degli interventi bisognerà considerare sia quanto questi sfruttino le risorse
locali – ad esempio se le stufe vengono costruite in loco favorendo la crescita di competenze e la
creazione di un vero e proprio mercato locale, o se, al contrario, vengono direttamente importate da
un paese terzo – sia quanto il progetto lascia, sempre a livello locale, come competenze e mezzi che
possano assicurare la perdurabilità delle attività nel tempo.
I due principali Output delineati sono l’uso delle stufe (nuovi combustibili) a livello
domestico e la creazione del mercato unitamente al capacity building istituzionale e locale. Si è
considerato principalmente l’uso delle stufe nelle case, le stesse potranno essere destinate anche ai
centri comuni come le scuole e i centri medici, producendo analoghi benefici.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
100
5.1.2 Definizione degli indicatori di progetto
Basandosi sullo schema di Figura 5.1, si sono quindi elencati gli aspetti da tenere in
considerazione nella valutazione e i conseguenti possibili indicatori. Questi derivano direttamente
dallo schema di progetto e sono quindi riportati per tutti gli elementi presenti nello schema in
maniera sequenziale. Lo scopo di questi indicatori è quella di fornire un’idea di tutti gli aspetti che
emergono nel progetto, dare un’indicazione per valutarli e permettere una successiva costruzione
delle dimensioni della valutazione basata proprio sugli aspetti salienti dello schema di progetto.
Data la generalità dello schema molti di questi indicatori sono da considerarsi indicatori “vuoti” che
possono essere specificati in base alle caratteristiche dei singoli progetti.
HydroBioPower project
Biogas Schemes
Il progetto HydroBioPower, nella sua parte dedicata a rispondere alle esigenze di cucina grazie
all’implementazione di sistemi di produzione di biogas, può presentare uno schema di progetto del tutto analogo
a quello descritto per il caso generale.
L’attività principale svolta è l’implementazione di digestori anaerobici per la produzione di biogas a livello
domestico che garantirebbero il combustibile necessario per cucinare mediante un bruciatore fornito anch’esso
dal progetto. I beneficiari usufruiscono quindi sia di un cambio di combustibile sia di un’attrezzatura per la cucina
più efficiente.
Il digestore, come tutte le componentistiche annesse, sono fatti di materiali plastici disponibili sul mercato locale e
la costruzione dello stesso non richiede grandi competenze. L’ONG si prende carico di implementare un esiguo
numero di sistemi pilota, formando piccole imprese e supervisionando poi le stesse nel vero e proprio sviluppo
delle attività. Sono predisposte inoltre attività formative e di sensibilizzazione sia verso gli utenti finali che verso
gli ufficiali pubblici. Quindi anche la parte di creazione del mercato locale e di capacity building istituzionale e
locale può essere schematizzata come nel caso generale.
Di conseguenza anche gli Outcomes e gli Impatti potranno essere considerati similari a quelli presentati in Figura
5.1, con l’aggiunta dei possibili impatti derivanti dall’uso del digestato come fertilizzante agricolo e la conseguente
diminuzione sia di spese per l’acquisto che di degradazione del suolo.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
101
Tabella 5.1: Gli Inputs del caso cooking
INPUTs
Input LABOUR
What to measure Time of work to develop activities
Number of employer to develop activities
Indicators hours worked time
personell employed # persons
local personell employed # persons
external personell employed # persons
…
Input MATERIALS
What to measure Amounts of the materials used for the project's activities
Nature of the materials used for the project's activities
Indicators masses of materials by nature weight
geographical origin of the materials geographical, distance
energy consumed for stove production kW
…
Input MONEY
What to measure Financial resourses for the project
Indicators investment cost of the project $
operational costs of the project $
total financial cost $
costs by activities $
costs for subsidies $
…
Tabella 5.2: Gli Outputs del caso cooking
OUTPUTs
Output USE OF IMPROVED STOVES
What to measure Increase of use of improved stoves Life cycle of improved stoves
Indicators number of improved stoves provided in houses # stoves
number of household using improved stoves # persons
Frequency of use time, frequency
maintenance of stoves frequency
durability of the stoves time
avaibility of stoves' manuals Y/N
daily forniture of new combustible amount, $
…
Output IMPROVED STOVES MARKET & CAPACITY BUILDING
What to measure Increase in the production of improved stoves
Increase of sold of improved stoves
Price of improved stoves
Subsidy coverage
Type of promotion campains
Trainers and producers with tecnical and business skills
Marketing level
Creation of awareness within the society
Indicators number of stove produced # stoves
number of stove sold # stoves
number of distributors or selling points # persons
number of officers and producer trained # persons
number of trainings carried out by new trainers # persons
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
102
number of marketing campaigns # activities
type of promotion campaigns -
number of people reached by campaigns # persons
sold price of the stove $
sold price of the combustible $
number and type of special tariff or subsidy # tariff, $
…
Tabella 5.3: Gli Outcomes del caso cooking
OUTCOMEs
Outcome TIME SAVED
What to measure Time saved because less firewood is needed
Time saved because less time for cooking is needed
Time for new activities
Indicators decrease time spent for fuel collection (men/women) time
decrease average cooking time (men/women) time
saved time used for other activities (men/women) time
time spent tending the food time
…
Outcome REDUCED WOOD (FUEL) CONSUMPTION
What to measure Amount of wood/fuel consumption during a given period of time
Money spent on ensuring fuel supply
Indicators wood/fuel consumed (before/after) amount
wood/fuel expenditures (before/after) $
wood fuel storage (before/after) space
part of income spent on fuel (before/after) $, %
amount of wood/fuel sold (before/after) amount
variation in wood/fuel prices $
…
Outcome REDUCED INDOOR POLLUTION
What to measure Emission from improved stoves
Exposure of household members to emissions
Indicators amount of fuel consumed (before/after) amount
concentration of smoke in the house during cooking (before/after) concentration
concentration of air pollutants (before/after) concentration
time of exposition time
…
Outcome JOB, EXPERTISE, INCOME CREATION
What to measure Income generated through sale of improved stoves
Jobs created in production and promotion of improved stoves
Indicators number of stove producers #
number of distributors #
income generated by producers $
number of personnel employed # persons
number of full time jobs # persons
number of small enterprises created by the project # enterprises
…
Outcome NUTRITION CHANGES
What to measure Changes in nutrition's habits of beneficiaries
Indicators variation of average of nutrition expenditure $
variation of nutrition value of consumed meals Kcal
variation of hot meals consumed #
…
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
103
Outcome REDUCED REPLACEMENT FREQUENCY
What to measure Variation of expenditures for cooking devices
Indicators variation of replacement frequency frequency
variation in annual costs for cooking devices $
…
Tabella 5.4: Gli Impatti del caso cooking
IMPACTs
Impact POVERTY REDUCTION (MDG 1)
What to measure Direct money saved
Alternative use of money
Income generation
Indicators fuel expenditure savings $
reduce replacment frequency savings $
alterantive use of money saved (savings, goods, investment) $
increase time for new income activities time, $
income from direct employement $
income from indirect employement $
…
Impact EDUCATION (MDG 2)
What to measure Time for education
Indicators increase in school attendance (boy/girls) %
increase of time for education (men/women) %
increase in number of school graduated #
….
Impact GENDER RELATIONS (MDG 3)
What to measure Women conditions
Indicators Time spent for collecting wood (men/women) time
increase in school attendance (boy/girls) time
time for cooking (men/women) time
purchasing power (control over household budget)
…
Impact IMPROVED HEALTH (MDG 4 - 6)
What to measure Less health deseases
Increase life expectancy
Indicators sick time time
decrease of respiratory deseases %
decrease of eyes irritations %
time for child care time
nutrition changhes kcal
increase in life expectancy time
…
Impact ENVIRONMENTAL IMPROVEMENT (MDG 7)
What to measure Resources saved
Contribution to global warming
Indicators forest cover ha
decrease of amount of wood/fuel consumed mass
variation of GHG emissions by fuel switch %
…
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
104
5.1.3 Definizione delle dimensioni
Gli indicatori sopra elencati sono stati elaborati coerentemente con le definizioni date alle
dimensioni della valutazione (Figura 4.4) al fine di arrivare a un set ragionato di indicatori in grado
di catturare tutti gli aspetti progettuali rilevanti e condurre cosi una valutazione complessiva del
progetto. Prendendo spunto dagli EISD, gli indicatori sono stati anche classificati in economici,
sociali ed ambientali, sottolineando così la valutazione delle tre dimensioni della sostenibilità.
Gli indicatori che popolano la dimensione Valore delle Risorse sono stati formulati come
percentuale degli Input rappresentati dalle Risorse locali. Più alti risultano quindi i valori, maggiori
garanzie di sostenibilità economica e temporale può aver il progetto.
HydroBioPower project
Biogas Schemes
Un esempio della definizione specifica dei materiali e dei costi degli Input per l’impianto di produzione di biogas
del progetto è fornito dalla tabella qui sotto. Generalmente nei progetti gli Input vengono definiti nel piano di
budget, dove si riportano i costi divisi per attività e per materiali usati e lavoro impiegato.
MATERIAL UNIT COST €
Digestor material 60,38
Transparent polyethylene tubular film F 80 cm m 13,27
PVC tubes Fin 15cm m 8,91
Plastic (PVC) hosepipe Fin 12.5mm m 8,96
PVC adapters male Fin 12.5mm pcs 0,87
…
Burner pcs 9,52
Local material 10,48
ACTIVITY UNIT COST €
Installation cost Ls 28,90
TOTAL HOUSEHOLD COST 129,3
Per quanto riguarda gli indicatori di Output, Outcome e Impatti, si possono considerare validi quelli sopra
presentati per il caso generale specificando ove necessario che si tratta di sistemi a biogas al posto di stufe
efficienti. Possibili indicatori da inserire negli Impatti sono:
Risparmi dovuti all’uso di fertilizzante autoprodotto (MDG1)
Riduzione di degradazione del suolo per uso del digestato (MDG7)
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
105
Tabella 5.5: Valore delle Risorse nel caso cooking
RESOURSE VALUE (Resources - Inputs)
Indicator Unit Type
Percentage of local financial resources out total financial resources % ECO
Percentage of local personnel out total personnel % ECO/SOC
Percentage of local expertise used in the project design % SOC
Percentage of materials bought on local market out total materials used % ECO/ENV
Gli indicatori di Efficienza vengono definiti come il rapporto tra gli indicatori di Output e
quelli di Input. Si può prendere il “Number of direct benficiaries / project total investment” come
esempio di efficienza economica del progetto, e “Emission of GHG for stove produced” come
esempio di efficienza ambientale che valuta anche la tecnologia usata.
Tabella 5.6: Efficienza nel caso cooking
EFFICIENCY (Inputs - Outputs)
Indicator Unit Type
Stove efficiency / stove production cost % / $ ECO/ENV
Number of stove produced / financial investment for production activity # stoves / $ ECO
Number of direct beneficiaries / project total investment # persons / $ ECO
Number of stoves provided in houses / project total investment # stoves / $ ECO/SOC
Number of small enterprises created / awareness-training activity cost # enterprises / $ ECO/SOC
Number of stoves provided in houses / external personnel employed # stoves / # persons SOC
Number of local personnel employed / training campaign costs # persons / $ SOC
Number of small enterprises created / number of trained personnel # enterpises / # persons SOC
Energy consumed for the production of a stove kWh / stove ENV
Materials consumed for the production of a stove kg / stove ENV
GHG emissions for stove produced g CO2 eq / stove ENV
Quantity of disposal materials / stove produced kg /stove ENV
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
106
L’Efficacia valuta come gli Output abbiano portato ai desiderati Outcome. L’indicatore è sempre
dato dal rapporto tra queste due grandezze, infatti anche per gli ultimi tre indicatori di Tabella 5.7,
il dividendo, sebbene non esplicitato, è l’uso domestico della stufa.
Tabella 5.7: Efficacia nel caso cooking
EFFECTIVENESS (Outputs - Outcomes)
Indicator Unit Type Local income created / number of stoves produced $/ # stoves ECO
Number of stove produced / number of stove planned %
Number of beneficiaries trained / total beneficiaries % SOC
Variation of nutrition value of consumed meals kcal SOC
Decrease of indoor air polluntant PM10, [CO],.. SOC/ENV
Decrease of wood/fuel consumption kg/year ENV
Il calcolo della Rilevanza, nel caso cooking, può risultare difficoltoso proprio per la definizione di
Bisogno. L’indicatore più rappresentativo è dato dal “Number of stoves provided / number of
households needing a stove” che rappresenta il grado di penetrazione nell’area di intervento del
progetto. Nella Rilevanza è stato inserito anche l’indicatore “Number of officers trained” in quanto
si lega al bisogno di competenze e di replicabilità degli interventi anche una volta finito il progetto.
Tabella 5.8: Rilevanza nel caso cooking
RELEVANCE (Outcomes - Needs)
Indicator Unit Type
Number of local employed personnel / unemployed persons in the target area % SOC
Number of stoves provided / number of households needing a stove % SOC
Number of officers trained # officers SOC
Gli indicatori di Impatto risultano di fondamentale importanza per una giusta valutazione del
progetto, ma sono anche quelli di più difficile calcolo a causa del lungo lasso temporale che deve
passare dopo la chiusura del progetto e che quindi spesso sono ignorati.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
107
Tabella 5.9: Impatto nel caso cooking
IMPACT
Indicator Unit Type
Decrease in the proportion of population below $1 purchasing power parity (PPP) per day % ECO/SOC
Creation of new enterprises in the target areas as a verifiable result of project outputs # enterprices ECO/SOC
Jobs created in the project area as a verifiable result of the project outputs # persons ECO/SOC
Number of beneficiaries using improved stove # persons SOC
Increase of school enrolment # persons SOC
Increase of number of school graduated # persons SOC
Increase of life expectancy years SOC
Decrease of respiratory deseases % SOC
Percentage of educated women % SOC
Percentage of women employed in other activities % SOC
Number of stakeholder networks active one year after initiation # networks SOC
Decrease of forest explotation ha ENV
Decrease of fuel consumption kg/year ENV
Variation of GHG emission % ENV
Tabella 5.10: Coerenza esterna nel caso cooking
EXTERNAL COHERENCE
Indicator Unit
Number of MDG satisfacted by the Impacts of the intervention # MDGs
Correspondence between Impacts and National Development Plans Y/N, qualitaive
Complementarity with other projects Y/N, qualitaive
Tabella 5.11: Equità nel caso cooking
EQUITY
Indicator Unit Type
Number of trained beneficiaries # persons SOC
Percentage of beneficiaries using an improved stove out total % SOC
Percentage of women involved in project activities % SOC
Percentage of households beneficed by subsidies out poor households % SOC
Variation of share of household income spent for fuel % SOC
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
108
Gli indicatori di Equità valutano sia le condizioni di genere (“Percentage of women involved in
project activities”) sia condizioni legate alla povertà (“Percentage of households beneficed by
subsidies out poor households”) e alla capacità a pagare dei beneficiari (“Variation of share of
household income spent for fuel”).
Tabella 5.12: Coinvolgimento nel caso cooking
INVOLVEMENT
Indicator Unit Type
Number of stakeholders trained by the project # persons SOC
Number of stakeholder networks active # networks SOC
HydroBioPower project
Biogas Schemes
Nel Logical Framework del progetto si possono trovare i principali indicatori usati per la valutazione, riportati
nella tabella in basso. Sebbene nella scrittura del progetto si siano sottolineati i possibili impatti derivanti dalle
attività, come il miglioramento delle condizioni di genere, il minor tempo impiegato per la raccolta della legna
etc…, nella valutazione vengono compresi quasi unicamente indicatori legati agli Output.
Biogas plant constructed (n.)
Persons reached (n.)
Toilet constructed (n.)
Professional trained (n.)
N. of trained construction Enterprises (SMEs)
N. of trained technical and administrative personnel
N. person aware on Hygiene, indoor pollution, HIV and environmental concern
Employment generated (n.)
Exposure to indoor air pollution (pers./year)
Fuel and fuelwood substituted (ton)
Basandosi sui documenti finora prodotti dal progetto (“Initial study assesment”, “Application Form”, “Interim
Report 2010”) il calcolo degli indicatori delle dimensioni risulta difficoltoso. Bisognerebbe infatti ipotizzare che i
risultati attesi dal “Application Form” siano validi senza alcuna verifica. Anche sotto questa ipotesi molti
indicatori, oltre a quelli di Impatto che ovviamente necessitano di un lungo periodo di attesa, non potrebbero
essere calcolati sottolineando come la definizione di cosa debba essere valutato vada fatta già nella fase di
pianificazione per garantire una coerente raccolta dati.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
109
5.2 Il caso lighting & powering appliances
In questo caso vengono raggruppati tutti i bisogni che possono essere soddisfatti mediante la
fornitura di energia elettrica. Secondo lo schema di Figura 4.5, questi sono stati classificati in
illuminazione e in bisogni che necessitano principalmente l’uso di strumenti e macchinari che
consumano elettricità come le ICTs (radio, computer, telefoni, televisori), il pompaggio dell’acqua,
la refrigerazione, la ventilazione e tutte le possibili applicazioni utili all’agricoltura e all’impresa.
Sebbene alcuni di questi bisogni possano essere soddisfatti mediante soluzioni che non implichino
per forza il consumo elettrico, l’elettricità, quando disponibile, risulta spesso la forma energetica più
adatta e sicura.
Nel capitolo 1 si è visto come le comunità rurali siano le più afflitte dalla mancanza di
elettricità e si sono descritti brevemente i possibili impatti di sviluppo che l’accesso all’elettricità
potrebbe garantire.
5.2.1 Lo schema di progetto
I progetti che vogliono rispondere ai bisogni sopra descritti, sviluppano, quindi,
principalmente un’attività di elettrificazione. Questa, in base alle condizioni locali, può essere
rappresentata dall’estensione della rete elettrica nazionale, come dalla costruzione di piccole reti
locali o da sistemi isolati. Come si è visto nel caso cooking, il progetto può parallelamente
sviluppare attività di formazione e sensibilizzazione al fine di garantire la durabilità del progetto nel
tempo e il passaggio di conoscenze e di capacità. In Figura 5.2 è riportato lo schema di progetto
generale basato sulla catena dei risultati. Nello schema sono state divise l’illuminazione e
l’alimentazione delle apparecchiature, per consentire di focalizzare meglio i diversi Outcomes e
Impatti che possono generare presentati in Figura 5.3 e 5.4.
Lo schema di progetto risulta ovviamente più complesso rispetto a quello del caso cooking,
dati i molteplici bisogni considerati. Due Outcomes che emergono direttamente dalla creazione del
mercato elettrico sono i possibili aumenti dei redditi e delle capacità per coloro che gestiscono la
fornitura di energia, e la legalizzazione degli indirizzi e quindi della popolazione grazie
all’installazione di contatori elettrici o come conseguenza della stesura di contratti di fornitura.
Generalmente l’accesso all’elettricità può inizialmente comportare maggiori spese
soprattutto per i beneficiari più poveri, che potranno però essere compensate nel tempo dai maggiori
introiti sia a livello famigliare che di comunità. Soprattutto nei progetti di elettrificazione, risulta
molto importante considerare la disponibilità a pagare dei beneficiari. Se si vuole garantire
l’accesso anche alle fasce più povere della popolazione, andranno studiati sussidi e tariffe apposite
da erogare nel tempo. Tali pratiche vengono considerate all’interno del box “creazione del mercato
elettrico”. Sussidi ben studiati possono anche portare a riduzioni di spese come nel caso
dell’illuminazione grazie all’eliminazione o riduzione dei consumi di combustibili e batterie.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
110
Light, ICT, refrigeration, water pumping...
Materials, labour, money
Electrification
Access to electricity
Income and expertise creation
Improved education quality
Improved health services
Creation of electricity market & istitutional capacity building
Improved life quality
A healty nation
A educated nation
Good governance
A productive nation
NEEDs
ACTIVITIEs
INPUTs
OUTPUTs
OUTCOMEs
IMPACTs
MDGsPoverty
GenderHealth Education Poverty
Grid extention
Mini grid construction
Stand alone systems
Domestic
Health center
Education center
Community center
Categories Small enterprices
Rural employment
LightingPowering
appliances
Agriculuture
Services
Efficient pubblic services
Impoved goods and services
quality, income
Increase production
Formation of industries
Hight life quality
Businnes creation
Community services
Management & controlAwareness & training
campains
Leglization of the addresses
Figura 5.2: Schema di progetto del caso lighting & electric appliances
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
111
Lighting
Better lighting quality
More light hoursReduced indoor
pollution
Less respiratory deseases
Increased hours for study
Increased hours for work
Redeuced sight deseases
NEED
OUTCOMEs
IMPACTs
MDGs Health Education HealthPoverty
DomesticCommunity
servicesSmall
enterprices
Health center
Education center
Community center
Categories
Improve businnes
environment and
productivity
Pubblic lighting
Safety
Reduced fuel / batteries
consumption
Money saved
Poverty
Figura 5.3: Focus su lighting
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
112
Powering appliances
Manteinance of food
NEED
OUTCOMEs
IMPACTs
MDGs Health EducationGender
PovertyPoverty
DomesticCommunity
servicesSmall
industries
Health center
Education center
Community center
Categories agriculture
Manteinance of medicines
Increase in use of ICT (radio, tv,
computers)
Incease in water pumping
Use of new tecnologies
Improve of health services
Increase productivity and improve goods
and services quality
Improve of education services
Domestic time and life quality
Figura 5.4: Focus su powering appliances
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
113
HydroBioPower project
Hydropower Schemes
Il progetto nei suoi obiettivi vuole garantire l’accesso all’elettricità a 10 comunità rurali isolate mediante la
creazione di micro reti alimentate da impianti idroelettrici di piccola taglia. La potenza totale installata risulta
essere di 85 kW. Il progetto distribuisce ad ogni famiglia una lampadina a fluorescenza da 25 W che sarà fornita
anche alle scuole e ai centri medici e alle piccole imprese presenti. Il bisogno quindi che il progetto vuole
soddisfare è quello dell’illuminazione. Il mantenimento del sistema sarà gestito da comitati energetici locali
formati sia sugli aspetti tecnologici che finanziari. Infatti compito dei comitati è anche quello di supportare in
maniera partecipata la raccolta fondi tra i beneficiari che dovranno sopportare il 10% del costo
dell’implementazione dell’impianto anche attraverso prestiti a tasso speciale e micro-credito.
Lo schema di progetto risulta semplificato rispetto al caso generale coinvolgendo il solo bisogno di illuminazione
come mostrato nella figura sottostante.
In base allo studio delle abitudini dei beneficiari nell’area di intervento, le spese delle famiglie per
l’implemenatzione del progetto risulterebbero minori rispetto alle spese energetiche per l’illuminazione
(kerosene e batterie per torce) sopportate prima dell’intervento, consentendo cosi un risparmio di soldi e il
mantenimento e lo sviluppo delle attività progettuali.
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
114
5.2.2 Definizione degli indicatori di progetto
Come per il caso cooking si sono definiti gli indicatori di progetto a partire dallo schema di
progetto. Alcune tipologie di indicatori potranno risultare simili a quelli del caso cooking come gli
Input ed in parte gli Output. La definizione degli Outcome è stata divisa, come da schema, sulle
categorie domestico, comunitario, agricolo, piccola impresa e globale.
Tabella 5.13: Gli Input del caso lighting & appliances
INPUTs Input LABOUR
What to measure Time of work to develop activities
Number of employer to develop activities
Indicators hours worked time
personnel employed # persons
local personnel employed # persons
external personnel employed # persons
…
Input MATERIALS
What to measure amounts of the materials used for the project's activities
nature of the materials used for the project's activities
Indicators masses of material by nature weight
geographical origin of the material geographical, distance
…
Input MONEY
What to measure Financial resourses for the project
Indicators investment cost of the project $
operational costs of the project $
total financial cost $
costs by activities $
costs for subsidies $
…
Tabella 5.14: Gli Output del caso lighting & appliances
OUTPUTs Output ELECTRIFICATION
What to measure Access to electricity Quality & quantity of electricity
Indicators number of clients connected # households
number of beneficiaries with electricity access # persons
number of community buildings with electricity access # buildings
daily supply per capita kWh/d per capita
number of hours of supply per day # hours; time
number and duration of blackout frequency; time
type of supply (limited or free end-use)
…
Output ELECTRICITY MARKET & CAPACITY BUILDING
What to measure Increase in the production of electricity
Increase of sold of electricity
Price of electricity
Cost for production
Subsidy coverage
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
115
Trainers and producers with tecnical and business skills
Marketing level
Creation of awareness within the society
Indicators kWh delivered kWh
volume of sales kWh, $
number of officiers and producer trained # persons
number of trainings carried out by new trainers #persons
number of marketing campaigns # activities
type of promotion campaigns
number of people aware of the benefits (reached by campaigns) # persons
number of people with subsidized tariff # persons
number and type of special tariff or subsidy # tariff, $
sales of subsidized effiecient bulbs # bulbs; $
sales of subsidized appliances type; #; $
…
Tabella 5.15: Gli Outcome del caso lighting & appliances
OUTCOMES
OV
ERA
LL
Outcome JOBS, EXPERTISE, INCOME CREATION
What to measure Income generated through sale of electricity
Jobs created in production and promotion of electricity
Indicators income generated $
number of personnel employed # persons
number of full time jobs # persons
number of small enterprices created by the project # enterprices
…
Outcome LEGALIZATION OF THE ADDRESSES
What to measure Installation of electricity meters
Electricity contracts
Indicators number of addresses legalized through billing # households
…
DO
MESTIC
Outcome MORE LIGHT HOURS & BETTER LIGHTING QUALITY
What to measure Use of lighting point in houses
Use of lighting point for activities
Indicators number of lighting points in households #
type of lighting points in households -
average number of hours per day time
activities carried out using electric lighting -
…
Outcome REDUCE INDOOR POLLUTION
What to measure Reduced air pollutants concentration
Indicators number of oil lamps replaced by electric bulbs #
amount of fuel consumed (before/after) amount
concentration of air pollutants (before/after) concentration
…
Outcome FOOD MANTEINANCE
What to measure Number and type of refrigerators
Indicators number of hoseholds with a refrigerator #
type of refrigerator litres, kWh
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
116
…
Outcome REDUCED FUEL / BATTERIES CONSUMPTION
What to measure Replaced oil lamps and torches
Indicators number of oil lamps replaced by electric bulbs #
number of torches replaced by electric bulbs #
reduction of fuel expenditures kg, litres, $
reduction of batteries consumption #, $
…
Outcome USE OF ICT
What to measure Number and type of appliances used in houses
Time and consumption for ICT
Indicators number of households using a radio #
number of households using a television #
number of households using a computer #
number of households with internet connection #
average time of use time
average household electric consumption for ICT kWh
…
Outcome USE OF NEW TECNOLOGIES
What to measure Number and type of appliances used in houses
Time and consumption
Indicators number and type of appliances used in houses #
average electric consumption kWh
time saved using new tecnologies time
…
CO
MM
UN
ITY
Outcome MORE LIGHT HOURS & BETTER LIGHTING QUALITY
What to measure Use of lighting point
Indicators number and type of lighting points in health centers #
number and type of lighting points in schools #
average number of hours per day time
increase of school lesson hours time
…
Outcome MEDICINE MANTEINANCE
What to measure Number and type of refrigerators
Indicators number and type of refrigerator in health centers #, litres, kWh
…
Outcome USE OF ICT
What to measure Number and type of appliances used in houses
Time and consumption for ICT
Indicators number of computers #
number of community buildings with access to internet #
average time of use time
…
Outcome USE OF NEW TECNOLOGIES
What to measure Number and type of appliances used in houses
Time and consumption
Indicators number and type of appliances used in health centers #
number and type of appliances used in schools #
number and type of appliances used in community center #
…
Outcome WATER PUMPING
What to measure Number of water point
Water consumption
Water quality
Indicators number of electrified water point #
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
117
increase in consumption of water m3
creation of water depuration systems #, m3
…
Outcome PUBBLIC LIGHTING
What to measure Creation of pubblic lighting system
Caracteristic of pubblic lighting system
Indicators existence of pubblic lighting y/n
number of pubblic lamps #
average hours per day time
average energy consumption kWh
type of bulbs used
…
AG
RIC
ULTU
RA
L
Outcome FOOD MANTEINANCE
What to measure Number and type of refrigerators
Changes in agricultural production and distribution
Indicators number and type of refrigerator in farms #, litres, kWh
new activities carried out -
…
Outcome USE OF NEW TECNOLOGIES
What to measure Number and type of appliances used
Time and consumption
Indicators number and type of appliances used #
average consumption kWh
time saved time
new activities carried out -
…
Outcome WATER PUMPING
What to measure Number of water point
Irrigation area
Indicators number of electrified water point #
increase in water consumed for irrigation m3
increase of irrigation area ha
…
ENTER
PR
ICES
Outcome MORE LIGHT HOURS & BETTER LIGHTING QUALITY
What to measure Use of lighting point
Time and consumption
Indicators number and type of lighting points #
increase in working hours time
average consumption kWh
…
Outcome USE OF NEW TECNOLOGIES
What to measure Number and type of appliances used
Time and consumption
Indicators number and type of appliances used #
average consumption kWh
time saved time
new activities carried out -
…
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
118
Tabella 5.16: Gli Output del caso lighting & appliances
IMPACTs Impact POVERTY REDUCTION (MDG 1)
What to measure Direct money saved
Alternative use of money
Income generation
Indicators fuel expenditure savings $
alterantive use of money saved (savings, goods, investment) $
increase time for new income activities time, $
income from direct employement $
income from indirect employement $
income from production increased $
income from new activities $
…
Impact EDUCATION (MDG 2)
What to measure Time for education Better education services
Indicators increase of light time for study time
increase in use of ICT in schools -
increase of night lessons for adults education time
increase in number of school graduated #
…
Impact GENDER RELATIONS (MDG 3)
What to measure Women condition
Indicators participation in project activities or new income activities -
purchasing power (control over hh budget) -
domestic confort -
Impact IMPROVED HEALTH (MDG 4- 6)
What to measure Less health deseases Better health services
Increase life expectancy
Indicators decrease of respiratory deseases %
decrease of sight deseases %
improve medical care -
increase diagnosis -
increase in life expectancy time
…
Impact ENVIRONMENTAL IMPROVEMENT (MDG 7)
What to measure Resources saved/consumed
GHG emission
Indicators decrease of amount of fuel consumed kg
GHG emission variation %
resources consumption for electricity production -
…
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
119
5.2.3 Definizione delle dimensioni
La definizione delle dimensioni della valutazione è tale che alcune siano descritte da
indicatori del tutto concordi con quelli del caso cooking. Gli indicatori inseriti in Coerenza Esterna,
Equità, Coinvolgimento sono uguali a quelli sopra esposti. Per Valore delle Risorse sebbene gli
indicatori generali siano egualmente definiti, poi potranno differenziarsi nei casi specifici. Anche gli
Impatti sono in parte descritti dagli stessi indicatori che, infatti, valutano i cambiamenti delle
condizioni di vita e ambientali nel lungo periodo.
Tabella 5.17: Valore delle Risorse del caso lighting & appliances
RESOURSE VALUE (Resources - Inputs)
Indicator Unit Type
Percentage of local financial resources out total financial resources % ECO
Percentage of local personnel out total personnel % ECO/SOC
Percentage of local expertise used in the project design % SOC
Percentage of materials bought on local market out total materials used % ECO/ENV
Come per il caso cooking, l’Efficienza valuta come le attività abbiano mobilitato gli Input
per creare gli Output. Gli indicatori permetto quindi anche una valutazione della tecnologia scelta.
Confrontando tra diversi progetti con simili condizioni al contorno indicatori come “Electricity
production cost”, “Electricity produced / energy (resources/fuel) consumed”, “GHG emissions /
electricity produced” si ha un’indiretta valutazione economica ed ambientale della tecnologia scelta.
Tabella 5.18: Efficienza del caso lighting & appliances
EFFICIENCY (Input - Output)
Indicator Unit Type
Electricity production cost $/kWh ECO
Electricity produced / financial investment for production activity kWh/ $ ECO
Electricity provided / project total investment kWh/$ ECO/SOC
Number of direct beneficiaries/ project total investment # persons/$ ECO/SOC
Number of small enterprises created / awareness-training activity cost # enterprises/$ ECO/SOC
Electricity provided / external personnel employed kWh/#persons SOC
Number of local personnel employed / awareness- training campaign costs #persons/$ SOC
Number of small enterprises created / number of trained personnel #enterprises/#persons SOC
Electricity produced / energy (resources/fuel) consumed kWh/kWh ENV
Electricity produced / local noise generated kWh/ dB ENV
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
120
Electricity produced / materials consumed kWh/kg ENV
GHG emissions / electricity produced g CO2 eq /kWh ENV
Quantity of disposal materials / electricity produced kg / kWh ENV
Tabella 5.19: Efficacia del caso lighting & appliances
EFFECTIVENESS (Output - Outcome)
Indicator Unit Type
Local income created / electricity produced $/kWh ECO
Number of beneficiaries trained / total beneficiaries % SOC
Average light hours in houses / electricity produced h/kWh SOC
Number of public lamps / electricity produced # lamps/kWh SOC
Number of households with a refrigerator / electricity produced #households/kWh SOC
Number of households using a ICT / electricity produced #households/kWh SOC
Number of schools and health centers connected / electricity produced # buildings/kWh SOC Average of potable water consumed / electricity produced m
3/kWh SOC
Household fuel saving / electricity produced $/kWh SOC/ENV Decrease of indoor air pollutant PM10, [CO],… SOC/ENV
Tabella 5.20: Rilevanza del caso lighting & appliances
RELEVANCE (Outcomes - Needs)
Indicator Unit Type
Electricity produced by the project / electricity produced in the nation % SOC
Electricity produced by the project / electricity consumed in the nation % SOC
Average electric consumption per capita in the project area / average electric consumption per capita in the nation % SOC
Average electric consumption per capita in the project area later / Average electric consumption per capita in the project area before % SOC
Number of households without electricity / # households electrificated by the project % SOC
Number of employed personnel / unemployed persons in the target area % SOC
Number of trained officers # officiers SOC
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
121
Tabella 5.21: Impatti del caso lighting & appliances
IMPACT
Indicator Unit Type
Decrease in the proportion of population below $1 purchasing power parity (PPP) per day % ECO/SOC
Creation of new enterprises in the target areas as a verifiable result of project outputs # enterprises ECO/SOC
Jobs created in the project area as a verifiable result of the project outputs # persons ECO/SOC
Number of beneficiaries using at least an electric light for 4 h/d # persons SOC
Increase of number of school graduated # persons SOC
Increase of life expectancy years SOC
Decrease of respiratory deseases % SOC
Percentage of educated women % SOC
Percentage of women employed in other activities % SOC
Number of stakeholder networks active one year after initiation # networks SOC
Decrease of forest explotation ha ENV
Decrease of fuel consumption kg/year ENV
Variation of GHG emission % ENV
Tabella 5.22: Coerenza esterna del caso lighting & appliances
EXTERNAL COHERENCE
Indicator Unit
Number of MDG satisfacted by the intervention # MDGs
Correspondence between impacts and National Development Plans Y/N, qualitative Complementarity with other projects Y/N, qualitaive
Tabella 5.23: Equità del caso lighting & appliances
EQUITY
Indicator Unit Type
Number of trained beneficiaries # persons SOC
Percentage of beneficiaries using electricity out total % SOC
Percentage of women involved in activities project % SOC
Percentage of persons beneficed by subsidies out poor people % SOC
Variation of share of household income spent for energy % SCO
Capitolo 5: Sviluppo del Modello di Valutazione
122
Tabella 5.24: Coinvolgimento del caso lighting & appliances
INVOLVEMENT
Indicator Unit Type
Number of stakeholders trained by the project # persons SOC
Number of stakeholder networks active # networks SOC
Come si è visto, gli indicatori che compongono alcune dimensioni sono uguali in entrambi i
casi, è quindi possibile affermare che alcuni indicatori sono validi per diverse tipologie di progetti,
mentre altri dovranno essere costruiti ad hoc in base ai diversi obiettivi di progetto. Le dimensioni
forniscono quindi un quadro di riferimento, un framework, per organizzare la valutazione in modo
coerente. L’analisi del progetto “HydroBioPower” ha permesso di verificare l’appropriatezza sia del
modello e i relativi schemi che la costruzione degli indicatori proposti, sebbene il calcolo completo
di questi non si sia potuto svolgere per mancanza di dati. Gli indicatori proposti potranno
sicuramente essere affinati, sia per renderli più specifici e più facilmente calcolabili, sia in
considerazione degli apporti specifici che danno alle dimensioni. Quanto esposto in questo capitolo
fornisce quindi un’analisi iniziale delle potenzialità di utilizzo del modello e dei possibili sviluppi
che può avere.
Capitolo 6: Analisi Critica e Conclusioni
123
6 Analisi Critica e Conclusioni
La valutazione complessiva di un progetto risulta essere una pratica complicata e non ancora
uniformemente definita a livello internazionale, soprattutto per quanto riguarda la valutazione degli
impatti di lungo periodo. Infatti, per le caratteristiche dei progetti di cooperazione, non è sufficiente
valutare se le attività siano state portate a termine correttamente e si siano raggiunti i risultati
(Output) pianificati, ma la valutazione deve concentrarsi anche su come il progetto abbia influito sul
miglioramento delle condizioni di vita delle persone e su che risposte abbia dato ai bisogni della
popolazione, e quindi sugli impatti di lungo periodo generati.[29] [30] [42]
Si è visto come la pianificazione e la valutazione di un progetto siano fasi intrinsecamente
correlate. Per permettere una buona valutazione del progetto, infatti, i metodi e le caratteristiche di
questa fase devono essere chiariti ed esplicitati fin dalle prime fasi della pianificazione
coerentemente con gli obiettivi predisposti e le caratteristiche del progetto.[35]
In tale dibattito si inserisce il lavoro che propone un approccio coerente con le esigenze
espresse. Infatti l’applicazione della catena dei risultati permette di schematizzare in maniera logica,
chiara e sequenziale gli elementi del progetto, sviluppando schemi di progetto utili a fare emergere,
già in fase pianificatoria, tutti i possibili aspetti da tenere sotto osservazione. Gli schemi di progetto
cosi definiti, unitamente all’uso del LogFrame, permettono di pianificare le attività e gli scopi della
valutazione e aiutano la definizione del LogFrame stesso.
La ridefinizione della catena dei risultati con l’aggiunta degli elementi riferiti ai Bisogni e
alle Risorse, riesce a caratterizzare meglio i progetti di cooperazione senza apportare aggiuntive
difficoltà o complicazioni nelle definizioni progettuali.
Si ritiene che la definizione delle dimensioni della valutazione sia pertinente rispetto quanto
visto in letteratura ed efficace nel permettere una valutazione complessiva del progetto. Queste,
collegando fra loro gli elementi del progetto, possono garantire la valutazione sia della misura in cui
il progetto ha portato a termine le attività programmate, sia della qualità del progetto nel suo
insieme e dei cambiamenti prodotti.
L’approccio è utile soprattutto per i progetti energetici dove la catena dei risultati risulta
generalmente più lunga e complessa, i benefici si manifestano in molteplici aspetti della vita delle
persone e gli impatti si verificano molti anni dopo la chiusura del progetto.
Capitolo 6: Analisi Critica e Conclusioni
124
L’effettiva valutazione dei progetti avviene attraverso l’uso di indicatori. Si ritiene che le
dimensioni della valutazione possano aiutare a definire gli indicatori appropriati per condurre una
valutazione complessiva dell’intervento. È importante sottolineare che la scelta, l’uso e il calcolo
degli indicatori rimangono gli elementi più sensibili e complicati della valutazione e la difficoltà e i
costi legati al reperimento delle informazioni continuano a essere la principale condizione limitante.
Lo sviluppo del modello sulle due tipologie di interventi definite grazie all’analisi dei
bisogni ha permesso di osservare le possibili conseguenze delle attività progettuali e di definire
quindi gli aspetti da considerare nella valutazione. Alcuni degli indicatori riportati come “indicatori
di progetto” difficilmente potrebbero essere considerati SMART. La principale funzione di questi è
quella di esprimere la molteplicità degli aspetti in gioco. A tale proposito, bisogna sottolineare le
difficoltà derivanti dal misurare gli aspetti sociali e che la grande varietà di tipologie di progetti
richiede una grande flessibilità dei modelli di valutazione e la necessità di costruire spesso per ogni
caso degli indicatori ad hoc, richiedendo quindi un popolamento delle dimensioni maggiormente
affinato.
L’analisi del progetto “HydroBioPower” riportata nel Capitolo 5 ha fatto emergere, da una
parte, l’appropriatezza del modello, dall’altra, l’impossibilità di svolgerne una completa validazione
a causa della mancanza di dati e informazioni reperibili, sottolineando ancora una volta la stretta
connessione esistente tra la valutazione e la pianificazione di un progetto.
I possibili sviluppi futuri del modello potrebbero giungere a una più accurata definizione
degli indicatori applicando il modello su un caso reale seguito dall’inizio alla fine e dopo un
orizzonte temporale di anni. Di conseguenza si potrebbe pensare all’applicazione di un’analisi
multi-criteria per pesare gli indicatori all’interno delle dimensioni e trasformare queste in un indice
composto, in questa prospettiva il lavoro di tesi getta le basi per tali sviluppi.
125
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[42] Annecke W.; “Monitoring and evaluation of energy for development: the good, the bad and the
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[44] “Glossary of Evaluation and Results Based Management (RBM) Terms”. OECD; 2000
[45] “Energy indicators for sustainable development: Guidelines and methodologies”. IAEA; 2005
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[47] “World Energy Assessment”. UNDP/UNDESA/WEC; 2002
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http://www.hedon.info/GTZCookingEnergyCompendium?bl=y
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Ringraziamenti
Ringrazio la Prof.ssa Colombo per avermi permesso di svolgere questo lavoro. Grazie Emanuela
per avermi accolto, seguito, stimolato, con la tua straordinaria personalità. È stato un onore!
Nonostante sia una delle persone più impegnate che abbia mai conosciuto, ha trovato il tempo e la
voglia di starmi dietro, non deve essere stato facile. Umanamente non si discute, chi la conosce lo
sa! Grazie Ire! Inutile dire quanto tu sia stata fondamentale, per competenze, stimoli, capacità,
comprensione.., mi sdebiterò! Grazie al tranquillo e serafico Gabri, colui che mi ha inserito in tutto
ciò, mannaggia a lui! Grazie a Ste, per gli aiuti, le chiaccherate e le mille partite a ping pong.
Grande! Un agradecimiento especial a Alex, por el trabajo de equipo y sobretodo por las charlas de
los primeros meses. Ragazzi è stata dura ma non potevo trovare un gruppo migliore!
Un grazie a tutti coloro, oltra ai già menzionati, che hanno fondato, portano e porteranno avanti
ISF-MI, una stupenda realtà!
Un grazie per i bei momenti ai vecchi compagni dello scopone: Mister Bragaus il socio più forte
che ci fosse, Bas e Ale, gli interisti che di scoppole se ne intendevano alla perfezione!
In rappresentanza di tutti gli altri universitari, le tre splendidone: Jio, Sere, Fra… e che
rappresentanza! L’espatriato Michele però devo proprio menzionarlo..
Ringrazio le tre marie: Anto per la compagnia di oramai agostiane memorie e per la dattilografia
dell’unico capitoletto tagliato per intero!! Kiara, che le rare volte che si ricorda di essere organismo
pensante sa ancora darti tanto. Robi per tutto, nonostante tutto, soprattutto.
Grazie a Ettorino, internazionalmente riconosciuto come “il delizioso”, non solo per il suo viaggio
australiano e la sua casa a disposizione! Petru (di diritto), Spada (come potresti non intrufolarti
anche qui dentro), i Kolbisti (se no si offendono)…
Per una giusta par condicio familiare e il giusto tocco sentimentale, grazie alle sorellone senza le
quali chissà dove sarei finito.
[…]L’abate si lamentava: - O che storia, o che storia!
- A proposito, non hai ancora risposto alla mia terza domanda sulla
storia universale in generale e sulla storia generale in particolare.”
“I fiori blu”
Raymond Queneau
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