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BG10 Mercoledì 21 Dicembre 2016 Corriere della Sera

Da Lizzola a Bodrum: gesti e foto che creano empatia con «l’altro»

Umanità migrante

Qualche giorno fa a Lizzola un profugo, il pakistano Ahmed Mbshr , ha restituito il portafogliad Antonio Semperboni, padre di Walter, un politico da sempre ostile ai migranti

L’uomo è stato invitato a cena dai Semperboni

L’episodio ha saputo infrangere lo stereotipo che vede il migrante come disonesto e, quindi, da discriminare

L’ episodio recentementeverificatosi a Lizzola, do-ve un profugo ha trovato

e restituito il portafoglio al pa-dre di un politico ostile ai mi-granti, meritandosi un invito acena, non è solo un’edificantestoria natalizia. Ci aiuta anche acapire qualcosa sulle dinami-che della discriminazione. Checosa è successo nel piccolo cen-tro della Valbondione? Sempli-cemente un pakistano ha sapu-to infrangere lo stereotipo del-l’emergenza migranti per assu-mere uno status di persona. Difronte al suo gesto di onestà an-che l’ostilità ideologica ha do-vuto arrendersi all’empatiaumana.

Molti ricordano la foto di Ay-lan, il bambino siriano di treanni morto sulla spiaggia turcadi Bodrum. Aylan era solo unodelle centinaia di piccoli mi-granti annegati nelle traversate,ma quella pietosa «deposizio-ne» ha colpito l’opinione pub-blica assai più dei numeri atrocidivulgati dall’Unicef o dall’Altocommissariato per i rifugiati.Alle bare nell’hangar di Lampe-dusa, ai barconi stipati all’inve-rosimile, ai migranti tra gli sco-gli di Ventimiglia, alle frontiereirte di fili spinati abbiamo fattol’abitudine. Di là dalle convin-zioni ideologiche, per percepi-re i migranti quali uomini co-me noi, verso cui nutrire dun-que sentimenti empatici, ab-biamo bisogno di qualcosa chebuchi lo schermo e colpisca lanostra immaginazione. È quel-lo che è accaduto con la fotodella pietosa deposizione delbambino siriano, inerte fra lebraccia di un poliziotto checammina sulla spiaggia. L’ipo-tetico scenario delle nostreestati balneari, con i nostri figliche giocano con la sabbia esguazzano nel bagnasciuga, si è

trasformato in un teatro dimorte. L’empatia ha agito per-ché, di là dalle differenze reli-giose, etniche e culturali, ab-biamo avvertito ciò che ci uni-sce, in quanto universalmenteumano: i figli e le esperienzedella sofferenza, della vulnera-bilità, della fragilità. Nei Lager,per escludere ogni coinvolgi-mento, le caratteristiche perso-nali degli ebrei avviati ai fornivenivano preventivamente can-cellate: la rasatura del capo, ladivisa, la matricola, la denutri-zione riconvertivano delle per-sone in meri numeri. La disu-manizzazione della riduzionequantitativa apriva la strada allasacrificabilità. Analogamenteper i top gun che partecipanoalle azioni militari un villaggioda bombardare è solo un obiet-tivo, un target da acquisire e poieliminare, avvalendosi di unasofisticata strumentazione elet-tronica, che riduce la faccendaa un banale button pushing.Tutto avviene in modo asettico,con design da videogiochi, af-finché i piloti non pensino chein quelle case c’è forse una fa-miglia che sta cenando o deibambini che stanno facendo i compiti. Diversamente sarebbepiù difficile premere il grilletto.

Anche la vicinanza fisica fa-vorisce la vicinanza emoziona-le, questa sì davvero «insosteni-bile». Allora un corpo diventaun corpo reale, un dolore undolore fraterno che potrebbecolpire anche noi, un migranteuna persona. L’altro diventaprossimo in senso evangelicoquando cominciamo a sentire ilsuo sentire. L’empatia può na-scere solo quando percepiamoil corpo di un altro in attrito conil nostro, come accade al sama-ritano della parabola evangeli-ca. Una delle condizioni affin-ché scatti l’incontro emotivo èanche il rapporto one-to-one,faccia a faccia, fra due persone

o al massimo fra piccolissimigruppi. Ciò che contribuisce al-l’estraneità è la quantità, che di-venta difesa quando ci trovia-mo di fronte ai grandi numeri.La moltitudine impaurisce,mentre l’esclusività della rela-zione a due permette di sottrar-re l’altro all’astrattezza di unacategoria morale, per vivere la differenza nella sua singolarità,con la sua storia e i suoi dolori.

Amnesty Poland ha recente-mente compiuto un esperi-mento, partendo da un’intui-zione dello psicologo ArthurAron, esperto in relazioni inti-me interpersonali. Ha realizza-to un video, che mostra delle persone, un migrante e un cit-tadino tedesco o polacco, chedue a due in un locale desertosiedono l’uno davanti all’altro ecominciano a guardarsi fissinegli occhi. In quel momentol’emigrante e il rifugiato cessa-no di essere un dato numericoo un valore statistico, come lo sono nel linguaggio disumanocui facciamo ricorso per parlaredi questa grande tragedia, e di-ventano semplicemente dellepersone. © RIPRODUZIONE RISERVATA

La scheda

SimboloIl corpo di Aylan, profugodi tre anni, raccolto da un poliziotto turco sulla costa di Bodrum. L’immagine del bambino mortoha fatto il giro del mondo

La percezione che cambia

MacondoReading, film trash e mostra fotograficaReading, proiezioni e mostre sono in programma al Macondo biblio cafè di via Moroni a Bergamo. Oggi, alle 19, si terrà la presentazione del quarto

numero di «Rivista letteraria», fondata due anni fa a Milano da Alberto Motta che interverrà insieme al romanziere Gabriele Ferraresi e a Marco Levi, scrittore e cantautore. Il periodico è da collezionare. Stampato in serie limitata e numerato a mano, la rivista pubblica in tutto il mondo i testi dei migliori scrittori viventi.

Domani, alle 19, la visione del film trash «El polo man 3», girato in città negli anni Ottanta da Tomaso Pirotta. Martedì 27 dicembre, alle 19, i chitarristi Alessandro Cefis e Daniele Spinelli faranno da sottofondo sonoro a «Forme», esposizione degli scatti realizzati da Roberta Macca. (r.s.)

CulturaTempo libero

di Franco Brevini

Il libro

Violenze e orrori dell’IsisLa fuga da Mosul raccontata in «Hazar»

Il volumeDall’alto, la copertina del libro, il giornalista del Corriere Lorenzo Cremonesi, autore della prefazioneal testo, e monsignor Luigi Ginami

Le testimonianze delle persone costrette a fug-gire dalle proprie case per non rinnegare la pro-pria fede e per non trovare la morte. Una fugasenza portarsi via nulla. O, meglio, portandosicon sé solo la paura. Una paura instillata e am-plificata dall’arrivo dell’Isis, nell’agosto del2014, a Mosul e nella piana di Niniveh. Paroleraccolte da monsignor Luigi Ginami nel libro edi-to da Marna «Hazar» (dal nome di una delledonne intervistate che è stata ridotta in schiavi-tù perché si è rifiutata di convertirsi all’Islam)con la prefazione dell’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi che proponiamo inte-gralmente.

Non è mai inutile tornare a ricordare cosa av-venne nell’estate del 2014 nelle regioni dell’Iraqconquistate dalla soldataglia di Isis. Le notizie, lecronache corrono veloci, spesso troppo veloci, nel nostro mondo dominato da un’informazionetroppo orientata a stupire piuttosto che a fare ca-pire e a dare il senso delle priorità nei fatti che ac-cadono. Anche quelli più importanti sono spessoaffogati, diluiti nel flusso continuo di nuove sto-rie.

Ecco l’importanza di questo volume: sottoli-nea la gravità di ciò che avvenne. I fanatici del Ca-liffato aggredirono popolazioni inermi, distrus-sero, rubarono, violentarono, uccisero gli uomi-ni, violentarono le donne, le ridussero in schiavesessuali, si presero i bambini più piccoli con l’in-tento di educarli nella militanza della loro versio-ne fanatica di Islam jihadista. Noi giornalisti in-viati sul posto per cercare di raccontare cosa sta-va accadendo inizialmente rimanemmo comeintontiti, quasi scettici, di fronte all’enormità, al-la gravità, alle storie incredibili che i profughi citestimoniavano. In guerra spesso i fatti sono di-storti dalla propaganda. Un poco di sano scettici-smo aiuta a non farsi portare fuori strada.

Ma in quel caso tanto di ciò che ci dicevano eravero, era tragicamente accaduto. I cristiani diMosul e della piana di Niniveh metodicamente derubati, costretti ad abbandonare le loro caseletteralmente senza nulla. Gli yazidi sterminati. Solo adesso emergono le fosse comuni di quellacarneficina. Le donne trasformate in schiave, vendute al mercato di Mosul, costrette a conver-tirsi con la forza.

In questo libro ci sono foto, nomi e cognomi dialcune delle vittime. Le loro parole sono raccoltecon amore. Paiono racconti di un’era diversa dal-la nostra, come se provenissero da un altro mon-do, da un’epoca remota che credevamo, ci illude-vamo, fosse tramontata per sempre dopo gli or-rori della Seconda Guerra Mondiale. E invece so-n o q u i c o n n o i . S o l o r e g i s t r a n d o l i e testimoniandoli potremo attrezzarci per il futu-ro, capire e aiutare a capire le sfide che ancora ciaspettano.

Lorenzo Cremonesi© RIPRODUZIONE RISERVATA