Download - Spagine scritture 07 letizia di antonella caputo

Transcript
Page 1: Spagine scritture 07 letizia di antonella caputo

spagine Periodico

culturaledell’AssociazioneFondo Verri

Un omaggioalla scritturainfinitadi F.S. Dòdaroe A.Verri

LetiziaUn racconto di Antonella Caputo

scritture

Lecce, giovedì 16 gennaio 2014 - anno IISpagine n°0 - Scritture 07

Page 2: Spagine scritture 07 letizia di antonella caputo

Un rapido ritoccoagli occhi sbavatidi matita blu oltre-mare profondo, unultimo sguardo al-lo specchio tre per

tre del bagno pastellato di giallo e diarancio. Prende il rossetto color ne-ro d’avola e sull’angolo destro in al-to vi disegna un cuore e lo attraver-sa con una scritta obliqua: le jeu estterminé. Fa per andare, ma si volta,torna indietro, s’accuccia sul wc.Poi schiaccia il pulsante dello sciac-quone con gesto deciso, un sorriso -sardonico soddisfatto catartico ocosa è cosa non è- le curva le labbra.Getta via la cicca e la lascia lì, a gal-leggiare nell’acqua che ancora vor-tica. Attraversa la camera avvoltanella penombra, avanzando comeuna gatta su zampe d’ovatta. Sichiude la porta alle spalle e respirarapidamente come fosse in debitod’ossigeno, poggiando le spalle almuro per un breve attimo, ma eccoche scende di corsa le scale saltandoi gradini a due a due su ballerine distoffa morbida, esce in strada l’at-traversa fino al parco lancia un urlodi giubilo nella notte muta e anneb-biata, mette la sacca a tracolla infor-ca la bici e pedala a rotta di collo.

***

Letizia a diciott’anni giocava an-cora con le bambole. Aspettava unbambino e intanto si spupazzavaCicciobello. Colmava l’attesa pro-vandogli i bavaglini che ricamava apunto croce e persino i pannolini,per far pratica su di lui e far passareprima il tempo. I pomeriggi eranolunghi da trascorrere. I compiti

di Antonella Caputo

Letiz

iascritture

l’annoiavano e a scuola la mattinaci andava malvolentieri. Tutti i suoicompagni la riempivano di premu-re e cioccolatini, e le portavano aturno il pane con la mortadella alpistacchio che lei, in quel periodo,sognava anche di notte. Ma Letiziacoglieva la commiserazione neglisguardi fugaci che mentre lei ad-dentava lo sfilatino voracementeloro si scambiavano. Erano duri dicomprendonio. Aveva spiegato e ri-spiegato che avevano voluto quelfiglio, lei e Dodi. Non le importavase i soldi erano pochi, se lui faceval’apprendista elettricista con scarsavoglia di lavorare, se vivevano inuna stanza a casa dei suoi. Suo pa-dre l’aveva implorata di finire il li-ceo, avrebbe pensato dopo il diplo-ma a dare una mano in negozio. Leicredeva all’amore eterno sconfina-to invulnerabile dirompente e spac-catutto e giocava alle bambole eimpazziva per i cartoni di CandyCandy e parteggiava per Terenceche era uguale uguale a Dodi e an-che fra quei due l’amore sarebbetrionfato.

Il bambino nacque piccolissimo,ma si riprese in fretta. Succhiavalatte a volontà e lei lo accudiva ri-fiutando l’aiuto di chiunque. Il tem-po scorreva giocoso, il bambolottocresceva e lei, finita la scuola, figliosul seggiolino della bici, aveva co-minciato a lavorare nel negozio deisuoi. Il pomeriggio arrotondava la-vorando ai ferri tutine per neonati,le aveva esposte in vetrina e aveva-no riscosso un notevole successo.

Domenico invece non accenna-va ad uscire dall’impasse dell’abu-lia. Anzi a giugno aveva anchesmesso di lavorare con la scusa che

aspettava la chiamata da Rimini perla stagione. Chiamata che non arri-vò mai, non si capì il perché. Lei loguardava stranita, interrogativa,daltonica. Ma lo amava, era il suoDodi.

Lui cominciò a far viaggi, in Ro-mania diceva: comprava e vendevaauto. Vivevano in un buco di casache di notte pullulava di scarafaggie non c’era verso di farli fuori.

L’amore si diramò in altri due fi-gli. Avevano nove, quattro e dueanni e mezzo quando in una nottesenza stelle senza luna e senza mi-tezza qualcuno venne a bussare in-sistentemente alla porta. Si sveglia-rono tutti e cinque. Lui aprì ed uscì,chiudendosi la porta alle spalle. Leiportò da bere ai figli, rimboccò lorole coperte, li placò, posò un baciosu ciascuna guancia, spense le pic-cole abat-jour posate sui due como-dini e sussurrando di fare silenzio sispostò lentamente per il corridoiolungo e stretto. Batteva i denti. Siavvicinò, impiegando un tempospropositatamente dilatato, alla fi-nestra che dava sul giardinetto difronte alla casa. Due ombre oblun-ghe, appena percettibili alla lucefioca di un lampione poco discosto,stavano come pioppi neri sul selcia-to ai lati di quella di Dodi, alle spal-le della panchina di ferro che lei erasolita occupare nei pomeriggi didomenica, quando era bel tempo, aleggere fiabe o lavorare a magliamentre i piccoli giocavano. Sem-brò una folgore quella che laceròl’immobilità e si buttò sull’ombraal centro, subito seguita dall’altra. Ipioppi parevano un abete sbattutodal vento adesso.

Lei si morse le labbra per non

gridare. Lo lasciarono andare quasisubito. Tornò a casa pesto e sangui-nante. Letizia prese il ghiaccio unostraccio umido il citrosil dei cerottie lo ripulì senza che un solo suonole uscisse dalla bocca, né le vennefuori una lacrima. Aveva solo il lab-bro inferiore tumefatto per i dentiche vi aveva affondato prima.Quella notte Dodi morì.

L’indomani mattina si svegliòprima del sole. Fece tutto con estre-ma calma. La spremuta di agrumi.Il pane tostato. Il caffè. Tirò fuoridal ripostiglio un borsone. Lo spol-verò. Mise sulla tavola la tovagliet-ta per la colazione. Versò il caffènella tazza di Titti, nel piattino conSilvestro imburrò il pane e ci passòun velo di marmellata di fichi. Im-piegò un quarto d’ora per mangiar-ne tre fette. Un altro quarto d’ora lotrascorse guardando il vuoto allaluce soffusa dell’alba che addolcivala stanza. Si alzò e macinò i minutidi silenzio che le restavano in predaad una sorta di frenesia e di tremoree di agitazione, che le fecero scorre-re lo sportello dell’armadio, pren-dere alla rinfusa indumenti mutan-de calzini, pigiarli nella sacca, unacintura dal cassetto del comodino,fumetti, il dvd preferito, fazzoletti etutto quello che le venne in mentein preda ad un’urgenza irrinuncia-bile.

Poi svegliò i bambini. Un sorrisole colorò il volto. Li accudì raccon-tando loro spiritosaggini e spizzi-cottandoli sul culetto i fianchi i pie-di, colazione bagno vestizione,quindi preparò gli zainetti ed uscì dicasa con il piccolo sulle spalle. Lisistemò in macchina - cintura di si-curezza al grande, seggiolini per gli

Spagine n°0 - Scritture 07

Page 3: Spagine scritture 07 letizia di antonella caputo

spaginealtri due - e disse loro di aspettareun attimo ché aveva dimenticato diprendere il portamonete. Rientrò dicorsa, afferrò il borsone, lo posò sultavolo, un foglio, una matita, scrissein stampatello, a lettere sbilenche:Non farti più trovare al nostro rien-tro. Sbatté la porta con fragore, ap-posta per svegliarlo.

La casa, al tramonto, irradiavaun colore che dava d’oltretomba,ma Letizia sapeva che stava dentrodi lei, l’oltretomba. Le cose riman-gono sempre uguali a se stesse: lesembrò consolante questa certezza.Inventare una verità per i bambinifu più difficile del piano che si eraabbozzato nella sua mente per tuttala mattina, dall’alba al crepuscolo,tra il dare ascolto ai clienti e il farcapolino sul retro del negozio, dovei figli bivaccavano dopo il pranzo acasa dei nonni, in attesa di far ritor-no a casa, prima dell’orario di chiu-sura. Disse loro che il papi era do-vuto partire improvvisamente peruna proposta di lavoro in Australia,un posto lontano ma bellissimo do-ve, se si fosse impegnato tanto,avrebbe portato anche loro. Era par-tito di corsa, doveva battere gli altrisul tempo, non aveva salutato nean-che lei, ma dovevano esser contenti,stasera avrebbero fatto festa, pizzacoca cola e patatine a volontà.

I pioppi neri, stavolta in tenutavertiginosamente verticale, si pre-sentarono due giorni dopo all’ora dipranzo. Aprì l’uscio e si raggelò,nonostante attendesse la loro visita.

“Suo marito, signora.”“Domenico non vive più qui.”“Ci dia un recapito, al telefono

non risponde.”

tà e si attaccò al pc ogni sera, dopoaver messo a letto i bambini.

Cancellò immediatamente daicontatti chi tentava approcci viachat. Rispondeva a poche doman-de: età, costo, profilattico sì. Chie-deva luogo e giorno. Il carnet fupresto pieno. Ad operazione avve-nuta depennava l’amico dalla sme-mo e lo eliminava in modo definiti-vo dal profilo.

Arrivava in ballerine nere a fio-rellini rosa, jeans skinny chiaristrappati, maglia nera cappellinoviola da baseball calato sugli occhie una sacca rossa da palestra. Il piùdelle volte le facevano trovare laporta aperta e luci smorzate da pa-ralumi. Lei entrava, cercava l’inter-ruttore, illuminava a giorno la stan-za, sorrideva e chiedeva di andarein bagno sotto sguardi spesso atto-niti o sconcertati.

Non usciva mai da lì prima dimezz’ora. Qualcuno bussava allaporta. Rispondeva One moment avoce bassa e composta. Lo spaesa-mento di chi attendeva si trasfor-mava in stupore e salivazione acce-lerata non appena varcava la soglia,dopo aver girato la chiave e abbas-sato la maniglia con estrema, stu-diata lentezza.

Ne veniva fuori tutta nera. Tubi-no cortissimo e leggermente svasa-to sulla linea di demarcazione delleautoreggenti trenta denari setificatefascianti e non troppo velate, decol-té di vernice a punta tonda modellodolly, tacco ottanta sfilato ma non aspillo, cappellino di velluto con fal-da di dieci centimetri curvata a na-scondere lo sguardo che diventò ilsuo burqa affinché nessuno, mai, le

traforasse l’anima. Una volta unoprovò a levarglielo. Saltò giù dalletto, riprese i soldi dalla borsa, nebuttò a terra una metà e si chiuse inbagno intimando al tipo di lasciarlaandare altrimenti avrebbe chiamatola polizia e avrebbe avuto da perde-re più lui che lei. La lasciò passare,imprecando insolenze cui lei rispo-se solo mostrando il dito medio.Appena arrivò a casa lo bannò.

La prima sera aveva vomitato ul-cere e succhi giallastri fetidi. Levolte successive le capitava solo diavere il respiro a singhiozzo per tut-ta la notte e di non riuscire a buttaregiù neanche un bicchiere d’acqua,figuriamoci la cena che Chiara lelasciava sulla tovaglietta all’ameri-cana avvolta nella carta stagnola epoi in uno straccio affinché rima-nesse tiepida. Si attaccava allospazzolino da denti e li strofinava asangue con bicarbonato e limone,compresi lingua gengive e palato.Non dormiva, quelle notti. Facevaproiezioni. Rivedeva il malloppoammucchiato fra le foto del matri-monio formato cartolina sparse allarinfusa in una scatola da scarpe econtava il tempo che ancora occor-reva. Nelle altre studiava e si addor-mentava alle tre. Di lì a poco avreb-be sostenuto gli orali di un concor-so in polizia urbana. A Belluno.Sulle asperità. Lei che fino a primadi quella notte amava il sud e il solee il mare. Non vedeva l’ora di anda-re via con una valigia ed i figli. Tut-to il resto: lo odiava già e per sem-pre.

L’ultimo tizio aveva un aspettoraffinato, occhi vivaci e viso beffar-do, alla Servillo. Sembrava gentile

però e lo fu. Mentre raccoglieva iltubino da terra e il resto le disse:

“Voglio il culo.”S’immobilizzò con i vestiti a

mezz’aria. “One stand, ricordi? Epoi il culo non lo do.”

“A me sì, lo darai.”“Cosa te lo fa supporre?”“Perché te lo pagherò il triplo,

millecinquecento sonanti. Duemilasenza preservativo.”

“Non lo do.”“Ti aspetto qui domani sera,

stessa ora.”

***

A casa il giubilo è diventato unsingulto. Ribolle e ha male dapper-tutto. S’infila nella doccia, anche sel’aveva già fatta in quel bagno. Sistriglia con foga, si tampona, sitocca, prova a guardarsi in unospecchio, piegata sul bidet.

Piange per tutta la notte. Piangeodio rabbia vendetta. Piange anchevittoria.

La mattina seguente telefona al-la madre e non va in negozio. Con ilbigliettino da visita accartocciatodove c’è l’indirizzo che ha control-lato su google map cento volte,suona il campanello. Consegna ciòche deve consegnare. Respira forte,fortissimo. Le jeu est terminè.

A ventott’anni non sa ancora chelo sporco le rimarrà appiccicatosulla pelle, nell’anima e nei letti checambierà. E non ci sarà diluenteche lo scioglierà.

Lecce, giovedì 16 gennaio 2014 - anno II

“Non so niente di lui. Non cerca-telo più qui. Ho paura. Ho tre figli.Ditemi cosa devo fare e lo farò, mavi scongiuro non suonate a questaporta.”

Lo disse con voce trascinata, gut-turale, impastata nella saliva, losguardo da lepre, ma fermo, diretto,i pugni serrati.

I pioppi si scambiarono unosguardo. Quello riccioluto parlò:

“Tranquilla signora. Quindicimi-la sono. E non ci piove. Ci faccia sa-pere come e quando. Parola d’onoreche qua non ci vede più.”, mise lamano nella tasca posteriore dei pan-taloni da divisa militare, le porse unbiglietto da visita, abbozzò un in-chino. Non attesero risposta, si dile-guarono come saette.

Il piano si stemperò. Si definì. Fufarcito di tristezza, d’ineluttabilità,e via via forza determinazione riso-lutezza dignità ed un guizzo d’orgo-glio.

Profilo facebook. Una foto delsuo culo con una brasiliana moltosuccinta. Blu a retina e stringhe in-trecciate. Un fake: Delizia. Richie-ste d’amicizia a manetta. A soli uo-mini. Del circondario. Professioni-sti. Over quaranta. Con allegato adogni richiesta un messaggio in pri-vato: Non sono una puttana di pro-fessione. Valgo tutti i soldi che chie-do. Garantisco massima segretezzae serietà. Prestazione a domicilio.Dalle venti alle ventidue. Only OneStand.

Chiamò Chiara, la ragazza che ditanto in tanto le dava una manoquando i bambini erano ammalati elei non poteva assentarsi dal nego-zio. Si accertò della sua disponibili-

Page 4: Spagine scritture 07 letizia di antonella caputo

Spagine n°0 - Scritture 07 Lecce, giovedì 16 gennaio 2014 - anno II

Le immagini che illustrano il racconto sono di Francesca Woodman