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Sathiyam

Scacco al PadrinoSi è spento in un letto d’ospedale il boss di Montréal Vito Rizzuto. Era il patriarca della famiglia mafiosa più influente del Nord America. Sulla sua morte, però, sorgono diversi dubbi e il sospetto di una cospirazione interna alla famiglia

di Saul Caia

4 | gennaio 2014 | narcomafie

Mafia in Canada

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Scacco al Padrino

Il Padrino Vito Rizzuto è mor-to. La notizia è di quelle che paralizzano l’informazione e non solo. A pochi giorni dal Natale, Montréal è sconvolta dall’annuncio diffuso da quo-tidiani e radio. In pochissime ore anche i social network ri-lanciano la news.Perché Vito Rizzuto non è sola-mente “The Teflon Don”, come lo hanno ribattezzato i media canadesi, non è semplicemente il figlio del vecchio “campiere” emigrato da Cattolica-Eraclea, o il capofamiglia della princi-pale organizzazione mafiosa del Nord America.Vito è l’anello di congiunzione tra la “malavita” e il mondo affaristico, imprenditoriale e politico del paese.Il Padrino era stato ricovera-to d’urgenza nella notte del 21 dicembre, all’ospedale di Sacré-Coeur, nella capitale del Québec. Le sue condizioni sembravano inizialmente stabi-li. Le telecamere stazionavano davanti alla clinica, in cerca di un possibile aggiornamento.Poi una complicazione polmonare ha aggravato la situazione.«Posso dirvi che è morto nel nostro ospedale per cause na-turali – spiega Maude Hébert -Chaput portavoce della cli-nica – ma è l’unico commen-to che farò per rispetto della famiglia».

Devozione e rispetto. Nelle ore successive si susseguono filmati e interviste che rico-struiscono la vita del boss. La nascita dell’impero mafioso fatto di sangue e compromessi, con affari e investimenti che spaziano dal narcotraffico agli appalti per l’edilizia, ai casinò e ai centri scommesse. Fondi

neri nascosti in diversi paradisi fiscali pronti per essere riciclati in attività lecite, come l’appal-to per il Ponte sullo Stretto o il marchio “Made in Italy” da diffondere in mezza Europa. Le vicende giudiziarie e l’estradi-zione negli Stati Uniti per la condanna di omicidio.Oltre settecento persone si re-cano, nei giorni successivi, alla cappella di famiglia “Loreto” a St. Léonard, appartenente agli stessi Rizzuto, per omaggiare i parenti con le condoglianze.La giornata è gelida: auto-mobili di grossa cilindrata sono posteggiate all’interno dell’ampio parcheggio, dalla quale scendono uomini con lunghi cappotti e occhiali da sole, accompagnati da donne in pelliccia e che sfoggiano preziosi gioielli. Lentamente si compone una fila, ordinata, che di ora in ora diventa sempre più lunga. A poca distanza, rigorosamente in borghese, ci sono gli ufficiali del Servizio di Polizia della Città di Montréal (Spvm), della Royal Canadian Mounted Po-lice (Rcmp) e della Sûreté du Québec (Sq). Con grossi obiettivi fotografa-no e immortalano i volti dei presenti, scrutando possibili “amici” o “nemici” dei Rizzuto per ricostruire il nuovo organi-gramma dell’organizzazione.

La bara d’oro. La storia si ripete nel giorno del funerale, celebrato nella chiesa di Notre Dame de la Défense, nella Lit-tle Italy di Montréal, lo stesso luogo che accolse l’esequie del padre Niccolo e del figlio Nick Junior. Intorno alla chiesa, il perimetro è blindato.Per assistere all’ultimo saluto

sono accorsi in centinaia. Le stime delle autorità riferiscono di quasi mille persone. I gior-nalisti, al quale è stato vietato l’accesso, sono ammassati agli angoli della strade, sui balconi delle case o nascosti dietro le siepi. Le corone di fiori sono decine e ognuna recita una dedica personalizzata. Dalla semplice scritta “Nonno” o “Addio amico mio”, alla de-corazione floreale a forma di borsa da golf, lo sport amato dal boss, che riporta la scritta “Vito”. Poi ci sono quelle inviate dagli “amici”, dalla famiglia ’ndran-ghetista dei Cotroni e della gang degli Hells Angles in cui c’è scritto “Steve”, mentre a bordo della strada è parcheg-giato un furgoncino con la ban-diera dei Mohawk Warriors, i militanti dell’omonimo gruppo in favore dei nativi americani residenti nel Québec.La presenza dei media provoca brevi attimi di tensione, quan-do un giovane familiare colpi-sce l’obiettivo della telecame-ra che lo stava riprendendo mentre usciva dalla macchina davanti la chiesa.Rientra tutto nella normalità quando arriva il carro funebre, seguito da una decina di limou-sine. La bara placcata in oro, come già avvenuto per il figlio Nick Junior, viene portata in spalla all’interno della chiesa da otto necrofori.Gli sguardi impassibili dei presenti, seguiti dal segno del-la croce, accompagnano l’en-trata del feretro. Seduta nella panca principale c’è la moglie Giovanna con i figli Leonardo e Libertina, dietro parenti e amici accorsi da ogni parte del Canada e degli Stati Uniti.

Sorgono diversi dubbi sulla scelta di concedere un

ultimo saluto al Padrino durante

una cerimonia solenne e pubblica.

Nei giorni successivi un ampio dibattito

prende spunto dall’articolo del

giornalista Adrian Humphreys che per «The National Post»

raccoglie le dichiarazioni dello

stesso Monsignor Incaltalupo:

«La Chiesa non rifiuta nessuno»

5 | gennaio 2014 | narcomafie

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Antonio Nicaso, giornalista e autore di diversi libri sulla ’ndrangheta, ultimo Acqua santissima: La Chiesa e la 'ndrangheta (Mondadori, 2013) insieme a Nicola Gratteri, procurato-re della Dda di Reggio Calabria. Da diversi anni si occupa delle vicende della famiglia Rizzuto, per questo gli abbiamo chiesto se la stampa abbia sottovalutato le condizioni di salute del Padrino o, peggio, non fosse al corrente della sua malattia.«Purtroppo sono stato l’unico a chiedere l’autopsia, invano, perché nessuno ha raccolto il mio sugge-rimento a fare chiarezza. Alcune fonti, mi avevano informato degli ultimi movimenti di Rizzuto, descri-vendolo come un uomo che viveva in modo frenetico. Dopo un primo periodo in cui si era quasi defilato, ultimamente era molto visibile, era più sicuro di sé, faceva il giro dei bar e dei ristoranti, incontrava molte persone e persino la notte in cui si è sentito male aveva brindato con amici e conoscenti festeggiando il Natale.Poco tempo prima un suo nemico (Giuseppe De Vito avvelenato a luglio nel carcere di Donnacona in Quebéc, ndr.) era stato elimi-nato con il cianuro, che provoca gli stessi effetti riscontrati prima della morte di Rizzuto, cioè pro-blemi polmonari con conseguente arresto cardiaco. Questo insieme di indizi presentava uno scenario diverso dalle fonti ufficiali, che invece confermano il decesso per cause naturali riconducibili ad un tumore ai polmoni».

Resta quindi un alone di mistero dietro la morte del Padrino, c’è la possibilità che qualcuno si sia voluto sbarazzare di Rizzuto con il cianuro?Analizzando la vicenda, personal-mente a me il dubbio era sorto. Diciamo che l’ipotesi non è stata solo una mia idea, sono dubbi che avevano e hanno molti addetti ai la-vori, ma anche figure interne all’in-

telligence canadese, che seguivano ormai da molti anni i movimenti di Rizzuto, parlano di un uomo in salute, che non stesse affrontando il calvario della malattia, anzi lo avevano visto brindare e tornare a casa alle 2 del mattino.Tra l’altro Rizzuto aveva accennato in passato, in un’udienza prima della condanna negli Stati Uniti, di aver riscontrato durante un control-lo una macchia sospetta, ma aveva sempre detto che bisognava fare un ulteriore accertamento. Mi avevano informato che una volta rientrato da-gli States, Rizzuto aveva svolto dei controlli e non era risultato nulla, tra l’altro doveva ancora rinnovare il tesserino sanitario.

Aldilà delle rivalità esterne, chi sarebbe stato favorito dalla morte di Rizzuto?Vito Rizzuto era un uomo che pen-sava meno agli affari e più alla vendetta personale. La mafia è un ragno che tesse la sua tela e vive di relazioni, questi rapporti erano stati recentemente messi a nudo dalla Commissione Charbonneau, quindi all’interno dell’organizzazione c’era anche chi pensava di ricucire gli strappi piuttosto che dare corpo alla vendetta, che era considerata un aspetto personale.In quest’ottica si può valutare la possibilità di qualcuno che abbia voluto approfittare della scomparsa del Padrino per mettere una pietra sul passato e guardare al futuro. Sangue e affari sono incompatibili, perché nel momento in cui usi la violenza per importi e controllare il territorio, o per vendicare tradi-menti patiti e subiti, pregiudichi la possibilità di gestire con tranquillità le attività lucrose ed illecite dell’or-ganizzazione. Nel momento in cui prediligi la vendetta, pregiudichi gli affari.

Adesso come cambia il quadro interno nella famiglia Rizzuto, chi prenderà il posto di Vito?

Ci sono due ipotesi. Se Rizzuto era consapevole di dover morire per la sua malattia, ha avuto la possibilità di dare indicazioni sulla successio-ne; allora, con tutta probabilità, avrà puntato su una figura in grado di completare il suo lavoro, portando a termine la sua vendetta. In questo primo quadro, nei prossimi mesi assisteremo nuovamente a vicende di violenza, in quanto è chiaro a tutti che nella “lista nera” di Rizzu-to c’erano altri nomi oltre a quelli già uccisi in questi mesi.Se invece non ha avuto la possi-bilità di indicare un successore, si potrebbe prospettare un “interim”, anche perché è difficile sostituire una figura carismatica come Vito Rizzuto su due piedi, e il posto verrebbe assegnato a qualcuno che si trova fuori, dato che moltissimi esponenti della famiglia sono an-cora in carcere e stanno scontan-do la condanna per l’operazione Colosseum.

Una delle ipotesi più accreditate potrebbe essere quella di Rocco Sollecito?Sì, Rocco Sollecito potrebbe essere uno di quelli che condurrebbe “ad interim” gli affari della famiglia. Anche se bisogna ammettere che Sollecito e il figlio, essendo di origine pugliese, potrebbero non essere le persone giuste, soprat-tutto perché i pugliesi nell’organi-gramma della famiglie non hanno abbastanza forza per esprimere un loro rappresentante ai vertici di un’organizzazione che ha sempre avuto calabresi e siciliani al co-mando. Ad ogni modo, se la scelta ricadrà su Sollecito sarà chiaro che la strategia della famiglia punterà a ricucire gli strappi provocati dalla Commissione Charbonneau. Se non vengono ristabiliti i rapporti con la politica, la finanza, l’imprenditoria, e il mondo delle banche, l’orga-nizzazione subirà nuovi scossoni in quanto non può sopravvivere senza questi rapporti.

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Colloquio con Antonio Nicaso: “Non c’è stata l’autopsia e restano molti dubbi”

6 | gennaio 2014 | narcomafie

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La vicenda sembra non quadrare, non si capisce

per quale motivo le autorità canadesi

non abbiano effettuato l’autopsia sul corpo, fugando

ogni dubbio sulla morte

del mafioso più influente del paese

La chiesa è gremita: chi è ar-rivato in ritardo può assistere solamente fuori dell’ingresso principale. La messa recitata da Monsignor Igino Incanta-lupo è interamente in lingua italiana. Un funerale semplice e con un forte sentimento di riverenza nei confronti del boss defunto, racconteranno alcuni presenti.

La messa contestata. Eppure sorgono diversi dubbi sulla scelta di concedere un ultimo saluto al Padrino durante una cerimonia solenne e pubblica. Nei giorni successivi un am-pio dibattito prende spunto dall’articolo del giornalista e scrittore Adrian Humph-reys che per «The National Post» raccoglie le dichiara-zioni dello stesso Monsignor Incaltalupo: «La Chiesa non rifiuta nessuno. Era cristiano e aveva il diritto di avere un funerale nella Casa di Dio». Dello stesso avviso anche il portavoce dell’Arcidiocesi di Toronto, Neil Mac Carthy: «Un funerale non è una valutazio-ne della vita di un individuo o di contributi. È un’opportu-nità per noi di pregare per il defunto e la famiglia che ne piangono la scomparsa».Nell’articolo viene riporta-ta la storia di John “Johnny Pops” Papalia, rappresentante della famiglia mafiosa dei Magaddino di Buffalo, per la quale ricopriva il ruolo di caporegime nel Sud dell’On-tario, tra Hamilton e Toronto. Figlio di emigrati calabresi, inizia la carriera come spac-ciatore, dopo diversi arresti e condanne venne persino coinvolto nella famosa inchie-sta “French Connection”, per

il traffico internazionale di eroina da Marsiglia al Nord America, tra gli anni 60 e 70, che coinvolgeva le più importanti famiglie mafiose dell’epoca.Quando morì, la Chiesa Cat-tolica canadese negò la con-cessione di una struttura e di una funzione religiosa per i funerali; la famiglia dopo mille proteste si dovette ac-contentare di una semplice benedizione, fatta da un prete in una cappella privata.

Ucciso dal cianuro? Ma il dub-bio più grande è legato a quello che realmente è successo. In tanti sono rimasti stupiti della morte improvvisa. Già poche ore dopo la notizia, il giorna-lista André Cédilot, autore di diversi libri sui Rizzuto, aveva spiegato che se il boss fosse stato ammalato, la stampa lo avrebbe certamente saputo e confidava che sarebbe stata “l’autopsia a determinare le cause del decesso”.Dello stesso avviso anche Anto-nio Nicaso, il quale ha ribadito di aver espressamente chiesto l’autopsia senza che nessuno abbia realmente accolto “l’in-vito a fare chiarezza”.I comunicati ufficiali parlano di una morte dovuta a cause naturali, l’arresto cardiaco era un conseguente peggioramento delle condizioni di salute ri-conducibili alla chemioterapia che il boss stava facendo per curare il cancro ai polmoni. Eppure la vicenda sembra non quadrare, e non si capisce per quale motivo le autorità cana-desi non abbiano effettuato l’autopsia, fugando ogni dub-bio sulla morte del mafioso più influente del Paese. Ad

arricchire l’aura di mistero si aggiunge un altro tassello. Lo scorso giugno, nella prigione federale di Donnacona, sempre in Québec, viene trovato senza vita e all’interno della sua cel-la Giuseppe De Vito, 45enne ex componente della famiglia Rizzuto. Solo più tardi sarà reso noto che il decesso era dovuto, anche in questo caso, a un arresto cardiaco provo-cato dalla somministrazione di cianuro.Resta quindi l’ipotesi plausi-bile che qualcuno possa aver avvelenato Vito Rizzuto. Una cospirazione alle spalle di un uomo che a 67 anni stava rivi-vendo una seconda giovinezza, fatta di violenza e vendetta. La riconquista del potere era accompagnata dalla crescente escalation di sangue che aveva visto in poco tempo cadere di-versi antagonisti. Tra questi Joe Di Maulo, suocero di Raynald Desjardin, e poche settimane fa anche Moreno Gallo, freddato addirittura in Messico. Forse qualcuno dentro la famiglia aveva paura che la sete di ven-detta offuscasse il giudizio del Padrino, deciso a fare piazza pulita con il passato. Oppure che la nuova ondata di omici-di avrebbe destabilizzato gli affari, già ampiamente turbati dall’inchiesta condotta dalla Commissione Charbonneau che aveva reso pubblica l’in-filtrazione della mafia negli ambienti politici, economici e imprenditoriali del paese.Complotti, vendette, sangue e tante ipotesi arricchiscono una storia senza fine, in ballo c’è l’interesse economico-politico del Canada e le sorti della fa-miglia mafiosa più influente del paese: i Rizzuto.

7 | gennaio 2014 | narcomafie

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Adrian Humphreys, giornalista del “The National Post”, specializzato in criminalità organizzata e autore di libri sulla mafia canadese, come The Sixth Family: Vito Rizzuto e il collasso della mafia americana (Armando Curcio Editore, 2009) scritto insieme a Lamothe Lee, “The Enforcere”, che racconta le vicende dello ’ndranghetista Johnny Papalia e infine The Weasel, la storia di Marvin Elkind confidente delle autorità canadesi.

Vito Rizzuto è stato un carismatico boss. In questi ultimi anni aveva riorganizzato la famiglia e la mafia di Montréal. Adesso con la morte del Padrino si cercherà un nuovo successore, chi sono i candidati e come cambia la mafia in Canada?La morte improvvisa di Vito Rizzuto lascia un vuoto enorme nel mondo della malavita del Nord America. Era un uomo singolare, dai molti talenti, un pacificatore ma anche un uomo d’affari con una mente strategica. Aveva ottenuto tutto quello che nessuno era riuscito a fare prima del suo arrivo. Pen-so che il nuovo capo sarà della fazione siciliana, ovvero qualcuno interno alla famiglia e legato da rapporti di sangue o di matrimoni. Tuttavia non è escluso che si possa formare una sorta di con-siglio di controllo, come già avvenuto in Ontario, dove le organizzazioni decidono in sinergia. Dopo tutto, il Canada è un paese multiculturale sempre pronto a sperimentare nuove idee, anche quelle naturali.

Le pagine dei quotidiani canadesi hanno mostrato notevole stupore per la morte improvvisa di Rizzuto. Alcuni tuoi colleghi, come André Cedilot e Antonio Nicaso, hanno chiesto invano che fosse effettuata l’autopsia, ma le autorità l’hanno negata. C’è il sospetto che il boss possa essere stato ucciso?Non vedo perché le autorità non abbiano preso le dovute precauzioni, conducendo un’indagine dettagliata sulle cause della morte di un uomo che ha vissuto tutta la sua vita intrisa

di malavita, intrighi, violenza e miste-ro. Anche se può sembrare inverosi-mile, come si può escludere che Vito Rizzuto sia stato ucciso? Poco prima della sua morte, un ex socio mafioso che si era staccato dal clan Rizzuto morì nel carcere per avvelenamento da cianuro (Giuseppe De Vito, ndr.). Questo episodio ci dimostra che quel metodo e quei mezzi di morte sono a disposizione dei mafiosi di Montréal. Vito Rizzuto era sano e robusto, tanto da restare fuori di casa nelle ore prima della sua morte, essendo stato visto in locali notturni e bar. Lui non era una persona indebolita o debilitata come vorrebbero farci credere.

Nel tuo ultimo articolo hai pubbli-camente chiesto: “Perché a Vito Rizzuto è stato concesso un fune-rale nella chiesa cattolica di Mon-tréal?” Nel 2010 a Siculiana, un prete celebrò una messa religiosa per il vecchio boss Agostino Cun-trera, ucciso in Canada, e nel ser-mone sottolineò come quell’uomo fosse “onesto e generoso”. Forse, come evidenziavi tu, sarebbe stato meglio una semplice benedizione del corpo, come avvenuto nel caso di John Papalia?La netta differenza di come la Chie-sa Cattolica ha gestito la morte dei due noti mafiosi in Canada è stata scioccante. John Papalia, rappresen-tante mafioso nella città di Hamilton nella regione dell’Ontario, era stato condannato per traffico di eroina e coinvolto nel gioco d’azzardo, estor-sione, corruzione, frode e violenza. Alla sua morte non solo gli venne negata una messa cattolica, ma alla famiglia venne vietato l’utilizzo di qualsiasi chiesa per il funerale. Venne solo benedetta la bara da un parroco in una struttura funebre privata. Vito Rizzuto è stato condannato per racket e omicidio, quest’ultima scontata con l’estradizione negli Stati Uniti. Come per Papalia, Rizzuto nella sua vita ha commesso gli stessi reati. Le loro storie si specchiano nella “malavita”. Allora perché la Chiesa ha preso una

forte posizione morale in un caso e non nell’altro? Molte persone hanno espresso il dubbio se consentire un funerale pubblico a Rizzuto. La gente ha detto che sembrava come se la Chiesa di Roma stesse mettendo il suo timbro di approvazione sulla bara di un mafioso.

L’inchiesta condotta dalla Commis-sione Charbonneau ha evidenziato la commistione tra mafia, politica e imprenditoria anche in un paese lontano dall’Italia come il Canada, forse non abituato a vicende di mafia. Come vive la popolazione canadese la lotta alla criminali-tà organizzata? È cosciente del problema?La Commissione Charbonneau è stata una necessaria sveglia per i canadesi, per denunciare la misura in cui la mafia si infiltra nell’economia le-gale del paese. La maggior parte dei canadesi ha visto la mafia come una frangia, un’organizzazione criminale che non aveva alcun impatto sulla loro vita, a meno che non si entrasse in contatto diretto con loro attraverso il gioco d’azzardo, le droghe o altri crimini. La realtà è che la mafia, ormai da tempo, ha incrociato la sua strada con la società tradizionale, attraverso le persone politiche, gli uomini d’af-fari, la magistratura, i funzionari del paese. L’inchiesta della commissione ha mostrato che la mafia danneggia tutti, anche quelli che vivono una vita lontano da interazioni dirette con i criminali. Il prezzo dei progetti dei lavori pubblici e delle infrastrutture sono stati notevolmente gonfiati a causa dell’infiltrazione della mafia, mentre i partiti politici hanno ricevu-to finanziamenti attraverso donazioni provenienti da dubbie fonti.È stato uno shock per molti cittadini. Un risultato importante della commis-sione è che serve come avvertimento per imprenditori e funzionari pubblici, perché i loro rapporti con i mafiosi po-trebbero diventare un giorno questioni imbarazzanti, tali da doversi dimettere e scusare con l’elettorato.

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Intervista a Adrian Humphreys

8 | gennaio 2014 | narcomafie

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