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RIVISTA DE

LLE FIGLIE DI M

ARIA AUS

ILIATRICE

damihianimas2010Anno LVII Mensile n. 9/10 Settembre/Ottobre

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

POVERTÀ

E BENE COMUNE

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4 EditorialeChe cosa posso fare?di Giuseppina Teruggi

5IncontriPovertà e bene comune

13Primopiano14Il perchè di FrancescoEducare è cosa del cuore

16Radici di futuroL’esperienza formativa dell’oratorio

18Amore e Verità Per una economia di gratuitàe di comunione

20Filo di AriannaLibertà, il canto dell’amore

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

sommario

dmaRivista delle Figlie

di Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81

00139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia Arciniegas

Mara Borsi • Piera Cavaglià

Maria Antonia Chinello • Anna CondòEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein

Laura Gaeta • Bruna GrassiniMaria Pia Giudici • Palma Lionetti

Anna Mariani • Adriana NepiLouise Passero • Maria PerentalerLoli Ruiz Perez • Paola Pignatelli

Lucia M. Roces • Maria Rossi

foto di copertina / Elio Scarciglia

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27In ricerca 28CultureIl racconto: la leggenda dei coralli

30 PastoralmenteQuestioni aperte?

32Donne in contestoIntrecci di solidarietà nell’emergenza

33Parole chiaveDialogo e ospitalità

sommario

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35Comunicare36Faccia a facciaSalire sopra i rumoriper comunicare nel sociale

38Comunicare la fedeIl catechista oggicome può educare alla fede

40Video Invictus

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroLa bambina ribelle

46CamillaGli acciacchi...

n.9/10 settembre ottobre 2010Tip. Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Bernadette Sangma• Martha SéïdeTraduttrici

francese • Anne Marie Baud giapponese • ispettoria giapponese

inglese • Louise Passeropolacco • Janina Stankiewicz

portoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvarez

tedesco • ispettorie austriaca e tedescaEDIZIONE EXTRACOMMERCIALE

Istituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c,

legge 662/96 – Filiale di Roma

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te ha ribadito che tutti i problemi del presen-te, compresi quelli economici planetari, dipen-dono da una carenza di pensiero: “Paolo VIaveva visto con chiarezza che tra le cause delsottosviluppo c’è una mancanza di sapien-za, di riflessione, di pensiero in grado dioperare una sintesi orientativa” (n. 31).

Si fanno passi in questa direzione. Nel 2001è sorta l’Università del Bene Comune, un pro-getto educativo internazionale elaborato dadocenti ed esperti impegnati nella promozio-ne di alternative alla mercificazione della “co-noscenza e dell’educazione”. Il progettoparte dal principio che la “conoscenza” è unpatrimonio dell’umanità, che fa parte dei “beni comuni”. Tra le Facoltà, c’è quella del-l’Alterità, che ha per oggetto la considerazio-ne dell’altro, del diverso visto non come ne-mico, opposto, inferiore, ma come ricchez-za di possibilità, collaborazione e interazio-ne tra punti di vista diversi. La Facoltà dellaCreatività, il cui punto di partenza concettua-le è che l’immaginazione non ha frontiere, senon quella rappresentata dal rispetto delladignità umana. La Facoltà della Mondialità,per promuovere una consapevolezza aper-ta della condizione umana e della vita.

Utopie? Sogni? Forse. Ma come costruire il fu-turo senza la “fantasia della carità”?

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Che cosa posso fare?Giuseppina Teruggi

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La notte del Natale 2008 il cardinale di Milano,durante l’omelia della Messa, si è chiesto: “Checosa posso fare in questo tempo segnato dal-le prime ondate di una grave crisi economica?”.La sua risposta: costituire, per le famiglie deidisoccupati, un Fondo sociale. E non solo que-sto. Ne parliamo nella rubrica Incontridel pre-sente numero della Rivista.

Anche per noi, oggi, dentro una crisi che nonaccenna ad attenuarsi, valgono alcuni orien-tamenti per la prassi nel quotidiano: riflette-re insieme, anche come comunità, sulleconseguenze della crisi economica. Presta-re attenzione a chi è in difficoltà nel nostroterritorio, soprattutto alle famiglie. Aderire,inventare iniziative concrete di solidarietàcon la gente che soffre di più la crisi. Attivar-ci per fare in modo che chi perde il lavoronon perda anche la dignità. Sono vie percor-ribili per perseguire il “bene comune”.

Bene comune è anche superare i localismio una visione chiusa sulla propria cultura,per confrontarsi con i valori e i limiti di al-tre culture. Ed è soprattutto nell’emergen-za - fa notare la rubrica Donne in contesto- che scoppia la solidarietà, la ricerca delbene per chi ne è deprivato. Senza esclusio-ne di persone. E, in questo, artiste partico-larmente abili sono proprio le donne.

Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in verita-

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Povertàe bene

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re ai fedeli che la Notte di Natale riempio-no il Duomo di Milano? Dal pulpito mi è ve-nuto spontaneo aprire così l’omelia: «Que-sta notte che stiamo vivendo è segnata dauna notizia di estrema semplicità e insiemedi significato straordinario e unico: Dio sifa uomo come noi e per noi. Il Natale cichiama ad uno slancio rinnovato, ad un sup-plemento speciale di fraternità e solidarietà.Un interrogativo mi tormenta: io, come ar-civescovo di Milano, che cosa posso fare inquesto Natale già segnato dalle prime on-date di una grave crisi economica?Noi, come Chiesa ambrosiana, che cosapossiamo fare?».

Come ha risposto a questo interrogativo?

In quella stessa omelia, non volendo chequel discorso rimanesse generico, ho lan-ciato il “Fondo Famiglia”. Lavoro per venire incontro a chi stava per-dendo l’occupazione e rischiava di perde-re anche la propria dignità.

Da dove ha attinto le risorse per costituire il“Fondo”?

Come avvio a questo fondo – dicevo nellastessa omelia – ho attinto dall’otto permille destinato per opere di carità, dalle of-ferte pervenute, da scelte di sobrietà del-la diocesi e mie personali, mettendo a di-sposizione la cifra iniziale di un milione dieuro. Ho chiesto a tutte le comunità cristia-ne della diocesi di riflettere sulle conse-

Il Sogno di NataleGraziella Curti

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Di fronte alla crisi economica, il card. Dionigi Tettamanzi,arcivescovo di Milano, ha fatto un sogno, che ha voluto tradurresubito in realtà: un fondo sociale a favore dei disoccupati, di coloro,cioè, che perdendo il lavoroperdevano di dignità e non erano piùin grado di sostenere la famiglia. Da questo inizio, che ha fatto notizianella società civile, sono nate altreiniziative e pubblicazioni che hannoavuto il merito di chiarire il Vangelodella carità, il pensiero cristiano sulla solidarietà.Per questo, riteniamo opportunoriportare un’intervista al cardinaledove vengono espresse, in formasemplice e dialogante, le sue idee sul modo di vivere e superare le conseguenze della crisi economica.

Vuole spiegarci, padre, che cos’è stato il so-gno di Natale da cui è partita l’iniziativa perrispondere alla crisi finanziaria?

Era da qualche settimana (dicembre 2008)che andavo riflettendo sulla crisi economi-co-finanziaria in atto nel mondo. Intanto ilNatale si avvicinava. Di giorno in giorno michiedevo: Che cosa devo dire, secondo laverità evangelica e con un cuore di pasto-

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guenze della crisi economica, di prestareparticolare attenzione alle famiglie in diffi-coltà a causa del lavoro, di aderire con ge-nerosità a questo fondo.

Come ha concepito l’organizzazione per ar-rivare capillarmente con l’aiuto ai più biso-gnosi?

Già in quella notte, ho delineato la rete. I sa-cerdoti e i laici, attraverso i consigli pasto-rali, i consigli per gli affari economici e al-tri organismi competenti, avrebbero ope-rato un serio discernimento per decidereconcretamente come partecipare al “Fon-do”. Inoltre la Caritas Ambrosiana e leACLI stavano già studiando le forme piùadatte per la gestione e l’utilizzo di questo

fondo. In particolare, perchè la distribuzio-ne degli aiuti fosse mirata, ho chiesto ai de-canati di rendersi protagonisti sul territoriodi una lettura sapiente dei bisogni e di ela-borare progetti intelligenti di aiuto.Mi premeva che queste risorse non fosse-ro una forma di assistenzialismo, ma un aiu-to affinchè chi perde il lavoro non perda an-che la propria dignità.

Che cosa intende per sobrietà, per bene comune?

La sobrietà è una virtù, certamente. Noncosì facilmente apprezzata, forse perchèspesso fraintesa. Sobrietà è confusa, se nonproprio con avarizia, con un vissuto che sadi risparmio minuzioso, di astensione daiconsumi, di calcolo esasperato su tutto ciò

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(personale, comunitario, sociale) da ogni ec-cesso, riconducendolo alla “giusta misura”,evitando le parole urlate e i toni eccessivi,i consumi sfrenati che giungono allo spre-co e, dall’altra parte, l’avarizia di chi accu-mula indifferente al bisogno altrui.

Ci può spiegare, padre, perchè ha attribuitoal “Fondo” una valenza educativa?

Gli stessi media laici hanno colto questo va-lore nel Fondo riconoscendolo come unostrumento popolare per sollecitare una rifles-

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che si potrebbe evitare di avere e di com-perare ecc. Quasi un comportamento ma-niacale, oltretutto applicato alla sfera eco-nomica del vivere. Ma la sobrietà autentica è tutt’altro!Essa va intesa come uno stile di vita comples-sivo: sobrietà nelle parole, nell’esibizione disè, nell’esercizio del potere, nel vissutoquotidiano. Non è una questione solo eco-nomica, ma tocca una sfera molto più ampiadel nostro agire e del nostro stesso essere.La sobrietà è via privilegiata alla solidarietà.Personalmente ho trovato interessante percapire lo stile sobrio di vita un testo disant’Agostino, che così scrive nella sua famo-sa opera Sui doveri: «Nella temperanza siconsiderano e si ricercano soprattutto latranquillità dell’animo, l’amore alla mansue-tudine, la grazia della moderazione, la curadell’onestà, la stima per il decoro. Dobbia-mo praticare un metodo di vita, che derivi,per così dire, i primi fondamenti dalla mo-destia, la quale è compagna e amica dellatranquillità dell’animo, evita la protervia, èaliena da ogni mollezza, ama la sobrietà, fa-vorisce l’onestà, cerca il decoro. Si deve an-che cercare in ogni azione che cosa sia con-veniente alle persone, alle circostanze e al-l’età; inoltre che cosa sia adatto all’indole diciascuno». (De officiis, I, 210, 211 e 213).Tranquillità dell’animo, mansuetudine, mo-derazione, cura dell’onestà e stima per il de-coro sono doni preziosi e compiti impegna-tivi. Solo con un’educazione morale e spi-rituale seria si possono accogliere e vivere.E tutti, a cominciare da chi ha una respon-sabilità di animazione e di guida della co-munità, siamo invitati a ricuperare e rilan-ciare l’autentica sobrietà. Ciò è possibile cogliendo i significati posi-tivi e liberanti di cui la sobrietà si fa custo-de e promotrice. Essa, infatti, intende gua-rire il nostro comportamento quotidiano

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Una vita dedicata a Dio

Il 14 marzo 1934 nasce a Renate, in provin-cia e diocesi di Milano, il Cardinale Dio-nigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano(Italia). All’età di undici anni entra in se-minario, dove inizia gli studi, fino alla Li-cenza in teologia ottenuta nel 1957.Il 28 giugno del 1957 venne ordinato sa-cerdote dall’Arcivescovo di Milano, Mons.Giovanni Battista Montini, e pochi mesidopo venne inviato al Pontificio Semina-rio Lombardo di Roma, dove rimase perdue anni, frequentando la Pontificia Uni-versità Gregoriana.Conseguito il dottorato in Sacra Teologiacon una tesi su: «Il dovere dell’apostola-to dei laici», rientrò in diocesi come pro-fessore di discipline teologiche fino all’au-tunno 1966. Trasferitosi presso il semina-rio maggiore di Venegono Inferiore, peroltre vent’anni vi insegnò Morale fonda-

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sione sulle cause della crisi economico-finan-ziaria e sulle modalità per uscirne. Si tratta,infatti di educarci ad educare a uno stile divita personale, anzi ad un modello di svilup-po della società: stile e modello che passa-no attraverso la solidarietà, da intendersi nonsemplicemente come un “dare” ma pro-priamente come un “condividere” e da otte-nersi attraverso la virtù della sobrietà. Realtàtutte che rimandano al coinvolgimento re-sponsabile del singolo e della comunità, congli irrinunciabili interrogativi: “Io che cosa

posso fare? Noi che cosa possiamo fare?”.

Come reagiscono i giovani di fronte agli ap-pelli di solidarietà? Di fronte alla prospetti-va di uno stile di vita solidale?

Qualche tempo fa mi è giunta una letterada una ragazza di 21 anni, Valentina, che poiè stata pubblicata anche sul mio libro “Nonc’è futuro senza solidarietà”.«Non è facile essere giovani», scriveva la ra-gazza. E aggiungeva: «Mi sento in imbaraz-zo, spesso, nel sentire al telegiornale noti-

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mentale e svolse i trattati del matrimonio edella penitenza sotto il profilo dogmatico-morale. Nello stesso periodo insegnò Teo-logia pastorale a Milano.Nel suo insegnamento - caratterizzato dalimpidità di pensiero, semplicità incisiva del-l’esposizione, fedeltà gioiosa e convinta alMagistero della Chiesa e spiccato spirito pa-storale - vasta è la gamma dei temi trattati,tra i quali risaltano le questioni di moralefondamentale accanto a quelle di moralespeciale, con una preferenza per l’ambitodel matrimonio, della famiglia, della sessua-lità e della bioetica. All’intensa attività accademica ha saputounire sia la partecipazione ad incontri,convegni, corsi di aggiornamento teologi-co-pastorali per sacerdoti e laici in Italia eall’estero, sia la presenza a tavole rotondee dibattiti televisivi, sia la produzione di fre-

quenti contributi per «L’Osservatore Ro-mano» e per «Avvenire». Tutto ciò non l’haperò distolto dall’attività pastorale diret-ta, da lui sempre amata ed esercitata .Il 1° luglio 1989 venne eletto ArcivescovoMetropolita di Ancona-Osimo. Ricevettel’ordinazione episcopale nel Duomo diMilano dal cardinale Carlo Maria Martini.Nel giugno 1990 venne eletto Presidentedella Commissione Episcopale della CEIper la famiglia. Nel 1991 ricevette la nomi-na di Segretario Generale della Conferen-za Episcopale Italiana. Dopo quattro annidi intenso lavoro al servizio della ChiesaItaliana, nel 1995 viene nominato da Gio-vanni Paolo II Arcivescovo metropolita diGenova. Il 25 maggio dello stesso annoviene nominato Vice Presidente dellaConferenza Episcopale Italiana (incaricoricoperto fino a maggio del 2000).Nel gennaio 1998, il Consiglio Perma-nente della CEI lo nomina Assistente Ec-clesiastico Nazionale dell’Associazione deiMedici cattolici italiani.Dal 2002 è Arcivescovo di Milano. Da Gio-vanni Paolo II venne creato e pubblicatocardinale nel Concistoro del 21 febbraio1998, del Titolo dei Ss. Ambrogio e Carlo.

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nanzitutto “stili di vita”: di una vita plasma-ta dalla sobrietà e dalla solidarietà.

Che cosa chiederebbe ai religiosi/e in questomomento di crisi?

In questo momento di emergenza i religio-si e le religiose possono e devono fare quel-lo a cui sono chiamati tutti i discepoli del Si-gnore: testimoniare la loro vicinanza alfratello attraverso l’ascolto, l’accoglienza, lacondivisione delle difficoltà. E qui invito tut-ti ad allargare il cuore e a fare qualcosa diconcreto impegnandosi alla sobrietà.Essere sobri significa avere una giusta mi-sura in quello che si possiede e in quello dicui si dispone per sé e per gli altri. Per quan-ti si sono consacrati totalmente al Signorela sobrietà dovrebbe essere ancora piùsplendida, perché intimamente legata allapovertà evangelica e ai voti che hannopronunciato: sarà lo Spirito di Cristo adare ad ognuno di loro la luce e la forza permettere in pratica queste virtù.

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zie di violenza contro gli immigrati, i pove-ri, gli stranieri. Mi sento in imbarazzo nelsentire i discorsi di tanti miei coetanei, chenon riescono ad appassionarsi a nulla chenon sia il proprio interesse, che non sonopresi da altro che non sia il profilo di Face-book, la partita di calcio, le ragazze e i ra-gazzi da abbordare... La solidarietà, lo slan-cio verso chi sta peggio, la compassione, ilsentire nella propria carne le sofferenze del-la gente sono argomenti che non vanno piùdi moda. Perchè, Arcivescovo?».Ho cercato di rispondere a Valentina invitan-dola a tenere viva una forte ragione solida-le perchè questa ragione elabora e costrui-sce pensieri che non si chiudono come muriinvalicabili di fronte alle vere necessità.So, comunque, che ci sono molti giovani chevivono la solidarietà e sperano ancora.

Come, secondo lei, si può uscire dalla crisi?

Sono convinto che l’uscire dall’attualecrisi è questione non solo di nuove rego-le per l’economia in vista di modelli e si-stemi realmente rinnovati, ma anche e in-

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Quale la misura del crescere!

Specialmente nel momento difficile che l’e-conomia mondiale sta attraversando, con lasolidarietà non bisogna dimenticare la so-brietà, che costituisce la via maestra alla so-lidarietà. È infatti l’uso corretto e sapientedei beni la prima forma che realizza una so-lidarietà piena e consente il dono a mani li-bere, senza trattenere nulla se non quantonecessario. In queste ultime settimanesempre più spesso si è insistito da molteparti e con grande enfasi sulla necessità disostenere il più possibile i consumi. Certo le esigenze della moderna economiavanno in questo senso: se non si produce,se non si vende, se non si consuma, l’eco-nomia ristagna. Ma anche qui ritorna iltema della giusta misura: non ci sono for-se troppi bisogni inutili, indotti da una pub-blicità più che ingannevole? Dovremmo forse cominciare a riflettere sul-la giusta dimensione della crescita econo-mica, perché non si può far crescere all’in-finito la domanda di cose, e uso apposita-mente il termine «cose». Forse gli economisti potrebbero aiutarci arispondere alla domanda: quanto è giustocrescere? E, ancora, in quali settori è giustocrescere di più? La medicina, la cultura, la

ricerca scientifica, l’ecosostenibilità, l’a-groalimentare per dare cibo a tutti… Leopere essenziali in genere non mancano:scuole, strade, fognature, acquedotti,centri sportivi ecc. Manca a volte la cura quotidiana di tut-te queste realtà affinché siano effettiva-mente e utilmente a disposizione dellagente. Mancano, molto spesso, o risulta-no inadeguati i servizi alle persone, so-prattutto ai più bisognosi per motivinon solo economici. Diventa quindi necessario interrogarci: inquale direzione crescere? Che cosa è davvero necessario? Che cosa è davvero urgente e prioritarioe cosa non lo è, rispetto al bene dellagente che abita il territorio da noi ammi-nistrato? Dove investire le risorse che cisono, anche se rischiano di essere sem-pre insufficienti? Più che preoccuparci genericamentedella crescita, urge chiederci perché ecome crescere. È in gioco il nostro mo-dello di sviluppo, la sua dimensione ve-ramente e pienamente umana, il suo oriz-zonte sociale. È giusto crescere, dun-que,ma quale è la giusta misura? Forsenessuno ci sta seriamente pensando,perché ci lasciamo travolgere dal mecca-nismo irrefrenabile del mercato. Un’economia seria non può non porsi ladomanda e cercare la risposta; così comeuna politica seria.

Dal discorso, «La sobrietà dimenticata»,che l’arcivescovo di Milano ha tenuto a Varese nel primo incontro con gli amministratori locali della diocesi

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La solidarietà rende grande la Città

Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il princi-pio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per tro-vare pienezza di senso. (…)Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell’es-sere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quan-

to bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo. La persona non può trovare compimen-to solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere «con» e «per» gli altri.

(Compendio della Dottrina sociale della Chiesa n°164-165)

È la pratica straordinaria della solidarietàche ha reso grande nei secoli Milano. Edè sulla solidarietà che dobbiamo misu-rare ancora oggi l’autenticità della gran-dezza della nostra Città. Spesso la soli-darietà riceve un’interpretazione sem-plicistica: emotivo-sentimentale nel-l’ambito personale, benefico-assisten-ziale in quello sociale. Ma, come sotto-linea la recente enciclica Caritas in ve-ritate di Benedetto XVI, la solidarietàesige di essere riscattata da queste vi-sioni parziali, affermandone il ruolo ti-picamente sociale e politico. Essa, infat-ti, persegue il bene non solo individua-le ma anche e specificamente comune,è del tutto inscindibile dalla giustizia einclude, pertanto, la presenza attiva e

responsabile delle stesse Istituzioniben oltre il pur indispensabile serviziodel volontariato. La solidarietà è insepa-rabile dalla giustizia e per questo ha unadestinazione propriamente sociale. Allasua radice ci sono sempre gli altri. Sì, glialtri, perché ciascuno di noi, lungi dal-l’essersi costituito da sé, è in se stessoun dono, un essere che ha ricevutomolto dagli altri. E non c’è solo un de-bito individuale, ma anche un debitocomunitario, che ci lega alle generazio-ni che ci hanno preceduto.

(Dal discorso agli Amministratori della città tenuto dal Card. Tettamanzi nella basilica di S. Ambrogio in Milano il 6 dicembre 2009)

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Approfondimenti biblici

educativi e formativi

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effettività, cioè di una volontà decisa di bene.A questo proposito, Morand Wirth, nella suaopera, scrive: «Incontestabilmente in France-sco di Sales c’è una valorizzazione dell’affet-tività, ma anche della volontà intesa nel sensodella fermezza e della costanza nel decidere.Diceva di se stesso: “A mio modo di vedere,non c’è anima al mondo che prediliga più cor-dialmente, teneramente e, detto in buonafede, più amorosamente di me; infatti è piaciu-to a Dio di darmi un cuore così fatto”. Giungeperfino a dire: “Io sono l’uomo più affettuosodel mondo”, ma aggiungeva subito: “Io amo leanime indipendenti, vigorose…”. Senza rinun-ciare mai all’amore affettivo, S. Francesco diSales si schiera per un amore effettivo, fonda-to sulle “risoluzioni della volontà effettiva”».Per il Vescovo di Ginevra l’amore è essenzial-mente movimento, dinamicità. «L’amore è lavita dell’anima – scrive – come l’anima è la vitadel corpo». È il “ primo movente”. Mediantel’amore, ogni essere umano diviene una per-sona unificata nell’agire. «Perciò – scrive an-cora Francesco di Sales – la perfezione dell’a-more è la perfezione della vita, perché la vitadella nostra anima è l’amore».

S. Francesco di Sales e Mornese

Piera Cavaglià, nella sua indagine storica chesi può ritrovare nella Banca dati sul sito dell’I-stituto, ha trovato molte affinità fra lo stile divita delle nostre prime sorelle di Mornese conla spiritualità proposta da S. Francesco di Sa-les. Innanzitutto, nell’informalità quotidiana,

Educare è cosa del cuoreGraziella Curti

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Uno dei motivi più forti per cui don Bosco ha scelto S. Francesco di Sales come patrono dei due Istitutireligiosi da lui fondati è senza dubbioil fatto di aver colto nel Vescovo di Ginevra quell’ansia educativa, che era pure la sua. Non esistono trattati pedagogicisistematici del nostro santo protettore,ma nella sua vita e nelle sue opere è costante l’attenzione alla persona e alla sua crescita integrale.

Amore dinamico

Nel 2005, Morand Wirth sdb, ha dato allestampe un trattato su S. Francesco di Sales el’educazione, in lingua francese. Il testo, tra-dotto in italiano, è stato edito dalla Las nel2006. Nella prefazione, l’autore, scrive: «Mi au-guro che coloro che si dedicano all’educazio-ne delle nuove generazioni e alla formazionedelle persone in vari modi possano trovarenella figura di questo grande santo umanistaun aiuto e uno stimolo nel loro compito di for-mare, come diceva don Bosco, “buoni cristia-ni e onesti cittadini”. Francesco di Sales vie-ne definito grande educatore del cuore uma-no. Don Bosco lo segue su questa strada per-ché concepisce l’educazione come cosa dicuore. Ma tutte e due i santi si rifanno alla con-cezione del cuore biblico, cioè di una poten-zialità di crescita integrale che sta nella per-sona e non fatta di sola affettività, ma pure di

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si realizzavano quel realismo spirituale che siesprime come fedeltà alla persona nella sua to-talità, come “pazienza lunga e dolcezza senzamisura” nel rapporto educativo, come equili-brio nel discernimento, esercizio della presen-za di Dio, ardore apostolico, valorizzazione del-le dimensioni tipiche della vita: l’amicizia, lasemplicità, la schiettezza, la gioia comunicati-va, la santità nel quotidiano”. Per Maria Domenica, come per Francesco diSales, Dio ha il volto dell’amore che si fa vi-cino, ci salva in Cristo, ci unisce in comunio-ne e a lui ci si può rivolgere anche in dialet-to, cioè con profonda familiarità. L’impegnodi suor Maria Domenica per trasformare inamore ogni punto d’ago, ogni azione, ogni at-timo di tempo evoca un’impostazione di vitaunificata dal valore fondamentale della vita cri-stiana l’amore. Maria Domenica non ha scrit-to un “Trattato dell’amor di Dio”, ma l’haespresso nel quotidiano fino a raccomanda-re anche alle sorelle: “Fate con libertà tutto ciòche richiede la carità” (L 35,3).S. Francesco di Sales diede alla Chantalun’essenziale parola d’ordine da lui scritta a

caratteri maiuscoli: “Bisogna fare tutto peramore e niente per costrizione!”.Maria Mazzarello nella sua guida formativa tra-duce con semplicità di linguaggio espressio-ni ricorrenti nella dottrina del Santo. Don Le-moyne nella sua Relazione sulla malattia e mor-te della Madre conclude citando alcuni suoiorientamenti formativi abituali:«Fra gli avvisi che ripetutamente diede [vi] fu-rono questi: Non rendiconti giornalieri. Nonassuefare lo spirito schiavo. Lasciare quella san-ta libertà voluta da S. Francesco di Sales». S.Francesco di Sales scriveva alla Chantal: «In tut-to deve regnare la santa libertà e la franchez-za, e non dobbiamo avere altra legge o altra co-strizione che quella dell’amore [...] Penso che,se mi intendete bene, vedrete che dico la ve-rità e che combatto per una buona causaquando difendo la santa e amabile libertà del-lo spirito che, onoro in un modo del tutto par-ticolare, a condizione che sia vera e libera dal-la dissipazione e dal libertinaggio, che nonsono altro che una maschera di libertà».Vi è inoltre una profonda sintonia tra la con-cezione della vera pietà religiosa di MariaDomenica e la “devozione” salesiana. MadreMazzarello diceva: «La vera pietà religiosaconsiste nel compiere tutti i nostri doveri a tem-po e luogo e solo per amor di Dio». «Non bi-sogna rallegrarsi troppo, né troppo rattristar-si per nessuna cosa di questo mondo». Francesco di Sales scrive: «La vera devozio-ne consiste nell’abbracciare con prontezzae amore ciò che piace a Dio; nel far ogni cosacon spirito di soavità e dolcezza, con paca-tezza e umiltà, nel ricevere le pene senza la-sciarsi abbattere dal dolore; e le gioie senzalasciarsi trasportare da eccessiva allegria; nelfuggire il male senza turbarsi, nel fare il benesenza affannarsi, pensando più che all’este-riore dell’azione, all’interno dell’anima».

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di novizi e addirittura aspiranti, laici ed ec-clesiastici, tra cui vari sacerdoti. Valdocco negli anni Settanta si presentacome una comunità dal volto assai variega-to, in linea con l’educazione collegiale deltempo. Una comunità in cui gli educatorisono chiamati ad affrontare problemi con-creti dal punto di vista educativo, organizza-tivo, economico. Il 17 marzo del 1878 donBarberis, descrivendo la situazione dei chie-rici ascritti, afferma che il gruppo sembra piùcalmo, l’assistenza non è difficile, ma simanifesta tuttavia un difetto: «Non si occu-pa bene il tempo». La situazione più gravesi verificava nella scuola di Filosofia a causadelle notevoli disparità tra gli alunni: alcunigià dotati di discreta cultura, altri non anco-ra in grado di leggere speditamente o di te-nere il ritmo di una normale dettatura. I pri-mi perennemente annoiati per la lentezzadel percorso scolastico finivano per diven-tare “disturbatori” creando evidenti pro-blemi di disciplina, gli altri perennementemortificati a causa della loro ignoranza, gliinsegnanti esausti e sfibrati per il continuorichiamo alla disciplina. Don Barberis, sempre nel marzo del 1878, scri-ve che per ovviare i problemi causati dalla man-canza di disciplina si decise di dare ogni set-timana i voti in condotta e commenta: «Certoche il dare i voti ultimamente è mezzo quan-to mai utile per ottenere ordine e disciplina, maè anche certo che s’impara ad andare avanticon timore più che con amore».

L’esperienza formativa dell’OratorioMara Borsi

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A Valdocco nel 1870 i Salesiani e i giovani formavano due comunitàdistinte, ma non separate. Gli interventi di orientamento e di animazione educativa attraverso i discorsi serali, le buone notti, le feste, coinvolgevano perciò la vitadegli educatori religiosi e dei giovani.

L’azione formativa di don Bosco sulla comu-nità globale offriva elementi sostanziali alladefinizione della personalità dei Salesianicome educatori e come religiosi. Indubbia-mente il suo modo di essere, il suo stile digoverno, la sua capacità comunicativa eranola scuola viva a cui ognuno attingeva e checontinuamente interpellava a fare comedon Bosco. L’apprendimento dello stileeducativo avveniva attraverso le esperienze,in particolare di quelle relazionali concrete.

La formazione sul campo

Sulla base delle fonti storiche, si può affer-mare che la migliore formazione non eraaffidata a centri di formazione e di studiostrutturati. Questi non erano per principioesclusi, anzi se ne sarebbe sentita semprepiù l’inevitabile esigenza giuridica e peda-gogica. Ma il primato era dato alla forma-zione sul campo (1870-1877), anche perchéil funzionamento delle opere era piena-mente garantito soltanto dalla presenza dichierici studenti di teologia e di filosofia,

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A Valdocco troviamo un contesto formativoche parte dall’esperienza. Si riflette su fatticoncreti vissuti da educatori consacrati albene dei giovani. Nelle narrazioni orali, neidialoghi familiari, nelle conferenze e negliscritti emergono i tratti inconfondibili dell’e-ducatore salesiano: la passione per l’educa-zione dei giovani più bisognosi e per la lorosalvezza eterna. Le conferenze periodiche odoccasionali e le lettere circolari erano veico-lo privilegiato di formazione. Numerosi era-no gli inviti a rimanere uniti, solidali, anchese contrastati e ingiustamente criticati.

Un confronto aperto

Don Bosco con la progressiva organizzazio-ne ed espansione delle sue opere diede ilvia a una singolare esperienza di formazio-ne permanente per i responsabili delle di-verse opere. Una volta all’anno, general-mente nei giorni che precedevano o segui-vano la festa di San Francesco di Sales, a Val-docco si teneva un breve incontro, chiama-to Conferenza, con la finalità di provvede-re ai bisogni della Congregazione. In esse«il maestro restava don Bosco; ma in tanteforme egli favoriva la formazione collettivadei partecipanti: lasciava la presidenza ditante riunioni al suo collaboratore più vici-no, don Rua, e in molte questioni si limita-va a fare opera di controllo in una reale for-

ma di non direttività». In questi incontri lecompetenze di ciascuno si arricchivanograzie allo scambio di esperienze, all’anima-zione reciproca, all’analisi dello sviluppodelle opere, si affinava l’arte della comuni-cazione e della informazione, lo stile dellagestione e del governo delle opere, si ap-profondiva la relazione tra discepoli matu-ri, franchi nell’esprimere il proprio pensie-ro e l’autorevole Fondatore.Gli incontri degli educatori erano abbastan-za regolari e molte volte i membri del capi-tolo superiore o del capitolo della casa siriunivano insieme a insegnanti e assisten-ti, che erano tra gli educatori più giovani,per richiamare i tratti caratteristici del siste-ma educativo. Sempre in primo piano tro-viamo il criterio pedagogico dell’amorevo-lezza, la ricerca dell’unità d’intenti nell’azio-ne educativa, la necessità del sostegno edell’aiuto reciproco circa il modo di guada-gnarsi la fiducia e l’amore dei giovani. A Valdocco le competenze educative ven-gono apprese attraverso l’esperienza, inprimo piano c’è veramente sempre laconcretezza della vita. Si potrebbe perciòaffermare che l’Oratorio non solo si pre-senta come laboratorio pedagogico, ma an-che come comunità di pratica, luogo damolti pedagogisti contemporanei indica-to come l’ambiente formativo ideale, in cuidiversi attori si confrontano e si costitui-scono attorno a pratiche di lavoro nel cuiambito si sviluppano solidarietà organiz-zativa sui problemi, condivisione di sape-ri pratici e linguaggi. L’intuizione che pro-viene dalla storia salesiana è di porre l’e-sperienza, il vissuto al centro del dialogoeducativo e spirituale: la vita quotidiananelle sue piccole, attuali, ma decisive atte-se, problemi, paure, speranze, progetti.

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• L’economia ha bisogno dell’etica per il suocorretto funzionamento […] un’etica ami-ca della persona (45). Uno dei maggioricompiti dell’economia è proprio il più ef-ficiente uso delle risorse (50).

• Tutta l’economia e tutta la finanza devo-no essere utilizzati in modo etico, per losviluppo dell’uomo e dei popoli (65).

C’interroghiamo

• L’esigenza di autonomia dell’economia,che non deve accettare “influenze” di ca-rattere morale, spinge ad abusare dellostrumento economico in modo persino di-struttivo. Ci sono delle situazioni mondia-li, locali… in cui si scopre questa realtà?

• L’economia e la finanza, in quanto stru-menti, possono esser mal utilizzati quan-do chi li gestisce ha solo riferimenti egoi-stici. Perciò non è lo strumento a dover es-sere chiamato in causa ma la persona, lasua coscienza morale e la sua responsa-bilità sociale. In che modo la comunitàeducante accompagna nell’adeguata ge-stione degli strumenti a sua disposizione?

• La dottrina sociale della Chiesa ritiene cheanche all’interno dell’attività economicae non soltanto fuori di essa o dopo di essapossano essere vissuti rapporti autentica-mente umani, di amicizia e di socialità, disolidarietà e di reciprocità. Quali strate-gie potrebbero favorire l’educazione adessere persone aperte al dono reciproco?

Per una economia di gratuità e di comunione Julia Arciniegas, Martha Séïde

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L’enciclica Caritas in Veritate sottolinea ripe-tutamente che nell’epoca della globalizza-zione si richiede una nuova e approfonditariflessione sul senso dell’economia e dei suoifini. E per questo afferma che l’attività eco-nomica non può prescindere dalla gratuitàe dalla comunione. Infatti, la gratuità è pre-sente nella vita dell’uomo in molteplici for-me, spesso non riconosciute a causa di unavisione solo produttivistica e utilitaristica del-l’esistenza. L’economia non può risolveretutti i problemi sociali mediante la sempli-ce estensione della logica mercantile.Questa va finalizzata al perseguimentodel bene comune e ha bisogno di leggi giu-ste e di forme di ridistribuzione guidate dal-la politica, e inoltre di opere che rechinoimpresso lo spirito del dono.

Rileggiamo l’Enciclica

• Il principio di gratuità e la logica deldono possono e devono trovare posto en-tro la normale attività economica (n° 36).

• Ogni decisione economica ha una conse-guenza di carattere morale (n° 37).

• La vittoria sul sottosviluppo richiede diagire soprattutto sulla progressiva apertu-ra, in contesto mondiale, a forme di atti-vità economica caratterizzate da quote digratuità e di comunione (n° 38).

• Orientare la globalizzazione dell’uma-nità in termini di relazionalità, di comunio-ne e di condivisione (42).

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In azione

Individuare alcuni passi per rendere ope-rativo l’approfondimento fatto: • La città dell’uomo è promossa da relazio-

ni di gratuità, di misericordia e di comu-nione.

• Identifichiamo segni concreti che favori-scono nella nostra comunità educante unclima di rapporti umanizzanti.

• Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambien-te influiscono sulle modalità con cui trattase stesso e, viceversa. Quali atteggiamentida promuovere per un effettivo cambia-

“Gli Amici di suor Francesca” è un’asso-ciazione che prende il suo nome da suorFrancesca Franchi fma, originaria di Bre-scia (Italia), missionaria ad Haiti per piùdi 50 anni. Alla sua morte nel 2003, la suafamiglia, coordinata dal fratello Cico e dalnipote Claudio, si è costituita in associa-zione per continuare la missione dellasorella coinvolgendo tutti coloro che de-siderano dare un contributo per le ope-re delle fma di Haiti. Durante tutto l’anno, mettono in atto di-verse iniziative per raccogliere fondi aservizio della missione. Con il loro entu-siasmo, lo zelo apostolico, la loro gene-rosità e creatività, sono riusciti a sensi-bilizzare coinvolgere più di 300 persone.

Il loro contributo è un apporto per mi-gliorare la qualità della vita dei bambinie dei ragazzi di Haiti in comunione conle fma. Si tratta di una partecipazione pie-na alla missione senza pretese e grandiesigenze burocratiche: una vera espe-rienza di economia di gratuità e di comu-nione. Infatti, lo stemma del gruppoesprime molto bene il loro scopo: co-struire un ponte di comunione e di so-lidarietà tra il loro paese e Haiti favoren-do la fraternità, l’incontro e la condivisio-ne a livello locale. La tragedia del terre-moto che ha colpito la Nazione haitianaha invogliato a continuare il lavoro di so-lidarietà partecipando alla ricostruzione.

mento di mentalità che ci induca ad adot-tare nuovi stili di vita, nei quali la scelta deiconsumi, dei risparmi e degli investimen-ti sia determinata dai valori evangelici?

• Lo sviluppo economico, sociale e politi-co ha bisogno, se vuole essere autentica-mente umano, di fare spazio al principiodi gratuità come espressione di fraternità.Condividiamo alcune esperienze e testi-monianze di gratuità presenti nel nostroambiente.

[email protected]@yahoo.com

BresciaGli amici di suor FrancescaEsperienza di economia di gratuità e di comunione

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Chiamati ad essere liberi

Importante è esserne convinti: Dio chiamatutti alla libertà. È un dono, una possibilitàinsita nella persona umana, responsabile tut-tavia di canalizzare verso una giusta direzio-ne quanto le è stato offerto. Diventare libe-ri significa lasciarsi guidare da una coscien-za non inquinata, dalla fedeltà ad un proget-to personale e al progetto della comunità diappartenenza, da quanto lo Spirito sugge-risce nelle realtà concrete e si coglie nellafatica della ricerca. È mettere il valore “qua-lità della propria vita spirituale/personale”in un abituale discernimentoquotidiano, pri-ma delle norme e delle consuetudini.

Il termine libertà è collegato a “legame”, “re-lazione”; se si vuole anche a “dipendenza”.Sembra un paradosso, specialmente per lamentalità di oggi, insofferente a vivere neglispazi del “legame”. Ma se, rimanendo all’e-timologia, si analizzano le parole, si scopreche libero in radice deriva dal latino liber chesignifica anche “figlio”. Essere figlio rimanda alla relazione conqualcuno – un padre, una madre, Dio – dalquale si è “generati”. È riconoscimento di es-sere stato desiderato, voluto, accolto comedono. Il legame è dunque quello della rela-zione di amore!Ne consegue che libertà non è la possibi-lità di fare quello che si vuole. È piuttostoesplorare la relazione che mi unisce aqualcuno per il quale sono importante;

Libertà, il canto dell’amore(Seconda parte)

Giuseppina Teruggi

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«Questa sera – scrive don Bonetti il 31 gen-naio 1863 - trovandoci noi in buon numeroin camera di D. Bosco mentre cenava, dopoaver confessato dalle 5 fino alle 9 e ½, egli sifacea leggere una lettera scrittagli dal Ve sco-vo di Spoleto. Il Prelato gli rendeva grandi en -comi, dicendogli fra le altre cose che sebbe-ne non avesse l’onore di conoscerlo in per-sona, nondimeno la fama del suo nome es-sere pervenuta sino alle sue orecchie. [...] D.Francesia sorridendo gli domandò: “E nons’insuperbisce nel sentirsi fare tali panegiri-ci?”.Ed egli: “Eh! vedi; sono assuefatto asentirmene di tutte sorta: tanto mi fa il leg-gere una lettera piena di lodi, come un’altrapiena di insulti. Quando ricevo qualche let-tera che mi loda, alcune volte mi prendo ilpiacere di metterla in con fronto a qualche-dun’altra o di un facchino o simili, piena divillanie e poi dico: Ecco come sono discor-di i giudizi degli uomini. Ma dicano un po’quel che vogliono: altro non sono se nonquel che sono davanti a Dio”» (MB 7, 375).

È un desiderio che ci portiamo dentro: nondipendere da opinioni, approvazione, giu-dizio degli altri. Essere liberi nel modo dipensare, di sentire e avere il coraggio diesprimerlo. Liberi da paure, costrizioni in-terne, da emozioni incontrollabili.Alcuni ne sono capaci più di altri. Come èstato per don Bosco o per altri che conoscia-mo. Giungere alla libertà interiore è diffi-cile, ma è un cammino aperto.

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qualcuno pure dotato di libertà e in gradodi farmi vivere in questa relazione. Solo ac-cettando di esistere così posso dire di es-sere realmente libero. Certamente, questoimplica consapevolezza, è frutto di uncammino e di una scoperta graduali, soprat-tutto frutto di esperienza. La libertà costi-tuisce un percorso concreto che passaproprio attraverso l’esperienza quotidiana.Si diventa allora liberi esprimendo i proprivalori e sentimenti, con un grande rispet-to dell’altro, inteso come persona uguale ame. E partecipando, senza imposizioni o ti-mori, alla vita della comunità in cui si vivefino alla più vasta comunità civile. La libertà,infatti, non ha una valenza solo individua-le, ma anche sociale e rimanda a valori qua-li partecipazione, rispetto, iniziativa perso-nale, dialogo, condivisione.

Se vuoi, sei libero

Viktor Frankl, psicologo ebreo sopravvis-suto ai lager nazisti, in un’intervista tele-visiva ha rilevato: “La libertà sta nella scel-ta dell’atteggiamento da assumere ognivolta che l’uomo si trovi confrontato conuna situazione che non può essere cam-biata”. La saggezza antica, pagana e cristia-na, ha sempre sostenuto che la libertà nonè tanto legata a condizioni esterne, quan-to ad una consapevole scelta interiore. Èstato Epitteto, schiavo e zoppo, ad afferma-re che “se vuoi, sei libero. Se vuoi, non deviessere scontento di nulla, non devi pren-dertela con niente, tutto andrà secondo idesideri tuoi e degli dei”. Una regola di vitaripresa dal filosofo cristiano Giustinoquando, all’imperatore Marco Aurelio,scriveva di essere convinto “che nessunopuò farci del male. Potete senz’altro ucci-derci, ma non offenderci”.

Essere liberi è anzitutto vivere in pace con

se stessi. La libertà è armonia, è rispetto,è vita che si rinnova. “Quando sono libe-ra sento di avere il mondo in mano perchénulla mi appare ostile, ma tutto rientra nelgrande ordine dell’universo. Mi sento li-bera quando posso scegliere, con maggio-re o minore facilità, ciò che mi sembra giu-sto e provare gioia per questa scelta.Questo significa anche, di conseguenza,non essere condizionata da legami conpersone, cose o eventi”.

Tutto quanto si è, le risorse e i talenti di cuidisponiamo sono doni ricevuti, forse accre-sciuti per averli trafficati. “Libertà è ricono-scere che quello che sono e faccio non miappartiene e che, per avere consegnato lamia vita a Dio, viene di conseguenza chedebba essere disposta a ‘partire’, a ‘lascia-re’, forse per investire altrove quello chesono e posso”. In questo senso è recipro-ca la relazione tra libertà e povertà. “Si diventa liberi nella misura in cui im-pariamo non a fare ciò che si vuole, ma avolere ciò che si fa: la libertà non é qual-che cosa di esterno, é un lungo e fatico-so cammino verso l’interiorità. Si capisco-no in questo senso le parole di Gesù ‘laverità vi fará liberi’. Questa libertà che ciottiene la veritá, ha una radice profonda,come ha intuito Teresa d’Avila quando haaffermato che l’umiltá é andare alla verità.C’è un rapporto stretto tra libertà eumiltà”, scrive una direttrice.“Mi sono sentito libero – ha testimoniato unamico - quando ho accettato di uscire dal-la piccola misura del mio essere (preoccu-pato, nervoso, ambizioso, pieno di proget-ti...) per naufragare in Lui. Sconfiggere il protagonismo che rischiadi mettere in antagonismo con Dio è la veraconquista per divenire liberi. L’ambizioso èprigioniero di se stesso”.

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alla “ragionevolezza” di cui parla don Bosco,che sapeva evidenziare il senso di unaproposta.

Liberi e felici

C’è che dichiara: “Mi sono sentita liberaquando ho agito secondo la mia coscien-za, le mie convinzioni, la fedeltà agli impe-gni presi ad ogni livello. Condizioni essen-ziali sono la preghiera ed il discernimen-to previo, la serenità non esente da soffe-renza, la gioia interiore, l’appoggio di al-cune mediazioni: la parola di Dio, le Costi-tuzioni, le decisioni dei Capitoli generali,il Magistero della Chiesa, la realtà del ter-ritorio… Sono dei confronti che danno si-curezza e serenità interiore”. E c’è chi avverte di ‘essere libera’ quando sisente “accolta pienamente da qualcuno chemi ascolta senza giudicarmi, che non siscandalizza di ciò che dico, penso, sento ofaccio; ma anche quando io stessa mi accol-go così come sono e non come vorrei es-sere, quando posso riconoscere senzapaura che non sono perfetta e che - graziea Dio - non lo sono, perché é la migliore op-portunità per continuare a crescere”.

Vorremmo tutti poter affermare che “ho fat-to esperienza di libertà vera, piena, totaledopo aver capito che non sono io che di-rigo la mia vita, ma la affido al Signore, milascio da Lui guidare e vedo in filigrana il suoamore continuo che mi guida all’intimitàcon Lui. È una gioia indicibile: libertà si iden-tifica con amore. Sono libero perché accetto e permetto aDio di amarmi. Il suo amore mi rende feli-ce, sicuro, tranquillo. Libero”.

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… ad alcune condizioni!

Di fronte ai condizionamenti che incalza-no da ogni parte e che limitano la libertà,una persona può non essere colpevole, maresponsabile di quello quello che fa e dicome decide di comportarsi. La nostra è unalibertà “condizionata”, nel senso che sonorichieste alcune “condizioni” per costruirela propria vita da persone libere. Ne rilevoalcune, raccolte da varie testimonianze. “La prima condizione per essere libera è ildistacco, non l’apatia, ma la giusta distan-za dalle cose. Poi la conoscenza. Io sono li-bera nella misura in cui conosco, valuto, equindi scelgo. Sono libera quando so dare il giusto pesoalle cose in riferimento alle mie priorità chesono i principi su cui è ancorata la mia vita”.

“Sento di essere libera quando inizio lagiornata e mi trovo davanti le esigenze del-la carità, della condivisione, del modo diaffrontare relazioni difficili, la possibile vitaborghese. E vivo le mie decisioni conDio, solo testimone della mia risposta, del-la mia scelta concreta che mi fa sentirevera e libera”.

Mi ha fatto riflettere la condivisione diuna storia di vita in cui si rileva, come con-dizione preventiva per crescere in libertà,l’opportunità di aver incontrato adulti signi-ficativi che hanno stabilito alcune “regole”fondamentali, che hanno “messo alcuni pa-letti” affinché la libertà crescesse “sana”, ingrado di riconoscersi per quello che è e noncome indipendenza e autorealizzazione.Piuttosto come disponibilità a fidarsi in ra-gione di un’affidabilità scoperta e testimo-niata. “Regole” non imposte, ma spiegate,sperimentate in compagnia di altre perso-ne che hanno sempre mostrato la bontà del-le proposte offerte. Questo è molto vicino

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Gabriele: :-)È bello essere salutati da un sorriso.

Anche se soltanto virtuale.

Asja: :-)

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ma Gabriele:

Una domanda a testa. A bruciapelo. Comincia tu.

Asja: Quanto fa 3966: 2888?

Gabriele: Molto spiritosa.

Asja: Sei felice?

Gabriele: Ci provo, cerco di trovare ogni giorno qualcosa

per cui essere felice. E tu cosa fai per essere felice?

Asja: È una domanda difficile.

Gabriele: È una domanda fondamentale.

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ARA BORSI / ANNA RITA CRISTA

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Gabriele: Un tuo pregio.

Asja: Sono coraggiosa. Un tuo difetto

Gabriele: Sono sensibile.

Asja:Ma non è un difetto

Gabriele: Se lo sei troppo sì.

Asja: Ti sei mai innamorato. Intendo veramente innamorato?

Gabriele: No, ma deve essere bello...

Asja: Idem.Testi tratti da Sabrina Rondinelli,

Camminare, correre, volare, San Dorligo della Valle (Trieste), Edizioni EL 2008.

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Lettura evangelica

dei fatti contemporanei

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La leggenda dei coralliMara Borsi

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In un tempo molto lontano, un pescatorestava tornando a terra con la sua barca. Il cie-lo si stava facendo scuro, e non solo a cau-sa del tramonto. Ma anche perché le nuvo-

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Intervista a Sonia MuñizAzpeleta

Appartengo all’Ispettoria spagnola di Leon.Ho lavorato nella comunità fma di Caldas deReis (Pontevedra) come insegnante, anima-trice di gruppi di fede e catechesi.

Quali sono i valori della tua cultura che più ami?

La cultura spagnola così come le altre ha ca-ratteristiche proprie che si esprimono nel-l’arte, nella musica, nella letteratura, nellagastronomia. I nostri antenati ci hanno la-sciato una ricca eredità culturale che con-sideriamo un tesoro comune da custodiree valorizzare. Alcuni edifici, ad esempio,sono considerati patrimonio dell’umanità:l’acquedotto romano di Segovia, la Alham-bra di Granada, la Sagrada Familia di Barce-

lona… Alcune opere letterarie sono notea livello internazionale come il Don Quijo-te de la Mancha di Miguel de Cervantes. Nel mio Paese ogni regione è chiamata Co-munità Autonoma. Personalmente appartengo a quella diCastilla e León, situata nel centro-nord del-la penisola. La provincia dove sono nata sichiama Palencia. Il clima di questa regio-ne si caratterizza per avere estati molto cal-de e inverni molto freddi. In riferimento alle variazioni climatiche ab-biamo costumi in cui si riconoscono alcu-ni valori importanti come il condividere, l’a-micizia, la solidarietà e l’accoglienza.Uno dei momenti più belli è il poter con-dividere nelle notti d’estate, quando si puòstare per un tempo prolungato seduti fuo-ri casa, in piazza, in terrazzo.È abituale per molta gente della mia regio-ne fare una passeggiata per la città alla finedella sera, parlando serenamente di quel-lo che è successo lungo il giorno. In Spagna si fanno le verbenas: feste moltobelle e sentite che si realizzano in onore delSanto Patrono del luogo. Si prega, si canta,si balla il passo doppio spagnolo, la rumba

le si stavano addensando all’orizzonte. A un cer-to punto, sentì un urlo straziante. Riconobbe a fatica la voce di una ragazza, vistoche la tristezza e la paura le avevano camuffa-

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etc. In queste feste si mangia salsiccia,sardine salate con pane, si beve vino neroe la sangria, bevanda tipica spagnola.

Vivendo in un ambiente internazionale checosa apprezzi di più di altre culture?

Realmente non sono arrivata a conoscerein profondità le diverse culture, però cer-tamente ci sono alcuni aspetti interessan-ti che le sorelle che provengono da altricontesti rivelano nella convivenza comu-nitaria e nella relazione con altre persone.Il valore che maggiormente colpisce è il ri-spetto interculturale ed è proprio questovalore a rendere possibile la convivenza trapersone di differenti provenienze.Apprezzo come le sorelle di culture diver-se da quella europea esprimono il loropatrimonio artistico e gastronomico, maciò che mi colpisce è l’accoglienza rispet-tosa della diversità. Nella comunità internazionale in cui vivo,ogni sorella può esprimere il suo modo dipensare e di vivere il carisma salesiano in-culturato nella sua cultura. Si condividenella semplicità l’internazionalità dell’amo-re che non è altro che vivere il Vangelo

Incontrando persone di altri Paesi e cultu-re quali difficoltà sperimenti?

Una difficoltà incontrata è stata la comu-nicazione. In alcuni momenti è stato com-plicato intendersi. La limitata conoscenzadella lingua italiana, la sua struttura, le di-versità del linguaggio non verbale a voltemi hanno messo in confusione, mi sonomancati punti di riferimento e ho speri-mentato di non sapere come relazionar-mi con altre sorelle, perché quando par-lavo non mi capivano e anch’io compren-devo poco il loro modo di esprimersi. Pos-so dire che ancora oggi alcune cose nonle ho realmente capite. Questa situazionemi ha creato disagio e ho sperimentatoche l’adattamento e l’integrazione in ungruppo multiculturale richiede impegno,sacrificio, volontà di comprendersi e diguardare più a ciò che unisce che alle dif-ferenze. Al termine di questi due anni pas-santi in una comunità internazionale il bi-lancio è sicuramente positivo e portocon me l’impegno per ricominciare ognigiorno a costruire la comunione.

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to il tono. Nonostante non fosse un tipomolto coraggioso, il pescatore decise subi-to che avrebbe fatto tutto il possibile per sal-vare la fanciulla in pericolo. Fermò la bar-ca sugli scogli e a fatica la tirò in secca, per-ché non andasse alla deriva. Il pescatore,per la fretta, non fece attenzione al caricodi pesci che aveva con cura riposto sulla bar-ca. Infatti, mentre trascinava la barca ariva, il pesce cadde su alcuni ramoscelli. La ragazza urlava e si dibatteva perché unafata cattiva ed invidiosa della sua bellezza l’a-

veva legata a una roccia, proprio vicino allariva. Il mare, sempre più agitato e freddo, labagnava con onde altissime. Il pescatore sibuttò in mare, per liberare la giovane dallecatene che la legavano e che ormai si trova-vano sott’acqua. Intanto i ramoscelli veniva-no colorati di rosso dal sangue dei pesci ea causa del freddo si indurivano immedia-tamente. La ninfa Malvina usò quei ramo-scelli per ornarsi e divertirsi. Quando sistancò li lanciò in acqua. La leggenda narrache nacquero così i primi coralli.

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pensiero è azione, più che visione è pratica:azione di giustizia e di amore, riconciliazio-ne e perdono. Appare perciò non rilevantechiedersi se nella formazione delle giovanie dei giovani sia da privilegiare l’educazionerispetto all’evangelizzazione o l’evangelizza-zione rispetto all’educazione. È sicuramen-te più importante, secondo l’autore citato, es-sere consapevoli che «educare è educaresempre con ciò che siamo».Qualsiasi educazione presuppone la relazio-ne e si sviluppa sul cuore di educatori, edu-catrici capaci di accoglienza non solo amiche-vole, ma come indica Martin Buber, capaci diessere presenti con tutta l’anima e di dire cheesiste un senso delle cose e del mondo. Permolto tempo attraverso la relazione educa-tiva abbiamo educato ad un appartenenza,ad una identità. Oggi chi vuole rimanere ac-canto ai giovani per delineare il futuro di unafraternità universale è chiamato ad educareall’accoglienza dell’altro, di ogni altro. Si trat-ta di lasciare meno spazio alla paideia grecae di lasciarsi guidare dalla pedagogia biblica.Per la Bibbia la persona umana è povertà ra-dicale e Dio colui che si china gratuitamen-te su quella povertà. Povertà radicale che col-mata dalla gratuità di Dio è chiamata a ren-dersi responsabile, ad amare gratuitamentee a colmare la povertà dell’altro. I tratti del-l’antropologia biblica che gli educatori cristia-ni sono chiamati ad incarnare sono la perso-na umana come povertà radicale, il cui esse-re è in forza della gratuità, e la persona uma-

Questioni aperte?Mara Borsi

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Si sente da più parti la necessità di dare nuovo dinamismo alla pastorale giovanile. Molti sono i dibattiti, numerose le riflessioni che spaziano dalla teologiaalle scienze dell’educazione, alla comunicazione sociale. Emergono diverse domande:l’evangelizzazione è prioritariarispetto all’educazione? L’educazione è una modalitàdell’evangelizzazione? Come rinnovare le comunità cristianeperché siano spazi abitabili per le nuove generazioni? Cosa fare per non soccombere sottol’incalzare delle attività che una dopol’altra chiedono energie a tutti i livelli?

Evangelizzazione o educazione?

Il teologo Carmine di Sante in un bel dossierpubblicato dalla rivista Note di Pastoralegiovanile afferma che evangelizzazione eeducazione non si identificano né si contrap-pongono, sono due realtà in cui è importan-te cogliere e rispettare le loro profondecorrelazioni. Chi è in contatto con le nuove generazionisa che non si educa proponendo valori eideali in astratto, ma incarnandoli.Per tutti gli educatori cristiani la visione delmondo da incarnare è il vangelo: che più che

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na come responsabilità la cui potenza è farfiorire la vita. Per la Bibbia la relazione è re-lazione di gratuità, cioè charis, l’educazioneche per definizione si fonda sulla relazionenon può che essere il luogo privilegiato ditale relazione di grazia. Evangelizzare parten-do dall’educazione o educare partendo dal-l’evangelizzazione? Se a fondamento dell’e-ducazione si pone la relazione di grazia, il di-lemma si risolve nella sua inconsistenza.

Comunità abitabili

Per educare ai valori del Vangelo è urgentela testimonianza di comunione dell’intera co-munità che ricerca, celebra e vive la passio-ne per la vita, incarnata dalla figura di Gesù.Una testimonianza che aiuti i giovani a per-cepire la comunità cristiana, la Chiesa, noncome una grande agenzia di servizi religio-si, ben organizzata e presente in modo ca-pillare sul territorio, che concede pochispazi alla creatività e all’inventiva, ma comeuna comunità di amici.Per riavvicinare le nuove generazioni alVangelo le Linee orientative della missioneeducativa delle FMA affermano che è neces-sario accogliere la complessità della realtàgiovanile, creare comunità cristiane di rife-rimento, dare qualità alla vita adulta, rinno-vare la proposta religiosa attraverso un nuo-vo annuncio per evitare di rispondere a do-mande che nessuno più si pone. Si tratta diaccompagnare i giovani nella vita di tutti igiorni attraverso quell’amore che è vici-nanza, interessamento, formazione cultura-le in ambiti come la pace, la legalità, la giu-stizia, la solidarietà, la salvaguardia del crea-to, per lasciar intravedere e scoprire la figu-ra di Gesù come la carità del Padre.L’intensità della fede e la configurazione del-le comunità educanti sono molto significa-tive per coltivare le intuizioni vocazionali del-

le/dei giovani. Se non ci sono comunità vi-vaci e autenticamente cristiane è difficile pro-muovere un atteggiamento positivo neiconfronti della vita come dono e come re-sponsabilità. Il problema ritenuto da molticome fondamentale non sta nei progetti onei processi di educazione alla fede, ma nelsoggetto capace di suscitare una ricercapersonalizzata, un incontro profondo e undialogo fecondo. Questo soggetto non è al-tro che la comunità educante. Si tratta dipromuovere comunità dove si dà molta im-portanza alla comunicazione e al deside-rio di relazioni personali autentiche.

Il ritmo

Le riunioni periodiche, le conferenze, ipranzi informali scandiscono il tempo del-la comunità. Quando il ritmo è sostenuto, lacomunità avverte un senso di movimento edi vitalità. Ma se questo ritmo è troppo ve-loce la comunità è affaticata e le personesmettono di partecipare perché si sentonosovraccariche. Quando il ritmo è troppo bas-so, invece, la comunità prova stanchezza eun senso di debolezza. Il ritmo della comunità rappresenta l’indica-tore più forte della sua vitalità. All’interno diuna stessa comunità esistono molti ritmi: l’al-ternarsi di eventi familiari e di rottura, la fre-quenza di interazioni private, l’andare evenire delle persone dalle posizioni perife-riche alla partecipazione attiva e lo stesso rit-mo dell’evoluzione complessiva della comu-nità. Non esiste un ritmo ideale valido pertutte le comunità e questo tende a cambia-re con l’evoluzione della comunità. Tuttavia,identificare il giusto ritmo per ogni fase del-la vita della comunità educante è fondamen-tale per il suo sviluppo e per la relazioneeducativa con le nuove generazioni.

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Frammenti di storie

Siamo all’indomani del grande terremotoche ha raso al suolo alcune città di Haiti. Ilgiornale ABC.es Bilbao, nell’articolo intito-lato “Angeli custodi dell’aiuto” del 18 gen-naio 2010, ha parlato delle ‘religiose’, che sa-rebbero le FMA, che avevano perfetta-mente registrato a mano ben 5.600 perso-ne, accampate nel cortile della casa. È interessante notare che mentre le Nazio-ni Unite faticavano nell’organizzare la di-stribuzione dei viveri, le FMA, con le po-che risorse che avevano a disposizione,hanno raggiunto in La Saline, Pétion-Vil-le, Thorland, Cité Militaire e Cité Lintheau,più di 16.000 persone, attraverso interven-ti tempestivi nell’accoglienza con le ten-de, i pasti e necessità varie, fino al soste-gno psicosociale e spirituale.Dice lo stesso giornale sopra citato: “Condedizione immacolata, le suore hanno or-ganizzato i gruppi a famiglie e chiamanociascun rappresentante per nome e co-gnome attraverso un semplice megafono,che non si sente più in là di due metri. Diqui l’ordine della coda dura poco più diquindici minuti, finché la fame rompe labarriera umana, che ha tentato di conte-nere la disperazione.È durato poco il messaggio in creolo: “ri-spetto, silenzio, disciplina e pazienza”, chehanno fatto loro ripetere le Salesianecome una preghiera prima di iniziare la di-

Intrecci di solidarietà nell’emergenzaPaola Pignatelli, Bernadette Sangma

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Rivisitiamo la storia di Mosé e le tre figurefemminili intorno a lui: la madre, la sorel-la di Mosé e la figlia del Faraone; donne del-le due popolazioni in conflitto intreccianoazioni di solidarietà per salvare la vita delpiccolo Mosé. Da allora …. fino ad oggi, lesituazioni di emergenza causata dal conflit-to, dalle calamità naturali e altro, vedono ledonne particolarmente intraprendenti neltessere gesti di solidarietà capaci di far spun-tare vita, anche dalle macerie.

Emergere nell’emergenza

Suona come un gioco di parole, ma non loè! È, piuttosto, esperienza concreta dell’u-niverso femminile nelle diverse parti delmondo. Abbondano, infatti, le storie cheevidenziano l’emergere delle donne, pro-prio nel momento dell’emergenza. Si ma-nifestano come protagoniste di iniziative diriscatto, di lotta costante e instancabile, diricostruzione e trasformazione della vita in-dividuale, familiare e comunitaria; dal nien-te e con niente, se non con la sola forza dimettersi insieme, realizzando “trame fem-minili” di solidarietà.In contrasto alla considerazione comune,che proietta le donne piuttosto come vitti-me delle varie situazioni, la rilevazione ditali esperienze evidenzia che le donnesono attrici sociali e, a volte, le motrici prin-cipali del continuo cambiamento, anchenelle situazioni caratterizzate dal disagio.

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stribuzione più delicata realizzata dalleNazioni Unite fino a questo momento.[…] Nessuno è rimasto ferito, non hannodovuto usare la forza e i biscotti non sonoandati a finire in cattive mani”.

Ancora da Haiti, la storia di solidarietà chenon attira i fari dei telegiornali ma che toc-

Catena di gesti solidali per ‘Centurina’

È la storia che viene da un emisfero oppo-sto a quello di Haiti. Una catena di solida-rietà messa in atto da due comunità delleFMA dell’ispettoria di Shillong che lavora-no in un ambulatorio governativo di Sal-manpara, un villaggio nel nord est dell’In-dia. La nascita di ‘Centurina’ si prevedeva uncaso difficile, bisognoso di interventi esper-ti. È così che le FMA infermiere decidonodi portare la donna ad un centro distante

tre ore di macchina. Due ore in strada, ladonna ha le doglie del parto, non si puòprocedere, si deve agire e quindi si fer-mano nell’ambulatorio di un’altracomunità FMA e tra preghiere e in-terventi immediati delle due FMA in-fermiere, si riesce a far nascere labambina sana e salva, risparmiandoanche la vita della madre. Era il cen-tesimo parto assistito dalle FMA in

meno di dieci mesi e di qui il sopra-nome ‘Centurina’ alla bambina.

Sono storie che evidenziano la grandecapacità delle donne nel riscattare la vitaanche in situazioni estreme. Sono manie menti protese a salvare la vita senza ar-rendersi di fronte agli ostacoli e ai disagi:indice della grande affinità tra l’esseredonna e la difesa della vita, quale moven-te di risposte creative e inedite!È proprio questa capacità della donna cheappare la base motivazionale che sostienel’attuale campagna intitolata Premio Nobelper la Pace 2010 alla Donna Africana.

Il Premio Nobel, se verrà assegnato, sarà il ri-conoscimento non solo delle donne africane,ma del genio originale della metà del cielo!

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ca la vita delle persone. Questo è il raccon-to della signora Gina: “Dopo lo spaventodel terremoto che mi ha fatto vedere vici-na la morte, considero che la mia casa cheha resistito alle scosse, non è più mia, maper coloro che hanno perso la loro. All’indomani della tragedia, ho accolto acasa mia parecchie famiglie soprattutto al-cune con bambini piccoli. La mia piccola famiglia si è allargata e sia-mo diventati una grande famiglia dove sicondivide tutto. Fin quando ci sarà bisogno,la mia casa sarà aperta per chi è in difficoltà”.

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Le differenze sono anche ricchezza, e l’in-contro con i “fratelli” un’occasione dimaturazione e di crescita nella fede. La fedeci chiama a vivere con speranza e amore,nel rispetto vicendevole, nella carità, nel-l’umiltà che apre lo Spirito e il cuore alla co-noscenza profonda di noi stessi e degli al-tri, della ricchezza e delle reciproche tra-dizioni. Scrive Martin Buber: “Essere con glialtri è più che essere per gli altri”.Oggi Dio ci chiama a vivere insieme consperanza e amore. Ed è importante impara-re a conoscere ed apprezzare altre forme divita spirituale, superando vecchi pregiudi-zi e difficoltà, impegnandoci a ricercare fra-ternamente l’incontro reciproco: “Viverel’ecumenismo della testimonianza”.

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Dialogo e ospitalitàBruna Grassini

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Il dialogo è un modo di vivere:è saggezza, pazienza, accoglienza.È uno stile di vita, prima che un obbligo. Ospitalità: un modo di relazionarsi. Sgorga dal cuore, fa crescere l’amoree la comprensione.È un comandamento biblico:si fonda sul diritto del povero,sull’accettazione dell’”altro”.È un modo di essere “umani “nel mondo di oggi.(Dalla “Carta Ecumenica per l’Europa”)

In un testo preparato per il Concilio Vatica-no II, Frère Roger, Priore di Taizè, sollecita-to dal Papa Giovanni XXIII, affronta pubbli-camente il tema dell’Ecumenismo. Aprendogli occhi sullo scandalo delle divisioni tra cri-stiani, scriveva: “Siamo alla ricerca di unaUnità “visibile”: attuare la riconciliazione.Questa è l’urgenza del XX secolo.Le responsabilità sono di tutti”. A migliaia i giovani cattolici, anglicani, orto-dossi, protestanti, rispondono alla provoca-zione del Papa, col desiderio di incontrarsi,ascoltare, dialogare, pregare. Tutti siamo chiamati ad essere “profezia”: lie-vito di novità per trovare la forza di supera-re gli ostacoli, mutare la direzione dellosguardo, dilatare il nostro orizzonte, inten-sificare la preghiera e riconoscere l’azione diDio che opera in tutti (Carta Ecumenica).

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Informazioni notizie

novità dal mondo

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e realizzare attività informative e promozio-nali. Diventa una sfida molto impegnativa:“Sei in rete, ma è come se non ci fossi per-ché nessuno si accorge di te se non hai laforza per importi, per farti vedere”.

José María La Porte, professore aggiunto diFondamenti della Comunicazione Istituzio-nale presso la Pontificia Università della San-ta Croce di Roma dice: «È molto importan-te conoscere le regole del mondo media-tico e saper adattare il messaggio cristianoalle caratteristiche di ‘notiziabilità’». Que-sto vale per tutte le organizzazioni del so-ciale. Se l’organizzazione non è conosciu-ta, la possibilità di destinazione dei fondi siriduce drasticamente perché viene drena-ta da quelle più note e propagandate. Per il vasto mondo del sociale ci vuole unastrategia di comunicazione per migliorareil rapporto fra le organizzazioni e il merca-to dell’informazione e per promuovere ilcontatto tra le persone coinvolte nei pro-cessi comunicativi, dunque rendere udibi-le la voce del non profit. Per farsi sentire,la voce delle organizzazioni del sociale vaallenata. Questo implica sostenere conun’adeguata formazione che porta allacompetenza comunicativa chi è impegna-to ad operare in questo campo.Un elemento essenziale è la comunicazio-ne di identificazione, un’identità specificache permette di partecipare al dialogopubblico. Questo è più di un logo che ren-

Salire sopra i rumori per comunicare nel socialeLucy Roces

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L’ambiente mediatico è un “campo di tensioni”, un campodi lotte e di conflitti, un campo di battaglia per conquistareconsumatori, per la propagandapolitica, per l’affermazione di ideologie. Questo campo è anchericco di “voci alternative, di minoranze, e di azioni individuali”.

(Guido Gili)

L’alluvione comunicativa suggerisce unbombardamento continuo e caotico dimessaggi, suggestioni, slogan. In questa ca-cofonia di rumori, come possono le orga-nizzazioni del sociale come quelle delle co-munità cristiane essere competitive?Chi si occupa della comunicazione nelle or-ganizzazioni del sociale, del terzo settore,sta scoprendo l’importanza di una pre-senza nei media, delle attività pubblicitariee di relazione, che porti a far conoscere illoro lavoro. Purtroppo, non tutti possonoscendere in campo. Le organizzazioni delterzo settore - le associazioni, organizzazio-ni non profit, cooperative sociali, comunitàreligiose, singole istituzioni scolastiche eformative - non sembrano poter compete-re nel grande mercato della comunicazio-ne. I fondi e le strutture a disposizione del-la gran parte delle organizzazioni del terzosettore quasi mai corrispondono con le loronecessità di far conoscere la propria realtà

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de riconoscibile l’organizzazione e caratte-rizza la “personalità”. É una relazione cheuno ha con l’utenza. Altrettanto importan-te è il messaggio chiaro. Le voci devonoesprimere una sostanziale unità che aiutaa prevenire errori comunicativi e tutti de-vono poter “raccontare la storia” dell’orga-nizzazione. Poi, per far sentire e capire ilmessaggio occorre presidiare il territoriomediatico individuando anche strategica-mente i media più utili ed efficaci a questoscopo. Attraverso un dialogo continuo, lecomunità cristiane possono influenzare la

comunicazione affinché parlino dell’espe-rienza della fede e della vita dei cristiani. Sideve cercare di far vedere la bellezza delsuo messaggio e di Chi lo ha proposto.Come dice La Porte, «Non è poco. Questoimplica creare degli ambiti di dialogo e dicondivisione di idee e al tempo stesso ca-nali di informazioni che offrano alle perso-ne la possibilità di cercare la verità sul mon-do che le circonda, di trovare in manierapersonale le proprie risposte alle doman-de radicali dell’esistenza».

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Internet si sta trasformando in un gran-de computer e sta cambiando il nostromodo di usare l'informatica: il CloudComputing è la scommessa tecnologicadei prossimi anni. Ma che cos’è il Cloud Computing? É uninsieme di tecnologie informatiche chepermettono l'utilizzo di risorse hardwa-re o software distribuite in remoto. La parola computing indica l'operazioneinformatica, mentre cloud significa nuvo-la.Cloud Computing si contrappone a per-sonal computing e indica un nuovo mo-dello, in cui le applicazioni non risiedo-no più sul PC personale, ma sul Web.Da qualche parte nel mondo c'è un'ap-plicazione web che permette di scriveree modificare documenti e da qualche al-

tra parte c'è un grande hard disk su cuiviene salvato il documento. Così, ci si può muovere con libertà da unposto all'altro e, soprattutto, da un PC al-l'altro senza dover portare con sé i datie senza doversi preoccupare di softwa-re da installare: una connessione a inter-net, un browser e tutto è fatto. Non mancano voci critiche: perdita delcontrollo sui propri dati, rischio che nellungo termine molti servizi gratuiti pos-sano diventare costosi, furto di un ac-count, fallimento di un'azienda fornitri-ce di servizi cloud. Un eventuale malfun-zionamento inoltre colpirebbe un nume-ro molto elevato di persone contempo-raneamente dato che questi sono servi-zi condivisi. È da vedere, a lungo andare,se conviene o non agire fra le nuvole.

Fra le nuvole

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vi si basa soprattutto sulle emozioni tra-smesse attraverso la modulazione dei senti-menti, della voce e delle espressioni ge-stuali. La supremazia della razionalità cede ilpasso a quella dell’immaginazione, e ci si tro-va di fronte ad una platea che ha bisogno divibrare per capire, di partecipare per sentiree di vedere per seguire. E quindi ci chiedia-mo come il catechista, oggi, può educare allafede nel mondo della comunicazione che ab-biamo appena descritto?Bisogna entrare innanzitutto nella logicadella comunicazione e questo significa chela catechesi non può fermarsi alla spiegazio-ne di contenuti intellettuali, ma più global-mente vuol dire salvare. In termini di comu-nicazione si può tradurre: stimolare la vita per-ché sia pienezza di essere. Attraverso imass-media, ad esempio, testimoniare per so-lidarizzare con le persone anziane, far giun-gere una voce esterna a coloro che sono inprigione, far comprendere nuovi orizzonti di

Il Catechista oggi come può educare alla fede Claudio Pighin

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Ciò che oggi condiziona di più l’essere uma-no non sono tanto i programmi, ma piutto-sto le tecniche, il sistema audiovisivo, cioèl’impulsione del raggio di luce e dell’audioche fanno vibrare l’emotività, il genere rapi-do, emozionale, violento, senza logica, glo-bale. Così ogni fenomeno oggi è prima di tut-to segnato e influenzato dalle conseguenzesotterranee della rivoluzione tecnologica.Non solo esiste una “persona audiovisiva”,una gioventù cresciuta davanti alla televisio-ne e al computer ma è, dice Pierre Babin, “l’in-tera società che sta cambiando il suo mododi essere. Alla cultura letteraria di ieri si so-vrappone un’altra cultura. E per cultura inten-do l’insieme dei mezzi attraverso i quali ungruppo umano risolve i problemi di signifi-cato e dei valori dell’esistenza. La vecchia cul-tura perde forza e potere. Evangelizzare oggivuol dire evangelizzare una nuova cultura fon-data sul potere dell’elettricità e dei mass me-dia”. Il linguaggio introdotto dagli audiovisi-

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felicità. Il comunicatore di fede non può pen-sare di fare un’azione del tutto isolata, madeve far partire la sua testimonianza da unacomunità cristiana che vive pienamente l’e-sperienza di Dio. Il catechista nel suo cammi-no spirituale non può pensare che sia suffi-ciente vibrare alle voci del mondo, ma biso-gna vibrare alla voce di Dio: la preghiera delcatechista è come la ricettività del radar. Pie-ni dei rumori di questo tempo, bisogna esse-re capaci di fermarci per guardare a Dio. Ri-peto quanto ho detto precedentemente cheè impossibile produrre qualcosa di valido sen-za averlo vissuto dentro di sé e poi in un’e-spansione elettronica far vibrare la propriapersonalità spirituale di credente.L’immaginazione è un po’ il filtro di ogni agi-re. L’essere comunicatore di fede non può esi-mere dal far passare tutto il linguaggio attra-verso l’immaginazione. Quindi tutta la sua spi-ritualità avrà come partner questo potere del-la mente. Il dialogo mente e spirito darà luo-go pure alla creatività; perché chi può ferma-re o mettere ostacoli al pensiero? Solo chequesta creatività sarà fondata dall’azionedello Spirito Santo e dalla Parola di Dio e con-fermata nella Chiesa. È una testimonianza che,passando attraverso una narrazione dal fasci-no irresistibile, faccia capire al destinatario lasua entusiasta generosità e progressiva radi-calità nel vivere la fede. Egli narra, in primapersona o in nome di un popolo o di interecomunità, racconti di amore che sono raccon-ti di salvezza radicale che interpellano l’uma-nità sul senso dell’esistenza. Un altro elemento importante credo siaquello di recuperare i simboli con i loro re-lativi contenuti per rendere più efficace la te-stimonianza. L’essere umano contempora-neo ha l’occhio abituato alla simbologia cheviene in particolar modo dalla pubblicità edalla televisione.

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Preghiere del comunicatoreoggi

Signore, che scruti il cuore dell’essereumano, e vedi le lunghezze d’onda dei no-stri mass-media che giungono sempre piùlontano, mentre noi stentiamo a capirci ea capire l’universo che ci hai messo a di-sposizione. Abbiamo molte difficoltà a riconoscere latua opera in noi e attorno a noi. Ci prodighiamo attraverso l’ingegno checi hai donato a creare supporti mediaticisempre più aggiornati e moderni pertentare di riconoscerci quali tuoi figli. Maci sentiamo impotenti quando questaopera dell’essere umano diventa più im-portante della tua opera. Ci perdiamo perciò nei meandri della vitache non è la Tua Vita. Non vediamo più orizzonti, ma bensìostacoli che ci fanno paura e quindi ci ri-duciamo spesso a come combatterli, an-nientarli. E nella misura che scommettia-mo solo nel frutto dell’ingegno umanoperdiamo la capacità di percepire la tuapresenza tra di noi. Aiutaci, o Padre di tutti e di tutto, a nonperdere la fonte di ogni sapere e di inge-gno che sei TU, ma mantienici stretti a TE,perché ogni mediazione più moderna esofisticata possa rispecchiare sempre iltuo progetto che è il tuo regnoCrediamo sinceramente nella tua operaprima che è l’essere umano, e tutti gli sfor-zi da lui prodotti per migliorare semprepiù la sua comunicazione affinché ci ten-ga sempre più vicini a Te, vera Vita. Amen.

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I Fatti

Siamo nel 1994, e il Sudafrica si èappena emancipato da decennidi Apartheid. L’elezione di Nel-son Mandela come Presidentedel “nuovo” Sudafrica non ha tut-tavia ricomposto di colpo le gra-vi fratture sociali che si agitano al-l’interno del tessuto della popo-lazione del suo paese. Nella prima scena del film, l’au-to che lo riporta a casa dopo 27anni di prigione, percorre unastrada altamente simbolica: da unlato un campo erboso su cui ibianchi si passano la palla ovale.Dall’altro uno spiazzo fangoso sucui neri cenciosi tirano calci a un

pallone! E lo stesso messaggio ri-torna più avanti, quando giungeal palazzo e si insedia da Presi-dente. Non solo invita il persona-le bianco a restare e lavorarecon lui («Abbiamo bisogno divoi»), ma affianca alle guardie delcorpo nere i brutti ceffi afrikaa-ner delle squadre speciali chefino al giorno prima gli sparava-no addosso. Mandela dà l’im-pressione di sapere benissimoquali pedine muovere per favo-rire l’integrazione sociale e l’av-vicinamento fra porzioni di popo-lazione che avevano sempre vis-suto divise. E sa anche che losport è un formidabile collantesociale. Che il rugby, sport Afrika-ner per eccellenza, sarebbe in

grado di fare breccia anche fra lamaggioranza nera. Si tratta sem-plicemente di promuovere lacosa, di “condurre” quest’ulti-ma al rugby che, all’epoca, veni-va praticato soprattutto nellescuole superiori e università. Diconseguenza era appannaggiopraticamente esclusivo dei bian-chi. All’epoca dell’elezione diMandela, gli Springboks conta-vano appena un nero nella lorosquadra. Mandela non si lasciòscoraggiare dai numeri e, da abi-le promotore qual era, strinse unforte legame con l’allora capita-no della nazionale François Pie-naar, perché gli Springboks po-tessero trasformarsi in una squa-dra “testimonial” per il nuovo

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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

INVICTUS di Clint Eastwood – Stati Uniti 2010

«Ragazzi che film Invictus! Che sferzata di ener-gia! Che carica positiva! Nella mischia delrugby… come nella mischia della vita…! E ciconvince a dare il meglio con coraggio: “Sia-mo gli artefici del nostro destino”, cita nella stu-penda poesia di Henley che ci consegna! Te-niamocela in tasca. Ci aiuterà nei momenti diamnesia”!». Il commento in rete è di Lella, anni18. Di seguito gli fa eco Marco, anni 25, che ac-cenna in sintesi anche alla vicenda: «Gran belfilm; scorre potente! Ottima l’interpretazione diMorgan Freeman in Mandela. La vicenda è cro-naca e storia: il Leader, eletto Presidente, riescead unire la gente del Sudafrica divisa dall’A-partheid, approfittando dei mondiali di rugbyospitati dalla sua nazione. Bianchi e neri, gli uni“con” gli altri, grazie allo sport nazionale: ilRugby! ».È così: Invictus - l’ultimo nuovo film diretto dalgrande regista Clint Eastwood – si ispira al do-cumentatissimo libro del giornalista John Car-

lin: “Ama il tuo ne-mico. Nelson Mande-la e il gioco che feceuna Nazione” (ed.Sperling & Kupfer).Racconta il trionfo aiMondiali del 1995, di-sputati proprio in Su-dafrica, con l’immagi-ne conclusiva dell’e-vento: Mandela checonsegna a Pienaar la

Coppa del Mondo davanti al popolo di Johan-nesburg finalmente riunito. Ma se il copione nonpoteva prescindere dai fatti autentici, senz’om-bra di dubbio “l’afflato umanista e il valore ‘spi-rituale’ della messa in scena” sono riconducibi-li alla mano magistrale del regista. Riporta in pri-mo piano il tema del perdono che gli è moltocaro, e lo pone come vero punto di riferimen-to a tutto il racconto. Un’autentica lezione, ol-tre che un intrattenimento piacevole e coinvol-gente. “Consigliabile”, conclude il giudizio di Va-lutazione Pastorale.

a cura di Mariolina Perentaler

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corso del paese. Il testo del filmlo fa esplicitare apertamente daFreeman nei panni del Presi-dente a Matt Damon che inter-preta il capitano: «La nazione ar-cobaleno comincia da qui. La ri-conciliazione comincia da qui.Anche il perdono comincia daqui». La scena più rappresenta-tiva ed emblematica di questa vo-lontà di riunificazione è quelladella cerimonia inaugurale delCampionato, in cui Mandela in-dossa la maglia degli Spring-bock. E così, la finale della Cop-pa del Mondo 1995 che per mol-ti è stata solo un’emozionantepartita di rugby, per il Sud Africaha rappresentato un momentocruciale della storia del Paese.Sancì un capolavoro politico e di-plomatico senza precedenti. For-se l’unico della Storia Contem-poranea in cui lo sport è stato l’a-gente principale di un eventostorico epocale. Un’esperienzacondivisa che ha aiutato a sana-re le ferite del passato e infonde-re speranza per il futuro. Impos-sibile non emozionarsi quandol’intero stadio, senza distinzionedi colore, intona l’inno sudafri-cano dei neri, considerato fino apoco prima roba da terroristi. Im-possibile non commuoversiquando il capitano visita con lasquadra degli Springboks il car-cere di Robben Island e la cellaangusta in cui “Madiba” Mande-la ha trascorso quasi tutta la suaesistenza. Impossibile dopo la vi-sione della pellicola, non soffer-marsi a riflettere per imparare adunirsi. A “cambiare”.

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ANNO LVII • MENSILE / SETTEMBRE OTTOBRE 2010

L’IDEA DEL FILM

Riproporre una pagina di cro-naca come prodotto spettaco-lare tra denuncia e storia,firmata dall’autorevolezza diun leader politico carismati-co ancora vivente.

Questa volta, quanto raccontaClint Eastwood non è il fruttodella fantasia di uno sceneggia-tore. Mandela è ancora felice-mente vivo a testimoniare glieventi, i resoconti e le telecro-nache. Ma “come” il regista emaestro ce lo racconta, coin-volge davvero in modo vincen-te. “Legge i fatti e conduce inprofondità”, avvincendo e di-vertendo sotto il profilo spet-tacolare. Il titolo “Invictus”(dal latino: “Mai vinto”), è quel-lo della poesia scritta dal poe-ta inglese William Ernest Hen-ley (1849-1903), da cui Mande-la trae ispirazione e forza perresistere/superare gli anni de-vastanti del carcere. La conse-gna al capitano degli Spring-boks, ma idealmente attraver-so il film al mondo intero. Il te-sto inizia e si conclude con 2versetti che ‘inchiodano’ riferi-ti a Mandela: «Dal profondodella notte che mi avvolge,ringrazio gli dei chiunque essisiano, per l’indomabile animamia» - «Non importa quantosia stretta la porta, quanto pie-na di castighi la vita. Son io il si-gnore del mio destino, il capi-tano dell’anima mia»!

IL SOGNO DEL FILM:

Riconciliare, riunificare gliantipodi nemici e divisi. Comedice Morgan Freeman nei pan-ni di Mandela: «Il perdonounisce, libera l’anima e cancel-la la paura».

«La dialettica e l’opposizionebinaria, in apparenza irridu-cibili, sono da sempre deitemi ricorrenti nel cinemadi Eastwood, al punto che sene potrebbero distillare gliestremi in quasi tutti i suoifilm, salvo rarissime eccezio-ni. E quasi sempre tale dialet-tica si risolve in una necessità,innanzitutto morale, di em-patia fra le parti, un’empatiache passa giocoforza dallacomprensione reciproca».(Cinemavvenire).Invictus, diventa così unduetto tra nemici che si al-leano. La vicenda di due uo-mini che decidono di co-struire - o di ricostruire - laloro storia individuale e laStoria collettiva del loro po-polo, utilizzando tutte le ri-sorse a loro disposizione. “Serve il perdono per ricon-ciliare un popolo e fargliriacquistare una identità co-mune smarrita. Serve lo sport come terre-no di una competizionegiusta, che esalta ed entu-siasma”. Meglio se infinevincente, sintetizza conclu-dendo la CVF.

PER FAR PENSARE

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accompagna. Il regista riesce a comunicarlo senzaambiguità conferendo maggior valore metaforicoai personaggi che, per quanto oggetto di effetti spe-ciali, non sono più percepiti come pure invenzio-ni fantastiche. Incarnano e rimandano al reale. L’A-lice di Burton intraprende di nuovo il mitico viag-gio, torna nel paese delle meraviglie dove era sta-ta da bambina (e dove ritrova i suoi indimenticabi-li amici d’infanzia a partire dal Coniglio Bianco, Pan-co Pinco ecc.) per interiorizzare e definire il suo pas-saggio ad una maturità sia fisica che psicologica emorale. Non a caso al suo passaggio si scatenanoammirazioni ed amori più o meno sottolineati edevidenti (nel Cappellaio Matto come nel Fante diCuori), accompagnati a distanza dallo sguardo di unBrucaliffo che muterà forma con lei. E… «altrettan-to non a caso, termina il suo viaggio - in quei luo-ghi e nella vita vera - con un ennesimo e definitivocambio d’abito. Il simbolo indica l’affermazione diun’identità matura conquistata e consapevole. Ca-pace ormai di superare convenzioni di genere e,quindi, di comportamento, sociali e relazionali».

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ALICE IN WONDERLAND TIM BURTONUSA 2010

Adattato per il cinema fin dal 1903, il celebre “Le av-venture di Alice nel paese delle Meraviglie” di LewisCarroll – dilaga ancora a pieno titolo nell’immagi-nario del terzo millennio ad opera di Tim Burton.Nessuno come Carroll aveva difeso il diritto e il pia-cere di trasformare i propri sogni e le proprie fan-tasie in qualcosa di «reale», almeno nel campo dell’esperienza artistica. Il suo soggetto è fin troppo in-vitante per un autore che - con i suoi film - ha sem-pre cercato di fare quello che Alice fa nelle sue av-venture: dare forma e credibilità ai sogni e/o agli in-cubi di un’eterna adolescenza. Per non incorrere neirischi del già detto, rinnova l’identikit della prota-gonista e la ripropone maggiorenne: una Alice post-adolescente di 19 anni, interpretata da Mia Wasikow-ska. Si sta affacciando alle responsabilità che la vitaadulta sta per farle incontrare e al conseguente per-corso di formazione che ogni crescita impone ed

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tercetta un fax in cui l’orchestra è invitata a Parigiper esibirsi al Théatre du Chatelet, intravede la pos-sibilità di una rivincita. Tra mille peripezie, aiutatoda un amico raduna gli orchestrali di trent’anni pri-ma, e con un impresario riesce ad imbastire un pia-no che permette al gruppo di arrivare a Parigi spac-ciandosi per l’orchestra del Bolshoi. Diventeràl’orchestra della vita: una commedia ironico-dram-matica dai toni di un’indimenticabile metaforaumana e sociale. Filipov sa che l’Armonia è un con-certo sublime di voci, storie ed etnie diverse. Nes-sun regime la può tollerare. Nessuna ideologia puòspegnerla definitivamente. Il suo concerto è per lalibertà e per la verità. Per la convivenza pacifica eun’integrazione culturale arricchenti. Nel finale, l’e-secuzione in re maggiore per violino e orchestra diCiaikovski, si trasforma in un trionfo. Un veroomaggio alla più splendida esaltazione del poteredella musica, strumento per eccellenza attraversocui un gruppo di individui calpestati dalla storia sae può ritrovare l’armonia con la vita ed il mondo.

IL CONCERTO RADU MIHAILEANU Francia/Romania/Belgio/Italia – 2010

«Forse il miglior film di quest’anno - scrive F. San-droni. Il regista che già aveva commosso e diverti-to nel 1999 con il film “Trein de vie”, conferma la suaanima gitana e la voglia di schierarsi contro ogni dit-tatura, anche quella della volgarità e delle “cultureufficiali” . (…) Su tutto emerge brillante la percezio-ne di una ‘favola’, in cui la libertà di tutti cresce gra-zie a quella di ciascuno, come in un’orchestra ap-parentemente costruita da strumenti dissonanti mache, dalla passione di alcuni trae energia e coesio-ne». Un’opinione sintesi che trova conferma nel di-lagare di un successo che ha toccato vertici da fe-nomeno, anche per gli incassi al botteghino. La sto-ria è quella di Andrei Filipov, direttore d’orchestradel Bolshoi, che all’epoca di Breznev cade in disgra-zia come nemico del popolo per aver protetto i suoimusicisti ebrei. 25 anni dopo, ridotto al ruolo di cu-stode nello stesso teatro, fa le pulizie e quando in-

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a cura di Mariolina Perentaler

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Claudio Burgio NON ESISTONO RAGAZZI CATTIVIPaoline 2010

Si tratta delle esperienze educative di un sacer-dote che ha sentito come sua particolare vo-cazione lo stare accanto ai giovani più diffici-li: quelli che la società considera, non a torto,veramente pericolosi, senza tuttavia rendersiconto di avere creato intorno a loro un conte-sto di falsi valori che è il più favorevole terre-no di cultura di tante devianze. Il carcere mi-norile “Beccaria” e la comunità di accoglienzaKairòs, fondata insieme a collaboratori di buo-na volontà, sono i luoghi d’incontro abitualedi don Claudio con i “suoi” ragazzi: da quellicosiddetti “a rischio”, caduti in carcere per qual-che furto, a quelli che finiscono sulle paginedei giornali come “mostri”.Qual è il metodo di quest’educatore? È un me-todo che non ha nulla di teorico: è fondato suesperienze e riflessioni rigorosamente con-frontate con il Vangelo. Il libro si conclude conle commoventi parole di un ragazzo: “tu haiuna vita sola e l’hai regalata tutta a noi”. “Fino-ra n’è valsa la pena - dice l’autore. Spero di es-serne degno per sempre”.

Gary ChapmanL’ IRA, L’ALTRA FACCIA DELL’AMORELDC 2009

Dedicare circa 180 pagine a un argomento cosìpoco stimolante è cosa che sorprende ma poi,tutto sommato, non delude il coraggioso let-tore. Ogni capitolo del libro prende le mossedalla concretezza di un esempio, sul quale poisi è condotti a riflettere. Il primo “messaggio” è che l’ira è una cosa eil peccato dell’ira è un’altra. L’ira è un’emozio-ne da controllare e orientare piuttosto che dacomprimere. Se suscitata da una situazioned’ingiustizia può essere la molla che fa scat-tare interventi addirittura provvidenziali. L’i-ra non si dirige sempre verso qualcuno o qual-

cosa. Si può essere arrabbiati anche con se stes-si e persino con Dio. Nemmeno questo gene-re d’ira Dio condanna: Giobbe è adirato con Lui,ma glielo grida con una confidenza che parenon dispiaccia all’Onnipotente, il quale lo con-duce un po’ alla volta ad aprirsi, pacificato, allaluce della verità.E così avanti…fino alla distinzione tra ira esplo-siva e ira implosiva: la più pericolosa, quest’ul-tima, che può durare per anni diventando ran-core. Come controllare e orientare positivamen-te la propria irascibilità? comportarsi, infine, difronte a una persona arrabbiata? E come educare un bambino a gestire la propriaira, a partire dai capricci infantili?Ogni capitolo è simpaticamente infiorato di fra-si bibliche o di sapienza umana talora velata diumorismo come questa: in inglese la parola an-ger (ira) ha solo una lettera di meno di danger(pericolo)…

Enzo BianchiPERCHÉ PREGARE, COME PREGARE San Paolo 2009

In un tempo in cui si avverte una crescente“sete” di spiritualità, tanto nei credenti che, for-se ancor di più, nei non credenti, il tema dellapreghiera assume un’importanza decisiva. A condizione di liberarlo da inutili sovra strut-ture e da fraintendimenti che ne sviliscono il va-lore. In questo testo l’autore si propone di farriscoprire la freschezza e la vera natura dellapreghiera cristiana, ricollocandola nel solco del-la rivelazione biblica. L’autore, da profondo co-noscitore del mondo e dello spirito, analizza l’e-voluzione della preghiera nelle diverse epochestoriche, fino ai giorni nostri, dipingendo unquadro in cui anche il lettore meno praticantenon potrà non riconoscersi. Il testo affronta inol-tre le difficoltà più comuni nella preghiera, for-nendo risposte e interpretazioni profonde e ric-che di senso, capaci di soddisfare la curiosità diogni persona in ricerca.

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a cura di Adriana Nepi

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un’attività impegnata per una maggioregiustizia sociale. Intollerabile soprattuttoche il vincolo coniugale sia normalmentepreparato da vere trattative familiari. Sairariesce a sventare i tentativi materni di tro-varle un buon marito e si avvia per altre stra-de, sostenuta nel suo tenace anticonformi-smo da una vecchia saggia prozia la qua-le, pur non sposata, ha esercitato con mol-to successo la carriera d’insegnante discuole superiori. Terminati gli studi univer-sitari, l’intraprendente nipote si dedica algiornalismo, collaborando con un cuginoanimato da propositi di denuncia sociale.

Una numerosa schiera di personaggi, soprat-tutto appartenenti al clan familiare, ruota in-torno alla protagonista, con i propri diversicaratteri, con le proprie vicende personali.L’autrice riesce a toccare i punti più dibattu-ti e scottanti del mondo attuale: ambiguitàdei mezzi mediatici e loro potere, divorzio,aborto e controllo delle nascite, omosessua-lità e libertà sessuale, emancipazione delladonna e difesa tenace di radicate tradizio-ni…Non esprime giudizi, fa parlare le situa-zioni. Sembra però qua e là che le situazio-ni stesse siano, per così dire, funzionali a undisegno che oltrepassa il discorso narrativoe ne appesantisce il ritmo.Le vicende sono ambientate su un precisosfondo storico: l’imperialismo americano, letensioni del mondo asiatico con i suoi tor-bidi politici e sociali, con l’incubo quotidia-no del terrorismo. Fino all’11 settembre,

La bambina ribelle Adriana Nepi

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Oggi si parla tanto di globalizzazione, di so-cietà multietniche, di pluralismo culturale:espressioni divenute ormai luoghi comuni.Forse non si misura realisticamente il grovi-glio di problemi sollevati dalla gigantescasvolta storica che stiamo vivendo.

Questo romanzo ci conduce attraverso unacomplessa vicenda familiare, in un approc-cio impressionante con il mondo di oggi,dove il cosiddetto villaggio globale è inrealtà un intrecciarsi di problematiche con-trastanti, dagli effetti spesso drammatici. Sai-ra, la “bambina ribelle” che è l’io narrante delracconto, come l’autrice è nata in America,da una famiglia di origine indopachistana.Originale e volitiva, a differenza della mitee arrendevole sorella Ameena, si mostra finda bambina insofferente dei rigidi principiimposti dalla tradizione culturale cui appar-tiene la sua parentela. Crescendo, se ne al-lontana sempre più e fa suo uno stile di vitae una mentalità che saranno causa di peno-si conflitti familiari. La noncuranza spinta finoal disprezzo di ogni formalismo la spinge adadeguarsi all’esasperato soggettivismo del-la città in cui vive e a scelte moralmentespregiudicate. D’altra parte una maggiorepossibilità di movimento e di relazioni la li-bera dall’angustia di orizzonti nei quali, inalcuni paesi, una tradizione secolare anco-ra costringe la donna. Il matrimonio, valo-re centrale e assoluto, perno di ogni esisten-za femminile, è un optional cui si possonocontrapporre vie alternative, magari in

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quando la tragedia dell’attentato alle torri ge-melle è visto come l’esplodere di un diffu-so malessere socio politico che incombe mi-naccioso su tutto il mondo.Il pauroso imprevedibile attentato scatenaa New York una furiosa reazione contro imussulmani. Ed è proprio Ameena, la mitesorella che sempre si era tenuta fuori da ognipensiero di lotta e di ribellione, a rimanerevittima della violenza: colpita, alla presenzadella figlioletta, dalla mano di un fanatico chel’ha riconosciuta per il chador che le velavail capo. La bimba ha ormai solo il papà, an-che lui figlio unico, orfano di entrambi i ge-nitori, e pure la nonna materna è morta dapoco. Che farà Saira? Ha lottato tutta la vitaper costruirsi il modo di essere che aveva so-gnato. È morta anche la vecchia prozia. In unrecente incontro a Karachi con la nipote pre-diletta, mentre la mamma di quest’ultima si

stava affannando per “sistemare” la figlia inmodo da renderla felice secondo gli sche-mi tradizionali, l’anziana donna, che tanto in-tensamente aveva vissuto e donato, si era ab-bandonata a un’intima confessione: nonrinnegava il suo passato, ma lasciava traspa-rire lo sconforto di chi aveva accarezzato ilsogno di veder nascere una generazionenuova, libera da pregiudizi e discordie,aperta a riconoscersi parte di un’umanitàin cammino… e si trovava a vivere in unmondo sconvolto da attentati, furti, seque-stri di persona…Ora era in pensione, sola,gelosa della sua autosufficienza ma biso-gnosa di riconoscersi nei sani valori dellasua gente, consapevole di quanto sianopreziosi i vincoli familiari che la giovinez-za avverte spesso come limiti alla propriasete di libertà e autorealizzazione. “Tua ma-dre è preoccupata - le aveva detto - Tu haicosì tante possibilità alternative. Sono opportunità che lei non comprende,ed è sempre difficile vedere le personeche amiamo scegliere in maniera diversa danoi, vivere in modo diverso ed essere diver-si. Difficile da entrambe le parti… Devi de-cidere tu che cosa vuoi fare della tua vita, manon affrettarti a buttare via il vecchio per ab-bracciare il nuovo. Fai spazio a entrambi,Saira…Qui la gente non muore sola nel suoappartamento, senza nessuno che se ne ac-corga per settimane, come ho sentito cheaccade in Occidente. Nella nostra culturaè il rapporto con gli altri che definisce chisei: la figlia, la moglie, la madre, la sorella,la zia di qualcuno…Un valore che sarebbeun peccato perdere del tutto…”.Dentro la tragedia di quell’11 settembre Sai-ra vive il momento drammatico di una scel-ta lacerante. Peccato che il colpo di scena fi-nale, inutile romanzesco escamotage, tolgaalla decisione risolutiva della protagonistaparte della sua nobiltà e della sua bellezza.

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no! È probabile, per esempio, che il sof-ferente di asma abbia troppe attenzioni(spesso ne soffrono i figli unici o primi fi-gli, “soffocati” dai genitori). Chi spendetroppe energie e per lo più per gli altri,può mettere a serio rischio la funziona-lità di filtro dei reni.

Insomma, il nostro corpo ci invia deimessaggi, che ci informano sulle difficoltà,contrarietà, fatiche, tensioni, e tutto ciòche non si esprime si imprime sull’orga-nismo e diviene malattia.Mi sembra interessante allora chiederciquali potrebbero essere le tipiche pato-logie delle religiose.L’artrosi deriva forse sia dalle ore passa-te in ginocchio, sia dallo zelo del “vadoio”! Tante schiene curve, tante stampel-le e bastoni denotano lo sforzo di una vitadi piegarsi all’obbedienza… La sordità è tipica di chi per tutta la vita hateso l’orecchio al soffio dello Spirito… I problemi di vista, soprattutto la presbio-pia, può indicare la fatica a vedere da vi-cino, perché noi suore siamo state abitua-te a guardare oltre…La cefalea, causata dallo sforzo di com-prendere l’agire di Dio nelle logicheuma ne…L’elenco potrebbe continuare! Ma ormaiavete capito e le conclusioni tiratele voi!

Gli acciacchi: problema della terza età?

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Ed eccoci giunti ad un altro lato spinosodella nostra età: gli acciacchi, o peggio an-cora, le malattie! Eh sì, nella vecchiaia il fi-sico non corrisponde più ai nostri coman-di! “Un altro ti cingerà la veste e ti porteràdove non vorrai!”.Dedico perciò un po’di attenzione altema della malattia. Ma non perché riguar-di solo gli anziani… no, no! Tanti giova-ni sono mal messi in salute, più dei vec-chi. Però si è soliti pensare alla vecchiaiacome al momento della vita in cui si è piùesposti alle malattie: c’è chi sostiene ad-dirittura che l’anzianità sia di per se stes-sa una malattia!Io, sia ben chiaro, sono invece convintache anziani si nasca e non si diventi! Difficile definire la malattia. Essa è stataprima di tutto la grande nemica di Gesù!L’ha combattuta in tutti i modi e a qualsia-si età. Ha guarito anche anziani? Certo! Lasuocera di Pietro, per esempio! Le ha fat-to passare la febbre, perché potesse tor-nare a servire… Per Gesù infatti gli anzia-ni hanno ancora la possibilità di dare! Ma Egli ha guarito tutti: sordi, muti, ciechi,lebbrosi! Perchè Gesù combatte la malattia? Perchésa bene che essa rappresenta la voce del-l’Anima di una persona. Dimmi che ma-lattia hai e ti dirò chi sei! La malattia ha ache fare col temperamento e con il vissu-to di una persona. Molti studi lo dimostra-

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INCONTRI: Povertà e sobrietà

PRIMO PIANO: Il perchè di Francesco Francesco di Sales e le FMA

IN RICERCA: Pastoralmente Coordinamento e testimonianza di comunione

COMUNICARE Faccia a faccia Comunicare nel mondo

NEL

PRO

SSIM

O

NU

MER

O

“Vivete nella gioia, poiché il nostro Dio è il Dio della gioia”.

(Francesco di Sales)

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canto alla vita

A TE ALZO I MIEI OCCHI,

A TE CHE SIEDI NEI CIELI.

(SALMO 122,1 )