Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria dei Materiali
Ricostruzione sperimentale della curva di invecchiamento della lega di Alluminio 7020
Corso di metallurgia dei metalli non ferrosi
Docente:
Prof. Diego Colombo
Studenti:
Mattia Caracristi
Stefano Mezzavilla
Federico Selber
Stefano Zanol
1. OBBIETTIVO
L’esperienza di laboratorio ha come scopo quello di ricavare sperimentalmente la curva di
invecchiamento della lega di alluminio 7020 alla temperatura di 165°C misurando la durezza
Vickers su campioni trattati per un periodo di 14 giorni.
2. CENNI TEORICI
L’ergal
Appartiene alla classe delle leghe per lavorazioni plastiche, gruppo 7000 (leghe Al-Zn-Mg), dette
ergal: sono le leghe molto utilizzate in campo aerospaziale, nelle applicazioni strutturali di forza e
sono in grado di raggiungere le migliori caratteristiche meccaniche tra tutte le leghe di alluminio.
Sono leghe di alluminio che si contraddistinguono per un'ottima resistenza meccanica ma
maggiore suscettibilità agli agenti corrosivi, a causa della presenza dello zinco. Questa debolezza
può essere corretta tramite l'aggiunta di piccole dosi di argento o zirconio.
Un particolare tipo di ergal, detto "titanal", caratterizzato dalla presenza di titanio, zirconio e cromo
(in percentuali dell'ordine dello 0,1%) raggiunge resistenza allo snervamento di circa 1200 MPa
(per contro, il titanio puro raggiunge appena i 500 MPa). L'ergal è disponibile in una gamma
completa di viteria e il suo utilizzo è ampliamente diffuso nel settore aeronautico, nel settore
motociclistico agonistico o amatoriale; oppure è utilizzato per pezzi di artiglieria che montano
spolette contenenti materiale biologico.
Serie 7000
Il principale elemento è lo zinco, l’elemento che ha la solubilità più elevata nell’alluminio, e con
esso forma un eutettico ad una concentrazione del 95% in peso di Zn alla temperatura di 382 °C:
così, per quasi tutte le composizioni, si ha solidificazione di una soluzione solida primaria; al calare
della temperatura il suo campo di stabilità crolla e si ha precipitazione di zinco. Generalmente le
leghe binari Al-Zn non vengono usate, ma vengono preferite leghe Al-Zn-Mg. Si tratta di leghe da
trattamento termico; queste leghe sviluppano le caratteristiche meccaniche più elevate tra le leghe
d’alluminio; lo zinco aumenta la resistenza e la durezza, oltre a favorire l’autotemprabilità della
lega. Le leghe Al-Zn-Mg, trattate termicamente, hanno la più elevata resistenza a trazione di tutte
le leghe di alluminio.
Le leghe con le caratteristiche meccaniche più elevate possono presentare sensibilità a
tensocorrosione; per questo motivo sono stati sviluppati trattamenti "stabilizzanti" specifici.
Presentano buona lavorabilità alle macchine utensili e, nella maggior parte dei casi, scarsa
saldabilità per fusione. Vengono utilizzate per strutture aeronautiche e di mezzi di trasporto, ed in
generale per parti molto sollecitate.
Lega 7020
Ora che abbiamo illustrato le caratteristiche salienti delle leghe della serie 7000 possiamo andare
a guardare più nello specifico e confrontare la nostra lega con quelle maggiormente utilizzate. In
tabella 1 si raffrontano le caratteristiche composizionali di alcune leghe della serie 7000.
Lega Al Zn Mg Mn Cr Ti Fe Si Cu Zr Other (each)
Other (total)
7005 91.0÷94.7 4.0÷5.0 1.0÷1.8 0.20÷0.70 0.06÷0.20 0.01÷0.06 < 0.40 < 0.35 < 0.10 0.08÷0.20 < 0.05 < 0.15
7020 91.2÷94.7 4.0÷5.0 1.0÷1.4 0.05÷0.50 0.10÷0.35 - < 0.40 < 0.35 < 0.20 0.08÷0.20 < 0.05 < 0.15
7050 87.3÷90.3 5.7÷6.7 1.9÷2.6 < 0.10 < 0.04 < 0.06 < 0.15 < 0.12 2.0÷2.6 - < 0.05 < 0.15
7075 87.1÷91.4 5.1÷6.1 2.1÷2.9 < 0.34 0.18÷0.28 < 0.20 < 0.50 < 0.40 1.2÷2.0 - < 0.05 < 0.15
7175 88.0÷91.4 5.1÷6.1 2.1÷2.9 < 0.10 0.18÷0.28 < 0.10 < 0.20 < 0.15 1.2÷2.0 - < 0.05 < 0.15
Tab. 1 – Composizione chimica di alcune fra le principali leghe della serie 7000
Possiamo notare come queste leghe abbiano un quantitativo di elementi in lega abbastanza simile:
solo in seguito le caratteristiche meccaniche verranno sviluppate grazie a processi termici che
faranno risaltare le piccole differenze composizionali. Come si nota dalla tabella la nostra lega è
molto simile alla 7005: si potrà quindi fare un raffronto sperimentale anche su tale lega per quanto
riguarda la comparazione fra i risultati sperimentali e quelli presenti in letteratura.
Indurimento per precipitazione
Tramite questo procedimento, chiamato anche PH (Precipitation hardening), si aumenta la durezza
della lega attraverso la formazione di precipitati, ovvero particelle di una fase diversa da quella
della matrice, immerse in essa stessa. In letteratura si utilizza anche il termine "indurimento per
invecchiamento", poiché le proprietà meccaniche della lega trattata aumentano con il tempo.
L'invecchiamento può essere ottenuto anche artificialmente, mantenendo la lega a temperature più
alte di quella ambiente (tipicamente dell'ordine dei 100÷200 °C le leghe di alluminio), e così
accelerando il processo di formazione dei precipitati.
Questo procedimento prevede due diversi stadi:
� trattamento termico di soluzione (tempra di solubilizzazione): si procede col riscaldare la
lega in maniera tale da far sì che tutti gli elementi si trovino in una soluzione monofasica
con gli elementi di lega presenti oltre il limite di solubilità nella lega. Successivamente si
stabilizza questa situazione (essa, essendo una soluzione sovrassatura, è instabile per cui
gli elementi di lega tenderebbero a precipitare come composti di altra fase nella matrice)
attraverso una tempra (raffreddamento veloce).
� trattamento termico di precipitazione: si riscalda la lega sovrassatura ad una temperatura
tale che gli elementi presenti oltre il limite di solubilità tendono a precipitare come particelle
finemente disperse nella matrice. Questo procedimento porta ad un aumento di durezza in
funzione del tempo, fino ad un massimo, e successivamente ad una decrescita della
durezza. Questo processo, anche noto con il termine invecchiamento si divide in tre zone:
o sottoinvecchiamento: se il materiale non ha ancora raggiunto il massimo della
durezza raggiungibile;
o invecchiamento di punta: se il materiale viene invecchiato sino a raggiungere la
durezza massima;
o sovrainvecchiamento: se il materiale ha superato il massimo della durezza
raggiungibile.
Fig. 1 – Invecchiamento di una lega di alluminio
Due differenti trattamenti termici possono causare l'indurimento per precipitazione, l'indurimento
per precipitazione attraverso tempra, che comporta la formazione di una soluzione solida
monofase, e l'indurimento per precipitazione a caldo, che comporta l'aggiunta di elementi di lega
che precipitano in soluzione solida. In questo articolo sarà discusso quest'ultimo trattamento
termico.
L'indurimento per precipitazione, anche detto invecchiamento o indurimento per dispersione,
consiste in un insieme di trattamenti termici atti al miglioramento delle caratteristiche meccaniche
di materiali metallici, specialmente leghe non ferrose, comprese molte leghe di alluminio, magnesio
e titanio. Esso consiste nel portare la lega metallica a temperature alle quali cambiano le solubilità
dei vari elementi di lega, in maniera da produrre del precipitato fine degli elementi stessi, che,
ostacolando il movimento delle dislocazioni, o deformando il reticolo cristallino, migliora le
proprietà meccaniche di durezza e resistenza statica della lega trattata.
A causa del tempo che ci vuole, ad alta temperatura, affinché gli elementi di lega, precipitando,
formino un fine particolato all'interno della matrice metallica, questo trattamento viene anche
indicato col termine di invecchiamento.
Cinetica e termodinamica
Questa tecnica sfrutta il fenomeno della supersaturazione, e richiede un attento bilancio delle forze
responsabili della precipitazione e dell'energia di attivazione termica, affinché si verifichino i
processi voluti, evitando quelli indesiderati.
La nucleazione avviene a temperature relativamente elevate (spesso appena sotto il limite di
solubilità), cosicché la barriera cinetica dell'energia di superficie può essere più facilmente
superata, ed si può ottenere il massimo numero di particelle precipitate. Si accrescono dunque
queste particelle a temperature più basse nel processo chiamato invecchiamento. Questo
processo è condotto sotto condizioni di bassa solubilità, in maniera tale che la termodinamica
permetta la formazione di un volume totale maggiore di formazioni precipitate.
La dipendenza esponenziale della diffusione in funzione della temperatura rende il processo di
rafforzamento tramite precipitati, come tutti i trattamenti termici, un processo piuttosto delicato.
Una diffusione troppo scarsa (sotto-invecchiamento) renderà le particelle troppo piccole per poter
ostacolare con efficacia il movimento delle dislocazioni; d'altra parte un sovra-invecchiamento
comporterà particelle in scarsa quantità e troppo distanti tra loro per interagire con la maggior parte
delle dislocazioni.
L'indurimento per precipitazione è possibile se il confine di solubilità solida si sviluppa fortemente
verso il centro del diagramma di fase. Sebbene sia desiderabile un gran volume di precipitato,
abbastanza poco elemento di lega dovrebbe essere aggiunto in maniera tale da lasciare la lega
facilmente solubile ad una certa temperatura di bonifica.
Gli elementi usati per il meccanismo della precipitazione, in leghe di alluminio o titanio tipiche,
costituiscono circa il 10% della loro composizione. Mentre leghe di tipo binario, con un solo
elemento aggiunto, sono più facilmente trattabili dal punto di vista teorico, anche come esercizio
accademico, le leghe commerciali utilizzano perlopiù tre elementi per l'indurimento per
precipitazione., in leghe come la Al-Mg-Cu, o la Ti-Al-Va. Possono essere naturalmente aggiunti
un gran numero di microalliganti (elementi presenti nella lega in bassissime percentuali) per avere
affinamento della grana cristallina, o per aumentare la resistenza a corrosione.
Molte leghe di questo tipo necessitano di temperature di stoccaggio particolari, se si vuole un
invecchiamento una volta messe in opera. Ad esempio in una struttura aeronautica, può accadere
che si tenga in ghiaccio secco la lega di alluminio da rivettare, ed una volta rivettata
l'invecchiamento che avviene a temperatura ambiente serra la struttura insieme. Può anche
accadere che effetti di sovrainvecchiamento indesiderati richiedano ulteriori e costosi trattamenti
termici in parti della struttura già montata.
3. PROVE DI MICRODUREZZA
Microdurometri
La durezza di un oggetto o di un materiale è la resistenza che esso mostra ad una deformazione
superficiale permanente. I test di durezza sono la metodologia utilizzata per misurare e valutare la
resistenza del materiale alla deformazione quando è soggetto ad una forza esterna o ad un carico.
Mentre esistono numerosi approcci per valutare la durezza (test di graffiatura, rimbalzi, e di
abrasione, per citarne solo alcuni) i microdurometri sono sviluppati per eseguire facilmente una
serie di test statici di penetrazione. Progettati per un uso semplice ed efficace, questi strumenti
offrono accessori opzionali che possono permettere di eseguire una vasta gamma di test
personalizzati e di soddisfare particolari esigenze.
Il termine “microdurezza” è riferito alle dimensioni dell’impronta risultante. Il termine durezza di
“micropenetrazione” è forse una descrizione migliore. A parte questo, molte forme di test utilizzano
carichi di 2 kg o meno.
Microdurezza Vickers
Il metodo Vickers fu introdotto in Inghilterra nel 1925. La prova consiste nel far penetrare, nel
pezzo di cui si vuol saggiare la durezza, un punzone di diamante con forma di piramide retta a
base quadrata con angolo al vertice di 136° e ad al ta finitura superficiale. La profondità di
indentazione è circa 1/7 della lunghezza della diagonale. La geometria del penetratore Vickers è la
stessa che viene usata nei test convenzionali “macro” Vickers. In figura 2 è mostrato lo schema:
Fig. 2 – Valutazione delle impronte di microdurezza
Operazione principale è misurare la diagonale dell’impronta lasciata sulla superficie del pezzo
dopo aver tolto il carico applicato che in genere varia tra 100÷500 g.
Questa prova, essendo il penetratore di diamante, è particolarmente indicata per materiali duri ed
inoltre, come è stato confermato sperimentalmente su materiali di tutte le durezze, i risultati che si
ottengono sono indipendenti dal carico applicato. Solo se si opera con carichi inferiori ai 100g
questo non è rispettato; a causa del recupero elastico della deformazione data dall’impronta,
infatti, si osservano incrementi nei valori di microdurezza rispetto a quelli che ci si attenderebbero.
La macchina studiata per realizzare queste prove permette un’esecuzione rapida e precisa delle
misure. Il carico è da fissare in relazione alla durezza del pezzo (inizialmente si deve fare un test
per cercare quello che dia un’impronta ben visibile) e può raggiungere al massimo i 980 N. La sua
applicazione è fatta automaticamente; anche il tempo di applicazione del carico, che può variare
entro intervalli molto ampi, è regolato automaticamente permettendo di avere condizioni
rigorosamente costanti durante tutte le prove. Su un materiale omogeneo si ha una misura corretta
quando l'impronta è significativamente più ampia dei grani cristallini.
Fig. 3 – Impronta al microdurometro
L’impronta che si ottiene sul pezzo è sempre di piccole dimensioni e la sua misura viene fatta
attraverso un microscopio che si sovrappone automaticamente (vedi Fig.3). Bisogna regolare
correttamente l’intensità luminosa e lavorare ad ingrandimenti adeguati alle dimensioni
dell’indentazione. Con l’approssimazione di 1/1000 di mm viene misurata la diagonale (d)
dell’impronta mediante un sistema micrometrico con un traguardo fisso ed uno mobile nel campo
oculare. Si risale così immediatamente alla durezza (in HV), tramite la formula:
22 dF
189,0d
2136
sen102,0F2
SF
HV ⋅⋅⋅⋅====
⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅========
dove il fattore di conversione 0,102 serve per riportarsi all’unità di misura kg/mm² originariamente
adottata. Infatti il numero di durezza Vickers non è altro che il rapporto del carico applicato
all’indentatore (F) rispetto all’area della superficie dell’impronta (S).
Fra gli altri vantaggi di questo metodo vi sono la possibilità di misurare le durezze di pezzi finiti,
date le ridotte misure dell’impronta e quella di effettuare misure anche sui metalli più duri; si
possono inoltre testare pezzi di piccolo spessore, o in generale di piccole dimensioni, riducendo il
carico anche fino a 10 N. Data l’applicazione automatica del carico e la dimensione quadrata
dell’impronta, il metodo Vickers ha il vantaggio di una notevole precisione nelle misure. Una delle
applicazioni tipiche della prova di microdurezza Vickers è il controllo dei trattamenti superficiali.
Eseguendo una sezione metallografica di un componente trattato alla superficie è possibile
verificare la conformità dei risultati alle aspettative. In particolare, applicazioni comuni si hanno nel
caso della tempra superficiale, della cementazione e nitrurazione, ecc..
4. PROCEDURA SPERIMENTALE
Materiale impiegato
Sega circolare
Forno elettrico ventilato
Cella frigorifera
Resina epossidica bifasica
Inglobatrice
Lappatrice
Plastilina
Pressatore manuale
Microdurometro
Preparazione campioni
Oggetto di questa sperimentazione sono dei campioni della lega di alluminio 7020, ricavati da una
geometria tubolare dalla quale, a seguito di lavorazioni meccanica di taglio e piegatura, abbiamo
ricavato 12 campioni uguali delle dimensioni necessario ad ottenere l’inglobamento dei campioni.
I campioni sono stati poi inseriti in un forno elettrico ventilato a temperatura di 90 °C per 16 ore p er
effettuare il primo stadio del trattamento e in seguito a 165 °C per tempi variabili (da 15 minuti a 1 4
giorni) per effettuare il secondo stadio dell’invecchiamento. I provini che terminavano il trattamento
venivano conservati in una cella frigorifera per bloccare un eventuale invecchiamento naturale.
Per eseguire le prove di microdurezza, terminato il trattamento termico, i campioni sono stati
inglobati con resina epossidica bifasica a caldo e successivamente lappati con carta abrasiva (a
granulometria crescente: 300, 800, 1200) in modo da ottenere un superficie liscia.
Dopodichè i provini sono stati adagiati su un supporto con una base di plastilina e pressati
manualmente in modo che la superficie fosse perfettamente parallela al piano di lavoro, per non
commettere errori di parallasse nel valutare le impronte.
Trattamenti termici
I parametri del trattamento termici di invecchiamento da eseguire, quali tempi e temperature sono
indicate dalla Norma UNI 7791, che riportiamo di seguito:
"Tempra all’ aria ventilata da 450÷480 °C dopo riscaldamento per 0,5÷3 h a regime, con velocità di raffreddamento non minore di 1°C/s nell’ intervallo 200÷400 °C; attesa di 2÷5 d
a temperatura ambiente. Invecchiamento artificiale isotermico con un primo stadio a
90÷100 °C per 6-12 h e un secondo stadio a 145÷155 °C per 8÷15 h."
I trattamenti da noi adottati hanno lo scopo di evidenziare l’influenza di differenti tempi di
solubilizzazione e di differenti tempi del trattamento di primo invecchiamento sulla microstruttura e
sulla durezza del campione, tenendo costanti temperatura e tempo per il trattamento di secondo
invecchiamento.
Solubilizzazione
Il primo trattamento termico è stato effettuato mantenendo i campioni ad una temperatura di 470°C
per un tempo complessivo di 6h per far si che il materiale si omogeneo in tutta la sua sezione.
L’operazione successiva è il raffreddamento dalla temperatura di solubilizzazione alla temperatura
ambiente; infatti se fatto troppo lentamente, come enunciato precedentemente nella parte teorica,
non permette di ottenere una soluzione sovrassatura, che è la condizione indispensabile per avere
precipitazione durante la fase di invecchiamento, ma causerebbe uno smiscelamento indesiderato
dell’elemento in lega. Nel nostro caso il raffreddamento è stato fatto in acqua e quindi con velocità
superiore a quella minima consigliata dalla normativa posta in 1°C/s tra i 200 e i 400°C.
Invecchiamenti primario
Finito il trattamento di solubilizzazione i campioni sono stati inseriti nel forno elettrico e mantenuti
alla temperatura di 90°C per 12h. Lo scopo dell’inv ecchiamento primario ha lo scopo di dare il via
alla precipitazione. Terminato il periodo di trattamento i campioni sono stato messi nel congelatore
a bassa temperatura, in modo da bloccare l’accrescimento dei precipitati.
Invecchiamento secondario
Il secondo stadio prevede che i campioni siano inseriti nel forno elettrico ad una temperatura di
165°C ed estratti singolarmente come descritto in t abella:
PROVINO TEMPO PROVINO TEMPO A1 15 min A7 16 h A2 30 min A8 1 gg A3 1 h A9 2 gg A4 2 h A10 4 gg A5 4 h A11 8 gg A6 8 h A12 14 gg
Tab. 2 – Tempi di invecchiamento dei campioni
5. DATI E RISULTATI OTTENUTI
Dati prove di microdurezza
Dopo aver inglobato, lappato e posizionato correttamente i provini in maniera perfettamente
orizzontale è possibile eseguire le prove di microdurezza, dove viene misurata la diagonale
dell’impronta. Dal valore di d mediante tabelle si risale immediatamente alla durezza che è
calcolabile con la formula vista precedentemente.
2dF
189,0HV ⋅⋅⋅⋅====
Abbiamo effettuato le prove cercando sempre di raddoppiare il tempo della prova successiva per
avere dei valori ben dispersi su scala logaritmica. Di seguito sono riportati i dati ricavati dalle
analisi dei provini trattati.
PROVINO d MEDIA TEMPO DUREZZA µµµµm µµµµm µµµµm µµµµm µµµµm µµµµm h HV
A1 24,0 23,0 24,0 23,0 23,0 23,4 0,25 102 A2 21,0 23,5 23,5 22,0 22,5 22,5 0,5 110 A3 22,0 21,0 23,0 21,0 22,0 21,8 1 117 A4 18,0 22,0 20,0 20,0 20,0 20,0 2 139 A5 18,0 18,0 18,0 18,0 19,0 18,2 4 168 A6 18,0 19,0 19,5 18,5 20,0 19,0 8 154 A7 20,0 20,0 19,0 19,0 21,0 19,8 16 142 A8 21,0 20,0 21,0 20,0 20,0 20,4 24 134 A9 22,0 22,0 21,0 23,0 22,0 22,0 48 115 A10 23,5 22,5 24,0 23,0 23,5 23,3 96 102 A11 22,0 23,0 22,0 24,0 23,0 22,8 192 107 A12 23,0 24,0 22,0 24,0 23,0 23,2 336 103
Tab. 3 – Risultati delle prove di microdurezza
Curva di invecchiamento sperimentale
Tramite i dati sperimentali ottenuti possiamo costruire la curva di invecchiamento a 165 °C della
lega 7020 (Fig. 4). Vediamo come la curva assuma il tipico andamento teorico a campana:
� una zona di sottoinvecchiamento dove la durezza del materiale è poco superiore a quella
del materiale solubilizzato (che possiamo prendere pari a circa 100 HV);
� una zona di massimo, dove il materiale sviluppa le caratteristiche di durezza massime, che
possiamo considerare dove il materiale raggiunge valori maggiori di 140 HV;
� una zona di sovrainvecchiamento, quando i valori di durezza tornano a scendere
assestandosi nuovamente su valori pari a quelli della lega post-solubilizzazione (~100 HV).
Invecchiamento
0
25
50
75
100
125
150
175
200
0,1 1 10 100 1000
time [h]
har
dn
ess
[HV
]
Fig. 4 – Curva di invecchiamento sperimentale
Abbiamo poi interpolato i dati ricavati con un polinomio di 5° grado ai minimi quadrati, per simulare
l’andamento a campana della curva. Per calcolare il punto di massimo abbiamo calcolato la
derivata del polinomio e abbiamo trovato il valore di x per il quale esso si azzerava.
Si ricava in questo modo il tempo in cui si raggiunge la durezza massima nel nostro trattamento (a
165°C) e il suo valore in HV.
TEMPO DUREZZA h HV
Valore di picco 5,1 158
Tab. 4 – Valori di picco per invecchiamento a 165 °C
6. CONCLUSIONI
Tramite questa esperienza siamo riusciti a ricavare sperimentalmente la curva di invecchiamento
della lega di alluminio 7020 alla temperatura di 165°C misurando la durezza Vickers su campioni
trattati per un periodo di 14 giorni.
L’andamento della durezza varia nel tempo raggiungendo un valore massimo di 158 Hv dopo un
periodo di permanenza a 165°C pari a 5 ore e un val ore minimo di 100 Hv.
I dati ottenuti ci hanno permesso di ricostruire una curva di invecchiamento che presenta un
andamento analogo a quelle che si trovano in letteratura.
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