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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
CORSO DI LAUREA IN LINGUE STRANIERE PER LA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE
TESI DI LAUREA
RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI: ACCOGLIENZA E SITUAZIONE ABITATIVA A TORINO RELATORE: PROF.SSA Laura Bonato
CANDIDATA: Erika Lavolpe
Matricola: 309036
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
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INDICE
Introduzione……………………………………………………………………......4
Capitolo1 – Diritto d’asilo: convenzioni, leggi e decreti…………………....7
1.1. – Diritto internazionale……………………………………………………......7
1.2. – La legislazione europea………………………………………………......10
1.3. – Legislazione italiana……………………………………………………....16
Capitolo 2 - Richiesta d’asilo: la procedura italiana…………………….....21
2.1. - Domanda d’asilo in quattro tappe……………………………………......21
Capitolo 3 - Richiedenti asilo e rifugiati in Italia........................................29
3.1. – Domande di protezione internazionale: i numeri italiani......................29
3.2. – Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia...............................................32
3.3. – Richiedenti asilo a Torino e in Piemonte.............................................34
3.4. – Perché rifugiati?: breve inquadramento storico- politico......................38
Capitolo 4 – L’accoglienza in Italia..............................................................48
4.1. – SPRAR: per saperne di più..................................................................54
4.1.1. – Le strutture abitative destinate all’accoglienza.................................55
4.2. – I fondi destinati ai rifugiati....................................................................57
Capitolo 5 – Piemonte: accoglienza e soluzioni abitative.........................60
5.1. – Coordinamento Non Solo Asilo............................................................60
5.2. – Ricerca sull’abitare..............................................................................62
5.2.1. – I luoghi e gli intervistati.....................................................................63
5.2.2. – Tipologia di strutture abitative...........................................................65
5.2.3. – Cause di disagio e difficoltà..............................................................68
5.2.4. – Elementi positivi nelle esperienze vissute........................................70
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Capitolo 6 – Accoglienza e situazione abitativa a Torino.........................73
6.1. – Gli intervistati.......................................................................................73
6.2. – La richiesta di protezione internazionale.............................................75
6.3. – Vivere a Torino....................................................................................76
6.4. – Diritti negati..........................................................................................80
Conclusioni..................................................................................................83
Riferimenti bibliografici...............................................................................86
Allegato – Interviste......................................................................................89
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INDICE DELLE TABELLE
Tabella 1: Rifugiati in Italia (raffronto 2008-2011) ........................................ 31
Tabella 2: Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia ....................................... 32
Tabella 3: Istanze d'asilo presentate alla Commissione di Torino - suddivise
per nazionalità e per genere ........................................................................ 36
Tabella 4: Età e genere intervistati "Ricerca Abitare"................................... 64
Tabella 5: Paesi d'origine intervistati "Ricerca Abitare" ................................ 64
Tabella 6: Presenza sul territorio italiano degli intervistati "Ricerca Abitare" 65
Tabella 7: Strutture abitative abitate dagli intervistati "Ricerca Abitare ........ 66
Tabella 8: Paesi di provenienza "ricerca Torino".......................................... 74
Tabella 9: Anno di arrivo in Italia "ricerca Torino"......................................... 75
Tabella 10: Luoghi di accoglienza a Torino “ricerca Torino”......................... 77
Tabella 11: Situazione abitativa a Torino “ricerca Torino” ............................ 79
INDICE DEI GRAFICI
Grafico 1: Richieste d’asilo in Italia nel 2011 e 2012 da parte dei cinque
maggiori Paesi ............................................................................................. 33
Grafico 2: Domande d'asilo esaminate - suddivisione per nazionalità e per
genere.......................................................................................................... 35
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Introduzione
L’argomento di questa tesi e la scelta di svolgere una ricerca sui
rifugiati sono nati principalmente dalla volontà di comprendere chi sono le
persone che vengono etichettate come “rifugiati”, che cosa li differenzia dai
titolari di protezione sussidiaria o umanitaria e che cosa comporta aver
acquisito uno di questi riconoscimenti.
È risultato fondamentale per l’approfondimento dell’argomento la
partecipazione al Laboratorio Interdisciplinare sul Diritto d’Asilo, organizzato
dal Coordinamento Non Solo Asilo in collaborazione con l’Università degli
Studi di Torino, che si proponeva di approfondire la tematica della protezione
internazionale, rivolgendosi a studenti universitari e operatori del privato
sociale e delle associazioni operanti nel settore.
Grazie ai temi trattati durante i tre mesi di laboratorio è emersa con
chiarezza la vastità dell’argomento, la quantità di implicazioni giuridiche,
politiche, sociali e culturali che lo caratterizzano e la necessità di
circoscrivere la trattazione. Ho deciso pertanto di orientare la ricerca
sull’accoglienza e la situazione abitativa vissuta dai richiedenti asilo e dai
rifugiati, cogliendo l’opportunità di partecipare come tirocinante ad un
progetto di ricerca sull’abitare, svoltosi nei territori di Aqui Terme, Asti, Biella,
Ivrea e Torino. A questo ho inoltre deciso di affiancare un’indagine
personale, basata su un numero ristretto di testimonianze, volta ad indagare
la situazione abitativa di rifugiati o titolari di protezione sussidiaria o
umanitaria che vivono nella città di Torino.
La trattazione si sviluppa attraverso sei capitoli che tentano di dare un
inquadramento legislativo e storico-politico sull’argomento, per poi
focalizzare l’attenzione sui risultati prodotti dalla ricerca.
Il primo capitolo sintetizza i contenuti della Convenzione di Ginevra del
1951 e del Protocollo sullo status di rifugiato del 1967 che costituiscono le
basi normative per il riconoscimento della figura del rifugiato in ambito
internazionale. Segue poi un elenco delle direttive europee attraverso le quali
le norme internazionali ratificate dagli Stati europei trovano applicazione e
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che dovrebbero garantire una procedura comune in materia d’asilo e un
trattamento uniforme riservato ai titolari di protezione internazionale sul
territorio europeo. Infine sottolineando la mancanza di una legge nazionale
organica, vengono elencati i decreti legislativi, i provvedimenti e le leggi
italiane in materia di diritto d’asilo e rifugiati.
Il secondo capitolo enuncia le quattro fasi dell’iter che un richiedente
asilo in Italia deve affrontare per ottenere la protezione internazionale:
presentazione della domanda, foto segnalamento e compilazione del modello
C3, audizione presso la Commissione Territoriale di competenza e
acquisizione della decisione della Commissione.
A questi due capitoli esplicativi e più generici segue il terzo in cui si
elencano i dati relativi alle domande d’asilo presentate in Italia nel 2011/2012
e ai principali Paesi di provenienza dei richiedenti, facendo riferimento al
rapporto “Global Refugees Trends in Industrialized Countries” dell’UNHCR
(Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Analogamente, grazie alla
consultazione dei dati forniti dalla Prefettura e dalla Commissione Territoriale
di Torino relativi all’anno 2011/2012, viene riportato il numero di richieste e
indicate le provenienze dei richiedenti nella regione Piemonte. Il capitolo si
conclude con un breve inquadramento storico-politico dei Paesi che
emergono dai dati nazionali come le principali zone di provenienza dell’anno
2011/2012 (Tunisia, Pakistan, Nigeria, Afghanistan e Mali), nel tentativo di
comprendere quali sono le motivazioni che spingono un tale numero di
persone a fuggire.
Dal quarto capitolo si inizia a sviluppare l’effettiva trattazione del tema
della ricerca, fornendo una descrizione delle diverse tipologie di centri di
accoglienza e di centri di trattenimento, attraverso i quali è strutturato il
sistema di accoglienza per i richiedenti asilo in Italia: Centri di Primo
Soccorso e Accoglienza (CPSA ), Centri di Accoglienza (CDA), Centri di
Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), Centri di Identificazione ed
Espulsione (CIE) e Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati
(SPRAR). Viene in seguito approfondita la differenza tra prima accoglienza e
accoglienza integrata, che dovrebbe caratterizzare i progetti SPRAR e
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garantire ai beneficiari interventi finalizzati non solo a fornire vitto e alloggio
ma anche, e soprattutto, la realizzazione di attività di accompagnamento,
indirizzate alla conoscenza del territorio, all'effettivo accesso ai servizi e alla
costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Infine
viene sottolineato che per il finanziamento dei servizi di accoglienza e i
percorsi di integrazione di coloro che hanno ottenuto la protezione
internazionale in Italia esiste un Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi
dell’Asilo. Inoltre l’Italia, in quanto firmataria della Convenzione di Ginevra,
beneficia di un aiuto economico da parte dell’Unione Europea da destinare
alle politiche e al sistema di asilo: il Fondo Europeo per i Rifugiati.
Nel quinto capitolo si concretizza il tema della ricerca sull’accoglienza
e le situazioni abitative vissute dai rifugiati nella regione Piemonte. Il gruppo
di ricerca con cui ho svolto l’indagine era composto da due antropologhe e
due studentesse e ha effettuato 23 interviste non strutturate, sviluppatesi a
partire da una traccia, elastica e flessibile, adattata di volta in volta agli
interlocutori intervistati nei Comuni di Aqui Terme, Asti, Biella, Ivrea e
Torino. Dall’indagine, che è stata possibile grazie alla rete del
Coordinamento Non Solo Asilo, un’associazione di secondo livello che si
occupa di seconda accoglienza, è emersa un’estrema disparità di situazioni
vissute dagli intervistati. Inoltre si è cercato di fare emergere quali fossero gli
aspetti negativi e positivi della prima accoglienza e delle esperienze abitative
sperimentate in seguito all’ottenimento della protezione.
L’ultimo capitolo si sviluppa sulla base di dieci interviste effettuate a
rifugiati e titolari di protezione umanitaria che vivono attualmente nella città di
Torino. La traccia seguita con questi interlocutori era mirata a far emergere in
quali strutture avessero vissuto all’arrivo nella città di Torino e quali fossero
state le mancanze o le carenze nel sistema di accoglienza e nella procedura
di riconoscimento della protezione ottenuta. Infine l’attenzione era rivolta alla
situazione abitativa attuale.
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Capitolo 1
Diritto d’asilo: convenzioni, leggi e decreti
Per parlare di diritto d’asilo politico e di rifugiati è necessario fare
riferimento a leggi, norme e convenzioni che hanno il compito di definire chi
può beneficiare di tale diritto e di tutelare le persone che possono goderne.
Il diritto d’asilo garantisce protezione a soggetti i cui diritti sono già
stati compromessi o sono altamente a rischio e ha un suo fondamento
legislativo nel diritto internazionale. Il diritto internazionale trova poi
applicazione all’interno dell’Unione Europea e dei singoli Stati che ne fanno
parte. La UE ha creato una serie di norme specifiche in materia di diritto
d’asilo nel rispetto dell’adesione ai trattati internazionali. Inoltre ogni Stato
dell’Unione Europea aderente a tali norme, compreso quello Italiano, ha la
responsabilità di applicarle, inserendole nel proprio ordinamento legislativo.
1.1. Diritto internazionale
Il diritto internazionale, detto anche ius gentium, diritto delle genti, è
quella branca del diritto che regola la vita della comunità internazionale ed è
al di sopra degli Stati e dei loro ordinamenti interni. In merito alla protezione
dei diritti umani e dei rifugiati, è il primo strumento a cui gli Stati devono fare
riferimento e in base al quale devono uniformare la propria legislazione.
Infatti, la ratifica di un trattato internazionale, comporta l’adesione degli Stati
ratificanti ai valori proclamati dalla comunità internazionale e vincola alla
responsabilità dell’applicazione delle normative.
Il processo attraverso il quale ha preso forma la legislazione che riguarda il
diritto d’asilo e i rifugiati ha il suo fondamento nella Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, che fu approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite e che rappresenta il documento con cui si
stabiliscono universalmente i diritti che spettano all’essere umano. Afferma
che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della
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propria persona»1 e «di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle
persecuzioni»2 (www.serviziocentrale.it, La tutela dei richiedenti asilo –
Manuale giuridico per l'operatore).
In seguito risultò necessaria la creazione di un organismo
internazionale che si occupasse di rifugiati e nel dicembre del 1949 fu istituito
l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il cui statuto
venne approvato alla fine del 1950. Questo organismo si occupa di fornire
protezione internazionale ai rifugiati e di cercare soluzioni permanenti alle
loro problematiche, assistendo i governi nei rimpatri volontari o
nell’integrazione alle comunità nazionali.
A seguito di una conferenza speciale delle Nazione Unite che si svolse a
Ginevra il 28 luglio 1951 venne approvata la Convenzione sullo status dei
rifugiati, conosciuta come Convenzione di Ginevra, che aveva l’obiettivo di
realizzare una carta dei diritti che stabilisse i requisiti per il conferimento dello
status di rifugiato, le forme di protezione legale, di assistenza e i diritti sociali
di cui il rifugiato dovrebbe godere negli Stati firmatari, ed infine gli obblighi del
rifugiato nei confronti dello stato ospitante e le categorie di persone che non
possono accedere allo status di rifugiato (per esempio i criminali di guerra).
In base alla definizione contenuta nella Convenzione di Ginevra, il rifugiato è
colui che «per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel
giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la
sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le
sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza
e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto
Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di
domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato,
non vuole ritornarvi»3 (www.serviziocentrale.it, La tutela dei richiedenti asilo –
Manuale giuridico per l'operatore). Pertanto lo status di rifugiato viene
concesso a chi possiede i seguenti requisiti:
1 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 1948, art.3. 2 Idem, art.14 3 Unhcr, Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato 1951, art. 1°.
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1. un rifugiato è colui che è fuggito dal proprio paese, varcandone i
confini;
2. un rifugiato è colui che possiede «giustificato (o fondato) timore di
persecuzione» che lo riguarda personalmente e direttamente;
3. un rifugiato è colui che ha subito o teme di subire, una persecuzione
per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o di opinione pubblica. A questi si
aggiungono, motivi che riguardano l’identità di genere e l’orientamento
sessuale della persona4 (Rastello L., (2010), La frontiera addosso.
Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251)
I citati motivi di persecuzione dovevano riferirsi a situazioni e fatti
avvenuti esclusivamente prima del 1º gennaio 1951.
La Convenzione stabilì inoltre, il principio di non respingimento (non
refoulement) che determina l’impossibilità da parte degli Stati contraenti di
espellere o respingere un richiedente asilo verso le frontiere di Stati dove la
sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Infine venne prevista la
possibilità per gli stati ratificanti di depositare una dichiarazione specifica di
limitazione geografica e di optare per una protezione rivolta esclusivamente a
rifugiati di provenienza europea.
Il 31 gennaio 1967 a New York venne però ratificato il Protocollo sullo
status di rifugiato, con l’obiettivo di eliminare il limite temporale (fatti avvenuti
prima del 1º gennaio 1951) e le limitazioni geografiche contenute nella
Convenzione di Ginevra e garantire così il riconoscimento dello status di
rifugiato anche a nuove categorie di persone.
La Convenzione di Ginevra e il Protocollo per i rifugiati costituiscono le
basi normative per l’azione dell’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
4 Inizialmente questi motivi non erano elencati nella Convenzione di Ginevra 1951 ma l’UNHCR, nel 2002, ha pubblicato delle linee guida per la definizione di rifugiato, includendo fra i motivi di persecuzione la violenza sessuale, la tratta, la violenza domestica, la pianificazione familiare forzata, la mutilazione genitale femminile, i delitti d’onore, i matrimoni forzati, le punizioni inflitte a chi infrange le consuetudini sociali e le discriminazioni verso chi ha partner dello stesso sesso.
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rifugiati e 146 Stati, Italia compresa, aderirono ad uno o ad entrambi gli
strumenti normativi dell’ONU.
Inoltre la Convenzione venne riconosciuta come strumento basilare
dall’Organizzazione per l’unità africana (OUA) per disciplinare la questione
dei rifugiati in Africa e, nel 1969, venne inclusa nella Convenzione
dell’Organizzazione per l’unità africana con l’estensione della definizione di
rifugiato a coloro che abbandonano la propria residenza abituale a causa di
«aggressioni esterne, occupazione, dominio straniero o fatti che rechino un
grave turbamento all’ordine pubblico5» (Rastello L., (2010), La frontiera
addosso. Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251).
Un ulteriore ampliamento della definizione venne apportata a seguito
dell’incontro di un gruppo di rappresentanti dei governi, professori universitari
e giuristi centroamericani, con la Dichiarazione di Cartagena nel 1984,
includendo nella definizione di rifugiato coloro che fuggono «perché la loro
vita, la loro sicurezza e la loro libertà è minacciata da violenze generalizzate,
aggressione straniera, conflitto interno, massicce violazioni dei diritti umani o
altre gravi turbative dell’ordine pubblico6» Rastello L., (2010), La frontiera
addosso. Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251).
1.2. La legislazione europea
La Comunità Economica Europea, nata nel 1957, aveva come
principale obiettivo quello di creare un’unione economica tra gli stati aderenti
al trattato. Successivamente gli Stati della CEE lavorarono per l’attuazione
del libero movimento di beni, servizi, lavoratori e capitali e per lo sviluppo di
politiche congiunte in materia di lavoro, stato sociale, agricoltura, trasporti e
commercio estero. Tuttavia, in principio, non fu prevista una strategia
sovranazionale in materia di diritto d’asilo e ingresso nei paesi comunitari di
cittadini di Stati Terzi perché vennero ritenute discipline di competenza
statale. Solo nel 1999 venne inserito il titolo “Visti, asilo, immigrazione e altre
politiche connesse con la libera circolazione delle persone” nel Trattato di
5 UNHCR, Convenzione dell’Organizzazione per l’unità africana 1969, art.1.2. 6 UNHCR, Dichiarazione di Cartagena 1984, art.3.3.
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Amsterdam7, grazie al quale le politiche di immigrazione e di asilo trovarono
spazio in ambito comunitario, con il conseguente passaggio da oggetto di
cooperazione intergovernativa a competenza comunitaria sovranazionale.
Nell’ottobre del 1999 (15-16 ottobre) ci fu il Consiglio Straordinario di
Tampere, allo scopo di risolvere le difficoltà sorte in seguito al Trattato di
Amsterdam e di adoperarsi affinché la Convenzione di Ginevra venisse
rispettata dall’Unione Europea: «l’obiettivo è un’Unione Europea aperta,
sicura e pienamente impegnata a rispettare gli obblighi della Convenzione di
Ginevra relativa allo status dei rifugiati e di altri importanti strumenti
internazionali per i diritti dell’uomo, e capace di rispondere ai bisogni
umanitari con la solidarietà8»; venne stabilito che si sarebbe dovuto attuare
quanto disposto nel Trattato di Amsterdam e che, nel lungo termine, si
sarebbe dovuta realizzare una procedura comune in materia di asilo e creare
uno status uniforme per coloro che fossero riconosciuti come rifugiati.
A seguito di queste disposizioni, nel 1990 venne ratificata la
Convenzione di Dublino che stabilì quale Stato europeo fosse competente
all’esame di una domanda di asilo presentata da cittadini di paesi terzi
richiedenti ingresso in uno degli Stati membri della Comunità Europea. La
Convenzione venne poi sostituita dal Regolamento Dublino II (2003/343/CE)
per garantire non solo l’individuazione nel più breve tempo possibile dello
Stato competente all’esame della domanda del richiedente asilo, ma anche
che venisse rispettato il principio di non refoulement (non respingimento di un
richiedente asilo in un paese nel quale rischia di essere vittima di nuove
persecuzioni), venisse risolto il caso dell’asilo shopping che comportava la
non presa in carico della domanda da parte degli Stati, e il rinvio da uno
Stato all’altro del richiedente asilo, ed infine si risolvesse il caso delle
domande di asilo multiple cioè presentate in più Stati membri.
Il Regolamento Dublino II elenca sei criteri fondamentali per
l’individuazione dello Stato competente all’esame della domanda:
7 Trattato di Amsterdam firmato il 2 ottobre 1997 ma entrato in vigore il 1º maggio 1999. 8 Consiglio Europeo di Tampere 1999, Verso un’unione di libertà, sicurezza e giustizia: i capisaldi di Tampere, art.4.
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1. criteri relativi al principio dell’unità del nucleo familiare: se il richiedente
è un minore non accompagnato, è competente lo Stato in cui si trova
un suo familiare, purché sia nel migliore interesse del minore. In
mancanza di un familiare, è competente lo Stato in cui il minore ha
presentato domanda;
2. criteri relativi al rilascio di permessi di soggiorno o visti: se il
richiedente possiede titoli di soggiorno validi, lo Stato competente è
quello che ha rilasciato tali titoli;
3. criteri relativi all’ingresso o al soggiorno illegali in uno Stato membro:
a) se il richiedente ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato
membro, questo è competente all’esame della domanda entro dodici
mesi dalla data di attraversamento; b) se il richiedente ha soggiornato
per un periodo continuato di almeno cinque mesi in uno Stato membro
prima di presentare domanda di asilo, quest’ultimo è competente per
l’esame della domanda;
4. criteri relativi all’ingresso legale in uno Stato membro: se il richiedente
è un cittadino di un paese terzo per cui non è richiesto l’obbligo del
visto, l’esame della domanda compete allo Stato membro in cui
questo fa domanda d’asilo;
5. criteri relativi a domanda presentata in una zona internazionale di
transito di un aeroporto: lo Stato competente è quello che riceve la
domanda d’asilo in un aeroporto di sua competenza;
6. criterio detto generale: esso è applicabile quando nessuno Stato
membro può essere designato competente per la domanda di asilo
sulla base dei criteri elencati. In tali casi, è competente il primo Stato
membro nel quale la domanda è stata presentata.
A questi criteri è aggiunta la “clausola umanitaria”, la quale stabilisce
che un qualsiasi stato membro può, pur non essendo competente sulla base
dei criteri definiti dal Regolamento, accettare di esaminare una domanda di
asilo per ragioni umanitarie9.
9 Regolamento Dublino II 2003, http://europa.eu/
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In seguito alla Conferenza di Tampere venne anche emanata la
decisione 2000/596/CE con la quale venne istituito il Fondo Europeo per i
Rifugiati (FER) per il periodo 2001-2004, che garantiva l’equa ripartizione
delle risorse finalizzate all’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo, tra
gli Stati membri.
Il FER verrà successivamente rinnovato per i periodi 2005-2010 e 2008-2013
attraverso la Decisione 2004/94/CE e l’abrogazione della stessa tramite la
Decisione 2007/573/CE.
Nel 2000 venne anche emanato il Regolamento 2000/2725, con il
quale venne istituito l’Eurodac, un sistema informatico che garantisce la
determinazione dello stato competente all’analisi della domanda d’asilo; esso
utilizza un’unità centrale che dispone di una banca dati nella quale vengono
raccolte le impronte digitali dei richiedenti asilo che fanno la loro domanda in
uno degli Stati membri.
In seguito venne emessa una serie di direttive allo scopo di chiarire
alcuni aspetti del diritto d’asilo e garantire un trattamento uniforme ai rifugiati
all’interno degli Stati della Unione Europea:
• Direttiva 2003/9/CE: accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati
membri. Il fine principale di questa direttiva è quello di garantire al
richiedente asilo una qualità di vita dignitosa e condizioni di vita
omogenee all’interno degli Stati membri, favorendo l’unione del nucleo
familiare nel territorio.
Nello specifico, essa determina le condizioni generali di accoglienza,
permette alla Stato di limitare la libertà di spostamento del richiedente
asilo, di stabilire i tempi di accesso al mercato del lavoro e di tener
conto della specifica situazione di persone vulnerabili (minori non
accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori
singoli con figli minori, vittime di torture, stupri o altre forme gravi di
violenza psicologica, fisica o sessuale);
• Direttiva 2004/83/CE conosciuta come Direttiva qualifiche: stabilisce
due tipi di protezione internazionale: lo status di rifugiato e quello di
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protezione sussidiaria. In precedenza, quest’ultima non esisteva e
l’unica alternativa allo status di rifugiato era la possibilità di ottenere la
protezione umanitaria. La protezione sussidiaria viene concessa al
rifugiato quando è perseguitato per una condanna alla pena di morte,
per torture o trattamenti inumani o degradanti e punizioni o se si trova
in pericolo per una situazione generalizzata di violenza indiscriminata
in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Grazie a questa direttiva vennero anche inserite tra gli atti di
persecuzione, le azioni dirette specificatamente contro un sesso.
Attraverso il recepimento di questa direttiva gli Stati membri devono
garantire alcuni diritti:
1. diritto di non respingimento;
2. diritto del richiedente asilo di ricevere comunicazioni in lingue
comprensibili;
3. diritto all’ottenimento di un permesso di soggiorno;
4. diritto all’esercizio di un’attività autonoma e la possibilità di accedere ai
corsi di formazione professionale per gli adulti e all’istruzione per i
minori;
5. il diritto alle cure mediche e psicologiche e a qualsiasi altra forma di
assistenza per le categorie vulnerabili;
6. il diritto ad una sistemazione adeguata;
7. il diritto all’accesso a programmi mirati alla promozione
dell’integrazione all’interno della società o finalizzati a facilitare il
rientro volontario nel paese d’origine;
• Direttiva 2005/85/CE conosciuta come Direttiva procedure: ha il
compito di ridurre le disparità di trattamento nell’analisi delle richieste
d’asilo garantendo la qualità delle decisioni e fornisce delle
disposizioni a cui tutti gli Stati membri devono attenersi:
1. la domanda d’asilo non può essere respinta perché non è stata
presentata tempestivamente;
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2. le decisioni prese dagli Stati membri devono essere il risultato di un
esame individuale, obiettivo e imparziale;
3. i richiedenti asilo hanno diritto a rimanere sul territorio del paese in cui
hanno presentato domanda fino all’adozione della decisione finale da
parte dell’autorità responsabile;
4. i richiedenti asilo hanno diritto al ricorso effettivo e non possono
essere trattenuti per il solo motivo di aver fatto richiesta di asilo;
• Direttiva 2008/115/CE detta anche Direttiva rimpatri: stabilisce norme
comuni per il rimpatrio di cittadini provenienti da paesi terzi che si
trovano in situazione di soggiorno irregolare e che, pertanto, non
soddisfano le condizioni di ingresso, soggiorno o residenza in uno
Stato membro. La direttiva prevede due tappe nel processo di
rimpatrio: la prima è definita “periodo di partenza volontario”, ha una
durata compresa fra i sette e i trenta giorni e consiste nel fare richiesta
esplicita allo straniero di rimpatriare; la seconda è chiamata “decisione
di rimpatrio”, è di natura coercitiva, consiste nell’allontanamento dello
straniero dallo Stato membro da parte dell’autorità giudiziaria e si
attua in seguito al rifiuto da parte dello stesso, di partire
volontariamente. La Direttiva rimpatri prevede il trattenimento con
parametri comuni in tutti gli Stati e stabilisce il divieto di rientrare nel
territorio dell’Unione Europea per un periodo non superiore ai cinque
anni per coloro i quali non abbiano beneficiato del ritorno volontario o
non abbiano rispettato l’obbligo di rimpatrio. La direttiva evidenzia la
necessità di considerare l’interesse superiore del minore - che deve
essere ricondotto ad un membro della famiglia, ad un tutore designato
o presso strutture di accoglienza nel paese di ritorno -, la vita
familiare, le condizioni di salute delle persone coinvolte e il rispetto del
principio di non respingimento.
Infine, nel panorama della legislazione europea in materia di diritto
d’asilo e rifugiati, nel 2009 venne inserito nel Trattato di Lisbona il titolo
“Politiche relative ai controlli alle frontiere” che, nell’articolo 63, paragrafo 2 si
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occupa di chiarire che il Parlamento e il Consiglio europeo adottano un
sistema comune in materia di asilo, basato su dei criteri imprescindibili:
• uniformità dello status di asilo politico e di protezione sussidiaria;
• procedure comuni per la concessione e la revoca degli status;
• sistema comune di protezione degli sfollati;
• criteri e meccanismi per la determinazione dello Stato membro
competente per l’esame della domanda;
• norme riguardanti l’accoglienza;
• partenariato e cooperazione con gli Stati terzi con la finalità di gestire i
flussi di richiedenti asilo.
Inoltre, nel caso di afflussi improvvisi di cittadini provenienti da paesi
terzi, il paragrafo 3 dell’articolo 63 dello stesso Trattato prevede la possibilità
di adottare misure temporanee a vantaggio degli Stati in situazione di
emergenza.
1.3. Legislazione italiana
Come già precedentemente affermato, il diritto d’asilo è uno dei diritti
fondamentali dell’uomo, sancito dalle norme di diritto internazionale e
riconosciuto anche dallo Stato italiano che, con il comma terzo dell’articolo
10 della Costituzione afferma: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo
paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo
le condizioni stabilite dalla legge» (www.governo.it).
Inoltre l’Italia ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951
che definisce lo status di rifugiato, al successivo Protocollo del 31 gennaio
1967 e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, che determina lo
Stato membro dell’Unione Europea competente all’esame della domanda
d’asilo. Tuttavia, lo Stato italiano non ha una legge nazionale organica in
materia di asilo.
17
Il primo intervento in materia di immigrazione e rifugiati è
rappresentato dalla Legge Martelli, legge 39/90 (1990) che abolì la riserva
geografica che precedentemente circoscriveva il riconoscimento dello status
di rifugiato ai soli soggetti provenienti dall’Europa e introdusse una
programmazione degli ingressi in Italia per motivi di lavoro dei cittadini
extracomunitari.
Nel 1998 la Legge Turco-Napolitano, legge 40/98, introdusse ed
istituzionalizzò i CPTA, Centri di permanenza temporanea e accoglienza,
oggi chiamati CIE, Centri di identificazione ed espulsione, che dovevano
contenere tutti gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione e/o
respingimento. Inoltre la legge Turco-Napolitano incluse nell’ordinamento
italiano il permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilasciato nel caso in
cui ricorrano gravi motivi di carattere umanitario.
Nel 2002 la Legge Bossi-Fini, legge 189/02, entrata in vigore
pienamente nel 2005, introdusse una procedura di asilo oggi venuta meno
che prevedeva una procedura semplificata in aggiunta a quella ordinaria. La
procedura semplificata, veniva applicata in due casi: a) richiedente straniero
fermato in condizioni di soggiorno irregolare; b) richiedente straniero già
destinatario di un provvedimento di espulsione. In entrambi i casi era compito
del questore stabilire il luogo di trattenimento del richiedente.
Nonostante la Legge Bossi-Fini precisasse che lo straniero non
potesse essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato domanda d’asilo,
di fatto introduceva due forme di trattenimento: la prima obbligatoria, in base
a quanto stabilito dalla procedura semplificata, e la seconda facoltativa, nel
caso fosse risultato necessario verificare l’identità dello straniero richiedente.
Inoltre la legge Bossi-Fini istituì le Commissioni Territoriali e la Commissione
Nazionale, che garantiscono, rispettivamente, l’esame in modo decentrato
delle domande d’asilo e il coordinamento, la formazione e l’aggiornamento
delle stesse commissioni. Infine la legge istituì il Sistema di protezione per i
richiedenti asilo e i rifugiati (SPRAR), costituito dalla rete degli enti locali che
realizza progetti di accoglienza integrata.
18
In seguito alla Legge Bossi-Fini vennero emanati alcuni decreti
legislativi in materia di richiedenti asilo e rifugiati:
• D.Lgs. 85/03, Direttiva sui minori stranieri non accompagnati:
stabilisce che all’arrivo alla frontiera di un minore, che esprima la
volontà di richiedere lo status di rifugiato, egli venga accompagnato ed
affidato immediatamente alle strutture di protezione per i richiedenti
asilo e i rifugiati (SPRAR). Inoltre tutti i pubblici ufficiali e gli esercenti
dei pubblici servizi che vengono in contatto con i suddetti minori,
devono garantire loro tutte le informazioni sulla facoltà di richiedere il
diritto d’asilo, utilizzando modalità adeguate all’età del minore e
usufruendo dell’aiuto di mediatori culturali;
• D.Lgs. 140/05, in seguito alla ricezione della Direttiva comunitaria
2003/9/CE sull’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.
Grazie a questo decreto vennero stabilite le norme sull’accoglienza
degli stranieri richiedenti lo status di rifugiato nel territorio italiano, in
linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati.
• D.Lgs. 251/07, emanato in seguito alla ricezione delle Direttiva
comunitaria 2004/83/CE (Direttiva qualifiche), introduce la categoria di
protezione sussidiaria, che viene attribuita dalla Commissione
territoriale al richiedente qualora non sussistano i requisiti per il
riconoscimento della qualifica di rifugiato; essa è caratterizzata
dall’essere un vero e proprio status come la qualifica di rifugiato. Il
decreto introduce inoltre la tutela del nucleo familiare per entrambi i
tipi di protezione: i beneficiari di protezione potranno essere ricongiunti
o, se si trovano in Italia, ottenere un permesso per motivi di famiglia;
• D.Lgs. 25/2008, a seguito della Direttiva comunitaria 2005/85/CE
(Direttiva procedure), stabilì l’ampliamento del numero delle
Commissioni territoriali a dieci che vennero rinominate Commissioni
territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e la
soppressione dei Centri di identificazione (Cdi) che vennero sostituiti
dai Centri accoglienza richiedenti asilo (Cara). Il D.Lgs. 25/2008 ha
19
successivamente subito alcune modifiche e integrazioni, a seguito
dell’entrata in vigore, nel novembre 2008, del D.Lgs 159/08, che fa
parte del “pacchetto sicurezza” (una serie di misure legislative in
materia di sicurezza che presenta alcune disposizioni volte a
contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di
ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio) e
che introduce:
1. restrizioni alla libertà di circolazione dei richiedenti asilo nel caso di
ricorso contro le decisioni di diniego di domande considerate
manifestatamente infondate;
2. estensione del trattenimento obbligatorio dei richiedenti asilo che sono
oggetto di un provvedimento di respingimento al momento del loro
arrivo in Italia;
3. dimezzamento dei termini di ricorso per i richiedenti asilo trattenuti;
• D.L. 11/09 reca misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, di
contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori.
L’articolo 5 stabilisce la possibilità di prolungare, fino ad un massimo
di sei mesi i tempi di trattenimento dello straniero nei centri di
identificazione ed espulsione, lasciando in ogni caso libertà al
questore di eseguire l’espulsione e il respingimento anche prima della
scadenza del termine.
Infine gli ultimi provvedimenti in materia di rifugiati risalgono al 2011:
infatti, in seguito alla crisi che ha attraversato i Paesi del Nord Africa e
all’ulteriore afflusso di persone sulle coste italiane, è stato dichiarato lo stato
di emergenza umanitaria in tutto il territorio nazionale fino al 31 dicembre
2011 (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 febbraio 2011), poi
prorogato al 31 dicembre 2012 (D.P.C.M. 6 ottobre 2011). Tale dichiarazione
ha consentito l’adozione dell’ordinanza di protezione civile del Presidente del
consiglio del 18 febbraio 2011, n. 3924, che ha adottato i primi provvedimenti
di urgenza tra cui la nomina del Capo della protezione civile quale
20
Commissario delegato per la realizzazione degli interventi necessari in
materia.
Nel marzo 2011, successivamente all’intervento militare in Libia, il
Governo, le Regioni e gli enti locali hanno sancito un accordo che prevedeva
un piano di accoglienza straordinario per la sistemazione di circa 50.000
profughi nel territorio italiano.
Il 5 aprile 2011 è stata sottoscritta a Tunisi un’ intesa tra Italia e
Tunisia che impegna le autorità del Paese nordafricano a rafforzare i controlli
per evitare nuove partenze e ad accettare il rimpatrio diretto per i nuovi arrivi
in Italia. Ai cittadini provenienti dei Paesi nordafricani sbarcati in Italia è stato
concesso un permesso di soggiorno temporaneo per protezione umanitaria,
per consentire la loro libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen
(D.P.C.M. 5 aprile 2011). La durata del permesso di soggiorno, inizialmente
fissata a sei mesi, è stata poi prorogata di altri sei mesi dal D.P.C.M. 6
ottobre 2011 e di ulteriori 6 mesi dal D.P.C.M. 15 maggio 2012.
Il 31 dicembre 2012 è stata dichiarata la cessazione dello stato di
emergenza e il rientro nella gestione ordinaria da parte del Ministero
dell’interno e delle altre amministrazioni competenti (Ordinanza del Capo
Dipartimento della protezione civile 28 dicembre 2012, n. 33). Questo ha
comportato l’adozione da parte dei Prefetti di percorsi di uscita dei profughi
dalle strutture di accoglienza che si è tradotto in ulteriori sessanta giorni di
regime ordinario di accoglienza, usufruendo delle risorse rimanenti e
successiva corresponsione di 500 Euro a persona quale misura di uscita.
Con il D.P.C.M. del 28 febbraio 2013 è stata disciplinata la cessazione
delle misure umanitarie di protezione temporanea dei rifugiati, prevedendo
che essi possano presentare, entro il 31 marzo 2013, domanda di rimpatrio
assistito nel Paese di provenienza o di origine, oppure possano presentare
domanda di conversione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari in
permessi per lavoro, famiglia, studio e formazione professionale. In
mancanza di una di queste due opzioni si prevede l'espulsione.
21
Capitolo 2
Richiesta d’asilo: la procedura italiana
Come precedentemente affermato, l’Italia rientra tra gli Stati firmatari
della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e del successivo
Protocollo e, pertanto, garantisce la protezione internazionale, nonostante
non possieda ancora una legge organica in materia di diritto d’asilo. L’iter per
la richiesta d’asilo consta di diverse fasi che verranno successivamente
illustrate e comporta il coinvolgimento di molteplici enti e organismi nazionali.
È necessario precisare che, a causa della mancanza di una normativa unica,
i passaggi elencati di seguito possono variare a seconda della Questura e
del luogo in cui si presenta la propria domanda.
2.1. Domanda d’asilo in quattro tappe.
Il percorso che un richiedente asilo deve affrontare consiste di quattro
fasi:
1. Domanda d’asilo: è personale e il richiedente deve presentarla presso
la polizia di frontiera al momento di arrivo sul suolo italiano o presso
una Questura, all’ufficio immigrazione, qualora si trovasse già in Italia.
La Questura che prende in carico la domanda ha la responsabilità di
seguire il richiedente fino all’acquisizione della decisione, garantendo
il collegamento di quest’ultimo con la Commissione territoriale. Inoltre
deve informare il richiedente sui suoi diritti e doveri e fissare gli
22
appuntamenti necessari affinché egli concluda l’iter di domanda in
Italia;
2. Fotosegnalamento e compilazione del modello C3: la seconda fase
del percorso consiste nella presa delle impronte digitali e delle
fotografie segnaletiche. Successivamente il richiedente deve
compilare il modello C3, che consiste in un foglio notizie in cui egli
deve specificare i suoi dati personali (nome, cognome, nazionalità,
data di nascita), i dati personali dei suoi familiari, il viaggio dal paese
di origine fino all’Italia e infine il racconto sintetico delle motivazioni
che l’hanno spinto a lasciare il suo paese. Le dichiarazioni possono
essere fatte nella lingua madre del richiedente o in qualsiasi altra
lingua che gli permetta la piena espressione.
In questa fase la Questura ritira tutti i documenti originali in possesso
del richiedente (carta d’identità, passaporto, lasciapassare, visti,
certificati, tessere di partito) lasciandogli solo una copia, col timbro
“verbale di consegna”. La Questura redige un verbale in seguito alle
dichiarazioni del modello C3, vi allega i documenti e questa
documentazione costituisce il dossier personale del richiedente che
egli stesso deve firmare per l’approvazione e verrà inviato alla
Commissione territoriale di competenza, qualora l’Italia risultasse il
Paese responsabile all’analisi della domanda.
La competenza di uno Stato è verificata dall’Unità Dublino, un
ufficio appositamente creato presso il Dipartimento per le libertà civili e
l’immigrazione del Ministero dell’Interno, che decide se la presa in
carico della domanda spetta all’Italia, in base alle informazioni sul
richiedente di cui dispone, fornitegli dalla polizia. In seguito all’invio
della domanda d’asilo al ministero dell’Interno, la Questura deve
rilasciare al richiedente un permesso di soggiorno che può essere:
a) permesso di soggiorno, motivo: Convenzione di Dublino che ha
validità un mese ed è rinnovabile fino a quando le autorità italiane non
abbiano verificato che l’Italia è il Paese responsabile all’analisi della
domanda;
23
b) permesso di soggiorno, motivo: Richiesta d’asilo che ha validità tre
mesi ed è rinnovabile fino all’audizione con la Commissione
territoriale.
Infine la Questura deve valutare se il neorichiedente rientra in
uno dei casi di accoglienza o trattenimento nei CARA (Centro di
accoglienza per richiedenti asilo) o nei CIE (Centri di identificazione ed
espulsione) ed è responsabile della segnalazione alla Prefettura
dell’eventuale necessità di reperimento di un posto Sprar (Sistema di
protezione richiedenti asilo e rifugiati). A causa dell’insufficienza dei
posti SPRAR, l’ex D.Lgs. 140/05 ha stabilito che è possibile inviare i
richiedenti asilo, in via temporanea e/o eccezionale, presso i centri per
stranieri. Inoltre essi possono essere inviati presso altri circuiti di
accoglienza non specifici per i richiedenti asilo o, in mancanza di
inserimento del richiedente in un progetto, dovrebbe essergli
corrisposta una somma di denaro giornaliera10;
3. Audizione presso la Commissione territoriale di competenza: questa è
un organismo nominato con decreto del presidente del Consiglio dei
ministri su proposta del ministro dell’Interno e si occupa di esaminare
e valutare le domande d’asilo presentate in territorio italiano.
Inizialmente, esisteva una Commissione unica con sede a Roma ma
dal 2008 il numero delle Commissioni è stato ampliato a dieci per
ridurre i tempi di esame delle domande. Le Commissioni si trovano a
Gorizia (competente delle domande presentate nelle regioni Friuli-
Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige), Milano (competente
delle domande presentate in Lombardia) Roma (competente delle
domande presentate in Lazio, Abruzzo, Sardegna, Marche, Umbria e
Toscana), Foggia (per l’analisi delle domande presentate nelle
provincie di Foggia e Barletta-Andria-Trani), Siracusa (per le domande
presentate in provincia di Siracusa, Ragusa, Caltanissetta e Catania),
Crotone (competente per le domande presentate nelle regioni
Calabria e Basilicata), Trapani (competente per le domande
10
Attualmente, in Italia questa non è una cosa che avviene nella pratica.
24
presentate nelle provincie di Agrigento, Trapani, Messina, Enna e
Palermo) , Bari (per le domande presentate nelle provincie di Bari,
Brindisi, Lecce e Taranto) Caserta (per le domande presentate nelle
regioni Campania e Molise) e Torino (competente per le domande
presentate nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria ed Emilia
Romagna11).
Ogni Commissione Territoriale è composta da quattro membri,
la cui carica ha durata triennale ed è rinnovabile:
• un funzionario prefettizio, con funzioni di presidente;
• un funzionario delle polizia di stato;
• un rappresentante di un ente territoriale (Comune, Provincia, Regione
facente capo alla sede della Commissione territoriale);
• un rappresentante dell’ UNHCR.
Il richiedente asilo deve essere convocato ad udienza, tramite
lettera di convocazione, presso la Commissione territoriale di
competenza, entro trenta giorni dalla ricezione della domanda d’asilo.
L’audizione consiste in un colloquio personale con i quattro membri della
Commissione che si struttura attraverso una serie di domande (le
medesime del modello C3), volte ad approfondire le ragioni che hanno
spinto il soggetto a lasciare il paese d’origine e i motivi per cui non è più
possibile farvi ritorno. Ci sono situazioni particolari previste dalla legge in
cui, è ammessa la presenza di terze persone come l’avvocato, il
personale di sostegno nel caso il richiedente sia portatore di particolari
esigenze12 o un genitore oppure, in loro assenza, il tutore nel caso di
minori. È inoltre possibile sostenere l’audizione con un solo membro delle
Commissione, dello stesso sesso del richiedente e infine, è prevista la
11 Dall’agosto 2010 è stata istituita una Sezione distaccata a Bologna con competenza sull’Emilia Romagna e sulla città di Prato. 12 Rientrano nei soggetti portatori di particolari esigenze i casi di vulnerabilità. Il D.Lgs. 140/5 definisce come vulnerabili i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, persone per le quali si è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza fisica, psicologica o sessuale.
25
presenza di un mediatore linguistico per permettere al richiedente di
esprimersi nella propria lingua madre.
La Commissione ha inoltre, la facoltà di:
• concedere l’asilo evitando che il richiedente compaia davanti alla
Commissione per l’audizione nel caso in cui ritenga la domanda
palesemente fondata o quando la situazione del richiedente è
particolarmente delicata per motivi di vulnerabilità. Inoltre, l’esame
prioritario è concesso anche ai richiedenti che sono trattenuti nei CIE
e sono sottoposti ad un provvedimento di espulsione;
• dichiarare inammissibile una domanda qualora si tratti di un rifugiato
riconosciuto o di un caso di diniego che non ha prodotto nuova
documentazione o su cui sussistano fatti innovativi;
• sospendere e rinviare un’audizione nel caso in cui il richiedente non
sia in grado di sostenere il colloquio, ci siano problemi legati al
reperimento della documentazione o sussistano problemi di
comunicazione con l’interprete.
Infine la Commissione territoriale deve:
• non far trapelare le dichiarazioni rilasciate dai richiedenti nelle
audizioni perché strettamente personali e non divulgabili;
• esaminare ogni singolo caso in relazione alla situazione del paese di
origine del richiedente asilo e, se necessario, dei paesi in cui egli è
transitato, alla luce di notizie precise ed aggiornate13;
• consegnare al richiedente, al termine dell’audizione, una copia del
verbale da sottoporre alla sua firma e conseguente accettazione;
• decidere in merito alla domanda d’asilo entro i successivi tre giorni
dall’audizione e informare immediatamente la Questura che ne darà
notifica al richiedente;
4. L’acquisizione della decisione della Commissione territoriale: la
Questura contatta il richiedente e fissa un appuntamento per la
13 Le informazioni dei paesi di provenienza sono reperite dalla Commissione territoriale o elaborate sulla base dei dati forniti dall’UNHCR o dal Ministero degli Interni.
26
consegna del verdetto della Commissione territoriale. Le decisioni che
la Commissione territoriale può prendere sono molteplici:
• riconoscere e concedere lo status di rifugiato politico e rilasciare un
permesso di soggiorno che ha validità cinque anni ed è sempre
rinnovabile;
• riconoscere e concedere la protezione sussidiaria nel caso in cui
ritenga che esista un rischio effettivo di pericolo, nel caso di ritorno nel
paese di origine del rifugiato e conseguente rilascio di un permesso
che ha validità tre anni ed è rinnovabile;
• non riconoscere lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria ma,
ritenendo che esistano gravi problemi umanitari, raccomandare alla
Questura il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari
che ha validità un anno;
• non riconoscere lo status di rifugiato e rigettare la domanda: diniego;
• rigettare la domanda per manifesta infondatezza quando si ritenga
palese l’insussistenza di ogni presupposto per il riconoscimento dello
status di rifugiato ovvero, si ritenga che la domanda sia stata
presentata con il solo obiettivo di ritardare o impedire un
provvedimento di espulsione o respingimento;
La decisione della Commissione territoriale viene comunicata per
iscritto entro i tre giorni feriali successivi alla data dell’udienza e, in caso di
diniego, contiene la dicitura “nota” in cui vengono riportati i mezzi di
impugnazione plausibili.
Dal 2008 l’unico mezzo di impugnazione della decisione da parte del
richiedente è il ricorso, che deve essere presentato al Tribunale ordinario
competente per il territorio in cui ha sede la Commissione territoriale o, per i
casi CARA e CIE, presso il Tribunale ordinario nel distretto di Corte d’Appello
dove si trova il centro. Il ricorso va presentato entro trenta giorni dalla data di
comunicazione della decisione della Commissione territoriale o entro quindici
giorni se il richiedente è ospite di un CARA o di un CIE.
Il richiedente ha la possibilità di presentare ricorso in tre casi:
27
• contro la decisione della Commissione territoriale, qualora gli sia stata
riconosciuta unicamente la protezione sussidiaria e gli sia stato negato
lo status di rifugiato;
• contro la decisione della Commissione Nazionale, nel caso di revoca o
cessazione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria;
• contro la decisione di diniego da parte della Commissione territoriale,
qualora il richiedente ritenga che non siano stati valutati correttamente
tutti gli elementi presentati.
In caso di ricorso è necessario che il richiedente sia assistito da un
avvocato e, se non ha la possibilità di pagarlo personalmente, può richiedere
un’assistenza legale gratuita (gratuito patrocinio a spese dello Stato). Nel
caso in cui anche il Tribunale neghi la concessione della protezione
internazionale, il richiedente può fare reclamo alla Corte d’Appello e, contro
la sentenza di quest’ultima, ricorrere alla Cassazione.
L’alternativa al ricorso, nel caso in cui il richiedente abbia ricevuto un
diniego, è il rimpatrio volontario e assistito che dovrebbe essere garantito dal
PNA (Programma Nazionale Asilo); il quale dovrebbe supportare il
richiedente nel ritorno al proprio Paese garantendo un servizio di
orientamento, l’assistenza per l’ottenimento di documenti di viaggio da parte
delle autorità consolari preposte, l’organizzazione e la copertura delle spese
di viaggio fino a destinazione ed infine, un sostegno economico per la prima
sistemazione e il reinserimento nel tessuto sociale di destinazione.
Nel caso in cui la Commissione territoriale accolga la richiesta d’asilo
e riconosca la protezione internazionale, viene rilasciato un provvedimento
comprovante il riconoscimento e il titolare di protezione può ritirare presso la
Questura il permesso di soggiorno. Tutti i permessi di soggiorno (rifugio
politico, protezione sussidiaria e protezione umanitaria) sono convertibili alla
scadenza in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Lo status di rifugiato comporta in Italia il diritto di ottenere lo stesso
trattamento e uno status giuridico uguale a quello di cui godono i cittadini
italiani. Inoltre il rifugiato ha una serie di diritti fra cui l’accesso alla
28
legislazione del lavoro, il diritto al ricongiungimento familiare senza il
soddisfacimento delle disponibilità di alloggio e reddito previste per gli
stranieri, l’assistenza sociale e sanitaria con conseguente iscrizione
obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale, un documento di viaggio e la
possibilità di circolare nel territorio dell’Unione Europea (Regno Unito e
Danimarca escluse), l’istruzione pubblica, la cittadinanza italiana dopo cinque
anni, la possibilità di contrarre matrimonio, partecipare all’assegnazione di
alloggi pubblici e ottenere la patente di guida.
Il titolare di protezione sussidiaria può accedere al lavoro a condizione
che il contratto non superi la durata del permesso di soggiorno, ha diritto al
ricongiungimento familiare secondo i limiti di legge, all’assistenza
sociosanitaria, alla partecipazione degli alloggi pubblici e ad avere un
documento di viaggio nel caso in cui non possieda un passaporto. Infine, il
titolare di protezione umanitaria può accedere al lavoro con un contratto che
non superi la durata del permesso di soggiorno, ha diritto all’assistenza
sanitaria e ad avere un documento di viaggio nel caso in cui non disponga di
passaporto.
Per poter godere dei diritti sopra elencati, come la possibilità di
contrarre matrimonio, l’ottenimento della patente di guida o l’inserimento
nelle graduatorie degli alloggi pubblici, i titolari di protezione internazionale
devono essere in possesso della residenza italiana ma spesso faticano a
vedersela riconosciuta da parte dei Comuni, con conseguenti difficoltà nella
conquista dei propri diritti.
29
Capitolo 3
Richiedenti asilo e rifugiati in Italia
Risulta fondamentale per comprendere maggiormente la materia di cui
si sta trattando, fornire alcuni dati statistici che illustrino il numero di richieste
d’asilo presentate in Italia, gli esiti che queste hanno ottenuto e i principali
paesi di provenienza delle persone che richiedono protezione. Inevitabile in
questa analisi è il riferimento al rapporto statistico dell’UNHCR; si tratta,
come segnalato in precedenza, dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i
Rifugiati che si occupa anche di redigere annualmente il rapporto “Global
Refugees Trends in Industrialized countries” sui flussi di persone richiedenti
protezione in 55 paesi definiti industrializzati, tra cui figura anche l’Italia, che
mensilmente forniscono i dati riguardanti le richieste d’asilo ricevute.
Molto utile è inoltre il “Rapporto annuale del Sistema di Protezione per
Richiedenti Asilo e Rifugiati”, che si concentra sulla situazione italiana e,
grazie al quale, si ottiene anche un’anticipazione sui dati riguardanti il 2012,
ancora non disponibili dall’UNHCR.
Risultano di poco superiori a 8.000 le domande di asilo presentate in
Italia nei primi sei mesi del 2012 e circa 16.000 sono le richieste di
protezione esaminate dalle Commissioni territoriali nel medesimo periodo.
3.1. Domande di protezione internazionale: i numeri italiani
Di seguito sono elencati i dati relativi alle richieste di protezione
internazionale presentate in Italia negli ultimi quattro anni, dal 2008 al 2011,
in seguito alla consultazione del rapporto annuale dell’UNHCR e del rapporto
annuale SPRAR.
30
Come è possibile osservare nella Tabella 1, nel 2011 in Italia sono
state presentate 37.350 domande di protezione internazionale, il 208,1% in
più rispetto al 2010 (12.121). L’aumento delle domande è attribuito in
particolare a quella che è stata comunemente definita “emergenza Nord
Africa”, con grandi flussi migratori seguiti ai moti di indipendenza nati
all’interno dei movimenti della Primavera Araba che hanno coinvolto
principalmente Tunisia, Algeria, Egitto, Libia ma anche Siria, Bahrein,
Yemen, Giordania e Gibuti.
Nonostante le richieste avanzate nel 2011 in Italia siano nettamente
superiori al 2010, risultano inferiori o consimili a quelle presentate in alcuni
paesi europei come Francia (56.300), Germania (53.300), Belgio (31.900),
Regno Unito (26.400) 14 e pertanto non così atipiche.
Le istanze complessivamente esaminate dalle Commissioni Territoriali
italiane nel 2011 sono state 25.626 e al 40,1 % dei richiedenti è stata
riconosciuta una forma di protezione internazionale: all’8% lo status di
rifugiato; al 10% quello di protezione sussidiaria e al 22,1% la protezione
umanitaria. Nel complesso le decisioni positive prese nel 2011, che
corrispondono al 40,14%, risultano inferiori ai dinieghi, che si aggirano
intorno al 43,46%. Inoltre è possibile aggiungere che tra il 2008 e il 2011 si è
registrato un incremento delle domande di asilo pari al 17,7%. Ma se
consideriamo le richieste presentate nel 2009 e nel 2010, si nota un netto
calo delle domande in questi due anni: rispettivamente 19.090 nel primo e
12.121 nel secondo. Tale andamento è imputabile, in particolar modo,
all’entrata in vigore dell’accordo Italia–Libia, il quale impegnava la Libia a
contrastare l’immigrazione clandestina verso le coste italiane.
Infine, confrontando i dati dei quattro anni indicati nella tabella 1, i
dinieghi variano dal 33,45% del 2010 al 44,57% del 2009, mentre le decisioni
positive variano dal 40,09% del 2009 al 54,26% del 2008.
14 Richiedenti asilo in Europa, fonte Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/
31
Tabella 1: Rifugiati in Italia (raffronto 2008-2011)
2011
2010
2009
2008
DOMANDE
D’ASILO
PRESENTATE
37.350
12.121
19.090
31.723
DOMANDE
D’ASILO
ESAMINATE
25.626
14.042
25.113
23.175
DINIEGO 11.131
(43.46%)
4.698
(33.45%)
11.193
(44.57%)
9.219
(39,77%)
DECISIONI
POSITIVE
10.288
(40.14%)
7.558
(53.82%)
10.070
(40.09%)
12.576
(54,26%)
STATUS DI
RIFUGIATO
2.057
(8.02%)
2.094
(14.91%)
2.328
(9.27%)
2.009
(8.66%)
PROTEZIONE
SUSSIDIARIA
2.569
(10.02%)
1.789
(12.74%)
5.331
(21.22%)
6.946
(29.97%)
32
PROTEZIONE
UMANITARIA
5.662
(22.06%)
3.675
(26.17%)
2.411
(9.60%)
3.621
(15.62%)
ALTRO ESITO
E
IRREPERIBILI
4.207
(16.41%)
1.786
(12.71%)
3.850
(15.33%)
1.380
(5.95%)
3.2. Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia.
Nella tabella 2 sono forniti i dati relativi ai paesi di provenienza dei
richiedenti protezione in Italia, relativi agli ultimi anni, dal 2008 al 2011,
mentre quelli del 2012 si riferiscono solo ai primi sei mesi dell’anno (gennaio-
giugno).
Tabella 2: Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia15
2012 2011 2010 2009 2008
PRIMO
PAESE
D’ORIGIN
E
Pakistan
2.366
Nigeria
6.210
Ex Jugoslavia
2.249
(18.55%)
Nigeria 4.274
(22.38%)
Nigeria 6.142
(19.36%)
SECOND
O PAESE
D’ORIGIN
E
Nigeria
1.513
Tunisia 4.560
Nigeria 1.632
(13.46%)
Somalia 1.617
(8.47%)
Somalia 4.960
(15.63%)
TERZO
PAESE
Afghanista
n 1.364
Ghana 3.130
Pakistan 1.115
(9.19%)
Pakistan 1.475
(7.72%)
Eritrea 3.085
(9.72%) QUARTO Tunisia Mali Turchia Banglades Ghana
15 Fonti: Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/ ; Commissione Nazionale per il diritto d’asilo: http://www.interno.gov.it/; UNHCR: http://www.unhcr.it/
33
PAESE 852 2.582 1.020 (8.41%)
h 1.403
(7.34%)
1.909 (6.01%)
QUINTO
PAESE
Ghana
803
Pakista
n
2.058
Afghanistan
999 (8.24%)
Eritrea 1.109
(5.80%)
Afghanistan
1.840 (5.80%)
Confrontando i dati si nota che i primi cinque paesi di origine dei
cittadini stranieri che hanno presentato le domande di asilo in Italia
appartengono a due continenti: africano e asiatico. L’Africa è il territorio da
cui, tra il 2008 e il 2011, è pervenuto il maggior numero di domande di asilo,
mentre l’Asia si colloca nella seconda fascia. Valori minori sono quelli
contenuti nella terza fascia, riconducibili alle richieste di asilo presentate da
cittadini provenienti dall’Est Europa e Sud America.
Come precedentemente affermato, tra il 1° gennaio e il 30 giugno
2012 le domande di asilo presentate in Italia sono state di poco superiori alle
ottomila, un numero nettamente inferiore, seppur riferito ai soli primi sei mesi
dell’anno, alle domande presentate nel 2011, anno caratterizzato da elevati
flussi migratori.
Come si può osservare nel Grafico 1, mentre nel 2011 sono stati i
cittadini nigeriani ad aver presentato il maggior numero di domande (6.210),
a cui seguivano i tunisini (4.560) e i ghanesi (3.130), nei primi sei mesi del
2012 la Nigeria rappresenta il secondo paese di provenienza per numero di
domande presentate, e sono stati i cittadini pakistani (che nel 2011 erano il
quinto paese di provenienza) a richiedere maggiore protezione. Il terzo
paese di provenienza nel 2012 è l’Afghanistan, seguito da Tunisia e Ghana
che nell’anno precedente rappresentavano rispettivamente il secondo e il
terzo paese per numero di richieste.
Grafico 1: Richieste d’asilo in Italia nel 2011 e 2012 da parte dei cinque maggiori Paesi
34
3.3. Richiedenti asilo a Torino e in Piemonte.
Per focalizzare l’attenzione sull’accoglienza e le situazione abitative di
cui godono i richiedenti asilo e rifugiati, si è deciso di concentrare l’indagine
sulla regione Piemonte e in particolare sulla città di Torino per entrare
realmente nel merito della questione. Pertanto, di seguito vengono forniti i
dati relativi al numero di persone che hanno fatto richiesta d’asilo in
Piemonte nell’anno 2011 e ai loro Paesi di provenienza, basandosi sui dati
statistici forniti dalla Prefettura di Torino che fanno riferimento a quanto
riportato dalla Commissione Territoriale di Torino, competente per le
domande presentate nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria ed Emilia
Romagna16.
Per una maggiore comprensione dei flussi che riguardano il 2011 e
l’anno successivo, il 2012, va ricordato che a seguito dell’Ordinanza del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo
stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale per l’eccezionale
afflusso di cittadini provenienti dai Paesi del Nord Africa, situazione resa
ancora più complessa dal conflitto in corso nel territorio libico e
dall’evoluzione degli assetti politico-sociali nei paesi della fascia del Maghreb
e in Egitto. La diretta conseguenza della citata ordinanza è stata la
16 Dall’agosto 2010 è stata istituita una Sezione distaccata a Bologna con competenza sull’Emilia Romagna e sulla città di Prato.
35
realizzazione di un Piano di Accoglienza per rispondere operativamente
all’emergenza umanitaria, assicurando la prima accoglienza e garantendo
l’equa distribuzione sul territorio nazionale dei profughi e dei migranti arrivati
in Italia dai Paesi del Nord Africa, i quali sono stati destinati alle diverse
regioni, con la conseguente assegnazione al Piemonte di 1.909 persone:
sono però state realmente accolte 1699 persone. Di queste, tra coloro che
erano domiciliati nelle strutture della provincia di Torino, hanno presentato
richiesta di protezione internazionale solo 193, provenienti dai Paesi indicati
di seguito, nel Grafico 2.
Come si può osservare, i principali Paesi di provenienza per numero di
richieste sono Costa d’Avorio, Nigeria, Mali, Bangladesh, Ghana e Somalia.
Qui compare anche la distinzione di genere, dalla quale si può evincere che i
richiedenti sono prevalentemente uomini; infatti, solo nel caso di tre Paesi
(Gambia, Ghana e Nigeria), si registrano domande da parte di donne.
Grafico 2: Domande d'asilo esaminate - suddivisione per nazionalità e per genere
36
Ai dati riguardanti la provincia di Torino si possono aggiungere i
restanti richiedenti asilo domiciliati nel territorio regionale le cui provenienze
non si discostano dai dati provinciali, in quanto le nazionalità sono le stesse,
con aggiunta di tre cittadini algerini e del Ciad. Se, al contrario, si fa
riferimento alle richieste di protezione internazionale non legate
all’Emergenza Nord Africa, esaminate dalla stessa Commissione di Torino
nel corso del 2011, esse risultano essere 491 e, come si può notare nella
sottostante Tabella 3, esiste una maggiore varietà di nazionalità dei
richiedenti asilo. Si vede inoltre che le istanze sono ulteriormente suddivise
per genere, appare nuovamente evidente una preponderanza di domande
maschili, che per alcuni Paesi come per esempio Bangladesh, Afghanistan,
Pakistan, Algeria ed Egitto, rappresenta la totalità di richieste presentate.
I primi cinque Paesi di origine per numero di richieste d’asilo
presentate risultano essere: Nigeria, con un totale di 233 domande, Tunisia
62, Turchia 39, Bangladesh 19 e infine Iran, con 14 richieste di protezione.
Tabella 3: Istanze d'asilo presentate alla Commissione di Torino - suddivise per nazionalità e per genere
NAZIONE TOTALE MASCHI FEMMINE
Nigeria 233 63 170
Tunisia 62 55 7
Turchia 39 37 2
Bangladesh 19 19 0
Iran 14 10 4
Afghanistan 12 12 0
Costa d’Avorio 9 7 2
37
Pakistan 9 9 0
Senegal 8 7 1
Libia 7 5 2
Rep.Dem. del
Congo
7 3 4
Marocco 6 5 1
Algeria 5 5 0
Congo 5 5 0
Ghana 5 4 1
Liberia 5 2 3
Sierra Leone 5 4 1
Armenia 4 2 2
Egitto 4 4 0
Somalia 4 1 3
Albania 3 3 0
Camerun 3 1 2
Cuba 2 0 2
Gabon 2 2 0
Gambia 2 2 0
Guinea 2 2 0
38
Kosovo 2 1 1
Sudan 2 1 1
Colombia 1 1 0
Georgia 1 1 0
Iraq 1 1 0
Mauritania 1 1 0
Messico 1 0 1
Moldavia 1 0 1
Palestina 1 1 0
Rep.
Centrafricana
1 1 0
Ruanda 1 0 1
Togo 1 1 0
Uganda 1 1 0
Totale 491 279 212
3.4. Perché rifugiati?: breve inquadramento storico-politico
A questo punto, è indispensabile indagare le motivazioni storico-
politiche che hanno spinto tante persone a lasciare il proprio Paese d’origine.
Come si è accennato, i Paesi da cui i richiedenti asilo fuggono sono
molti, prevalentemente africani o asiatici, e il loro numero varia proprio in
base agli eventi che coinvolgono i diversi Stati e che minacciano la sicurezza
39
personale dei migranti; cercando di focalizzare l’attenzione sulle provenienze
di coloro che hanno presentato domanda d’asilo negli ultimi anni, risulta
indispensabile descrivere i moti rivoluzionari iniziati nel dicembre 2010, e in
parte tuttora in corso, che hanno interessato l’area del Nord Africa e il Medio
Oriente e che sono conosciuti come “Primavera araba”.
Il Paese capofila delle proteste è stato la Tunisia, con la “Rivoluzione
dei Gelsomini”, iniziata il 17 dicembre 2010, quando a Sidi Bouzid un
venditore ambulante di verdure – Mohamed Bouazizi – si è dato fuoco
perché esasperato dall’impossibilità di svolgere e guadagnare con il proprio
lavoro. A partire dal gesto del venditore ambulante, si sono moltiplicate le
proteste di strada in tutte le città del paese, con la richiesta di lavoro, dignità
e libertà. I Tunisini si sono mobilitati per chiedere la fine della dittatura
ultraventennale di Zine El-Abidine Ben Ali e hanno conseguito l’obiettivo
quando il 14 gennaio 2011 il presidente è scappato in Arabia Saudita. Gli
scontri hanno determinato morti e la formazione di molteplici governi ad
interim che hanno condotto a nuove manifestazioni di piazza.
A partire dalla Rivoluzione dei Gelsomini si è innescata una serie di reazioni
a catena che hanno coinvolto gli altri paesi limitrofi e hanno condotto alla
fuga di massa dei tunisini verso l’Europa. I principali motivi che hanno portato
alla rivolta della popolazione tunisina e che accomunano la Tunisia ad Egitto,
Algeria, Libia, Siria e gli altri Paesi condizionati dalle rivolte, sono stati la
disoccupazione, la corruzione, l’aumento dei prezzi dei beni primari e il
perdurare di regimi autoritari (www.viedifuga.org).
È indispensabile sottolineare che, i richiedenti asilo provenienti dai
Paesi sopraccitati non sono esclusivamente cittadini di questi Stati ma
spesso possiedono altre nazionalità: provengono da Stati africani da cui sono
scappati precedentemente perché logorati da guerre civili e lotte intestine.
Pertanto, facendo riferimento alla classifica dei Paesi di provenienza citata
precedentemente relativa al territorio nazionale nel periodo 2011-2012, si è
deciso di fornire un quadro dell’assetto politico dei principali Paesi che
40
costringono i propri cittadini a fuggire, per comprendere a fondo cosa si celi
dietro la decisione di abbandonare il proprio Paese di origine17.
PAKISTAN
Il Pakistan (o Repubblica Islamica del Pakistan) è uno stato asiatico
confinante con India, Afghanistan, Iran e Cina. Lo stato attuale è nato il 14
agosto 1947 dalla scissione con l’India di cui faceva precedentemente parte.
È una federazione di provincie e di territori che hanno leggi proprie ma che
sono sottoposti formalmente al controllo del governo centrale.
17 Fonti schede Paese: Vie di fuga - Osservatorio permanente sui rifugiati: http://viedifuga.org/; Coordinamento Non solo Asilo: http://www.nonsoloasilo.org;
41
Il Pakistan è una repubblica federale in cui i due maggiori partiti politici
sono il Partito del Popolo Pakistano (PPP) e la Lega Musulmana Pakistana
(PML-Q). La storia del Pakistan è intessuta di feroci dittature militari durate
fino alla fine degli anni ’90 del 1900. Nel 1999 il generale Pervez Musharraf
prese il potere in Pakistan con un colpo di stato e rimase presidente del
paese fino al 2007. Il presidente odierno della repubblica è il rappresentante
del PPP Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, ex primo ministro del
paese uccisa nel 2007 durante la campagna per le elezioni nazionali del
2008.
Esistono due zone di guerra in Pakistan: la prima, nella zona del
Kashmir, conteso da India e Pakistan fin dall’anno dell’indipendenza dei due
paesi, nel 1947; la seconda riguarda le aree tribali di amministrazione
federale FATA, che sono governate a livello nominale dal governo pakistano
ma in realtà sono controllate dalle tribù Pashtun, fieramente indipendenti, che
le abitano.
Nel 1893 l’impero britannico stabilì una linea di confine fra il Pakistan e
l’Afghanistan tagliando in due i territori abitati dall’etnia Pashtun e lasciando
uno strettissimo collegamento fra i due paesi. Questa divisione ha portato
allo scoppio di conflitti interni, soprattutto nel distretto del Waziristan, dove
trovano rifugio molti Talebani in fuga dall’Afghanistan, invaso dalle forze
statunitensi. Oltre all’esercito pakistano dispiegato nel Waziristan sono
diventati periodici anche i bombardamenti statunitensi.
Altro distretto del FATA a essere oggetto di scontri è il Belucistan,
terra ricca di risorse naturali che combatte fin dagli anni ’50 per l’autonomia,
tentativo represso da parte del governo di Islamabad. Gli attentati in
Belucistan sono diventati ormai quotidiani, spingendo migliaia di profughi
verso altri paesi o altre zone del Pakistan (www.fiedifuga.org).
NIGERIA
42
La Nigeria è uno stato africano che confina ad est con il Ciad e il
Camerun, ad ovest con il Benin, a sud con il golfo di Guinea e a nord con il
Niger. Ha ottenuto la totale indipendenza dal colonialismo britannico il 1
ottobre 1960; è una repubblica federale suddivisa in 36 stati ai quali si
aggiunge, il Territorio della Capitale Federale ( Abuja).
Tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’90 del secolo scorso la
storia politica nigeriana ha conosciuto scontri violenti e un susseguirsi di colpi
di stato militari. Le prime elezioni libere si hanno nel 1999 con l’elezione del
presidente federale Olusegun Obasanjo, rappresentante del People’s
Democratic Party, poi riconfermato nelle successive elezioni del 2003.
Attualmente i due principali partiti politici sono il People’s Democratic Party
(PDP) e l’All Nigerian People’s Party (ANPP ).
Nel 2007 si sono svolte le nuove elezione vinte da Umaru Yar’Adua, delfino
dell’ex Presidente ed anch’esso esponente del PDP, votazioni duramente
contestate dai partiti delle opposizione per brogli elettorali.
I numerosi scontri che sono avvenuti e che tutt’oggi avvengono in
Nigeria, sono legati principalmente a due questioni distinte: religiosa e del
petrolio. La maggior parte dei conflitti legati alla questione del petrolio
avvengono in prossimità del Delta del Niger, zona che nell’ultimo decennio è
stata maggiormente sfruttata per l’estrazione del greggio dalle più grosse
compagnie petrolifere internazionali. Negli anni gruppi di guerriglia hanno
43
intrapreso azioni di sabotaggio, sequestri di persona e guerriglia nelle aree
interessate, per ribellarsi al continuo sfruttamento della regione che riduce gli
abitanti in miseria. Per contrastare le operazioni di guerriglia l’intera zona del
Delta è stata militarizzata e ciò causa continui scontri armati fra i gruppi di
guerriglieri, l’esercito nigeriano e le milizie paramilitari.
Nel 2006 si è costituito il Movimento per l’emancipazione del Delta del
Niger (MEND), un gruppo paramilitare che ha dichiarato guerra aperta alle
principali compagnie petrolifere presenti sul territorio e il cui obiettivo è quello
di liberare il territorio dalle compagnie petrolifere e ricavare benefici per
l’intera popolazione del Delta.
Per quanto riguarda la questione religiosa, la natura degli scontri
nasce dalla compresenza del culto islamico, prevalentemente professato nel
nord del paese e del culto cristiano, più presente a sud. La situazione si è
aggravata irrimediabilmente nel 2000, quando molti stati della Nigeria
settentrionale hanno deciso di ignorare il veto costituzionale, introducendo
nei propri territori la Sharìa (legge islamica) e dando così il via ad un
susseguirsi di scontri che sono tutt’oggi in corso e che causano migliaia di
vittime e sfollati (www.viedifuga.org).
AFGHANISTAN
44
L’Afghanistan è uno stato dell’Asia centrale che confina con Iran,
Turkmenistan, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan e con la Cina, nel cosiddetto
corridoio del Vacan. Nel Paese coabitano popoli di origine iranica, turca e
indiana; le lingue ufficiali sono due e riflettono i due gruppi etnici prevalenti: il
dari (gruppo persiano) e il pashtu (gruppo pashtun). L’Afghanistan è diviso a
livello amministrativo in 34 province, a loro volta suddivise in distretti; a capo
di ogni provincia c’è un governatore nominato dal Ministro degli Interni che
rappresenta il governo centrale.
Dal 2001 l’Afghanistan è nominalmente una repubblica presidenziale
guidata da Hamid Karzai, primo presidente eletto nel 2002, che ha dovuto
affrontare pesanti accuse di brogli durante le ultime elezioni del 2009, accuse
che hanno messo temporaneamente in discussione il verdetto del voto.
La legge fondamentale del paese è la carta costituzionale di 160
articoli, approvata nel 2004, che delinea un regime presidenziale forte, nel
quale l’Islam trova una collocazione centrale.
La situazione politica del paese è instabile a causa della persistente
occupazione straniera, della corruzione dilagante, dei signori della guerra
che occupano, e di fatto governano, intere zone del paese, portando avanti
scontri fra diverse fazioni armate.
L’Afghanistan non conosce un periodo di pace duratura dagli anni ’70
del 1900. Una permanente guerra civile coinvolge da decenni tutto il territorio
e a questa si è sommata l’occupazione straniera, prima dell’ex Unione
Sovietica (1979) poi di un contingente di forze guidato dagli USA (2001), a
seguito dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono. Quest’ultima
occupazione, tutt’ora in corso, iniziata da George Bush, aveva come scopo il
rovesciamento del governo dei Talebani guidati dal Mullah Omar, lo
smantellamento di al-Qaeda e di conseguenza del terrorismo islamico.
In risposta ai continui attentati nelle principali città, la coalizione di
forze straniere capeggiate dagli USA, procede ad un graduale e continuo
rinforzo che conduce nel 2006 a una nuova azione nel sud, zona ancora
sotto il controllo dei Talebani e dei narcotrafficanti.
45
Questo intervento nasce soprattutto dal fatto che l’Afghanistan è il maggior
produttore mondiale di oppio, dai cui ricavi tutte le forze irregolari del paese
acquistano armi. Questa situazione interna, produce una continua e
ininterrotta crescita del numero di persone che lasciano il paese e fanno
domanda di asilo. La maggior parte non raggiunge però i paesi europei ma
trova un primo e immediato rifugio nel vicino Pakistan e in Iran
(www.viedifuga.org).
MALI
Il Mali è uno stato dell’Africa occidentale che confina al nord con
l’Algeria, a est con il Niger, a sud con il Burkina Faso e la Costa d’Avorio, a
sud-ovest con la Guinea e ad ovest con il Senegal e la Mauritania. Qui le
condizioni di vita sono precarie per la maggior parte della popolazione, come
attestano l’alta mortalità infantile (122‰), la bassa speranza di vita (48 anni),
46
l’elevato tasso di analfabetismo (81%) e le carenti condizioni igienico
sanitarie che favoriscono il diffondersi di epidemie e la propagazione
dell’AIDS. Il francese è l’unica lingua ufficiale e molte lingue minoritarie
cominciano a scomparire; nel paese è parlata anche la lingua tuareg nel
nord, l’arabo è la lingua franca.
Il Mali proclama la sua indipendenza dalla Francia nel 1960. Il primo
presidente eletto è Modibo Keita, che in poco tempo instaura un regime con
partito unico, deposto nel 1968 con un sanguinoso colpo di stato militare che
porta al potere Moussa Traoré. Un altro colpo di stato militare spodesta
Traoré nel 1991. I militari decidono di formare un governo di transizione civile
che porta nel 1992 alle prime elezioni democratiche, con Alpha Oumar
Konare eletto presidente. Alla fine del suo secondo mandato è sostituito nel
2002 da Amadou Toumani Touré, che viene rieletto nel 2007.
All’inizio del 2010 nell’Azawad (il territorio a nord di Timbuctu) nasce
un movimento per l’autodeterminazione chiamato Mouvement pour la
libération nationale de l’Azawad (MNLA) e il 6 aprile 2012, dopo una serie di
vittorie contro l’esercito maliano, proclama l’indipendenza dell’Azawad, con la
creazione di un Consiglio di transizione di Stato di Azawad – CTEA. Nel
medesimo periodo, però, compaiono come co-attori e protagonisti anche il
movimento radicale islamico Ansar Dine, il Movimento per l’Unità e la Jihad
in Africa occidentale – MUJAO e Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).
Il 22 marzo 2012 un gruppo di soldati prende il potere con un colpo di
stato ma il nuovo governo non riconosce il MNLA ed inizia una serie di azioni
militari. A complicare la situazione, la componente tuareg, che assume la
denominazione di al-Qa’ida nel Maghreb islamico, prende il controllo del
settentrione del Paese. Il MNLA si appella all’ONU, denunciando pogrom ai
danni dei Tuareg e l’esistenza di narcotrafficanti nella zona settentrionale del
Mali. Anche il governo provvisorio richiede un intervento militare dell’ONU.
L’ONU, con un documento del 12 ottobre 2012, accetta l’esistenza del
“problema Mali” ma evita di spingere per un intervento militare immediato
(caldeggiato invece dalla Francia), dando al Segretario Generale Ban Ki-
moon un primo mandato a tempo – 45 giorni – per indagare ed elaborare una
47
strategia. Ban Ki-moon sceglie Romano Prodi come inviato delle Nazioni
Unite per il Sahel e per una prima presa di contatto con il governo maliano.
L’ONU sposa contemporaneamente due ipotesi: quella dell’opzione militare
proposta dal presidente francese, Francois Hollande, che non vede
alternativa alle armi, e quella dell’azione diplomatica caldeggiata dall’Algeria,
che spinge per una soluzione negoziale.
Il 10 gennaio 2013, a seguito dell’avanzata dei miliziani islamisti verso sud e
dell’occupazione della città di Konna, nel centro del paese, il presidente ad
interim Dioncounda Traoré, lancia un appello e il presidente francese
François Hollande decide di rispondere alle richieste di aiuto del governo di
Bamako, dando un supporto all’esercito del Mali nella sua offensiva. Lo
scontro politico interno in Francia è immediato: appare evidente che alla
base della scelta di Hollande ci sia la tutela dei propri interessi nella regione,
in particolare in Niger, ricco di uranio: la Francia non può permettersi che gli
altri Paesi della regione (e quindi l’estrazione dell’uranio da cui dipendono le
centrali francesi) vengano messi in pericolo. L’Europa non nega il suo
appoggio alla Francia e fra i Paesi sostenitori rientra anche l’Italia. Per le
truppe franco-governative non risulta difficile la risalita verso il nord del Mali:
il 28 gennaio 2013 riprendono il pieno controllo della città di Timbuctu, dopo
averne liberato l’aeroporto e controllato tutti gli accessi a seguito di
un’operazione congiunta iniziata nella notte del 27. La città, patrimonio
dell’Unesco, era sotto il controllo dei gruppi alqaedisti dal giugno 2012.
La situazione che imperversa dal gennaio 2012 nella regione
dell’Azawad, ha generato un flusso incessante di sfollati che continua a
spostarsi dal Nord del Mali verso il Sud del paese, in fuga dagli scontri
armati, dalle violenze e dall’insicurezza economica. Inoltre la crisi politica e
l’occupazione militare di forze contrarie al Governo che divide in due il paese
sta spingendo un numero crescente di persone a lasciare i propri villaggi e le
proprie case (www.viedifuga.org).
48
Capitolo 4
L’accoglienza in Italia
È utile ricordare che l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in
Italia è garantita e regolata dal Decreto Legislativo n. 140 dell’anno 2005 in
attuazione della direttiva 2003/9/CE concernente le norme minime relative
all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Da questo documento
emerge che l’accesso alle misure d’accoglienza previste dovrebbe essere
disposto dal momento della presentazione della domanda d’asilo (effettuata
entro 8 giorni dall’ingresso nel territorio nazionale, salvo ricorrano cause di
forza maggiore) ed essere assicurato, previa valutazione della Prefettura, a
chi risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata
per la salute e per il sostentamento proprio e dei propri familiari18. Inoltre il
richiedente ha diritto ad essere informato sulla normativa in materia di asilo e
sul funzionamento interno della struttura di accoglienza in cui è ospitato, e ha
diritto di comunicare con parenti, avvocati, rappresentanti dell’UNHCR (Alto
18 D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140 art.5, in materia di “Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo”
49
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), associazioni ed enti di
tutela (art. 9 D.Lgs. 140/05, art. 9 D.P.R. n. 304/04, art. 11 D.P.R. n. 304/04).
L’accoglienza deve protrarsi per il tempo necessario all’esame della
domanda e può prolungarsi in caso di ricorso avverso ad un’eventuale
decisione negativa (www.serviziocentrale.it, 2007b)
Nel tentativo di dare applicazione al suddetto Decreto, si è sviluppato
sul territorio nazionale un sistema di accoglienza per i richiedenti asilo che è
strutturato attraverso diverse tipologie di centri di accoglienza e di centri di
trattenimento: CPSA, CDA, CARA, CIE e SPRAR.
I Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) sono stati istituiti
con Decreto interministeriale del 16 febbraio 2006 e sono le prime strutture in
cui viene ospitato il potenziale richiedente asilo. Garantiscono la prima
accoglienza e il soccorso alle persone appena arrivate in Italia e,
generalmente, il trattenimento presso queste strutture non supera le 48 ore,
con il conseguente trasferimento presso altri centri (www.nonsoloasilo.org).
Nei Centri di Accoglienza (CDA), istituiti con la Legge n. 563/95,
vengono ospitati tutti gli stranieri irregolari rintracciati sul territorio nazionale o
fermati al passaggio di frontiera. Queste strutture, non essendo adibite ad
accoglienza esclusiva dei richiedenti asilo, hanno la finalità di fornire una
forma di prima assistenza e di emanare un provvedimento che stabilisca la
condizione giuridica degli ospiti, definendone l’identità e la legittimità della
loro permanenza o la disposizione di un eventuale allontanamento dal
territorio italiano (www.nonsoloasilo.org).
I CARA sono i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo, istituiti
con Decreto Legislativo del 28 gennaio del 2008, che hanno come principale
obiettivo quello di definire l’identità personale. Sono strutture nelle quali i
richiedenti protezione internazionale sono ospitati qualora si verifichino i casi
espressamente previsti dall’art. 20 del decreto citato, ovvero quando: a) è
necessario verificare o determinare la nazionalità o l’identità della persona; b)
50
il richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver
eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo; c) quando il
richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in
condizioni di soggiorno irregolare.
La permanenza presso il CARA nel primo caso è correlato al tempo
necessario allo svolgimento degli adempimenti finalizzati all’identificazione
del richiedente e, comunque, per non più di 20 giorni. Negli altri due casi il
periodo di accoglienza si protrae per il tempo necessario all’esame della
domanda e, comunque, per non più di 35 giorni.
Allo scadere dei termini predetti il richiedente ha diritto al rilascio di un
permesso di soggiorno di durata trimestrale, rinnovabile sino alla decisione
della domanda. Invero, il periodo di permanenza dei richiedenti asilo nei
CARA è mediamente più lungo e si protrae sino alla comunicazione della
decisione adottata dalla Commissione Territoriale. La norma prevede che il
richiedente asilo ospitato nei CARA abbia diritto all’uscita nelle ore diurne
senza che sia necessario richiedere alcuna autorizzazione; esclusivamente
nei casi in cui il richiedente debba allontanarsi per periodi di tempo superiori
o diversi, ha l’obbligo di chiedere al Prefetto territorialmente competente
l’autorizzazione all’allontanamento temporaneo.
Infine, nel corso della permanenza nel CARA, non è rilasciato il titolo
di soggiorno provvisorio ma solo un attestato nominativo e i richiedenti asilo
sono privi di residenza e di iscrizione al servizio sanitario nazionale
(www.nonsoloasilo.org).
I CIE, ovvero i Centri di identificazione e Espulsione (ex CPT:
Centri di Permanenza Temporanea) sono stati istituiti dalla legge Turco-
Napolitano nel 1998 e rinominati secondo la dicitura attuale nel 2008. Hanno
la funzione di consentire accertamenti sull’identità di persone detenute in
vista di una possibile espulsione.
Il richiedente asilo non può mai essere trattenuto al solo fine
dell’esame della domanda presentata, tuttavia l’art. 21 del D.Lgs. n. 25/08
prevede la possibilità di trattenimento in tre casi: a) il richiedente si trova
51
nelle condizioni previste dall’art. 1 par f) della convenzione di Ginevra; b) è
stato condannato in Italia per un reato per cui è previsto l’arresto obbligatorio
in flagranza, ovvero per i reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale e il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e reati inerenti la
prostituzione o sfruttamento di minori; c) il richiedente è destinatario di un
provvedimento di espulsione o respingimento. Il richiedente protezione
internazionale può essere trattenuto fino a 210 giorni, nel corso dei quali non
può essere rimpatriato (www.nonsoloasilo.org).
Lo SPRAR è il Sistema di Protezione e Accoglienza di Richiedenti
Asilo e Rifugiati diffuso su tutto il territorio nazionale e previsto dalla Legge
n. 189/2002. È un sistema di accoglienza fondato sul coinvolgimento delle
istituzioni centrali e locali al quale possono accedere tutti i richiedenti asilo
che non debbano essere obbligatoriamente inviati nei CARA o nei CIE ai
sensi degli artt. 20 e 21 D.Lgs. 25/08. Secondo le indicazioni delle Linee
Guida del Ministero dell’Interno (Decreto Ministeriale del 22 luglio 2008 come
modificato dal Decreto ministeriale del 5 agosto 2010, punto 3), il richiedente
ha diritto all’accoglienza nello SPRAR fino alla notifica della decisione della
Commissione Territoriale.
Nell’ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale o
umanitaria, il periodo di permanenza in accoglienza non potrà comunque
superare complessivamente i sei mesi. I tempi di accoglienza dei titolari di
protezione internazionale e umanitaria possono essere comunque prorogati
per circostanze eccezionali, debitamente motivate, anche in relazione ai
percorsi di integrazione avviati o a comprovate necessità. Nell’ipotesi, invece,
di decisione negativa della Commissione Territoriale, il richiedente protezione
internazionale può permanere in accoglienza per la durata del ricorso
giurisdizionale o, comunque, finché non gli sia consentito di svolgere attività
lavorativa ai sensi dell’art. 11 c. 1 del D.Lgs. 140/05 e sempre nel caso in cui
le sue condizioni fisiche non gli consentano di svolgere alcuna attività
lavorativa (Giovannetti M., 2011).
52
È bene precisare che la distribuzione delle strutture descritte sul
territorio nazionale non è omogenea. Mentre i CPSA sono presenti in Sicilia e
Sardegna, i CDA/CARA si trovano in Sicilia, Puglia, Calabria, Marche, Friuli e
Lazio; i centri della rete SPRAR sono presenti in tutta Italia tranne che in
Valle d’Aosta e i CIE sono in Sicilia, Puglia, Calabria, Friuli, Lazio, Emilia
Romagna, Lombardia e Piemonte. Bisogna aggiungere a quest’elenco i
Centri Polifunzionali che sono sorti in quattro regioni Lazio, Toscana,
Piemonte e Lombardia e i centri della Protezione Civile presenti in tutta Italia
tranne che in Abruzzo a causa della ricostruzione post terremoto.
I Centri Polifunzionali sono nati nel 2007 in alcune città
metropolitane: Roma, Milano, Firenze e Torino, sulla base di accordi
sottoscritti tra i Comuni e il Ministero dell’Interno per «l’attivazione di centri
polifunzionali per lo svolgimento in comune di attività in favore di richiedenti
asilo, rifugiati e protetti umanitari» (Giovannetti M., 2011). Questo modello
organizzativo, avente carattere temporaneo, è stato ideato per le città che
devono affrontare la maggiore emergenza dovuta al grande numero di
stranieri titolari di protezione internazionale o appartenenti a categorie
vulnerabili. Non in tutte le città i centri sono coordinati con lo SPRAR.
I Centri delle Protezione Civile sono nati in seguito al già
precedentemente descritto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
del 12 febbraio 2011, con il quale è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2011,
poi prorogato fino a dicembre 2012, lo stato di emergenza umanitaria nel
territorio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini
appartenenti ai Paesi del Nord Africa. A questo documento è seguito
l’Accordo stipulato il 6 aprile 2011 tra il Governo, le Regioni, l’ANCI e l’UPI,
che ha assegnato al sistema di protezione civile nazionale il compito della
pianificazione delle attività necessarie alla dislocazione nelle singole regioni
dei cittadini extracomunitari in modo equilibrato.
Il Piano di Accoglienza, emanato il 12 aprile 2011 dal Dipartimento
della Protezione civile, stabilisce che la distribuzione sul territorio è
53
determinata in base alla percentuale relativa di popolazione residente in ogni
singola regione o provincia autonoma rispetto al totale nazionale, mediante
un sistema modulare che individua per ogni territorio il numero massimo di
migranti da accogliere in rapporto agli arrivi. Inoltre è necessario sottolineare
che le norme di accoglienza in Italia prevedono delle attenzioni specifiche per
alcune categorie di persone, con l’indicazione precisa dei luoghi che devono
essere preposti ad ospitarli:
• minore straniero non accompagnato: l’accoglienza deve sempre
essere garantita tenendo in primaria considerazione il suo interesse
superiore e deve essere ispirata ad assicurare un sereno sviluppo
psicofisico del fanciullo che ha diritto a crescere in un ambiente sicuro
e ospitale: l’accoglienza deve avvenire ad opera dell’ente locale, in
conformità delle disposizioni del Tribunale dei Minorenni, e nell’ambito
dei posti di accoglienza espressamente riservati nel sistema SPRAR.
Il minore non può in nessun caso essere trattenuto presso un CARA
e/o un CIE. L’accoglienza del minore titolare di protezione
internazionale o umanitaria può protrarsi fino a sei mesi dal
compimento della maggiore età e sono consentite ulteriori proroghe
sulla base delle esigenze dei percorsi di integrazione presso strutture
dedicate ai maggiorenni;
• nuclei familiari: l’accoglienza deve essere garantita nel rispetto del
diritto all’unità familiare, evitando la separazione dei nuclei familiari, e
in strutture idonee alla presenza di figli minori;
• donne in stato di gravidanza e disabili: ove possibile deve essere
garantita l’accoglienza in idonee strutture esterne ai centri CARA e/o
CIE (art. 8, D.P.R. n. 303/04);
• portatrici di esigenze particolari: l’accoglienza deve essere sempre
organizzata tenendo in considerazione la situazione individuale e
personale del richiedente, predisponendo, laddove necessario, tutti gli
interventi di sostegno psicologico e sanitario necessari. Le Linee
Guida del Ministero dell’Interno dispongono che gli enti locali che
offrono servizi di accoglienza a persone con disagio mentale e con
54
necessità di assistenza sanitaria e domiciliare, specialistica e/o
prolungata, sono tenuti a garantire la loro stretta collaborazione con i
servizi socio-sanitari locali e le realtà del privato sociale, nonché a
dimostrare la comprovata esperienza nella presa in carico di tali
tipologie di beneficiari (Decreto Ministeriale del 22 luglio 2008 come
modificato nel 2010).
Infine è bene precisare che le misure di accoglienza possono essere
revocate con decreto del Prefetto qualora il richiedente asilo: a) non si
presenti presso la struttura individuata o abbandoni immotivatamente la
struttura stessa; b) non si presenti all’audizione in Commissione Territoriale;
c) abbia già in precedenza presentato in Italia domanda di protezione
internazionale; d) abbia mezzi economici sufficienti, e accertati, per garantirsi
l’assistenza; e) abbia violato ripetutamente le regole della struttura di
accoglienza. Qualora si verifichi il primo caso, e il richiedente protezione
internazionale si ripresenti volontariamente alla struttura, il Prefetto, sulla
base degli elementi addotti dal richiedente, può disporre il ripristino delle
misure di accoglienza.
4.1. SPRAR: per saperne di più.
Come anticipato precedentemente, il sistema di accoglienza per i
richiedenti protezione internazionale è organizzato attraverso disparate e
molteplici strutture con finalità diverse e destinate ad ospitare persone
differenti. I centri di prima accoglienza (CPSA e CARA) sono importanti per
garantire un’assistenza ad individui che arrivano in Italia dopo lunghi percorsi
migratori ma diventa fondamentale soprattutto la seconda accoglienza,
quella che dovrebbe essere garantita a tutti coloro che lo necessitano, dallo
SPRAR, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati.
Lo SPRAR è costituito dalla rete degli enti locali che, per la
realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono, nei limiti delle
risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. È
55
bene ricordare che le caratteristiche principali del Sistema di protezione
sono:
• il carattere pubblico delle risorse messe a disposizione e degli enti
politicamente responsabili dell'accoglienza, Ministero dell'Interno ed
enti locali;
• la volontarietà degli enti locali nella partecipazione alla rete dei progetti
di accoglienza;
• il decentramento degli interventi di "accoglienza integrata";
• le sinergie avviate sul territorio con gli "enti gestori", i soggetti del terzo
settore che contribuiscono in maniera essenziale alla realizzazione
degli interventi;
• la promozione e lo sviluppo di reti locali, con il coinvolgimento di tutti
gli attori e gli interlocutori privilegiati per la riuscita delle misure di
accoglienza, protezione, integrazione in favore di richiedenti e titolari
di protezione internazionale.
Per accoglienza integrata s’intendono degli interventi finalizzati non
solo a fornire vitto e alloggio ma anche, e soprattutto, la realizzazione di
attività di accompagnamento sociale, indirizzate alla conoscenza del territorio
e all'effettivo accesso ai servizi locali (fra i quali l'assistenza socio-sanitaria),
attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-
economico. Sono previste attività per facilitare l'apprendimento dell'italiano e
l'istruzione degli adulti, l'iscrizione a scuola dei minori in età dell'obbligo
scolastico, nonché ulteriori interventi di informazione legale sulla procedura
per il riconoscimento della protezione internazionale e sui diritti e doveri dei
beneficiari in relazione al loro status. In particolare, sono sviluppati, percorsi
formativi e di riqualificazione professionale per promuovere l'inserimento
lavorativo, così come sono approntate misure per l'accesso alla casa. Sono
presenti progetti specializzati per l'accoglienza e il sostegno di persone
portatrici di specifiche vulnerabilità. Infine, secondo un approccio
all'accoglienza che prevede un’apertura dei progetti SPRAR ai propri territori
e al lavoro in rete, sono promosse iniziative per informare e sensibilizzare le
56
comunità cittadine alla conoscenza della realtà del diritto di asilo e della
condizione di richiedenti e titolari di protezione internazionale. Occasione
centrale per iniziative di questo genere è il 20 giugno, Giornata mondiale del
rifugiato.
4.1.1. Le strutture abitative destinate all’accoglienza
Le strutture abitative dedicate all’accoglienza dei beneficiari all’interno
della rete dello SPRAR sono suddivise in tre tipologie: appartamenti (74%),
centri collettivi (20%) e comunità alloggio (6%). Le abitazioni hanno in
comune la capacità di ospitare ciascuna un numero limitato di persone e la
collocazione all’interno del centro abitato o comunque in una zona limitrofa e
tendenzialmente ben collegata dal servizio di mezzi pubblici.
Se si focalizza l’attenzione sull’anno 2011, grazie ai dati forniti dal
Rapporto annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati
2011/2012, risulta che i servizi complessivamente erogati dai progetti
territoriali dello SPRAR durante l’anno sono stati pari a 38.552, il 9% in più
rispetto al 2010: l’incremento è da imputarsi al maggior numero di posti che
sono stati messi a disposizione per l’accoglienza, in particolare grazie alle
risorse straordinarie dell’otto per mille e della Protezione Civile (Ordinanza
del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3933/2011 con validità prorogata
fino al 31/12/2012 per le misure di accoglienza straordinaria messe in atto
nell’ambito della cosiddetta Emergenza Nord Africa) .
I progetti finanziati dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi
dell’Asilo (FNPSA) per il 2011 sono stati complessivamente 151, di cui 111
destinati all’accoglienza di beneficiari appartenenti alle categorie ordinarie e
40 riservati all’accoglienza delle “categorie vulnerabili”, quali disabili anche
temporanei, persone che richiedono assistenza domiciliare, sanitaria
specialistica e prolungata, vittime di tortura e/o di violenza, minori non
accompagnati, anziani, donne sole in stato di gravidanza, nuclei
monoparentali e persone con disagio mentale.
Complessivamente, i progetti finanziati hanno reso disponibili 3.000
posti in accoglienza, di cui 2.500 destinati alle categorie ordinarie e 500 a
57
quelle vulnerabili (di questi 50 hanno servizi per la presa in carico di persone
con disagio mentale).
Gli enti locali titolari di progetto sono stati complessivamente 128, di
cui 110 Comuni, 16 Province e 2 Unioni di comuni. Ne vanno aggiunti
ulteriori 816, attivati dalla rete dello SPRAR per le misure di accoglienza
straordinaria coordinate dal Dipartimento nazionale di Protezione Civile e 163
posti in strutture implementate grazie alle risorse otto per mille.
La rete dello SPRAR nel suo complesso ha contemplato, per il biennio
2011/2012, 3.979 posti di accoglienza.
Oltre ai posti SPRAR esistono i cosiddetti extra SPRAR: si tratta
normalmente di un circuito di accoglienza (dormitori, mense ecc.) che le città
italiane hanno strutturato negli anni per le più varie necessità e che finisce
anche per accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati quando non esistono
alternative valide. I posti extra SPRAR non garantiscono il percorso di
“accoglienza integrata” alla base dello stesso progetto ministeriale ma solo i
servizi e i beni di prima necessità come il tetto, il letto e il cibo. Essi sono la
controprova dell’insufficienza del sistema (il numero di posti messi a
disposizione dallo SPRAR è nettamente inferiore rispetto al numero di
richieste pervenute) e sono esclusivamente legati alle risorse delle varie città
o realtà locali italiane.
4.2. I fondi destinati ai rifugiati
È bene sottolineare che per il finanziamento dei servizi di accoglienza
descritti in precedenza e per i percorsi finalizzati all’integrazione di coloro che
hanno ottenuto la protezione internazionale nel nostro Paese esiste un
Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Inoltre l’Italia, in quanto
Stato Europeo e firmatario della già citata Convenzione di Ginevra, dispone,
come tutti gli Stati membri, di un aiuto economico da parte dell’Unione
Europea da destinare alle politiche e al sistema di asilo: il Fondo Europeo per
i Rifugiati.
Il Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA)
consiste in uno stanziamento di fondi a favore di enti locali che attivano
servizi di accoglienza per i richiedenti asilo, i rifugiati e i destinatari di
58
protezione sussidiaria. È un fondo gestito dal Ministero dell’Interno italiano e i
contributi che questo elargisce sono in favore degli enti locali che presentino
progetti destinati all’accoglienza:
• richiedenti asilo in attesa della pronuncia delle Commissioni territoriali
• titolari dello status di rifugiato
• titolari di protezione sussidiaria.
Per ottenere i contributi è necessario rispettare le indicazioni sui
servizi ammissibili al finanziamento, gli standard richiesti, le condizioni per
l'ammissione delle istanze di contributo e le modalità di utilizzo delle
economie. Vengono inoltre disposti dei controlli per la verifica della corretta
gestione del contributo assegnato e, nel caso di inadempienza, sono previste
delle modalità per l’eventuale revoca.
Il Fondo Europeo per i Rifugiati (FER) rientra invece
nel “Programma Generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori”
emanato dall’Unione Europea, per dare un aiuto economico agli Stati membri
nella gestione delle persone provenienti da altri Paesi. Il Programma, si
realizza concretamente attraverso quattro fondi:
• Fondo Europeo per i Rimpatri: destinato a migliorare la gestione dei
rimpatri sulla base del principio della gestione integrata dei rimpatri
nonché a sostenere le azioni volte ad agevolare il rimpatrio forzato;
• Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi: finalizzato
a co-finanziare azioni concrete a sostegno del processo di
integrazione di cittadini di Paesi terzi, a sviluppare e valutare tutte le
strategie e le politiche in materia di integrazione dei cittadini di Pesi
terzi, nonché a favorire lo scambio di informazioni e di migliori pratiche
e a sostenere la cooperazione interna ed esterna allo Stato;
• Fondo Europeo per le Frontiere Esterne: finalizzato ad assicurare
controlli alle frontiere esterne uniformi e a favore della cooperazione
59
tra Stati membri nel campo della politica dei visti o di altre attività pre-
frontiera;
• Fondo Europeo per i Rifugiati: riguarda le politiche e i sistemi dell’asilo
degli Stati membri con l’intento di promuove le migliori prassi in tale
ambito. In linea con l’obiettivo del Programma dell’Aja, tenta di
costituire un sistema di asilo unico europeo, improntato al principio
della parità di trattamento, che garantisca alle persone effettivamente
bisognose un livello elevato di protezione, alle stesse condizioni in tutti
gli Stati membri.
Il FER, nello specifico, sostiene le azioni negli Stati membri relative a:
a. condizioni di accoglienza e procedure di asilo;
b. integrazione delle persone il cui soggiorno in uno Stato membro ha
carattere durevole e stabile;
c. rafforzamento delle capacità degli Stati membri di sviluppare, monitorare e
valutare le rispettive politiche di asilo, nel rispetto degli obblighi loro imposti
dalla normativa comunitaria in materia di asilo, in particolare al fine di avviare
una cooperazione pratica tra gli Stati membri;
d. reinsediamento delle persone ai fini della presente decisione;
e. trasferimento di persone allo Stato membro che ha accordato loro una
protezione internazionale.
Gli obiettivi del Fondo, che sono realizzati nell'ambito del periodo di
programmazione pluriennale, vengono approvati dalla Commissione Europea
e poi attuati nei singoli Stati tramite programmi annuali.
In Italia il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero
dell'Interno è l'Autorità Responsabile per la gestione del Fondo e ha
designato l'ANCI quale Autorità Delegata per lo svolgimento di alcuni compiti.
Il contributo finanziario offerto dal Fondo assume la forma di sovvenzione e
prevede il co-finanziamento da parte dello Stato membro che ne fruisce.
A differenza degli altri fondi, il Fondo Europeo per i Rifugiati aveva già
vissuto due precedenti fasi con il FER I dal 2001 al 2004 e con il FER II dal
60
2005 al 2007, durante le quali i contributi FER assegnati all’Italia sono
stati: (FER I), periodo 2000-2004 11.000.000 Euro; (FER II), periodo 2005-
2007 6.500.000 Euro. In questo lasso di tempo, i Fondi europei sono confluiti
sul capitolo destinato al Fondo Nazionale per i Servizi e le Politiche dell’Asilo,
fondendosi con i finanziamenti destinati ai progetti territoriali dello SPRAR.
Nel 2006 e nel 2007 i finanziamenti del Fondo Europeo Rifugiati, pur
sempre nell’ambito dello SPRAR, sono stati specificamente destinati ai
progetti territoriali per le categorie vulnerabili.
La terza fase del Fondo Europeo per i Rifugiati (FER III), per il periodo
2008-2013 istituito con la Decisione 573/2007/CE, si prefiggeva una
destinazione del tutto autonoma rispetto al Fondo Nazionale per i Servizi e le
Politiche dell’Asilo. Infatti è stato stabilito che i contributi derivati dovevano
essere destinati non più all’attività istituzionale per l’accoglienza, realizzata
con lo SPRAR sulla base della legge 189/2002, ma ad azioni complementari,
integrative e rafforzative di essa. Secondo la stima indicata nella decisione
istitutiva il FER III avrebbe elargito all’Italia, per il periodo 2008-2013,
complessivi 21.016.926,30 Euro (Sprar, 2007c; www.serviziocentrale.it).
Capitolo 5
Piemonte: accoglienza e soluzioni abitative
Il Piemonte, come tutte le regioni italiane, dispone di una rete di
accoglienza rivolta ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Facendo nuovamente
riferimento al Rapporto Annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti
Asilo e Rifugiati 2011/2012, il maggior numero di accolti a livello regionale
nell’anno 2011 è distribuito tra i centri della Protezione Civile (1.605, il
64,4%) e i Centri Polifunzionali (522, il 20,9% il secondo); solo il 14,2% del
totale rientra in un progetto SPRAR. La percentuale appena citata si traduce
in un numero concreto di posti disponibili che si aggira intorno ai 160 (in cui
sono compresi dei posti riservati a persone vulnerabili) che vengono suddivisi
61
tra la città di Torino e i Comuni di Ivrea, Chiesa Nuova, Alice del Colle e la
Provincia di Alessandria. Questo sistema è assolutamente insufficiente
rispetto alla quantità di richieste di aiuto e accoglienza. La diretta
conseguenza di queste carenze nel sistema di accoglienza e dell’esclusione
dei rifugiati dai programmi di assistenza è il ricorso a sistemi di accoglienza
alternativa, i cosiddetti extra-SPRAR (i dormitori e le mense) o a soluzioni
altre.
5.1. Coordinamento Non Solo Asilo
Trattando di accoglienza in Piemonte non si può non accennare al
Coordinamento Non Solo Asilo, un’associazione di secondo livello che nasce
nel 2008 a Torino come coordinamento di associazioni del terzo settore, in
seguito all’occupazione da parte di un centinaio di rifugiati politici e
beneficiari di protezione internazionale, dell’ex clinica San Paolo, in Corso
Peschiera.
L’occupazione è l’ennesima dimostrazione che l’accoglienza e il
sostegno di coloro che sono titolari di protezione internazionale, da parte del
sistema nazionale non è adeguata al numero di richieste e appare chiara la
necessità di un cambiamento.
Una trentina di associazioni19 si uniscono nel Coordinamento per dare
un aiuto concreto all’interno dello stabile occupato ma anche per proporsi
come interlocutori con le istituzioni e per nuovi progetti per il futuro.
Superata la situazione di emergenza del 2008, il coordinamento ha
continuato la sua azione per dare una risposta strutturale e non
emergenziale sul territorio della regione Piemonte, ai bisogni più immediati
19 ACLI, ACMOS, Amnesty International Piemonte-Valle D'Aosta, Architettura senza Frontiere ONLUS, ASGI, Associazione Alma Terra, Associazione Opportunanda, Associazione Sole, Associazione Soomaaliya, Camminare Insieme, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza-Piemonte, CGIL Torino, CISL Torino, Comitato Sankara XX Torino, Cooperativa Alice, Cooperativa il Ponte, Gruppo Emergency Torino, Gruppo Abele, Gruppo Arco, Marypoppins Cooperativa Sociale, Comitato di Solidarietà con i rifugiati e le rifugiate, Servizi per i rifugiati-Chiesa Evangelica Valdese, Società San Vincenzo de Paoli Torino, Ufficio Pastorale Migranti, Cantieri di Pace, Cooperativa Parella, Progetto Tenda, Mani tese Torino, Mosaico
62
dei rifugiati, e per individuare efficaci percorsi di integrazione attraverso il
dialogo con le Istituzioni.
Nel 2012 è iniziato il lavoro di definizione dello statuto e della carta dei
valori che ha portato a gennaio 2013 il Coordinamento Non solo asilo a
registrarsi come associazione. A questa terza fase hanno aderito, ad oggi, le
seguenti realtà: Acmos, Associazione Soomaaliya Onlus, Crescere Insieme,
Casa di Carità, CCM, CISV, Cooperativa Alice, Cooperativa Orso, Engim
Piemonte, Gruppo Abele, Mary Poppins cooperativa sociale, Mosaico -
azione per i rifugiati, Piam, Società San Vincenzo de Paoli Torino, Ufficio
Pastorale Migranti Torino, Migrantes Regionale.
Fin dal principio il Coordinamento si è occupato di seconda
accoglienza, con l’obiettivo di garantire la riconquista dell’autonomia dei
rifugiati attraverso la ricerca di risorse abitative e occupazionali su tutto il
territorio cittadino e regionale, permettendo la creazione di una rete integrata
regionale.
Rientrano nelle attività realizzate negli anni dal Coordinamento due
progettualità: “Piemonte non solo Asilo”, finanziato attraverso i fondi della
Prefettura e della Provincia di Torino, e “Non solo asilo FER” (giunto alla
quarta edizione), finanziato attraverso il Fondo Europeo per i Rifugiati, che
hanno permesso di realizzare, in base ai dati aggiornati a dicembre 2012,
476 percorsi di autonomia sul territorio della regione Piemonte
(www.nonsoloasilo.org). Il Coordinamento è attivo nelle province di Torino,
Cuneo, Asti, Alessandria, Vercelli, Novara e Biella e si occupa anche di
incontri informativi e di sensibilizzazione nei territori in cui opera e di corsi
formativi. Rientra nella formazione offerta il Laboratorio Interdisciplinare sul
Diritto d’Asilo, giunto nell’anno 2012 alla seconda edizione e rivolto agli
studenti universitari interessati ad approfondire la tematica della protezione
internazionale e agli operatori istituzionali, del privato sociale e delle
associazioni che operano, a vario titolo, in questo settore. Al termine della
formazione alla quale io stessa ho preso parte, il Coordinamento Non solo
Asilo ha messo a disposizione la sua rete di enti per consentire agli studenti
di seguire tirocini formativi. Sfruttando questa opportunità, ho deciso di
63
partecipare alla ricerca abitativa che si proponeva di approfondire il tema
della casa e dell’abitare, nelle diverse percezioni dei rifugiati politici e titolari
di protezione internazionale, anche in questo caso presenti sul territorio
regionale piemontese.
5.2. Ricerca sull’abitare
Come già anticipato, la ricerca sull’abitare si è svolta in seguito al
periodo formativo di laboratorio ed è stata realizzata da un gruppo di lavoro
composto da due antropologhe culturali (la prima docente universitaria
presso l’Università di Torino e la seconda impegnata da tempo nella
cooperazione internazionale e nel terzo settore) e due studentesse
universitarie. L’indagine è nata dal desiderio di comprendere qual è il
rapporto che i rifugiati politici o i titolari di protezione che vivono sul territorio
della regione Piemonte hanno con lo spazio in cui vivono. Inoltre si è tentato
di approfondire attraverso quale percorso sono giunti in Piemonte e in quale
contesto vivono attualmente, indagando sia lo spazio abitativo sia le
interazioni con il territorio, il livello di familiarità o estraneità del posto in cui
vivono, e se ci sono degli elementi di identificazione con esso.
Avendo ben chiari i principali due obiettivi della ricerca (situazioni
abitative vissute e attuale condizione abitativa), abbiamo realizzato un
canovaccio di intervista, prima di procedere all’indagine sul campo.
5.2.1. I luoghi e gli intervistati
I luoghi in cui si è svolta la ricerca sono stati cinque comuni piemontesi
che rientrano nella rete regionale del Coordinamento; più precisamente le
interviste si sono svolte nelle sedi di: PIAM (Progetto Integrazione
Accoglienza Migranti) ad Asti; cooperativa sociale Crescere Insieme ad
Acqui Terme; cooperativa sociale Marypoppins ad Ivrea; Caritas Diocesana a
Biella; UPM (Ufficio Pastorale Migranti) a Torino.
Il gruppo di ricerca ha effettuato 23 interviste non strutturate,
sviluppatesi a partire dalla suddetta traccia, elastica e flessibile, che è stata
adattata di volta in volta in base agli interlocutori, alla loro conoscenza della
64
lingua, alla loro storia personale e al loro genere. Gli intervistati nei diversi
territori hanno dato origine ad un gruppo eterogeneo, come si può osservare
dai dati relativi all’età, al genere e alla provenienza.
Tabella 4: Età e genere intervistati "Ricerca Abitare"
ETA’ DONNE UOMINI TOTALE
20-30 3 10 13
30-40 7 7
40-50 1 1 2
OLTRE 50 1 1
TOTALE 5 18 23
Come risulta dalla Tabella 4, la fascia di età maggiormente
rappresentata dalle persone intervistate, in prevalenza uomini, è quella tra i
20 e i 30 anni. Se anche non si considerasse la fascia d’età, gli uomini
risulterebbero comunque più numerosi rispetto alle donne.
Per quanto concerne i Paesi di provenienza, quasi un terzo degli
intervistati ha origini somale ma, nonostante questa superiorità numerica, nel
complesso il quadro appare piuttosto variegato: in generale i Paesi di
provenienza appartengono a due aree geografiche: l’Africa e il Medio
Oriente.
Tabella 5: Paesi d'origine intervistati "Ricerca Abitare"
PAESE D’ORIGINE UOMINI DONNE
ERITREA 2
LIBIA 2
REPUBBLICA 1
65
Per una comprensione più approfondita della ricerca infine, è utile
sottolineare altri dati riguardanti il periodo di permanenza in Italia dei nostri
interlocutori. Si è cercato, infatti, di limitare l’indagine a persone che
vivessero in Italia da almeno un anno, non necessariamente in Piemonte, per
focalizzare l’attenzione su permanenze più continuative e verificare quale sia
e come cambi la condizione abitativa.
Tabella 6: Presenza sul territorio italiano degli intervistati "Ricerca Abitare"
DEMOCRATICA CONGO
SOMALIA 5 4
MALI 1
IRAQ 1
RWANDA 1
AFGHANISTAN 2
SUDAN 3
IRAN 1
PRESENZA IN ITALIA UOMINI DONNE
≤ 1 ANNO
1 < X ≤ 3 ANNI 7 3
3 < X < 5 ANNI 5 1
5 < X < 7 ANNI 4 1
> 7 ANNI 2
66
Come si può osservare dalla Tabella 6, il tempo di permanenza sul
territorio nazionale maggiormente rappresentato è compreso tra 1 e 3 anni,
mentre risulta nettamente ridotto il numero di coloro che abitano in Italia da
più di 7 anni.
5.2.2 Tipologia di strutture abitative
Come si è già sottolineato, agli interlocutori sottoposti alle interviste si
è richiesto in primo luogo di descrivere gli spostamenti che hanno compiuto
dal loro arrivo in Italia ad oggi (sul territorio nazionale ma anche eventuali
periodi trascorsi in altri Paesi Europei) per comprendere quali strutture
abitative caratterizzano il percorso di un richiedente protezione internazionale
e per capire quanto, secondo la percezione personale, possa variare la
valutazione delle stesse e la considerazione che i soggetti hanno dei diversi
luoghi di accoglienza.
Come si può osservare dalla Tabella 7, nella quale si è cercato di
raffigurare tutti i luoghi attraverso i quali sono transitati almeno una volta i
richiedenti protezione intervistati, la maggior parte ha vissuto, per il primo
periodo dopo l’arrivo in Italia, nelle strutture definite di prima accoglienza: i
CARA, i CIE e gli SPRAR.
Tabella 7: Strutture abitative abitate dagli intervistati "Ricerca Abitare
STRUTTURE PERSONE CHE CI HANNO
ABITATO
CIE 3
CARA 17
SPRAR 12
DORMITORIO 8
COMUNITÀ 9
FAMIGLIE ITALIANE 2
APPARTAMENTI CONDIVISI 16
APPARTAMENTI SOLI/CON 11
67
FAMIGLIA
CASA OCCUPATA 5
RESIDENZA UNIVERSITARIA 1
ALTRO (PONTI, STRADE,
GIARDINI, STAZIONE)
3
Per chi arriva da sud, via mare, appare una tappa obbligata l’isola di
Lampedusa e poi essere prontamente trasferito presso i CARA di Bari o di
Crotone, che vengono descritti come luoghi molto affollati, in cui le persone
vivono in container che arrivano ad ospitare 6-8 persone ciascuno, con
regole e orari precisi e pasti distribuiti senza particolare riguardo alle
esigenze personali. Ciononostante non vengono ricordati come esperienze
negative o traumatiche: al contrario, spesso risultano essere delle soluzioni
abitative migliori rispetto a quanto vissuto successivamente, dopo il
riconoscimento della protezione richiesta.
Totalmente differente è la descrizione che riguarda i CIE, che vengono
rappresentati come vere e proprie prigioni in cui non solo ci sono regole e
orari rigidi e inflessibili ma si viene anche privati della libertà e non si viene
considerati né informati sulla propria condizione e sulle leggi e le normative
che riguardano il proprio caso.
Degna di nota risulta essere la varietà di soluzioni abitative
sperimentate dagli interlocutori in seguito al periodo di prima accoglienza.
Alcuni sono rientrati in progetti SPRAR o, nel caso di coloro che si sono
trasferiti in Piemonte, in progetti del Coordinamento Non Solo Asilo, che
prevedevano l’inserimento in centri collettivi preposti all’accoglienza integrata
con la condivisione degli spazi con connazionali o migranti provenienti da
altri Paesi, o in appartamenti condivisi o comunità alloggio la cui gestione è
garantita o agevolata dal progetto stesso.
Inoltre rientra nelle soluzioni di accoglienza integrata che due dei
nostri interlocutori hanno vissuto, il tentativo di inserimento in famiglie italiane
disposte ad ospitare i migranti. Stando ai loro racconti, la principale difficoltà
incontrata in questo tipo di esperienza è legata alle abitudini di vita molto
68
diverse da quelle del Paese d’origine e ad una scansione temporale molto
rigida (connessa con gli orari dei pasti, la sveglia, il rientro a casa).
Tuttavia, come è già stato ampiamente sottolineato, i posti SPRAR
risultano essere insufficienti rispetto al numero di coloro che dovrebbero
godere dell’accoglienza e molti degli interlocutori che hanno ricevuto una
forma di protezione e, con essa, la possibilità di vivere regolarmente sul
territorio nazionale, a parità di diritti con i cittadini italiani, hanno dovuto
abbandonare le strutture di prima accoglienza e cercare una sistemazione
autonomamente.
Trovare una casa con una disponibilità di denaro limitata e
conoscendo poco o niente della lingua del Paese in cui ci si trova (condizioni
che accomunavano la maggior parte degli interlocutori all’uscita dai
CARA/CIE), sono elementi di difficoltà che spesso conducono queste
persone a ritrovarsi in situazioni di disagio e abbandono. Per molti degli
interlocutori la scelta della destinazione all’uscita dai luoghi di prima
accoglienza è stata dettata dalla presenza di parenti, connazionali o amici in
altre città ma questo elemento non ha garantito loro la risoluzione del
“problema alloggio”. Alcuni degli intervistati raccontano infatti di aver vissuto
anche per lunghi periodi in strada o nei giardini pubblici, sotto i ponti, in
stazione o in stabili occupati. Quest’ultima soluzione è diffusa soprattutto
nelle grandi città (Roma, Milano, Torino), dove il fenomeno delle case
occupate sta diventando una risposta per fasce di popolazione indigente e
senza casa.
Dai racconti degli interlocutori che hanno provato questa esperienza,
appare evidente la condizione di disagio vissuta e le difficoltà affrontate,
legate all’estrema disparità dei abitanti e alla mancanza di servizi e generi di
prima necessità.
Infine, alcuni degli interlocutori hanno vissuto per un periodo nei
dormitori, strutture normalmente preposte all’accoglienza degli indigenti ma
anche definite extra-SPRAR, perché forniscono anche ai rifugiati e ai titolari
di protezione che non rientrano nei progetti di accoglienza integrata un letto,
un pasto e servizi igienico-sanitari. Anche questa soluzione risulta essere,
69
dai racconti degli interlocutori, precaria e difficile per l’eterogeneità degli
utenti, con cui spesso risulta complesso convivere e per l’estrema rigidità
degli orari dei pasti, del riposo e di entrata e uscita dalle strutture. È stato
riportato dalla maggior parte di coloro che hanno vissuto un periodo in
dormitorio l’estrema problematicità del trascorrere tutta la giornata
all’addiaccio (specialmente nella stagione invernale) a causa della chiusura
diurna dei ricoveri.
Infine il disagio maggiore per le persone che hanno vissuto o vivevano
in dormitorio (per alcuni degli intervistati era una situazione contingente) è
determinato dall’idea di dover considerare una sistemazione che dovrebbe
essere momentanea ed emergenziale come duratura e permanente.
5.2.3. Cause di disagio e difficoltà
Alla luce delle molteplici esperienze abitative e della quantità di
cambiamenti che ciascuno degli intervistati ha vissuto, si è cercato di
estrapolare dalle interviste quali fossero i motivi condivisi o più diffusi che
hanno provocato maggiore disagio e sofferenza all’interno delle strutture
adibite all’accoglienza e nei percorsi di integrazione. È emerso che per molti
degli interlocutori il periodo di prima accoglienza è stato problematico a
causa delle difficoltà legate alla lingua (la maggior parte di loro non
conosceva l’italiano), aggravate dall’assenza di una formazione linguistica
all’interno delle strutture. Inoltre gli interlocutori evidenziano la mancanza di
chiarezza e disponibilità da parte delle autorità competenti (CARA, Questure
e Prefetture) nel fornire informazioni relative alla domanda d’asilo e alle
tempistiche connesse con questa scelta e l’estrema rigidità del personale
addetto all’informazione e alla vigilanza delle strutture. A causa di questa
carenza molti degli interlocutori hanno intrapreso percorsi non realmente
desiderati e non pienamente consapevoli delle conseguenze che la domanda
che presentavano, avrebbe determinato.
Alcuni hanno manifestato il desiderio di andare a vivere in altri Paesi
europei (Francia, Svizzera, Inghilterra, Norvegia, Svezia e Olanda) ma chi ha
tentato di farlo, per raggiungere familiari o conoscenti o per fuggire dall’Italia
70
in cerca di condizioni migliori, è stato inviato nuovamente nel nostro Paese,
nel rispetto della normativa comunitaria che lo considera come Stato
competente della loro richiesta20 e li lega ad esso in maniera irreversibile. Il
confronto con i connazionali o i familiari che vivono in altri Paesi d’Europa e
che spesso raccontano di esperienze di accoglienza e inserimento positive
che non si possono condividere, acuiscono negli interlocutori il desiderio di
fuga e la sensazione di essere vittime di ineguaglianze di trattamento
all’interno dei Paesi europei.
Un’altra difficoltà emersa dagli incontri è rappresentata
dall’inserimento in progetti che spesso risultano frammentari e parziali, non
solo in ambito abitativo ma anche formativo e lavorativo e non consentono la
valorizzazione delle competenze e delle capacità delle persone coinvolte,
violando uno dei presupposti dell’accoglienza integrata. In particolare, sulla
questione abitativa, è evidente la mancanza di un programma di supporto
alla casa che sia omogeneo e diffuso in tutta la regione Piemonte e la
disgregazione degli aiuti economici determina nuove disparità di trattamenti
nei confronti di persone aventi teoricamente uguali diritti.
Attualmente la precaria situazione lavorativa condivisa dai cittadini
italiani rende difficile anche per i rifugiati che vivono in una casa propria, con
la famiglia o in condivisione con altri migranti, il pagamento delle spese di
locazione e gestione, generando nuovamente una sensazione di instabilità.
Infine risulta motivo di sorpresa e di malessere, la complessità
nell’instaurare buoni rapporti di vicinato. Questo aspetto è emerso
prevalentemente dai racconti di coloro che vivono in condominio, i quali
sottolineano la difficoltà di dialogo (non solo dovuta alla parziale conoscenza
della lingua italiana) e di scambio reciproco con gli altri condomini. La
tematica è messa in evidenza da molti interlocutori perché, a quanto
riferiscono, i rapporti di vicinato nei loro Paesi di provenienza sono
considerati una risorsa preziosa per la costruzione di legami stabili e per la
risoluzione dei problemi e delle difficoltà.
20 Regolamento Dublino II (2003/343/CE).
71
5.2.4. Elementi positivi nelle esperienze vissute
Dai dialoghi con gli interlocutori è emerso quale denominatore comune
l’importanza delle relazioni che spesso hanno garantito un miglioramento o
una maggiore tolleranza della situazione vissuta. Se si focalizza l’attenzione
sull’accoglienza, gli operatori che lavorano nel settore risultano per molti
degli interlocutori persone di fiducia e di riferimento che hanno facilitato i
percorsi personali, fornendo informazioni utili e orientandoli nelle scelte
formative e nella ricerca abitativa e lavorativa.
Inoltre risultano fondamentali le reti di connazionali, che
rappresentano dei riferimenti sicuri per il mutuo aiuto e lo scambio di
informazioni e che spesso determinano la mobilità sul territorio e la scelta
della destinazione. La comunità somala, che è molto presente sul territorio
regionale piemontese e costituisce la nazionalità più numerosa tra gli
intervistati nella ricerca sull’abitare, ne è un valido esempio; molti dei nostri
interlocutori hanno raccontato di aver usufruito dell’aiuto di connazionali per
trovare una prima sistemazione abitativa, anche se di fortuna, per avere
informazioni, per orientarsi nel nuovo contesto e sapere a chi rivolgersi.
Risultano positive anche le esperienze di coabitazione in alloggio con
conoscenti, connazionali o amici ma anche con persone incontrate nelle fasi
del percorso migratorio o nelle strutture di prima accoglienza. Alcuni degli
intervistati vivono infatti in piccoli appartamenti con altre 3 o 4 persone e tutti
descrivono la convivenza come un buon compromesso che permette loro di
avere uno spazio personale proprio in una dimensione collettiva.
Elencati i principali aspetti positivi che accomunano le molteplici
esperienze vissute dagli interlocutori, mi sembra importante menzionare un
esempio di prima accoglienza che ha funzionato egregiamente in base alle
testimonianze degli intervistati e che si inserisce nel vasto e controverso
contesto dell’emergenza Nord Africa. Come già descritto in precedenza, lo
stato di emergenza umanitaria è stato dichiarato in Italia nel 2011, in seguito
alle proteste che sono imperversate nel Nord Africa. L’arrivo di persone
provenienti dai Paesi stravolti dalle ribellioni sul territorio nazionale è stato
72
gestito dalla Protezione Civile, che ha inviato i profughi nei diversi territori
regionali per assegnarli alle strutture di accoglienza.
Fra gli organismi convenzionati per l’accoglienza dei richiedenti asilo in
Piemonte, la Caritas Diocesana nel Comune di Asti si è distinta
positivamente con un modello costruttivo di accoglienza e con una gestione
previdente delle risorse economiche stanziate per l’emergenza. Il 7 maggio
2011, all’Oasi dell’Immacolata di Asti, sono stati accolti trentuno richiedenti
originari della Somalia, uomini, donne e 3 bambini ai quali si sono poi
aggiunti due ricongiungimenti (2 uomini che erano stati separati dalle mogli
nel caos dell’arrivo) e altri 3 giovani trasferiti da una struttura alberghiera
sovraffollata (www.viedifuga.org).
In base a quanto riportato dagli stessi intervistati, la scelta di ospiti
aventi la stessa nazionalità e con i medesimi usi e costumi ha favorito la
buona convivenza, permettendo la nascita di rapporti duraturi, la formazione
di un gruppo coeso e evitando le difficoltà di convivenza determinate dalle
differenze culturali.
I 36 ospiti, sono stati affiancati da 4 operatori e da una trentina di volontari
ma il buon esito di questa gestione è da attribuirsi all’autogestione del gruppo
nell’organizzazione della casa; gli ospiti si sono occupati della pulizia dei
locali, della lavanderia, della cucina e della cura dell’orto realizzato in un
angolo del parco. Di conseguenza gli operatori hanno avuto un ruolo
accessorio, occupandosi di aspetti più tecnici come la gestione della spesa e
riuscendo a coinvolgere altri enti, associazioni e volontari per la realizzazione
di attività all’interno della struttura (mediazione culturale, animazione, corsi
d’italiano, donazione di indumenti, il “bilancio delle competenze”
personalizzato per aiutare nella ricerca di un lavoro).
Tutti gli intervistati che abbiamo incontrato ad Asti avevano trascorso il
periodo di prima accoglienza all’Oasi e ci tenevano a sottolineare la positività
dell’esperienza: ognuno di loro aveva una stanza singola con bagno, poteva
partecipare ai corsi di italiano tenuti dai volontari all’interno della casa e
ciascuno svolgeva un’attività organizzata (le donne hanno raccontato di aver
imparato a cucinare dei dolci con la crema e alcuni degli uomini facevano
73
l’orto nel parco, apprendendo le tecniche di coltivazione di ortaggi che non
conoscevano in Somalia). Inoltre sottolineavano l’importanza del confronto e
del dialogo, favorito dal numero cospicuo di abitanti e volontari sempre
disposti all’ascolto.
La convenzione di Asti è scaduta, come tutte le altre, il 31 dicembre
2012 ma la Caritas diocesana si è distinta anche nella gestione della
cessazione dello stato di emergenza, lavorando su percorsi di accoglienza di
“secondo livello” per piccoli nuclei sul territorio e per l’inserimento in borse
lavoro e tirocini formativi. Infatti gli interlocutori incontrati ad Asti ad aprile
2013 hanno rivelato di vivere in appartamenti condivisi con 4 o 5
connazionali e alcuni di loro stavano svolgendo attività formative e tirocini. La
buona gestione dei fondi stanziati per l’emergenza permetterà a queste
persone di avere una sistemazione stabile fino a giugno 2013 e di aver avuto
l’occasione di crearsi una rete sul territorio che potrebbe risultare
determinante per il loro futuro.
Capitolo 6
Accoglienza e situazione abitativa a Torino
Ho scelto di svolgere l’ultima parte della ricerca sull’accoglienza dei
rifugiati concentrandomi sulle situazioni vissute nella città di Torino, per
capire che cosa offre la realtà urbana a queste persone e quali sono le
mancanze. Mi è stato possibile fare quest’indagine presso la sede dell’Ufficio
Pastorale Migranti (UPM) grazie alla disponibilità del direttore Sergio
Durando e degli operatori che mi hanno aiutata a contattare le persone che
74
hanno partecipato personalmente alle interviste raccontandomi la loro
esperienza. La ricerca è stata realizzata basandosi su una traccia indicativa
composta da domande volte ad indagare l’esperienza di prima accoglienza
vissuta dagli interlocutori, le difficoltà incontrate nella presentazione della
richiesta d’asilo e la situazione abitativa contingente, con le difficoltà
connesse, vissuta a Torino.
6.1. Gli intervistati
La traccia di intervista elaborata è stata utilizzata in maniera flessibile,
nel tentativo di guidare la conversazione sugli argomenti accennati
precedentemente ma permettendo agli interlocutori di condividere le
informazioni e le sensazioni che ritenevano importanti. In totale, i protagonisti
delle interviste sono stati 10, 8 uomini e 2 donne, di età compresa tra i 20 e i
48 anni, titolari dello status di rifugiato o della protezione umanitaria.
Come già accennato, la protezione umanitaria viene riconosciuta al
richiedente protezione internazionale quando la Commissione Territoriale,
pur non accertando la sussistenza di esigenze di protezione internazionale,
ritiene che esistano seri motivi di carattere umanitario che giustificano la
permanenza del richiedente sul territorio nazionale: «Nei casi in cui non
accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano
sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione trasmette gli
atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi
dell’art. 5, c. 6, del D.Lgs. n. 286/98» (art. 32 D.Lgs. 25/08).
La provenienza degli interlocutori, come si può osservare dalla Tabella
8, è varia ed eterogenea ma ad eccezione di un intervistato originario
dell’Iran, tutti gli altri Paesi, appartengono al continente africano.
Tabella 8: Paesi di provenienza "ricerca Torino"
PAESE DI PROVENIENZA UOMINI DONNE
NIGERIA 1
ETIOPIA 2
75
IRAN 1
SUDAN 1
EGITTO 1
GHANA 1
CONGO 1
CAMERUN 1
GUINEA 1
TOTALE 8 2
Infine, se si osservano i dati forniti nella Tabella 9, relativi all’anno di
arrivo in Italia degli interlocutori, emerge che nessuno di loro risiede sul
territorio nazionale da più di sei anni e 2 dei 3 interlocutori che dichiarano di
essere arrivati nel 2007 sono di nazionalità etiope. Si può inoltre notare come
la metà degli intervistati sia giunta in Italia recentemente, negli anni 2010 e
2011. Tra gli arrivi recenti figurano le 2 donne intervistate, giunte sul territorio
nazionale rispettivamente nell’anno 2010 e 2011.
Tabella 9: Anno di arrivo in Italia "ricerca Torino"
ANNO DI ARRIVO IN ITALIA UOMINI DONNE
2007 3
2008 1
2009 1
2010 2 1
2011 1 1
TOTALE 8 2
76
6.2. La richiesta di protezione internazionale.
In tutte le interviste gli interlocutori sono stati invitati a raccontare ciò
che ritenevano rilevante per descrivere le situazioni di accoglienza vissute
dal momento del loro arrivo in Italia, a ricordare dove avessero effettuato la
richiesta di asilo e quale fosse stata l’assistenza ricevuta o le eventuali
difficoltà affrontate.
Nessuno degli intervistati è arrivato direttamente dal Paese d’origine a
Torino ma 4 di loro hanno scelto la città come destinazione non appena sono
giunti sul territorio italiano. Arrivati in città hanno effettuato la richiesta d’asilo
presentandosi in Questura ed è curioso come siano concordi nel ricordare di
non aver ricevuto nessuna informazione sulla procedura e le tempistiche
della domanda di protezione internazionale. Questa mancanza rappresenta
la negazione di un diritto che le autorità competenti dovrebbero assolvere nei
confronti dei richiedenti (Direttiva 2004/83/CE).
Gli altri 6 interlocutori, invece, hanno trascorso i primi mesi in Italia nei
Centri di Accoglienza o nei Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo e
hanno presentato la richiesta di protezione all’interno delle strutture dove
pare che la maggior parte di loro abbia ricevuto un trattamento migliore: molti
raccontano di aver usufruito dell’aiuto di un mediatore e di essere stati
informati sulle diverse fasi che si sarebbero susseguite prima dell’eventuale
riconoscimento.
Nel periodo vissuto nei CARA, gli interlocutori segnalano le difficoltà
determinate dal numero ingente di abitanti che vengono ospitati nelle
strutture e dalla convivenza tra individui molto diversi per cultura e
provenienza. Inoltre, dalle parole degli intervistati, si ha la sensazione che il
tempo trascorso nelle strutture di accoglienza sia stato percepito come un
tempo perduto; uno degli intervistati dichiara chiaramente che non c’era
niente da fare, neanche un corso di italiano.
6.3. Vivere a Torino.
Nel cercare di comprendere quali siano i percorsi di accoglienza dei
rifugiati a Torino, emerge con estrema chiarezza la mancanza di un
programma che garantisca a tutti un medesimo percorso o, perlomeno,
77
un’assistenza duratura e programmata. Come già descritto in precedenza,
anche nella regione Piemonte e nella città di Torino i posti SPRAR sono
inferiori al numero di persone che dovrebbero essere inserite in un progetto
di accoglienza integrata e, pertanto, si è sviluppata una serie di realtà di
seconda accoglienza (anche emergenziali in seguito alla dichiarata
Emergenza Nord Africa), gestita da associazioni del terzo settore che
realizzano progetti di ospitalità e inserimento, finanziati dai Fondi per i
Rifugiati (nazionale ed europeo). A questi si aggiungono i posti destinati agli
indigenti di cui dispone la città (dormitori e mense) che vengono definiti
anche extra-SPRAR poiché, sempre più spesso, ospitano anche beneficiari
di protezione internazionale che non riescono ad essere inseriti in alcun
progetto.
In base ai dati forniti dagli interlocutori, le realtà in cui hanno vissuto o
sono stati accolti nel primo periodo dall’arrivo a Torino sono molteplici e
variabili, pertanto ho tentato di realizzare una panoramica delle esperienze
che vengono illustrate nella Tabella 10, raffigurando tutte le fasi sperimentate
dai 10 intervistati.
Tabella 10: Luoghi di accoglienza a Torino “ricerca Torino”
LUOGHI DI ACCOGLIENZA NEMERO DI UTENTI
SECONDA ACCOGLIENZA (ASSOCIAZIONI
E/O FONDAZIONI)
2
ACCOGLIENZA SERALE/NOTTURNA
(DORMITORI, SERMIG)
4
PROGETTO SPRAR 1
APPARTAMENTO CONDIVISO 2
STAZIONE PORTA NUOVA 2
78
OSPITALITÀ (CONNAZIONALI, AMICI…) 3
CASA OCCUPATA 2
È rilevante che 4 persone su 10, abbiano vissuto un periodo in una
struttura di ospitalità notturna, arrivando a considerare una situazione che
dovrebbe essere emergenziale come duratura. Il Sermig risulta tra gli enti
che si sono dati disponibili a Torino per offrire ospitalità notturna durante
l’Emergenza Nord Africa, e nel 2011 ha accolto residenzialmente 134
profughi, alcuni dei quali risultano essere tra gli intervistati (www.sermig.org).
Le sensazioni provate dagli interlocutori ospitati sono simili e
sottolineano la difficoltà del vivere con tante persone diverse e con abitudini
differenti per molto tempo (parlano di mesi) e il dover sottostare a regole
intransigenti e orari rigidi di entrata e uscita dalla struttura che li
costringevano a trascorrere la giornata all’aperto.
La complessità della convivenza “forzata” con persone molto diverse,
emerge anche tra coloro che sono stati ospitati dalla Fondazione Dravelli,
ente resosi anch’esso disponibile per l’accoglienza ENA. Mi ha colpito inoltre
che 2 dei 10 interlocutori hanno vissuto, in periodi diversi, nella stessa casa
occupata, uno stabile sito in Via Paganini angolo Via Bologna occupato da
alcuni rifugiati nel 2007 e attualmente ancora abitato da una sessantina di
persone (www.migrantitorino.it).
Uno dei 2 interlocutori rimarca la complessità dell’esperienza vissuta,
dovuta non solo alle condizioni igienico-sanitarie della struttura ma anche alle
difficoltà di convivenza con persone che avevano iniziato ad avere problemi
di tabagismo e abuso di alcol. La sensazione di marginalità vissuta in una
casa occupata credo sia equiparabile alle esperienze dei 2 intervistati che
hanno trascorso le prime notti in città, alla stazione Porta Nuova e che hanno
sottolineato lo spaesamento e l’abbandono che ha caratterizzato questa fase
della loro vita.
Nella Tabella 10 figurano anche soluzioni di inserimento in progetti SPRAR o
di convivenza in appartamento che, anche se di breve durata, sono descritte
come esperienze positive dagli interlocutori.
79
Infine alcuni interlocutori parlano di un’esperienza di “rifugio diffuso”: si
tratta di un progetto di inserimento in famiglie di Richiedenti Asilo o titolari di
protezione umanitaria, che si sviluppa dalla collaborazione tra il Comune di
Torino, le famiglie disponibili e alcune associazioni del territorio (La Tenda,
ASAI, ARCI, Almaterra). L’affidamento dura per un periodo di 6 mesi
rinnovabile per altri 6, qualora il percorso verso l’autonomia non fosse ancora
completato, percorso che si sviluppa attraverso l’apprendimento della lingua
italiana, la formazione professionale e la ricerca del lavoro.
(www.comune.torino.it).
Confrontando invece i dati relativi al primo periodo trascorso a Torino
con quelli che si riferiscono alla situazione abitativa degli interlocutori al
momento dell’indagine (maggio 2013) raffigurati nella Tabella 11, si può
osservare come solo alcuni dei contesti abitativi iniziali figurano ancora tra i
parametri presenti.
Tabella 11: Situazione abitativa a Torino “ricerca Torino”
SITUAZIONE ABITATIVA UOMINI DONNE
APPARTAMENTO AUTONOMO 3 2
APPARTAMENTO CONDIVISO 2
ACCOGLIENZA NOTTURNA 1
CASA OCCUPATA 1
LUOGO DI LAVORO 1
TOTALE 8 2
80
La metà delle persone intervistate nel mese di maggio viveva in
appartamento autonomo, da solo o con qualche familiare, lamentando però
la difficoltà di pagare l’affitto a causa della perdita del lavoro. La recente
perdita del lavoro o l’impossibilità di trovare un’occupazione e di avere
un’entrata fissa rappresentava una complicazione per la maggioranza degli
intervistati, determinando nuovamente una sensazione di precarietà e
rendendo impossibile una progettualità futura. Infatti avere un lavoro
determina chiaramente la possibilità di avere una casa che per gli
interlocutori è una condizione fondamentale per poter ottenere la residenza e
poter completare i percorsi di ricongiungimento familiare che si vogliono
intraprendere o che sono già in corso. Solo uno degli intervistati al momento
dell’indagine usufruiva ancora dei servizi di ospitalità notturna nonostante un
periodo di permanenza in città ormai duraturo.
Infine, uno degli interlocutori viveva ancora nella casa occupata di via
Paganini ma manifestava l’intenzione di abbandonare lo stabile non appena
avesse trovato una casa propria che potesse garantirgli il riconoscimento dei
propri diritti e consentirgli il ricongiungimento familiare.
6.4. Diritti negati
Dall’indagine sulla situazione abitativa che vivono i rifugiati e i titolari di
protezione a Torino emergono con evidenza alcune problematiche che li
accomunano e costituiscono una violazione dei diritti di cui queste persone
dovrebbero godere. La Direttiva comunitaria 2004/83/CE, che è stata
recepita dall’Italia con il D.Lgs.251/07, stabilisce che il Paese ospitante
dovrebbe garantire il diritto ad una sistemazione adeguata ma è evidente
dalle testimonianze raccolte che spesso non viene rispettata. Non ci sono
posti sufficienti nel Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati e
questo comporta il ricorrere ad un sistema di accoglienza emergenziale che
81
spesso determina un dispendio di risorse senza la realizzazione di un
progetto di accoglienza integrata e mirata all’inserimento di queste persone.
Inoltre, proprio per queste mancanze, si sviluppano delle soluzioni abitative
che costringono i rifugiati a vivere in una condizione di marginalità e degrado,
che vengono tollerate per mancanza di un programma organico. È il caso
degli stabili occupati che, soprattutto nelle grandi città, risultano essere
sempre più spesso una soluzione per tutti coloro che non hanno altre
alternative.
A Torino la prima occupazione da parte di rifugiati risale al 2007,
quando un’ottantina di persone si stabilirono in Via Bologna angolo Via
Paganini per mancanza di soluzioni alternative e, come è emerso dalle
interviste, l’ex caserma dei vigili urbani è ancora occupata e abitata dai
rifugiati. Negli anni si sono susseguiti altri episodi di occupazione, fino
all’ultima che si è verificata il 30 marzo 2013, quando migranti e rifugiati si
sono impossessati di alcune palazzine disabitate dell’ex villaggio olimpico, in
Via Giordano Bruno. Le occupazioni costringono gli abitanti, titolari di
protezioni riconosciute dallo Stato italiano, a vivere in condizioni precarie e
senza il diritto a godere di servizi di assistenza minimi che dovrebbero essere
garantiti. Spesso la sopravvivenza è determinata dall’aiuto di privati e
associazioni del terzo settore ma non dalle istituzioni.
Un problema diffuso per tutti coloro che vivono negli stabili occupati o
in altre condizioni precarie (dormitori, comunità), che come si è visto dalle
interviste, sono soluzioni diffuse tra i rifugiati e i titolari di protezione, è la
negazione della residenza che genera una serie di impedimenti.
La residenza è un diritto/dovere del cittadino sia italiano sia straniero che
risiede abitualmente in un territorio. Per richiedere il certificato di residenza e
la carta d’identità ci si deve rivolgere all’Ufficio Anagrafe del Comune, che
avrà bisogno dell’indirizzo di dimora abituale della persona e di un
documento di riconoscimento della persona da registrare. L'iscrizione
anagrafica può essere richiesta dai cittadini stranieri maggiorenni titolari di
permesso di soggiorno di durata superiore a 3 mesi, quindi anche dai
richiedenti asilo con permesso di soggiorno semestrale. Si deve richiedere
82
l’iscrizione anagrafica al Comune dove si è eletto il domicilio e, dopo i
controlli della polizia municipale, si ottiene, qualora se ne abbiano i requisiti,
la residenza.
I documenti necessari per l’iscrizione anagrafica sono:
• permesso di soggiorno
• dichiarazione di cessione di fabbricato (a titolo oneroso o gratuito) o
dichiarazione di ospitalità
• documento di identità. Qualora il rifugiato non abbia il documento di viaggio,
o per la persona in protezione sussidiaria o umanitaria il relativo titolo di
viaggio o ancora nel caso del richiedente asilo (che ha consegnato i suoi
documenti al momento della presentazione della domanda d’asilo), il
documento d’identità può essere sostituito dalla presenza fisica di due
testimoni, muniti di documento, che garantiscano l’identità del richiedente
• per i rifugiati e in protezione sussidiaria: certificato di riconoscimento dello
status.
Una volta ottenuta la residenza si può richiedere il rilascio della Carta
d’identità, valida solo per l’Italia e da esibire sempre accompagnata dal
permesso di soggiorno valido.
A Torino la residenza viene riconosciuta, oltre che alle persone di
qualsiasi nazionalità che vivono in un domicilio certo, anche agli italiani che
invece non hanno un alloggio stabile. Sono i cosiddetti Senza Dimora (SD)
che vivono ai margini della società ma che possono accedere ai servizi
torinesi grazie all'istituzione di due indirizzi fittizi: “Via della Casa Comunale
numero 1 e numero 2”. Purtroppo a questi indirizzi non possono accedere i
rifugiati politici e i titolari di protezione internazionale allorquando vivano in
condizioni precarie (dormitori, comunità, case occupate). Siccome la
residenza è un diritto-dovere stabilito dalle normative nazionali, nel mese di
gennaio 2011 il Coordinamento Non Solo Asilo ha iniziato un percorso per
sollecitare il Comune ad affrontare il problema ed individuare delle soluzioni
ma attualmente ancora nulla è stato fatto.
Il riconoscimento delle residenza è un aspetto fondamentale poiché
senza non si ha un indirizzo in cui ricevere le comunicazioni ufficiali, non si
83
può accedere ai servizi sociali, non si può avere la carta di identità, senza la
quale non è possibile avere la patente di guida, iscriversi all'Università, aprire
una partita IVA, iscriversi alle agenzie interinali e ai centri per l'impiego,
aprire un conto corrente bancario o postale. Oltre tutto il mancato
riconoscimento della residenza ritarda la possibilità ai rifugiati di richiedere la
concessione della cittadinanza che, per chi è in possesso di regolare
permesso di soggiorno per asilo politico, può essere richiesta dopo 5 anni di
residenza continuativa e complica il rinnovo dello stesso permesso di
soggiorno (www.nonsoloasilo.org).
Il riconoscimento della residenza è solo uno degli esempi di violazione
dei diritti che i rifugiati sono consapevoli di subire. Molti dichiarano di aver
ricevuto una protezione che non garantisce loro nessuna tutela e che non
esiste differenza tra il riconoscimento del titolo di rifugiato e le protezioni
sussidiarie o umanitarie perché, in tutti i casi, il trattamento ricevuto è il
medesimo. Alcuni affermano di sentirsi prigionieri di questo Paese, un Paese
che ha riconosciuto loro un diritto “finto” e in cui sono costretti a rimanere
perché non possono tornare nella propria terra d’origine e non possono
andare altrove; il Regolamento Dublino II, infatti, non consente loro di
trasferirsi in altri Paesi europei e chi ha provato a farlo è stato rimandato in
Italia. La sensazione che provano è quella di sentirsi prigionieri di uno Stato
che non li tutela e non garantisce il rispetto dei diritti minimi di cui dovrebbero
godere.
Conclusioni
La ricerca condotta per realizzare questo lavoro mi ha offerto
l’opportunità di conoscere alcuni aspetti del tema dei richiedenti asilo in Italia
ma, soprattutto, mi ha dato l’occasione di confrontarmi con persone che mi
hanno dedicato il loro tempo e il racconto delle loro esperienze. Ho cercato
quindi di presentare il loro punto di vista, basandomi su delle testimonianze
che mettono in luce molte mancanze nel sistema di accoglienza italiano.
Spesso l’essere riconosciuti come rifugiati o titolari di protezione
umanitaria è percepito dai beneficiari come un riconoscimento solo teorico,
84
finto, che dovrebbe garantire dei diritti che poi vengono quotidianamente
negati. Il confronto con queste persone mi ha aiutata a considerare quanto
possa essere complesso vivere in una società di cui non ti senti parte, in cui
ti senti costretto a restare e che ti obbliga a rimanere in una condizione di
precarietà continua.
Nell’approfondire il tema dell’accoglienza e delle situazioni abitative
vissute dai beneficiari di protezione internazionale, è emerso con chiarezza
che la problematicità della questione dipende in primo luogo dall’assenza di
un programma organico e strutturato, valido per l’intero territorio nazionale.
Lo SPRAR è una risposta positiva ma insufficiente al numero di richieste e le
soluzioni alternative a questo sistema, quando ci sono, sono spesso
caratterizzate dall’emergenzialità. Questo tipo di gestione comporta un
dispendio di risorse ed energie che non danno una risposta duratura e si
concludono al termine dell’emergenza (come è accaduto con l’Emergenza
Nord Africa), ignorando l’esigenza di un sistema permanente che garantisca
ai rifugiati, che giornalmente in Italia ottengono lo status e la possibilità di
risiedere sul territorio nazionale, il riconoscimento dei loro diritti.
Come si è visto ci sono stati dei sistemi di accoglienza (anche durante
l’Emergenza Nord Africa) che hanno raggiunto buoni risultati, come quello
riservato ai Somali ad Asti o dei tentativi ben riusciti di inserimento,
attraverso l’accoglienza integrata sul territorio piemontese, realizzati dal
Coordinamento Non Solo Asilo ma appaiono come delle eccezioni, delle
gestioni limitate territorialmente che nascono dalla volontà di pochi. Il terzo
settore svolge nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti un ruolo
fondamentale ma, per renderlo ancora più efficace, dovrebbe essere
valorizzato e organizzato all’interno di una logica nazionale che punti al
miglioramento delle realtà presenti nelle regioni o che ne stimoli lo sviluppo.
Un altro aspetto fondamentale dell’accoglienza consiste nell’evitare
l’assistenzialismo che, in alcuni casi, si è verificato durante l’Emergenza Nord
Africa. L’assistenza non deve cronicizzarsi, deve essere un aiuto per l’inizio
di un nuovo percorso in un Paese che si propone di garantire una protezione
a chi la richiede ma che mira al conseguimento dell’indipendenza da parte
85
del rifugiato. Per il raggiungimento dell’autonomia e dell’integrazione nel
territorio, i beneficiari non possono essere trattatati come soggetti passivi di
interventi predisposti in loro favore. È importante che nei mesi di accoglienza
imparino la lingua, conoscano la realtà in cui dovranno vivere, facciano dei
percorsi formativi che possano essere utili o risolutivi per il loro futuro.
Dai risultati ottenuti nell’indagine è anche emersa l’importanza
primaria della ricerca di una soluzione abitativa il più possibile durevole e
autonoma in seguito al periodo di prima accoglienza. La precarietà abitativa
è uno dei fattori che incide maggiormente sui processi di esclusione sociale,
impedendo la stabilizzazione della persona e costringendola in una
condizione di incertezza continuativa. Pertanto risulta fondamentale nel
processo di inclusione del rifugiato un programma di mediazione e aiuto per
facilitare l’accesso al mercato immobiliare.
Infine è stata messa in risalto la questione della residenza che rende
più complessa l’integrazione e rappresenta anch’essa una violazione di un
diritto: si nega l’iscrizione anagrafica che spetterebbe al rifugiato come al
cittadino italiano e, di conseguenza, non si permette la realizzazione dei
“diritti di cittadinanza”. Questi ultimi si sostanziano nel poter accedere ai
fondamentali servizi sociali, espressione dei principi costituzionali di
eguaglianza sostanziale21e di solidarietà22 (www.governo.it).
La ricerca sull’accoglienza e la situazione abitativa sottolinea la
complessità del fenomeno dei rifugiati ma rimarca la necessità palese di
nuove prospettive e del potenziamento delle buone prassi nel rispetto della
Convenzione di Ginevra che obbliga l’Italia a dare protezione a chi temendo
a ragione, di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni
politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a
causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure
che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva
21 Costituzione italiana, 1948, art. 3 22 Idem, art.2
86
residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi
per il timore di cui sopra" 23(www.interno.gov.it).
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rifugiati in Italia, Roma, Avagliano.
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www.governo.it
www.hrw.org
www.interno.gov.it
www.meltingpot.org
www.migrantitorino.it
www.migreurop.org
www.naga.it
www.nonsoloasilo.org
www.prefettura.it
www.programmaintegra.it
www.sermig.org
91
Intervista n.1
Nome: B. J.
Cognome: G.
Genere: M
Età: 20 anni
Luogo di nascita: Ghana
Status attuale: titolare di protezione umanitaria
Quando e dove sei arrivato in Italia?
Sono arrivato a luglio 2011 a Lampedusa ma sono rimasto lì solo due
settimane. Dopo sono stato a Manduria (centro di prima accoglienza ENA, ex
aeroporto militare) dove c’erano tante persone. Dormivamo in tende da
cinque o sei persone. Sono rimasto a Manduria un mese ed è stato difficile.
Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?
Da Manduria mi hanno trasferito a Torino (settembre 2011) e sono stato in
un Centro di Accoglienza fino a marzo 2013. Anche qui c’erano molte
persone provenienti da Paesi diversi, molti africani e dormivo in una camera
condivisa.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?
A Torino ho presentato la richiesta di protezione internazionale e al centro di
accoglienza mi hanno aiutato a capire come fare e mi hanno dato le
informazioni.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Vivo in un appartamento condiviso con altri quattro ragazzi e dormo in una
stanza con 2 di loro.
92
Mi trovo bene qui anche perché posso parlare l’italiano (cosa che non facevo
nel centro) ma a volte c’è qualche problema di convivenza (disturbo
reciproco in stanza).
Qui ho iniziato a cucinare da solo, prima non lo facevo perché nei centri i
pasti ci venivano preparati e in Ghana non ho mai cucinato. Cucino riso e
verdure ma il problema è avere i soldi per andare a fare la spesa.
Non so quanto mi fermerò in questo appartamento e questo è un problema
per ottenere la residenza (non può indicare l’attuale indirizzo come
residenza).
Da quando sono a Torino ho fatto un corso alberghiero e ho frequentato i
corsi di italiano in ASAI (Associazione di Animazione Interculturale).
93
Intervista n.2
Nome: H.
Cognome: R.
Genere: M
Età: 48 anni
Luogo di nascita: Congo
Status attuale: rifugiato
Quando e dove sei arrivato in Italia?
Sono arrivato in Italia il 27 novembre 2007 a Roma ma ci sono rimasto solo
poche ore (cinque ore). Poi ho preso il treno per Trento ma ho sbagliato
fermata e mi sono ritrovato a Torino.
Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?
Ho passato le prime due notti a Torino alla stazione Porta Nuova e poi grazie
all’aiuto di un connazionale sono andato a fare colazione in via Nizza (Casa
Santa Luisa per persone senza dimora, via Nizza 24, apertura: lunedì-sabato
7.30-8.30 (solo colazione), dove mi hanno suggerito di andare in Questura.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?
Ho presentato la richiesta di protezione internazionale ma gli agenti non mi
hanno dato nessuna informazione a riguardo. Sono andato all’audizione
presso la Commissione Territoriale a Roma e ho ottenuto il riconoscimento
dopo tre anni (dopo aver presentato ricorso) durante i quali, ho vissuto al
centro di accoglienza di via Negarville (Casa del Mondo Unito, via Negarville
94
30/2). Ho fatto un corso di italiano all’UPM (Ufficio Pastorale Migranti) e un
corso professionale per decoratori.
Dopo sei mesi ho dovuto lasciare il centro e sono andato a dormire al
Sermig. I due mesi vissuti lì sono stati molto difficili a causa della convivenza
con persone diverse e gli orari di entrata e uscita (20.30-7.00) che ti
obbligavano a stare tutto il giorno all’addiaccio.
Quando ho trovato lavoro, ho affittato un appartamento con un amico che
avevo conosciuto in via Negarville ma a dicembre 2013 abbiamo perso
entrambi il lavoro e ci hanno mandato fuori casa perché non potevamo più
pagare l’affitto.
Dove vivi adesso?Quali sono le difficoltà?
Adesso vivo a casa di un anziano signore che ho incontrato alla stazione di
Porta Nuova (dopo aver perso la casa e il lavoro ero tornato a dormire in
stazione). Lo aiuto nelle faccende di casa perché lui non sta bene e in
cambio mi da un posto dove vivere. La convivenza è molto difficile, a volte
riusciamo a parlare e mi ha raccontato di aver vissuto in Congo per molti anni
ma spesso grida e beve molto.
95
Intervista n.3
Nome: M.
Cognome: K.
Genere: M
Età: 35 anni
Luogo di nascita: Guinea
Status attuale: rifugiato
Quando e dove sei arrivato in Italia?
Sono arrivato in Italia il 10 ottobre 2010 a Milano. Sono subito andato a
Cuneo perché conoscevo una ragazza che viveva lì e ci sono rimasto fino a
novembre 2011.
Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?
Mi sono trasferito a Torino e ho presentato la richiesta di protezione a
maggio 2012.
Sono andato all’ufficio stranieri che mi ha inserito nelle liste d’attesa per un
posto letto e mi ha mandato a fare le visite mediche di controllo.
Mi hanno trovato un posto letto al Sermig (Borgo Dora 61), ma è stato difficile
vivere qui. C’erano orari inflessibili di entrata e uscita (20.30 - 7.00) ed era
complicato stare tutto il giorno fuori, al freddo. Per stare al caldo andavo in
biblioteca o al corso di italiano. Le stanze erano piccole, c’erano tante
persone diverse e c’erano orari per guardare la Tv e andare a dormire.
96
Dopo sono stato mandato alla Fondazione Dravelli (centro individuato per
l’accoglienza ENA) e ho trascorso lì sei mesi, fino al 22 aprile 2013.
Anche qui c’erano orari di entrata e uscita (18.00 – 9.30) ma sono stato
meglio che al Sermig non c’erano tante regole si poteva stare quanto si
voleva negli spazi comuni, non eri obbligato a stare in camera.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?
In Questura a Torino.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Adesso vivo in un appartamento condiviso con altri ragazzi in zona Falchera,
A volte ci sono dei problemi di convivenza con gli altri, dovuti a mentalità
diverse e a modi differenti di vivere in casa (pulizie, cucina…) ma sto bene
qui, sono libero di fare quello che voglio senza dover rispettare delle regole.
Considero l’Italia come il mio secondo Paese ma qui il riconoscimento è solo
un documento, non ti da diritti, non c’è differenza di trattamento tra status
(rifugiato, protezione sussidiaria o umanitaria).
In altri Paesi (Belgio, Francia, Germania, Olanda) mi hanno detto che con il
riconoscimento della protezione ti danno una casa, puoi fare il
ricongiungimento, ti aiutano con un fondo. Qui non è così.
97
Intervista n.4
Nome: M.
Cognome: G.
Genere: F
Età: 33 anni
Luogo di nascita: Egitto
Status attuale: rifugiata
Quando e dove sei arrivata in Italia?
Sono arrivata a Roma nel 2011 e sono stata per un anno in un centro di
prima accoglienza con i miei due figli.
Dormivamo in una zona del centro per famiglie ma è stato brutto vivere lì
perché c’erano tante, troppe persone da tanti Paesi.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?
Nel campo ho presentato domanda d’asilo e un mediatore mi ha aiutata a
capire cosa dovevo fare.
Quando sei arrivata a Torino e dove hai vissuto?
Ottenuto il riconoscimento sono venuta a Torino dove c’era mio marito e ho
abitato con alcuni connazionali fino al gennaio 2013.
98
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Nel gennaio 2013 un amico di mio marito ci ha aiutato a trovare un
appartamento e ci siamo trasferiti lì. Adesso non so come pagare l’affitto, mio
marito ha perso il lavoro e non so dove sia andato e io non riesco a trovare
un lavoro.
Intervista n.5
Nome: M.
Cognome: K.
Genere: M
Età: 33 anni
Luogo di nascita: Etiopia
Status attuale: titolare di protezione umanitaria
Quando e dove sei arrivato in Italia?
Sono arrivato in Italia a Lampedusa nel 2007 e mi hanno subito trasferito nel
CARA di Gradisca dove sono rimasto per otto mesi.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?
Ho fatto la richiesta d’asilo nel CARA ma mentre aspettavo la risposta non
potevo fare niente; non c’era un corso di italiano, non si poteva studiare né
lavorare.
Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?
Ottenuto il riconoscimento sono venuto a Torino perché c’era un mio amico
che stava in una casa occupata in via Bologna (ex-caserma dei vigili urbani).
99
Dopo lui è partito per l’Inghilterra ma io sono rimasto lì per un anno; è stato
molto difficile, non c’era acqua, faceva freddo e molte persone bevevano e
fumavano tanto. In quel periodo ho fatto un corso come muratore.
Poi sono andato all’ufficio stranieri e mi hanno trovato un posto al Sermig
(Borgo Dora 61), anche se potevo andarci solo a dormire, stavo meglio di
prima.
Dopo ho deciso di andare a Parma dove ho lavorato per un mese ma poi
sono tornato a Torino e ho fatto un corso professionale per tornitori.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Adesso dormo in una casa di accoglienza dei monaci ortodossi e vado a
mangiare alla mensa Caritas. È difficile vivere qui ma Torino è meglio di
Parma, ci sono i corsi di italiano e quelli per lavorare.
100
Intervista n.6
Nome: C.
Cognome: M.
Genere: F
Età: 39 anni
Luogo di nascita: Camerun
Status attuale: rifugiata
Quando e dove sei arrivata in Italia?
Sono arrivata in Italia nel dicembre 2010 a Genova e sono subito venuta a
Torino. I primi tre giorni ho dormito alla stazione Porta Nuova.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?
Sono andata in Questura per presentare la mia domanda d’asilo. Non mi
hanno dato nessuna informazione, non mi hanno spiegato nulla della
procedura e delle tempistiche.
Dove hai vissuto?
101
Ci sono voluti sei mesi per ottenere il riconoscimento, durante i quali ho
dormito in posti diversi: al Sermig per un mese, alla casa di accoglienza delle
suore Missionarie della carità di Madre Teresa, ancora al Sermig, poi alla
Casa di ospitalità notturna di via Pacini (Gruppo Abele) e infine nuovamente
al Sermig.
Il problema più grande in questi posti era lingua che era una vera barriera
perché non riuscivo a dire quello che volevo e si aggiungeva alle difficoltà
della convivenza con donne diverse per provenienza e condizioni (italiane e
straniere, migranti e senzatetto).
Ad aprile 2011 sono stata inserita in un progetto di accoglienza SPRAR
(progetto tenda) per sole donne, in Via Quittengo e ho ottenuto una borsa
lavoro come receptionist in un hotel. Ho lavorato lì per sei mesi e poi ho
trovato una borsa lavoro di scrittura e traduzione in una ONG. Mi piaceva
questo lavoro perché in Camerun ero giornalista e ho collaborato con loro
fino a gennaio 2013 ma non mi pagavano quindi ho deciso di smettere.
Fino ad aprile 2013 sono stata inserita in un progetto di rifugio diffuso ma
dopo sei mesi è terminato.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Adesso vivo in un appartamento da sola perché quando sono uscita dal
progetto SPRAR mi hanno detto che avrei avuto diritto ad un contributo e che
potevo fare un contratto d’affitto. A causa della burocrazia ci ho messo alcuni
mesi per fare il contratto e a quel punto, mi hanno detto che non avevo più
diritto al contributo.
Io adesso non so cosa fare, come pagare e nessuno sa darmi una risposta.
Io non posso tornare al mio Paese, non posso andare altrove (Regolamento
Dublino II), sono prigioniera.
Lo status di rifugiato non ha scadenza. Lo status di rifugiato è una protezione
finta.
102
Intervista n.7
Nome: M.
Cognome: A.
Genere: M
Età: 38 anni
Luogo di nascita: Sudan
Status attuale: rifugiato
Quando e dove sei arrivato in Italia?
Sono arrivato in Italia nel 2008 a Lampedusa e poi sono stato mandato nel
CARA di Crotone.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale?
Ho fatto al richiesta d’asilo nel CARA.
Quando sono uscito con i documenti in regola sono andato a Metaponto
dove c’era un amico. Dormivamo sotto un ponte e di giorno lavoravamo nei
campi. Nel 2010 sono andato a Roma per avere la residenza al Centro Astalli
e poi sono arrivato a Torino.
103
Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?
Sono arrivato nel 2010. In città avevo un amico e sono andato a vivere nella
casa occupata di Via Paganini/Via Bologna.
A Torino ho fatto il mio primo corso di lingua italiana e un corso professionale
per muratori. Poi ho fatto uno stage in una ditta e mi hanno fatto un contratto
per un anno che mi hanno anche rinnovato.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Da quando sono a Torino vivo nella casa occupata di via Paganini,
attualmente siamo una sessantina. Continuo a lavorare e sto cercando una
casa in affitto per prendere la residenza a Torino e far venire in Italia anche
mia moglie e mio figlio.
Intervista n.8
Nome: S.
Cognome: K.
Genere: M
Età: 32 anni
Luogo di nascita: Iran
Status attuale: rifugiato
Quando e dove sei arrivato in Italia?
Sono arrivato in Italia nel 2010 a Roma e poi sono venuto a Torino perché
conoscevo una connazionale.
Dove hai fatto la richiesta di protezione internazionale? Dove hai
vissuto?
Mi sono a rivolto all’associazione Terra del Fuoco e sono stato inserito in un
progetto di accoglienza a Settimo e ho fatto la mia richiesta d’asilo. Non ci
davano molte informazioni al centro di accoglienza e dopo sei mesi ho
104
dovuto abbandonare la struttura, ho ottenuto un posto in una residenza
universitaria con una borsa di studio EDISU ma poi mi hanno tolto la borsa il
posto in residenza perché non avevo superato i crediti necessari.
Mi sono rivolto all’ufficio stranieri e mi hanno trovato un posto per la notte al
Sermig e dopo una decina di giorni al centro gestito dalla Fondazione
Dravelli. Non è stato facile vivere qui, l’edificio era vecchio e sporco, la
convivenza con gli altri ospiti complicata e il cibo scarso.
In seguito sono stato inserito nel progetto di rifugio diffuso e ho svolto alcune
borse lavoro.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Adesso vivo in un appartamento con una ragazza e mio fratello e sto
cercando un lavoro.
Intervista n.9
Nome: B.
Cognome: A.
Genere: M
Età: 33 anni
Luogo di nascita: Etiopia
Status attuale: titolare di protezione umanitaria
Quando e dove sei arrivato in Italia? Dove hai fatto la richiesta di
protezione internazionale?
Sono arrivato in Italia nel 2007 a Lampedusa e poi mi hanno spostato nel
CARA di Foggia dove ho fatto la richiesta d’asilo.
Dopo tre mesi sono uscito e sono andato a Parma perché avevo un amico lì
e ho lavorato per tre anni.
Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?
105
Ho deciso di venire a Torino perché c’era un altro mio amico e ho lavorato
come badante per un anno e mezzo ma poi il signore di cui mi occupavo è
morto.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Adesso vivo in un appartamento con la mia mamma che è arrivata a Torino
ad aprile e ricevo la disoccupazione ma sono preoccupato perché non ho
lavoro. Sto facendo un corso come OSS (operatore socio sanitario).
Intervista n.10
Nome: P.
Cognome:
Genere: M
Età: 26 anni
Luogo di nascita: Nigeria
Status attuale: rifugiato
Quando e dove sei arrivato in Italia? Dove hai fatto la richiesat di
protezione internazionale?
Sono arrivato in Italia nel 2009 in Sicilia e poi mi hanno trasferito nel CARA di
Crotone dove ho fatto la domanda d’asilo ma lì non mi hanno dato nessuna
informazione.
Quando sei arrivato a Torino e dove hai vissuto?
106
Uscito dal campo di accoglienza sono andato a Napoli ma lì non potevo fare
niente e quindi sono venuto a Torino perché qui c’è mia sorella.
Sono andato anche in Svizzera per trovare un lavoro ma mi hanno rimandato
in Italia a causa di Dublino (Regolamento Dublino II), prima non sapevo che
cosa fosse, nessuno mi aveva spiegato nulla. Devo vivere per forza qui ma
qui non ho diritti.
Dove vivi adesso? Quali sono le difficoltà?
Vivo da mia sorella e ho la residenza da lei ma non posso più abitare lì
perché ha perso il lavoro. Sono andato all’ufficio stranieri ma non mi hanno
dato una sistemazione, non ho avuto un lavoro. Sono un rifugiato ma non ho
nessun diritto.
Ringraziamenti
Vorrei innanzitutto ringraziare la mia relatrice, la Professoressa Bonato
per aver dedicato il suo tempo alla correzione paziente della mia tesi ed
essersi dimostrata sempre disponibile e attenta nel seguirmi nella
realizzazione di questo lavoro.
Ringrazio la Professoressa Francese che fin dal principio si è
dimostrata interessata alla trattazione di questo argomento e mi ha dato utili
consigli sulle modalità da seguire per lo svolgimento dell’indagine.
Un grazie speciale va a tutte le persone che mi hanno permesso di
svolgere questa ricerca, ai rifugiati e ai titolari di protezione umanitaria che ho
incontrato in quest’anno di lavoro e che mi hanno consentito di conoscere le
loro esperienze spesso sofferte, dimostrandosi contenti di poter essere utili e
sperando che queste informazioni potessero servire a far conoscere la realtà
dei fatti e a migliorare l’accoglienza per i futuri migranti.
107
Grazie a Sergio Durando direttore dell’Ufficio Pastorale Migranti, a
Don Fredo Olivero e Cristina Molfetta, persone che lavorano tutti i giorni con i
migranti e che si confrontano direttamente e in prima persona con le
problematiche che li riguardano, tentando di migliorare le cose. Sono stati in
quest’anno di lavoro dei punti di riferimento e mi hanno aiutata a vedere la
realtà dalla giusta prospettiva, coinvolgendomi nelle loro attività e fornendomi
informazioni utili.
Grazie anche a tutti gli operatori dell’UPM, a quelli incontrati sul
territorio piemontese che ci hanno fornito un aiuto prezioso per la ricerca e al
gruppo di lavoro con cui ho collaborato nel suo svolgimento.
E infine grazie alla mia famiglia e ai miei amici sempre presenti, i miei
punti fermi e le mie certezze. Le persone che mi sono state sempre accanto
anche nei momenti più difficili, quelle che mi hanno supportato e spesso
sopportato, quelle senza le quali non ce l’avrei fatta.
Grazie.
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