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STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 8 / Aprile-Giugno 2014 5

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Nel 1676, l’olandese Antonie van Leeuwenhoek, inventore del microscopio, descrive piccolissime entità che, per la loro capacità di muoversi, in-tuisce trattarsi di organismi viventi e li chiama animalicula (piccoli animali). Nel 1838, il naturali-sta tedesco Christian Gottfried Ehrenberg per la prima volta li chiama bakterie dal greco βακτήριου (bastoncino), dalla forma posseduta dalla maggior parte di loro. In realtà, i piccoli animali non sono solo batteri ma anche lieviti, protozoi, funghi, al-ghe, muffe e soprattutto non sono piccoli animali.

L’uomo domatore di microbi inventa le biotecnologie.Molto prima di essere visti, l’uomo ha sfruttato per i suoi bisogni gli animalicula, creando di fatto le biotecnologie. 7000 anni avanti Cristo, nell’a-rea corrispondente all’Iran, nasceva la birra per trasformazione in alcol degli zuccheri dei cereali ad opera dei lieviti presenti nell’aria.

Gli antichi Egizi e gli abitanti di tutto il bacino me-diterraneo avevano imparato a lasciare l’impasto di acqua e macinati di cereali all’aria aperta per farlo aumentare di volume (lievitare) prima di cuo-cerlo; per rendere il fenomeno più ripetibile ag-giungevano della birra, di fatto scoprendo il lie-vito di birra. Dal 6000 AC si hanno prove che in Armenia si produceva vino dalla fermentazione del succo d’uva. Ancora prima che l’uomo creasse l’agricoltura, dalla quale avere i cereali, l’uomo be-veva l’Idromele, bevanda idroalcolica prodotta dal-la fermentazione del miele raccolto dagli alveari. L’idromele è considerato il primo doping per uomini e cavalli nella storia dello sport. Plinio il vecchio riferisce che certe tribù barbariche consumavano latte acido; antiche tradizioni persiane tramanda-no che Abramo doveva la sua fecondità all’uso re-golare di latte acido. In realtà, lo Yogurt, nome di origine turca, era molto usato dall’uomo neolitico dell’Asia centrale. Era prodotto dal latte di caval-lo ad opera dei batteri presenti nei recipienti per trasportare il latte durante le trasmigrazioni nelle steppe, recipienti fatti con intestino (!) di animali.

Piccoli e cattiviNel 1800, Louis Pasteur e Robert Koch dimostra-no l’origine batterica di importanti malattie, quali la Tubercolosi, il Colera, il Carbonchio. Pasteur si occupa della modalità con la quale i batteri diffon-dono la malattia e dimostra che la febbre spesso mortale che uccideva tante donne dopo il parto (la terribile febbre puerperale) era trasmessa dal-le mani sporche degli ostetrici (!). Malgrado Pa-steur, fu Ignác Semmelweis (1818-1865), medico ungherese, che adottò le prime misure igieniche: lavarsi le mani! Ridusse l’incidenza della febbre puerperale nelle sue pazienti, ma fu considerato pazzo e rinchiuso in manicomio, dove morì per le percosse ricevute1.

I batteri diventarono ben presto i nemici da com-battere (non c’erano ancora gli antibiotici) e, cer-cando di bloccarne la diffusione, Pasteur inventò la pastorizzazione, un metodo per sterilizzare i cibi ed impedire la trasmissione all’uomo di ma-lattie. Ma Pasteur dimostrò anche che i processi fermentativi erano opera di microrganismi. A lui si deve la dimostrazione che la formazione dell’al-cool, a partire dal vino, è un processo biologico che avviene in assenza di ossigeno (“la vita senza aria”) e non una reazione chimica spontanea. Di lì a passare alla fermentazione intestinale il pas-so fu breve e, soprattutto osservando che molti pazienti psichiatrici avevano problemi intestinali, si ipotizzò che la malattia mentale fosse una con-seguenza di una autointossicazione indotta dai batteri.

Noi e i batteriI batteri sono comparsi sulla terra circa 3 miliardi di anni fa, in un cucchiaio di terreno se ne possono trovare fino a 10000 miliardi: sono presenti dap-pertutto comprese tutte le superfici del nostro organismo.Oltre il 90% delle cellule del corpo umano non sono umane ma sono microrganismi, in gran parte bat-teri. Nel nostro organismo ci sono oltre 40000 ceppi batterici per un totale di oltre 100 trilioni (1

IL LATO BDEL CERVELLO

Menotti Calvani

La macchina che c’è in me

MENOTTI CALVANIMedico, specializzatoin neurologia,farmacologia clinica oltre che intossicologia medica, si è laureato in scienza della nutrizione umana.Ha pubblicato oltre 200 articoli scientifi ci su riviste internazionaliprevalentemente sui temi delmetabolismo, suimitocondri e sullepatologiedegenerative.

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Figura n°1 - a) Gengis Khan, come i suoi antenati del neolitico, era un grande utilizzatore di yogurt. b) Pane egizio trovato in una tomba. c) Tavoletta cuneiforme con gli ingredienti per fare la birra. d) Uomo con coppa di vino, Armenia 4000 anni AC. e) L’idromele, prima bevanda alcolica pro-dotta dall’uomo, è stata anche la prima sostanza dopante usata anche per energizzare i cavalli.

1. http://vi-meopro.com/bunkostudios/sid-the-science-kid-grandmas-fl ashback/vi-deo/80301859.

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Bruno GiardinaDirettore del Dipartimento di Diagnostica e Medicina di Laboratorio

Direttore del Centro di Ricerca in Biochimica e Nutrizione dello Sport

BRUNO GIARDINA Nato a Palermo il 17 Giugno 1945. Professore Ordinario di Biochimica nella facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del sacro cuore di Roma. Direttore della sezione romana dell’Istituto CNR per lo studio della Chimica del Riconoscimento Molecolare. Direttore del Dipartimento di Diagnostica e Medicina di laboratorio del Policlinico Gemelli di Roma. Delegato del Rettore per il coordinamento e la Promozione della Ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. È autore di numerose pubblicazioni su qualifi cate riviste internazionali.

ttività sportiva e nutrizione personalizzata. L’esperienza del CriBeNS

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Mi hanno molto colpito le parole del Presidente della FIPE riportate nell’Editoriale [S&C, Anno 1, n.0, pag. 3, NdR] dell’autunno 2011: “Considero le palestre, i campi di allenamento ed ogni luo-go dove fare attività fisica, spazi importanti, alla stregua degli ambulatori medici, dove si tratta la medicina per curare la salute dell’uomo, perché sicuramente un uomo forte è anche sano.” D’al-tra parte, già nel VI secolo a. C., Solone, il primo legislatore delle palestre, rappresentava l’atleta come la persona che meglio incarnava il coraggio, la bellezza e l’armonia, espressione non solo di vi-goria fisica, ma anche di qualità morali.Questi concetti, quindi, pur avendo radici che af-fondano lontano nel tempo, continuano ad essere di grande attualità. È veramente singolare come la medicina stia riscoprendo, ovviamente con me-todi e tecniche sempre più sofisticati, antichi va-lori ed idee.

Si pensi all’affermazione di Ippocrate: “Se fossi-mo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la sa-lute”. Tutto questo è perfettamente in linea con l’attuale politica tesa ad una medicina preventiva basata su una corretta alimentazione ed una ade-guata attività fisica. Per qualsiasi sistema sanita-rio è importantissimo che alla longevità si associ un adeguato livello di autosufficienza. È l’active aging che si vuole perseguire anche a livello dei programmi di ricerca europei e che non può non basarsi sulla stretta associazione tra at-tività fisica e nutrizione. La medicina, ora più che mai, appare con estrema chiarezza il nodo fonda-mentale delle più importanti problematiche socia-li, economiche, culturali e politiche della società del futuro.

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Gian Nicola Bisciotti

GIAN NICOLA BISCIOTTI Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FIFA Center, Doha (Q).Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, La Spezia (I).

e dovessimorivedere il progetto

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Introduzione. Ovvero: chissà se tra qualche milione di anni...

Ho iniziato ad interessarmi al fenomeno dell’invec-chiamento, in senso fisiologico intendo, da quando quest’ultimo, l’invecchiamento intendo, ha iniziato ad interessarsi a me ossia all’incirca alla fine della mia quinta decade di vita, momento in cui, un po’ per tutti, si verifica il vero e proprio “giro di boa” fisiologico, che ci conduce inevitabilmente verso di lui. Il fenomeno dell’invecchiamento nell’uomo viene attualmente spiegato attraverso essenzialmente tre categorie di teorie. La prima è la cosiddetta “teoria evoluzionista”, che si basa sul concetto del “soma disponibile”. Una seconda categoria è co-stituita dalle “teorie integrative”, che analizzano il sistema di mantenimento dell’omeostasi gene-rale che assicura il controllo del fenomeno dell’in-vecchiamento stesso. La terza ed ultima cate-goria è rappresentata dalle “teorie cellulari”, che si basano sia sulle influenze ambientali, sia sulle qualità del genoma. In questa sede, non abbiamo purtroppo il tempo di affrontare questi argomen-ti, invero abbastanza complicati: chi fosse però interessato a sapere dove “il tempo lo conduce” può sempre dare un’occhiata al mio libro, il cui titolo troverà in bibliografia e rendersi conto che invecchiare non è poi così brutto come si possa pensare; e poi, per consolarci dell’ineluttabilità del fenomeno, basta ricordare che “invecchiare è l’unico modo di vivere”, per cui… in fin dei conti ho sempre pensato che l’uomo nasce, muore e …for-se invecchia, e quel “forse” rappresenta indubbia-mente una fortuna. Ma la storia di quest’articolo è un’altra, anche se, alla fine, s’intreccia con la mia curiosità scientifica sul fenomeno dell’invec-chiamento e per spiegarla debbo giocoforza fare

una piccola, ma necessaria, digressione sul tema. Da sempre sono convinto della transitorietà del-la scienza e della sua assoluta necessità, al fine di permettere all’uomo di superare, giorno dopo giorno, i limiti della sua conoscenza, ma sono an-che convinto del contrario. Mi spiego meglio: sono anche altrettanto profondamente convinto che - dallo studio della scienza di ieri - si possano trar-re spunti, concetti, nozioni, idee tutt’altro che antiquate ed anacronistiche. Per questo motivo dedico sempre, e con costanza, una parte del mio tempo alla lettura, o rilettura, di articoli scienti-fici datati e dimenticati da tempo, alla ricerca di qualche cosa di speciale, nascosto dalla polvere degli anni, che riaffiori da quei vecchi fogli. Una specie di piccola magia che spesso accade. E que-sta piccola, ma preziosa, magia si è riverificata quando mi è capitato nuovamente sotto gli occhi, dopo quasi 15 anni, un bell’articolo di Jay Olshan-sky, Bruce Carnes e Robert Butler, apparso sulla rivista “Le Scienze” (ossia la versione italiana di Scientific American) nel marzo del 2001. L’articolo trattava dell’invecchiamento, o - per meglio dire - dei difetti di progettazione che fanno dell’uomo un progetto biologico fallimentare nei confronti del fenomeno dell’invecchiamento. A quell’epoca, non ero ancora troppo interessato all’argomento e probabilmente proprio per questo motivo, l’arti-colo non suscitò in me un’attenzione particolare. Questo, detto per inciso, a riprova del fatto che non esistono argomenti poco interessanti di per sé, ma esiste solamente gente poco interessa-ta. Dal momento che oggi, invece, faccio parte di quella “parte di gente” interessata all’argomen-to dell’invecchiamento, l’articolo di Olshansky e dei suoi collaboratori mi è parso a dir poco di un interesse straordinario. Ragion per cui ho inizia-

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I NOSTRI “COMPAGNI DI PEDANA”

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Nella sua gestazione, questo testo [seconda par-te di un lavoro iniziato nel numero scorso di S&C (n°7, gennaio-aprile 2014, pp.21-22)], recava un provvisorio (e però pretenzioso, ma l’autore giocava) titolo con sottotitolo, cioè quelli di “La preparazione delle preparazioni - Alla maniera di Wittgenstein - Trattatello logico-filosofico sull’al-lenamento sportivo” (ovvero raccolta di proposi-zioni significative sulla preparazione in genere che è la vita e sulla preparazione motoria in particola-re). È fuori di dubbio (lo sappia bene il lettore, lo sappia bene) che il testo, in sé elementare ed in sé tutt’altro che pretenzioso, solo nel primitivo titolo (questo sì, pretenzioso!) imitava una famosa opera filosofica – una delle più grandi mai ideate e composte e comunque una delle più importanti e significative del ‘900 – che si deve ad un gran-de, geniale pensatore del secolo scorso, Ludwig Wittgenstein. Solo nel nome, stiamo osservando, perché quella di Wittgenstein, in realtà, è filosofia (filosofia della logica e della matematica, in realtà) all’ennesima potenza con la quale, dall’alto, si può dominare le cose del mondo, le parole, i fatti, le relazioni tra umani, il mondo fisico e quello meta-fisico. Fu l’unica opera (breve opera di circa 70 pagine, del resto) che Wittgenstein editò nell’ar-co della sua vita, altri lavori – ma molto meno si-gnificativi – apparvero postumi. Il Tractatus (Lo-gisch-Philosophische Abhandlung, 1921) ricalca nel titolo il Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza, il filosofo della Ethica (Ethica more ge-ometrico demonstrata, 1677), uno dei testi più complessi dell’intera storia della filosofia (ma dove egli aveva scritto chiaramente che “lo sforzo di capire è la prima ed unica base della virtù” e che “un uomo libero non pensa a nulla, e men che nulla alla morte; la sua saggezza non consiste nel me-ditare sulla morte, ma sulla vita”). Secondo Wittgenstein, il linguaggio travestirebbe il pensiero: dunque, la sua opera è un’opera sul linguaggio e sulla sua relazione con la filosofia, in particolare sul linguaggio quotidiano da analizza-re, per depurarlo dalla confusione e dai non-sensi di cui esso è vittima, praticamente da sempre.La struttura del Tractatus di Wittgenstein è com-posta da una serie di asserzioni numerate e ge-rarchicamente ordinate. Si tratta di 7 asserzioni principali e di una serie di commenti a queste su-bordinate ed anch’essi distribuiti su più livelli, in modo da commentare, per esempio, il commento al commento al commento di una proposizione: per cui, si avrebbe 1, 1.1, 2, 2.1, 2.1.1, 2.2, 3, 3.1, 3.1.1, ecc. ecc.Per il grande interesse che rivestono, vale la pena di riportare (anche nella nostra rivista) le sette asserzioni principali del Tractatus:

1. il mondo è tutto ciò che accade;2. ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati

di cose;3. l’immagine logica dei fatti è il pensiero;4. il pensiero è la proposizione munita di senso;5. la proposizione è una funzione di verità delle

proposizioni elementari;6. la forma generale della funzione di verità è:

[p, ξ, Ν(ξ)]. Questa è la forma generale della proposizione;

7. su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere.

Solo come stimolo, proviamo a rifarci a tale ir-raggiungibile autorità, per tentare di descrivere, semplicemente descrivere, alcuni principi che, in quanto tali (i principi stanno per forza di cose pri-ma di tutto, se no che princìpi sarebbero?), an-ticipano ogni conoscenza ed ogni relazione tra i concetti, ipotizzando di porli alla base dei nostri pensieri sul movimento e sull’allenamento. Aveva-mo chiamato tutto questo, che è alla maniera di Wittgenstein, la preparazione delle preparazioni (cui sarà, ma in un numero successivo di S&C, de-dicata la parte centrale della nostra Antropologia dell’allenamento). Basata, qui, su princìpi che la logica (ed il buon senso?) indica, al di là di ogni pretesa scientifica e di ogni dogma. “Dei princìpi e del principio dei princìpi. Il principio ed il pensiero e la riflessione primigenia: il moto” ne abbiamo già parlato. In questa parte, ci occupiamo (2) della vita dell’uomo e della sua complessa unità, (3) dei costitutivi della vita, (4) del moto e della sua es-senza, dei comportamenti inerenti al moto, della sua previsione e dell’aspirazione ad anticipare il moto.

2. Della vita dell’uomo e della sua complessa unità

(2.1) Il carattere essenziale dell’essere uomo è di essere un vivente. Cioè di essere vivente. (2.2) Proprio la vita è il suo attributo davvero es-senziale.(2.3) Ogni essere umano, in quanto persona, ha una sua vita individuale, che può essere vista come un complesso indissolubile di fenomeni.(2.4) Tali fenomeni sono talmente collegati ed in-tegrati da non potersene influenzare uno senza interessare anche tutti gli altri, in misura più o meno grande, più o meno trascurabile, ma non eli-minabile.(2.5) Se si persegue l’obiettivo di influenzare pre-cipuamente un aspetto della vita della persona, per forza di cose vengono interessati tutti gli al-tri, anche minimamente.

Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò di cui non si può parlare

si deve tacere.

Ludwig Wittgenstein (1889-1951)

“”

PASQUALEBELLOTTI([email protected];[email protected]), medico, esperto dimovimento e diallenamento,insegnaattualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM.Molti libri e moltiarticoli al suo attivo.È anche Presidentede L’Amàca Onlus,associazione connumerosi progetti di assistenza e disupporto in Africa(ed in Italia):www.amacaonlus.org.

Quello stile di vitachiamato allenamento

ANTROPOLOGIA DELL’ALLENAMENTO

(Seconda Parte)

P. Bellotti, Medico

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Introduzione

Abbiamo visto insieme, come l’analisi di due termi-ni - Forma e Funzione - riferita a campi di indagine diversi - Esercizio e Attrezzo, Corpo e Movimento - può generare “corrispondenze biunivoche” inte-ressanti. Soprattutto può guidare all’esplorazione (funzionale) di territori inesplorati, incompresi o misconosciuti (tecniche, metodi, discipline) e all’ab-battimento (formale) di inutili barriere tra scenari operativi ritenuti contrapposti e contrastanti (alle-namento, preabilitazione, riabilitazione). Nei prece-denti articoli ho proposto una rilettura di termini noti, correndo sulla linea di una disquisizione pu-ramente teorica. I termini in questione, non sono antiquati e logori superstiti di una grammatica scomparsa; nella loro elementarità – talmente ov-via da sembrare banale – sottintendono significati e valenze che vanno ben oltre il loro aspetto con-venzionale. Allargandone l’accezione, rafforzandone la comprensione, possono permettere di sviluppare un linguaggio, se non nuovo, almeno diversamente orientato o diversamente attento.

L’allenamento in sé non ha aggettivazioni proprie. Quando al termine “allenamento” si avvicinano attributi più o meno generici (“fisico”, “tecnico”, “tattico”); indicazioni relative alla capacità bersa-glio (“allenamento della forza”, “allenamento della resistenza”, “allenamento della velocità”); specifica-zioni distrettuali (“allenamento per le gambe”, “al-lenamento per gli addominali”, “allenamento per le braccia”), il significato che il termine stesso sottin-tende, non cambia. Ma soprattutto non cambiano i principi metodologici, e non cambiano normative di valutazione e modalità di somministrazione del carico.

Nelle righe che seguono si parlerà di ideogrammi e di pittogrammi motori; di filogenesi ed ontogenesi del Movimento; di Movimento Transitivo e di Movi-mento Intransitivo; delle quattro tappe del proces-so di ristrutturazione motoria; di una “gerarchia” strumentale costituita da tre livelli successivi.

Alberto Andorlini

ALBERTO ANDORLINIDopo una lunga esperienza come Insegnante di Educazione Fisica, è oggi Preparatore Atletico e Riabilitatore. La sua attività si lega da sempre all’interesse per l’evoluzione del Movimento e per lo sviluppo della Performance. Ha lavorato per A.C. Fiorentina, A.C. Siena, Al Arabi Sports Club, Chelsea F.C. e Nazionale Femminile Calcio in qualità di Terapista e Preparatore Atletico.Attualmente è Riabilitatore presso l’U.S.Palermo.Collabora con il Training Lab di Firenze e svolge attività didattica nel corso di Laurea in Scienza e Tecnica dello Sport e delle Attività Motorie Preventive e Adattative dell’Università di Firenze.

Continua

a collaborare

con S&C

Alberto Andorlini,

per almeno 3 testi

originali, per tutto

il 2014.

ltre l’allenamento3. Corpo. Movimento. E Corpo in Movimento. Ovvero: Strumento e Mezzo. E Fine.

O TERZA PARTE

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Massimiliano Gollin, Alessandro Guerra

SECONDA PARTE

e variazioni circadiane dell’eff icienza f isica nella lotta Greco Romana

L

PUBB

LICATO

PUBBLICATO

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ATO

PRIM

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PRIMA V

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PRIMA VOLTA

LAVORO

ORIGINALE PER

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ALESSANDROGUERRA

Laureato in Scienze

e Tecniche dello Sport e

dell’Allenamento, SUISM di

Torino, Scuola Universitaria

Interfacoltà in Scienze Motorie,

Università di Torino, Italia

MASSIMILIANOGOLLIN

Ricercatore Dipartimento di

Scienze Cliniche e Biologiche; Centro

Ricerche Scienze Motorie, Università

di Torino, Italia

Materiali e metodi

Sono stati studiati 10 atleti praticanti lotta gre-co romana di livello nazionale di età 19±3 anni (media±deviazione standard), peso 76±14 kg, altezza 176±10 cm e 7±3 anni di allenamento. Essi svolgono abitualmente le sedute di allena-mento nel tardo pomeriggio dalle ore 19.00 alle ore 21.00, e le competizioni al mattino con inizio alle ore 10.00 circa. Nessun atleta al momento delle rilevazioni ha denunciato patologie di tipo mio-articolare, metaboliche o dermatologiche che abbiano potuto compromettere i gesti atle-tici richiesti. Tutti gli atleti sono stati informati dello scopo dello studio e hanno firmato un con-senso informato. Il gruppo campione ha mantenu-to, all’interno del microciclo di allenameto setti-manale, le normali abitudini di preparazione fisica del periodo pre-competitivo.

Il campionamento delle variabiliLe misure sono state effettuate durante due se-dute standardizzate di allenamento tecnico: la prima in orario abituale alle ore 19.00 del venerdì sera, mentre la seconda in orario di gara, alle ore 10.00 della domenica mattina successiva. Le due sedute di allenamento hanno previsto una parte di riscaldamento, una parte di allenamento tec-nico, una parte dedicata al combattimento e una parte di defaticamento. La seduta di allenamento ha previsto 5 minuti di corsa continua a ritmo blando seguita da 5 minuti di mobilità articola-re (circonduzioni avanti e indietro sia per gli arti inferiori che per gli arti superiori) e 5 minuti di andature coordinative (skip, corsa calciata dietro e corsa laterale). La successiva fase del riscal-damento ha utilizzato alcuni esercizi di ginnastica acrobatica quali capovolte rotolate avanti, indie-tro e ruote. Conclusa la parte di riscaldamento, la seduta di allenamento ha previsto una parte di allenamento tecnico della durata di 15 minuti. Sotto la guida e la supervisione dell’allenatore, sono state eseguite proiezioni e azioni tecniche specifiche della lotta greco romana. Successiva-mente, gli atleti hanno svolto un combattimen-to della durata (standardizzata dal regolamento tecnico internazionale) di 6 minuti, suddivisi in tre riprese della durata di due minuti ciascuna e intervallate da 30 secondi di recupero. Conclu-so il combattimento, la seduta di allenamento è terminata con 15 minuti di defaticamento. Non essendo gli atleti in questione soliti effettuare

esercizi di stretching al termine dell’allenamen-to, nei 15 minuti di defaticamento non è stato svolto alcun tipo di attività.

All’interno delle sedute di allenamento sono sta-te effettuate le misurazioni in specifici momenti e precisamente (Gollin et al. 2006):1. prima del riscaldamento (pre-w).2. dopo il riscaldamento generale (post-w).3. dopo l’allenamento tecnico-specifico (post-at)4. dopo l’allenamento di combattimento (post-c)5. dopo il defaticamento (post-d)

La scelta dei giorni e dell’ora di allenamento è stata stabilita per riprodurre il più fedelmente possibile la situazione abituale che si viene a cre-are durante la stagione agonistica. Il gruppo cam-pione non ha modificato nel periodo di effettuazio-ne dei test le normali abitudini di allenamento e di alimentazione. Le sedute di allenamento e i test sono stati eseguiti presso la palestra dove gli atleti si allenavano normalmente, mantenendo in questo modo invariate le attrezzature e la logi-stica.

Test utilizzatiSalto in lungo da fermo Per la valutazione della forza esplosivo-elastica degli arti inferiori è stato utilizzato il test del sal-to in lungo da fermo (SLF) (Koch et al. 2003). Il SLF è stato scelto perché comunemente usato nella valutazione di atleti in vari sport e utile per indagare la forza esplosiva degli arti inferiori. I punti di repere per il rilevamento della distanza effettuata sono stati compresi tra le punte dei piedi posizionate dietro una linea di 20 cm trac-ciata sul pavimento, tramite del nastro adesivo, e i talloni nel punto di arrivo del salto. Nella metà del nastro e stato applicato il punto zero di un decametro avvolgibile fissato al suolo per la lunghezza di 5 metri. I soggetti si sono posizionati dietro la linea di partenza e hanno ef-fettuato un counter movement jump (CMJ) con azione propulsiva in avanti. Il salto è stato ese-guito con mani vincolate ai fianchi in modo da escludere l’azione balistica degli arti superiori ed un angolo al ginocchio in fase di caricamento ela-stico di circa 90°. Il test è stato eseguito con le calzature da lotta utilizzate durante la seduta di allenamento.

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Il secondo fattore che caratterizza la figura dell’al-lenatore si riferisce al ruolo svolto dalla sua espe-rienza professionale e consiste nel riflettere sulla propria attività, ponendo l’accento in particolare sulle interazioni con l’atleta o la squadra, in alle-namento e in gara, area in cui i tecnici ritengono di dovere migliorare come evidenziato nelle figure precedenti. L’allenatore deve valutare l’efficacia e l’efficienza del suo lavoro, nonchè le reazioni dei suoi atleti; deve inoltre analizzare le difficoltà che incontra, come le ha affrontate e quali soluzioni ha sperimentato. Questa attività deve essere porta-ta avanti nel tempo in modo costante, focalizzan-dosi su quanto avviene durante le sedute e in gara. Non è quindi un impegno episodico o che si svolge perché si deve risolvere un problema, non si pre-figura come un’attività di pronto soccorso, deve invece essere parte del modo di agire abituale. In tal senso, l’allenatore è un facilitatore, poiché fa-vorisce la creazione di un clima adatto a svolgere al meglio l’allenamento, sviluppando negli atleti la voglia di gareggiare e una mentalità vincente. Il tecnico non può fare a meno di riflettere sulla sua esperienza professionale e deve essere con-sapevole:

1. delle decisioni che prende, 2. di quali sono i parametri che gli permetteranno

di sapere che l’allenamento è stato efficace, 3. di cosa si aspetta dagli atleti in relazione alle

esercitazioni che svolgono, 4. delle difficoltà che potrebbero incontrare e le

soluzioni da adottare,5. di come affrontare le competizioni e come va-

lutarne i risultati,6. di avere un piano per affrontare imprevisti e

eventi inattesi,7. di cosa distingue una stagione di successo da

una insoddisfacente,

8. di come potrebbe gestire i momenti difficili che inevitabilmente si presenteranno,

9. del modo in cui affronta gli stress connessi alla professione di allenatore,

10. di come si rapporta con lo staff e con la diri-genza.

Il terzo fattore di base fa riferimento all’intuizio-ne. Riguarda l’abilità di prevedere anticipatamente quanto sta per accadere e di trovare nell’imme-diato una soluzione. Consiste da parte del tecnico nel sapere fare la cosa giusta nel momento giusto. Vuol dire, ad esempio, sostituire un calciatore che è già stato ammonito e che si intuisce che stia per commetterne un altro fallo che gli potrebbe costare l’espulsione. In allenamento, il tecnico deve essere convinto della sua proposta e deve essere totalmente focalizzato su quanto avviene sul campo, proprio al fine di facilitare con il suo atteggiamento e le parole quanto gli atleti stan-no per eseguire. Se percepisce che sono stanchi, potrà decidere di insistere per mettere alla prova la loro abilità a reagire a questa condizione fisica e psicologica, oppure potrà fermare l’allenamento.La scelta di quale fra queste due risposte oppo-ste fornire si baserà sulla competenza nell’intuire la condizione in cui si trovano gli atleti e di corre-larla con gli obiettivi della seduta (Figura 3).Chiunque voglia servirsi in prevalenza di solo uno di questi tre fattori manifesterà un profilo di competenze impoverito e avrà più probabilità di commettere errori. Infatti, chi volesse enfatizza-re la componente scientifica rischia di diventare troppo astratto, di ridurre la componente umana dell’allenamento e di sposare un approccio basato sull’idea che è l’atleta che deve adattarsi all’alle-namento. Penserà infatti che vi sia un unico modo per migliorare ed è quello che propone. Il tecnico che, invece, intende enfatizzare le altre due aree rischia di avere un approccio all’allena-

ALBERTO CEI

Docente di “Coaching” all’Università di Tor Vergata di Roma e di Psicologia alla Scuola dello Sport del Coni. Svolge attività di consulenza nell’ottimizzazione delle prestazioni sportive a livello internazionale. Si interessa di etica come fattore alla base delle prestazioni eccellenti. È editorial manager di International Journal of Sport Psychology. Web: www.ceiconsulting.it Blog: www.albertocei.com

e competenze dell’allenatore*L

Alberto CeiUniversità di Tor Vergata

* Parte di que-sto articolo è tratta dal libro: A. Cei (2011) Imparare a vincere, Calzetti & Mariucci Editori.

SECONDA PARTE

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Giulio Rattazzi

GIULIO RATTAZZILaureato in Scienze Motorie all’Università di Torino e Master post lauream in Diritto e Management dello sport presso l’Università degli studi di Salerno, è inventore e realizzatore di software e strumentazione per la valutazione funzionale dell’atleta.

a FORZA della FORZA

LOvvero: l’indice di forza efficiente

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Tutto è forza. Essa si manifesta ovunque: quan-do solleviamo un peso esercitiamo forza, quando ci muoviamo esprimiamo forza, lo stesso quando stiamo in equilibrio, e persino quando stiamo fer-mi. La forza è espressione di vita. Credo che non sia realmente possibile definire, classificare e misurare la forza nelle sue svariate, infinite, manifestazioni.La forza è un concetto molto complesso, non ri-ducibile al solo ambito della fisica. Basti pensare che è generata dall’intenzione, è creazione orga-nizzata in modo funzionale alle intenzioni del suo attore, nell’espressione della forza è custodita l’essenza della persona.Qualcuno potrebbe chiedere “perché” affermi questo e “come” fai a dimostrarlo?I “perché” solitamente introducono domande a cui rispondono i filosofi, i quali, però, spesso hanno difficoltà a dimostrare “come” un fenomeno av-venga; allora ci rivolgiamo alla Scienza, che può comprovare il “come”, ma fa fatica a risalire al perché.Io credo che se realmente si vuole comprendere un fenomeno rilevante, come è nel nostro caso la forza, bisogna considerarlo nella sua complessi-tà, risulterebbe fuorviante prendere in esame un singolo aspetto come se fosse separato da tutti gli altri.Un aforisma Zen dice: “per vedere un pesce bi-sogna osservare l’acqua”1. Nel nostro caso: “per guardare la forza bisogna osservare la vita del no-stro atleta”.In altre Parole:«Cosa vedi in questo calice di vino rosso?» domanda un commensale al sociologo Edgar Morin. Egli ri-sponde: «Vedo le particelle dell’atomo, vedo i nuclei dell’elio, vedo la vigna che ha prodotto quest’uva e poi il Mediterraneo, l’origine della vita e molto altro ancora. Vedo la nascita dell’universo perché vedo le particelle che vi sono formate nei primi secondi. Vedo un sole antecedente il nostro poiché i nostri atomi di carbonio si sono forgiati in seno a quell’astro che è esploso. Poi quel carbonio si è legato ad altri atomi di carbonio in quella sorta di pattumiera cosmica, i cui detriti, aggregandosi, formeranno la terra. Vedo la composizione delle macromolecole che si sono as-semblate per far nascere la vita. Vedo le prime cel-lule viventi, lo sviluppo del mondo vegetale, l’addo-mesticamento della vite nei Paesi mediterranei. Vedo i baccanali e i festini. Vedo la selezione dei vitigni, una cura millenaria attorno alle vigne. Vedo in�ine lo sviluppo della tecnica moderna che oggi permette di controllare con strumenti la temperatura della fer-

mentazione nelle cantine. Vedo tutta la storia cosmi-ca e umana in questo bicchiere di vino e, beninteso, anche la storia speci�ica del Bordolese.»2

In sostanza, per comprendere bisogna essere un po’ scienziati e un po’ filosofi. Fanno parte di questa categoria le professioni nobili, tutte quelle che sono a stretto contatto con l’umano, e l’alle-natore vi rientra a pieno titolo. Antonio Damasio, neuroscienziato di fama mon-diale, nell’indagare la nascita della coscienza e la percezione di sé che ne consegue3,I, ha individuato 2 zone nel tronco encefalico come luogo anato-mico dove si verifica la creazione di mappe delle strutture corporee, in altre parole l’area dove il corpo incontra la mente.

Soffermiamoci sulle implicazioni di questa sco-perta. L’aspetto sul quale è necessario riflettere è che queste 2 zone si trovano magnificamente inter-connesse, in uno strettissimo legame, dal quale emerge l’indissolubile rapporto tra mente e corpo, per cui non è possibile avere una mente cosciente se non esiste interazione tra corteccia cerebrale e tronco encefalico, e non è possibile avere una mente cosciente se non esiste interazione tra il tronco encefalico e il corpo. Il corpo funge, in un certo senso, da mediatore tra il cervello e la rappresentazione del mondo esterno. Tale vincolo tra mente e corpo si comporta come un processo ologrammatico ricorsivo, dove la mente influenza il corpo che a sua volta influenza la mente, così come ogni azione, ogni movimento, ogni espres-sione di forza del corpo porta con sé l’unicità della persona.

Ormai da diversi anni, per lavoro e per mio dilet-to, elaboro software e strumentazioni dedicate allo studio del movimento umano. Spesso mi sono trovato a osservare tracciati di accelerazioni di test ed esercizi eseguiti da atleti; con il tempo e l’esperienza ho imparato che da un semplice tracciato accelerometrico – come per esempio il sollevamento di un bilanciere oppure l’esecuzione di un balzo – è possibile capire molte più cose di quello che si possa pensare, al di là del semplice valore numerico di forza, accelerazione, velocità, lavoro, potenza, ecc. Dall’analisi ripetuta delle accelerazioni, dopo un po’ si cominciano a comprendere meglio aspetti anatomico-funzionali dell’atleta, fino addirittura a coglierne, col tempo, anche dettagli caratteriali ed evolutivi. D’altronde, questa non è una novità,

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L’impressione che il sottoscritto ha ricavato dal programma e dalla struttura di questo incontro a carattere nazionale è quella della necessità di incontrarsi per fare il punto su alcuni argomenti e poi proseguire. Come se si volessero porre le basi di un discorso che in parte ricapitola, in par-te cambia il passato, un discorso che riafferma capisaldi e che avvia (o ri-avvia) un presente nuovo e poi prosegue nel futuro. Forse, immagino, dopo la prima, verrà una seconda Convention, poi una terza. Ciascuna ricapitolando il passato e produ-cendo passi in avanti. Così, tra l’altro, si creano le scuole di pensiero e si rendono note le cono-scenze ed i punti di vista degli addetti ai lavori e, quando necessario, le divergenze e le alternative.

Ci si può chiedere perché sia necessario fare ciò, perché ripercorrere passi magari già fatti in pas-sato. Una risposta c’è ed è anche semplice: non è vero che tutto sia chiaro o chiarito nel mondo del movimento e dello sport, dove molta approssima-zione e mancanza di conoscenza ancora domina e dove, comunque, i punti di vista (corretti o erra-ti) sono tanti, forse troppi. E va fatta chiarezza. Nella chiarezza, sempre c’è terreno fertile per far sviluppare il pensiero.

E – poi – all’Ordine del Giorno di un’Agenda solo in parte ideale, vi sono problemi talmente basilari che non ci si può permettere di equivocare, specie quando li riferiamo a fattispecie decisive: uomo/donna, bambino/adulto, adulto/anziano, salute/ma-lattia, abilitazione/riabilitazione, sport/movimento per la vita, sedentarietà/non sedentarietà, corpo/psiche, muscoli/cervello, di certo ancora diversi altri. Tutti questi aspetti, pur riconoscendo una matrice unica (il movimento) e un destino obbliga-to (l‘uso consapevole della forza muscolare) hanno bisogno (non ve ne sono ancora per tutti) della definizione di principi ispiratori, di linee guida, di strade da percorrere e di campi concreti di ap-plicazione.

Anche questo intervento va inteso, credo, in tal senso. Scelgo la strada della semplicità e della essenzialità, su cui mi porta l’esperienza di mol-ti anni e la constatazione che assai spesso si è perso proprio il filo della coerenza, della chiarezza e della semplicità, che va pertanto – ove e come si può – ritrovato. Parlo assai brevemente di 23 concetti in meno di 20’. Almeno provo.

1. Già solo dal titolo ….Mi ha fatto riflettere già solo il suo titolo em-blematico, così apparentemente semplice e così formidabilmente complesso: Forza e allenamen-to. Qui non si chiede di parlare dell’allenamento della forza (semmai della forza dell’allenamento!), ma di stabilire una relazione tra i due concetti, di accostare l’allenamento al fenomeno forza e di provare a verificarne il risultato. Il risultato che si coglie, a rifletterci, a studiarci su, a farne pra-tica ed esperienza, è sconcertante, rispetto al passato, al presente, a ciò che viene insegnato e trasmesso: l’allenamento è la forza, o se vole-te è l’allenamento della forza, nello sviluppo mira-to di quest’ultima sostanzialmente si identifica. Dunque, dire: io mi alleno in uno sport (visto che potrei allenarmi in altri campi, come nella tecnica del suonare uno strumento musicale), dire: io mi alleno in uno sport significa affermare che alleno la forza che serve a fare bene quello sport. A voi risulta che sia altro l’allenamento in uno sport? Proverò a fare altri passi in questo senso, quello della uguaglianza allenamento/allenamento della forza.

2. Dentro l’allenamento.Dentro l’allenamento c’è sempre e c’è tutta la preparazione di un futuro che si ipotizza si verifi-cherà (sarò più capace, potrò fare, posso stabili-re il mio miglior risultato, e così via dicendo, il mio massimo, il massimo nel mondo, un record, ecc.). Preparo così il mio organismo, chiedendo tempo per farlo e concentrandomi su ciò che mi serve

PASQUALEBELLOTTI([email protected];[email protected]), medico, esperto dimovimento e diallenamento,insegnaattualmente Etica e Bioetica dello Sport a Torino, nella SUISM.Molti libri e moltiarticoli al suo attivo.È anche Presidentede L’Amàca Onlus,associazione connumerosi progetti di assistenza e disupporto in Africa(ed in Italia):www.amacaonlus.org.

Pasquale Bellotti

ORZA E ALLENAMENTO(Ovvero, quello che diresti sull’allenamento ad un giovane/una giovane al cui futuro tieni davvero*)

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* Si tratta, in parte, della Relazione svolta alla 1a Convention Nazionale FIPE di Abano Terme (5-7 luglio 2013).

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Marco Bardelli, Giampietro AlbertiDipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano

GIAMPIETRO ALBERTIProfessore Associato di Metodi e Didattiche delle Attività SportiveFacoltà di Scienze Motorie, Dipartimento di Scienze Biomediche perla SaluteUniversità degli Studi di [email protected]

DMARCO BARDELLILaurea Magistrale in Scienze Motorie presso l’Università degli Studi di Milano, Insegnante di Educazione Fisica e Responsabile di progetti educativi rivolti all’infanziaAllenatore ed Istruttore Minibasket FiP.

isturbi Specifici dell’Apprendimento: quali implicazioni nel successo e nell’abbandono sportivo?Quali suggerimenti per gli Insegnanti di Educazione Fisica e gli operatori del settore?

Gli Enti internazionali di classificazione, definisco-no i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) come “…disturbi nei quali le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione sono alte-rate già nelle prime fasi di sviluppo. Essi non sono semplicemente una conseguenza di una mancanza di opportunità di apprendere e non sono dovuti a una malattia cerebrale acquisita. Piuttosto si ritie-ne che i disturbi derivino da anomalie nell’elabora-zione cognitiva legate in larga misura a qualche tipo di disfunzione biologica. Come per la maggior parte degli altri disturbi dello sviluppo, queste condizio-ni sono marcatamente più frequenti nei maschi…vengono diagnosticate quando i risultati ottenuti dal bambino in test standardizzati, somministrati indivi-dualmente, su lettura, calcolo o espressione scrit-ta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età, all’istruzione e al livello d’in-telligenza. Essi interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura, di cal-colo e di scrittura …”. (9) (1)

La conoscenza relativa di cause ed effetti di que-sti disturbi permette di meglio comprendere alcu-ne problematiche a cui essi sono collegati, ma an-cora molti sono gli aspetti del tutto sconosciuti.Nei riquadri sinottici che seguono, sono elencate le definizioni dei disturbi riconosciuti in Italia e di quelli classificati nella letteratura anglossassone (Figura 1 e 2 ).

Implicazioni in ambito sportivoÈ possibile che tali aspetti influenzino altresì la capacità di un soggetto di ottenere risultati ec-cellenti anche in campo sportivo?A nostro parere questo argomento, di grande at-tualità sia nel settore scolastico che in quello del-la vita di tutti i giorni, non può non influenzare la professionalità di chi nel settore sportivo e del fi-tness ha a che fare ogni giorno con problematiche legate all’insegnamento ed alla comunicazione.Premettendo che non si vuole affatto affermare che un operatore professionista dello sport deb-ba sostituirsi agli specialisti del settore, è fonda-

Dislessia difficoltà a leggere in modo corretto e fluente (può essere anche acquisita)

Disgrafia riguarda le abilità esecutive della scrittura

Disortografia difficoltà nel trasformare il linguaggio parlato nel linguaggio scritto

Disturbo specifico della compitazione

difficoltà nel suddividere in sillabe le parole, di solito associata a problemi di disgrafia, ma non fonetici

Discalculia disturbo nell’apprendimento del calcolo e del sistema dei numeri

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Disturbo specifico del linguaggio

condizione in cui l’acquisizione delle normali abilità linguistiche è disturbata sin dai primi stadi dello sviluppo, non direttamente attribuibile ad alterazioni neurologiche o ad anomalie di meccanismi fisiologici dell’eloquio, a compromissioni del sensorio, a ritardo mentale o a fattori ambientali

Disprassia disturbo che riguarda la coordinazione e il movimento e che può comportare problemi anche nel linguaggio

Disturbo dell’elaborazione auditiva

difficoltà nel processing delle informazioni uditive da parte del SNC, come dimostrato da scarse performance in una o più delle suddette competenze

Disturbo dell'apprendimento non verbale

difficoltà cognitive di tipo visuospaziale e deficit in abilità non verbali, quali: geome-tria, disegno, scienze, geografia

Figura n°2 - Ulteriori Disturbi dell’Apprendimento oggetto di studio nei paesi anglosassoni.

Figura n°1 - Disturbi dell’Apprendimento riconosciuti come tali in Italia.

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1. I RAPPORTI DI FLESSO ESTENSIONE: L’ATTIVAZIONE MUSCOLARE E LA FLESSIBILITÀ DELLE CATENE OPPOSTE COME FUNZIONALITÀ DEL RANGE MOTION NELLO SVILUP-PO DEL RAPPORTO: ESERCIZIO ECCENTRICO > STATICO > DINAMICO.

LA COMBINAZIONE TRA LE RESISTENZE DEL PIANO SAGITTALE E DEL PIANO FRONTALE.

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STRENGTH & CONDITIONING. Per una scienza del movimento dell’uomo Anno III - Numero 8 / Aprile-Giugno 2014 67

VINCENZO CANALIDocente a.c. di posturologia applicata allo sport nel corso di Teoria e Metodologia dell’attività motoria - Scienze Motorie - Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Parma.Tecnico IAAF (Fed. Internazionale Atletica Leggera) e preparatore posturale di Elena Isimbaeva, campionessa olimpica di salto con l’asta ad Atene 2004 e a Pechino 2008. È anche titolare di quattro brevetti internazionali di macchine isotoniche a rotazione e posturali “defense”, per il potenziamento muscolare e per la mobilità articolare.Nella sua carriera di preparatore posturale e di ginnastica annovera anche gli olimpionici Gibilisco, Baldini, Di Martino e la collaborazione con varie squadre nazionali e federazioni sportive.

roposta di sviluppo di un progetto di ginnasticaposturale come prevenzione dei traumi da carico iterativo

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originali, per tutto il 2014.

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I baricentri tecnici che abbiamo trattato nel pre-cedente articolo (S&C, Anno 3, n.7, 65-67), per essere attivi si devono rapportare con le catene opposte di 1°, 2° e 3° grado. La catena opposta è un rapporto di flesso esten-sione che pone in serie un’azione di contrazione con un’ azione di estensione, in una o più strut-ture muscolari, al fine di produrre un equilibrio tra le stesse che permetta al baricentro tecnico di essere attivo.

Le catene opposte sono 3:1° grado. Riguarda i rapporti tra le due inser-zioni dello stesso muscolo (ad es. il quadricipite) .L’inserzione distale, che è collegata all’articola-zione non starter, in questo caso il ginocchio, si rapporta sia con l’azione antagonista di flesso estensione del ginocchio stesso, che con l’azio-ne collegata alla seconda inserzione, cioè quella dell’articolazione starter.L’attivazione del baricentro tecnico di 1° grado dipende anche dalla strutturazione del rapporto della catena opposta di 1° grado.

La flesso estensione del ginocchio produce tra-zione rispetto al capo opposto per:

a. Contrazione muscolare (estensione del ginocchio)

b. Allungamento muscolare (flessione del ginocchio)

Se la struttura muscolare dal capo prossima-le non è in grado di adattarsi, allungandosi, alla trazione del capo opposto, sarà il baricentro tecnico a compensare tale azione.

Ne deriva un concetto molto importante:l’azione di un’articolazione non starter e l’azio-ne di un’articolazione starter che produce re-sistenza diretta o indiretta su un baricentro tecnico deve essere compensata nella struttura muscolare stessa o dalla capacità di attivazione del baricentro tecnico collegato, qualora questo sia in grado di opporsi, sovrastandola, alla resi-stenza stessa.

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ERWAN CODRONS Psicologo, assegnista di ricerca del dipartimento di sanità pubblica, medicina sperimentale e forense.LAMA-CRIAMSUniversità degli Studi di Pavia.

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L’attività fisica è universalmente riconosciuta come un fattore determinante per la salute della popolazione; questo è vero sia in fase di preven-zione che nella terapia di diverse patologie. No-nostante ciò, in Italia oltre 23 milioni di persone (pari ad oltre il 40% della popolazione) risultano sedentarie (Istat 2009). L’inattività è un feno-meno diffuso a livello planetario tanto che l’Orga-nizzazione Mondiale della Sanità lo indica come la quarta causa di mortalità nel mondo. La ricerca adattata all’esercizio fisico si è occu-pata di indagare le motivazioni che spingono alla sedentarietà tanto che, secondo Parfitt et al. (2006), riuscire ad identificare i fattori che in-ducono una scarsa partecipazione ai programmi d’esercizio, ha rappresentato, per i ricercatori di scienze motorie, una delle più grandi sfide degli ultimi anni.

Una delle cause sembra essere costituita dal basso tasso di adesione ai programmi di eserci-zio: infatti, circa il 50% di soggetti che si approc-ciano all’esercizio fisico si ritirano entro i primi sei mesi, senza perciò riuscire a trarre dal lavoro svolto dei veri e propri benefici e guadagni a livello fisiologico (Dishman e Buckworth, 1996). L’abban-dono appare un evento non semplice da risolvere. Sulle cause di questo fenomeno sono state ipotiz-zate diverse teorie; una linea certamente molto interessante porta a considerare le sensazioni che le persone provano, mentre si approcciano all’esercizio.

L’inattività potrebbe, quindi, essere favorita an-che dal basso livello di piacere provato durante l’esercizio e da un’alterata percezione dello sforzo durante la sessione di allenamento (Ekkekakis et al., 2005; Parfitt et al., 2006; Williams et al., 2008). Il grado di piacere provato durante l’eser-cizio potrebbe, quindi, giocare un ruolo importan-te sulla futura partecipazione all’attività fisica in questione.

I presupposti di questa stimolante ipotesi risalgo-no al 1953, anno in cui Young presentò la teoria “edonistica”, o “Teoria della Motivazione”, basata sull’ipotesi che se le persone traggono piacere, energia positiva, divertimento, durante la pratica dell’attività fisica, è probabile che cercheranno di ripetere nel tempo questa esperienza. Di contro, se i sentimenti provati durante l’attività sono di tipo negativo, come il dispiacere, la stanchezza, il dolore o il disagio, le possibilità e le probabilità che questi soggetti siano spinti a ripeterla e ripropor-la a se stessi saranno scarse. È possibile asseri-re che le esperienze che portano a sensazioni in-dividuali di benessere facilitano la partecipazione, mentre quelle che suscitano sensazioni negative provocano l’abbandono (Parfitt et al., 2006).L’adesione al programma di allenamento può es-sere correlabile al livello di piacevolezza o affet-tività dell’esercizio come dimostrato dallo studio di William et al. (2008) che ha evidenziato la cor-relazione tra l’adesione all’esercizio e l’affettività e la percezione dello sforzo, misurata tramite la

isposte fisiologiche e affettive nel functional training di gruppoIndividuare autonomamente l’intensità ottimale di lavoro è possibile?

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Erwan Codrons, Luca Marin, Matteo Vandoni

PRIMA PARTE

LUCA MARINDottore inFisioterapia.Docente presso ilCorso di Laurea inScienze Motoriedell’Università degliStudi di Pavia.Docente e Tecnicodella FederazioneItaliana Pesistica.LAMA-CRIAMSUniversità degli Studi di Pavia.

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MATTEO VANDONIRicercatore presso ilDipartimento diSanità Pubblica,MedicinaSperimentale eForense (Universitàdi Pavia).LAMA-CRIAMSUniversità degli Studi di Pavia.

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WILLIAM J.HANNEY è assistant professor nel programma di terapia fi sica all’Università della Florida Centrale.

PATRICK S. PABIAN è istruttore e coordinatore accademico di istruzione clinica all’Università della Florida Centrale.

MATTHEW T. SMITH è un medico di medicina fi sica e riabilitazione allo Spine Health Institute del Florida Hospital.

CHETAN K. PATEL è un chirurgo della colonna vertebrale allo Spine Health Institute del Florida Hospital.

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In qualsiasi momento, una persona su cinque la-menta dolore lombare (LBP) (8) e oltre l’80% del-la popolazione riferisce questa condizione ad un certo punto della vita (7). La prevalenza di LBP cronico debilitante è in aumento, essendo stata segnalata essere nel 2006 del 10,2% mentre era del 3,9% nel 1992 (9). Da un punto di vista eco-nomico, il LBP rappresenta una delle più costose condizioni mediche della società industrializzata (12, 28).Un concetto che ha attirato l’attenzione della let-teratura scientifica per la cura dei pazienti con LBP è la cosiddetta preferenza direzionale (directional preference). Essenzialmente, il concetto di prefe-renza direzionale suggerisce che posizioni o movi-menti specifici possono esacerbare o ridurre il dolo-re lombare di un soggetto (23, 40). Gli adattamenti degli esercizi, basati su tali schemi di movimento, danno ai professionisti della forza e del condiziona-mento fisico la possibilità di sviluppare programmi post-riabilitativi o per il miglioramento dell’efficien-za fisica a cui un soggetto con LBP potrebbe parte-cipare senza intensificazione del dolore.

Considerando la prevalenza del LBP, la sua ten-denza a cronicizzare e le evidenze a sostegno dell’utilità dell’attività fisica (11), è probabile che i professionisti della forza e del condizionamen-to fisico incontreranno soggetti con una storia di LBP o con episodi di tale patologia in corso. Pertanto, lo scopo del presente articolo è pro-prio quello di descrivere le condizioni comuni che contribuiscono al LBP e di passare in rassegna le strategie che i professionisti della forza e del con-dizionamento fisico possono utilizzare per inserire schemi di movimento e modifiche agli esercizi che siano utili per questa [così numerosa ed in cresci-ta, NdT] popolazione.

CONDIZIONI FAVORENTI IL DOLORE LOMBARE

Sebbene molte condizioni possano contribuire al dolore lombare, in circa il 33% dei casi non vi è un’evidente causa anatomica (3, 18, 21). Tutta-via, il LBP è spesso considerato di natura mecca-nica e caratterizzato da sintomi che sono esacer-bati o alleviati dal movimento o dalla particolare posizione assunta (33, 34). Poiché il movimento influisce sul dolore lombare di origine meccanica,

Introduzione

N.B. Conflitti di interessee fonti di finanziamento: gli autori riferiscono che non vi è alcun conflitto di interesse e alcuna fonte di finanziamento.

dal 15 febbraio al 5 aprile Quota intera € 100,00Quota studenti* € 60,00

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* = La quota studenti è riservata per studenti e specializzandi universitari. È richiesto l’invio della copia della documentazione che attesti questo status per l’anno in corso (libretto universitario etc.)

L’iscrizione al Convegno comprende: partecipazione ai lavori scientifi ci, copia dell’abstract book (a cura diCalzetti & Mariucci editore), kit del convegno, coff ee break e lunch (venerdì 9), accreditamento ECM (per lecategorie professionali in accreditamento) e attestato di partecipazione.

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A PRIMA VOLTA IN ITALIA1

PRIMA PARTE

olore lombare: considerazioni sul

movimento per l’attività fisica e l’allenamento

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William J. Hanney, PT, DPT, PhD, CSCS,1 Patrick S. Pabian, PT, DPT, CSCS,1 Matthew T. Smith, MD,2 and Chetan K. Patel, MD2

1Program in Physical Therapy, University of Central Florida, Orlando, Florida; and 2Spine Health Institute, Florida Hospital Medical Group, Altamonte Springs, Florida

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Beatrice Corsale

BEATRICE CORSALEPsicologa e Psicoterapeuta cognitivo comportamentale.Ha collaborato con l’Istituto di Neurofi siologia del CNR di Pisa e con l’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI.È Docente nei corsi quadriennali di Specializzazione post lauream in Psicoterapia gestiti dall’AIAMC e riconosciuti dal MIUR, Cultore della materia per il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca ed è socio fondatore della Società Italiana di Psicologia Positiva.È Psicologa della Federazione Italiana Badminton.Titolare dello Studio Corsale e del sito www.psicologo-ansia.it, è autrice di contributi scientifi ci e pubblicazioni in tema di psicologia e di benessere.

l flow favorisce l’espressione del proprio potenziale

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Lo stato di flow, altrimenti detto esperienza otti-male, è caratterizzato da piacevoli sensazioni di totale coinvolgimento e di profonda concentrazio-ne su quanto si sta facendo, dal sentirsi forti e fiduciosi, privi di preoccupazioni e senza timore di fallire. Questo stato mentale, che si verifica in partico-lari condizioni, è piuttosto frequente nella pratica sportiva in cui, tra l’altro, favorisce l’espressione delle migliori prestazioni (Harmison, 2011; Jack-son, 1995; Csikszentmihalyi, 1975 e 1990).Lo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi è stato il primo studioso ad occuparsi del fenome-no, fin dal 1970, quando avviò le ricerche proprio nell’ambito dello sport, delle arti e delle attività ludiche, colpito anche dall’osservare che tali at-tività, sviluppate nel corso dei secoli per arric-chire la vita di esperienze piacevoli e complesse, vengono portate avanti spontaneamente e con un intenso coinvolgimento, senza vincoli o obblighi esterni. Parallelamente, queste attività, permet-tono di raggiungere risultati di eccellenza (Csiks-zentmihalyi, 2000). In particolare, l’Autore si sofferma sul fatto che le esperienze di flow sono autoteliche (dal greco: autós = “sé” e telikos, da telos = “fine”), ovve-ro motivate da fattori intrinseci e non da fattori esterni e che, pertanto, la massima espressione artistica o una eccezionale prestazione sportiva hanno alla base il desiderio e il piacere di porta-re avanti quella data attività, più che il raggiungi-mento di uno specifico risultato. Infatti, quando

l’impegno in un dato compito determina in sé un senso di soddisfazione, l’attività è più facile da svolgere, anche in assenza di ricompense esterne (Muzio et al. 2012).L’esperienza di flow, in ogni caso, oltre a favori-re prestazioni particolarmente elevate (McInman & Grove, 1991), è soprattutto una condizione in cui la persona sperimenta uno stato affettivo positivo, un alto livello di autostima e di fiducia nelle proprie capacità, coinvolgimento e senso di controllo della situazione. È uno stato gratifican-te, caratterizzato da concentrazione e impegno, associato a situazioni che stimolano interesse e creatività (Salanova et al., 2006).

Poiché solitamente le persone desiderano ritro-vare le sensazioni positive che hanno provato, cercano di rimettersi nelle condizioni che hanno favorito quelle esperienze, come la pratica di un determinato sport (Jackson & Hanin, 2000).Il ricorrere dello stato di flow che si verifica nel corso della pratica sportiva è da ascriversi anche al fatto che il progressivo miglioramento delle pre-stazioni è un obiettivo intrinseco dello sport, per-tanto quando l’atleta si focalizza sull’azione pre-sente e sulla prestazione, senza curarsi troppo di tenere a mente l’eventuale obiettivo di risultato, sperimenta con maggiore probabilità lo stato di flow che, peraltro, è spesso associato al conse-guimento delle migliori performance (Abuhamdeh & Csikszentmihalyi, 2009; Jackson et al, 2001; Catley & Duda, 1997).

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GUIDO MARTINELLIavvocato,consulente dellaFiPE, professoreaggregato dilegislazionesportiva pressol’Università deglistudi di Ferrara,docente nazionaledella ScuolaCentrale dellosport del CONI, è autore di diversepubblicazioni inmateria di dirittosportivo.

Guido Martinelli

orme di gestione dei centri sportivi

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Credo che legittima aspettativa di ogni istruttore Fipe, così come di ogni chinesiologo, sia quella di “aprirsi” un proprio centro. Proviamo a percorrere insieme alcune considera-zioni di “start up” che devono essere effettuate per soddisfare tale legittima aspirazione.Il primo passaggio sarà quello di individuare il “luogo” giusto dove operare, proporzionato al ba-cino potenziale di utenza, alla tipologia di attività che si vuole svolgere all’interno e alla capacità finanziaria a disposizione da investire in questa iniziativa.

Va ricordata, sotto questo punto di vista, la pos-sibilità di fare ricorso ai mutui agevolati eroga-ti dall’Istituto per il credito sportivo. Tale banca (perché si tratta di una banca a tutti gli effetti) concede finanziamenti a tasso agevolato per la realizzazione, l’acquisto o l’ammodernamento di impianti sportivi. Interessante sottolineare che, oltre alla estrema convenienza del tasso di in-teresse, l’istituto di credito finanzia il 100% (a stati di avanzamento lavori) di quanto necessario all’avvio del nuovo impianto sportivo. Non bisogna dimenticare, però, che sempre di banca si tratta e, pertanto, a fronte del finanziamento richiesto, si dovranno dare le opportune garanzie nonché redigere un business plan “serio”, che possa di-mostrare la convenienza economica dell’opera-zione e la potenziale disponibilità di risorse per il pagamento delle rate del mutuo.

Secondo problema che si pone è la destinazione urbanistica. Una palestra è attività artigianale (artigianato di servizi), commerciale o sportiva? Preparatevi ad una impari lotta con la burocrazia italiana.A questo punto si pone la scelta del modello di soggetto da costituire per la realizzazione e ge-stione del centro.

Prima di ogni valutazione, circa la forma migliore per la costituzione di un centro sportivo, risulta indispensabile chiarire se l’attività svolta nel cen-tro sia finalizzata o meno al conseguimento di un profitto e/o comunque di un vantaggio patrimo-nialmente valutabile, da parte dei Soci fondatori e/o di coloro i quali hanno investito risorse econo-miche per la realizzazione dell’impianto. La ricorrenza del fine di lucro, ossia dell’intenzio-ne di ricavare un guadagno (dall’esercizio di una data attività), determina, sul piano giuridico, la diretta applicazione della disciplina normativa che regola l’impresa. Il fine di lucro fa assumere, in sostanza, all’at-tività svolta la qualificazione giuridica di attività commerciale e al soggetto che la svolge quella di imprenditore. Questo, però, pone il soggetto all’esterno dell’organizzazione sportiva ricono-sciuta dal Coni all’interno della quale (ad eccezio-ne delle discipline professionistiche: calcio, cicli-smo, pugilato, golf, motociclismo e pallacanestro) possono operare solo strutture dilettantistiche, per le quali l’articolo 90 della legge 289/02 pre-

Premessa

Sport o impresa