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http://cultura-non-a-pagamento.blogspot.it/
Jean -Luc Nan cy
VERITA
DELLA DEMOCRAZIA
Partendo da un'interrogazione sul significato e l'eredit del '68,
Nancy delinea la propria idea di democrazia. Tra il Maggiofrancese e la verit della democrazia c' infatti un legameprofondo, perch il '68, che aveva tra i suoi obiettivi polemicinon solo il capitalismo, ma anche una certa forma della
politica e della democrazia gestionale, ha inventato una nuova
idea della democrazia compatibile con il comunismo nella suaforma pi alta. La democrazia non ha sufficientemente capitoche doveva essere anche comunismo' in qualche modo, perchaltrimenti non sarebbe stata che gestione delle necessit e deicompromessi, priva di desiderio, cio di spirito, di soffio, disenso. La democrazia non , come nelle teorie politiche delmondo antico, una forma di governo determinata n, come in
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quelle della modernit, un principio della politica che siesaurisce nella rappresentanza parlamentare. La democrazia
piuttosto una sorta di condizione preliminare che mette in
gioco il destino dell'uomo nel suo complesso e apre lo spazioall'invenzione non di fini ultimi, ma di mezzi in grado dielaborare nuove forme non solo della politica, ma anchedell'arte, della letteratura, dell'esistenza umana individuale ecollettiva.
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Jean-Luc Nancy
Veritdella democrazia
traduzione di
Roberto BorghesiAntonella Moscati
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Titolo originale
Vrit de la dmocratie
2008 ditions Galile 2009 Edizioni CronopioCalata Trinit Maggiore, 4 - 80134 NapoliTel/fax 0815518778
www.cronopio.ile-mail: [email protected]
ISBN 978-8S-89446-43-0
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Indice
I. 68-08
II. Democrazia inadeguata
III. Democrazia esposta
IV. Del soggetto della democrazia
V. Potenza d'essere
VI. L'infinito e il comune
VII. Partizione dell'incalcolabileVIII. Infinito nel finito
IX. Politica distinta
X. Inequivalenza
XI. Spazio formato per l'infinito
XII. Praxis
XIII. Verit
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Se ci fosse un popolo di Dei,
si governerebbe Democraticamente.
Rousseau, Il contratto socialeLibro III, cap. IV
Dopo le denunce miopi o impaurite di certi intellettuali,
l'autorit che presiede allo Stato francese ha definito "Maggio68" come l'origine di un rilassamento e di un relativismomorale, di un'indifferenza e di un cinismo sociale di cuisarebbero vittime la virt politica e un capitalismo che sipresume dotato di scrupoli. L'accusa talmente scandalosanel suo cinismo e talmente ingenua nella sua mal celataastuzia che inutile perdere tempo a con fu tarla. Tuttavia
inquietante e significativo che si sia anche solo potatoconcepire un attacco cos grossolano. Inquietante perl'intransigenza alla quale vogliono prepararci e significativoper l'angolazione del suo attacco: accusare il 68 di immoralitsignifica mantenere intatta la fiducia nelle virt di una buona
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politica e negli scrupoli di un buon capitalismo, entrambi alservizio dei cittadini-lavoratori-risparmiatori. Ma era proprioalla politica in s e al capitalismo in s che si rivolgeva il
movimento profondo del 68. Era contro la democraziagestionale che si rivolgeva la sua veemenza ed era addiritturaun'interrogazione sulla verit della democrazia che vi sitentava di profilare.
Il proposito delle pagine che seguono individuare eprolungare quel tentativo.
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I
68-08
C' un rapporto assai stretto e assai profondo tra larievocazione del quarantesimo anniversario del 68 el'effervescenza attuale intorno alla questione della democra-zia, di cui testimoniano tante pubblicazioni. Il 68, infatti, hacominciato a mettere in dubbio, senza che allora ce nefossimo resi veramente e completamente conto, la certezzademocratica che in quel momento sembrava confortata daiprogressi della decolonizzazione, dall'autorit crescente dellerappresentazioni dello "Stato di diritto" e dei "diritti umani"
e, nello stesso tempo, dall'esigenza sempre pi chiara di unagiustizia sociale i cui modelli non fossero tributari deipresupposti che il termine "comunismo", cos come avevamofinito per intenderlo, implicava.
Per questo motivo un anniversario del 68 ha senso solo sepossiamo celebrare i quarantanni - una maturit ancoracapace di inquietudine e di avventura - di un processo, di una
mutazione o di uno slancio che, in quell'anno del "22 marzo",non faceva che mostrare i suoi primissimi segni precursori eche ancora oggi a uno stadio poco pi che iniziale.
Non c' quindi nessun motivo per parlare di un"'eredit"del 68 - n quando ci si pronuncia, in maniera abbastanza
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ridicola, a favore della sua liquidazione n quando s< nevogliono invece cogliere i frutti pretendendo di rinnovareuna sua presunta primavera. Non c' nessuna eredit, non c'
stato nessun decesso. Lo spinto non ha mai smesso disoffiare.68 non stato n una rivoluzione, n un movimento di
riforme (bench ne sia derivata tutta una serie), n unacontestazione, n una ribellione, n una rivolta, nun'insurrezione, bench sia possibile rintracciare in esso itratti di tutte queste posture, postulazioni, ambizioni e
attese. La caratteristica pi propria e singolare del 68, che gliha contento quasi naturalmente il diritto di portare a guisa dipatronimico il suo monogramma calendariale - come primadi lui 89, 48 o 17 - pu essere individuata solo abbandonando,almeno parzialmente o relativamente, tutte queste categorie.
Ci che aveva preceduto 68 determinandone la condizione
di possibilit fondamentale - le altre condizioni dipendevanoda circostanze pi limitate: arcaismi in Francia, pesantezza inGermania, accanimento degli Stati Uniti in Vietnam, eccetera- era stata, per puntare diritto all'essenziale, una delusionepoco visibile ma insistente, un sentimento tenace dellamancata riconquista di quanto all'indomani della secondaguerra mondiale sembrava aver fatto il suo ritorno trionfale:
la democrazia, appunto.In altri termini 68 stato non solo possibile ma necessario
(nella misura in cui lecito fare appello a questo concettonella storia) perch ci di cui la seconda guerra mondiale erasembrata solo la deplorata interruzione - l'esordio di un
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relativo concerto o di una concertazione, se non di unconsenso, del mondo delle nazioni democratiche e l'inizio diun diritto internazionale - era lungi dallaver ritrovato il suo
corso e dal potere affermare le sue certezze. Al contrario, l'in-certezza minava tacitamente ci che voleva essere unagrande "ricostruzione" per utilizzare il termine che serv damotto alla trasformazione della CFDT1 - emblematica dellospirito democratico del tempo.
1 Acronimo della Confdration Franaise Dmocratie du Travail,uno dei maggiori sindacati francesi [N.d.T].
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II
Democrazia inadeguata
Quel tempo non si accorgeva del ritardo cheimpercettibilmente accumulava rispetto a se stesso. Qualchecosa nella storia stava superando, debordando o sviando ilcorso principale delle attese e delle lotte che proseguivanoquelle dei due mezzi secoli precedenti .
L'Europa non capiva fino a che punto non fosse pi quellache aveva creduto di essere e forse nemmeno fino a chepunto non riuscisse a diventare quello che tuttavia cercava dicostruire: l'"Europa" come entit spirituale e come unit
geopolitica. La guerra fredda appariva come lo scontro fra lerisposte possibili alle sfide della storia del mondo industrialee democratico: ci s'immaginava ancora la possibilit di unaltro soggetto del corso delle cose (di un progressocontemporaneamente tecnico e sociale), soggetto modellatosull'una o sull'altra visione dell'uomo e della sua comunit,
visione nella quale si faceva a gara quanto a "terze vie", a idee
regolatrici post-coloniali e post-sovietiche insieme, nonchnelle varie maniere per superare la democrazia "borghese". In
vari modi, i Consigli o le Autogestioni, le Democrazie diretteo le Rivoluzioni permanenti occupavano un orizzonte cherestava quello della possibilit di un'azione organizzata, ossia
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organica, e di una pianificazione o di una prospettiva il cuischema formale si era introdotto perfino nella concezionedello Stato.
Non sapevamo che stavamo uscendo dall'epoca delleimmagini del mondo" (per riprendere, deliberatamente, iltitolo di un testo nel quale Heidegger, nel 1938, mostrava lachiusura di un"'epoca") e quindi anche delle previsioni di unmondo trasformato - riformato, rinnovato, ossia ricreato orifondato.
Non lo sapevamo fino al punto di misconoscere ci cheera accaduto e ancora accadeva in nome di ci che sicominciavano a chiamare i "totalitarismi". Ci si era abituatimolto presto - troppo presto, troppo in fretta, in effettiancora prima dell'invenzione della parola - a designare conquesto termine, della cui validit si cos spesso discusso, e
della cui genericit si deve diffidare, il male politico assolutoopposto alla democrazia, da una parte, e dall'altra un malevenuto da chiss dove, piombato sulla democrazia da unfuori gi in s negativo (perversione di una dottrina oppurefollia di un uomo). Il pensiero che questa venuta potesseessere dovuta a motivazioni e ad attese sorte all'interno dellestesse democrazie, anche se allora non era completamente
assente, non aveva tuttavia prodotto un sufficiente bisogno diriflettere su ci che aveva reso la democrazia inadeguatarispetto a se stessa, sia che si trattasse della perdita di unaforma raggiunta per un momento (come immaginavano isostenitori dell'idea repubblicana) oppure di un difetto
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costitutivo di una democrazia che non sapeva, non poteva onon voleva portare alla luce il demos che doveva costituirne ilprincipio.
Il pensiero di un'inadeguatezza della democrazia(rappresentativa, formale, boriluse) nei confronti della suastessa Idea - e, quindi, nei confronti di una verit del "po-polo" e di un'altra del kratein, del potere - era stato presente,e talvolta in modo assai attivo, prima della seconda e anchedella prima delle guerre "mondiali". Ma il pi delle volte eraservito soltanto ad alimentare proprio i movimenti "totalitari"
o per lo meno a costruire una specie di aura marginale in-torno all'uno o all'altro: non era possibile non essere pi omeno "marxista", sia pure in versioni sofisticate o estetizzate,oppure era necessario essere "rivoluzionario", sia pure inmodo "conservatore" o "spirituale". In ogni modo, il pensierosi distoglieva dalla democrazia, giungendo nel migliore dei
casi a considerarla il male minore. Ma in questo modo essanon poteva che rivelarsi portatrice della menzogna dellosfruttamento o di quella della mediocrit, oppure dientrambe le menzogne riunite. Cos la politica democraticasprofondava inevitabilmente in una duplice negazione: digiustizia e di dignit.
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III
Democrazia esposta
Se, a partire dalla seconda guerra mondiale, la democrazia stata sottoposta a un riesame, ci avvenuto non tanto ins quanto per via della sua opposizione - veemente elegittima - ai "totalitarismi", il cui ricordo (nel caso deifascismi) e la cui crescente denuncia (nel caso deglistalinismi) continuavano a ingiungere di voltare loro lespaLle. Questo voltare le spalle non ha tuttavia coinciso conuna presa di coscienza del fatto che le catastrofi politichemaggiori della met del secolo non erano sopraggiunte per
l'irruzione di demoni inspiegabili. Gli schemi rimanevanoquelli della barbarie, della follia, del tradimento, delladeviazione o della malvagit: il pi delle volte, si di-menticato, forse non deliberatamente ma in una specie disonnambulismo, ci che pure si poteva imparare o dedurreda certe analisi (per esempio da Bataille e Benjamin fino ad
Arendt o... Tocqueville).
Insomma, abbiamo visto la democrazia attaccata, ma nonabbiamo visto che essa stessa si era esposta agli attacchi echiedeva di essere reinventata e non solo difesa cos com'era.68 stato il primo insorgere dell'esigenza di una taleinvenzione.
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Fino a quel momento, la sinistra europea si era mobilitatanelle lotte di decolonizzazione e nella ricerca di svariaterifondazioni (di estrema sinistra o di sinistra sociale) de-
stinate a rompere con quello che allora veniva detto ilcomunismo "reale" e la cui realt era tutto tranne checomunista. Ma le lotte di decolonizzazione cos comel'esigenza di rottura spesso occultavano, con la loro urgenza eil loro fervore, il fatto che non bastava riaggiustare una
visione traviata o insufficiente. Occultavano il fatto che nonpoteva bastare rettificare l'immagine del buon soggetto della
storia.Nel frattempo, infatti, aveva avuto inizio un profondo
cambiamento del pensiero -ma del pensiero nel suo significato pi ampio e serio, piattivo e operativo: il pensiero in quanto piano di riflessionedella cultura, della vita e delle forme di valutazione. E
probabilmente in questo periodo che cominciava a farsisentire, in un modo molto diverso da quello istrionico esinistro del Terzo Reich, l'esigenza nietzscheana di una"trasvalutazione di tutti i valori". Ecco perch, a dispetto delleanime belle, siamo stati e restiamo nietzscheani da questopunto di vista; insomma apriamo una strada per uscire dalnichilismo. Sappiamo che una strada angusta e difficile, ma
aperta. infatti l'uscita dal nichilismo che si intrapresa quando
abbiamo cominciato a uscire da un confronto fra concezionie valutazioni che segretamente (e/o a loro insaputa)condividevano tutte il fatto che si riferivano o sembravano
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riferirsi in ultima istanza solo a scelte, a opzioni sempre pi omeno soggettive - in una specie di democraticismo generaledei valori. In verit, per, stava avvenendo una dislocazione
di tutto il regime di pensiero che permetteva il confronto frale opzioni. Non uscivamo, infatti, soltanto dalle "concezioni",dalle "visioni" o dalle "immagini" del mondo (Weltbilder).Uscivamo anche dal regime generale in cui la visione inquanto paradigma teorico implica anche che si possanotracciare orizzonti e determinare vedute e pre-visioni opera-tive. Tra i profondi sconvolgimenti della de colonizzazione -
accompagnati dall'espansione di modelli ora socialisti-rivoluzionari, ora socialisti-repubblicani - cosi come damutazioni tettoniche del pensiero e delle rappresentazioni -,lasciavamo l'et della "Storia", come Lvi-Strauss, Foucault,Deleuze o Derrida avevano subito diagnosticato, mentreSartre si sforzava con audacia di riprendere su nuove basi il
pensiero del soggetto della prassi sociale.
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IV
Del soggetto della democrazia
Non c' stato invano questo "pensiero 68" che alcunihanno creduto e credono ancora di potere consegnare alsarcasmo. Non erano giochi o fantasmi di "intellettuali", era-no anche il sentimento, la disposizione, ossia l'habitus el'ethos che penetravano le mentalit e lo spirito pubblico.Unito alla diffidenza nei confronti di una certarappresentanza dei partiti e dei sindacati, quell'ethos tendevaa svincolare l'azione politica dal quadro convenutodell'esercizio e della presa del potere - che fosse per via
elettorale o per via. insurrezionale - e dal riferimento amodelli o a dottrine (dopo poco si sarebbe detto "ideologie")in un senso inedito del termine: configurazione di idee, corpidi pensiero, e non pi riflesso rovesciato del reale.
In vari modi - in modi molto diversi, addirittura opposti -si abbandonava il regime della "concezione" (concezione delsoggetto e soggetto della concezione, controllo dell'azione e
azione di controllo, visione e previsione, proiezione eproduzione degli uomini e dei loro rapporti) per aprire unaltro regime di pensiero: non pi produrre forme che avevanoil compito di modellare un dato storico gi in qualche modopreformato in se stesso - quanto meno preformato da un'idea
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generale di "progresso" e dalla possibilit di esaminare ilcorso delle cose in nome di una ragione disponibile - maesporre gli obiettivi stessi (l""uomo" o l'"umanesimo", la
"comunit" o il "comunismo", il "senso" o la "realizzazione") aun superamento di principio: a ci che una previsione non in grado di esaurire perch questo mette in gioco un infinitoin atto2.
Non c' mai stato, nel vivo e nella seriet di quel tempo dipensiero, nessun tentativo di mettere in crisi o didestabilizzare il soggetto a favore di non si sa quale
orchestrazione di forze e oggetti, come ci si compiace diripetere. C' stata apertura del "soggetto" a quello che Pascalgi sapeva esplicitamente, lui che inaugura questo tempo"moderno" - o come lo si vorr chiamare - colpendolo conquesta formula che equivale a un'ingiunzione, a unapromessa e a un rischio assoluti: l'uomo supera infinitamente
l'uomo. Su questa base il "soggetto", il "soggetto" presunto diun essere-a-s, autoproduttore, autoformatore eautoteleologico, il soggetto della propria presupposizione edella propria previsione, costui individuale o collettivo chefosse - si scopriva infatti gi superato dagli eventi.
2 Ecco perch il "comunismo" va pensato meno come un'ipotesi,come fa Badiou - e quindi meno come un'ipotesi politica da verificareattraverso un'azione politica presa anch'essa in uno schema di lottaclassica - che come un dato, come un fatto: il nostro primo dato.Innanzitutto, noi siamo in comune. Poi, dobbiamo diventare ci chesiamo: il dato quello di un'esigenza, ed essa infinita.
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Ebbene questo soggetto era al cuore della democrazia.Rappresentativa o diretta, la democrazia non ha ancora
chiaramente liberato le sue "concezioni" dal presupposto del
soggetto padrone delle proprie rappresentazioni, volizioni edecisioni. Ecco perche legittimo interrogarsi sulla realtultima del gesto elettorale tanto quanto sulla "democrazia deisondaggi". Cosa che non implica che si debba semplicementesostituire la rappresentanza politica con la presentazione -ossia l'imposizione - del bene o del destino del (o dei)popolo(i).
Oggi pu accadere che ci siano molte ambiguit intornoalle autocritiche reali o presunte della democrazia. I principidemocratici si possono ritorcere contro se stessi o si puapprofittare di una fin troppo visibile debolezza perpervertire i "diritti umani", come si fa quando si tacciano di"razzismo" le critiche rivolte contro certi comportamenti
religiosi, oppure quando, in nome di un "multiculturalismo"politicamente "corretto", ci si arrabatta per giustificare la su-bordinazione delle donne. In modo pi insidioso ancora, sipu falsificare alla radice la libert d'espressione attraversoun insegna mento e una vita culturale assoggettati all'ipnosidella superstizione. Ma queste minacce assai reali nondevono tuttaltro - incoraggiare le democrazie ad
abbandonare la propria lucidit.
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Potenza d'essere
68 ha avuto proprio il merito di guardarsi bene dallavolont di presentare e dettare una visione, la sua direzione ei suoi obiettivi. (Ha avuto questo merito essenzialmente ldove stato pi propriamente "68", cosa che sfugge a unosguardo semplicemente sociostorico o, peggio,psicosociologico).
Un modo di uscire dalla Storia era stato - gi prima dellaguerra - il ricorso a un pensiero del "messianismo",rappresentato pi come un evento di rottura della e nella
Storia che come l'avvento di un Salvatore o di un Giustiziere.Un pensiero del tempo nella disgiunzione piuttosto che nellaconcatenazione, nella secessione piuttosto che nellasuccessione. Questo ricorso al messianismo proseguito,anche recentemente, soprattutto a partire da alcune propostedi Derrida. Non riapriremo qui la discussione su che cosagiustifichi o meno l'uso del lessico messianico: baster
sottolineare il senso complessivo di ci che, in relazione allaStoria e a partire dagli anni '20, sar stato comunque ilsintomo ricorrente di un'esigenza, sentita sempre di nuovo,di sostituire l'evento a qualsiasi specie di avvento. 68 non hafatto nessun ricorso al tema del "messianico" - neanche se
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debitamente qualificato come "senza messianismo" o "senzaMessia". Ma lecito proporsi, per un momento, di vedere nel68 un'ispirazione "messianica", perch invece di elaborare e
portare avanti visioni e previsioni, modelli e forme, si pre-feriva salutare il presente di un'irruzione o di una distruzioneche non introduceva nessuna figura, nessuna istanza,nessuna nuova autorit.
Ci che conta in questa prospettiva non sono 1 "'anti-autoritarismo" e il senso libertario o libertino che - non senzamotivo si attribuisce a 68 nel bene come nel male; ci che
conta e uno dei sensi di questa verit: che 1 "'autorit" nonpossa essere definita da alcuna autorizzazione preliminare(istituzionale, canonica, normata), ma pu solamenteprocedere da un desiderio che vi si esprime o vi si riconosce.Non c' soggettivismo, e tanto meno psicologismo, in questodesiderio, ma l'espressione di una vera possibilit e quindi di
una vera potenza d'essere.Se la democrazia ha un senso, pu essere solo quello dinon disporre affatto di un'autorit identificabile a partire daun altro luogo e da un altro slancio che non sia quello di undesiderio - di una volont, di un'attesa, di un pensiero - in cuisi esprime e si riconosce un'autentica possibilit di esseretutti insieme, tutti e ognuno. Bisogna ripeterlo ancora una
volta: non un caso se i termini "comunismo" e "socialismo",quale che fosse la torsione cui erano stati sottoposti, sianostati i portatori dell'esigenza e del fervore che il termine"democrazia", appunto, non riusciva o non riusciva pi adalimentare. 68 se ne ricorda di colpo, nel presente di
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un'affermazione che ci tiene innanzitutto a liberarsi da ogniidentificazione.
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VI
L'infinito e il comune
La democrazia non ha sufficientemente capito che dovevaessere anche "comunismo" in qualche modo, perchaltrimenti non sarebbe stata che gestione delle necessit e deicompromessi, priva di desiderio, cio di spirito, di soffio, disenso. Non si tratta quindi solamente di afferrare uno "spiritodella democrazia", ma innanzitutto di pensare che la"democrazia" spirito prima ancora di essere forma,istituzione, regime politico e sociale. Ci che in questaaffermazione pu apparire inconsistente, "spiritualistico" e
"idealistico" contiene invece la necessit pi reale, piconcreta e pi pressante.Se il contratto di Rousseau ha un senso che va oltre
l'angusto perimetro giuridico e difensivo nel quale lo confinail suo concetto datato, perch non produce i principi di uncorpo comune che si governa senza produrre anche einnanzitutto, in maniera pi essenziale, un essere intelligente
e un uomo, come dice letteralmente il testo.Lo spirito della democrazia non niente meno che questo:
il soffio dell'uomo, non dell'uomo di un umanesimo che simisura all'altezza dell'uomo dato - e dove prenderemmoquesto dato? In quali condizioni, in quale statuto? - ma
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dell'uomo che supera infinitamente l'uomo. Ci che finora mancato Pascal con Rousseau. Marx riuscito quasi acongiungerli, lui che sapeva che l'uomo si produce e che
questa produzione vale infinitamente di pi di qualsiasivalutazione misurabile. Ed Marx che lega per sempre il suonome - il suo nome proprio, non l'appellativo "marxismo" -all'esigenza comunista che d'altronde, pensata in questomodo, si capisce meglio come abbia potuto resistere eimporsi fino ad essere confusa con un'illusione.
Questa esigenza, quella dell'uomo, dell'infinito e delcomune - la stessa, declinata, modulata, modalizzata - nonpu essere, per essenza, n determinata n definita. C' quiuna componente di incalcolabilit che probabilmente laparte la pi ribelle alle requisitorie di una cultura del calcologeneralizzato - chiamato "capitale". Questa componente
reclama di farla finita col calcolo delle previsioni, conl'anticipazione dei profitti. Non che questo debba annullarequalsiasi anticipazione, preparazione e computo di misurepi giuste (nel doppio senso di questo termine). Ma occorreanche che l'infinito dell'esigenza trovi la sua collocazione - ilsuo tempo, il suo momento. Per un certo tempo - breve,com'era giusto che fosse - il tempo di 68 stato meno
chronos che kairos: meno durata e successione cheoccasione, incontro, venuta senza avvento, senzaintronizzazione, andata e venuta di un'apprensione del pre-sente come presenza e co-presenza dei possibili. Questi stessipossibili si definivano meno come diritti che come potenze:
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potenzialit apprezzate meno per la loro "fattibilit" che perl'apertura, l'espansione d'essere che offrivano come potenze esenza doversi sottomettere a una realizzazione
incondizionata, tanto meno a una reificazione. L'incondi-zionato deve invece restare anche, nella sua assolutezza"irrealizzabile", una componente della messa in opera.
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Partizione dell'incalcolabile
In altri termini, un pi-che-opera o un'inoperosit decisiva per l'opera dell'esistenza: ci che essa mette incomune non solamente dell'ordine dei beni scambiabili, maanche dell'ordine del non scambiabile, del senza-valoreperch al di fuori di qualsiasi valore misurabile.
La parte del senza-valore - parte della partizionedell'incalcolabile e quindi, strettamente parlando, noncondivisibile - eccede la politica. La politica deve renderepossibile l'esistenza di questa pane, ha come compito
mantenerne l'apertura, assicurarne le condizioni d'accesso,ma non ne assume il contenuto. L'elemento nel quale si pucondividere l'incalcolabile ha per nome l'arte o l'amore,l'amicizia o il pensiero, il sapere o l'emozione, ma non lapolitica - sicuramente non la politica democratica. Questa siastiene dalla pretesa di partecipare a questa partizione, ma negarantisce l'esercizio.
E dall'attesa di una condivisione politica dell'incalcolabileche deriva la delusione di fronte alla democrazia. Siamorimasti prigionieri di una visione della politica come messa inopera e attivazione di una condivisione assoluta: destino diuna nazione, di una Repubblica, destino dell'umanit, verit
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del rapporto, identit del comune. Tutto quello che potevaessere assorbito dalle glorie monarchiche e che i"totalitarismi" hanno cercato di sostituire con una gloria
letteralmente demo-cratica: potere assoluto di un Popoloidentificato nella sua essenza e nel suo corpo vivente, popolodei Lavoratori o degli Autoctoni, autoproduzione e au-toctonia di un Principio che si sostituito ai Prncipi di untempo.
Dimentichiamo cos che le monarchie avevano potutoessere di diritto divino solo lasciando sussistere al loro
interno - ma come al loro fianco, come a margine - almenoun altro principio di partizione o di sussunzione: quello diun'autorit e di una destinazione divina che non si sono maisemplicemente confuse con l'autorit e la destinazionepolitica. Perfino nell'Islam, c' stata una distinzione tral'ordine propriamente teologico e l'ordine propriamente
politico. In verit, apparteneva gi alle origini greche dellapolitica separare due ordini, e le religioni civili dell'antichitnon si fondevano con le iniziazioni, le estasi o le rivelazionialle quali riservavano uno spazio3.
3 Quando si parla di "teologia politica" e soprattutto quando si usal'aggettivo "teologico-politico", il pi delle volte si produce, distorcendo
il senso che questi termini hanno in Carl Schmitt, il loro inventore, uneffetto di confusione: si crede di designare un'alleanza, o addirittura lafusione fra due registri, insomma una teocrazia, laddove si tratta invecedi una distinzione assai netta. (Una precisazione: il Tractatus teologico-politicus di Spinoza non rientra affatto in ci che Schmitt chiama"teologia- politica". Proprio al contrario).
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La politica nata dalla separazione tra se stessa e un altroordine, che oggi il nostro spirito pubblico non intende picome divino, sacro o ispirato, ma che nondimeno mantiene la
sua separazione (ancora una volta attraverso l'arte, l'amore, ilpensiero...) - una separazione che si potrebbe dire quelladella verit o del senso, di questo senso del mondo che fuori dal mondo, come dice Wittgenstein: il senso comefuori, aperto nel bel mezzo del mondo, proprio in mezzo anoi e tra di noi come la nostra comune partizione. Questosenso che non conclude le nostre esistenze, che non le
sussume sotto un significato, ma che semplicemente le apre ase stesse, cio le une alle altre.
68 ritrovava - o sperimentava di nuovo, in modo inedito -il senso di questo senso: a fianco alla politica, di contro aessa, ma anche contro di essa o attraverso di essa.
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VIII
Infinito nel finito
Sulla nascita della democrazia ha gravato l'oblio di cuiabbiamo parlato. Immaginando che la monarchia dovesseassumere l'integralit del destino - dell'esistenza o del-l'essenza - dei popoli, delle nazioni o delle comunit, il primopensiero della democrazia era destinato a deludere se stessa:se Rousseau si rassegna a pensare che la democraziapropriamente detta (diretta, immediata, spontanea) siaadatta solo a un popolo di dei, perch egli convinto che ilpopolo dovrebbe essere divino, che l'uomo dovrebbe esserlo,
e cio che l'infinito dovrebbe essere dato.Ma l'infinito dato non l'infinito del superamento di cuiparla Pascal. L'infinito superamento supera infinitamenteanche se stesso. Non n dato n da dare. Non va presentaton in un significato n in un'identit. Il che non gli impediscetuttavia di esse re infinito in atto, infinito attuale e non po-tenziale: non gi inseguimento indefinito di una fine
continuamente rinviata, ma presenza attuale, effettiva econsistente. Questo non significa che esso sia dell'ordine delmisurabile e neanche del determinabile in generale. Epresenza dell'infinito nel finito, aperto nel finito (proprio ciche Derrida esprimeva in questi termini: "La differanza infi-
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nita finita" - "diffrance" non significava per lui "ritardo",ma presenza assoluta dell'incommensurabile).
L'infinito non dovrebbe essere dato, e l'uomo non
dovrebbe essere (un) dio. Questa lezione - radicale, in verit,che coglie l'uomo alla sua radice, come vuole Marx, c questaradice in eccesso infinito rispetto all'uomo - il correlatodell'invenzione della democrazia. E Marx, in fondo, sapevache l'uomo eccede infinitamente l'uomo. Non ci ha riflettuton l'ha formulato in questi termini, ma ci che il suo pensieroinevitabil mente implica che la produzione (sociale)
dell'uomo da parte dell'uomo un processo infinito - e inquesto senso pi che un "processo", pi che un'evoluzione,pi che uri progresso. Marx sa (ma non cercheremo didimostrarlo in questa sede) che l'uomo "totale" un infinito,che il "valore" in senso assoluto (n d'uso, n di scambio) un infinito e che l'"uscita dall'alienazione" un infinito. Ci
di cui abbiamo bisogno, allora, sono Pascal e Rousseau conMarx.Non dimenticare che l'uomo non die, che la sua
assunzione in un assoluto non si presenta, ma ha luogo hic etnunc in una presenza che la "dignit della persona" e i "dirittidell'uomo" non possono assolutamente garantire, anche senon possibile prescinderne; non dimenticare, dunque, che il
"comune", il demosrpu essere sovrano solo a condizione didistinguerlo appunto dall'assunzione sovrana dello Stato e diqualunque conformazione politica: ecco la condizione dellademocrazia. E quanto, dal 68 in poi, richiede di essere capito.
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IX
Politica distinta
Questo non definisce una politica. E nemmeno determinain maniera sufficiente che cosa debba essere il campopropriamente politico. Ma, se non altro, tiene a distanza lamassima "tutto politica" che, contro ogni apparenza, probabilmente una massima perfettamente neoteologica. Ntutto, n ovviamente nulla, la politica va compresa in unadistinzione - e in un rapporto - con quello che non pu ndeve essere assunto da essa, non perch debba essere assuntoda un'altra istanza (arte o religione, amore, soggettivit,
pensiero...), ma perch tutti e ognuno debbono farsene caricosecondo modalit che essenziale che rimangano diverse operfino divergenti, molteplici o perfino eterogenee.
La politica - il cui sogno democratico- socialista statoche essa scomparisse come istanza separata e ritornasseimpregnando tutte le sfere dell'esistenza (il giovane Mais siesprime presso a poco in questi termini)- non pu che essere
separata. Non gi separata dalla presa di distanza sospettosanei confronti dei "polititi", ma separata secondo l'essenza dell'essere-ili-comune che consiste nel non farsi ipostatizzare innessuna figura o significato.
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E partendo da questa considerazione, apparentementelontana dalla preoccupazione politica, che si pu tracciare ilcontorno democratico della politica. Si comprende allora che
questo implica anche il distinguere la politica nei due sensidel termine - tenerla distinta e accordarle le distinzioni che lespettano: in particolare, cessare di dissolvere l'esercizio e isimboli del potere in un democraticismo dell'indistinzionenel quale tutto e tutti sarebbero sullo stesso piano e sullostesso livello. Uno dei segni pi eclatanti del malesseredemocratico dato dalla nostra incapacit di pensare il
potere altrimenti che come l'istanza avversa e malvagia, ilnemico del popolo, oppure come la realtinfinitamente moltiplicata e dispersa di tutti i rapporti diforza possibili. In nome della considerazione dei "micropoterisi dimentica l'ordine specifico del potere (politico) e la suadestinazione propria e distinta.
Ma, in generale, un compito di distinzione che l'esigenzademocratica ci mette di fronte. E questo compito didistinzione proprio ci che pu aprire la strada per usciredal nichilismo. Il nichilismo, infatti, non e altro chel'annullamento delle distinzioni, l'annullamento dei sensi odei valori. Senso o valore hanno luogo solo nella differenza:un senso si distingue da un altro come la destra dalla sinistra
o la vista dall'udito, e un valore essenzialmente nonequivalente a ogni altro. Ci che ha determinato la criticanietzscheana dei "valori" e la nota debolezza delle "filosofiedei valori" stato il fatto di pensare i valori come riferimentidati - ideali o normativi - sulla base di un'equivalenza degli
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stessi gesti di valutazione. Il valore, invece, consisteinnanzitutto nella distinzione del gesto che lo valuta, lodistingue e lo crea, Abbiamo bisogno di questo apparente
ossimoro: una democrazia nietzscheana.
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X
Inequivalenza
Ebbene il mondo democratico ha avuto il suo sviluppo nelcontesto - al quale legato fin dall'origine - dell'equivalenzagenerale. Questa espressione - ancora una volta di Marx -non designa solamente l'equiparazione generale delledistinzioni e la riduzione delle eccellenze alla mediocrit -tema che ha dominato, come si sa, l'analisi heideggeriana del"si" (in cui possibile vedere uno degli, impasse sintomaticidella filosofia di fronte alla democrazia - e questo senza volerin alcun modo pregiudicare l'analisi pi precisa che
occorrerebbe fare). Essa designa innanzitutto il denaro e laforma-merce, ossia il cuore del capitalismo. E doverosotrarne un insegnamento molto semplice:il capitalismo, nel quale o con il quale, se non addiritturacome il quale, la democrazia ha avuto origine, innanzitutto,nel suo principio, la scelta di un modo di salutazione:mediante l'equivalenza. Il capitalismo proviene dalla
decisione di una civilt: il valore nell'equivalenza. Latecnica che si sviluppata all'interno e per effetto di quelladecisione - mentre il rapporto tecnico col mondo propriamente e originariamente umano una tecnicasottomessa all'equivalenza: a quella di tutti i suoi fini
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possibili, e anche, in modo almeno altrettanto patente chenell'ambito del denaro, a quella dei fini e dei mezzi.
La democrazia pu perci diventare tendenzialmente ilnome di un'equivalenza ancora pi generale di quella di cuiparla Marx: fini, mezzi, valori, sensi, azioni, opere e personetutti interscambiabili, perch tutti ricondotti a niente che lipossa distinguere, tutti rapportati a uno scambio che, benlungi dall'essere una "partizione" nel senso ricco di questaparola, non altro che sostituzione dei ruoli o scambio dei
posti.Il destino della democrazia legato alla possibilit di una
trasformazione del paradigma dell'equivalenza. Introdurreuna nuova inequivalenza che, ovviamente, non sia quella deldominio economico (il cui fondamento resta l'equivalenza),quella dei feudi e delle aristocrazie, n quella dei regimi del-
l'elezione divina e della salvezza, e neppure quella dellespiritualit, degli eroismi e degli estetismi, questa la sfida.Non si tratter di introdurre un altro sistema di valori diffe-renziali: si tratter di trovare, di conquistare un senso della
valutazione, dell'affermazione valutativa che offra a ciascungesto di valutazione - decisione d'esistenza, d'opera, dicontegno - la possibilit di non essere gi misurato in
anticipo da un sistema dato, ma di essere invece ogni volta,l'affermazione di un "valore" - o di un "senso" - unico, in-comparabile, insostituibile. Solo questo pu smuovere ilpresunto dominio economico che solo l'effetto delladecisione fondamentale per l'equivalenza.
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Contrariamente a quanto sostiene l'individualismo liberaleche produce solo l'equivalenza degli individui - anchequando li battezza "persone umane" e l'affermazione di
ciascuno che il comune deve rendere possibile:un'affermazione che "valga" per tra tutti e in qualche modoattraverso tutti e che rimandi a tutti come alla possibilit eall'apertura del senso singolare di ognuno e di ogni rapporto.Solo questo permette di uscire dal nichilismo: non lariattivazione dei valori, ma la manifestazione di tutti su unosfondo in cui il "niente" significa che tutti valgono
incommensurabilmente, assolutamente e infinitamente.
L'affermazione del valore incommensurabile pu apparireun pio idealismo. Ma bisogna invece intenderla come unprincipio di realt: non una fantasticheria, non laproposta di un'utopia e nemmeno di un'idea regolatrice, ma
l'affermazione che da questo valore assoluto che bisognapartire. Mai da un "tutto si equivale" - nomini, culture,parole, credenze - ma sempre da un "niente si equivale"(tranne il monetizzabile, che ogni cosa pu semprediventare). Ognuno ogni "uno" singolare di uno. di due, dimolti, di un popolo - c unico di un'unicit, di una singolaritche obbliga infinitamente e si obbliga a essere messa in atto,
in opera e in lavoro. Contemporaneamente, per,l'uguaglianza rigorosa il regime in cui si condividono questiincommensurabili.
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XI
Spazio formato per l'infinito
La condizione per l'affermazione inequivalente politicain quanto il politico deve costruirne lo spazio. Mal'affermazione stessa non politica. La si potr chiamarecome si vuole - esistenziale, artistica, letteraria, sognante,amorosa, scientifica, pensante, vagabonda, ludica,amichevole, gastronomica, urbanistica...: la politica nonsussume nessuno di questi registri, ma d loro spazio epossibilit.
La politica non ta che disegnare il contorno o i contorni
plurali di un'indeterminazione nella cui apertura possonoaver luogo delle affermazioni. La politica non afferma,accoglie le esigenze dell'affermazione. Non produce n il"senso" n il "valore", permette che essi trovino posto e chequesto posto non sia quello di un significato compiuto,realizzato e reificato che abbia la pretesa di essere una figuracompiuta del politico.
La politica democratica rinuncia a darsi unaconfigurazione: rende possibile una proliferazione di figureafferriate, inventate, create, immaginate, e cos via. Eccoperch la rinuncia all'Identificazione non una pura ascesi,non rimanda al coraggio o a una virt dell'astinenza - che
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sarebbero ancora pensati con una sorta di rassegnazione, co-me un'occasione mancata. La politica democratica apre lospazio per identit molteplici e per la loro partizione, ma zss
stessa non deve configurarsi. quanto il coraggio poli- iico,oggi, deve saper dire.
La rinuncia all'identificazione massima - sostenutadall'immagine di un re, di un Padre, di un Dio, di unaNazione, di una Repubblica, di un Popolo, di un Uomo o diun'Umanit, o perfino di una Democrazia - non contraddice -
anzi - l'esigenza dell'identificazione intesa come la possibilitper tutti e per ognuno di identificarsi (oggi si direbbe di"soggettivizzarsi") avendo posto, ruolo e valore - inestimabile- nell'essere-insieme.Ci che fa la politica, ci che la il "ben vivere" attraverso ilquale Aristotele la determina, un "bene" che appunto non si
determina in nessun modo, in nessuna figura, in nessunconcetto. E nemmeno, quindi, attraverso la figura o ilconcetto della polis. Questa solamente il luogo da cui(piuttosto che "in cui"), il luogo a partire dal quale - e tuttaviasenza uscirne, senza uscire dal mondo che da ogni parteconfonde le citt, le nazioni, i popoli, gli Stati - possibiledisegnare, dipingere, sognare, cantare, pensare, sentire un
"ben vivere" che sia alla misura incommensurabiledell'infinito che ogni "bene" porta con s.
La democrazia non figurabile. O meglio non , peressenza, figurale. E forse il solo senso che in definitiva le sipossa attribuire: la democrazia depone l'assunto della
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figurazione di un destino, di una verit del comune. Maimpone di configurare lo spazio comune in modo tale che siapossibile aprire in esso tutto il pullulare possibile delle forme
che l'infinito pu assumere, delle figure delle nostreaffermazioni e delle dichiarazioni dei nostri desideri.Quello che accade nell'arte da cinquantanni a questa pane
mostra in modo eclatante quanto questa esigenza sia reale.Quanto pi la citt democratica rinuncia a darsi unaconfigurazione, quarto pi abbandona i suoi simboli e le sueicone in modo talvolta anche rischioso, tanto pi essa vede
sorgere tutte le aspirazioni possibili verso forme inedite.L'arte si torce nello sforzo di dare alla luce forme che essastessa vorrebbe in eccesso su tutte le forme che prendono ilnome di "arte" e sulla forma e sull'idea stessa di "arte". Chesiano il rock o il rap, le musiche elettroniche, i video, leimmagini di sintesi, il tag, le istallazioni e le performance, o i
nuovi interpreti di forme rivisitate (come il disegno o lapoesia epica), tutto testimonia di una febbrile attesa, di unbisogno di afferrare in modo nuovo un'esistenza in pienatrasformazione. Se c' "crisi", come si dice, del romanzo perch dobbiamo inventare un nuovo racconto della nostrastoria ormai priva di Storia. E se c' body art - e fino alsangue, fino alla sofferenza - perch i nostri corpi
desiderano comprendersi altrimenti. E che questo passiattraverso tutti i fraintendimenti possibili non un'argomen-tazione sufficiente. Perch tutto questo passa ancheattraverso tutte le esigenze, tutti gli appelli possibili.Dobbiamo esercitarci ad ascoltare.
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Ma tutto questo apre anche di nuovo la questione intornoa ci che la citt in quanto tale debba fare in proposito. Nondeve n farsi carico della forma o del racconto n esimersene.
E certamente un dilemma che mette a nudo in modo soffertole ambiguit delle "'politiche culturali"- ambiguit di coloroche le gestiscono e di coloro che le richiedono. Non c' unarisposta semplice, forse non c' affatto "risposta". Ma occorrefare opera, e bisogna sapere che la democrazia non assumere la politica in opera.
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XII
Praxis
Mi si dir che cos sostengo apertamente che la democrazianon politica! E che cos vi pianto in asso, privi di mezzid'azione, d'intervento, di lotta, cullandomi nel mio "infinito"...
Tutto al contrario. Ribadisco, infatti, che ormai laquestione politica pu essere posta in maniera seria soloconsiderando che la democrazia intraprende un superamentodi principio dell'ordine politico - ma un superamento che haluogo solo a partire dalla polis, dalla sua istituzione e dalle
sue lotte che dobbiamo pensare sub specie nfintats umanigeneris. E in questo senso che parlo di "spirito" dellademocrazia: non "uno" spirito che ne distingue la mentalit,il clima, il postulato generale, ma il soffio che deve ispirarla,che effettivamente l'ispira, se solo sappiamoimpossessarcene, cosa che presuppone che riusciamo apercepirlo.
Se l'azione politica paralizzata come lo oggi, perchessa non pu pi essere mobilitata a partire da un "primomotore" dotato d'energia motrice: non ce ne sono pi inpolitica e tutta la politica deve essere rimobilitata a partire daaltrove. E non c' neppure un altro primo motore economico
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che non sia il capitale o la sua crescita, almeno finchl'economia stessa continuer a essere pensata come motricedella politica e di tutto il resto, per via dell'effetto della scelta
che valorizza l'equivalenza valorizzando l'idea di un"progresso" che avrebbe il compito di moralizzarel'indifferenza di questa equivalenza.
Ed proprio perch questa scelta profonda - che si prodotta dal Rinascimento fino al XIX secolo - ha esaurito lesue virt e rivela il suo esaurimento che non c' pi "sinistra",sebbene ci siano sempre pi motivi di quanti ne occorrano
per arrabbiarsi e lottare, per denunciare ed esigere - per esigere il giusto, il vitale, il bell'infinito dell'uomo, diun uomo al di l dei suoi diritti.
Oggi anche possibile che questa scelta prosegua
altrimenti. E possibile che l'uomo non desideri in fondonient'altro che il "nule": non il "ben vivere" di Aristotele, cherichiede un sempre nuovo supplemento della "vita",un'espansione al di l della sua necessit, ma quell'altrosupplemento e quell'altra espansione che possono veniredall'annientamento di se-stessi e degli altri, e dal comuneridotto alla comune carbonizzazione. S, questo possibile, e
il tempo attuale-dell'umanit ci rappresenta una comunit dicarnai, di fame, di suicidi e imbarbarimenti.
Questa possibilit conduce a un'evidenza infuocata laquestione insistente di ci che io qui chiamo "comunismo" inquanto verit della democrazia: perch nulla pi comune
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della comune polvere alla quale siamo promessi. Nienterealizza meglio l'equivalenza e la sua entropia definitiva.Niente pi comune della pulsione di morte - e il punto non
sta nel capire se le politiche tecnologiche di Stato che hannopermesso Auschwitz e Hiroshima abbiano scatenato pulsionidi questo genere, ma piuttosto nel capire se l'umanit ormaiappesantita dai suoi milioni di anni non abbia scelto daqualche secolo la via del proprio annientamento.
Ma questo nulla un nulla sostanziale: meno "cosacomune" (res publica communis) che "comune in quanto
cosa, cosificata" (e quindi gi, almeno fino a un certo punto,"merce"). Se questo che vogliamo, dobbiamo sapere ancheche cosa questo volere significa: non gi che "Dio morto",ma che la morte diventa il nostro Dio.
Democrazia vuol dire che n la morte n la vita valgono inse stesse, ma che vale soltanto l'esistenza condivisa in quantosi espone alla sua assenza di senso ultimo come al suo vero -e infinito - senso d'essere.
Se il popolo sovrano, deve farsi carico di ci che Batailleintende quando scrive che la sovranit non niente4.
4 Di per s, questa qualificazione non contravviene al principiopolitico della sovranit cos come esso stato elaborato da Bodin (o daMachiavelli) a Cari Schmitt: per questa tradizione la sovranit non .niente - se non il proprio esercizio. Ma per la tradizione questoesercizio ha senso e porta a compimento una destinazione dei popoli,-
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Essa non si depone in nessuna persona, non si delinea innessun contorno, non si erige in nessuna stele: essa ,semplicemente, il supremo. Niente al di sopra. N Dio n
Maestro. In questo senso democrazia vale anarchia. Mal'anarchia incita ad azioni, a operazioni, combattimenti, mes-se in forma che permettono di preservare rigidamentel'assenza deWarchia, posta, deposta, imposta. Il krateindemocratico, il potere del popolo, innanzitutto il potere dimettere in scacco l'archici e poi di prendersi carico, tutti eognuno, dell'apertura infinita che stata cos messa in luce.
Farsi carico di quest'apertura significa rendere possibilel'iscrizione finita dell'infinito. Da questa scelta fondamentale- la scelta, dobbiamo ripeterlo, di un'intera civilt - risultal'annullamento inevitabile dell'equivalenza generale, che l'indefinito perpetuato al posto dell'infinito inscritto,l'indifferenza al posto della differenza affermativa, la
tolleranza al posto del confronto, il grigio al posto dei colori.Penetrare in questo pensiero gi agire, essere nellaprassi per mezzo della quale si produce un soggettotrasformato piuttosto che un prodotto conformato, unsoggetto infinito piuttosto che un oggetto finito.
-anche nel caso in cui questa destinazione dovesse a sua volta
condurre solo alla successione delle loro figure imponenti e periture.Ma allora il niente non preso affatto sul serio, ed alla religioneoppure al nichilismo che in fin dei conti si d lultima parola. Lademocrazia esige invece che non ci sia un'ultima parola, e che il niente-nessun retro-mondo - sia preso sul serio assolutamente, nell'infinit cheesso apre nella piena finitezza.
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Questa prassi la sola - prima di ogni riforma, di qualsiasiregolamentazione, di qualsiasi gestione prudenziale - chepossa intraprendere pi di una contestazione e pi di una
rivolta: distruggere lo zoccolo dell'equivalenza generale emetterne in discussione la falsa infinit.
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XIII
Verit
Ricapitoliamo e concludiamo.La verit della democrazia questa: essa non una forma
politica tra le altre, a differenza di quanto fosse per gliantichi. Non affatto una forma politica, o almeno non inprimo luogo una forma politica. E per questo che facciamotanta fatica a trovarle la sua giusta o buona determinazione,ed anche per questo che pu apparire omogenea econforme al dominio dei calcoli dell'equivalenza generale edella sua appropriazione (chiamato "capitalismo").
Nella sua inaugurazione moderna, la democrazia si voluta come rifondazione integrale della cosa politica. Chivuole fondare scende innanzitutto pi a fondo del fonda-mento stesso. La democrazia (ri)genera l'uomo, dichiaraRousseau. Riapre su nuove basi la destinazione dell'uomo e,cos, del mondo. La "politica" non pu pi indicare la misuran il luogo di questa destinazione o "destin-erranza"
(Derrida). Deve permetterne la messa in gioco e garantirne iluoghi molteplici, ma non l'assume.
La politica democratica , quindi, politica che si ritraedall'assunzione. Taglia corto con qualsiasi forma di "teologiapolitica", sia essa teocratica o secolarizzata. Pone come
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assioma che n tutto (n il tutto; politica. Che tutto (o iltutto) molteplice, singolare-plurale, iscrizione in frammentifiniti di un infinito in atto ("arti", "pensieri", "amori", "gesti",
"passioni" possono essere alcuni nomi di questi frammenti).
La democrazia :- in primo luogo il nome di un regime di senso, la cui
verit non pu essere sussunta in nessuna istanza ordinatrice,n religiosa, n politica, n scientifica o estetica, ma che
impegna interamente l"'uomo" inquanto rischio e chance di"se stesso", "danzatore sull'abisso", per usare terminideliberatamente paradossali e nietzscheani. Questoparadosso mette bene in luce che cosa in gioco: lademocrazia aristocrazia egualitaria. Questo primo senso deltermine assume un nome politico solamente in modo acci-
dentale e provvisorio;- in secondo luogo, il dovere di inventare la politica non deifini della danza al di sopra dell'abisso, ma dei mezzi peraprire o mantenere aperti gli spazi della loro messa in opera.Questa distinzione dei fini e dei mezzi non data, cos comenon data la distribuzione degli "spazi" possibili. Si tratta ditrovarli, di inventarli o di inventare come smettere di cercarli.
Ma, per prima cosa, la politica deve essere riconosciuta comedistinta dall'ordine dei fini - anche se la giustizia socialecostituisce evidentemente un mezzo necessario per tutti i finipossibili.
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Prendiamo un esempio relativamente semplice: la salute.Non dato che La salute debba (n possa) essere regolatadalla durata della vita n da un equilibrio fisiologico regolato
a sua volta da misure che rispondono a un ideale di durata odi performance...Che cosa voglia dire "salute" non determinabile solo inopposizione a "malattia", n in generale per mezzo di quelloche per noi la medicina. Medicina, malattia, salute hanno
valori, significati e modalit che dipendono da scelteprofonde operate da una cultura e da un ethos che precede
ogni "etica" e ogni "politica". Una politica della salute pusolo rispondere a scelte, a orientamenti che non pumodificare. (Per questo motivo, il termine "biopolitica" sifonda su una confusa ipertrofia del senso di "politica"). Una"salute" un pensiero, un cogliere l'esistenza, - per dirlo
volutamente in un modo che sar giudicato iperbolico e
arcaico - una metafisica, non una politica.L'iperbole merita di essere sviluppata: la democrazia inprimo luogo una metafisica e solo in secondo luogo unapolitica. Ma questa non fondata da quella: non altro che lacondizione del suo esercizio. Pensiamo innanzitutto l'esseredel nostro essere-insieme-nel mondo e poi vedremo qualepolitica permette che questo pensiero tenti la sua sorte.
sempre possibile dilatare il senso dalle parole, rendere"politica" uguale a "metafisica": ma cos si perde o si confondeuna distinzione il cui principio deve essere consustanzialealla democrazia. Questo principio sottrae dall'ordinamentodello Stato - senza pregiudicare le funzioni che gli sono
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proprie - l'assunzione dei fini dell'uomo, dell'esistenzacomune e singolare.
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