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ANGELICO BRUGNOLI

IL MANDALA DI C. G. JUNG

STATI DI COSCIENZA MODIFICATI

LIBRO PRIMO

della serie “Stati di Coscienza Modificati”

VERONA ESTATE 2000

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ISTITUTO ITALIANO STUDI DI

IPNOSI CLINICA E PSICOTERAPIA “H. BERNHEIM”

SCUOLA DI RICERCA E FORMAZIONE

FONDATO DA G. GUANTIERI

ASSOCIAZIONE ADERENTE ALLA SOCIETA’ INTERNAZIONALE DI IPNOSI E ALLA SOCIETA’ EUROPEA DI IPNOSI IN PSICOTERAPIA E MEDICINA PSICOSOMATICA

STATI DI COSCIENZA MODIFICATI

UN APPROCCIO MULTIDIMENSIONALE

ANGELICO BRUGNOLI - MEDICO IN VERONA SOCIO FONDATORE

VERONA - ESTATE 2000

Libro Primo della Serie “Stati di Coscienza Modificati”

Copyright 2000 Angelico Brugnoli , Via 24 Maggio 20, 37126 – Verona

(Stampato in proprio, ad uso privato)

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L’idea di questo volumetto si è concretizzata, “strada facendo”, in vari momenti del mio lungo percorso nel “processo di individuazione”,ideato da C. G. Jung. Si è realizzata dapprima con l’accordo per un paio di contributi inediti, ma soprattutto innovativi, per “Acta Hypnologica”, dopo aver discusso con il Direttore della Rivista, l’amico Carlo Piazza. Poi, progressivamente, un vulcano di idee che sono maturate in continuazione, lungo il corso dei giorni e dei mesi, mano a mano che mi dedicavo agli argomenti che da qualche anno tenevo gelosamente in serbo “per tempi migliori”. Ora qualcosa di nuovo si è avviato, da qualche tempo, anche presso il nostro Istituto, nell’ambito delle nuove ricerche eriksoniane e posteriksoniane. Un grazie di cuore a Carlo, per avermi spronato a dare qualcosa di mio, e un grazie anche alla mia valida Musa ispiratrice, per il conforto e l’incoraggiamento donatomi in queste giornate così ricche di“stati di coscienza modificati”. Con il loro aiuto è stata molto più facile, sentita e vissuta “in modo più interiorizzato” la realizzazione del presente contributo alle nuove tendenze in campo ipnologico che si vanno proponendo da qualche tempo in ambito mondiale. Mi auguro che esso possa risultare utile e servire di sprone per i lettori, soprattutto per un valido e continuo “cammino dentro il profondo”, alla ricerca di un sempre più intenso e proficuo “incontro con l’anima individuale e cosmica”.

Angelico Brugnoli, Medico in Verona, Socio Fondatore dell’Istituto.

In Verona, nell’estate 2000

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INDICE

PRESENTAZIONE INTRODUZIONE: STATI DI COSCIENZA MODIFICATI STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E TIPI DI INTELLIGENZA. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E RETI DI MEMORIA. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E EMISFERO DESTRO. AUTOIPNOSI, STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E SIMILSOGNI. AUTOIPNOSI E “SINDROME DEL BURN-OUT PROFESSIONALE”. IPNOSI, IPNOTIZZABILITÀ, METEOROPATIE E DISTURBI SOMATOFORMI. ANALOGIE E DIFFERENZE TRA AUTOIPNOSI E STATI MISTICI. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E CONVINZIONI RELIGIOSE. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E BACCO. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E ATTIVAZIONE DI FACOLTÀ ARTISTICHE. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E INNOVAZIONI TECNOLOGICHE. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E PERCEZIONE EXTRASENSORIALE. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E L’ORACOLO CINESE: “I CHING” STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E STATI DI COMA FINALE. STATI DI COSCIENZA MNODIFICATI: ARTEFATTO DELLA MENTE O REALTA’ VISSUTA?

BIBLIOGRAFIA SPECIALISTICA PER OGNI SINGOLO CAPITOLO.

APPENDICE 1 “CERVELLO E COSCIENZA” DI BARRY L. BEYERSTEIN APPENDICE 2 AMPIA BIBLIOGRAFIA SUGLI STATI DI COSCIENZA DISCRETI, DIVERSI, ALTERATI, MODIFICATI, ECC., OTTENIBILI CON LE PIÙ SVARIATE FORME DI INDIRIZZI FILOSOFICI, RELIGIOSI, PSICOLOGICI E PSICOTERAPEUTICI.

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PRESENTAZIONE Quando il Centro Studi di Ipnosi Clinica “H. Bernheim” venne

fondato ufficialmente nel 1968, erano già diversi anni che alcuni medici discutevano e sperimentavano l’ipnosi, preparando le basi affinché l’Istituto H.Bernheim venisse alla luce.

Conoscendo la storia del Bernheim solo attraverso le sue pubblicazioni o le numerosissime relazioni congressuali, difficilmente si poteva pensare che più di trentacinque anni dopo si sarebbe scritto un testo, tra i diversi pubblicati dall’Istituto, ad opera proprio di un suo socio fondatore, che trattasse dell’ipnosi, dei diversi stati modificati di coscienza, e del loro rapporto con altre condizioni del vivere umano in maniera così organica. Senza rifuggire di descrivere, confrontare e criticare. Esprimendo autonomamente il proprio punto di vista, autorevole e mai arrogante.

Leggendo in anteprima il testo di Angelico Brugnoli, ho avuto la sensazione e poi la certezza che “trattare di ipnosi” non possa appartenere solo al “curare con l’ipnosi”, ma che i temi del libro, inevitabilmente legati alla coscienza, alla mente, prima ancora che al cervello, ci accompagnino nella nostra storia di uomini da sempre.

In particolare si possono sottolineare i capitoli sulle “Analogie e differenze tra autoipnosi e stati mistici”, e “Stati di coscienza modificati e Bacco”. Così ugualmente interessanti e stimolanti le parti dedicate all’ipnosi in relazioni a meteoropatie e disturbi somatoformi e “Stati modificati di coscienza ed innovazioni tecnologiche”.

Gualtiero Guantieri, qualche anno fa scriveva che: “la realtà italiana (rispetto all’ipnosi) rispecchiava in maniera accentuata la scarsa conoscenza delle modalità con cui potevano essere affrontati aspetti relazionali, la cui complessità e delicatezza veniva amplificata nella situazione particolare dell’ipnosi, imponendo specifiche modalità operative di rapporto. La situazione italiana si caratterizzava inoltre per la rigidità culturale della maggior parte degli ambienti accademici e per la conseguente chiusura nei confronti di apporti innovativi e potenzialmente destabilizzanti per il sapere istituzionale. Aspetti di una cultura tradizionale e popolare offrivano poi ampi spazi alla confusione fra ipnosi e magia, con le angosce e i pregiudizi che ne derivavano.”

In queste poche righe, chi da tempo legge e si occupa di ipnosi, troverà i due elementi principali e condizionanti che hanno contraddistinto l’evoluzione e la diffusione dell’ipnosi nel nostro paese.

In questo libro l’autore, che si presenta come medico in Verona, segna una svolta importante nel panorama bibliografico nazionale, ed un affrancarsi gentile da entrambi gli elementi su esposti. Non ci si pone più solo nel tentativo di ricevere accrediti dalle istituzioni pubbliche, anche perché in parte se ne sono avuti e se ne hanno ancora oggi; non ci si irrigidisce più nel trattare dell’ipnosi solo secondo una prospettiva materialistica, razionalista e conseguentemente limitata.

Come se svincolarla da tutti quelli elementi più sfumati della coscienza potesse garantirle una presenza più pulita, credibile ed efficace. L’ipnosi e la sua relazione con gli stati mentali e con le diverse esperienze che ci coinvolgono non poteva fermarsi solo ad un indirizzo metodologico ed interpretativo.

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Lo sperimentare dell’autore, il collegare per similitudini o per differenze, il guardare alle cose della coscienza che si esprimono nella cultura popolare, nella religione, nel mistero, ma anche nella tecnologia e nella meteorologia, rendono verame nte originale e stimolante la lettura.

Chi non conosce l’autore, chi non avrà l’opportunità di partecipare a qualche suo seminario o lezione, o per meglio dire, conversazioni guidate da svegli, troverà qui un contributo ampio; la bibliografia è per esempio particolarmente curata ed esauriente. Uno spazio dove farsi domande, dove poter prendere quel tanto che serve per proseguire un altro po’ nella sua ricerca.

Del libro e dei suoi meriti si è detto. Vorrei poter accennare qualcosa sull’uomo, su questa figura che va

sicuramente oltre lo straordinario sapere e l’accumulo di conoscenze di cui dispone.

La sua esperienza di vita e l’introspezione acuta di cui dispone, unite a generosità e umiltà lo rendono certamente particolare. Persona preziosa per l’Istituto H. Bernheim e per me personalmente.

Qualcuno ha detto che ogni uomo dovrebbe poter guardare al mondo con gli occhi di un bambino ma non come un bambino. Angelico Brugnoli, riesce a guardare alle cose del mondo con gli occhi di un bambino, ancora oggi che bambino non lo è più, o forse si… .

Michele Modenese Presidente dell’Istituto Italiano di Ipnosi Clinica e Psicoterapia H.

Bernheim. Scuola di Ricerca e Formazione. Fondato da Gualtiero Guantieri.

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INTRODUZIONE

STATI DI COSCIENZA MODIFICATI “Felix qui potuit rerum causas cognoscere”. Virgilio. Georgiche. “Quello che hai provato, ricordalo e fallo tuo. Se lo dimentichi, si disperde nel vento e torna al cielo”. Canto navajo “Chi conosce gli altri è saggio; chi conosce se stesso è illuminato”.

Lao-Tsu. La regola celeste.

“Scava dentro di te. E’ lì la fonte del bene, ed esso può sempre continuare a zampillare, se tu scavi sempre. Marc’Aurelio. Ricordi.

“L’ingenuo crede ogni cosa, il prudente controlla i propri passi”.

Bibbia. Proverbi. XIV°. Prima di iniziare questo breve e necessariamente incompleto lavoro

monografico sugli stati di coscienza modificati, un sincero quanto improbabile tentativo di fare il punto su di essi.

Questo per il fatto che diventa d’obbligo creare una base di partenza, almeno per usare una semantica intelligibile per tutti.

In questo modo diventa più facile dare suggerimenti sui vari stati, in modo da saperli usare, nel modo migliore possibile, a scopo di studio, sperimentale e terapeutico.

Vediamo come primo punto di definire la coscienza, sia sotto l’aspetto

filosofico che psicologico, anche se i confini tra le due correnti non sono certo molto ben definiti.

Secondo la ben nota dicotomia tra mente e corpo, introdotta da René Descartes, la coscienza è la “consapevolezza soggettiva di sé e dei contenuti mentali soggettivi”, di cui nessuno può mai dubitare.

Siamo al famoso: “Cogito, ergo sum”. Ma dal secolo XVII° molte cose sono cambiate con l’avvento prima di

Locke, Leibniz e Kant; più avanti di Herbart, con le idee consce ed inconsce; di Fechner, con “la coscienza si può misurare”; di Freud, “l’inconscio esiste come il conscio”; di Watson e la nascita del comportamentismo.

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Dal punto di vista filosofico la coscienza è innanzitutto la “consapevolezza di esistere come soggetto ma anche come oggetto per gli altri”.

È anche, in senso etico, “la capacità, forse intrinseca, di distinguere il bene dal male”.

In questo caso la chiameremo “coscienza morale”. Dal punto di vista psicologico le definizioni sono più o meno tante quanti

sono gli autori che si sono dedicati alla sua analisi, interpretazione e studio. Non è qui il luogo di analizzare le varie scuole o le continue

definizioni che ancora mantengono discussioni e polemiche tra le correnti psicologiche e psicoterapeutiche.

Ci basta in questo contesto affermare che per noi, sempre dal punto di vista psicologico e psicoterapeutico, la coscienza è pur sempre la “consapevolezza di esistere come soggetti ed oggetti”, ma con in più il fatto che se ne possono constatare vari livelli, fino ai più bassi o più profondi (abbassamento qualitativo e quantitativo) oppure ai più alti o più elevati (innalzamento).

Per quanto riguarda la coscienza, riportiamo il pensiero di Frankl, l’ultimo dei grandi psicanalisti viennesi, che la analizza, durante il corso della sua vita, in vari modi:

”La capacità intuitiva di scoprire il significato unico e singolare nascosto in ogni situazione”.

“E' "istinto etico", intuizione, e quindi irrazionale, alogica, pre-logica, "anticipazione spirituale" suscettibile di una razionalizzazione secondaria.

E’ fondata nell’inconscio. E’ l'Io spirituale che si immerge nell'inconscio. Manifesta non tanto un "essere" di una situazione e di una persona, quanto

un "poter-essere" e un "dover-essere" non ancora realizzato ma che “attende di esserlo”.

Si potrebbe forse tentare di fare il paragone in qualche modo con l’innamoramento e l’amore, che nascono spontaneamente, quasi senza volerlo e quindi senza una spiegazione di tipo razionale.

Anche l'amore del resto, per quanto ne sappiamo, è scorgere intuitivamente il poter-essere dell'altro.

“La coscienza armonizza la "legge morale eterna" con concreti momenti singolari, in grado di avvicinare il soggetto all’Assoluto.

Con la persona singola e individuale. si dirige verso una situazione unica e specifica, prendendo in considerazione il concreto particolare e ne costituisce il carattere di esigenza insito in ogni situazione.

Diventa pertanto autrice dei "diecimila comandamenti" tante sono le persone e situazioni, arrivando al punto che: "il senso muta non solo di giorno in giorno e di ora in ora, ma cambia anche da uomo a uomo. Il significato è riferito non solo ad situationem ma anche ad personam".

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In ultima analisi la coscienza diventa la voce della trascendenza e si comprende solo se si intuisce come "proveniente dall’esterno dell'uomo".

Con questi presupposti è senza dubbio qualcosa di più e di diverso del mio io, essendo portatrice di un'istanza sovrumana, segnale tipico della nostra derivazione da Dio, oppure da un’Entità assoluta.

Non può quindi essere solo un prodotto dell'impulsività o dell'Io. Ci pone davanti ad una "responsabilità" e a un "dinanzi-a-che-cosa"

sono responsabile e quindi non può essere in nessun modo riducibile solamente all'Io e al Super Io.

In altre parole possiamo constatare, specie con lo studio degli stati di coscienza modificati, che si può passare da stati di consapevolezza liminale e subliminale a stati di consapevolezza molto elevata, cioè superiore, anche nello stesso soggetto, a patto di un graduale e costante allenamento, condotto soprattutto con grande energia, costanza, impegno e perseveranza.

Gli stati di coscienza che intendo trattare sono dunque caratterizzati

sempre da un certo grado di consapevolezza, di presenza di sé, anche se talvolta molto diversi dallo stato di “coscienza normale”, cioè da quello di veglia vigile.

In questo “stato di veglia normale” la consapevolezza, secondo le nostre abitudini e il nostro “normale” modo di vivere al di fuori del sonno, si presenta completa ed estremamente attuale in tutte le sue espressioni, come l’attenzione, la concentrazione, la volontà e la memoria sia a breve che a lungo termine.

Ma sappiamo bene che esistono molti altri stati di coscienza legati alla veglia rilassata, alle diverse modalità di rilassamento, specie muscolare, agli stati ipnopompici ed ipnagogici, all’ipnosi, all’autoipnosi, a convinzioni o motivazioni religiose come stati meditativi, contemplativi e mistici, alle sostanze psicoattive, alla patologia cerebrale ed anche a volte a forti motivazioni, di natura la più varia, accompagnate da emozioni anche violente, da grande entusiasmo ed euforia, da una “rinnovata voglia di vivere e cambiare” ecc.

Il nostro excursus attraverso gli stati coscienza modificati rientra dunque in un lavoro piuttosto difficile, indaginoso, ricco di ostacoli di tutti i tipi, spesso di natura perfino semantica.

Per certi stati infatti non esiste ancora un chiaro linguaggio esplicativo, in modo da poter definire, con più precisione, diversi vissuti che si presentano come sensazioni interne a vari livelli, esperienze tra le più ampie, immagini vivide in realtà virtuale, archetipi autoreplicantisi, simboli anche difficili da interpretare, metafore sempre nuove, allegorie le più vaste, emozioni di varia natura, nascita di nuove realtà, ecc.

Cercherò pertanto, nei limiti del linguaggio a disposizione, di dare qualche definizione, più o meno corretta, più o meno esplicativa, più o meno attuale, degli stati di coscienza modificati che intendo trattare in questa breve e lacunosa monografia.

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a) Veglia rilassata.

Questo stato particolare di rilassamento psicofisico è la tappa obbligata per raggiungere qualsiasi altro tipo di stato di coscienza modificato.

Si può anzi aggiungere che in determinati casi anche la veglia rilassata comporta già qualche momento nel quale, pur essendoci ancora una consapevolezza quasi piena, i sensi cominciano a modificarsi, per divenire più sensibili, più fini, più attenti, più concentrati sia sugli stimoli esterni, ma più ancora sugli stimoli interni, anche di tipo liminale o subliminale.

Tutti quelle stimolazioni di tipo diverso che provengono dal mondo interiore, in modo particolare dal profondo della propria coscienza, da quel labirinto che sottende angoli ancora nascosti della personalità, momenti intensamente vissuti in cui l’“anima” tenta già di esprimersi con il suo linguaggio ricco di metafore, allegorie e similsogni.

b) Vari tipi di rilassamento. “Pratica individuale o collettiva, che ha come finalità di cercare di

allontanare lo stress o almeno di diminuirlo, mediante un costante e diuturno allenamento”.

Si rivela molto utile nei disturbi somatoformi, nella sindrome da “burn-out professionale” e in tutti quei momenti in cui diventa necessario raggiungere uno stato di riposo, di distensione, di calma, di tranquillità fisica e, se possibile, anche psichica.

È chiaro che non tutti i tipi di rilassamento comportano necessariamente stati di coscienza modificati.

Molti di essi sono comunque la strada migliore e più facile per ottenerli in un secondo tempo.

I tipi di rilassamento che riteniamo i migliori per avanzare lungo la strada degli stati di coscienza modificati sono ad ogni modo il training autogeno di Schultz, la réve eveillé dirigé di Desoille, l’imagerie mentale di Fretigny-Virel e i tre tipi di rilassamento dinamico di Caycedo.

A questo punto un breve ricordo dei vari tipi di rilassamento più usati al

giorno d’oggi. Jacobson: rilassamento muscolare e somatico con indicazione specifica

dei vari punti di appoggio. Schultz: esercizi inferiori e superiori del training autogeno. Geissmann: training autogeno analitico. Ajuriaguerra: rilassamento tonico, usato specie nei bambini. Sapir: rilassamento a induzioni variabili, in sedute diverse e a volte

anche con modalità diverse. Desoille: sogno guidato in condizioni di veglia rilassata (réve eveillé

dirigé). Fretigny– Virel: rilassamento in stato di immaginazione mentale

(imagerie mentale). Kretschmer: metodo detto del doppio-binario.

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Aiginger: training analitico di tipo compensato. Jarreau e Klotz, Stokvis, Alexander, Rolfing, Mezieres: Vari tipi di

rilassamento basato sul controllo del tono muscolare in stato di veglia, con esercizi diversi, a seconda del momento e degli autori.

Caycedo: metodo cosiddetto sofrologico con rilassamento fisico e mentale seguito da un controllo dinamico di tre tipi :

Rd1 rilassamento dinamico concentrativo. Rd2 rilassamento dinamico contemplativo. Rd3 rilassamento dinamico meditativo. Parietti–Zenoni: tecnica della distensione immaginativa.

c) Stati ipnopompici ed ipnagogici. “Le immagini eidetiche, vivide e reali, che si formano spontaneamente prima

dell’addormentamento o subito prima del risveglio, quando si è già in stato di relativa consapevolezza, ma gli emisferi stanno entrando o sono ancora immersi in uno stato di parziale inibizione corticale”.

Di norma sono immagini che seguono un loro svolgimento che non presenta nessun legame con gli eventuali pensieri precedenti, ma invece nascono e si sviluppano in modo completamente autonomo.

Quello che di loro colpisce di più è non solamente la loro assoluta indipendenza, ma anche e soprattutto il fatto che non hanno un andamento logico, ma piuttosto sembrano immerse “in un altro mondo” ove lo spazio ed il tempo procedono in modo completamente diverso da quello normale di tutti i giorni.

Sembrerebbero quasi momenti di vita in altre dimensioni, ove la tesi e l’antitesi non confluiscono, come in veglia, in una sintesi logica, ove si raccoglie il frutto delle conoscenze e delle esperienze di ogni giorno, ma invece piuttosto in una successiva nascita di nuovi problemi che aumentano di molto la cosiddetta conoscenza superiore, quella conoscenza cioè che è il frutto non solo di esperienze dello stato di veglia vigile, ma anche di quelle acquisite in altri stati di coscienza.

Le immagini ipnopompiche ed ipnagogiche quindi vanno rivalutate proprio per il loro intimo meccanismo, in grado di avviarci verso “quei molteplici mondi diversi ed affascinanti” che si possono sperimentare in molti stati di coscienza modificati.

d) Ipnosi. 1)”Stato di coscienza modificato, sicuramente al di fuori della realtà di veglia

vigile, inteso da molti autori come stato intermedio, molto probabilmente inserito tra veglia rilassata e sonno”.

Nelle induzioni infatti uso spesso la frase: “Stato particolare, che non è veglia, che non è sonno”.

2)”Stato di coscienza che sottende anche una relazione interpersonale, di solito tra due soggetti, importante sia in fase terapeutica, sia sperimentale, tanto più spontanea, utile, efficace e operativa quanto più esiste sintonia o empatia tra l’operatore ed il cliente”.

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3)”Speciale ma autentico, reale e vissuto stato esperenziale di vari tipi, sovente non logico e a volte perfino alogico, nel quale si intessono, si rivivono o si sperimentano condizioni fisiche e psicologiche non legate al normale stato di veglia. Si attua così un parziale o completo ritorno allo stato arcaico o similarcaico, nel quale possono anche prendere forma momenti particolari ed utili di rivisitazione o rivificazione subconscia od inconscia, come archetipi, miti, rituali, favole, leggende, metafore, allegorie, episodi di “fuga del pensiero” accompagnati da elaborazione di neologismi, visualizzazioni spontanee o guidate, ecc.”.

Lo stato ipnotico potrebbe anche essere classificato, almeno secondo alcuni autori, come lieve, medio e profondo.

Questo non è il luogo adatto per discutere a fondo di questo problema, certamente più teorico che pratico, soprattutto per il fatto che nello stato ipnotico non esiste soluzione di continuità tra i vari passaggi che si ottengono quando l’ipnosi diventa via via sempre più profonda o sempre più intensa.

Questi passaggi poi presentano specifiche differenze individuali, dipendenti sia dall’operatore che dal soggetto, per cui una classificazione in questo senso è puramente descrittiva e non rende edotti della vera realtà oggettiva specifica dello stato ipnotico.

e) Autoipnosi. “Stato di coscienza modificato, ottenuto attraverso un lungo, serio, costante,

impegnativo e motivato allenamento a rivolgere la mente dall’esterno verso l’interno, anche con l’uso di vari metodi di rilassamento, praticando l’introspezione, senza giungere con questo a realizzare sempre e comunque una vera e propria “autoanalisi”, oppure un “processo di individuazione” alla Jung”.

f) Stato meditativo. “Pratica essenzialmente di tipo autogeno, con allenamento progressivo alla

concentrazione mentale, in veglia vigile o rilassata, o anche in autoipnosi, a seconda dei soggetti e delle loro convinzioni religiose oppure anche dei metodi usati, con lo scopo principale di aumentare progressivamente la consapevolezza di se stessi e del vissuto interiore, a vari livelli, anche in relazione all’ambiente circostante e alle motivazioni personali”.

g) Stato mistico. “Esperienza particolare, di tipo ineffabile e indescrivibile, con sensazione

reale di essere o vivere con Dio o in Dio oppure, a seconda delle varie convinzioni religiose, di entrare in immediato contatto con l’Assoluto, attraverso porte completamente sconosciute alla razionalità normale di ogni giorno”.

Secondo Miegge in “Religione”per mistica si intende:”Il processo dell’identificazione del divino nell’estasi, quel processo cioè in cui l’“excessus mentis”viene posto come traguardo dell’itinerario dell’anima verso Dio”.

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h) Stato di coscienza modificato da sostanze psicoattive. “Stato particolare di concentrazione passiva con presenza di fenomeni

allucinatori, in prevalenza di tipo visivo e uditivo, con notevole distorsione delle percezioni sensoriali, emersione spontanea di contenuti rimossi con esperienze di vario tipo, che possono andare dall’angoscia, al terrore, agli attacchi di panico ma anche presentarsi di grado elevato o pseudomistico”.

È dovuto ad assunzione di alcol etilico, degli alcaloidi della Canapa indiana, della dietilamide dell’acido lisergico (LSD), dei derivati dell’oppio, della caffeina, della nicotina, della cocaina, della mescalina, dell’anfetamina ed altre ancora di recente introduzione, tra le quali ricordiamo l’ecstasy.

i) Stato di coscienza modificato da forti motivazioni. Anche le forti motivazioni con intenso coinvolgimento emotivo come

accade durante grandi avvenimenti sportivi, nella guerriglia, nei terremoti, nelle inondazioni, nelle tragedie naturali o provocate, possono indurre stati di coscienza modificati con diminuzione o abolizione delle sensazioni di intenso dolore, del sonno, della fatica, per aumento dei neuromodulatori, dei neuroormoni e dei neurotrasmettitori e per contemporaneo innalzamento della soglia del dolore.

A questo punto ricordiamo, come stato di coscienza modificato

particolare, anche la “sobria ebrietas” che fa parte di tutta la tradizione platonica, gnostica, ermetica, misterica e cristiana.

Dai misteri di Eleusi infatti, passando per l’ ”Ultima Cena”, fino ai giorni nostri la sobria ebrietas, per alcuni autori, è in grado di portare fino alle altezze della “contemplazione”, sia essa di tipo pagano o religioso.

Nel nostro “excursus” entro gli stati di coscienza modificati vedremo

dunque, anche se molto sommariamente, per evidenti ragioni di spazio, come essi siamo molto più utili di quello che si crede comunemente, soprattutto per immergersi in “nuovi momenti, attimi e esperienze di vita, diverse dalla normale realtà di tutti i giorni”.

Si attuano così: vissuti al di fuori della realtà comune dello stato di veglia vigile, esperienze personali ed affascinanti, a volte ai limiti del potere descrittivo del

linguaggio comune, emozioni particolarmente “sentite”, con emersione spontanea di “vissuti

inconsci o preconsci rimossi”, riattivazione di motivazioni perdute lungo il viaggio metaforico della vita, incontri affascinanti con l’ “arcaico” dentro ognuno di noi, soffocato entro le

pieghe dell’anima, costretta a vivere una vita tumultuosa di orari, impegni, situazioni non adatte, ecc., accompagnato a visualizzazioni spontanee con simboli archetipici, specie di tipo “mandalico”, metafore, allegorie e tutto quanto allude almeno in parte ad un lento “processo di individuazione” alla Jung.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI

E TIPI DI INTELLIGENZA

“Sapere aude. Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza”! I. Kant “Ci sono cose che soltanto l’intelligenza è capace di cercare ma che, da sola,

non troverà mai”. Bergson. L’evoluzione creatrice. Fino a qualche anno fa si parlava solamente di intelligenza; non certo di

vari tipi di intelligenza. Ma ora, anno duemila imperante, molte cose sono cambiate oppure sono

sul punto di cambiare, anche se, come del resto per molte altre definizioni, anche quella di intelligenza è oggetto di continue revisioni, critiche, innovazioni e polemiche.

Non esiste poi nemmeno una stessa valutazione della parola intelligenza

a livello dei vari idiomi, per cui diviene ancora più difficile comprendersi, per esempio, tra l’inglese e l’italiano, ove le due parole assumono un significato quasi completamente diverso.

Una definizione che potrebbe meglio delle altre corrispondere alla realtà, anche se può avere degli aspetti di contatto con l’intuizione, è quella che definisce l’intelligenza come: ”la capacità di riuscire a vedere, riconoscere ed apprezzare intime connessioni tra realtà completamente diverse tra di loro, in modo da costruirne legami significativi e, nello stesso tempo, attraverso questi, giungere a conoscenze nuove, prima non ipotizzabili secondo i metodi comuni già in uso”.

Ma ormai si inizia a catalogare l’intelligenza in vari tipi, a seconda del

campo di applicazione. Per esempio H. Gardner li ha divisi in questo modo.

Intelligenza linguistica, dei poeti, scrittori, linguisti. Intelligenza logico-matematica, dei matematici, scienziati, filosofi. Intelligenza musicale dei compositori, direttori d’orchestra, musicisti, critici musicali. Intelligenza spaziale degli architetti, scultori, cartografi, navigatori, giocatori di scacchi. Intelligenza cinestesica dei danzatori, atleti, attori. Intelligenze del tutto personali degli psichiatri, politici, capi religiosi, capi carismatici, antropologi. Intelligenza naturalistica dei biologi e naturalisti. Intelligenza esistenziale dei capi spirituali, filosofi e pensatori.

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Non è facile conoscere quanto di vero ci possa essere in questo particolare tipo di classificazione ma ammiriamo questo nobile tentativo, molto migliore di tutti i precedenti.

Ultimamente si parla anche di “Intelligenza bionica”, ma, a dire la verità, una definizione di questo tipo sembra ancora alquanto prematura, almeno per quanto riguarda le conoscenze nel campo dell’Intelligenza artificiale.

Ci siamo brevemente soffermati su questi punti perché per noi possono

avere un significato ben preciso, nel confrontarli con gli stati di coscienza modificati che li possono accompagnare.

Un primo riscontro potrebbe essere utile inserendo a questo punto la nozione di apprendimento.

Del resto noi siamo convinti che una buona parte della cosiddetta intelligenza possa veramente far parte di un importante apprendimento delle varie fonti del sapere, iniziato soprattutto nei primi anni di vita, secondo alcuni autori, addirittura nei primi tre.

L’apprendimento, come scrive J. P. Changeux, dipende essenzialmente dai sistemi colinergici cerebrali, ai quali fanno capo l’acetilcolina, la nicotina ed il glutammato come neurotrasmettitori eccitatori, lasciando passare gli ioni sodio, potassio e calcio, che sono carichi positivamente.

A questi fanno riscontro sull’altro lato i neurotrasmettitori inibitori, come il Gaba e la glicina, che lasciano passare ioni negativi, come il cloro.

Tutto questo sistema di neurotrasmettitori eccitatori ed inibenti è essenziale sia per un buon apprendimento come pure per una buona memorizzazione.

Non per niente le zone cerebrali della corteccia deputate a queste funzioni sono in massima parte le zone frontali e prefrontali, perché molto più ricche in innervazione colinergica della altre rimanenti, anche se ulteriori ricerche, compiute negli ultimi anni, tendono a dimostrare come le funzioni di apprendimento siano da considerarsi un continuum di tutta la corteccia.

A questo punto diventa essenziale l’analisi dei vari stati di coscienza modificati per cercare di comprendere, almeno un po’ meglio, come si possano sviluppare e mantenere come eccellenti forme di prestazioni “intelligenti” fino alla più tarda età.

Non siamo al corrente se studi di questo tipo sono già stati intrapresi oppure se sono in corso di realizzazione da parte di vari Enti, Fondazioni o Università, in modo particolare nel territorio degli Stati Uniti.

È indubbio però che qualche autore vi si sta già cimentando, alla luce delle nuove conoscenze sulla neuropsicoimmunoendocrinologia cerebrale, tra cui lo psicologo Tart, che ricordiamo in altro capitolo.

A noi interessa ad ogni modo dare qualche spunto di ipotesi di lavoro, se non altro per il fatto che, molto più spesso di quel che non si creda. ci imbattiamo in soggetti “intelligenti” nel loro campo di attività, i quali ci raccontano che certe conoscenze o intuizioni si sono loro presentate “improvvisamente”, magari durante la notte in sogno sotto forma di simboli,

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allegorie o metafore oppure nel “dormiveglia” durante gli stati ipnopompici o ipnagogici.

In questo modo, e solo in questo modo, essi sono stati in grado di risolvere delle situazioni progettuali di lavoro o di ricerca che inutilmente tentavano di “sbrogliare” in stato di veglia, pur con tante conoscenze acquisite nel campo specifico di indagine o di ricerca, accompagnate anche da un notevole grado di volontà di riuscire, di attenzione e di concentrazione attiva.

L’intelligenza dunque può servirsi, in certi casi, molto meglio di altri stati di coscienza diversi da quello della veglia vigile o normale.

Si potrebbe supporre che in qualche stato di coscienza modificato si possa diventare ”più intelligenti”, perché si utilizzano, per vie ancora sconosciute, anche se sicuramente neuronali, conoscenze liminali o subliminali.

Esse, sebbene sicuramente apprese in qualche momento della vita, non arrivano spesso allo stato di coscienza della veglia vigile.

Rimangono, per così dire, sotto la “soglia di percezione”. ma, se vengono attivate in modo non ortodosso, come appunto in qualche stato di coscienza modificato, possono dare grandi frutti ed immense soddisfazioni.

Naturalmente in questo campo tutte le ipotesi sono aperte. Per esempio Kekulè von Stradonitz, grande studioso della chimica

organica, non riusciva a capire, per quanti sforzi facesse, come fossero disposti nello spazio i sei atomi di carbonio che formano la molecola del benzene.

Dopo molte supposizioni, una sera, stanco di continuare a pensare a questo mistero ancora così impenetrabile, si appisolò in casa sua, davanti al caminetto acceso.

Nello stato di dormiveglia che ne segui, vide un grande serpente che si mangiava la coda. Risvegliatosi di soprassalto prese una penna, si mise a disegnare e, con sua somma sorpresa, poté intuire che i sei atomi di carbonio erano disposti in catena chiusa esagonale, proprio come il serpente appena visto in dormiveglia.

Di racconti o aneddoti di questo tipo è piena la storia delle grandi invenzioni.

Tornando dunque agli stati di coscienza modificati, noi siamo dell’avviso, peraltro giustificato da molti esempi, che qualche volta sia possibile ottenere conoscenze valide ed esperienze molto utili immergendosi in questi stati, di cui i più importanti sembrano essere lo stato ipnotico medio e profondo e l’autoipnosi.

D’altra parte non si possono certo trascurare né gli stati di dormiveglia, né gli stati di “sobria ebrietas”, né tanto meno gli stati meditativi o gli stati mistici, in modo particolare e specifico se si hanno convinzioni religiose molto radicate e profonde.

Tutte o quasi tutte sono esperienze squisitamente personali, ma alcune di queste, associate a vissuti particolari o a conoscenze elevate, possono veramente portare qualcosa di nuovo nel campo umano anche collettivo e servire come punto di partenza per ulteriori esperienze in molti altri settori.

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In questo campo di ricerca indubbiamente molto resta ancora da fare; anzi si potrebbe affermare, senza tema di smentita, che siamo sicuramente agli albori dell’analisi dei vari tipi di intelligenza.

Siamo ancora all’ “età della pietra” per quanto riguarda le conoscenze sull’universo del cervello e sicuramente esse si presentano e si presenteranno ancora per molto tempo alquanto difficili ma nel contempo anche tanto affascinanti.

Forse si potrebbe ottenere qualche luce in più se i ricercatori, di qualsiasi specialità essi siano, si addentrassero qualche volta anche nell’analisi e nella sperimentazione degli stati di coscienza modificati, ancora, purtroppo, ignorati, se non addirittura ridicolizzati, da chi, nel campo delle ricerche e della loro valutazione, “in alto loco siede”.

Noi siamo del parere, peraltro strettamente personale, che, quando le menti si apriranno anche verso questi lidi ancora ignoti, ne risulterà un grande beneficio sia all’evoluzione personale ma crediamo anche collettiva.

Siamo agli albori come dicevamo, ma non mancano segnali positivi in questo senso, almeno da parte di alcune scuole più avanzate, che si impegnano a considerare valida qualunque ipotesi di lavoro, salvo poi che non venga dimostrato il contrario.

Il cammino della scienza si è sempre svolto in questo modo. Idee nuove ed originali hanno sempre dovuto lottare per molto tempo per

farsi strada fino a rimpiazzare quelle obsolete, le quali molto spesso vanno avanti per sola forza di inerzia, anche per molti anni dopo la loro dichiarata senilità.

E noi, anziani nel corpo ma giovani nell’anima, armati di quell’entusiasmo che negli anni 60 ci ha portati sulla breccia dell’ipnosi, allora poco conosciuta in Italia, proviamo di nuovo a dare qualche “input” alle nuove generazioni, in modo che inizino a percorrere senza indugio nuove vie, proprio con l’uso degli stati di coscienza modificati, in tutte le accezioni che abbiamo analizzato precedentemente.

Essi infatti, come vedremo nei prossimi capitoli, stanno aprendo ai coraggiosi sempre nuove ed entusiasmanti regioni inesplorate di ricerca sottile, di analisi profonda, di sperimentazione accurata, di incontri subliminali, di scoperte cristalline, di soddisfazioni generose e di gratificazioni giornaliere, impensabili solo fino a qualche anno fa, od almeno prima dell’era Eriksoniana.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E RETI DI MEMORIA

“Memoria minuitur….nisi eam exerceas”. Cicerone. De senectute. VII. “Il vantaggio della cattiva memoria è che si gode parecchie volte delle stesse

cose per la prima volta”. Nietzsche. Umano, troppo umano. Molte conquiste sono state compiute in questi ultimi anni nello studio ed

analisi della memoria. Le ultime, valorizzate dopo il 1994, parlano ormai di diverse classi di

memoria “intessute” in reti di neuroni che connettono aree corticali anche molto lontane tra di loro.

Si è perduto pertanto il concetto prevalente fino alla fine degli anni 80 che nel cervello ogni tipo di memoria potesse avere una sua sede ben precisa e localizzata.

Ad ogni modo sembra ormai definitivamente acquisito che i diversi tipi di memoria abbiamo la loro sede nella neocorteccia, cioè in quelle formazioni che sono le ultime apparse nell’evoluzione del cervello.

Non è certo questo il luogo per disquisire se la memoria si formi e persista nel tempo, effettivamente come sembra, per agevolazioni continue facilitanti il percorso degli stimoli che provengono dalla periferia o quali unioni sinaptiche tra aggregati di neuroni siano le più coinvolte in questi processi.

Lo schema che presentiamo forse favorirà meglio, più di qualunque discorso, quello di cui andiamo trattando, anche per il fatto notevole, dal nostro punto di vista, che vi troveremo degli agganci per quanto riguarda gli stati di coscienza modificati.

Osserva dunque J. Fuster che un probabile schema dell’organizzazione gerarchica dei diversi tipi di memoria nel settore “percettivo” e in quello motorio o “esecutivo” potrebbe essere il seguente:

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MEMORIA MOTORIA

CONNETTIVITA� BIDIREZIONALE

RETI DI NEURONI INTESSUTE TRA DI LORO

MEMORIA PERCETTIVA

CONCETTUALE CONCETTUALE PIANI SEMANTICA PROGRAMMI EPISODICA ATTI POLISENSORIALE FILETICA O DELLA SPECIE

FILETICA O DELLA SPECIE

AZIONI CHE SFOCIANO IN CONDOTTA E LINGUAGGIO

RETI DI NEURONI INTESSUTE TRA DI LORO

CONNETTIVITA� BIDIREZIONALE

OLFATTO GUSTO TATTO UDITO VISTA

Entrambe le gerarchie di memoria, quella percettiva e quella motoria,

risiedono, come ben si nota dalla tabella a partire dal basso, su una base comune di memoria filetica, cioè innata, denominata anche “memoria della specie”.

“Già alla nascita, scrive ancora J. Fuster, tali aree contengono, nella loro struttura sinaptica, l’esperienza essenziale che la specie nel suo complesso ha acquisito nel corso della sua interazione con l’ambiente. La si può chiamare a pieno titolo “memoria” dal momento che come la memoria personale è informazione immagazzinata, la quale può essere recuperata tramite stimoli sensoriali o la necessità di compiere un’azione.

La memoria filetica è eminentemente adattativa, dal momento che contiene in sé la prolungata esperienza adattativa della specie. Per servire ad un organismo, questo tipo di memoria richiede che venga effettuata una “ripetizione” all’inizio della vita individuale….

Inoltre vi sono prove che le strutture sensoriali e motorie conservino la loro plasticità anche nella fase adulta. La memoria filetica può pertanto modificarsi e ampliarsi anche nell’organismo adulto”.

Le sedi della memoria, oltre che nella neocorteccia, si ritrovano anche nell’ippocampo e nell’amigdala, dato che lesioni dell’ippocampo determinano “amnesia anterograda” e gravi difficoltà nell’acquisire e consolidare nuove memorie.

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Abbiamo ben volentieri riportato il passo di J. Fuster sulla memoria filetica sensoriale e motoria, per tentare, con queste sue considerazioni, qualche nostra interpretazione, estrapolando i suoi risultati sul “risveglio” della memoria, in modo particolare quella remota, nel corso di esperienze personali in autoipnosi oppure con soggetti in stato di ipnosi più o meno profonda.

Quando abbiamo tentato qualche esperimento di questa natura, ancora alla fine degli anni 60, non vi erano certo le teorie avanzate del giorno d’oggi e pertanto ci si doveva accontentare di prendere nota di quanto succedeva, non avendo nessuna via percorribile di interpretazione a livello più o meno scientifico.

Siamo dell’avviso che tali strade della “ricerca delle memorie perdute o rimosse nell’inconscio” sia ancora agli albori di un nuovo tipo di scienza che chiameremo: scienza del “risveglio dell’esperienza interiore a vari livelli”.

Questa dovrebbe portare indubbi vantaggi nella conoscenza personale innata, in modo particolare se essa viene risvegliata, con tecniche opportune, come quelle ipnotiche o autoipnotiche, in sede sperimentale o psicoterapeutica.

In questo contesto il “risveglio dell’esperienza interiore a vari livelli” potrebbe essere usata addirittura per scoprire conflittualità inconsce a livello profondo, forse addirittura a livello cromosomico o genetico, nelle impronte del DNA, cioè innate.

Il tutto resta sicuramente da sperimentare in senso classico, con tutti i sacri carismi della ripetitività, cardine portante di ogni ricerca condotta con metodi veramente scientifici.

Ma quanto si può parlare di ripetitività in questo contesto? Forse molto di più di quanto si creda, dato che si analizzano momenti

esperenziali che possono dipendere, almeno in parte, anche dalla “memoria della specie” e pertanto riproducibili anche in più individui, almeno dello stesso albero genealogico.

Il risveglio dell’esperienza interiore a vari livelli potrebbe dunque diventare una realtà, solo che qualche ricercatore si ponesse nelle condizioni mentali di continuare sulla strada indicata.

Se esiste infatti una memoria filetica sensoriale e motoria, perché non pensare che possa esistere, in qualche zona della corteccia, oppure anche, se vogliamo, in tutta la neocorteccia, di più recente formazione, qualche altro tipo di memoria latente, per esempio, di tipo “memoria a lungo termine”.

D’altra parte in questi ultimi anni si è giunti alla conoscenza che la trasformazione della memoria a breve termine in lungo termine avviene sempre per opera di alcuni neurotrasmettitori e neuromodulatori.

La riattivazione della memoria a lungo termine potrebbe veramente essere pregna di ulteriori scoperte sull’evoluzione umana e, nello stesso tempo, favorire anche la comprensione di molti cosiddetti “processi mentali deviati”, oltre che di forme particolari di “genio e sregolatezza”, molto note in tutti i tempi, specie tra musicisti, pittori, poeti, inventori ma anche scienziati.

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Molti dei processi mentali deviati potrebbero infatti dipendere da qualche “impronta genetica deviante” che altera la neurotrasmissione e la neuromodulazione e non favorisce certo la libera circolazione dei neuroormoni.

In questa ottica la strada della ricerca è già segnata. È solo necessario “provare e riprovare”, secondo il precetto galileiano,

con pazienza, costanza e perseveranza. Secondo il nostro parere, ci sembra molto utile iniziare la ricerca nei vari

stati di coscienza modificati come la veglia rilassata, il rilassamento, l’autoipnosi, l’ipnosi media, o anche, per chi voglia portarsi un attimino più avanti, con gli stati meditativi o mistici.

In un secondo tempo ci auguriamo anche che le continue conquiste tecnologiche possano arrivare a farci capire meglio come funziona il cervello umano, in modo particolare a livello delle connessioni neuroniche della neocorteccia.

La continua miniaturizzazione ci porta anche a pensare che in un prossimo futuro si potranno ricevere molte più informazioni sul funzionamento del cervello in generale, inserendo dei chip molto miniaturizzati in alcune aree cerebrali con dei programmi adatti allo scopo.

Ci consta infatti che in alcuni laboratori americani esperimenti di questo tipo siano già in corso e non solo sugli animali.

In questo modo forse si potranno avere ulteriori notizie sulle immense possibilità del cervello umano, il quale non può essere nato per farci condurre una vita legata solamente alla materia, come pensano ancora in molti, forse in troppi.

Noi al contrario siamo dell’avviso che i nostri sono i primi timidi passi dell’homo sapiens entro la scoperta di se stesso e degli altri suoi simili.

Passi ancora molto incerti, lungo un sentiero già segnato fin dal principio, ma del quale ci è stata rubata o abbiamo perso la mappa.

Si tratta ora di costruire passo per passo il tragitto da affrontare, tragitto che può anche essere pieno di pericoli ed imprevisti, ma che si dimostra meraviglioso ed affascinante per ogni uomo di “buona volontà”, alla ricerca di quell’imponderabile tutto da scoprire e analizzare entro quelle che potremo definire “le pieghe dell’anima” di ogni singolo essere vivente entro il cosmo.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E EMISFERO DESTRO

“Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”. Socrate “In ogni opera di genio noi riconosciamo i pensieri che avevamo rifiutato. Essi ritornano a noi con una certa maestà alienante”. R. W. Emerson. Essais. Self-Reliance. Ampi orizzonti si sono aperti sullo studio delle funzioni cerebrali da

quando, negli ultimi anni, l’informatica ha compiuto passi da gigante, in modo particolare con la sempre maggiore miniaturizzazione dei chip, i quali, in questo modo, possono perfino essere inseriti in alcune aree cerebrali, senza che diano il benché minimo disturbo.

Sugli animali e forse su qualche volontario umano proseguono questi tipi di esperimenti che rivelano nuovi orizzonti a volte quasi fantascientifici.

Anche per gli esseri umani si sono dischiuse nuove ed importanti porte della conoscenza, specie per tutti quei settori cerebrali che possono essere maggiormente analizzati con le nuove tecniche: risonanza magnetica (RM), tomografia a emissione di positroni (PET) e da ultimo anche l’ecografia tridimensionale, che, nelle prove sperimentali, sono ormai divenute indispensabili per la mappatura delle funzioni cerebrali.In questo modo si inizia, seppure a passi lenti ed incerti, a essere in grado, non solamente di analizzare, ma anche di capire le varie attività del cervello, in modo particolare dell’emisfero sinistro.

Ma sappiamo che esiste anche l’emisfero destro, unito al sinistro dal corpo calloso, per un importante scambio di informazioni, molto utili del resto anche per l’equilibrio fisico e mentale.

Si parla sempre più spesso di attività razionale e motoria deputata all’emisfero sinistro, alle quali si contrappone l’attività fantastica, artistica, immaginativa ed emotiva dell’emisfero destro.

Ancora non sappiamo bene se tutto questo corrisponda veramente alle usuali funzioni dei due emisferi, anche perché recenti studi in merito hanno dimostrato che gli asiatici, per esempio, in modo particolare i giapponesi, usano la parte sinistra del cervello per alcune attività che per noi occidentali invece fanno parte del cervello destro, come ad esempio, la musica.

Se prendiamo in considerazione però l’anatomia topografica del cervello sinistro e destro non abbiamo, almeno fino ad oggi, un modo specifico per notare differenze sostanziali, non solo in campo macroscopico (figure 1 e 2), ma nemmeno in quello microscopico (figura 3 e 4)

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Fig 1 Cervello sinistro. Fig. 2 Cervello destro

Assone

Terminazione

Dendriti

Guaina

Assone(Segmento

Dendriti

Corpo cellulare

iniziale)

mielinicaSinapsi chimica Neurotrasmettitore

(a)

Fig. 3 Struttura di un singolo neurone con i suoi collegamenti (dendriti)

con altri neuroni mediante strutture a funzionamento chimico (sinapsi): Triangolini bianchi sinapsi eccitatorie. Triangolini neri sinapsi inibitorie. (Da Kandel-Schwartz e Edelmann).

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Fig. 4 Fotografia al microscopio elettronico di neuroni con i loro

dendriti. Fatta questa dovuta e necessaria precisazione entriamo dunque nel vivo

dell’argomento. Quando, per vari motivi contingenti legati al momento vissuto, come

sperimentazione in atto, studio analitico, psicoterapia, forti motivazioni personali, si utilizzano o si entra volontariamente negli stati di coscienza modificati, come abbiamo già visto legati alla creatività, alle fantasie, alle immagini, alle emozioni violente ecc. è vero che ci immergiamo nell’attività prevalente dell’emisfero destro?

Se si fanno prove in questo senso, appunto attraverso i vari stati di coscienza modificati che possono presentarsi in diversi momenti della vita o spontanei, o indotti od anche autoindotti, si ha la sensazione che effettivamente entrino in gioco delle forze, delle cariche, delle energie, che sicuramente non hanno niente in comune con l’attività razionale; anzi molto spesso sembrano escluderla completamente.

L’attività fantastica unita ad una buona immaginazione sviluppa quel dato grado di creatività che, in modo naturale, oltrepassa senza dubbio i limiti di una mera analisi razionale di tutto quello che sta succedendo dentro l’organismo, piuttosto che nel solo cervello.

In questo modo la compartecipazione alle esperienze vissute diventa “istantanea” e si è così in grado di condensare una esperienza al di fuori della realtà di tutti i giorni in una “intuizione immediata”, composta da immagini, sensazioni ed emozioni diverse da quelle normali dello stato di veglia.

Il nostro pensiero corre subito all’intuizione immediata che fa capo al “lampo di genio”.

Oltre a questo si può anche arrivare a crearsi “dal nulla” un “proprio spazio infinito”, nel quale si raccolgono sia le informazioni archetipiche universali, sia le informazioni subliminali facenti parte dell’inconscio personale e collettivo.

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Alla luce di questi assunti chiameremo la coscienza, compresi gli stati modificati: “ la somma di esperienze interiori a vari livelli”

Abbiamo detto proprio “dal nulla”, perché tutto questo bagaglio esperenziale si avvicina, anche se non collima, con la “Dottrina Zen del vuoto mentale”.

Dottrina veramente all’apice delle conoscenze intuitive ma che per noi occidentali, abituati a raccogliere, e solo in parte, unicamente le informazioni provenienti dai cinque sensi, diventa alquanto difficile, non solo da comprendere, ma anche soprattutto da realizzare.

Per dare solo un piccolo esempio del modo di “vivere attimo dopo attimo” dei grandi maestri Zen, ecco una significativa parabola Zen, inserita in: “La Dottrina Zen del vuoto mentale” di uno dei più grandi maestri dell’oriente: D. T. Suzuki.

“Un cacciatore incontrò una tigre e fuggì con la tigre alle calcagna. Arrivato sull’orlo di un precipizio l’uomo vi saltò, afferrandosi ad una liana e rimanendo sospeso nel vuoto, mentre la tigre annusava al di sopra di lui. Tutto tremante l’uomo guardò in giù e vide un’altra tigre che lo guardava. Due sorci, uno bianco ed uno nero, si misero a rodere la liana alla quale era sospeso. L’uomo vide allora vicino alla sua testa una appetitosa fragola selvatica. Tenendo la liana con una mano, colse con l’altra la fragola e la mangiò. Come era delizioso il suo gusto”!

In questa breve ma significativa parabola siamo lontani anni luce da tutto il nostro modo di vivere, di pensare, di organizzare le nostre prospettive, di porsi in contatto con gli altri, di lasciare scorrere il tempo. Ci affligge così l’ansia anticipatoria, con un grande coinvolgimento emotivo, con un alto grado di aggressività, con le diuturne polemiche familiari e sociali!

In altro capitolo del presente volumetto presentiamo la “Sindrome del burn-out professionale”, come tipico esempio di questi assunti.

Il vuoto mentale è veramente difficile da realizzare, ma non nell’attimo nel quale si impara a gustare il delizioso sapore della fragola selvatica, pur in mezzo alle traversie di ogni giorno.

Per tutti è ormai necessario fermarsi a gustare, ad assaporare “l’attimo che si fugge tuttavia” e riuscire perfino a fermarlo, per viverlo intensamente in ogni “momento di grazia” che si presenta e si vive come “esperienza istantanea ed infinita“, da realizzare come “intuizione immediata, ricca di emozioni e perciò molto spesso dotata di una carica creativa impensabile”.

Ecco dove entra in gioco la parte destra del cervello, l’emisfero destro, quella parte che utilizziamo troppo poco o addirittura per nulla, legati come siamo alla nuda e fredda razionalità di tutti i giorni, che ci tiene troppo legati alla materia, con la mente e lo spirito, soffocati entro il “buio” dei contenuti inconsci rimossi, della “notte tenebrosa dei mistici, prima dell’alba radiosa dell’incontro con la nuova luce”.

Mi piace ricordare in questo contesto anche Charles T. Tart, famoso psicologo americano, molto noto negli anni 70-80 per i suoi studi e le sue ricerche sugli “stati discreti e stati discreti alterati di coscienza”, secondo la sua terminologia.

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Spesso egli, quando teneva conferenze nelle università americane, si divertiva ad iniziare il suo discorso con questa domanda: “È qui presente, in questo momento, qualcuno che crede veramente che ciò che state vivendo in questa stanza, ora, possa essere soltanto un sogno? E con ciò non intendo riferirmi a dubbi speculativi e filosofici circa la natura ultima dell’esperienza, né a qualcosa del genere. Sto semplicemente chiedendo se qualcuno, in qualsivoglia senso veramente concreto pensi che questo possa essere un sogno che voi state vivendo in questo momento, invece del vostro ordinario stato di coscienza”.

Parafrasando Tart potrei io ora aggiungere “Come può il lettore di questo lavoro essere sicuro di stare veramente leggendo queste righe, in questo momento, o non invece di leggerle in sogno”? Se poi si tratta di un vero “sogno lucido” con quali mezzi può accorgersi della differenza?

Attendendo del tempo per sentire se suona la sveglia”? Ognuno dei miei lettori, qui ed ora, sicuramente, sotto le mie

sollecitazioni, sta provando mentalmente di percepire tutte quelle sensazioni che di norma vengono attribuite allo stato di veglia vigile, come l’ambiente familiare che lo circonda, lo stato di consapevolezza normale, le immagini, sensazioni ed emozioni che questo stato comporta, ecc.

Però, a dir la verità, potrebbe anche non essere così. Nei “sogni lucidi” le sensazioni, le emozioni, la consapevolezza, le

immagini sono , non sembrano, talmente vive ed attuali da non porre nessun dubbio che possa essere il contrario.

Forse qualcuno dei miei lettori ha già sperimentato, come è successo anche a me, in un “sogno lucido”, di tenere una conferenza, in un aula molto affollata e molto attenta, con una grande proprietà di linguaggio, che non è assolutamente quella sua usuale dello stato di “veglia vigile”. Al risveglio si sarà accorto quale filo estremamente esile accomuni i due diversi stati di coscienza, tanto da renderli quasi se non completamente eguali. Ed in più la consapevolezza di un vero rincrescimento che la realtà vera non fosse invece proprio quella di sogno.

Ritornando a Tart egli aggiunge poi che ha posto quella domanda molte volte, ma solo in pochissime occasioni ha notato una mano alzarsi in senso affermativo.

Nessuno ha avuto il coraggio di difendere una posizione simile anche per il fatto che è opinione comune che tutto il cosiddetto “normale di ogni giorno” faccia parte di un’unica verità, cioè di quel particolare tipo di esperienza che viene attribuito dal cervello ad uno stato di coscienza normale, cioè di veglia vigile.

Il nostro discorso ci sta portando lontano, forse anche fuori dei limiti del presente lavoro, ma è anche utile per cercare di comprendere ulteriori fasi dell’attività cerebrale dell’emisfero destro.

Facciamo un altro esempio. Scrive S. Dehaene:“I due emisferi cerebrali posseggono distinte capacità

aritmetiche.

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Entrambi identificano a vista le cifre e sanno quali quantità essi rappresentino, ma solo l’emisfero sinistro accede alla pronuncia e al ricordo della tavole aritmetiche. Se si seziona, per motivi superiori, come la presenza di un tumore maligno, il corpo calloso, che mette in comunicazione i due emisferi, si nota che mentre il riconoscimento visivo, la designazione ed il confronto dei numeri è più o meno eguale nei due emisferi, differenze notevoli si notano invece sia per la lettura che per il calcolo di essi. La lettura ed il calcolo sono di pertinenza del solo emisfero sinistro e non è possibile realizzarli con l’attività del solo emisfero destro”.

L’espressione di concetti richiede la cooperazione di tre sistemi neurali, scrivono A .R. Damasio e H. Damasio: uno li elabora, l’altro da forma a parole e frasi, ed il terzo funge da mediatore tra i primi due. Ma tutto si impernia esclusivamente sulla sola attività dell’emisfero sinistro. In questo caso l’emisfero destro rimane totalmente silente.

Citiamo anche una frase di D. J. Chalmers: “L’esperienza cosciente è quanto di più familiare ci sia al mondo, ma allo stesso tempo di più misterioso.

Non c’è nulla di cui abbiamo una conoscenza più diretta della coscienza, ma è straordinariamente difficile conciliarla con tutte le nostre altre conoscenze.

Perché esiste? Come agisce? Come è possibile che nasca da processi neurali che avvengono nel cervello?

Si tratta delle domande tra le più affascinanti di tutta la scienza”. Se noi analizziamo quanto detto finora, possiamo cominciare veramente

il nostro discorso su stati di coscienza modificati e cervello destro. Se prendiamo tra le varie definizioni di coscienza quella che ci sembra

più vicina ai nostri assunti ed alle nostre esperienze ritorniamo con il pensiero alla:“somma di esperienze interiori a vari livelli”.

In questo modo si possono avanzare dei progetti di studio anche su quei stati di coscienza che noi intendiamo come “modificati”.

Ma cosa si modifica in realtà? Cos’è che prende un suo significato intrinseco in questo contesto? È sufficiente la laterizzazione in un emisfero piuttosto che in un altro? Sono tutte domande alle quali né la neurofisiologia né la neuropsicologia

sono ancora in grado di rispondere. Forse la neuropsicoimmunoendocrinologia potrebbe avere qualche carta

in più da giocare a suo favore, dato che sappiamo ormai tutti che gli impulsi tra i vari miliardi di neuroni, attraverso i dendriti, sono più che altro di natura elettrica e biochimica.

Ma ancora una volta quale aggancio elettrico e biochimico possono avere, in senso stretto, la veglia rilassata, gli stati crepuscolari, gli stati meditativi, gli stati mistici, gli stati ipnoidi, gli stati ipnotici, gli stati ipnopompici, gli stati ipnagogici ed altri ancora, quando è notorio ormai che in questi stati la corteccia è più a riposo che non nella veglia vigile e non il contrario?

Si parla infatti, più o meno per tutti questi stati, di “stato di inibizione corticale” con al massimo un preciso focolaio acceso di attenzione o di concentrazione passiva, a seconda del tipo di esperienze interiori.

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Chi si interessa a fondo, per lungo tempo, con costanza, pazienza e perseveranza, di stati di coscienza modificati, in modo particolare in autoipnosi, si accorge che i vari momenti di esperienze interiori a vari livelli, specie quelli più profondi o elevati a seconda dei vari punti di vista, si modificano nel tempo, assumendo caratteristiche strettamente personali.

Permangono poi nel più profondo dell’Io, assumendo vita propria e quasi del tutto autonoma dalla coscienza normale della veglia vigile.

Questi tipi particolari di “engrammi” formano con l’andar del tempo una specie di mappa, presumibilmente nell’emisfero destro, sulla quale i “vari momenti di esperienze interiori a vari livelli” si agganciano, si moltiplicano, evolvono, elaborando vissuti propri che costituiscono tutte quelle sensazioni diverse ed autonome, proprie degli stati che abbiamo menzionato.

La corteccia cerebrale dell’emisfero destro, in questo modo, attraverso elaborazioni continue delle mappe che va via via costruendo, specie con l’aiuto degli stati di coscienza modificati, si rivela estremamente malleabile, ricca di sensazioni ed emozioni nuove, molto diverse da quelle della corteccia dell’emisfero sinistro, “in altre faccende affaccendata”.

Non per niente Jung parla di un “processo di individuazione” che assume, con l’andar del tempo, quasi vita propria autonoma.

Giunti a questo punto ci si potrebbe infine chiedere se lo stato di “veglia vigile” sia per noi un punto di partenza e non un punto di arrivo, come sembra nella realtà comune di tutti i giorni.

Le costruzioni del cervello destro con le sue fantasie, simboli, allegorie, immagini, sensazioni, emozioni, che possono risalire anche al “periodo arcaico” dell’evoluzione umana, ci possono accompagnare, in modo particolare durante alcuni stati di coscienza modificati, verso una maggiore comprensione del “sistema uomo”, sistema aperto e non chiuso, in continua seppur lenta evoluzione, in modo particolare verso la conoscenza di se stesso, degli altri, dell’ambiente nel quale vive, dell’universo intero.

Forse l’organismo vivente, in tutta l’accezione del termine, invece che avviarsi, come tutti gli altri sistemi non viventi, verso una sempre minore complessità, verso l'entropia, verso l’involuzione, in altre parole verso il nulla, potrebbe essere organizzato in modo da acquisire invece una sempre maggiore complessità che potremo chiamare “entropia negativa” o “evoluzione”.

Tutto questo sembra che non sia ancora ammesso dalle leggi fisiche conosciute ma sappiamo anche con Shakespeare che “Esistono più cose che non conosciamo sulla terra che non in cielo”.

Si spera che le prime timide ricerche in questo campo possano essere in grado di fornire almeno una possibilità in più di risposta alle grandi domande vecchie come l’uomo:

“Chi siamo”? ”Da dove veniamo”? “Dove andiamo”?.

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AUTOIPNOSI, STATI DI COSCIENZA MODIFICATI

E SIMILSOGNI “Il sogno è l’infinita ombra del vero”. Pascoli. Alexandros, da Poemi Conviviali. “Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna

soltanto di notte”. E. A. Poe. Eleonora. Argomento difficile che il solo affrontarlo, per dirla con il Sommo Poeta,

“fa tremar le vene e i polsi”. D’altra parte, a nuovo millennio quasi iniziato, è utile soffermarsi su temi

un po’ fuori del seminato, se non altro per il fatto di non continuare sempre a presentare più o meno “la solita minestra”, magari condita in mille modi ma pur sempre alla fine la stessa.

Il tema dunque vorrebbe prendere in considerazione i momenti particolari che si possono presentare in autoipnosi come realtà diverse dal normale, ma nello stesso tempo vissute in modo spontaneo, naturale, quasi fosse una specie di “rappresentazione teatrale”, con attori molto vari ma nello stesso tempo capaci di attirare e assorbire l’attenzione e l’emozione.

Le nuove realtà diventano così l’occasione per “incontri speciali” che contribuiscono ad allargare il campo delle conoscenze, completamente diverse da quelle della realtà normale dello stato di veglia vigile di tutti i giorni.

Cerchiamo pertanto di andare con ordine nel raccogliere e valutare esperienze sparse entro quei territori che di norma, senza un allenamento particolare e specifico, cioè indirizzato in questo senso, restano pur sempre confinati nelle immagini eidetiche, nel sonno e nei sogni.

Dividiamo pertanto gli stati modificati di coscienza dell’autoipnosi in: stato autoipnoide, stato di autoipnosi leggera, media e profonda, pur essendo convinti che non esiste soluzione di continuità tra questi stati, come d’altra parte per gli stati ipnotici.

Essi sono come un territorio da esplorare lungo un percorso continuo, denso di significati nascosti e di nuove aperture, con continue ramificazioni in sentieri inesplorati, quasi a livello dendritico, e a volte di natura similcrepuscolare, ma ricchi di importanti ed allettanti sorprese, che vale la pena di raccogliere, capire, allevare ed analizzare.

Non è nemmeno detto che le esperienze o le conoscenze ottenute siano migliori più l’autoipnosi raggiunge livelli più profondi.

A volte si potrebbe dire che forse questi momenti esperenziali, vissuti più che altro in modo catartico, si presentino spontaneamente a livello della

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coscienza, anche se molte volte sembra proprio di vivere come dentro un sogno.

È difficile, molto difficile catalogare tutto questo, ma forse il lemma che più si adatta per questo tipo di esperienze potrebbe essere o “similsogno” od anche “esperienza crepuscolare”.

La realtà vissuta assomiglia infatti proprio all’atmosfera che si vive all’imbrunire, qualche tempo dopo il tramonto del sole, quando ci si inoltra lentamente nel crepuscolo, con le prime ombre della notte che avanzano da oriente, mentre la volta del cielo via via perde i suoi colori intensi ed i suoi contorni distinti e si osservano fantastiche gradazioni di grigio con il salire delle prime brume, quando solo ad occidente il cielo mantiene ancora un tenue e soffuso rosa o anche un arancione pallido.

Questo momento particolare della natura che si addormenta nell’”ora che volge il disio a naviganti, e intenerisce ‘l core”, come dice il poeta, è molto efficace per descrivere esperienze altrimenti non sufficientemente inquadrabili nel solito linguaggio della realtà di veglia.

Ma entrando più nel vivo dell’argomento possiamo sempre partire dal fatto che non si tratta solo di visualizzazioni spontanee, comuni del resto agli stati modificati di coscienza dell’ipnosi, dell’autoipnosi e soprattutto agli stati ipnagogici ed ipnopompici.

Si tratta invece di nuove esperienze, conoscenze ed attività che trascendono del tutto quelle normalmente vissute durante la veglia vigile, le uniche che la gran parte della popolazione ritiene le sole reali, naturalmente in buonafede, perché ricche di ricordi, emozioni ed esperienze persistenti nel tempo.

Ecco il punto cruciale delle esperienze in autoipnosi. Abbiamo parlato di similsogno o stato crepuscolare. Non è certamente un vero sogno. Qui manca veramente un linguaggio adatto per esprimersi come sarebbe

utile e necessario. L’esperienza ed il ricordo non svaniscono in poco tempo, come succede per i sogni, i quali per essere ricordati nel tempo, pretendono una trascrizione immediata o quasi, al più tardi subito dopo il risveglio.

Le esperienze e le emozioni vissute in autoipnosi invece diventano sempre più vive, più attuali, più intense, senza nulla perdere della loro primitiva immediatezza, spontaneità creatività e delicatezza con il passare dei giorni o dei mesi. Acquistano anzi quasi una vita autonoma, come alcune particolari produzioni dell’inconscio, molto bene descritte da C. G. Jung, nei suoi ancora oggi importantissimi lavori: “L’uomo ed i suoi simboli” e “Ricordi, Sogni e Riflessioni”.

Diciamo appunto “vita autonoma”, per il fatto che esperienze, ricordi ed emozioni ritornano spesso spontaneamente, in successivi stati di autoipnosi e si presentano maturate, cioè cresciute nel tempo, con una più ampia ricchezza di sensazioni, di particolari, di ambienti, di situazioni, a volte da stentare perfino a riconoscerle come la primitiva esperienza.

E non è tutto!

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Le esperienze possono essere ulteriormente coltivate nel tempo, in modo che, oltre a divenire autonome, siano in grado di fornire ulteriori conoscenze per quanto riguarda il profondo, anche se siamo dell’avviso che non si tratta certamente di una vera e propria autoanalisi.

Forse possono piuttosto aiutare quel “Processo di individuazione” del quale Jung si è molto interessato praticamente durante l’intera vita.

Sembrerebbero anche piuttosto affini a quei giochi computerizzati nei quali si alleva una “creatura”, dando a loro il modo di vivere autonomamente, creando un ambiente nel quale “organizzare e mantenere la loro vita”. E’ necessario però in questi giochi mantenere sempre l’attenzione e porre molta cura nel seguire l’evoluzione della “ nuova creatura”. Se la si abbandona per qualche giorno essa deperisce ed in poco tempo muore.

La produzione di “similsogni” dunque va seguita, attivata, coltivata, sempre in autoipnosi, altrimenti lentamente si affievolisce nel tempo fino a scomparire del tutto.

Si rivela però molto utile: per diminuire la corsa delle cellule verso l’apoptosi, con la prudenza però di

non fermare del tutto il loro cammino verso la fine stabilita, in modo da non attivare “l’anelito dell’organismo verso l’immortalità”, cioè la creazione di cellule embrionali indifferenziate a sviluppo tumultuoso (cancro);

per migliorare il proprio comportamento fisico e psichico, non solo verso se stessi ma anche verso il prossimo;

per attivare l’attenzione, la concentrazione e la volontà; per usare molto meglio la “memoria a lungo termine” e la “memoria visiva”; per entrare più profondamente dentro l’inconscio collettivo; per acquisire nuovi metodi di interpretazione dei simboli, dei riti, dei miti, delle favole, delle metafore, delle allegorie, in modo particolare quelle dei “sogni ricorrenti”; per verificare eventuali errori di percorso anche in veglia; per conoscere più in profondità l’arcaico dentro ognuno di noi; per valutare le proprie possibilità in molti campi dello scibile umano, perfino in quello tecnologico, per renderci conto infine che esistono molti altri tipi di realtà che non possono essere vissuti e sperimentati con i cinque sensi normali. Così quelli che chiamiamo “similsogni” possono perfino aiutare a vivere

meglio la vita, in modo particolare oltre certi limiti di età, contribuendo certamente a fornire “vita agli anni”, più che “anni alla vita”, proprio in quel periodo che di norma viene considerato come non più produttivo perché purtroppo lontano, non solo dalla giovinezza, ma anche dalla maturità.

È difficile descrivere il percorso da utilizzare nelle sue varie fasi, soprattutto per il fatto che esso risulta, come è intuibile, strettamente personale e dipende anche dalle aspettative e dalle motivazioni che fanno parte del bagaglio culturale di ogni singolo soggetto.

Qualche suggerimento però potrebbe essere abbastanza utile, in questo contesto, se non altro per le prime fasi.

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Più avanti, come si diceva, viene tutto da sé, dato che le produzioni del subconscio e dell’inconscio sono assolutamente del tutto imprevedibili.

Del resto se fossero prevedibili non si tratterebbe più di subconscio o di inconscio!La strada più facile che noi abbiamo personalmente utilizzato, oltre agli esercizi inferiori e superiori del Training Autogeno di Schultz, oppure applicando il rilassamento ad induzioni variabili di Sapir, è stata la via maestra della musica.

Sappiamo bene che il campo della musica è così vasto che per ogni essere ne esiste certamente un tipo adatto alla sua personalità, dato che il suo ascolto è ancora una volta strettamente e altamente individuale.

Non è qui la sede per entrare nei particolari, ma è importante sapere che esistono dei brani che hanno la facoltà di far entrare meglio negli stati crepuscolari o similsogni, dei quali stiamo trattando.

Esistono dei brani musicali che il compositore ha scritto in “momenti di grazia”, in momenti di grande ispirazione, in momenti di “fuga dalla realtà di veglia vigile”, cioè in uno stato molto simile se non eguale all’autoipnosi.

E questi brani li avverte, li percepisce, li “sente” a volte perfino il profano: sono quelli che “toccano il cuore”, che fanno “vibrare” le corde dell’anima e dello spirito, che appunto possono aiutare ad entrare meglio e più profondamente in qualche “stato di coscienza modificato”.

Dopo un certo periodo di tempo si impara perfino a “vedere” la musica, con un ricco corteo di immagini, oltre che di suoni, naturalmente anche in tre dimensioni. In questo modo si vivono veramente nuove sensazioni e nuove esperienze, lasciandosi trasportare dentro ampi momenti di vita vissuta, lungo quelli che io chiamo i“sentieri dell’infinito, oltre il tempo e lo spazio”, in un mondo interiore del tutto nuovo.

Ognuno è libero di scegliersi i brani che per lui rappresentano una “immersione nel profondo”. Tra questi ne esistono alcuni però che possono portare le stesse emozioni e sensazioni perfino a tutti i presenti in una sala di teatro o di conservatorio. Questo fatto diventa pertanto altamente significativo, come ad esempio quando si ascolta, magari ad occhi chiusi, il finale della nona sinfonia di Mahler, in re bemolle maggiore.

Esso si immerge in un’atmosfera arcana, dove si assapora l’infinito e che, come annota lo stesso compositore, arriva “dove si coltiva il silenzio” con le note lunghe degli archi all’unisono, che si affievoliscono lentamente fino a perdersi nel nulla.

Sembra veramente di entrare nell’ “altra realtà”, in quel tipo di realtà di cui solo le “menti creative” riescono ad aprire la porta, ad avvertire la presenza, ad assaporarne la maestosità, quasi come un “morire dolcemente” in braccio all’aurora di un nuova vita, non certo al tramonto della vita normale. Una composizione di questo tipo potrebbe durare veramente anche ore, essendo capace di trasportare l'anima verso vette le più alte.

Un altro esempio molto significativo è senza ombra di dubbio il brano “Vieni dolce morte” di Bach. Questa composizione molto lenta si perde all’infinito, proprio come il lasciare la realtà di tutti i giorni verso nuovi lidi

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affascinanti ma nello stesso tempo sconosciuti, ove tutto si perde in “momenti di gioia, di benessere fisico e psichico e di pace infinita”.

Anche Vivaldi presenta brani molto significativi per immergersi in “Realtà di tipo diverso dal normale”. Ho trovato molto utili a questo scopo i suoi poco conosciuti: “Concerti per Viola d’Amore”, i quali aiutano veramente a sentirsi proiettati al di fuori della realtà di tutti i giorni, con gli archi all’unisono, in modo particolare nei tempi lenti.

Li uso spesso come sottofondo musicale mentre scrivo questo volumetto, essendo molto utili come fonte di ispirazione per gli argomenti scelti.

Di diverso spirito si presenta il “Poema dell’estasi” di Alexander Scriabin, brano molto avvolgente, con connotati lirici di grande rilievo e che possono veramente portare lo spirito verso alte vette, pur con modalità alquanto diverse dai due brani precedenti.

Ma sentiamo le parti più significative del commento di Ernesto Napolitano nel libretto che troviamo in allegato al compact della Deutsche Grammofon del 1989. Direttore Giuseppe Sinopoli.

“Tra il 1905 e il 1908 risale la laboriosa gestazione del “Poema dell’Estasi”, concepito inizialmente come una sinfonia in quattro movimenti dal titolo di “Poème orgiaque”.

L’elaborazione musicale si sviluppò parallelamente alla stesura di un’ampia composizione poetica, oltre trecento versi che Scriasbin pubblicò indipendentemente e due anni prima della partitura. Vi si tratta, in uno stile invasato e ricco di simboli, della conquista da parte dello Spirito di un ineffabile stato di estasi, del trionfo del suo desiderio di luce sulle minacce di un “oscuro presentimento” e conseguente abbandono alle gioie dell’amore, fino all’apoteosi di una luminosa autoaffermazione che spazza ogni inquietudine e ogni dubbio…………

Tra le maglie di un’orchestra ricchissima, ove non mancano momenti di vero e proprio delirio fonico né pause di impreziosite sonorità solistiche, spirano aliti sconosciuti che ne alleggeriscono le trame in un vivido risaltare di colori e di timbri. In non pochi tratti la vicinanza con il Debussy de “La Mer” sembra fuori discussione.

Non si tace, infine, della seduzione ambigua che fa di questa musica quasi il corrispettivo di un “viaggio” sotto gli effetti di un potente allucinogeno, come se il pensiero liberato da ogni ingorgo e posseduto da una incontenibile vitalità potesse fluire liberamente, rasentando strati profondi dell’essere, altri universi e altri modi di esistere”.

Fin qui Napolitano che descrive, in modo impeccabile, come ben si evince dall’ultimo periodo, stati di coscienza modificati, pur essendo un critico musicale e non un ipnoterapeuta.

Quinto ed ultimo esempio molto significativo. Gerusalemme. 18 Luglio 2000. Ore 16. Basilica del sepolcro della

Madonna.

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Per arrivare alla pietra del sepolcro è necessario scendere molti gradini, essendo ora la città molto più elevata di duemila anni or sono, come del resto succede anche in molte città italiane e non.

Si entra progressivamente dalla forte luminosità dell’esterno in una penombra ove filtra la luce a mala pena. Fumi di candele e ceri con profumo di fiori e di incensi.

Proprio nella piccola stanzetta del sepolcro di Maria alcune giovani russo-ortodosse stanno neniando, chissà da quanto tempo, un canto che sembra perfino spontaneo,, modulato e melodioso, accompagnandolo con ritmi di flessione di tutto il corpo, in atto di preghiera, fino a terra.

L’atmosfera si presenta molto suggestiva e coinvolgente. Mi fermo per alcuni minuti cercando di immergermi nel contesto che

casualmente ho trovato. Mi rendo conto che con l’atmosfera soffusa, la semi-oscurità, i profumi

nell’aria, il canto neniato, le voci femminili a tonalità molto alta, tutte all’unisono, il momento “sincronico alla Jung”, sia molto più facile entrare in uno stato di coscienza modificato poco definibile, ma che si potrebbe avvicinare proprio ad un similsogno o a una esperienza crepuscolare.

Non posso sapere quanto tempo ho trascorso nel sepolcro di Maria, immerso nelle mie sensazioni intimamente personali, ricche di un lungo corteo di visualizzazioni spontanee, ma ad un certo punto sono stato richiamato alla realtà di veglia vigile dalle voci dei compagni che mi dicevano essere ormai trascorso tutto il tempo dedicato per quel giorno al sepolcro di Maria.

Ho presentato cinque soli esempi, ma ce ne sono mille a disposizione di chiunque voglia intraprendere la strada dell’autoipnosi, dei similsogni o altro anche e forse soprattutto attraverso la musica.

Esistono ad ogni modo anche altre possibilità per ottenere validi stati di autoipnosi, in modo da immergersi in “realtà virtuali” sempre nuove, attraverso percorsi non programmabili e per questo più interessanti ed eccitanti.

Le costruzioni della mente, o se vogliano dell’inconscio superiore, in questi casi sono tra le più varie e molto spesso completamente inaspettate.

Si passa infatti lungo infiniti sentieri di esperienze, legate a situazioni multidimensionali, dove il reale e l’irreale si confondono in un unico spazio-tempo.

Esse si allargano in molti campi più o meno inesplorati, facendo vibrare all’unisono molte corde dell’animo umano, come in una composizione sempre nuova e misteriosa.

E’ qui giunto il momento di ricordare alcuni particolari della letteratura cristiana, la Bibbia e di quella laica, nel suo maggiore rappresentante, Emanuel Swedenborg, per cercare di afferrare meglio certi concetti, anche se, in definitiva, il compito si presenta sempre alquanto indaginoso, proprio per la mancanza di un linguaggio appropriato.

Abbiamo dunque cercato nella Bibbia qualche brano ove si parla di sogno o di visione, ma non ci sembra molto chiaro a quali manifestazioni di stati di coscienza più o meno modificati si riferiscono.

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A dire la verità alcuni mi sembrano proprio veri sogni, ma altri invece potrebbero essere più vicini ad altri stati di coscienza modificati, come gli stati ipnagogici od ipnopompici, oppure anche forse facenti parte di un particolare allenamento a stati meditativi o mistici.

Diamo ad ogni modo qualche esempio più o meno significativo. Genesi 28:12 “Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la

sua cima toccava il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano per la scala”. Genesi 37:9 “Egli fece ancora un altro sogno e lo raccontò ai suoi

fratelli, dicendo: “Ho fatto un altro sogno! Il sole, la luna e undici stelle si inchinavano davanti a me”.

Genesi 41:15 Il faraone disse a Giuseppe: “Ho fatto un sogno e non c'è chi lo possa interpretare. Ho udito dire di te che, quando ti raccontano un sogno, tu lo puoi interpretare”.

Esodo 3:3 Mosè disse: “Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!”

Numeri 12:6 Il Signore disse: “Ascoltate ora le mie parole; se vi è tra di voi qualche profeta, io, il Signore, mi faccio conoscere a lui in visione, parlo con lui in sogno”.

Giobbe 20:8 Se ne volerà via come un sogno, non si troverà più; si dileguerà come una visione notturna.

Zaccaria 1:8 Questa notte ho avuto una visione: ecco un uomo in groppa a un cavallo rosso; egli stava fra le piante di mirto nella valle; dietro a lui c'erano cavalli rossi, sauri e bianchi

Matteo 2:12 Poi, avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per un'altra via.

Matteo 17:9 Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest'ordine: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti”.

Matteo 27:19 Mentre egli sedeva in tribunale, la moglie gli mandò a dire: “Non aver nulla a che fare con quel giusto, perché oggi ho sofferto molto in sogno per causa sua”.

Luca 1:22 Ma quando fu uscito, non poteva parlare loro; e capirono che aveva avuto una visione nel tempio; ed egli faceva loro dei segni e restava muto.

Luca 24:23 …..non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo.

Apocalisse 9:17 Ed ecco come mi apparvero nella visione i cavalli e quelli che li cavalcavano: avevano delle corazze color di fuoco, di giacinto e di zolfo; i cavalli avevano delle teste simili a quelle dei leoni e dalle loro bocche usciva fuoco, fumo e zolfo.

Come ben si nota la Bibbia è molto ricca di immagini allegoriche , ma le troviamo almeno citate o ricordate anche in pieno 2000.

Nella recente pubblicazione del terzo segreto di Fatima, che tanto aveva fatto parlare di sé negli scorsi decenni, con previsioni in gran parte

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apocalittiche, troviamo delle immagini allegoriche di notevole interesse, ma sempre solo per chi sa leggerle e non certo con il solo cervello sinistro.

Ecco il testo come è stato scritto da Suor Lucia il 3 gennaio 1944, in piena seconda guerra mondiale e come è stato pubblicato il giorno 26 giugno 2000 sul sito ufficiale del Vaticano: www.vatican.va.

“Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!

E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”.

Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni.

Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”.

L’interpretazione diventa alquanto difficile perché non è possibile nemmeno essere sicuri se il fatto o i fatti descritti sono già avvenuti o debbano ancora avvenire, come del resto le immagini usate da San Giovanni Evangelista nell’Apocalisse, quasi duemila anni or sono e scritto sicuramente in stato di coscienza modificato, se non altro per il suo contenuto altamente allegorico.

A duemila anni di distanza da S.Giovanni Evangelista l’inconscio parla ancora con il suo linguaggio simbolico ed allegorico e di norma a chi è più adatto a riceverlo: anime semplici di bambini poco o nulla acculturati, che vivono in campagna o in montagna, lontani dalle città e da tutto “il rumore di fondo” che esse comportano, sia al corpo che alla mente!

Tra l’altro sono state riportate riportato solo alcune delle innumerevoli visioni bibliche, per non essere troppo prolissi.

Esse molto probabilmente fanno capo o a sogni oppure a immagini o visioni ottenute in stati di coscienza modificati, molte volte anche spontanei, ma di solito da parte di soggetti che si dedicavano, per lunghi periodi di tempo, al ritiro, al silenzio, all’introspezione e soprattutto alla meditazione e alla contemplazione.

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Qualcosa di veramente utile ed interessante, per gli assunti di questo lavoro, lo troviamo però anche nelle opere laiche, come quelle di Emanuel Svedenborg, grande scienziato del secolo decimoottavo, dagli interessi multiformi ed enciclopedici.

Nato a Stoccolma nel 1688 per molti anni la sua attività fu completamente assorbita dalla scienza di quel tempo.

Studiò in Inghilterra ove fu accolto perfino in casa di Newton e, presso l’Osservatorio di Greenwich, conobbe anche Halley, lo scopritore della famosa cometa che porta il suo nome e che abbiamo ammirato in tutto il suo splendore alle Isole Mauritius nel 1986, molto vicina alla Croce del Sud.

In quegli anni inglesi si interessò di tutto: geografia, astronomia, chimica, fisica, cosmologia, ma anche di incisione ed architettura.

Di lui si posseggono perfino poesie in latino e saggi sulla letteratura inglese. Fu anche assessore alla miniere alla corte di Svezia.

Più tardi si reco anche a Parigi, ove divenne subito un membro dell’Academie Royale.

Ma un giorno del 1744, all’età di 56 anni, iniziarono per lui esperienze insolite e sconcertanti, che gli fecero cambiare completamente vita.

Iniziò con sogni particolari e con visioni che di norma avvenivano prima o dopo il sonno (forse immagini ipnagogiche od ipnopompiche), a volte belle, a volte terribili, che, con l’andar del tempo, però divenivano sempre più armoniche. Più avanti esse hanno dato vita a continui messaggi dal mondo spirituale.

Il diario delle sue esperienze - “Il diario dei sogni” - fu pubblicato in latino solo nel 1859, esattamente 87 anni dopo la sua morte e contiene, in 603 paragrafi, la narrazione di tutte le sue esperienze in mondi diversi, anche d’oltretomba.

Sentiamo cosa scrive di lui lo psicologo americano Van Dusen: “Avendo esaurito tutti i campi conosciuti della scienza umana, Svedenborg scelse di esplorare se stesso nel modo più diretto possibile, attraverso visioni, trance ed esperienze ipnagogiche.

Si consideri che a quel tempo non c’erano né psicologi né psicanalisti, e che in pratica nessuno si occupava di processi interiori e di sogni, eccetto qualche monaco isolato e qualche mistico.

Era “terra incognita” quella che Swedenborg si accingeva ad esplorare, mettendo a rischio la propria vita e la propria salute mentale”.

Nel suo libro “Il diario dei sogni” narra di esperienze e di incontri nel mondo spirituale che a molti potrebbero far sorridere, anche se, con le ultime scoperte in campo tecnologico e psicologico, si sta molto restringendo la dicotomia cartesiana tra mente e corpo.

Swedenborg, l’uomo: che stupì Kant al punto che scrisse di lui un saggio dal titolo: “Sogni di

un visionario” per le sue premonizioni; che apri la strada a Goethe in letteratura e a Jung in psicologia, che fu molto onorato in patria, mori invece lontano dalla sua patria in

Inghilterra nel 1772.

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I suoi resti riposano, dal 1910, per volontà del re di Svezia Gustavo V°, nella grande cattedrale di Uppsala, dove sono sepolti i più grandi cittadini svedesi di tutti i tempi.

I suoi seguaci, detti swedenborghiani, esistono tuttora ed in Inghilterra hanno all’attivo 75 associazioni, che continuano a tramandare il suo messaggio.

Perché ci siamo interessati di presentare, in modo piuttosto prolisso, questo personaggio così importante ma misterioso e per lo meno strano?

Perché abbiamo trovato in lui molti punti di contatto con quello di cui ci stiamo interessando da qualche decennio, cioè dagli anni ’50.

Quelli che noi chiamiamo gli “stati di coscienza modificati in autoipnosi con la presenza di similsogni” presentano infatti molte analogie con quanto descritto da Swedenborg, al punto tale che alcune sensazioni, esperienze, vissuti, immagini, visioni, allegorie si possono considerare quasi del tutto sovrapponibili.

E tutto questo è nato dentro naturalmente molto prima di conoscere le opere swedenborghiane.

Una conclusione certo non esiste. Forse, intuitivamente, ci troviamo di fronte all’emersione spontanea, in

certi “momenti di grazia”, come quelli dei compositori, dei pittori, degli attori, degli inventori, dei geni, degli scienziati, ecc., di contenuti inconsci, che non fanno parte del bagaglio personale, individuale, ma che sono patrimonio collettivo di tutta l’umanità e molto facilmente non fanno parte solo del bagaglio dell’ “homo sapiens”.

Si entra così nel “pensiero simbolico-immaginativo”, connaturato all’essere umano, quello che ha preceduto sia il linguaggio ed il raziocinio che l’attività prevalente del cervello sinistro.

Sappiamo bene ormai che il simbolo appartiene a tutta l’umanità, rivelando determinati aspetti della realtà, quelli del profondo, che altrimenti possono sfuggire a metodi di conoscenza più razionali.

Le immagini, i simboli, i miti, i riti, i similsogni, le metafore, le favole non sono dunque creazioni vuote della psiche umana, fine a se stesse, ma la loro emersione serve invece per mettere a nudo quello che noi siamo veramente dentro.

E si scopre che essi sono dotati di una forza spirituale molto più elevata e penetrante di quella che possiede lo stesso soggetto in fase di veglia vigile, cioè conscia.

L’essere umano, proprio negli stati di coscienza modificati, specie quelli di tipo autoipnotico, si scopre una carica che non possiede nello stato di veglia vigile e reagisce con ritrovata energia perfino nei pericoli e nelle fatiche.

L’autoipnosi automatica si manifesta infatti, come abbiamo già ricordato, in modo molto evidente nell’agonismo, nell’ardore religioso, nei momenti di azioni in battaglia, nelle estasi mistiche, nei casi di gravi calamità naturali, come eruzioni vulcaniche, inondazioni, terremoti, incendi, cicloni tropicali, ecc.

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Interpretando i simboli e le immagini possiamo conoscere molto meglio come eravamo prima di imparare il linguaggio e prima di cominciare ad usare quasi solamente il cervello sinistro.

Molto intelligentemente Jung coniò la parola “inconscio collettivo” e in molte sue opere lo descrive come quella parte dell’inconscio che abbraccia tutte insieme le esperienze delle generazioni, a partire dalla nascita della primitiva consapevolezza, proprio agli albori dell’umanità.

Manifestazioni dell’inconscio collettivo infatti sono presenti nelle varie culture di tutti i paesi, nei miti, nei rituali, nel simbolismo dei sogni, nelle opere d’arte più famose e perfino nelle allucinazioni degli psicotici.

Un esempio tra tutti lo troviamo nelle grandi opere d’arte di Van Gogh, quasi tutte composte in ospedale psichiatrico, oppure nelle opere degli aborigeni australiani, studiate purtroppo solamente da pochi anni e che rivelano, a molte migliaia di chilometri di distanza, affascinanti affinità con le nostre favole, i nostri miti, i nostri riti le nostre metafore ed allegorie, perfino anche certi aforismi.

Si nota veramente in tutto questo l’espressione più spontanea, più veritiera ed anche più misteriosa di tutto il bagaglio collettivo di esperienze che ogni essere umano rinchiude dentro se stesso, nel più profondo, nel suo “nocciolo duro” e che possono emergere solamente in alcuni momenti particolari o con “ lunghi allenamenti” in autoipnosi.

È necessario infatti imparare, nel corso del tempo, a far emergere spontaneamente questi contenuti, in modo da riuscire a conoscersi meglio dall’interno.

Qualche volta però, per alcuni soggetti forse predisposti geneticamente, tale tipo di esperienze nasce in modo spontaneo, addirittura a volte con moti di sorpresa da parte di chi ne è, per così dire “affetto” o anche spesso “afflitto”.

Se non è preparato può perfino pensare di essere “andato fuori di testa” ed infatti qualcuno entra a volte in terapia psicologica o psicanalitica.

Molto facilmente con questi mezzi l’umanità potrebbe invece compiere un grande balzo in avanti, sicuramente molto superiore a tutte le grandi conquiste tecnologiche di questi ultimi tempi, anche se queste potranno forse servire un giorno a capire meglio se siamo solamente un aggregato di atomi oppure se dentro ogni essere umano esista anche qualcosa d’altro, forse anche di immortale.

Parafrasando un famoso detto di Totò si potrebbe dire:”Siamo uomini o molecole”?

È dunque ormai arrivato il tempo di ritornare ad allevare, ad allenare, a coltivare l’immaginazione e la fantasia, ormai costrette entro limiti sempre più stretti, imparando ad esempio non solamente ad ascoltare, ma a vedere la musica.

Questo può essere il primo passo per essere in grado, più avanti nel tempo, di immergersi sempre più in quel mondo molto più “reale del reale” che è naturalmente il mondo dei miti, dei riti, delle immagini, delle metafore, dei simboli, delle favole, proprio perché fa parte del nostro bagaglio genetico ed umano.

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Prima di terminare questo “excursus” molto breve su “Autoipnosi, stati di coscienza e similsogni”, mi piace presentare una tabella che ho elaborato in questi giorni, proprio in occasione di questo capitolo.

Essa si presenta sicuramente come nuova nel contesto delle pratiche ipnotiche e psicoanalitiche.

Vi sono menzionati gli autori più importanti in questo campo, ricordando però che molti altri non sono certo da porre in secondo piano, anche se, per ovvii motivi di brevità, non sono stati ricordati in tabella.

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Autore Stato di coscienza

normalmente utilizzato Tipo di inconscio

Emersioni automatiche

E.Abraham, A. Adler, V. Benussi, S. Freud, S. Ferenczi, I Svevo, C. Musatti, F. Fornari,

Normale stato di veglia vigile con attività dell’emisfero sinistro.

Inferiore Pulsioni istintuali Simboli e immagini materiali e/o sessuali.

C.Lombroso, C. G. Jung, E. Erikson, M. Klein, E. Fromm, J. L. Moreno.

Stato di veglia rilassata con attività dei due emisferi. Stato ipnoide. Stati ipnagogici. Stati ipnopompici

Medio Risveglio dell’anima. Simboli e immagini psichiche. Archetipi.

E.Swedenborg, E. Erikson, V. Frankl.

Stato di coscienza a livello superiore, con prevalente attività dell’emisfero destro. Autoipnosi. Ipnosi lieve-media.

Superiore Risveglio dello spirito. Simboli e immagini spirituali.

Essa non interpreta certo le affermazioni dei singoli autori, ma è stata

costruita in base a nostre considerazioni personali, soprattutto per quanto riguarda l’evoluzione della psicologia e della psicanalisi da Freud a Frankl.

Nel primo riquadro infatti i vari autori citati si interessavano in gran parte solo di pulsioni istintuali, come per esempio il complesso di Edipo e di Elettra, senza con questo nulla togliere al grande Freud, il quale per primo si interessò vivamente all’inconscio, dando un grande impulso a tutte le ricerche successive.

Nel secondo abbiamo lo studio dell’anima da Jung, Erickson, Fromm fino a Moreno.

Nel terzo si passa, con Svedenborg, Erickson e Frankl, all’analisi dell’inconscio spirituale, che favorisce motivazioni più elevate, con le quali il soggetto percorre nuove strade per la sua evoluzione.

Come ben si nota, tutto si è sviluppato lentamente, in lenta progressione, nel corso di almeno un secolo, mentre i vari autori maturavano la consapevolezza dei vari stati dell’uomo che è pur sempre corpo, anima e spirito.

In base a queste considerazioni abbiamo sviluppato, anche noi nel corso degli anni, la teoria che i vari stati di coscienza possano corrispondere a questo tipo di “uomo trinitario”.

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Così abbiamo pensato che ai vari tipi di emersioni dell’inconscio possano corrispondere anche vari tipi di stati di coscienza modificati.

La tabella è nata attraverso queste considerazioni e con la finalità di poter essere utile alla comprensione dei vari strati dell’inconscio.

E’ solo un’ipotesi di lavoro ma può essere utile a chiunque voglia intraprendere il “grande viaggio” entro i vari stati di coscienza modificati, passando dalla veglia vigile alla veglia rilassata, per poi arrivare allo stato ipnoide e concludersi con l’autoipnosi o l’ipnosi lieve e media.

In questo modo nascono e progrediscono le esperienze, le conoscenze, le emozioni e le sensazioni che ogni stato di coscienza, sia normale che modificato, offre ai “navigatori solitari, audaci e spesso anche impreparati del grande oceano dell’inconscio”.

Esse si muovono in una progressione continua, senza fine, verso orizzonti sempre nuovi, in buona parte misteriosi ed affascinanti, come del resto succede per tutto quello che riguarda le esperienze, le conoscenze, le emozioni e le sensazioni che fanno parte dell’intero patrimonio di tutta l’umanità.

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AUTOIPNOSI E “SINDROME DEL BURN-OUT” PROFESSIONALE

“Le sventure che più colpiscono gli uomini sono quelle scelte da loro”. Sofocle - Edipo Re. “Tutte le professioni sono cospirazioni contro i profani”.

G. B. Shaw. Il dilemma del dottore. La domanda che ci poniamo in questo capitolo è quasi provocatoria: ” Può l’autoipnosi, se ben condotta, essere in grado di far regredire la

tanto di moda ma anche temuta “Sindrome del burn-out professionale” e, se sì, fino a che punto?

Ci rifacciamo come prima considerazione alla definizione di autoipnosi come l’abbiamo data nel capitolo : “Analogie e differenze tra autoipnosi e stati mistici” per mantenere sempre lo stesso orientamento nelle nostre analisi.

Dicevamo dunque che l’autoipnosi è da considerarsi uno: “Stato modificato di coscienza ottenuto attraverso un lungo e motivato allenamento a rivolgere la mente dall’esterno verso l’interno, anche con l’uso di vari metodi di rilassamento, praticando l’introspezione, senza giungere con questo a realizzare sempre e comunque una vera e propria autoanalisi o un “processo di individuazione” alla Jung”.

La sindrome del burn-out, dall’inglese logorarsi, si riferisce a tutto quel campo di “professionisti dell’aiuto in campo sociale od individuale”, come medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali, i quali, per motivi di norma molto vari, ma quasi sempre legati allo stress ed alla tensione emotiva. cercano progressivamente di disimpegnarsi, almeno emotivamente, dal proprio lavoro.

Entrano così in uno stato di malessere psicofisico, di logorio continuo, di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione, di demotivazione al lavoro con una progressiva riduzione degli ideali, delle energie e degli obbiettivi che si erano prefissati in campo professionale qualche tempo dopo la laurea.

I professionisti colpiti dalla sindrome del burn out sono purtroppo in continuo aumento e non solamente tra quelli inseriti nelle strutture pubbliche, ma anche tra quelli i quali svolgono una attività in un certo senso tra il pubblico ed il privato: primi tra tutti i cosiddetti “ medici del territorio” o “medici di base o di famiglia”.

Forse, anche a causa di leggi piuttosto impopolari, sono parecchi tra di loro quelli soggetti a perdita delle motivazioni, degli interessi e degli ideali per i quali avevano intrapreso la carriera degli studi in medicina.

Da uno studio serio ed approfondito apparso su Doctor a firma F. Pellegrino e presentato nel corso del Convegno nazionale su: “L’approccio

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psicosomatico nell’ospedale generale e nella medicina generale” a Casalmaggiore (Cremona) si rileva infatti che sono soddisfatti della loro professione solo un medico su tre, che l’ansia e la depressione ne affligge uno su due, e che le categorie più a rischio sono gli operatori dei reparti psichiatrici, del pronto soccorso, della terapia intensiva, gli anestesisti, quelli che si occupano dei malati di Aids e, aggiungiamo noi, anche tutti gli operatori che prestano assistenza ai malati terminali, sia dentro che fuori le strutture.

L’autore continua il lavoro esaminando le varie cause di stress lavorativo che si possono sintetizzare in percentuali come segue:

Esercitare in branche della medicina non affini ai propri interessi e/o competenze, 33.2%. Essere sovraccarichi di lavoro, 39.8%. Lavorare in strutture amministrative malgestite, 62.5%. Avere rapporti insoddisfacenti con i colleghi, 23.3%. Avere una insufficiente autonomia decisionale, 20%. Non avere buoni rapporti con i superiori, 18.3%. Avere problemi personali di tipo familiare o relazionale, 13.9%. Essere scarsamente retribuiti, 40,2%. Non avere la possibilità di collaborare o scambiare idee con i colleghi, 32.2%. Non avere spazi e tempi istituzionalmente prefissati per la propria crescita professionale, 53.6%.

Da tutto questo si evince che ormai molti operatori in campo sanitario sono poco soddisfatti del loro lavoro, il quale sta diventando sempre più demotivante in tutti i sensi e la scontentezza dilaga ogni giorno sempre di più.

A questo punto ci siamo posti il quesito se, vista come procede la situazione in campo nazionale, sia sufficiente arrivare ad un continuo perfezionamento della formazione psicologica dell’operatore sanitario, del resto non ancora attuata in molte regioni, o se invece non sia molto meglio fornire all’operatore in campo sanitario armi adeguate a cercare di “vincere se stesso” sul suo stesso terreno di lavoro.

È qui d’altra parte che sono in gioco violente emozioni e situazioni autoaggressive, desideri e speranze per lo più insoddisfatte, forti motivazioni di lavoro perdute lungo il sempre meno facile percorso della professione, grandi e giusti ideali assorbiti da energie sprecate in campo burocratico, logorate dallo stress, dal superlavoro, dall’esaurimento emotivo, dalla sempre più frequente ansia anticipatoria e dalla depressione strisciante, latente o manifesta.

Tutto poi, in questi campi di lavoro professionale, diventa ulteriormente amplificato dal cliente sempre più esigente, spesso aggressivo e talvolta anche preparato su molti argomenti di pertinenza della sua sindrome, dalle aspettative miracolistiche create a titolo di “scoop” ogni giorno dai “mass media” a solo loro “uso e consumo”, da sempre nuovi farmaci che una

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pubblicità deleteria presenta come la “nuova pillola della felicità”, come sta succedendo per i nuovi tipi di antidepressivi in commercio da poco tempo.

In questo modo si perde sempre più di vista l’essere umano nel suo complesso, quell’essere umano che fatica ancora molto a compiere i primi gradini dell’evoluzione, verso la conoscenza di se stesso, delle sue quasi infinite possibilità in tutti i campi; quell’essere umano che si ritrova naturalmente anche dentro ogni operatore sanitario.

Ben dice Pellegrino già nel titolo del succitato lavoro: ”Stress e demotivazione: occasione per rinnovarsi”.

Ma come rinnovarsi? Con quali mezzi rinnovarsi? Abbiamo così pensato che forse la strada migliore per ottenere qualche

risultato importante nel vincere la “sindrome del burn-out”, la sindrome del logorio della vita moderna, come recitava una vecchia pubblicità, stia proprio nell’allenamento costante, paziente e perseverante all’autoipnosi.

L’autoipnosi intesa dunque come introspezione, via via sempre più profonda e sempre più completa, a volte anche come analisi dei propri vissuti, delle proprie esperienze, delle proprie aspettative, dei propri bisogni, non solo in campo materiale, ma anche spirituale, ed infine anche come autovalutazione delle personali possibilità in tanti campi dello studio, professionale o no, oltre che di sano momento di svago.

L’autoipnosi deve essere dunque raggiunta entro uno stato di coscienza modificato, in veglia rilassata, attutendo le afferenze che giungono alla corteccia dalla periferia, cominciando a sentire tutto quello che nasce dentro, in modo da raccogliere tutte quelle energie e quelle cariche che si rivelano una fonte preziosa per affrontare i problemi della vita quotidiana, energie e cariche che altrimenti si vanno continuamente moltiplicando ed assommando dentro solo come valore altamente negativo, fino a logorare corpo e mente, in un “continuum” che non ha più fine e che si rivolge contro se stesso.

Non è certo facile essere convinti di questa nuova possibilità di cura, anche perché, come ben sappiamo, è necessario un allenamento piuttosto lungo, condotto con pazienza, costanza e perseveranza, anche passando a volte attraverso momenti di sfiducia nelle proprio possibilità di poter raggiungere con vigore l’obbiettivo prefissato.

Come è logico è necessario iniziare dagli esercizi di rilassamento muscolare, tendineo e nervoso, dei quali abbiamo già trattato nel capitolo introduttivo.

Come ben si arguisce i metodi per raggiungere un eccellente stato di autoipnosi variano molto a seconda della predisposizione individuale, del grado di cultura al di fuori della professione esercitata,, delle personali motivazioni consce ed inconsce, del tempo disponibile, della disposizione psicologica e mentale ad ottenere risultati a volte persino definitivi, del momento particolare che si attraversa ( non tutti i momenti sono eguali o sovrapponibili), ecc.

Se si inizia con i più noti, ma non certamente più facili, come il training autogeno di Schultz, è molto meglio sforzarsi di fare tutto da soli, fin dal primo momento, in modo da allenarsi con più entusiasmo e dedizione, anche

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perché si tratta effettivamente di un qualcosa di “autogeno”, cioè che si genera da sé.

È chiaro d’altra parte che è necessario prima di iniziare conoscere almeno la procedura. Essa si rivela abbastanza semplice, almeno per gli esercizi inferiori, ma non per questo tuttavia molto facile, come potrebbe sembrare, in un primo momento, specie a soggetti inesperti in questo campo.

È necessario anche sapere che i soggetti che soffrono di disturbi somatoformi, riferiti all’apparato respiratorio od al sistema cardiovascolare, devono fare attenzione agli esercizi inferiori che riguardano il respiro o il cuore.

Se infatti l’attenzione viene orientata solo su questi organi, come descrive Schultz per il terzo e quarto esercizio inferiore, anche se si è già in veglia rilassata, si possono accentuare proprio tutti quei sintomi che, tramite il training, si vorrebbero cancellare o per lo meno diminuire di intensità.

È altrettanto utile anche essere a conoscenza che i metodi di rilassamento da autoconcentrazione passiva possono essere utili non solamente nei casi più eclatanti, come potrebbe sembrare a prima vista, cioè quando il soggetto è entrato in quella fase di “burn-out”, di logorio così intenso che non gli è più possibile procedere con i soli farmaci ansiolitici o depressivi. posto anche il fatto che di norma gli operatori sanitari sono molto restii a ricorrere a questi farmaci, ma anche e soprattutto quando si presentino i primi sintomi di questa sindrome, a volte veramente insidiosi, poco accettati dal soggetto e perfino consciamente mascherati.

Diventa quasi superfluo anche considerare che non è per nulla difficile consigliare i primi passi da attuare per ottenere buoni risultati, quando si è lavorato personalmente per lungo tempo sulla sintomatologia descritta, se non altro nell’individuare quel tipo di rilassamento che più si adatta ad ogni singolo individuo ed in quel dato momento.

Il discorso diventa altrettanto importante poi se si tratta di consigliare i colleghi ad intraprendere la via dell’autoipnosi. Non si riscontrano difficoltà di alcun tipo se il collega viene trattato come un normale cliente, anche se talvolta si tratta di nomi piuttosto famosi nel campo dello studio o dell’analisi della psiche, perché il soggetto che soffre è pur sempre disposto ad ascoltare i nostri suggerimenti od i nostri consigli, in modo particolare se sono semplici.

Quello che conta molto in questi casi specifici è usare parole normali che richiamino rilassamento, distensione, calma, tranquillità, le cosiddette “parole chiave”, senza soffermarsi in lunghe e dotte disquisizioni, le quali, purtroppo, tengono troppo avvinta l’attenzione e la concentrazione, impedendo infine un buon rilassamento psicofisico a tutti i livelli ed in modo particolare l’insorgere dell’attività spontanea del cervello destro.

In questo modo si possono ottenere risultati abbastanza buoni e, quello che più conta, anche sufficientemente duraturi nel tempo, specie se il soggetto è fortemente motivato a raggiungere il risultato sperato, per liberarsi infine di una sindrome che “intacca il corpo e l’anima”.

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IPNOSI, IPNOTIZZABILITA’, METEOROPATIE E DISTURBI SOMATOFORMI

“In tutte le cose della natura c’è qualcosa di meraviglioso”. Aristotele. Le parti degli animali. “I nevrotici si lamentano della loro malattia ma la sfruttano a volontà, e se la si vuol togliere loro la difendono con le unghie e i denti”. S. Freud. Die Frage der Laienanalyse. L’argomento del presente lavoro non è certamente molto comune, né fra

i cultori degli stati di coscienza modificati, né fra quelli che si interessano di argomenti di psicologia o di psichiatria, né tanto meno degli appassionati o cultori di meteorologia e climatologica applicate al campo medico.

Tutto questo perché gli ipnologi, gli psicologi o gli psichiatri non sono di norma interessati all’azione delle variazioni delle condizioni atmosferiche sull’organismo umano.

Esistono d’altro canto sulla materia molte tradizioni popolari, riassunte in modo particolare in alcuni proverbi alquanto significativi, tramandati certamente nel corso di molte generazioni.

Essi sono nati in modo inequivocabile dall’osservazione empirica di determinati tipi di comportamenti animali ed umani, all’avvicinarsi di particolari tipi di perturbazioni meteorologiche, specie quelle forti ed improvvise.

I più rappresentativi tra questi sono indubbiamente le osservazioni in campo di comportamento animale, quando “cambia il tempo”.

Molti di loro forniscono descrizioni molto vivaci di come, presso gli antichi popoli dediti all’agricoltura, gli improvvisi mutamenti di tempo fossero guardati ed osservati, anche nell’intento di essere in grado di prevederli, almeno a breve scadenza.

Ed il comportamento animale, in simili occasioni, si presentava relativamente più facile da analizzare rispetto al comportamento dei propri simili.

Per quanto riguarda invece il comportamento umano prima dell’arrivo delle perturbazioni, esiste in letteratura molto meno, per non dire quasi nulla, almeno fino al nostro secolo, quando gli studi scientifici e medici si sono orientati anche in questo senso.

Esiste una grande raccolta di testi antichi che si riferiscono proprio al comportamento animale, in modo particolare per l’arrivo della pioggia.

Citiamo volentieri Esiodo con “ I segni del tempo” ne “Le opere ed i giorni”; Arato di Soli ne “I fenomeni e i pronostici”; Publio Virgilio Marone, con il suo testo: “I pronostici” nella prima Georgica; Plinio il Vecchio in “Naturalis Historia”; Giacomo Zanella in “Astichello” e molti altri.

Ad ogni modo, data la portata del presente lavoro, vorremmo ricordare in questo contesto il magnifico sonetto di Menzini, tra i poeti toscani minori

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dell’ottocento, nel quale descrive i segni di Arato e di Virgilio, con grande efficacia e splendidi versi.

“Sento in quel fondo gracidar la rana indizio certo di futura piova; canta il corvo importuno, e si rinnova la folaga a tuffarsi alla fontana. La vaccherella, in quella falda piana, gode di respirar dell’aria nuova; le nari allarga in alto, e si le giova aspettar l’acqua che non par lontana. Veggio le lievi paglie andar volando e veggio come obliquo il turbo spira e va la polve qual palèo rotando.

Leva le reti, o Restagnon; ritira il gregge agli stallaggi; or sai che quando manda i suoi segni il ciel, vicina è l’ira”.

Per quanto riguarda invece il comportamento umano nei cambiamenti di

tempo e di clima dobbiamo senz’altro risalire ad Ippocrate che, già nel V° secolo a.c., nel suo “Corpus Ippocraticum”, una raccolta di circa settanta opere, nel libro: ”Delle acque, delle arie e dei luoghi” cosi scrive:

"È necessario considerare l'uomo come un tutt'uno, come facente parte integrante del l'ambiente che lo circonda; è altresì necessario analizzare le varie stagioni dell’anno, come esse cambiano ed evolvono, nonché la loro influenza sull’organismo umano, non solamente dal punto di vista fisico ma anche sul versante psicologico. Bisogna analizzare i venti che soffiano da direzioni diverse, quelli generali e quelli invece locali (per noi questa è sicuramente la prima intuizione del microclima, come lo stiamo studiando solo da pochi anni!). Interessiamoci pure delle acque sorgive, caratteristiche di determinati luoghi e studiamo le loro proprietà intrinseche. Notiamo anche le posizioni geografiche nelle quali si trovano le varie città, il particolare modo di vita degli abitanti, il loro modo di comportarsi a seconda del mutamento delle stagioni oppure delle condizioni atmosferiche ecc.".

(La libera traduzione e la punteggiatura è mia) Anche i Cinesi si sono sempre dimostrati molto attivi in questo campo di

osservazioni meteorologiche e climatiche applicate all’organismo umano. Essi parlano infatti dei “Sei eccessi climatici” tra le cause esterne di

malattia, che sono classificate nei germi, nei virus, nei parassiti, nei traumi e nelle ferite esterne.

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I “sei eccessi climatici” sono il vento, il freddo, il calore canicolare, la secchezza, l’umidità, e il fuoco.

Naturalmente i sei eccessi climatici sono legati alle stagioni. Il vento in primavera, il freddo in inverno, il calore canicolare ed il fuoco

in estate, l’umidità alla fine dell’estate e la secchezza in autunno. Non bisogna certo dimenticare il contesto nel quale sono nate queste

osservazioni. La Cina presenta un tipico clima continentale e pertanto esiste una

stagione molto fredda in inverno, una stagione molto calda, l’estate, una stagione prettamente umida, la stagione delle piogge verso la fine dell’estate ed una stagione secca che di norma è l’autunno od anche in parte l’inizio dell’inverno.

Nonostante il fiorire di questi studi ancora prima di Cristo, sembra impossibile che sia necessario arrivare fin quasi a noi per ritrovare studi specifici e scientifici su questo tema.

Possiamo ad ogni modo prendere in considerazione in questo contesto il veneto Toaldo, nato a Montegalda, in provincia di Vicenza, che nel 1770, pubblicò un interessante opera dal titolo: "Della vera influenza degli astri, delle stagioni, e mutazioni di tempo. Saggio meteorologico – fondato sopra lunghe osservazioni, ed applicato agli usi dell’Agricoltura, Medicina, Nautica, ecc.", come pure il lavoro del veronese Cesare Lombroso, neuropsichiatra, che nei primi anni del 1900 pubblicò, con Tamburini, un lavoro dal titolo: “Pensiero e Meteore”.

A partire dagli anni ’30 poi è stato tutto un fiorire di Testi o di Trattati che riguardano l’influenza del clima sull’uomo, che culminano negli ultimi da ricordare: “Climate Change and Human Health”, pubblicato nel 1996, a cura del WHO, WMO e UNEP e “Weather and People” di Morgan e Moran, edito nel 1997.

Dopo il breve ma necessario excursus, entriamo ora nel vivo dell’argomento che ci siamo proposti in questo nostro lavoro.

Quanto incidono le perturbazioni atmosferiche sull’organismo umano determinando tutti quei sintomi che sono legati alla neurolabilità e di conseguenza anche alla meteorolabilità (meteoropatie)?

E soprattutto quanto i cambiamenti di tempo influenzano anche il grado di ipnotizzabilità di un individuo?

Anche questo argomento si presenta piuttosto arduo come del resto anche gli altri.

Non esiste nemmeno una bibliografia specifica al riguardo, anche perché è molto difficile trovare un medico o uno psicologo che si interessi contemporaneamente di stati modificati di coscienza e di meteoropatie con i correlati disturbi somatoformi.

Proveremo dunque a dare un primo accenno di tutto questo, in attesa di poter essere in grado di fornire risultati migliori, anche se non certo definitivi, in un prossimo futuro.

Come primo punto cerchiamo di fare il punto sulla meteorolabilità che naturalmente condiziona anche la neurolabilità e viceversa.

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Quali sono, nel nostro caso specifico, gli eventi principali che determinano uno stato di meteorolabilità?

L'individuo meteorolabile è soprattutto un neurolabile, cioè un soggetto di norma depresso ed ansioso nello stesso tempo, che si coinvolge emotivamente anche in situazioni non molto stressanti, ma che diventano per lui molto spesso quasi insopportabili. Si presenta di norma con habitus longilineo ed astenico, con il viso segnato dalla sofferenza e comportamento a volte perfino ricurvo in avanti. Diventa pertanto molto difficile evocare in lui, se non in casi eccezionali, anche un minimo accenno al sorriso.

Questi soggetti si possono individuare particolarmente tra i sofferenti di una delle dodici sindromi cliniche che il DSM IV classifica come segue: Disturbo da attacco di panico senza agorafobia. Disturbo da attacco di panico con agorafobia. Agorafobia pura, senza anamnesi di attacchi di panico. Fobia sociale. Fobia specifica o semplice. Disturbo ossessivo-compulsivo. Disturbo post-traumatico da stress. Disturbo acuto da stress. Disturbo d’ansia generalizzato (GAD). Disturbo d’ansia dovuto a una condizione medica generale. Disturbo d’ansia indotto da sostanze. Disturbo d’ansia non altrimenti specificato.

Quello che interessa maggiormente la nostra trattazione è senza dubbio il

Disturbo d’ansia generalizzato (GAD), diffuso almeno nell’80% dei soggetti affetti da meteorosensibilità. La principale caratteristica clinica del GAD è la presenza, per un periodo di almeno sei mesi consecutivi, di una condizione psicologica di ansia e di preoccupazione eccessiva nei riguardi di molteplici eventi o di attività di ogni tipo, come ad esempio le prestazioni in ambito scolastico, lavorativo, familiare, sociale ecc.

All’ansia ed alla preoccupazione sono associati almeno tre dei seguenti

sintomi, mentre per i bambini ne è sufficiente anche uno solo. Irrequietezza, specie nelle ore pomeridiane e serali oppure sensazione di

"nervi tesi" o nervi “a fior di pelle”. Stanchezza o facile tendenza alla spossatezza, in modo particolare nelle

ore antimeridiane. Notevole difficoltà nella ideazione e nella concentrazione o improvvisi

vuoti di memoria. Irritabilità, spesso anche per cause banali. Forte tensione muscolare, in modo particolare ai muscoli del collo e

lombosacrali.

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Alterazioni del sonno con difficoltà all’addormentamento, sonno con frequenti risvegli, con risveglio precoce, o non riposante, inquieto ed insoddisfacente.

Il soggetto non è pertanto nelle condizioni psicologiche di controllare l’ansia o lo stato di preoccupazione. L’insieme della sintomatologia gli causa un disagio clinicamente significativo, con notevole compromissione o riduzione della funzionalità in campo sociale, lavorativo, familiare ed individuale.

Da notare infine che il GAD è un fenomeno di comune riscontro, in modo particolare in medicina generale, con una prevalenza annua variabile dal 3 fino al 10%.

Il GAD si trova poi frequentemente associato a forme depressive, che possono essere più o meno specifiche o importanti, anche a prescindere dalla costituzione del soggetto. Puntualizzando ancora meglio questi concetti, possiamo infatti aggiungere che i meteoropatici possono essere affetti sia da ansia, sia da depressione, anche contemporaneamente..

I sintomi principali della depressione invece sono: Umore depresso con tristezza e scontentezza. Sensi di colpa e di irrequietezza Rallentamento psicomotorio a volte notevole.

Disinteresse per l’ambiente ma in modo particolare per tutto quello che può dare una sensazione di piacere.

I sintomi comuni ad ansia e depressione sono: Tensione nervosa e muscolare elevata. Disturbi del sonno, come quelli legati al GAD.

Stanchezza mentale, astenia muscolare specie mattutina e scontentezza.

Disturbi somatici di tipo somatoforme. Irrequietezza specie serale. Scarsa concentrazione ed attenzione con momenti di distraibilità. I meteoropatici si ravvisano in gran parte proprio tra tutte quelle persone

che hanno difficoltà di adattamento con se stessi e con gli altri. Abbiamo preso in considerazione la classificazione del DSM IV perché

ci sembra la più vicina a tutto ciò che di norma si constata, prima o durante i cambiamenti di tempo, proprio nei soggetti che sono catalogati come “meteorolabili”, anche se, a dire il vero, la classificazione riguarda in prevalenza soggetti psichiatrici. La sintomatologia di questi venne classificata da Sigmund Freud alla voce "nevrosi".

La meteorosensibilità può anche essere legata all'età, al sesso, al gruppo etnico, al tipo di educazione ed alla poca adattabilità del fisico, ma soprattutto della psiche, alle situazioni ambientali poco favorevoli od avverse.

Al giorno d'oggi poi i meteorolabili sono in continuo aumento anche perché, a causa di fattori esterni ed interni sfavorevoli, molti soggetti si

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trovano ad essere sempre più disadattati, ansiosi, preoccupati e depressi. Diminuiscono così le difese dell'organismo, a tal punto che questi soggetti possono presentare sintomi legati alle sindromi meteoropatiche per buona parte dei mesi dell'anno.

A questo punto è necessario ricordare che legati alle sindromi cliniche del DSM IV, specie ai disturbi somatoformi, esistono anche soggetti sofferenti di meteoropatie, in modo particolare quelle secondarie, che possono accusare, accanto alla sintomatologia ricordata, anche una importante sintomatologia “fisica” legata a noxae preesistenti, o a malattie di tipo cronico. Esse si riacutizzano, all’avvicinarsi o al permanere di perturbazioni atmosferiche, al suolo e in quota, in modo particolare se sono caratterizzate da arrivo di aria fredda polare marittima, sempre molto instabile a tutte le quote, per cui i fenomeni atmosferici sono più imponenti.

Ricordiamo anche le sindromi meteoropatiche stagionali, riguardanti il passaggio da una stagione all’altra, molto importanti nel riacutizzare artropatie croniche, nevralgie e nevriti, per l’abbassamento della soglia del dolore, dovuta a cause ambientali avverse.

I segni principali della sintomatologia a livello fisico si possono riassumere come segue:

Riacutizzazione delle forme artroreumatiche con aumento della dolorabilità neuro-muscolo-tendinea; particolarmente dolenti i muscoli del rachide cervicale e lombo-sacrale. Nei sofferenti di discopatie alla colonna vertebrale è avvertibile anche una dolorabilità più intensa a livello delle radici nervose interessate, specie lo sciatico.

Disturbi cardiovascolari in aumento, specie quelli dipendenti dalla neurolabilità e da alcune sindromi ansiose, come episodi di tachicardia, “batticuore”, palpitazioni, eretismo cardiaco, ipertensione arteriosa con aumento della massima e della minima, specie durante le tarde ore notturne.

Aumento negli anziani fumatori, in modo particolare in quelli già predisposti, degli episodi di TIA, di ischemia coronarica , con crisi di angina pectoris più acute, ravvicinate e persistenti.

Nei soggetti che presentano costituzionalmente, oppure durante periodi di stress, una certa diminuzione delle difese organiche, aumento delle infiammazioni delle prime vie aeree, come riniti, sinusiti, laringiti, faringiti, tonsilliti e tracheiti.

Nei broncopneumopatici, specie se del tipo cronico ostruttivo, sensibile aumento degli episodi di asma bronchiale notturna con accentuazione delle infiammazioni a livello bronchiale, polmonare e pleurico.

Riacutizzazione accentuata degli episodi di reflusso gastroesofageo, delle gastro-duodeno-colonpatie, specie del tipo spastico funzionale, episodi di nausea e vomito.

Nei portatori di calcolosi epatiche e renali aumento delle coliche, in modo particolare nelle seconda parte della notte o nelle prime ore del mattino.

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Aumento, a volte pesante, delle cefalee tensive e delle crisi emicraniche, specie se l’arrivo della perturbazione coincide con i momenti di riposo o di rilassamento (sindrome del week-end).

Segni di sofferenza della cute con episodi allergici, specie nei soggetti predisposti, in modo più accentuato in primavera, quando, oltre agli inquinanti presenti in tutte le stagioni, si aggiungono pollini di vario tipo.

Turbe della cenestesi con diminuzione dell'attenzione, dell'ideazione e del coordinamento, dell'efficienza fisica e dei tempi di reazione con riflessi meno pronti. In tali occasioni si nota spesso un aumento degli incidenti stradali e sul lavoro.

Per quanto riguarda i disturbi di tipo somatoforme ricorderemo invece che si possono classificare in:

Sintomi somatici o disturbi da conversione, come parestesie agli arti superiori ed inferiori con sensazione di acuto formicolio o diminuzione della sensibilità, contratture muscolari anche di grado elevato e persistenti nel tempo, paresi di tipo isteroide, afonia e, molto meno frequenti, cecità o sordità temporanea, mancanza di odorato (anosmia), o di gusto.

Disturbi facenti capo a stimoli dolorosi anche persistenti come angor o pseudoangor, cervicalgie, dorsalgie, lombalgie, sciatalgie, spalla dolorosa acuta, coliche addominali viscerali, dolorabilità diffusa a tutti i muscoli del corpo, nevralgie, ma tutte sempre “sine causa”.

Disturbi da somatizzazione che fanno parte del corteo sintomatologico di tutti quei soggetti che si spostano da uno specialista all’altro, da un tipo di cura ad un altro, e, specie se si tratta di lavoratori dipendenti, molto spesso a casa per “malattia”, oppure anche di soggetti i quali, avendo subito un qualsiasi tipo di incidente, sono nell’aspettativa di un “congruo risarcimento”.

Ricordiamo infine che nelle meteoropatie sono particolarmente interessati:

l'ipotalamo che invia neuroormoni all’ipofisi anteriore (adenoipofisi) e all’ipofisi posteriore (neuroipofisi) modulandone l’attività.

I neuroormoni ipotalamici sono: ormone stimolante il rilascio di tireotropina (TRH). Ormone stimolante il rilascio di gonadotropina (GnRH). Dopamina. Ormone stimolante il rilascio di corticotropina (CRH) che stimola la

secrezione di ACTH. Ormone stimolante il rilascio di ormone dell’accrescimento (GRH). Somatostatina. L’ipofisi anteriore produce poi ACTH, betalipotropina, ormone alfa e

beta melanocito stimolante (MSH), encefaline ed endorfine. Per il nostro tipo di trattazione importanti sono l’ACTH e le endorfine

(oppioidi personali). L’ipotesi più plausibile potrebbe essere che l’arrivo delle perturbazioni

atmosferiche, in modo particolare quelle a carattere di fronte freddo, stimolino la produzione di ACTH, con conseguente aumento delle sindromi

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ansiose e dei disturbi somatoformi ed al contrario diminuiscano la produzione di endorfine, con diminuzione della soglia del dolore con tutte le conseguenze che essa comporta, a livello scheletrico, muscolare, tendineo e nervoso.

Abbiamo compiuto un excursus piuttosto ampio nel campo delle

meteoropatie per il fatto che riteniamo importante, anche per i nostri lettori, informazioni utili su tutto quello che si sta studiando e scoprendo, negli ultimi anni, anche in questo settore.

Le migliorate ricerche in campo medico e psichiatrico infatti hanno fatto in modo che sia più facile comprendere anche i soggetti che soffrono di meteoropatie, in modo particolare quelle secondarie e stagionali.

Tali soggetti si possono così catalogare, almeno in parte, tra i sofferenti o di sindromi ansioso-depressive o di disturbi somatoformi, anche se, come dicevamo, altri meteoropatici invece accusano disturbi fisici legati a “noxae” preesistenti.

Alla luce di queste considerazioni risulta pertanto facile poter inserire gli stati modificati di coscienza nella cura delle sindromi meteoropatiche, in modo particolare quelle che sono legate alla neurolabilità, le quali, tra l’altro, sono le maggiormente diffuse ormai presso tutte le classi sociali.

Si dirà, a questo proposito, perché cercare di curare con procedimenti anche di tipo ipnotico le sindromi meteoropatiche, in modo particolare quelle secondarie, legate più che altro a sintomatologia di natura fisica, quando, come sembra abbastanza ovvio, queste migliorano oppure si esauriscono quando la perturbazione si allontana ed il cielo ritorna sereno?

Ed invece i meteoropatici non si comportano certo nel modo che crediamo il più semplice, ma, come del resto è più frequente in natura, in quello più complicato.

Se per esempio esiste una famiglia di perturbazioni atmosferiche in arrivo dall’Atlantico, specie durante i mesi più freddi, la sintomatologia caratteristica, sia a livello fisico che psicologico, non accenna a diminuire; anzi tende a procedere verso la cronicizzazione, con tutte le conseguenze che si possono immaginare, ed in modo addirittura eclatante, più il meteoropatico soffre di ansia e/o depressione.

Naturalmente è ovvio che, oltre i procedimenti ipnotici, è necessario far leva, anche in questi casi, sul rapporto interpersonale con il cliente. Improntato su una buona sintonia, ed usare, in modo particolare nelle sindromi meteoropatiche secondarie, una tecnica piuttosto sofisticata di ipnosi direttiva indiretta o addirittura mascherata.

Tutto questo perché il soggetto ha assoluto bisogno di essere non solamente consigliato ma anche diretto verso una auspicabile remissione della sintomatologia, che di norma risponde in modo abbastanza favorevole in questi casi, ma solo se si usa una spiccata direttività.

La direttività è necessaria e diventa abbastanza spiegabile se si prende in considerazione la nuova teoria di Melzack e Loeser, detta della “neuromatrice”.

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La neuromatrice potrebbe essere composta da una fitta rete di neuroni che genera autonomamente una immagine mentale del corpo sulla quale poi il cervello proietta i vari segnali che danno forma e consistenza al dolore.

Questo modello infatti potrebbe essere in grado di spiegare anche il perché la sensazione del dolore è strettamente individuale ed anche il diverso modo di agire dei vari FANS, non solamente per il grado di assorbimento a livello gastrico, ma anche per l’azione diversificata proprio a livello della “neuromatrice”.

La zona cerebrale deputata alla raccolta degli stimoli dolorosi dunque molto spesso, invece di informarsi di quello che succede in periferia, “legge” la mappa che si era costruita e continua ad interpretare lo stimolo doloroso, anche se le fibre centripete non inviano più alcun segnale di questo tipo.

Forse ora abbiamo una marcia in più per interpretare molti tipi di “dolore sine causa”, in modo particolare i dolori da “arto fantasma” che sono infatti molto difficili da eliminare e per i quali una ipnosi molto direttiva, mascherata o non, potrebbe veramente essere utile.

Intuitivamente sono partito in questo senso ancora negli anni ‘70 e la nuova teoria potrebbe spiegare l’importanza della direttività, anche in ipnosi mascherata, per essere in grado di intervenire direttamente proprio sulla rete di neuroni che compone la “neuromatrice” ed in questo modo essere in grado di diminuire di intensità i segnali che partono da essa.

Il nostro modo di procedere si evidenzia usando diversi tipi di tecniche eriksoniane e posteriksoniane, in modo altamente specifico, prediligendo quelle che non si avvalgono mai del lemma ipnosi.

I clienti che arrivano da noi infatti hanno già frequentato ortopedici e neurologi, se non addirittura anche psicologi oppure medici che utilizzano anche pratiche alternative.

I più sono anche delusi sia della medicina allopatica, sia a volte perfino di quella alternativa.

Di norma giungono con la sola motivazione di aver sentito altri che con le nostre metodiche si sono sentiti meglio sia nel corpo che nell’anima e pertanto sono migliorati in modo sufficiente da poter condurre una vita quasi normale ed anche piuttosto gratificante rispetto ai precedenti tentativi di cura.

I soggetti con i quali utilizzo questo tipo di terapia sono di norma i sofferenti di artropatie croniche oppure di mialgie o nevralgie diffuse, anche secondarie alle artropatie, cioè proprio quei soggetti che presentano una “neuromatrice” di vecchia data.

L’utilizzo dell’ipnosi direttiva mascherata ottiene discreti o buoni risultati solo con molti anni di pratica e soprattutto se i soggetti non sentono mai parlare di ipnosi; anzi, di norma, non ne sono nemmeno al corrente.

I procedimenti messi visibilmente in atto, tipo agoreflessoterapia, percussioni leggere sui territori muscolari o nervosi dolenti, pressione con un dito o con più dita su superfici corporee corrispondenti ai punti yin e yang della medicina cinese, rispettivamente l’energia femminile e l’energia maschile, sul tipo dello shiatsu giapponese, ecc., servono infatti a distrarre

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l’attenzione del cliente. E così l’effettivo risultato terapeutico è dovuto in massima parte al tipo di ipnosi mascherata utilizzata.

D’altra parte è sempre consigliabile usare molta discrezione anche usando questa tecnica, come del resto sappiamo anche per tutte le altre.

In medicina come in psicologia tutto può essere facile o difficile a seconda della disposizione d’animo che è necessario infondere nel cliente fin dal primo approccio. Il tutto naturalmente ancora prima di iniziare il vero procedimento terapeutico ipnotico che si intende attuare in un secondo tempo, ma sempre nel corso della prima seduta, proprio per non deludere ulteriormente il già deluso da altri interventi.

Di norma questo tipo di clienti, con le loro aspettative e le loro delusioni, in modo particolare i meteoropatici, di cui quasi nessun terapeuta allo stato dell’arte attuale si interessa, vanno sorretti in modo particolare coltivando la loro “anima” più che il loro “corpo”.

I più difficili sono indubbiamente gli anziani cardiopatici, artropatici, broncopneumopatici, nefropatici con manifeste alterazioni strutturali degli organi, sistemi od apparati interessati.

In questo caso ci si trova di fronte non solamente ad individui corrosi dall’età, ma anche e soprattutto significativamente oppressi da sindromi ansiose e/o depressive e molto spesso da “solitudine”, specie in seno alle grandi città, sintomatologia che può sfociare addirittura in malattie gravi ed invalidanti.

Ma proprio per questo essi vanno curati e seguiti passo a passo, con una ipnosi direttiva mascherata, accompagnata con i procedimenti manuali già descritti, anche se sono effettivamente “clienti difficili”.

I risultati possono a volte essere cosi evidenti da superare addirittura qualsiasi più rosea aspettativa e vanno interpretati, più che altro, con l’innalzamento, quasi sempre temporaneo, della soglia del dolore ed anche per una azione diretta sulla “neuromatrice”, che in questo modo diminuisce gradualmente e sensibilmente la sua attività.

Nel contratto terapeutico, sempre utile in tutte le terapie, di qualsiasi tipo esse siano, è necessario però parlare sempre di coraggio, costanza, pazienza e perseveranza, attività della mente che vanno messe in atto non solamente da parte del terapeuta.

A mio avviso la tecnica migliore di ipnosi direttiva mascherata si avvale soprattutto di alcune parole chiave, che del resto si usano in parte già nella cosiddetta “ipnosi neutra”.

Sono sufficienti poche parole chiave, direttamente indirizzate al subconscio o anche all’inconscio del soggetto, mentre si pratica quel tipo di terapia fisica, scelta per il caso specifico.

L’approccio inizia con suggerimenti di…. “calma, tranquillità, distensione muscolare, nervosa e tendinea…. mentre

passa il tempo….” Si passa poi lentamente a frasi molto più direttive come: “mentre le pratico

la terapia, inizia lentamente e progressivamente il miglioramento che continuerà anche a casa fino al nostro prossimo incontro.

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Anche il cervello si rende conto di questo e mette in pratica quanto le sto dicendo,….. molto bene….mentre pungo con gli aghi o premo con le dita, i vari gruppi muscolari si distendono progressivamente ed il dolore lentamente diminuisce….

Sente come la contrazione diminuisce lentamente ma progressivamente…molto bene….

Ora la distensione muscolare, nervosa e tendinea, insieme con la calma, la tranquillità e la distensione portano anche la serenità e la distensione della mente, che si sgombra, anche se molto lentamente…mentre passa il tempo… da pensieri inutili o dannosi…. da pensieri che portano solamente ansia, irritabilità, nervosismo e contrazioni muscolari, nervose e tendinee…

Molto bene… Molto bene….Molto bene… Distensione…calma….tranquillità…tendinea, nervosa e muscolare…..mentre

passa il tempo….mentre passa il tempo…. Distensione…calma….tranquillità….a tutti i livelli…. Mentre passa il tempo tutto diventa più facile e più semplice….Più facile e più

semplice. Molto bene… Mentre passa il tempo....con questo tipo particolare di terapia lei si sente già

in una fase di lento miglioramento…ed il miglioramento continuerà anche a casa, giorno dopo giorno, fino a quando ci rivedremo la prossima volta, per continuare a preparare i muscoli, i nervi ed i tendini ad un lento successivo miglioramento….mentre passa il tempo….

Molto bene…Per oggi va bene così…non c’è bisogno di fare altro…. Il cervello sta già imparando a come comportarsi e a come reagire nei nostri

prossimi incontri……” I puntini di sospensione danno l’idea delle pause da osservare

frequentemente, per dare modo al soggetto di seguire meglio. Il tutto per un periodo massimo di dieci-quindici minuti. Ho notato infatti che essi sono più che sufficienti per ottenere un certo

risultato terapeutico, in modo particolare negli anziani debilitati. Essi infatti sono poco propensi a seguire i suggerimenti di tipo direttivo per un tempo superiore, dato che l’attenzione e la concentrazione si presentano spesso purtroppo piuttosto scadenti.

Come si nota sono sufficienti poche parole o poche frasi, indirizzate proprio alla mente ed al cervello del soggetto, oltre naturalmente ai suoi fasci muscolari, tendinei e nervosi.

In questo modo il cliente, quasi sempre inconsciamente, si lascia catturare l’attenzione e mette in pratica, sia pure con l’andar del tempo, a livello fisico e mentale, quanto gli si propone. Senza però l’agoreflessoterapia o le leggere percussioni o le pressioni nei territori interessati dalla sindrome meteoropatica secondaria, sarebbe molto più difficile raggiungere un buon risultato, proprio per il fatto che, con questo particolare tipo di terapia, è molto più facile distrarre l’attenzione del cliente dai suoi problemi ed attirarla invece sulle parole pronunciate, entrando meglio nel suo io profondo.

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Vediamo ora di considerare anche il capitolo che riguarda il grado di ipnotizzabilità.

Esso infatti si modifica, oltre che per cause intrinseche personali, come ansia, irritabilità, depressione, ecc. anche per cause ambientali, primo fra tutte l’arrivo delle perturbazioni atmosferiche, in modo particolare quelle atlantiche, le quali del resto sono le più forti e le più frequenti sul Bacino del Mediterraneo.

Abbiamo già visto, all’inizio del presente lavoro, come anche gli animali vadano soggetti a modificazioni del loro comportamento, in modo particolare se si avvicina la pioggia.

E gli antichi agricoltori lo sapevano bene, tramandandosi di padre in figlio osservazioni accurate, precise e circostanziate, anche perché in pratica erano allora gli unici segnali dell’arrivo delle perturbazioni.

Non mi dilungo certo sulle varie scale di ipnotizzabilità che sono state via via proposte nel corso degli ultimi anni, anche perché, pur avendo una indubbia utilità statistica, non sono molto proponibili a tutti i livelli ed in tutti i momenti dell’attività terapeutica.

Ho osservato però che esistono determinate condizioni atmosferiche durante le quali i soggetti diventano più ipnotizzabili ed altre invece nelle quali essi sono molto più difficilmente orientabili verso gli stati modificati di coscienza dell’ipnosi, anche usando l’ipnosi mascherata.

Il grado di ipnotizzabilità aumenta per esempio, in modo significativo, quando esistono le condizioni atmosferiche tipiche del fronte caldo, con cielo in prevalenza coperto, visibilità orizzontale molto ridotta, a volte anche nebbia, spesso pioggerella continua e persistente anche per molte ore di seguito, pressione atmosferica in lenta e continua diminuzione, calma di vento o venti deboli dai quadranti meridionali, ionizzazione dell’aria positiva, umidità elevata e molto spesso prossima al limite di condensazione, luminosità del cielo molto bassa, elevata concentrazione di inquinanti nei bassi strati dell’atmosfera, specie nelle grandi città; cioè, in altre parole, il tipico “tempo uggioso”, con caratteristiche autunnali o invernali.

Al contrario il grado di ipnotizzabilità diminuisce durante o dopo il passaggio del fronte freddo, le cui caratteristiche si possono riassumere nella presenza di cielo sereno o poco nuvoloso, visibilità orizzontale buona o ottima, pressione atmosferica in rapido aumento, venti moderati o forti dai quadranti settentrionali, ionizzazione dell’aria negativa, umidità bassa, anche al di sotto del 30%, luminosità del cielo elevata, concentrazione quasi nulla degli inquinanti anche ai bassi strati; cioè “tempo luminoso in modo particolare quello di tipo primaverile”.

Tenendo conto di tutto questo è molto più facile impostare una adeguata terapia ipnologica, specie nei soggetti neurolabili e pertanto anche meteorolabili.

Non tutti i momenti sono eguali per ottenere risultati terapeutici sovrapponibili nel tempo, in modo particolare se si trascurano certe situazioni, anche meteorologiche o climatiche, che non devono essere ulteriormente ignorate dagli ipnoterapeuti o psicoterapeuti più avveduti.

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Sappiamo benissimo che un giorno non può essere eguale ad un altro. Gli antichi cinesi, oculati osservatori di ogni più piccolo fenomeno fisico,

atmosferico e astronomico, se ne erano già accorti qualche millennio prima di Cristo, tanto da usare espressioni particolari come ho ricordato citando “ i sei eccessi climatici”, per dimostrare l’influenza sull’organismo umano del “vento, del freddo, del calore canicolare, della secchezza, dell’umidità e del fuoco”.

Erano anche giunti alla conclusione, dimostrata solo negli ultimi decenni, che ogni momento non può mai essere sovrapponibile ad un altro, anche se le circostanze appaiono ai sensi perfettamente uguali.

Il pianeta Terra, infatti, gira intorno al Sole alla velocità di 108.000 Km/h, ed il Sole sta andando verso la costellazione di Ercole, lungo il braccio esterno della Galassia, in un giro che completerà in 225 milioni di anni. La nostra galassia, che osserviamo in cielo nelle notti molto limpide, sotto il nome di Via Lattea, sta scivolando verso la costellazione di Andromeda ed entrambe subiscono l’attrazione del grande ammasso di Galassie della Vergine, a 50 milioni di anni luce di distanza.

C’è veramente da perdersi! Nessun momento della nostra vita è dunque eguale ad un altro! È bene ricordare tutto questo anche quando si pratica ipnoterapia o

psicoterapia, senza sorprendersi se le reazioni del cliente possono essere alquanto diverse da quelle di una settimana prima, pur nello stesso studio, più o meno alla stessa ora ed usando perfino eguale tecnica ipnoterapeutica.

Astraendo anche naturalmente da sopraggiunte eventuali circostanze sfavorevoli, delle quali però, in un breve colloquio iniziale, è sempre meglio essere edotti, in modo da ottenere risultati sufficientemente buoni anche in presenza di eventi stressanti altamente negativi.

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ANALOGIE E DIFFERENZE TRA AUTOIPNOSI E STATI MISTICI “Se nell’intimo del nostro cuore abbiamo costruito una cella ben protetta in

cui ci ritiriamo il più spesso possibile, non ci mancherà mai niente dovunque ci troviamo”

Edith Stein. Incontro a Dio

“Dieci minuti quotidiani di colloquio intimo con se stessi insegnerebbero, forse, una più umana filosofia di quella contenuta in molti libri”.

N. Salvaneschi. “Quando l’amore vuol parlare, la ragione deve tacere”. J. F. Regnard. Le joueur. Fin dagli anni 60-70 l’argomento è sempre stato oggetto di una ricerca

personale, anche se ritengo che esso sia piuttosto arduo da descrivere con linguaggio appropriato.

Una prima puntualizzazione si rivela necessaria per non creare confusione anche nel lettore più esperto.

Intendo trattare in questo breve escursus solamente degli “stati mistici” e non degli “stati meditativi”, che potranno eventualmente essere oggetto di altro intervento.

In modo specifico si analizzeranno le analogie e le differenze tra stati di autoipnosi e stati mistici.

L’argomento viene affrontato per la prima volta in seno all’Istituto Bernheim, ma d’altra parte non mi consta sia stato mai descritto in questi termini nella pur ampia letteratura sull’ipnosi, né tanto meno in quella che si interessa di analizzare più a fondo proprio gli stati mistici.

Una seconda puntualizzazione riguarda invece il fatto che si prenderanno in considerazione, in questo breve sunto, solamente i mistici del campo cattolico, essendo i più vicini alla nostra cultura e di conseguenza i più ampiamente trattati ed analizzati nel corso del tempo, almeno in Italia.

In successivo capitolo, ad ogni modo, si prenderanno in considerazione gli stati modificati di coscienza in rapporto alla convinzioni religiose, con qualche esempio anche di mistici al di fuori del campo cristiano e cattolico.

Da ultimo intendiamo riferirci solamente ai maggiori tra i mistici di derivazione cattolica come, in ordine cronologico, Paolo, Antonio del deserto, Origene, Gregorio di Nissa, Dionigi Aeropagita, Agostino, Guglielmo di Saint-Thierry, Riccardo di S.Vittore, Bonaventura, Dionigi il Certosino, Ruusbroec, Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, la mistica di Anversa Hadewijch e Angelus Silesius.

Come si nota essi vanno dalle origini fino al secolo XVI°. E di questi, per non dilungarci troppo, daremo solo una sintesi riassuntiva che abbracci in

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toto le loro esperienze in un unico campo di analisi e di discussione, anche se con riferimenti più specifici a Teresa e Giovanni.

Argomento sinceramente molto impegnativo, dato che è già difficile dare una valida definizione dell’autoipnosi e forse ancora di più degli stati mistici.

Il compito si rivela forse meno difficile dato che i lettori sono nella massima parte persone competenti. Si attua così, in termine pratico, quella sintonia di intenti, di conoscenze e di esperienze che altrimenti sarebbe veramente quasi impossibile ottenere con lettori impreparati per i quali il discorso potrebbe cadere nel vuoto già fin dall’inizio od essere addirittura frainteso nei suoi punti essenziali.

Per quanto riguarda l’autoipnosi la definizione che ci sembra la più vicina alla sua realtà potrebbe essere la seguente, come del resto abbiamo già detto nel primo capitolo:

“Stato modificato di coscienza ottenuto attraverso un lungo e motivato allenamento a rivolgere la mente dall’esterno verso l’interno, anche con l’uso di vari metodi di rilassamento, praticando l’introspezione, senza giungere con questo a realizzare sempre e comunque una vera e propria autoanalisi”.

Per essere in grado di raggiungere un grado elevato di autoipnosi non è però sufficiente scegliere il metodo preferito, partendo dagli esercizi inferiori e superiori dell’Autotraining di Schultz, oppure dalle tecniche ipnotiche, oppure da metodi di meditazione anche di derivazione orientale, ma è soprattutto necessario possedere motivazioni sufficienti, in grado di coinvolgere in modo globale la personalità profonda e, nel corso del tempo, di modificare almeno in parte il comportamento abituale.

Chi si dedica, con una buona dose di coraggio e di creatività, non solamente allo studio ma all’esperienza fattiva dell’autoipnosi infatti è sempre in qualche modo alla ricerca di un miglioramento personale in tutti i sensi e di motivazioni più elevate delle normali di tutti i giorni, in modo particolare per diminuire quell’ansia anticipatoria che ai nostri giorni è sempre più attuale e frustrante, praticamente in ogni ora del giorno, se non pure della notte.

In questo modo l’autoipnosi si colloca in modo ottimale, come abbiamo visto, in quell’ambiente misterioso, ancora quasi del tutto inesplorato, che riguarda l’introspezione, in tutte le sue molteplici accezioni.

Se si analizza il percorso dell’autoipnosi molto da vicino, con la sua lunga serie di obbiettivi raggiungibili in modo lento e costante e solo nei momenti più favorevoli, si scopre appunto che il “viaggio” non è mai finito del tutto.

Una volta raggiunto un traguardo, che si può anche valutare come fine di una esperienza interiore, altri appaiono all’orizzonte della mente, a volte in un caleidoscopio di sensazioni, di visualizzazioni, di colori, di ambienti, di situazioni e di esperienze sempre nuove e affascinanti, percorribili in molti modi, attraverso molteplici “vissuti”, dentro una realtà che si potrebbe definire “virtuale”, ma non per questo meno vera ed attuale.

L’autoipnosi è veramente in grado di insegnare moltissime cose che non si conoscono altrimenti, allenandoci a percepire quegli stimoli subliminali,

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derivanti dall’inconscio, i quali, nelle condizioni di veglia vigile, non sono in grado di raggiungere la coscienza. È l’inconscio che, per dirla con il sommo Poeta, “ditta dentro” e diventa percepibile, durante varie fasi, appunto con sensazioni, colori, visualizzazioni, situazioni ed esperienze sempre nuove e rinnovabili, da seguire, capire, comprendere, valutare e analizzare, mano a mano che passa il tempo, dentro questo stato modificato di coscienza.

Le conoscenze e le esperienze nuove, apprese durante questo percorso, in un secondo tempo, possono essere messe a disposizione anche di altri individui che sentono il bisogno di un rinnovamento fisico, morale e mentale.

Sempre però tenendo presente che molte di esse sono così individuali e personali che possono essere, per così dire, “trasferite” ad altri, solo cercando di adattarle alla loro personalità, ai loro vissuti, al loro modo di vita, alle loro concezioni mentali, filosofiche ed infine anche religiose.

Si avverte ormai da parte di molti il bisogno di ritornare, almeno in qualche momento della giornata, all’ “introspezione”, specie da parte di quei soggetti che hanno già potuto fare molte esperienze in altri campi dello scibile umano, specie nel campo delle tecnologie più diverse.

L’autoipnosi, in questi casi, si presenta veramente molto utile per ottenere quel “qualcosa in più” che nemmeno una società altamente tecnologica è in grado di offrire. Alcune sue conquiste peraltro si stanno rivelando molto utili per comprendere meglio alcuni momenti di “realtà vissuta “ che si avvicina, anche se non si identifica, con la “realtà virtuale”.

Ma descrivere i vari momenti dell’autoipnosi non è certo molto facile, anche per chi ne fa un vero sistema di vita e soprattutto per chi non ha alcuna intenzione di voler fuggire dalla realtà normale di tutti i giorni.

Prendendo a prestito la classificazione dei vari stati modificati di coscienza che si ottengono con l’ipnosi si potrebbe allora tentare una classificazione, di certo non corrispondente alla vera realtà del fenomeno , ma che può essere utile se non altro per tentare una successivo approccio anche a quei “stati modificati di coscienza” che si possono verificare nel contesto mistico.

In questo modo nulla vieta di distinguere le varie fasi o momenti dell’autoipnosi in: fase autoipnoide, fase leggera, fase media e fase profonda, pur consci che non si hanno soluzioni di continuità tra una fase e l’altra.

L’autoanalisi o il lento processo di individuazione che derivano dall’esperienza continua di queste fasi infatti indica l’“immersione entro il sé” in misura sempre più completa, piuttosto che sempre più profonda e da cui scaturiscono sempre nuove conoscenze od addirittura esperienze di realtà e mondi nuovi, fino a quel momento inimmaginabili.

In questa situazione, più l’immersione diventa completa, più il cervello destro si apre alla fantasia, all’immaginazione, all’intuizione e alla creatività, cioè al “lampo di genio”.

Facoltà che ognuno di noi porta sempre dentro di se, come bagaglio arcaico, ma che di norma non raggiungono mai o quasi mai il livello della coscienza, se non in quei rari momenti di percezione subliminale, definiti

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come “stato di grazia”, di solito legati a situazioni di grande coinvolgimento emotivo o a “vissuti” che rapiscono i sensi, anche quelli più nascosti.

La ricerca di motivazioni superiori può essere certamente una buona via per raggiungere risultati sempre migliori in autoipnosi, in modo particolare quando l’introspezione arriva a livelli utili a raccogliere informazioni a livello subliminale.

E tutto questo viene sicuramente favorito per es. da brani musicali capaci di ricreare, entro di noi, le emozioni, le esperienze, le sensazioni che il compositore ha vissuto dentro di se durante l’ispirazione e che ha cercato di comunicare all’esterno, proprio con una successione di note sgorgate direttamente dal profondo, in uno stato similipnoide e senza la partecipazione del pensiero comune, mentre viveva un suo “momento particolare di grazia”.

I brani migliori sono infatti quelli nati con questo tipo di esperienze e che dunque possono essere in grado di far rivivere, almeno in parte, le stesse emozioni, esperienze, sensazioni e ricordi percepiti dal compositore in quel momento con “l’orecchio della mente”. Sono questi i brani che ottengono un successo persistente nel tempo e non effimero di pochi mesi, come invece quelli studiati a tavolino, in stato di veglia vigile, che non possono contenere al loro interno emozioni e sensazioni vissute.

L’autoipnosi dunque, se praticata in modo corretto e per lungo tempo, può diventare una “pratica di vita”, anche se non deve certo essere impiegata come “fuga dalla realtà normale di tutti i giorni”. Essa è molto valida soprattutto come importante “rinforzo dell’Io” a tutti i livelli, a volte anche quelli più nascosti e profondi e pertanto poco avvertibili in veglia vigile, quando solo il cervello sinistro è attivo.

Per quanto riguarda invece le “esperienze mistiche”, abbiamo già puntualizzato che cercheremo di proporre una sintesi dei “vissuti” dei mistici più antichi, dalle origini al XVI° secolo.

Tutto questo perché sono i più analizzati anche in questo momento storico e perché, specie per quelli vissuti nel cinquecento, primi fra tutti Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, era ancora in auge la “Santa Inquisizione” e pertanto costretti a descrivere nel modo più dettagliato possibile le loro esperienze, per non essere condannati al “rogo”, come impostori o peggio ancora come eretici.

Analizzando più dettagliatamente il loro modo di procedere vediamo come essi, in linea generale, si rivolgessero alla ricerca di un qualcosa di esterno che li potesse guidare nelle loro esperienze, anche di tipo allucinatorio.

Per loro la guida migliore era la figura del Cristo, che veniva visualizzato più come “sofferente” nella Passione che come “glorioso” nella Resurrezione oppure Dio stesso, in qualche caso anche nelle tre persone della Trinità. Meno frequentemente invece persone conosciute, ma già morte da tempo, come, ad esempio, in Teresa d’Avila.

Nelle loro descrizioni essi narrano di varie fasi, molto similmente vicine a quei stati modificati di coscienza che abbiamo visto per l’autoipnosi.

La sintesi migliore delle varie fasi che mi sento in grado di proporre ai lettori è la seguente, sempre tenendo presente che la classificazione è mia,

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pur nell’intimo convincimento che si avvicini molto alla realtà delle esperienze vissute dai mistici.

Prima fase: il momento della “preghiera vocale ripetitiva”, quello normale

dei credenti che si recano nelle chiese oppure la recitano in famiglia. Ha un significato pregnante e suggestivo nei rituali delle grandi

solennità, con musica e canti, come avviene nelle manifestazioni religiose importanti ed imponenti.

Si attua naturalmente in veglia vigile, con attività del cervello sinistro. Seconda fase: il momento della “preghiera mentale ripetitiva”. Le formule delle preghiere si pensano, senza recitarle o cantarle a voce

alta. Si attua, come è ovvio, ancora in veglia vigile, con attività del cervello

sinistro. Terza fase: il momento della “preghiera mentale libera”, per i più allenati

che non usano le solite formulazioni. Si attua meglio in veglia rilassata, ma sempre con attività del cervello

sinistro. Quarta fase: il momento della “meditazione mentale”. Si ottiene in modi diversi, ma, secondo la scuola di Ignazio di Lojola, la

più accreditata in campo cattolico, si attua soffermandosi ad analizzare le parole delle preghiere ripetitive, concentrando il pensiero sul loro significato intrinseco.

È ottenibile quasi sempre solo in veglia rilassata, ma ancora con attività prevalente del cervello sinistro.

Quinta fase: il momento della “contemplazione”. In questa fase è necessario mettersi “passivi di fronte a Dio”, perché

abbia modo di entrare nel cuore che deve essere sgombrato da tutte le cose materiali.

Altrimenti Egli non può portare la sua luce, dopo la notte tenebrosa della rinuncia alle realizzazioni comuni della vita.

È necessario uno stato similipnoide con attività prevalente del cervello destro.

Sesta fase: il momento dell’ ”estasi”. Il cuore inondato da Dio con sensazione di “ vera presenza reale”. La nozione di estasi non è però chiara e distinta: la parola “estasi”, in

tutti i contesti di tipo spirituale è la sensazione, accompagnata da vivido desiderio, di trascendere, almeno per un attimo, la condizione delle coscienza normale per raggiungere un tipo di esperienza che si pone in un tempo diverso.

È facilitata da uno stato di autoipnosi lieve o media con perdita della cognizione dello scorrere del tempo ed attività del cervello destro ed inizio della partecipazione del subconscio.

Settima fase: il momento dell’ ”annullamento”. “Vivere con Dio”.

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Annullamento completo della personalità e sensazione di vivere esperienze che si innestano non in un tempo terrestre ma in un tempo cosmico.

Si vive in stato di autoipnosi media o profonda con sensibile aumento dell’ attività subconscia o inconscia.

Ottava fase: il momento dell’ ”illuminazione”. “Vivere in Dio”. Esperienza al di fuori del tempo, senza tempo od in tempo unificato. Si esperisce in stato di autoipnosi profonda con grande attività legata

prevalentemente all’emersione di contenuti inconsci. Come è ovvio, tutte le fasi possono essere ottenute solo in successione,

l’una dopo l’altra, passando dal “buio più profondo della solitudine dell’anima”, come il passaggio dalla quarta alla quinta fase, fino alla “luce più intensa”, nelle fasi successive.

Il tutto si ottiene solo in condizioni di purezza d’animo, di umiltà, di distacco, di coraggio, di pazienza, di disponibilità, di perseveranza.

Naturalmente i vari accostamenti degli “stati mistici” con quelli dell’autoipnosi sono solo mie interpretazioni personali, che nulla hanno a che vedere con gli scritti e le esperienze narrate dei singoli mistici, ma che possono far capire meglio quanto si vuole analizzare e discutere in questa breve analisi.

Molto importante infatti constatare tutto quello che sta succedendo nella massa ancora al giorno d’oggi.

Il momento migliore o più elevato che è possibile raggiungere con la massa ai nostri tempi è senza dubbio solo il primo gradino, la prima fase, “la preghiera vocale ripetitiva”, con formule precostituite, come i vari canti liturgici, il Rosario, le preghiere normali di tutti i giorni, ecc.

Ed è già un passo enorme, riconosciuto anche dalle massime autorità religiose, ottenere questo in modo pregnante!

Figurarsi dunque per le fasi successive, in modo particolare a partire dalla quarta!

Ci si può benissimo rendere conto che dal punto di vista evolutivo siamo ancora all’età della pietra.

Emblematico ed ancora attuale il detto del Cristo: ”Misereor super turbam”!

Analizzando dunque più da vicino le varie fasi del percorso mistico siamo dell’idea che si tratti veramente di stati modificati di coscienza autoindotti e ce ne rendiamo conto specie se risaliamo molto indietro nel passato, addirittura a quello precristiano.

Ci riferiamo ai misteri di Eleusi, i quali, secondo quanto scrive Sinesio, portavano i partecipanti, “attraverso vari e complicati rituali”, ad uno stato di “atteggiamento passivo” della mente verso tutto quello che stava succedendo intorno e anche dentro di loro.

Scrive ancora Sinesio:“È lo spirito che riceve, in modo apparentemente sconosciuto, una illuminazione”.

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Lo stesso Aristotele ritiene che coloro che sono guidati alla perfezione “non devono imparare qualcosa, ma farne l’esperienza e disporvisi, divenendone perciò stesso, capaci“.

Qualunque possa essere il livello di questa esperienza che sembra proprio di tipo affettivo, diventa molto più facile arguire che essa non entra nelle attività dell’intelletto e della ragione ma è invece caratterizzata da un tipo di ricettività che si attua nel percepire, con un’esperienza di nuovo tipo, una realtà al di fuori della conoscenza di quel momento storico.

Con queste frasi Aristotele non fa altro che mettere in chiara evidenza vissuti che fanno sicuramente parte di una esperienza ai livelli della contemplazione.

Nei testi platonici del resto si trova l’idea dell’ “imprevedibilità dell’illuminazione”.

Sorge allora spontanea la domanda:” Questa imprevedibilità sarebbe possibile se non intervenisse un qualcosa di esterno alla coscienza del singolo e che si imponesse alla sua percezione in modo completamente sconosciuto”?

Cicerone del resto mette in contrasto “experiendo” con “discendo”. Ne deriva che se la mente è disposta in modo adatto, qualunque sia la caratteristica della sensazione o dell’emozione, non agisce più tramite il cervello sinistro, intellettivo, ma invece essa attiva, per vie completamente ignote, il cervello destro, ricettivo, divenendo pertanto capace di percepire realtà e mondi diversi, oltre l’esperienza e le conoscenze di tutti i giorni.

Anche Plotino produce alcune pagine stupende quando parla di “passività psicologica” e di “interiorizzazione”. Le sue parole sulla passività denotano un certo grado di approssimazione, tipica di quando si devono riferire esperienze spirituali di grado elevato per le quali manca un linguaggio adatto.

“Ripudiando i disordini di questo mondo ed essendosene purificata, (l’anima) ritorna verso suo padre e si trova bene. Chi non ha fatto questa esperienza, la immagini a partire dagli amori di questo mondo E possibile allora vederlo e vedersi, nella misura in cui ciò è permesso; si vede se stessi splendenti di luce, pieni di luce intelligibile, o piuttosto si è divenuti luce pura, sottile, leggera; si è divenuti, o piuttosto, si è Dio, infiammati d'amore, anche se si ricade sotto il peso come un fiore appassito”.

Il secondo aspetto della dottrina plotiniana dell’esperienza mistica si avvale della pratica dell’ “interiorizzazione” con la quale si può giungere ad uno stato di coscienza ai limiti dello spirituale.

Una esperienza simile è stata quella da me vissuta e pubblicata in “Scritti in onore di Caterina Vassalini”, ancora nel lontano 1974, quando non era possibile trattare di questi argomenti su riviste specializzate, come invece avviene oggi.

Il titolo del saggio era “Del Samyana o della conoscenza vera” ed a pagina 147 cosi è scritto:

“Nello stadio di illuminazione tutto ciò che si può riferire concettualmente è “ il bianco nel bianco” oppure “la luce nella luce”, come è emerso in una sera del 1972…..”.

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Tornando al nostro lavoro sui mistici cerchiamo ora di assaporare qualche spunto del più grande dei mistici, almeno per quanto riguarda i secoli che vanno dal 1200 al 1600.

Si tratta di Giovanni di Ruusbroec vissuto dal 1293 al 1381. Il momento principale della sua opera letteraria inizia quando si ritira

nell’eremo di Groenendael (Viridisvallis – Valleverde), nella foresta di Soignes, non lontano dalla città di Bruxelles.

Molto strano il fatto che ora sia quasi dimenticato, specie nei libri che trattano di mistica, anche se si è a conoscenza che altri mistici più famosi, come Teresa d’Avila, Giovanni della Croce ed altri, si siano ispirati a lui per cominciare il loro itinerario spirituale o se si vuole il loro cammino dentro stati di coscienza modificati sempre più avanzati.

Nella sua opera di ben undici trattati ci sono dei passi altamente significativi di quanto vogliamo dimostrare proprio in merito a stati di coscienza modificati.

Un solo esempio che può valere per tutti gli altri. Nel suo trattato:“La vita divina”, al capitolo “Rapimento e rivelazioni”

sentiamo come descrive le sue sensazioni e visualizzazioni. “Durante la tempesta (la tempesta delle sensazioni, delle emozioni e

dell’amore. Nota mia) si è qualche volta rapiti in ispirito al di sopra dei sensi. Allora l’estatico intende parole in cui vede simboli che gli dischiudono la verità e gli annunciano, spesso, l’avvenire.

Questa verità è sempre utile, tanto a lui che agli altri, e queste cose si chiamano visioni o rivelazioni. Quando appaiono sotto forma di immagini e di simboli, sono ordinariamente gli angeli che, per virtù di Dio, le suscitano dinanzi all’uomo.

Se la rivelazione è puramente intellettuale e non presenta con i mondi creati che incomprensibili analogie, per le quali Dio si manifesta nell’abisso, noi siamo nello spirito puro.

Tuttavia possiamo ancora parlare e spiegarci. Ma, talvolta, l’uomo è trasportato più in alto del proprio spirito ( e pur non

fuori di se stesso) nell’incomprensibile. Come vede? Come intende? Non può più spiegarcelo: questo si chiama rapimento. In tale stato, assolutamente semplice, vedere e intendere sono una cosa. Quest’azione suprema è riservata a Dio che, in quel momento, tocca l’anima

senza mezzo. Talora, nella notte nera, brilla un lampo e lo spirito è rapito; ma, subito, la

luce si spegne e l’uomo ricade in se stesso. L’azione di Dio è bella; e spesso coloro che tocca diventano uomini di luce.

Le tempeste dell’amore producono ancora altri effetti. Qualche volta una luce brilla e viene da Dio, ma viene attraverso un mezzo

qualunque. Allora l’anima e lo spirito si ergono verso la luce; e avviene, a causa dell’immensa gioia, un incontro intollerabile; qualche volta l’uomo è ridotto al nulla.

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Ecco il rapimento. Esso è gioia di cui non si può parlare. Queste cose sono ineluttabili: quando arrivano bisogna subirle”.

Abbiamo trascritto solo un piccolo esempio di come l’esperienza mistica

arrivi da sola in modo assolutamente spontaneo, naturalmente dopo un necessario lungo allenamento in autoipnosi o in autoconcentrazione passiva, ed allora diventa “ineluttabile” e “bisogna subirla”.

Lo stadio del rapimento o dell’illuminazione si rivelano praticamente eguali e in quello stato, non vi è certo modo di potersi esprimere con il linguaggio corrente, con il linguaggio delle stato di veglia vigile.

Giovanni di Ruusbroec, come del resto anche gli altri, non conoscevano certamente gli stati di coscienza modificati, ma, con il senno di poi, molte sensazioni, esperienze, visualizzazioni, simboli, metafore, allegorie ecc., che appaiono nei loro libri ,ora diventano, almeno un po’ meno oscure e un tantino più comprensibili e pertanto molto più attendibili, almeno come esperienze di un certo tipo.

Un altro grande mistico poco ricordato è Riccardo di S. Vittore di cui menzioniamo un brano significativo tratto dalla sua: “Contemplazione mistica”, in merito alla conoscenza di Dio.

……”Il primo tipo di conoscenza spetta al primo cielo, il secondo al secodo, il terzo al terzo.

Pertanto al primo e al secondo cielo della visione gli uomini possono innalzarsi ma a quello che sta al di sopra della ragione non giungono mai, se non quando sono rapiti al di sopra di se stessi nell’estasi.

I tre stati della mente nella contemplazioe sono: “dilatatio”. “sublevatio” e “alienatio”.

La qualità della contemplazione varia poi, mi sembra, in tre modi. Talora infatti si verifica nel dilatarsi della mente, talora nel sollevarsi della

mente, qualche volta nell’alienarsi della mente. Il dilatarsi della mente avviene quando lo sguardo dello spirito si estende su

più ampio orizzonte e si fa di gran lunga più acuto,senza peraltro oltrepassare la misura dell'’umana iniziativa.

Il sollevarsi della mente avviene quando la vivacità dell’intelligenza, divinamente rischiarata, trascende i limiti dell’umana iniziativasenza peraltro giungere all’alienazione della mente, in modo che sta al di sopra di lei l’oggetto della sua visione e tuttavia essa non si ritrae completamente dalla sua condizione abituale.

L’alienarsi della mente avviene quando la memoria delle cose presenti sfugge alla mente e, per un atto divino di trasfigurazione, essa passa in una condizione dello spirito estranea e inaccessibile all’iniziativa umana”

Come ben traspare da questa breve citazione, si può capire come per qualsiasi mistico sia veramente difficile o quasi impossibile rendere con parole tratte dal linguaggio comune esperienze che trascendono il linguaggio stesso, esperienze di tipo molto diverso da quelle normali, ottenute naturalmente in qualche stato di coscienza modificato.

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Giovanni della Croce, cercava invece nei momenti di ispirazione, di rapimento, di illuminazione, sia nella ”Salita al Carmelo”, sia nella “Notte oscura”, sia nel “Cantico Spirituale” di descrivere i suoi stati modificati di coscienza in versi, dei quali si può apprezzare tutta la poesia, soprattutto leggendoli nella lingua originale.

Tra di essi appare importante l’esperienza affettiva nella metafora dello spuntare dell’aurora, dopo la notte tenebrosa dell’anima come nel passaggio dalla quinta alla sesta fase.

“Cuàn manso y amoroso recuerdas en mi seno, donde secretamente solo moras! Y en tu aspirar sabroso, de bien y gloria lleno, cuàn delicadamente me enamoras”!

“Quanto dolce e amoroso ti svegli sul mio seno, dove solo e in segreto tu dimori! Nel tuo spirar gustoso, di bene e gloria pieno, come teneramente mi innamori”!

Al che fa coro, sullo stesso tono, ma in piena fine novecento, P. David

Maria Turoldo quando, nel 1991, ormai alla fine dei suoi giorni per un tumore al pancreas, in “Il dramma è Dio” scrive, anche lui in versi liberi e sicuramente in stato similipnoide:

“Essere nuovi come la luce a ogni alba….. vedere la creazione emergere dalla notte”!

E più avanti: “Unico male l’abitudine e la scelta tragica: discorrere invece che intuire… E la mente si popola di idoli e il cuore è un deserto lunare: solo la Meraviglia ci potrà salvare aprendo il varco verso la Sostanza”!

Tutto questo denota come sia con l’autoipnosi, sia con l’esperienza

meditativa o mistica, sia con le visualizzazioni spontanee o guidate, possa essere possibile giungere a vari stati modificati di coscienza che portano a sensazioni, esperienze, emozioni e vissuti, difficili da esprimere con un

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linguaggio normale ma coinvolgenti sia l’anima che lo spirito, in un susseguirsi continuo di nuove esperienze e conoscenze al di fuori della razionalità dello stato normale di veglia vigile.

Vale la pena anche in questo contesto di sottolineare l’esperienza Teresiana, da lei mirabilmente descritta nel :”Libro della mia vita”.

Non si tratta comunque di un’autobiografia nell’accezione comune del termine del giorno d’oggi, ma di una importante descrizione di un’ascesa dal campo materiale allo spirituale, compiuta in varie fasi, che quasi collimano con quelle che abbiamo prima descritte.

Quello che più conta in questo contesto è invece il fatto che Teresa d’Avila parte proprio dalla prima fase per arrivare, nel corso degli anni, con sacrificio, costanza e perseveranza, fino all’ultima, quello che viene considerato il raggiungimento della vetta oppure la discesa nel più profondo dell’Io o del Sé.

Nei vari capitoli della sua esperienza spirituale, il “Cammino della Perfezione”, giunta alla quinta fase, Teresa inizia a visualizzare gli oggetti delle sue meditazioni, cioè il Cristo, sua Madre oppure conoscenti già morti.

Gli ultimi quattro capitoli poi sono intessuti di esperienze mistiche vissute, come possiamo dire noi oggi, in perfetta realtà virtuale, come, ad esempio, nel capitolo 36 al paragrafo 20:

“ ….. La stessa notte mi apparve il santo fra Pietro d’Alcàntara, che era già morto, e prima di morire, avendo saputo i grandi contrasti e le grandi persecuzioni di cui eravamo oggetto, mi aveva scritto di rallegrarsi che la fondazione si facesse fra così grandi opposizioni perché, se il demonio la ostacolava tanto, era segno che il Signore sarebbe stato molto servito in questo monastero e che in nessun modo dovevo acconsentire ad avere rendite…..Io l’avevo già visto altre due volte dopo la sua morte, circonfuso di gloria; pertanto non ebbi paura, anzi mi rallegrai molto, perché appariva sempre come corpo glorificato, pieno di un tale splendore che il vederlo mi dava immensa gioia…..”

Oppure ancora al paragrafo 24, sempre del capitolo 36: ”Mentre attendevo all’orazione in chiesa, prima di entrare nel monastero, ed

ero quasi in rapimento, vidi Cristo che pareva mi accogliesse con grande amore e mi mettesse in capo una corona, ringraziandomi di quello che avevo fatto per la Madre sua.

Un’altra volta, mentre eravamo tutte nel coro in orazione, dopo la Compieta, vidi nostra Signora circonfusa di eccelsa gloria, in un bianco mantello, sotto il quale sembrava proteggerci tutte. Compresi allora quale alto grado di gloria il Signore avrebbe conferito alle religiose di questa casa”.

Ed infine all’inizio del capitolo 40, l’ultimo ed il più ricco di esperienze molto elevate o molto profonde, a seconda dei nostri personali punti di vista, troviamo scritto:

“Una volta, mentre ero in orazione,……mi venne un tale rapimento che non so descriverlo. Mi sembrò che il mio spirito si riempisse e compenetrasse di quella maestà che avevo veduto altre volte e in essa compresi una verità che è il compimento di tutte le verità. Non so dire come ciò sia avvenuto, perché non vidi

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nulla; mi fu detto, senza che vedessi da chi, ma ben comprendendo che era la stessa Verità a parlare: “Non è poco quello che faccio per te, anzi, è una delle grazie per cui tu mi devi molto, perché tutto il male del mondo deriva dal non conoscere chiaramente le verità della Sacra Scrittura; di quanto è lì detto non mancherà di avverarsi neanche una virgola”.

Ci siamo soffermati su questi brani perché non esiste ombra di dubbio che l’allenamento a diversi stati modificati di coscienza, sempre più profondi, quasi sicuramente in autoipnosi, anche se allora non era certo conosciuta, hanno fatto di Teresa un tipico esempio di come si possa arrivare fino al più intimo e profondo Sé.

Compaiono allora, in modo sempre più chiaro ed evidente, diversi tipi di visualizzazioni che tali stati comportano, molto variabili, come è intuibile, soprattutto dipendenti dall’orientamento mentale del soggetto, dal suo credo religioso, dalle sue inclinazioni, in parte anche genetiche, ma in modo particolare dalla sua lenta e continua preparazione all’introspezione, dal suo allenamento a “guardarsi dentro” e dalle sue aspirazioni ad uno stato di benessere spirituale sempre più completo.

Questo del resto è anche quello si tenta di fare oggi, con varie tecniche di visualizzazioni spontanee e guidate attraverso le metafore, le favole, le allegorie, i riti, i miti e tutto quello che ha un suo addentellato con l’arcaico, che vive sempre nel più profondo di ognuno di noi. L’arcaico infatti, se analizzato in modo opportuno, è ancora in grado di portarci verso la “conquista dell’anima”.

L’uso della metafora del resto è molto frequente in tutti i mistici e viene applicato per poter descrivere meglio, nei limiti del possibile, tutte quelle esperienze, per le quali, come ben possiamo intuire, manca ancora oggi un linguaggio appropriato.

Negli stadi più avanzati dell’autoipnosi, specie quelli medio- profondi, le esperienze si presentano dunque al di fuori delle realtà di tutti i giorni, in un mondo di sapore attuale ma pur sempre arcaico, futuribile ma anche passato, senza tempo, senza spazio, ove il fluttuare senza peso diventa realtà.

Potremmo terminare ora il nostro discorso con il linguaggio tipico degli stati ipnoidi o similipnoidi, nel contesto dell’autoipnosi medio-profonda, oppure delle esperienze a livelli diversi di coscienza. Esse in questi stati sono così reali, vivide e profonde che per poterle descrivere è più adatto il linguaggio poetico, con tutte le sue allettanti metafore, al posto di quello normale e poco espressivo della prosa.

Non si dice infatti “linguaggio prosaico” quando si vuole sottolineare un linguaggio scarno e a volte perfino scurrile?

Ecco dunque un esempio significativo di linguaggio poetico nello stato di autoipnosi profonda,, mentre ci si sente librare senza peso e senza tempo nello spazio:

“Sentirsi cullati in candide nubi, nel mentre l’aurora accende i colori, e a levante un bel sole nascente comincia di nuovo il suo viaggio di sempre.

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Un lampo di luce già brilla nel cuore con sensazioni di pace e di sogno,

con vibrazioni d’intensa follia, nell’incontrare passato e futuro. E lungo spirali di moto e di luce, più dentro ancora l’immenso infinito, la mente procede ormai senza tempo e vive la vita che pulsa nel cosmo. Si perde lontano il senso del mondo, si perde nel nulla tutto quel che più conta, si perde nel vuoto ogni attimo arcano, si perde lontano…..lontano nel tempo. E lenti si scende…. più dentro al profondo,

in un percorso che parla del vero , in un momento che vive nel bello

e si rinnova nel bozzolo antico. Sospesi nel vuoto…….qual piume nel vento,

leggeri nel tempo……qual foglie vaganti, ardenti nel cuore……qual braci fumanti…..

sentirsi cullati… in braccio all’aurora….”. Angelico Brugnoli

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E CONVINZIONI RELIGIOSE

“Fede è sustanza di cose sperate, ed argomento delle non parventi; e questa pare a me sua quiditate”.

Dante. Paradiso .24. 64-66.

“Credo in Dio Padre Onnipotente. Ma… Ciai quarche dubbio? Tiettelo per te. La fede è bella senza li “chissà”, senza li “come” e senza li “perché”.

Trilussa. Acqua e vino.

“La fede comincia appunto là dove la ragione finisce”. Kierkegaard. Timore e tremore.

“La fede è realtà di cose sperate, e convincimento di cose che non si

vedono”. S.Paolo. Lettera agli Ebrei. XI. 1.

Da molto tempo ci stiamo chiedendo se le convinzione religiose personali

possono in qualche modo influire, almeno in parte, sulle immagini o sulle visualizzazioni spontanee che si producono in determinati stati di coscienza modificati e se sì quale significato possono avere in un contesto personale o addirittura collettivo di gruppo.

L’argomento, come del resto molti altri di questo lavoro, si presenta veramente impegnativo, anche perché, essendo inseriti in una particolare cultura, anche di tipo religioso, non si presenta certamente facile l’analisi non preconcetta di altri tipi di culture con i loro agganci religiosi.

D’altra parte non ci consta che per il momento siano molti i lavori di questo tipo e pertanto ci sforzeremo di essere il più obbiettivi possibile in un’analisi già di per se piuttosto difficile.

Un nostro primo intento è quello di dare brevemente, per quanto è possibile, una definizione delle varie religioni presenti sul pianeta, in modo da entrare meglio nel vivo dell’argomento ed essere validi interpreti di quello che succede all’individuo praticante una qualsiasi di esse quando inizia la strada della meditazione o della mistica.

Non ci poniamo in questo contesto il problema che ogni giorno diviene sempre più attuale anche se iniziato già da parecchi secoli.

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Per raggiungere determinati stati meditativi o mistici è davvero necessario essere anche religiosi, vivere con una fede in qualcuno o qualcosa?

O è sufficiente invece un allenamento accurato, preciso, costante e metodico, come del resto molti meditanti o mistici, per essere in grado di ottenere qualche “momento di grazia”, qualche “attimo cosmico”, qualche “istante di infinito”, qualche “vissuto senza tempo”, qualche “sogno senza spazio”, qualche “visione virtuale”, qualche “ritorno all’arcaico” dentro ognuno di noi?

Il tema che vogliamo considerare in questo lavoro è ben preciso. “Stati di coscienza modificati e convinzioni religiose”. Andiamo dunque per gradi, cercando di essere soprattutto chiari e

sintetici, in modo da non creare ulteriore confusione in un campo ancora così difficoltoso da essere finora affrontato solo da pochissime persone.

Cominciamo dunque con un breve excursus nelle varie religioni, in modo da poter avere qualche elemento in più per valutare più tardi le varie esperienze condotte attraverso diverse convinzioni religiose.

Partiamo in ordine alfabetico, per non toccare, in nessun modo, la suscettibilità di qualche lettore di orientamento diverso dal nostro.

Le notizie sono state ricavate del sito internet: web.tiscalinet.it/anima/, e www.bahai.it naturalmente adattate alle necessità del nostro studio, in modo da essere

il più obbiettivi possibile, anche se a volte piuttosto contrarie a qualche nostra opinione personale in merito.

BAHAI.

(Il testo è quello redatto da William S. Hatcher). “Né setta, né sincretismo, il bahaismo è una religione indipendente allo

stesso titolo dell'islam, del cristianesimo e di altre grandi religioni. Nato in Persia 156 anni fa, ha da sempre predicato la giustizia sociale,

la tolleranza e l'uguaglianza dei diritti di uomini e donne. Il bahaismo si diffonde lentamente ma costantemente in tutti i continenti,

a dispetto degli attacchi di cui è fatto oggetto, in particolare in tanti paesi musulmani. Al principio degli anni Sessanta contava appena 400.000 adepti, che oggi sono diventati circa sei milioni... e tutto fa pensare che il loro numero andrà aumentando, tanto il messaggio baha'i è attuale.

Non si può capire cosa rappresenti la "comunità mondiale baha'i" senza soffermarsi sul contesto della sua comparsa alla metà del secolo scorso. Perché si tratta di un vero fenomeno, al tempo stesso paradossale e misterioso: come è infatti possibile che da un ambiente islamico, sciita e integralista sia nato un movimento progressista, liberale e universale, che è poi riuscito a diffondersi in tutto il mondo con tale rapidità?

Fin dal principio la fede baha'i ha professato una dottrina rivoluzionaria per il suo tempo: richiamando all'uguaglianza dei sessi e alla compatibilità tra scienza e religione, ricordando la relatività della verità (ivi compresa la verità religiosa) e l'unicità assoluta del genere umano.

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Se i suoi principi rappresentavano una sfida perfino per il liberalismo europeo del XIX secolo, che dire dello choc prodotto nel mondo islamico, allora ripiegato nel suo assolutismo?

Tre personaggi hanno guidato quella rivoluzione uscita dall'islam. Il primo si chiamava 'Alí Muhammad Shírází (1819-1850), detto "il Bab

" ("la Porta" sottinteso: la porta aperta su una nuova era). Quindi è stata la volta di Mirza Husain 'Ali (1817-1892), che avrebbe

preso il titolo di "Bahá'u'lláh" (la Gloria di Dio), e dopo di lui il figlio maggiore 'Abdu l-Bahá ("il Servitore di Dio", 1844-1921).

Tutto comincia nel 1844 nella città persiana di Shiraz. Il Bab dichiara di essere il Mahdi ("Colui che è guidato da Dio") incarnazione delle attese escatologiche dei musulmani sciiti.

Il suo insegnamento si limita, in un primo tempo, a un circolo di diciotto discepoli.

Ma grazie alla diffusione dei suoi scritti, raggiunge un numero sempre più vasto di persone, di tutte le fasce sociali, e finisce per arrivare al grande pubblico.

Il processo grottesco contro di lui a Tabriz nel 1848 per "devianza religiosa " a conclusione del quale sarà duramente bastonato non farà che aumentarne la fama.

All'origine, il babismo è percepito dai suoi stessi adepti come una semplice riforma sia pur audace dell'islam. Bisognerà arrivare al 1848 perché si manifesti chiaramente la vera natura delle intenzioni del Bab. Quell'anno gli adepti del capo religioso si riuniscono nel villaggio di Badasht. Il Bab, allora imprigionato nel nord del paese, non può partecipare all'incontro, ma invia messaggi ai suoi discepoli. Una donna, membro del circolo dei diciotto adepti, suscita scandalo. Si tratta della poetessa Tahirih, di Qazvin, della quale si dice che abbia rifiutato di sposare lo scià. La donna già insegna il babismo, varcando così i limiti imposti ai musulmani. Ma a Badasht, con l'appoggio dello stesso Bab, Tahirih andrà ancora più in là: si toglie solennemente il velo in pubblico e afferma che non lo porterà mai più, proclamando al tempo stesso il principio dell'uguaglianza dei sessi e l'alba di un nuovo giorno per l'umanità intera.

Massacri e persecuzioni . Quel gesto spettacolare segna una svolta nella storia del movimento. Gli

adepti del Bab si dividono. Alcuni lo lasciano, spaventati da tanta audacia, altri scelgono di restare al suo fianco. Questi ultimi sono risoluti e la loro fede è incrollabile.

Facendo della condizione della donna uno degli assi portanti della sua religione il Bab segnala senza ambiguità il suo desiderio di scardinare il quadro tradizionale dell'integralismo islamico.

Le rappresaglie non si faranno attendere. Nei quattro anni successivi all'incontro di Badasht, il Bab e i suoi fedelissimi vengono massacrati in modo atroce dalle autorità religiose e politiche del paese. Il dignitario religioso viene fucilato, Tahirih è strangolata.

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Ma non cede in punto di morte e afferma che la sua morte, lungi dal mettere fine alla liberazione delle donne nel mondo intero, segnerà invece l'avvio di quel movimento.

Ricordiamo che tutto questo avveniva nella Persia del 1852, vale a dire cinquanta anni prima che in Francia una donna, Marie Curie, fosse nominata per la prima volta professore alla Sorbona.

L'eco di quegli avvenimenti drammatici risuonò fino in Europa, dove attrasse in modo particolare l'attenzione dell'addetto commerciale della legazione francese di Tehran, il conte Joseph-Arthur de Gobineau. Costui fece del babismo uno dei temi principlai del suo libro Les Religions et les philosophies dans l'Asie centrale (1865).

Ed è dopo aver letto quel libro che l'orientalista inglese Edward Granville Browne decise di consacrare la sua carriera allo studio del babismo. In una delle sue opere, scritta nel 1891, lo studioso avrebbe scritto a proposito di Tahirih, soprannominata Qurratu'l-Ayn, ("una consolazione per gli occhi"): "La comparsa di una donna come Qurratu'l-Ayn è, in qualunque paese e in qualsiasi epoca, un fenomeno raro, ma in un paese come la Persia, rappresenta un prodigio, ma che dico? Quasi un miracolo.

Se per affermare la sua grandezza quella religione non avesse da rivendicare altro, sarebbe sufficiente l'aver prodotto un'eroina come Qurratu'l-Ayn ".

Quando il movimento appare minacciato di estinzione per la violenza delle persecuzioni, Bahá'u'lláh ne prende le redini.

Nato nel 1817 da una famiglia nobile di Tehran, aveva rifiutato di seguire la carriera politica alla quale lo aveva destinato il padre. Fattosi adepto del babismo, Bahá'u'lláh fu uno dei principali attori del famoso incontro di Badasht.

Tutta la sua vita è un susseguirsi di persecuzioni. Nel 1853, è mandato in esilio a Baghdad dove resta per dieci anni prima

di essere nuovamente bandito, nel 1868, nella città-prigione di San Giovanni d'Acri in Palestina

Nel 1863, alla vigilia della sua partenza forzata da Baghdad per Costantinopoli, Bahá'u'lláh dichiara di essere "Colui attraverso il quale Dio si manifesterà", la figura profetica della quale il Bab diceva di preparare la venuta e che avrebbe avuto il compito di completare la sua missione.

La grande maggioranza degli adepti finisce per accettare la rivendicazione di Bahá'u'lláh e il movimento diviene "la fede di Bahá'u'lláh", e dunque la fede "baha'i".

A Bagdad, Bahá'u'lláh comincia a redigere numerosi testi che costituiranno la base essenziale della rivelazione baha'i. Una delle sue prime opere, Il libro della certezza (1853) presenta esplicitamente la concezione baha'i della relatività e del carattere progressivo del fenomeno religioso attraverso la storia. Basandosi su fatti storici e scritti sacri della religione ebraica, cristiana e musulmana, Bahá'u'lláh offre una nuova interpretazione del vissuto collettivo dell'umanità.

Un'interpretazione che si oppone ad ogni assolutismo e ad ogni integralismo religioso, sotto qualunque forma. Mentre il Bab sembrava

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attaccare solo l'integralismo islamico, Bahá'u'lláh si riferisce chiaramente a tutte le religioni stabilite. La fede baha'i è così vissuta come una minaccia non solo per i fondamentalisti musulmani ma per ogni forma di integralismo.

In altri scritti, Bahá'u'lláh va ancora più in là nei suoi enunciati. Per lui il fanatismo e l'integralismo religioso costituiscono i mali più terribili di cui soffre l'umanità.

La logica del capo religioso è imparabile: anche il più meschino dei ladri è alla ricerca del suo interesse personale e si ferma quando ha ottenuto soddisfazione. Viceversa nulla ferma il credente fanatico, convinto di agire con la benedizione divina.

Secondo Bahá'u'lláh, la religione ha uno scopo pragmatico: intrecciare le fila della vera fraternità fra tutti gli esseri umani.

Così come è legittimo giudicare una teoria scientifica dai suoi risultati quantificabili, è legittimo, anzi doveroso sostiene giudicare una religione in funzione della sua capacità di promuovere l'amore e l'unità di tutti gli uomini. La religione non è un fine in sé ma un mezzo e deve rispondere del modo in cui interagisce con la vita. Sempre secondo Bahá'u'lláh, la religione non deve essere vista né come fede né come ideologia, ma come una relazione autentica tra Dio e l'uomo da una parte e tutti gli esseri umani dall'altra.

Qualunque ideologia, che abbia o meno una base religiosa, è una forma di idolatria, pericolosa perché prima o poi finisce per accordare alle idee un'importanza maggiore di quella che accorda all'uomo. Anni dopo, Shoghi Effendi, pronipote di Bahá'u'lláh e interprete designato della fede fa, nel 1931, una presentazione lucida della concezione non ideologica della sua religione:"L'appello di Bahá'u'lláh è, in primo luogo, diretto contro ogni forma di campanilismo, di chiusura mentale e di pregiudizio. Se ideali a lungo coltivati, istituzioni venerate, certi postulati sociali e certe formule religiose hanno smesso di promuovere il benessere della maggior parte degli uomini, non contribuiscono più ai bisogni di un'umanità in perenne sviluppo, allora è bene che siano scartati e relegati nel dimenticatoio delle dottrine abbandonate e superate ... L'umanità non va messa in croce per preservare l'integrità di una legge o di una dottrina particolare".

La fede baha'i contrappone dunque l'umanesimo a ogni forma di ideologia.

Per essa, uccidere è uccidere, che sia in nome di Dio o in nome del proletariato, o di qualche ragione umanitaria.

E del resto non è un caso che Bahá'u'lláh abbia proibito il proselitismo come anche ogni forma di ricorso alla forza per imporre la dottrina baha'i.

Per lui sono proprio i crimini commessi in nome di un ideale supremo che rappresentano la contraddizione interna fondamentale della storia dell'umanità.

Tra il 1844, anno della dichiarazione del Bab, e la fine del XIX secolo, la religione baha'i non fa praticamente adepti in Occidente. Bisognerà aspettare i viaggi e le conferenze di Abdu l-Baha, la terza figura principale di quella fede per assistere a un cambiamento. L'11 agosto 1911, Abdu l-Baha lascia l'Egitto per Marsiglia e comincia così un periplo di 28 mesi

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attraverso l'Europa e gli Stati uniti, con tappe, in particolare, a Londra, Parigi e Stoccarda. Dappertutto espone i principi della fede di suo padre. Nella sola Parigi partecipa a più di 51 conferenze e discussioni, per sottolineare l'universalismo e l'umanesimo della religione baha'i e dimostrane il carattere non settario e non ideologico.

Qua e là in Europa cominciano ad emergere piccole comunità baha'i. E tuttavia, le ideologie che dominano il secolo rifiutano la fede baha'i e anzi l'attaccano.

La religione viene proscritta nella Germania nazista e i baha'i che osano dichiarare apertamente la loro appartenenza religiosa sono trattati allo stesso modo degli altri nemici del nazionalsocialismo. In Russia, la grande comunità baha'i di Ashkabad così come le importanti comunità di Mosca e San Pietroburgo, e altre ancora sono osteggiate dai bolscevichi dopo il 1917. Questi ultimi finiscono per proibire la religione baha'i col pretesto che si tratta di un movimento anti-rivoluzionario, come dire che se quella fede condivide alcuni degli ideali umanitari del marxismo, il suo fondamento spirituale e religioso la mette in contrapposizione con le tesi materialiste dei bolscevichi.

Malgrado tutti questi ostacoli la religione baha'i progredisce rapidamente, nel corso degli ultimi cinquant'anni i suoi testi sono stati tradotti, almeno in parte, in più di 800 lingue.

Solidamente radicata in più di 235 paesi o regioni del mondo, conta attualmente quasi sei milioni di adepti.

Dal 1948, la comunità internazionale baha'i è accreditata alle nazioni Unite come organizzazione non governativa e collabora attivamente con altri movimenti dagli analoghi ideali. Le ultime statistiche rivelano che, dopo il cristianesimo è la religione geograficamente più diffusa nel mondo. La sua diffusione dopo la II guerra mondiale è passata attraverso diverse tappe, le più imprevedibili. La prima grande penetrazione ha avuto luogo in India tra il 1955 e il 1965. Oggi vi si contano più di due milioni di adepti. Analoga crescita si è verificata in alcune regioni dell'Africa, dell'America latina e dell'Oceania (il re attuale delle isole Samoa occidentali professa la fede baha'i).

Se in alcuni paesi, in particolare in Brasile, il governo si rallegra ufficialmente dell'apporto della comunità baha'i alla società, nella maggior parte dei paesi musulmani il bahaismo continua ad essere oggetto di una persecuzione tenace e delle più diverse azioni di disturbo.

Così per esempio, nell'autunno 1998, il governo iraniano ha chiuso l'università libera fondata dai baha'i di quel paese dopo aver interdetto loro l'accesso alle altre università.

Oggi che le grandi ideologie del XX secolo sembrano in via di esaurimento mentre l'integralismo religioso si rivela impraticabile, si può sperare che il XXI sia il secolo di un vero umanesimo non ideologico e non materialista.

Se sarà così, allora anche la comunità baha'i vi avrà la sua parte”.

BUDDHISMO.

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E’ una delle religioni più antiche fra quelle tuttora diffuse sul nostro pianeta. E’ sorta in India nel VI secolo A.C., sulla base degli insegnamenti di Siddhartha Gautama, detto il Buddha, "l'Illuminato", che mise in discussione alcuni principi fondamentali dell'induismo, come il valore dei sacrifici e l'autorità dei brahmani e naturalmente in questo modo addirittura l'intero sistema delle caste.

La religione buddhista è ancora oggi vitale specie in Asia orientale, dove conta 300 milioni di seguaci.

Molto presto al nucleo dottrinale originario sono sorte due forme di buddismo: il buddhismo Theravada dominante nello Sri Lanka, in Thailandia, Cambogia, Birmania e Laos, mentre il buddhismo Mahayana vanta numerosi fedeli in Cina, Taiwan, Corea, Giappone e Vietnam, ed è la forma molto più popolare diffusa in Tibet e in Mongolia.

E’ stato scritto che il Buddha rimase così turbato dalla constatazione dell'infinito dolore che incombe su tutti gli esseri umani che decise, all'età di ventinove anni, di lasciare la reggia paterna, per dedicarsi, libero da attaccamenti ai beni materiali, alla ricerca di una via teorica e pratica che potesse affrancare ogni essere umano dalla sofferenza e portarlo verso la felicità suprema.

Raggiunse l’“Illuminazione” in una notte trascorsa a meditare sotto un albero di fico a Uruvela e da quel momento si mise in cammino per predicare che “La vita è sofferenza, il dolore costituisce l'essenza più profonda della vita umana dalla nascita alla morte, e la morte non rappresenta in alcun modo la liberazione dal dolore, in quanto l'uomo è soggetto al flusso inarrestabile delle rinascite, reincarnandosi continuamente in corpi sempre diversi”.

Alla sofferenza si può porre fine soltanto mediante l'eliminazione del desiderio e l'estinzione di ogni forma di attaccamento all'esistenza, al fine di spezzare definitivamente la catena delle rinascite.

Per ottenere la liberazione dal dolore occorre camminare sulla via dell'Ottuplice sentiero, che racchiude in sé: ”retta visione, retto pensiero, retto discorso, retta azione, retta vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retta meditazione”.

Si tratta, in pratica, del compendio fondamentale della fede buddhista, che vede nella moralità la premessa e insieme la conseguenza della saggezza e della capacità di possederla attraverso la meditazione.

L'individuo di norma è invece indotto alla ricerca spasmodica di una sorta d'immortalità attraverso la rinascita continua in corpi materiali sempre nuovi.

Ogni esistenza è così legata indissolubilmente alle infinite esistenze precedenti e a quelle future, in una catena inestricabile di sofferenza che il saggio deve necessariamente spezzare.

In questo indirizzo di pensiero trova posto anche l'altro concetto portante della tradizione indiana, quello di karma. Esso è la conseguenza etica indotta dal complesso delle azioni che l'individuo compie in ciascuna

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esistenza, determinando inesorabilmente la sua condizione nell'esistenza successiva, secondo una logica di premio e di punizione.

Al proprio karma sono connessi bellezza, intelligenza, longevità, salute e posizione sociale, mentre la condotta in vita porta con sé la possibilità di rinascere sotto forma di animale piuttosto che di uomo, di demone piuttosto che di divinità.

Prendendo atto della presenza ineluttabile del karma nell'infinita vicenda umana, il Buddha ravvisa nell'aspirazione a una vita di ordine superiore il legame che determina, pur nella forma di un impegno etico e religioso volto al nobile fine dell'accumulo dei meriti, l'attaccamento all'azione con il conseguente carico di sofferenza

Il fine ultimo dell'uomo pertanto, secondo le dottrine del Buddha è il raggiungimento della condizione suprema del nirvana, l'estinzione di ogni desiderio e la libertà da ogni forma di condizionamento materiale e psicologico.

Ottenuta questa illuminazione interiore, il saggio prosegue il cammino della sua esistenza terrena abbandonando gradualmente il carico del karma che lo lega al corpo materiale e preparando la strada alla liberazione definitiva.

Essa si manifesta con la condizione del parinirvana, l'annientamento totale che coincide con il momento della morte. L'osservanza, nel corso della lunga vicenda delle rinascite successive, della legge morale, non uccidere, non rubare, non pronunciare menzogna, non fare uso di sostanze inebrianti e non abbandonarsi al disordine sessuale, consente alfine di reincarnarsi finalmente nella condizione di monaco per potere compiere il passo decisivo verso la liberazione.

La tradizione più antica identifica i fedeli del Buddha con i membri di una comunità di carattere essenzialmente monastico con la ben nota immagine del monaco dalla testa rasata, vestito di una tonaca arancione senza cuciture.

Essa evoca tuttora il seguace di questa religione e della sua disciplina, che conserva i suoi aspetti caratteristici nonostante i mutamenti e gli adattamenti certamente sopravvenuti nel tempo.

Il buddhismo viene definito una "religione atea", dato che non prevede alcun tipo di culto ufficiale, ponendosi piuttosto come filosofia di vita per il singolo.

La venerazione del Buddha ha trovato comunque espressione, in forme eminentemente popolari, come testimoniano gli stupa, i tempietti votivi a forma di cupola che fanno parte del paesaggio urbano nei paesi buddhisti e che accolgono le reliquie dell'illuminato, oggetto di una devozione talora molto sentita, come nel caso del dente del Buddha custodito a Kandy, nello Sri Lanka

Il buddhismo rimane ancora vitale nei paesi dell'Asia orientale, soprattutto in Thailandia e in Birmania, per quanto abbia dovuto affrontare, quale conseguenza del rapido processo di occidentalizzazione, alcune delle istanze tipiche di una società moderna

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BUDDHISMO ZEN. Indirizzo di pensiero che, sorto in Cina dall'incontro del buddhismo

mahayana con il taoismo cinese, si diffuse prevalentemente in Giappone. “Zen" è la forma giapponese della parola cinese ch'an (meditazione),

a sua volta connessa con il termine dhyana, utilizzato in sanscrito per indicare la condizione contemplativa che pone la mente a un livello di coscienza prossimo a quello di un Buddha, liberandola dalla percezione della distinzione fra il sé e la realtà esterna.

Si tratta del tentativo, comune anche ad altre scuole buddhiste, di superare i condizionamenti delle proprie sensazioni attraverso la consapevolezza del "vuoto" (sunyata) che caratterizza tutte le cose.

L'illuminazione (satori) é una conoscenza sperimentale del mondo della identità o della unità dell'essere, che traspare nel mondo visibile e nella quotidianità in cui viviamo.

Ogni elemento sensibile viene ad acquisire enorme importanza: dal filo d'erba alla goccia di rugiada, fino agli esseri viventi compresi gli insetti.

Un grande maestro disse "prendete anche un solo granello di polvere e in esso si manifesterà il mondo nella sua integrità".

La scuola soto è oggi assai conosciuta, anche in Occidente, poiché‚ raccomanda la pratica della meditazione detta zazen che si esegue seduti, nella posizione yogica detta "del loto", seguendo il ritmo del respiro, senza idee né pensieri.

E ciò per ottenere il "vuoto di Sé", vale a dire lo "spazio" e accogliere cosi l'illuminazione, che avverrà, per così dire, da sola, allorché‚ dopo lunghi esercizi, lo spirito si sarà dilatato e sarà giunto a uno stato di coscienza più profondo di quello ordinario. Non meno importante è, per la scuola rinzai, il metodo del koan, rifiutato invece dalla scuola soto.

Il koan è un enigma, o un problema insolubile, o un paradosso logico, che il maestro propone al discepolo per aiutarlo a scoprire l'inadeguatezza di ogni sforzo razionale a penetrare la realtà ultima.

Solo quando il discepolo ha raggiunto un certo grado di maturazione e può accettare il paradosso propostogli, il koan diverrà un mezzo per tenere occupata la mente senza pretesa di trovare una soluzione logica e infine produrrà il vuoto della coscienza, sebbene apparentemente povero di contenuti concettuali.

La via dello Zen va oltre ogni divisione religiosa, culturale e razziale per proporsi come Via del "Risveglio" dell'uomo a tutte le sue potenziali energie, per vedere la realtà cosi come é, al di là dei nostri condizionamenti”.

La millenaria saggezza orientale, sposata con l'indagine profonda della mente occidentale, fanno oggi dello Zen, specialmente attraverso la meditazione Zen e l'approccio costante del vivere quotidiano alla realtà "qui e ora", la Via che l'uomo può percorrere per ritrovare i suoi silenzi interiori e le sue energie dissipate.

In questo contesto si torna ad essere Uno con Corpo, Mente e Spirito per percorrere la Via dello Zen col significato ultimo di spezzare l'io per

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ritornare ad una nuova realtà della vita più consona alla vera essenza dell’uomo, dove paura e disagio sono superati dalla pienezza del cuore.

Il fine è cosi raggiunto e la Via al di la della sofferenza si apre alla gioia.

CONFUCIANESIMO. Sistema di pensiero cardine della filosofia cinese, nato dall'insegnamento

di Confucio e dei suoi discepoli. Le dottrine del confucianesimo si imperniano sui principi etici, sull'arte

del buon governo e su una saggezza pratica applicata alla qualità delle relazioni sociali.

Il confucianesimo influenzò il modus vivendi e i modelli sociali di molti secoli e offrì un fondamento teorico ad alcune teorie e istituzioni politiche radicate in Cina.

Da qui si diffuse in Corea, Giappone e Vietnam, divenendo un elemento costante nella cultura dell'Asia orientale e stimolando l'interesse degli studiosi occidentali fin dal momento in cui venne introdotto in Occidente.

Benché sia stato a lungo l'ideologia ufficiale dello stato cinese, il confucianesimo non fu mai una religione istituzionalizzata con una chiesa e un clero.

Gli eruditi cinesi onorarono Confucio come un grande maestro e un saggio ma non lo venerarono mai come una divinità personale, benché gli occidentali abbiano identificato a lungo questa venerazione con quel culto degli antenati che è parte integrante della religione cinese.

Confucio non si proclamò mai una divinità in nessun momento della sua vita.

A differenza delle chiese cristiane, i templi eretti in onore di Confucio non erano luoghi in cui la comunità religiosa si riuniva per pregare, bensì edifici pubblici destinati a cerimonie annuali, la più importante delle quali si svolgeva nel giorno del compleanno del filosofo.

I numerosi tentativi di divinizzare Confucio e di interpretare il confucianesimo come una religione fallirono grazie anche alla natura essenzialmente laica di questa filosofia.

I principi del confucianesimo si trovano in nove antiche opere stilate da Confucio e dai suoi discepoli, che vissero durante la dinastia Chou, in un'epoca di grande fermento intellettuale.

Questi scritti possono essere suddivisi in due gruppi: i "Cinque Classici" e i "Quattro Libri". I Wujing (Cinque Classici), probabilmente scritti anteriormente all'epoca

di Confucio, comprendono il Yijing o I Ching (Libro dei mutamenti) (del quale daremo una descrizione ed una valutazione personale in un capitolo a parte del presente studio), lo Shujing (Libro della storia), lo Shijing (Libro delle odi), il Liji (Libro dei riti), e il Chunqiu (Annali primavera-autunno).

Il Yijing è un manuale di divinazione basato su 64 esagrammi, compilato probabilmente al tempo della dinastia Shang, prima dell' XI secolo a.C., e la cui sezione filosofica, contenuta in una serie di appendici, potrebbe essere stata scritta successivamente dalla scuola di Confucio.

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Lo Shujing è una raccolta di antichi documenti storici, e lo Shijing è un'antologia di poemi.

Il Liji si concentra sui principi della buona condotta, fra cui quelli che riguardano le cerimonie pubbliche e private. Sebbene sia stato distrutto nel III secolo a.C., molti degli argomenti ivi trattati sono stati salvati nella compilazione sopravvissuta fino alla nostra epoca, che risale alla dinastia Han.

Il Chunqiu, l'unica opera presumibilmente compilata da Confucio stesso, è una cronaca dei principali eventi storici svoltisi nello stato in cui nacque Confucio, Lu, e in altre zone della Cina feudale a partire dall' VIII secolo A.C. fino alla morte di Confucio, avvenuta all'inizio del V secolo a.C.

I Sishu (Quattro Libri), compendio dei detti di Confucio e del filosofo Mencio e delle riflessioni dei discepoli sui loro insegnamenti, comprendono:

il Lunyu, una raccolta di massime di Confucio che costituisce il fondamento della sua dottrina morale e politica;

il Daxue (Il grande sapere) e lo Zhongyong (La dottrina del mezzo), che riportano alcune affermazioni filosofiche di Confucio stilate in forma sistematica insieme a commenti e osservazioni dei suoi discepoli;

il Mengzi (Libro di Mencio), in cui si concentrano gli insegnamenti di uno dei più famosi discepoli di Confucio.

Secondo il filosofo, chiavi del buon ordine erano i riti (li) e la musica, che, oltre alla fondamentale importanza per le cerimonie religiose e politiche possedeva il potere di muovere l'animo umano.

Egli tenne in grande considerazione anche i poemi dell'antica letteratura cinese, in gran parte musicati, per la loro influenza civilizzatrice ed edificante e il corretto uso dei nomi, che garantiva il mantenimento del rispetto delle distinzioni sociali e conoscitive alla condizione di applicare, per ciascuna di esse, il nome appropriato.

Uno stato provvisto dei riti e della musica più appropriata avrebbe reso automaticamente i suoi cittadini sia virtuosi che felici. In questo modo non ci sarebbe stata nessuna necessità di leggi dal momento che non sarebbero mai nate dispute.

Il motivo fondamentale dell'etica confuciana è ren, concetto variamente tradotto come "amore", "bontà", "umanità" e "sensibilità".

Ren è la virtù suprema, che rappresenta le qualità umane migliori. All'epoca di Confucio venne riferita esclusivamente al ceto dirigente ed

ebbe un significato più simile a "nobiltà", benché la sua accezione si fosse presto estesa.

Nelle relazioni tra due individui ren si manifesta in zhong, lealtà reciproca e in shu, altruismo, espresso nel modo migliore dalla regola aurea confuciana: "Non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te".

Altre importanti virtù confuciane sono rettitudine, decoro, integrità e amore filiale.

Dopo la morte di Confucio nacquero due scuole principali di pensiero confuciano, una rappresentata da Mencio, l'altra da Xunzi, Hsün.

Per le caratteristiche del nostro studio merita particolare menzione in seno al neoconfucianesimo la scuola xin, che si riferisce alla mente.

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L'esponente principale della scuola xin fu Wang Yangming, che concepì l'unità della conoscenza e della realtà.

La sua affermazione più celebre fu: "Al di fuori della mente, né legge né oggetto". Egli asserì che la mente racchiude tutte le leggi della natura e che nulla esiste indipendentemente dalla mente. Sforzo supremo di ognuno dovrebbe essere quello di sviluppare la "conoscenza intuitiva" della mente, non mediante lo studio o l'indagine di una legge naturale, ma mediante “un'intensa riflessione e una pacata meditazione”.

La Corea nell'epoca della dinastia Choson e il Giappone durante il dominio degli shogun della dinastia Tokugawa adottarono il neoconfucianesimo, che in questi paesi divenne vera e propria ortodossia.

Tuttavia, durante la dinastia Manciù (1644-1912) in Cina si verificò una violenta reazione contro entrambe le scuole di pensiero neoconfuciano, li e xin.

Gli eruditi dell'epoca Manciù invocarono un ritorno all'antico confucianesimo del periodo Han, che non era stato ancora "corrotto" dalle concezioni buddhiste e taoiste.

Essi elaborarono una critica testuale dei classici confuciani ispirata a un metodo scientifico che applicasse discipline come la filologia, la storia e l'archeologia.

Inoltre, studiosi come Dai Zhen introdussero nella filosofia confuciana una prospettiva empirista.

Dopo il 1911 con la caduta della monarchia e della tradizionale struttura familiare, da cui derivò gran parte della sua forza e che fu il suo principale sostegno, il confucianesimo perse la sua effettiva influenza sulla nazione.

In passato esso era spesso riuscito a superare ogni avversità rinascendo con rinnovato vigore, ma durante questo periodo di agitazioni sociali senza precedenti esso non riuscì a ritrovare la capacità di adattarsi a situazioni mutevoli.

La vittoria del comunismo cinese nel 1949 mise in rilievo l'incerto futuro del confucianesimo.

Molte tradizioni che si basavano sul confucianesimo vennero soppresse. fu destituito di ogni importanza, ad esempio, il sistema familiare, tenuto in gran conto nel passato quale fondamentale istituzione confuciana.

Vennero pubblicate rare edizioni dei classici confuciani e durante la rivoluzione culturale vennero organizzate campagne ufficiali contro il confucianesimo.

Ma nel corso degli ultimi anni, quando finalmente fu allontanato della Cina, almeno in parte, il dogmatismo maoista, il Partito comunista cinese tornò a sostenere la legittimità del confucianesimo.

Per lungo tempo gli studiosi occidentali hanno ammirato il confucianesimo per la sua sintesi di razionalismo laico e consapevolezza etica.

Più di recente esso è stato di nuovo considerato alla luce della sua filosofia per molti versi ancora moderna in contrasto con la debolezza delle tradizionali dicotomie filosofiche occidentali, come materia e spirito, oppure fatto e valore.

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Nel frattempo, alcuni stati moderni dell'Asia, specialmente Singapore, hanno approvato una legislazione fedele ai precetti confuciani, ispirandosi alla filosofia quale fonte di quei "valori asiatici" non-occidentali che conferiscono maggior rilievo a un'amministrazione di tipo paternalistico piuttosto che a una democrazia di tipo pluralista e alla solidarietà sociale più che all'individualismo che caratterizza il liberalismo e che tende a introdurre divisioni nel campo sociale.

L'attenzione del confucianesimo all'istruzione ha certamente favorito lo straordinario sviluppo economico del Giappone, di Taiwan, della Corea del Sud e di altri stati dell'Asia orientale.

Il confucianesimo moderno ha certamente contribuito, beneficiandone esso stesso, al crescente senso della comunità e fiducia di sé diffuso negli stati asiatici che si affacciano sul Pacifico.

CRISTIANESIMO. La persona di Gesù Cristo è il punto di partenza essenziale ed il

riferimento costante per la dottrina di tutte le chiese cristiane, anche perché nessun altro fondatore di religioni è morto sulla Croce.

Gesù Cristo è considerato unanimemente il portatore di una fede nuova, completamente rivoluzionaria e rivelatrice per l'umanità intera.

I precetti cristiani che si possono considerare quasi universali tra tutte le varie divisioni di origine cristiana sono:

Gesù Cristo è Dio e Dio è Amore. Si deve amare Dio e il prossimo. Dio interviene nella storia dei popoli e dell’individuo. La natura e la volontà di Dio sono rappresentati nella Bibbia. Il Gesù storico, tuttavia, essenzialmente rintracciabile nel Nuovo

Testamento in cui si troverebbero tramandati i tratti fondamentali della vita e della predicazione del Maestro, appare inscindibilmente associato alla realtà stessa di Dio.

La predilezione divina per l'umanità si sarebbe manifestata proprio nella persona di Cristo, che assunse una natura umana.

"Figlio di Dio" si proclama il Gesù dei Vangeli, che a "Dio padre" fa costante riferimento.

Questa intimità di un uomo con la potenza invisibile della divinità avrebbe ricevuto la sua solenne conferma nella resurrezione e nel ritorno al cielo del Maestro, quaranta giorni dopo la sua morte sulla croce, morte attraverso la quale l'umanità intera avrebbe ricevuto prova dell'amore infinito di Dio e del suo disegno di riconciliazione e di salvezza.

"Dio è amore" proclameranno i cristiani, dopo aver fatto della croce l'oggetto principale della loro devozione e il simbolo supremo di questo amore del Padre.

Egli, soltanto per manifestare il suo amore, avrebbe creato l'universo dal nulla ponendo come vertice e sigillo della sua azione creatrice l'umanità,

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destinata fin da principio alla salvezza e all'incontro diretto con il Padre nella persona di Cristo Gesù.

In Gesù gli uomini diventano a loro volta "figli di Dio" ricevendo il battesimo "nel nome del Padre, del Figlio" e "dello Spirito Santo", strumento della presenza eterna di Dio a fianco dell’umanità.

Se il battesimo, riservato originariamente agli adulti ma poi amministrato per tradizione agli infanti, costituisce fin dai primordi del cristianesimo la cerimonia di iniziazione alla fede.

L'Eucaristia o cena del Signore, è indubbiamente il rito principale, la cui istituzione risalirebbe a Gesù stesso sulla base delle parole "Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue" attribuitegli dai Vangeli.

Proprio l'interpretazione di queste parole è tuttora motivo di divisione fra le confessioni cristiane.

Alcune di esse, infatti, come il cattolicesimo, sostengono la presenza reale del Cristo nelle specie del pane e del vino; altre, invece, di matrice protestante, parlano generalmente di presenza simbolica.

Non esiste nemmeno una prospettiva univoca concernente il concetto fondamentale di "Chiesa" vocabolo di origine greca che designa l'assemblea di quanti si trovano uniti dalla fede comune in Gesù.

Se per la tradizione cattolica Cristo è il fondatore di una Chiesa basata sull'autorità dei successori degli apostoli, e quindi necessariamente legata a un principio gerarchico, il pensiero protestante tende idealmente a concepire la comunità come libera associazione dei credenti.

Alle rivendicazioni storiche della Chiesa cattolica, che si pone tradizionalmente come unica Chiesa legittima legata direttamente al fondatore, fa riscontro oggi la tendenza di alcune comunità protestanti a proclamarsi unica Chiesa pura e autentica.

La situazione contemporanea però conosce in misura sempre maggiore l'abbandono di una tale prospettiva esclusivistica da parte di esponenti delle diverse confessioni, nell'ambito di un movimento più ampio il cui fine ultimo è la ricerca dell'unità fra tutti i cristiani.

Pur invitando i fedeli alla pratica della meditazione e della preghiera personale, ogni comunità cristiana si raduna periodicamente per celebrare il culto.

La liturgia cristiana ha assunto nei secoli forme sempre più complesse e tuttora visibili nel patrimonio rituale della Chiesa cattolica e di quelle ortodosse.

Le Chiese protestanti hanno invece operato una semplificazione, nell'intento di ritornare all'essenzialità delle prime comunità.

Fondamentale per la vita dei cristiani è l'impegno di carattere etico. La considerazione dell'amore di Dio per l'umanità trova compimento nel

comandamento supremo dell'amore fra gli uomini. Esso costituisce una prescrizione generale, che non determina comunque

uniformità di comportamento fra tutti i cristiani, spesso schierati su posizioni diverse, dal conservatorismo estremo a percorsi indubbiamente progressisti, come certi movimenti della Chiesa dell’America Latina.

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È comunque d'obbligo per tutti i fedeli l'ottemperanza a valori quali la sacralità assoluta della vita umana e il dovere di lottare per la giustizia e per un mondo migliore.

A questo proposito il cristiano sa bene che la pratica dell'amore rappresenta un ideale difficile da realizzare e che la lotta per il bene deve scontrarsi con un'umanità comunque peccatrice e con un mondo che oscilla costantemente fra l'aspirazione al bene e la realtà del male; né mai è esistita nella storia umana una sorta di Età dell'Oro in cui la giustizia avrebbe trionfato.

Le speranze dei cristiani sono tuttavia concentrate sulla vita eterna e sull'attesa del ritorno glorioso di Cristo, la parusia, che avrà luogo alla fine di questo mondo.

Questa nozione, appartenente alla dottrina cristiana benché diversamente interpretata nei vari momenti storici, nacque con l'attesa spasmodica della fine imminente del mondo, che caratterizzò certamente il I secolo dell'era cristiana e condusse all'elaborazione di alcune dottrine.

Tra queste spicca il millenarismo, spesso riemerso in alcune aree confessionali fino ai nostri giorni specie in occasione del passaggio dall’anno 1999 all’anno 2000, nonostante il ridimensionamento costante, a livello di fede e di predicazione, della visione escatologica.

Le informazioni in nostro possesso circa la vita e il messaggio di Gesù sono quelle contenute nei testi, in primo luogo i Vangeli, ma anche gli altri scritti del Nuovo Testamento, redatti dagli appartenenti alle prime comunità cristiane allo scopo di diffondere i contenuti della nuova religione.

Proprio questo carattere dei documenti neotestamentari, concepiti in primo luogo come attestazione di fede in colui che si rivelò figlio di Dio per mezzo del prodigio straordinario della resurrezione, rende oltremodo difficile una ricostruzione precisa della vicenda storica del Cristo.

Gli episodi salienti di questa vicenda sarebbero stati riletti dalla comunità primitiva alla luce della fede stessa, per mezzo di procedimenti articolati e complessi che la moderna critica biblica si è sforzata di determinare.

Sede della prima comunità cristiana fu la città di Gerusalemme, almeno fino alla sua distruzione a opera dell'esercito romano nel 70 d.C..

Lì i discepoli di Cristo costituivano apparentemente una delle correnti dell'ebraismo prima che i rapporti con la religione da cui lo stesso Cristo aveva preso le mosse si facessero oltremodo complessi.

I cristiani, infatti, non esitarono a vedere nella vicenda del loro Maestro il compimento delle promesse che Dio aveva fatto al popolo ebraico per mezzo dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, secondo quanto attestavano quei libri che costituivano la Bibbia ebraica e che saranno integralmente riconosciuti dalla nuova Chiesa come Antico Testamento.

La comunità cristiana, dunque, si considerò l'erede privilegiata della tradizione religiosa del popolo a cui apparteneva, identificandosi con quel "resto di Israele", che non era la totalità del popolo ebraico, destinato a rimanere fedele alle promesse del suo Dio.

Questa esclusione dal compimento delle antiche promesse si concretizzò nell'atteggiamento di quegli ebrei che non solo rifiutavano il messaggio del

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Cristo, ma avevano inoltre approvato, se non addirittura invocato, la sua condanna a morte.

La disputa sulla persona di Gesù allontanò così sempre di più i cristiani dal resto del popolo ebraico, e il solco divenne incolmabile quando la comunità cristiana decise, soprattutto per impulso di Paolo di Tarso, di rivolgere la sua azione di proselitismo ai cosiddetti "gentili", ovvero ai pagani.

Questi ultimi, non provenienti dalla radice dell'ebraismo, erano destinati a divenire la componente preponderante della Chiesa.

A questo proposito non si può fare a meno di ricordare come l'avanzare del cristianesimo nel corso dei secoli condusse in qualche modo a concepire sempre più l'intero popolo ebraico come responsabile della morte del figlio di Dio e del rifiuto del suo messaggio.

Si crearono così le premesse ideologiche per il fenomeno dell'antisemitismo, rimasto vivo fino ai giorni nostri, almeno fino a quando Papa Giovanni Paolo II°, in visita ai luoghi Santi in Palestina, fece pubblica ammenda, davanti al famoso “muro del Pianto”, in Gerusalemme, dei peccati della Chiesa Cattolica verso il popolo ebraico.

Le già ricordate lettere di Paolo costituiscono anche il primo importante tentativo di tratteggiare un sistema teologico del cristianesimo e, insieme ad altri scritti, forniscono importanti notizie circa l'organizzazione delle prime comunità, che sembrano già amministrate da "presbiteri", cioè gli anziani, già sotto la supervisione di un vescovo.

L'impegno a definire i contenuti fondamentali della fede divenne predominante nel II e III secolo, soprattutto a motivo delle controversie sorte in relazione alla persona del Cristo, la cui natura veniva definita da alcune correnti, poi dichiarate eretiche, come unicamente divina oppure unicamente umana.

Si giunse così ai primi concili ecumenici, fra cui quelli di Nicea nel 325 e di Calcedonia nel 451, che formularono ufficialmente la dottrina della Trinità e della doppia natura, insieme umana e divina, di Gesù, elaborando quello che per secoli sarà il linguaggio filosofico della teologia cristiana.

Questo linguaggio ispirerà le opere, redatte in greco e in latino, di un grande pensatore come Sant'Agostino.

Per quanto riguarda invece i suoi rapporti con le autorità politiche, il cristianesimo, dapprima riconosciuto come setta ebraica nell'ambito dell'impero romano, incontrò già prima della morte di Nerone nel 68 D.C. grande ostilità degli imperatori.

Essi erano particolarmente preoccupati del rifiuto da parte dei cristiani, adoratori di quello che consideravano loro unico Signore, del culto tributato alla figura imperiale stessa.

Si verificarono così periodi di persecuzione più o meno violenta e numerosi cristiani dovettero affrontare la morte pur di non rinnegare le loro convinzioni, andando a costituire la schiera, da sempre oggetto di venerazione della Chiesa, dei testimoni, in greco "martiri", supremi della fede.

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Il fallimento sostanziale del tentativo, condotto in particolare da alcuni imperatori come Diocleziano, di sradicare il cristianesimo attraverso la persecuzione sistematica, portò di fatto a una sua diffusione ancor più massiccia, come già aveva visto lo scrittore nordafricano Tertulliano, autore della celebre definizione secondo la quale “il sangue dei martiri sarebbe stato seme per la Chiesa”.

Si arrivò così all'accettazione della nuova fede da parte delle autorità e alla promulgazione del decreto dell'imperatore Costantino.

Nell'anno 313 il cristianesimo risultava ufficialmente una fra le religioni dell'impero romano, fatto che determinò una sempre maggiore contiguità al potere politico e preparò la strada al successivo editto dell'imperatore Teodosio, con il quale quella predicata dai cristiani divenne unica religione accettata dall'impero.

Se la Chiesa ottenne in tal modo indubbi privilegi, divenendo effettivamente anche una forza politica, rimase vivo in molti fedeli il desiderio di un ritorno alla purezza della vita religiosa delle origini.

Questa propensione assunse indubbiamente un ruolo di rilievo nella diffusione della pratica del monachesimo, nata nel deserto egiziano, con S.Antonio del deserto luogo in cui molti cristiani vissero l'esperienza di una vita isolata nella preghiera e nella mortificazione.

Per noi sono motivo di studio e di attenzione, perché, dalle loro descrizioni di “esperienze particolari e di visioni o di lotte con entità significative” abbiamo qualche spunto per ricordare l’argomento del nostro lavoro che si impernia appunto sugli stati di coscienza modificati.

La pratica dell'ascetismo monastico si diffuse nelle altre regioni orientali dell'impero romano, prima di approdare in Occidente.

Proprio i monaci saranno in Europa i principali protagonisti dell'evangelizzazione di numerosi popoli celtici e germanici e notevole sarà anche la loro attività di trasmissione della cultura antica.

Fra le iniziative di Costantino non è certo da trascurare il trasferimento, nel 330, della capitale dell'impero da Roma a Bisanzio, da lui ribattezzata Costantinopoli.

Il cristianesimo orientale si caratterizzò immediatamente per la tendenza a mantenersi indipendente dalla sede di Roma, alla quale le Chiese d'Occidente riconoscevano ormai più o meno ufficialmente una posizione di primato.

Appare pertanto evidente anche la sua propensione a sottomettersi al volere degli imperatori, secondo la logica che passerà alla storia come "cesaropapismo" e che trova la sua attestazione simbolica nella dedicazione, nel 538, della chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli da parte dell'imperatore Giustiniano.

Buona parte dei territori orientali dell'impero che avevano visto la diffusione del cristianesimo finirono, fra il VII° e l'VIII° secolo, sotto il dominio dell'Islam.

Costantinopoli rimase l'ultimo baluardo della fede cristiana in Oriente fino al 1453, anno in cui cadde nelle mani dei turchi.

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L'evoluzione autonoma della Chiesa di Costantinopoli e il suo progressivo allontanamento dalla comunione con la sede romana ebbero come sbocco finale lo scisma del 1054, con la reciproca scomunica fra i delegati papali e il patriarca orientale e la nascita di quelle Chiese che si diffonderanno in Oriente con il nome di ortodosse.

Fallito ogni tentativo di riconciliazione, Costantinopoli venne addirittura saccheggiata nel 1204 da parte dell'esercito dei crociati, partiti dall'Europa apparentemente con l'intento di liberare i luoghi santi della Palestina dal dominio islamico.

Anche questo fatto è per il nostro studio motivo di grande interesse, perché, proprio presso la Chiesa ortodossa si sono sviluppate quelle correnti di pensiero e di azione che fanno parte dell'“esichia". I monaci esicasti infatti si ritiravano in meditazione fino a raggiungere momenti particolari o stati di coscienza modificati nei quali avevano esperienze di visioni di Dio, di Satana, oppure di incontri significativi.

Motivo di controversia fra Roma e Costantinopoli fu anche la cristallizzazione dei popoli slavi, alcuni dei quali – polacchi, moravi, cechi, slovacchi, croati e sloveni – entrarono nell'orbita del cristianesimo occidentale e sono ancora oggi in maggioranza cattolici.

I russi invece, fin dall'epoca della conversione al cristianesimo del principato di Kiev, ereditarono la visione culturale e religiosa di Costantinopoli, entrando a far parte della Chiesa ortodossa insieme ai popoli balcanici – serbi, bosniaci, macedoni, bulgari, rumeni e albanesi – e ai greci, anche se molti di essi, successivamente, si sono visti imporre l'islamismo in seguito alle invasioni dei turchi ottomani.

Il cristianesimo occidentale, con il trasferimento della capitale dell'Impero Romano a Costantinopoli, contribuì al fatto che la figura del vescovo di Roma acquisisse in misura sempre maggiore quel ruolo prestigioso attribuitogli in Europa occidentale, poiché era il capo della Chiesa che aveva conosciuto la predicazione di San Pietro e di San Paolo.

Questo privilegio sarebbe stato definito "primato" del papa, caposaldo della tradizione del cattolicesimo, e si sarebbe arricchito di connotazioni politiche dopo la caduta dell'impero romano d'Occidente, avvenuta nell'anno 476, sotto la spinta delle cosiddette "invasioni barbariche".

Fu proprio l'attività missionaria che faceva capo alla sede romana a rendere possibile l'incontro dei popoli germanici con il cristianesimo, spesso a seguito della conversione di un sovrano, come nel caso del re dei franchi Clodoveo.

Nell'anno 800 il papa Leone III poté incoronare Carlo Magno imperatore di un impero definito "romano" e "sacro".

La lingua latina divenne così il veicolo fondamentale della trasmissione del messaggio cristiano e nel contempo della cultura antica.

Tutti i popoli d'Europa entrarono nel corso dell'Alto Medioevo nella sfera di influenza della Chiesa di Roma, che intorno all'anno Mille aveva già elaborato la sua caratteristica struttura organizzativa, imperniata sulla figura dei vescovi e degli abati dei monasteri.

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L'edificio dell'impero cristiano, che si reggeva sull'equilibrio fra il potere politico dell'imperatore e l'autorità spirituale del papa, corse il rischio di crollare con il sorgere, nel 1075, di una controversia, nota come lotta per le investiture, fra il papa Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV.

Il sovrano, infatti, rivendicava il diritto, fino ad allora riservato al papa, di nominare, con la cerimonia dell'investitura appunto, i vescovi.

Una tale presa di posizione diviene comprensibile se si pensa al ruolo che i dignitari ecclesiastici avevano assunto nell'ambito del sistema feudale, amministrando direttamente vaste proprietà terriere ed equiparandosi così alla nobiltà locale, sulla quale l'imperatore desiderava esercitare la sua autorità.

Enrico IV finì comunque col sottomettersi, nel 1077, all'autorità del papa e il dissidio fu formalmente ricomposto, anche se sarebbe riaffiorato a più riprese nei decenni successivi, ad esempio in occasione della scomunica comminata dal papa Innocenzo III nel 1209 al re Giovanni d'Inghilterra per ottenere la sua sottomissione.

Alla collaborazione fra papato e impero si deve anche il progetto di una spedizione militare volta a riconquistare al dominio cristiano i luoghi santi di Palestina caduti nelle mani dei musulmani.

Le crociate, intraprese a partire dal 1095, portarono anche alla fondazione di un regno latino di Gerusalemme, destinato tuttavia a crollare nel giro di un secolo e a costituire, insieme alla quarta crociata (1202-1204), uno dei momenti di un'impresa complessivamente fallimentare.

I secoli del Basso Medioevo furono caratterizzati anche da un'eccezionale fioritura in campo speculativo e dall'elaborazione di sistemi teologici estremamente dotti e raffinati, che beneficiarono, a livello lessicale e concettuale, della disponibilità in Occidente, attraverso traduzioni latine eseguite su versioni arabe, delle opere di Aristotele.

San Tommaso d'Aquino cercò così, attraverso un'opera poderosa, di rendere il percorso della ragione umana compatibile con i dati della rivelazione biblica in vista del fine ultimo del riconoscimento dell'esistenza di Dio.

Per capacità logiche e sintetiche si distinsero anche personalità quali Anselmo d'Aosta, Abelardo e Bonaventura.

Le nuove potenzialità acquisite in campo teologico e dottrinale, tuttavia, non risparmiarono alla Chiesa cattolica un periodo veramente buio, culminato con il trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone fra il 1309 e il 1377, a cui fece seguito il cosiddetto scisma d'Occidente, o Grande Scisma, l'epoca in cui la Chiesa conobbe, fino al 1417, la presenza di due e talora anche tre dignitari che rivendicavano contemporaneamente il diritto a essere riconosciuti come papi.

Riforma e Controriforma Per quanto la Chiesa occidentale avesse conosciuto in diverse occasioni

movimenti che si proponevano una riforma morale dell'istituzione ecclesiastica, nulla lasciava presagire l'esplodere del fenomeno che portò, nel XVI secolo, alla nascita delle Chiese protestanti separate dalla sede romana.

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La scomunica comminata da papa Leone X al monaco Martin Lutero convinse questo riformatore a costituire una comunità religiosa autonoma, che si organizzò sulla base di una visione teologica ed etica originale e poté diffondersi in Germania grazie al sostegno dei prìncipi locali, procedendo così di pari passo con l'emergere di un sentimento nazionale.

Sulla strada di Lutero si incamminarono altri riformatori come Calvino e Zwingli, fondatori di Chiese che fioriranno fino ai nostri giorni, a differenza di altre comunità religiose sorte in quel periodo, come quella degli ugonotti francesi, che si videro prima riconoscere con l'editto di Nantes del 1598 e poi revocare nel 1685 i propri diritti.

Stessa fine fecero comunque anche gli anabattisti. La necessità di limitare la diffusione del protestantesimo, riconoscendo

comunque alcune istanze riformatrici che pur continuavano a farsi sentire al suo interno, spinse la gerarchia cattolica a impegnarsi, con i lavori del concilio di Trento dal1545 al-1563, nell'elaborazione di un piano di riorganizzazione a livello legislativo, liturgico e pastorale.

E’ questo anche il momento del fiorire dei grandi mistici cattolici come Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, per ricordare solo i più importanti, che si sono rifatti ad ogni modo alle esperienze di Giovanni di Ruusbroec , dei quali abbiamo già trattato in altro capitolo.

Esso costituirà il motivo ispiratore dell'azione del cattolicesimo nell'epoca immediatamente successiva, caratterizzata dalla cosiddetta controriforma e dall'attività del nuovo ordine religioso dei gesuiti.

In Inghilterra la controversia formale del re Enrico VIII con la sede romana costituì il momento culminante della lunga vicenda dei rapporti fra potere ecclesiastico e potere politico, ed ebbe come conseguenza la nascita dell'anglicanesimo.

Questa Chiesa rimaneva idealmente cattolica nella sua visione teologica, pur nel distacco dalla comunione con il papa e nell'assorbimento, via via sempre più marcato, di alcuni elementi tipici del protestantesimo.

Le istanze di rinnovamento, emerse ben presto anche all'interno della Chiesa di Inghilterra, trovarono espressione nel fenomeno del puritanesimo, i cui ideali di rigore etico ebbero numerosi sostenitori soprattutto in America, dove si fecero sentire anche le conseguenze dell'attività dei predicatori ispirati dal pietismo, un'altra delle correnti riformatrici sorte nell'ambito del protestantesimo europeo.

Nell'età moderna la storia del cristianesimo dal XVII secolo in poi può essere identificata con l'evoluzione dei rapporti delle diverse Chiese con quei movimenti concepiti inizialmente come alternativi alla stessa visione religiosa della vita.

La controversia con la scienza ebbe i suoi momenti significativi con la condanna di Galileo Galilei a opera dell'Inquisizione cattolica e con la resistenza, condotta soprattutto in ambito protestante, alla teoria dell'evoluzionismo, ritenuta incompatibile con la dottrina biblica della creazione.

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Entrambe le confessioni, unite in un primo momento nella condanna della prospettiva razionalistica dell'illuminismo, dovettero accettare, seppure con tempi e atteggiamenti diversi, i risultati della critica biblica.

Esse dovettero così rimettere in discussione con criteri scientifici il contenuto dei testi sacri e le origini stesse del cristianesimo.

Le Chiese cristiane hanno dovuto pure affrontare in una nuova prospettiva il problema del rapporto con la dimensione politica, accettando in diversa misura il principio della separazione fra Chiesa e Stato e il riconoscimento dei diritti delle minoranze religiose presenti nei diversi paesi.

Il carattere anticristiano dell'ideologia marxista è stato ribadito con forza a più riprese dalle diverse confessioni, spesso perseguitate nei paesi dove avevano preso il potere i regimi comunisti.

Ma anche l'appello alla giustizia sociale è divenuto indubbiamente parte integrante dell'azione dei diversi gruppi cristiani, nonostante il dissidio, talora piuttosto netto, fra le posizioni estremamente conservatrici degli uni e le istanze progressiste degli altri, come in America Latina

Fenomeno senza dubbio rilevante è lo sviluppo del movimento ecumenico, che ha avviato efficacemente il dialogo fra le diverse confessioni, ponendosi il fine ideale di raggiungere concretamente l'unità dei cristiani: La prospettiva è ancora molto lontana dalla sua attuazione, pur tenendo presente che anche la Chiesa cattolica, superando le iniziali tendenze esclusivistiche, ha fatto propria con il concilio Vaticano II questo pensiero, per alcuni aspetti decisamente rivoluzionario.

Questo infatti è un vero momento di svolta per il cattolicesimo contemporaneo, creato più che altro dalla lungimiranza di Giovanni Paolo II°

Un cenno merita sicuramente l'attività delle missioni che, condotte sia dai cattolici sia dai protestanti, hanno portato, fin dal XVI secolo, ma soprattutto negli ultimi due secoli, alla diffusione del cristianesimo in tutto il mondo.

DEISMO. Filosofia razionalista della religione, che fiorì nei secoli XVII e XVIII

soprattutto in Inghilterra, dove divenne la principale concezione filosofica e religiosa.

In generale, i deisti sostenevano che la credenza religiosa denominata anche religione naturale è intrinseca all'individuo, oppure accessibile mediante l'esercizio della ragione, ma negavano validità alle affermazioni religiose fondate sulla rivelazione o sull'insegnamento specifico di qualche Chiesa.

I deisti più celebri del XVII secolo furono Edward Herbert e John Toland, accomunati dalla difesa della religione naturale e dalla critica degli elementi sovrannaturali o extrarazionali della tradizione ebraica e cristiana.

Nei primi anni del XVIII secolo filosofi e pubblicisti come Matthew Tindal inasprirono l'attacco razionalista contro l'ortodossia, cercando di screditare i miracoli e i misteri della Bibbia.

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L'esaltazione della ragione e la reazione dei deisti contro il fanatismo e l'intolleranza influenzarono considerevolmente i filosofi britannici John Locke e David Hume.

In Francia, Voltaire, che divenne un sostenitore particolarmente attivo del deismo, intensificò la critica razionalista della Scrittura inaugurata dai suoi predecessori, ma non si discostò dai deisti inglesi che affermavano senza esitazioni che una divinità esiste certamente.

Varie versioni di deismo, fra cui alcune vicine all'ateismo, vennero sostenute da molte celebri figure dell'illuminismo europeo, facendo sentire la loro influenza anche in America nel tardo secolo XVIII.

EBRAISMO. Religione degli ebrei, la più antica fra le fedi monoteistiche. La lingua italiana utilizza convenzionalmente il termine "ebraismo",

benché la religione abbracciata dagli ebrei sin dall'epoca che seguì la fine dell'esilio a Babilonia nel VI secolo a.C., venga definita scientificamente "giudaismo".

La tradizione ebraica considera invece la propria esperienza religiosa eminentemente come osservanza della Torah, la legge suprema che Dio ha donato al suo popolo, e come Halakah, una "via", un percorso di fede e di vita da seguire scrupolosamente a livello personale e collettivo.

Nato nella regione storicamente definibile come Palestina, in parte coincidente con il territorio dell'odierno stato di Israele, l'ebraismo è oggi diffuso in tutto il mondo.

E’ praticato fuori d'Israele dalle comunità della diaspora, formatesi in seguito ai fenomeni di emigrazione che, spesso a motivo di persecuzioni ed espulsioni, hanno caratterizzato l'intera storia ebraica.

È comunque necessario puntualizzare il fatto che non tutti i 18 milioni di ebrei presenti nel mondo secondo i dati del 1993, 6.800.000 negli Stati Uniti, oltre 3.600.000 in Israele, quasi 2.000.000 in Russia, circa 1.500.000 in Europa, praticano la religione tradizionale, nell'ambito della quale non mancano poi orientamenti diversi, talora contrastanti.

La rivelazione dell'unico Dio. Caratteristica fondamentale dell'ebraismo è un monoteismo radicale, la

fede in un unico Dio, assolutamente trascendente e creatore di un universo che governa provvidenzialmente dall'inizio dei tempi.

La divinità si rivela al suo popolo, l'antico Israele, nel corso della sua storia.

La Scrittura sacra, la Bibbia, documenta le tappe di questa rivelazione progressiva, interpretata dagli ebrei come un'Alleanza, berith, che Dio ha istituito con loro in quanto popolo eletto, chiamato a custodire gelosamente i precetti della legge.

La parola Dio viene resa in ebraico con il termine Yahweh, riconducibile alla radice del verbo "essere".

In un passo fondamentale del libro dell'Esodo (3:14) Dio si rivela a Mosè proclamando:"Io sono colui che sono", una proposizione che ha dato luogo a

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infinite discussioni in sede esegetica, ma il cui significato non appare comunque discosto dall'idea esprimibile compiutamente con le parole: "Io sono colui che è".

Dio definisce se stesso come entità reale e realtà suprema per eccellenza, che, nel contesto specifico dell'esodo del popolo di Israele dall'Egitto, rende manifesta la sua presenza di liberatore della sua gente dalla schiavitù.

La tradizione israelitica considera illecito pronunciare il nome di Dio. Esso, a motivo dell'uso tipico della scrittura ebraica di non registrare le

vocali, compariva nella redazione antica della Bibbia in forma consonantica come Yhwh, il cosiddetto "tetragramma sacro", sostituito nella lettura con il termine più generico "Adonai", "Signore", in quanto soltanto il sommo sacerdote era autorizzato, una sola volta all'anno, durante la festa del Kippur, a pronunciare solennemente il nome ineffabile della divinità.

Quando, nel VII secolo D.C. i dotti Masoreti si accinsero a dotare di vocali i libri biblici per renderne più sicura la tradizione testuale, inserirono nel tetragramma sacro le vocali di "Adonai", dando luogo a quella forma "Yehowah" che sta all'origine del nome Geova, che è assolutamente privo di fondamento scientifico benché sia stato utilizzato in non poche traduzioni della Bibbia fino agli inizi del XX secolo.

Signore onnipotente e legislatore, Dio esige dal suo popolo un'assoluta fedeltà e un'obbedienza incondizionata alla sua legge, promulgata solennemente sul monte Sinai ai tempi dell'esodo e registrata compiutamente nei primi cinque libri della Bibbia, detti, per l'appunto, "Torah", "legge" in ebraico, ai quali si affiancano i libri profetici e gli altri scritti canonici.

La vicenda storica del popolo di Israele è interpretata dalla tradizione ebraica secondo una prospettiva teologica, come luogo privilegiato dell'intervento di Dio, che assiste costantemente il suo popolo assicurandogli la salvezza di fronte ai numerosi e potenti nemici, in virtù dell'alleanza stabilita per l'eternità.

La sofferenza, elemento costante nella storia degli ebrei fin dall'antichità, soprattutto dopo la vicenda drammatica della deportazione a Babilonia nel 586 a.C., è la conseguenza tangibile dell'infedeltà del popolo eletto ai precetti della sua religione e ai doveri dell'Alleanza.

Dio è comunque sempre disposto a rinnovare l'Alleanza, risollevando gli israeliti prostrati dall'oppressione che è frutto della loro colpa e infondendo loro nuove speranze.

La fede incrollabile nell'intervento liberatore della divinità e la coscienza della necessità della conversione al fine di ottenere la salvezza alimentano, già nei libri profetici della Bibbia, ma soprattutto nell'ebraismo della diaspora, la speranza nell'avvento di un Messia.

Un uomo dalla missione escatologica,"unto dal Signore con il crisma dei re", è il significato dell'ebraico mesiah.

Dio lo manderà alla fine dei tempi per liberare definitivamente il suo popolo dall'esilio e dalla dominazione straniera e restaurare nella terra dei padri la terra promessa, il regno di pace e prosperità destinato alla stirpe eletta dei suoi fedeli.

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La tradizione rabbinica e il culto. La speranza nell'avvento del Messia, da filo tematico che illumina più o

meno intensamente tratti di scrittura biblica e di storia degli ebrei, divenne un tratto fondamentale della fede ebraica dopo la rovina della nazione, avvenuta nel 135 D.C. per mano dei romani, che già nel 70 avevano distrutto il tempio di Gerusalemme, luogo simbolico dell'ebraismo, sede principale del culto e altare del sacrificio offerto a Dio.

Con la diaspora, lontani dal tempio e dalla terra promessa, i fedeli recavano con sé le parole della Scrittura e i precetti della legge.

Essi costituirono ben presto l'oggetto di un attento e devoto studio per i pii israeliti, guidati dai loro maestri, i rabbini .

In assenza del tempio il culto ebraico venne da allora praticato, oltre che fra le mura domestiche, nella sinagoga, il luogo privilegiato per la preghiera, per la lettura dei libri sacri e per l'istruzione rabbinica.

La preghiera consiste in primo luogo in una serie di invocazioni, in ebraico tefilah, in origine 18, come indica il termine Shemoneh esreh pure utilizzato dagli ebrei in riferimento a esse, ma poi passate a 19, per mezzo delle quali i fedeli implorano la prosperità e l'avvento del Messia.

Per le festività e per lo Shabbat, il sabato ebraico, giorno interamente consacrato al Signore, è prevista una liturgia particolare.

La preghiera dello Shema, che ha preso nome dalla parola iniziale del brano biblico (Deuteronomio 6:4-9) che esso riproduce, deve essere invece recitata dagli ebrei devoti due volte al giorno, al mattino e alla sera, insieme alle formule del Kaddish, invocazione di contenuto spiccatamente messianico.

Durante la preghiera gli uomini devono coprirsi il capo con una sorta di zucchetto detto kippah, che gli ebrei più devoti portano costantemente come segno della presenza di Dio

Il sabato, giorno di riposo assoluto da ogni attività lavorativa, è dedicato alla proclamazione solenne della Torah, letta integralmente nelle sinagoghe nel corso di un ciclo annuale che inizia in autunno con la celebrazione nota come Simhat Torah, che ha luogo alla fine della festa di Sukkot.

La lettura pubblica del testo biblico costituisce il momento più significativo del culto nelle sinagoghe e la funzione primaria assegnata in origine all'istituzione della sinagoga.

Storia. La storia dell'ebraismo corre parallela ai momenti culminanti della

storia del popolo ebraico ed è testimoniata per la sua fase fondamentale, quella più antica, dai dati confluiti nella Bibbia, documento teologico costituito da elementi di origine cronologicamente e concettualmente eterogenea, connessi tuttavia in una prospettiva religiosa sostanzialmente coerente.

Appare di soluzione difficile il problema delle origini del monoteismo. L'adozione di una fede assoluta nell'unico Dio viene considerata da

alcuni studiosi successiva a una prima fase, il cosiddetto "enoteismo", in cui l'adorazione di Yahweh non comportava la negazione dell'esistenza delle divinità degli altri popoli.

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Il nome stesso di Dio costituisce una questione tuttora aperta, dal momento che i testi biblici presentano significativamente, accanto al nome di Yahweh, il termine più generico "Elohim", forma plurale della radice utilizzata dalle lingue semitiche per indicare la divinità.

Anche nel sacrificio, l'atto di culto fondamentale praticato dai sacerdoti nel tempio di Gerusalemme con l'immolazione quotidiana di animali, si può scorgere facilmente l'evoluzione di un'antica pratica religiosa connessa con i cicli agrari, pratica che imponeva l'offerta rituale alla divinità garante della fecondità della natura e del sostentamento degli esseri umani.

D'altro canto non mancarono, soprattutto nell'epoca successiva alla separazione dei due regni di Giuda e di Israele, episodi di sincretismo religioso, nei quali il culto di Yahweh veniva accostato alle diverse pratiche del paganesimo penetrate fra gli israeliti attraverso il contatto con i popoli vicini.

La ferma condanna di questi atteggiamenti costituisce un caposaldo della predicazione dei profeti specie nelle figure di Elia, Isaia e Geremia.

I profeti fra il IX e il VI secolo A.C. levarono la loro voce per richiamare gli ebrei alla fedeltà ai contenuti del monoteismo, invocando nel contempo una religiosità interiore e non confinata negli spazi di un ritualismo formale, quale appariva loro la stessa pratica del sacrificio.

Il dramma del 586 A.C. configura certamente un punto di svolta per l'ebraismo, che da questo momento si caratterizzò sempre più decisamente come una fede storica che considerava la vicenda umana, e particolarmente quella del popolo di Israele, come ambito privilegiato dell'intervento di Dio e della manifestazione della sua alleanza con i discendenti di Abramo.

I profeti come Ezechiele e il cosiddetto "Deutero-Isaia" non esitarono infatti a interpretare la deportazione a Babilonia come una punizione divina dovuta all'infedeltà del popolo eletto al patto con l'unico Dio.

ERMETISMO. Secondo i principi dell’Ermetismo, tutte le cose derivano da una Causa

Prima o Unica Virtù, che si differenzia in miriadi di forme, che rappresentano la manifestazione, nell’Universo visibile, della capacità plastica di una materia eterea, primordiale, eterna, dalla quale scaturiscono gli elementi e che gli antichi iniziati appellarono Etere, sostanza astrale o Quintessenza.

Tutto nell’Universo può essere ricondotto all’unità perché’, oltre la molteplicità delle forme visibili, non vi e’ che un Unico Principio, in grado di differenziarsi all’infinito e di riassorbirsi, riconvertendosi in pura essenza e potenzialità.

Nelle migliaia di mondi che animano lo spazio infinito, nelle forme armoniose della Natura, come nel corpo dell’uomo, si ripete costantemente la stessa legge, che e’ legge unitaria perché’ sottesa dall’esplicazione di una Forza Unica e intelligente, eternamente in azione in quanto al di là di ogni umano concetto di relativo e temporale.

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La strada che porta alla comprensione dell’essenza dell’uomo passa dunque attraverso l’unitarietà dei fenomeni naturali e, quindi, della sublimazione del molteplice nell’unità sintetica dell’Unica Virtù.

Nei tempi antichi esisteva una comprensione delle leggi naturali molto più grande di quella odierna.

Gli dei dell’antico Egitto o dell’Olimpo Greco-Romano non furono che figure simboliche, rappresentanti forze naturali colte in varie fasi del processo di creazione e dissoluzione delle forme visibili, le cui epopee o cicli epici celavano la spiegazione di fenomeni complessi, di segreti non altrimenti raffigurabili per menti semplici e poco avvezze ad elaborazioni astratte, ma straordinariamente sensibili alle suggestioni di immagini antropomorfe che riproducevano, in chiave misterica, le gesta di eroi e dei umanizzati.

Il Cristianesimo pose fine a gran parte dei tesori della tradizione pagana, segnando come eresiache le antiche dottrine sacerdotali.

Quando i successori di Pietro eressero la Chiesa di Cristo sulle macerie dell’Impero Romano, sembrò che anche gli antichi insegnamenti misterici andassero perduti.

Tuttavia, nel tentativo di creare una liturgia della Chiesa, molti riti e simbolismi pagani, indicanti le verità eterne, vennero introdotti nel Rituale Romano, mentre l’insegnamento esoterico trasmesso da pochi Maestri, veniva reso incomprensibile tranne per coloro che vennero giudicati degni.

Nacque cosi l’Alchimia, che interesso molti uomini di scienza, tra i quali C.G. Jung. Essa, come si crede ancora ai nostri tempi, non si proponeva di risolvere un problema chimico bensì spirituale.

I postulati della Scienza Alchemica erano che nella materia tutti i metalli possono convertirsi in altri ed in particolare in oro e in argento, che negli uomini i tipi imperfetti possono raggiungere la perfezione e che nelle anime le intelligenze inferiori possono trasmutarsi in superiori.

Esiste dunque nell’essere umano un’essenza sconosciuta, capace di penetrare tutte le cose, di trasformarsi plasticamente in ogni corpo, espandendosi all’infinito o contraendosi sino all’infinitesimo dell’atomo.

Un nucleo originario di sostanza eterea allo stato radiante, vibrante, intelligente, eterna, fondamento dell’essere umano, che gli antichi ermetisti definirono Unica Virtù o Causa Prima, perché’ da essa tutte le cose discendono e per essa tutti i prodigi si compiono.

Nel Macrocosmo o Universo essi la identificarono col Sole, simbolo del Dio misterioso e inconoscibile, forza maschia, attiva e generante, che gli antichi egizi venerarono come Amùn e che inonda la terra coi suoi raggi benefici, animando gli esseri viventi nei tre regni della Natura.

Nel corpo umano o Microcosmo, immagine dell’Universo, la chiamarono Intelligenza Divina incarnata o Corpo Solare, che sul piano della materia tangibile si manifesta nel corpo fisico o saturniano, di cui l’aura magnetica, dai colori cangianti, riflette lo stato nelle più sottili e impercettibili emanazioni.

Nel cervello l’irradiazione solare genera il Corpo Mercuriale, primo fecondo adattamento della pura intelligenza allo stato di essere incarnato,

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vero spirito della materia, che attraverso la pura astrazione delle percezioni sensibili costituisce l’essenza di ogni virtù.

Nel sistema nervoso neurovegetativo dà vita al Corpo Lunare, plastico, etereo, sensibilissimo, serbatoio immenso di immagini, ricordi, sensazioni, sede inesplorabile dell’inconscio personale e della memoria storica e istintiva, che i centri vorticosi dei chakra connettono all’Anima del Mondo.

Dal Corpo Solare il processo creativo procede inarrestabile dal semplice al complesso, dall’infinitamente piccolo alla materia organizzata, attraverso una serie infinita di trasformazioni, che rappresentano la manifestazione di un’unica legge evolutiva.

Questa forza straordinaria e sconosciuta, che gli Iniziati della Caldea e dell’antico Egitto appresero ad utilizzare conoscendone le leggi, e’ corrente vitale, e’ forza ignea intensamente magnetica, movimento vibratorio

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possono partecipare a determinati riti e conoscere pienamente la tradizione e tutto il patrimonio sacro della tribù .

Tra le recenti forme di esoterismo ricordiamo quello neopagano del rinascimento, collegato al recupero del neoplatonismo nei secoli XVIII-XIX, il martinezismo e il martinismo; entro certi limiti, la stessa massoneria e, nel sec. XX, la teosofia e l'antroposofia di Rudolph Steiner.

É frequente, specialmente in queste forme di esoterismo che quasi costituiscono religioni autonome, una particolare attenzione per i sistemi simbolici delle culture dell'antichità, nei quali si presume di riconoscere il patrimonio cifrato di una sapienza perduta e che forse è possibile ri-trovare usando determinati e particolari stati di coscienza modificati.

Per questa ragione gli esoteristi dei secoli XVIII e XIX hanno dato contributi a volte molto perituri, a volte di lunga influenza e di indubbia acutezza, alla scienza della mitologia.

GIAINISMO. Una delle religioni storiche dell'India, accanto all'induismo e al

buddismo. La sua consistenza numerica è oggi ridotta rispetto al passato, e conta

circa quattro milioni di fedeli concentrati prevalentemente negli stati del Gujarat, Rajasthan, Madhya Pradesh, Maharashtra e Karnataka.

Circa 7000 sono i monaci, sadhu e le monache, sadhvi, mentre i fedeli laici sono in gran parte dediti al commercio e agli affari, e non è del tutto infondato sostenere che buona parte della ricchezza prodotta in India passi per le mani dei fedeli di questa religione.

Il benessere economico raggiunto da ciascuno è ormai l'unico criterio per determinare la sua appartenenza a una classe sociale, dopo l'abbandono del tradizionale sistema delle caste.

Come il buddhismo, il giainismo costituisce una delle "dottrine della rinuncia" sorte intorno al VI secolo a.C. come alternative all'ortodossia brahmanica tradizionale.

Fondatore è considerato Mahavira, il "Grande eroe", vissuto secondo la tradizione fra il 599 e il 527 a.C., anche se, più verosimilmente, egli sarebbe soltanto il riformatore della dottrina elaborata originariamente da Parshva.

Mahavira e Parshva sono noti come jina, in sanscrito, "vincitore", da cui derivano il termine jaina, utilizzato in India per indicare i seguaci di questa religione, e la forma occidentale "giainismo.

Fondamento della dottrina è l'attribuzione, a ciascuno degli esseri, di un'anima, un principio vitale detto jiva, percepito come qualcosa di assolutamente antitetico a tutto ciò che è ajiva, "non vitale", cioè materiale.

Caratteristica di tutto quanto è jiva, una condizione di assoluta spiritualità, uno stato puro della coscienza, offuscato, tuttavia, dalla presenza di una quantità più o meno consistente di particelle materiali, frutto del karma.

Esso è determinato da tutte le azioni di natura violenta o comunque nociva, che la dipendenza dalle passioni spinge a commettere contro la

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realtà spirituale, determinandone anche la prigionia in forme materiali sempre nuove, secondo il principio tipicamente indiano della reincarnazione.

L'anima è dunque soggetta a un ciclo continuo di trasmigrazioni dall'una all'altra delle realtà materiali che costituiscono il mondo umano, da quello celeste a quello degli inferi.

Solo l'estinzione completa del karma consente al principio vitale di ottenere la liberazione dalla schiavitù della materia, raggiungendo un luogo di beatitudine, posto ai limiti estremi dell'universo.

Lì il principio vitale vivrà per l'eternità in quello stato di onniscienza, kevalajnana, che Mahavira e gli altri jina hanno raggiunto nel corso dell'ultima loro esistenza umana, rivelando ai fedeli la via della liberazione

INDIANI DEL NORD AMERICA. Come presso la maggioranza dei popoli, la fede nell'esistenza di poteri

soprannaturali era molto forte nella mente dell'Indiano del Nord America, ma i concetti vennero progressivamente modificati dai sempre maggiori contatti con gli Europei.

Studi recenti hanno tuttavia contestato che solo la razza bianca possedesse la conoscenza di Dio.

Lo storico Omaha, Francis La Flesche, che ha studiato la religione del suo popolo e dei suoi parenti Osage, era in condizione di paragonare le due religioni, e trovò che esistevano gravi difficoltà linguistiche per cui la forma e lo spirito del pensiero indiano andavano spesso perdute nella traduzione da parte di antropologi bianchi.

Tali traduzioni erano spesso usate per giudicare le capacità mentali dell'Indiano e per trarne conclusioni sul suo concetto di "Essere Supremo", con gravi distorsioni delle conclusioni concernenti la loro religione.

I Poteri dell'Universo. I concetti religiosi si accentravano sul profondo desiderio di ottenere, e di

conservare, la buona disposizione dei poteri spirituali amichevoli e di controllare quelli ostili.

Una visione particolarmente diffusa e forse più approfondita del mondo spirituale era quella delle tribù Algonchine dei Boschi e delle grandi Pianure.

Essa identificava una cosmologia che riconosceva un universo composto da tre mondi paralleli, i quali, di fondo, non erano molto diversi dall'idea Cristiana di inferno, terra e paradiso.

Nel lago sul quale galleggiava la terra, esistevano spiriti sottomarini e vi erano spiriti negli animali e nelle piante sulla terra e nell'acqua.

Inoltre, sopra la terra, oltre la cupola del cielo azzurro si estendeva il dominio del mondo superiore, con spiriti che eguagliavano quelli del mondo sotterraneo.

Fra i più potenti di questi, vi erano gli Uccelli del Tuono che, facendo lampeggiare gli occhi e battendo le ali, producevano il fulmine e il tuono.

Come nel cristianesimo e in molte altre religioni in cui il concetto di Dio comprende numerose divinità, spesso associate con il numero tre, così era anche presso gli Indiani dell'America settentrionale.

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L'idea è bene illustrata dai concetti religiosi dei Lakota, i Sioux delle Pianure, che sono stati solo di recente ampiamente analizzati.

Presso di loro domina il numero quattro, sacro in molte aree culturali dell'America settentrionale.

Nel Lakota Tobtob Kin, o "Quattro volte quattro", si identifica una gerarchia di spiriti che arriva a sedici e viene collegata dagli sciamani.

Questa tradizione presenta certamente una struttura molto più complessa del Padre, Figlio e Spirito Santo con i quali i cristiani si riferiscono a Dio.

La somiglianza fra i concetti religiosi e le azioni dei Sioux e quelli dei missionari che cercavano di convertirli è stata riconosciuta almeno da un guerriero delle Pianure del secolo scorso che sapeva scrivere, di nome Mano Sinistra, che osservò come: "I cattolici sono strani; la loro religione è simile all'antica religione dei Dakota. Il loro prete tiene acqua nel suo sonaglio; i nostri uomini medicina usano perline o pietre. Essi brontolano qualcosa chiamato latino. Gli uomini medicina mormorano e gridano".

L'anima. Esistevano quasi ovunque linee di pensiero che conducevano alla fede

nell'esistenza di un'anima, separata dal corpo, spesso in forma umana, che viveva anche dopo la morte.

Uno di questi concetti comuni era la formazione del "libero arbitrio" che, sebbene risiedesse nel corpo, ne era distinto.

L'assenza di tangibilità dell'anima determinò la diffusa credenza che potesse essere vista solo dagli sciamani e solo in determinate occasioni. L'uomo comune poteva averne solo visioni fuggevoli.

Per gli Algonchini non era che un'ombra passeggera, mentre gli Shasta affermavano che era visibile per cinque giorni dopo la morte, sotto forma di una pista o di impronte della persona deceduta, dopo di che raggiungeva la Via Lattea.

Assai diffusa era l'identificazione dell'anima con la civetta, poiché‚ i suoi movimenti ondeggianti e la somiglianza fisica con l'uomo portavano all'idea di un'anima intangibile dei morti e ad una forte credenza nell'esistenza dell'anima dopo la morte.

Così, gli Algonchini dei Boschi nordoccidentali dicevano che l'anima dei morti restava nell'ovest accanto al fratello del loro grande eroe culturale.

Diffusa era anche la fede nel potere della trance di certe persone con cui le anime facevano visita al mondo o con cui si poteva ricercare il proprio spirito guida, concetto certamente molto vicino al “Processo di individuazione” di Jung.

Il Totem. Era il simbolo del patrono o spirito guardiano o spirito guida. Il concetto era assai diffuso fra gli Indiani, presso i quali si pensava che

la maggioranza delle persone lo ottenesse durante la cerimonia della pubertà.

Anche presso alcuni gruppi meno organizzati, ma linguisticamente connessi, come quelli della California, l'acquisizione di uno spirito guida in epoca di pubertà era una caratteristica fondamentale della loro fede religiosa.

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Il totem si otteneva attraverso riti prescritti in modo rigido. In genere, il totem era un animale o un uccello, ma poteva essere anche

una pietra lucida e nera, un ciuffo di capelli, alcune penne e persino una piccola conchiglia.

Diversamente dal feticcio, il totem non era un oggetto di adorazione, ma qualcosa che metteva in rapporto il proprietario con gli spiriti superiori che esso rappresentava e non era infrequente che individui con un totem simile si riunissero in un'associazione religiosa o di culto.

Così, presso gli Omaha, per diventare membro dell'Associazione del Bisonte, un individuo doveva sognare un bisonte, mentre i membri dell'Associazione dell'Orso avevano visto, nel corso della loro visione, uno di questi plantigradi.

Faceva parte del complesso tutelare degli Omaha la ricerca del quadrupede o dell'uccello che avevano visto, la sua uccisione e la conservazione sul proprio corpo di un pezzo di esso.

Questa usanza sarebbe stato respinta con orrore dagli Irochesi, che consideravano il proprio destino e la durata della vita intimamente connessi all'animale totem.

Le pittografie di tali animali totem erano usate per indicare l'appartenenza ad un clan Irochese come tartaruga, lupo, orso, castoro, cervo, beccaccino, falco ecc. e nel corso della loro cerimonia di Mezzo Inverno rappresentazioni del totem venivano scolpite in legno, ossa o avorio o in qualche altro materiale e consegnate ai giovani perché‚ le tenessero e le conservassero con cura come simboli del loro spirito guardiano.

INDUISMO. Religione tradizionale dell'India, praticata da oltre 700 milioni di fedeli. In termini estremamente sintetici l'induismo è definibile come una

religione politeistica supportata da una considerazione filosofica della realtà cosmica e dell'esistenza umana, oltre che da una precisa concezione della società e dei compiti dei singoli individui.

La definizione del sistema sociale costituisce quell'elemento di continuità e di unità che l'induismo non possiede nella sua dimensione propriamente teologica, caratterizzata non solo dalla molteplicità delle figure divine, ma anche dalla pluralità degli atteggiamenti devozionali.

I fedeli si distinguono per la loro devozione particolare al dio Shiva, piuttosto che a Vishnu o alla dea madre, la Devi e dall'assenza di un indirizzo dottrinale uniforme paragonabile a un "credo" convenzionale.

Questa visione teologica eterogenea è posta comunque dalla tradizione in continuità con i contenuti degli antichi libri sacri, i Veda, redatti nella forma più arcaica della lingua sanscrita.

Fra il 1300 e il 1000 a.C. si colloca la composizione del Rig-Veda, costituito da 1028 inni in onore delle diverse divinità, mentre lo Yajur Veda è il formulario liturgico ufficiale per il rito del sacrificio.

Il Sama Veda fornisce invece un'ulteriore collezione di inni, mentre l'Atharva Veda, redatto intorno al 900 a.C., contiene una raccolta di formule magiche.

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Alla letteratura vedica appartengono anche i Brahmana, ponderose esposizioni dei rituali e dei miti a essi sottesi, oltre alle Upanishad, testi di carattere filosofico redatti dal 600 a.C. come documento delle più antiche speculazioni circa il significato dell'esistenza e la natura dell'universo.

Queste opere canoniche, pur venerate da una tradizione che impone di custodirne scrupolosamente l'integrità testuale, sono state soppiantate nella loro funzione didattica da un'altra collezione di antichi scritti detta Smrti, "ciò che è ricordato".

Rientrano in questo canone più popolare i grandi poemi epici: il Mahabharata, narrazione che in oltre 200.000 versi compendia la lotta dei Pandava, guidati da Krishna, contro i Kaurava.

Vi è poi il Ramayana, racconto, in oltre 50.000 versi, del viaggio intrapreso da Rama alla ricerca della moglie Sita rapita dal demone Ravana.

Per quanto riguarda i Purana sono esposizioni ponderose, di temi mitologici e cosmologici, e alle codificazioni "Dharmashastra" e "Dharmasutra", della legge sacra, fra cui le cosiddette Leggi di Manu.

Questa ricca letteratura, per la quale è difficile fissare date di composizione forse comprese fra il 300 a.C. e il 300 D.C., contiene inoltre numerose narrazioni relative alla cosmologia.

Essa è il motivo ispiratore fondamentale della filosofia dell'induismo, fondata sulla concezione dell'universo come un grande uovo cosmico con cieli, mondi infernali, oceani e continenti disposti concentricamente intorno all'India.

Questo universo sconfinato è destinato a una esistenza eterna ma ciclica, segnata da una degenerazione costante e inesorabile da una sorta di Età dell'Oro della durata di 1.728.000 anni, detta Krta Yuga, fino all'epoca più triste e precaria, il Kali Yuga, di 432.000 anni, al culmine della quale il cosmo viene interamente divorato dalle fiamme e dai flutti come in un rito di purificazione generale capace di rigenerare l'età dell'oro e l'inizio di un nuovo ciclo.

Allo stesso modo l'esistenza umana è coinvolta nel ciclo inarrestabile delle rinascite, reso possibile dalla trasmigrazione delle anime, che alla morte dell'individuo si reincarnano nel corpo di un altro essere vivente, in un processo eterno conosciuto come samsara.

Ogni uomo è destinato a reincarnarsi in un essere di qualità superiore o inferiore secondo i meriti accumulati nell'esistenza attraverso l'insieme delle sue azioni, il karma, realtà tendenzialmente negativa, ma indirizzabile verso un fine positivo per mezzo di pratiche di devozione e di espiazione che trovano il loro vertice nelle forme di ascetismo volte a ottenere la "liberazione", moksha, dall'attaccamento alla realtà materiale.

Nei concetti essenziali di samsara, karma e moksha, la tradizione indiana sintetizza i contenuti essenziali di una visione sostanzialmente pessimistica circa il valore della realtà cosmica e materiale, il cui incombere inesorabile deve essere assolutamente esorcizzato attraverso un cammino di liberazione e di rinuncia al mondo, secondo l'ideale delle numerose correnti ascetiche presenti in India fin dall'antichità.

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La considerazione del carattere inesorabile della dimensione materiale dell'esistenza giustifica l'altro aspetto prescrittivo essenziale dell'induismo.

Questa prescrizione, solo apparentemente contraddittoria rispetto alle tendenze ascetiche, impone a ogni fedele di assumere un ruolo preciso nella società, per portare a compimento la missione assegnatagli dal destino al momento della nascita.

Questo atteggiamento fornisce la giustificazione filosofica per la dottrina più nota e controversa dell'induismo, ovvero la rigida divisione della società in classi, varna, note in Occidente con il termine, di origine portoghese "caste", alle quali si appartiene per nascita senza alcuna possibilità di sfuggire alle severe norme di una concezione gerarchica.

Un ruolo di assoluta preminenza è attribuito infatti ai membri delle tre classi superiori, quelle dei sacerdoti, brahmani, dei guerrieri, ksatriya e dei lavoratori qualificati, vaisya, che riservano una condizione di totale sottomissione a chi appartiene alle caste inferiori.

Sono quelle considerate servili, sudra, fino alle disprezzate come impure, degli "intoccabili", i "paria" della tradizione occidentale, definiti in India come candala, termine riferito propriamente a chi si trovi nella condizione di "fuori casta" perché nato dall'unione illecita fra una donna di casta brahmanica e un uomo di casta servile.

Il matrimonio fra coniugi appartenenti alla stessa classe costituisce per l'appunto una delle regole fondamentali dell'organizzazione in caste, le cui origini storiche risalirebbero all'epoca dell'insediamento in India delle tribù indoeuropee, portatrici, secondo la tesi suggestiva ma controversa dello studioso francese Georges Dumézil, di una "ideologia tripartita", con le figure del sacerdote, del guerriero e dell'agricoltore poste a garanzia della buona organizzazione della società.

Riservando dunque a se stessi queste tre funzioni e tramandandole ereditariamente nelle caste superiori, gli invasori indoeuropei avrebbero inquadrato nelle caste inferiori gli abitanti indigeni dell'India.

Sono solo gli asceti che cercano in modo radicale di cogliere l'identità fra l'atman, l'anima individuale, e il brahman, la grande anima dell'universo.

La volontà di armonizzare in modo sempre più efficace questi due aspetti portò alla definizione, tra gli altri, del concetto di "non violenza", ahimsa, concepito come assenza del desiderio della violenza da parte del fedele pur disposto ad utilizzarla qualora il proprio ruolo nella società e le condizioni contingenti lo richiedano.

Si delinea così quella dottrina essenziale dell'induismo che invita il fedele a rispettare le regole del vivere sociale assumendo tuttavia un atteggiamento di totale distacco da questa dimensione e soprattutto dai frutti prodotti dalle azioni.

Secondo l'insegnamento della Bhagavadgita, il testo di riferimento per la devozione indù, il saggio accetta tutte le incombenze assegnategli dal destino, imponendosi tuttavia di non godere in alcun modo del frutto delle proprie azioni e di non considerarle come l'orizzonte principale della propria esistenza.

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ISLAM. Religione fondata in Arabia all'inizio del VII secolo D.C. da Maometto, in

arabo Muhammad, praticata oggi da circa un miliardo di fedeli. Essa si è diffusa in larghissima maggioranza non solo in tutti i paesi del

Medio Oriente come Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan e Asia centrale ma anche, a eccezione di Israele, in Africa centrosettentrionale come Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Mauritania, Senegal, Mali, Niger, Ciad, Sudan e Somalia.

E presente anche in Bangladesh, Maldive, Malesia e Indonesia e, negli ultimi anni, specie a causa dell’emigrazione, è diffusa accanto al cristianesimo in numerosi paesi europei, in misura sempre maggiore.

In India costituisce una minoranza significativa. In Europa viene professata dal 70% della popolazione dell'Albania e da

oltre il 40% degli abitanti della Bosnia-Erzegovina. In Italia i musulmani sono almeno 500.000, per gran parte immigrati

dai paesi nordafricani e dal Senegal. "Islam" è parola araba che indica il concetto di sottomissione assoluta

all'onnipotenza di Allah, il Dio unico e invisibile. L'Islam si caratterizza infatti come espressione di un monoteismo

radicale, fin dalla formula fondamentale: "Non vi è altro Dio all'infuori di Allah, e Maometto è il profeta di Allah", recitata nel segno dell'appartenenza alla comunità degli adoratori dell'unico Dio.

Il seguace dell'Islam viene definito in italiano "mussulmano", termine coniato sulla base del persiano musliman, forma equivalente all'arabo muslimun, plurale di muslim, la parola, che si ritrova nella lingua inglese, utilizzata per indicare appunto chi si considera sottomesso alla divinità unica e irraggiungibile nella sua dimensione trascendente.

Questa concezione rigorosamente monoteistica viene considerata dalla stessa tradizione islamica in continuità con il credo dell'ebraismo e del cristianesimo, religioni che costituirebbero le tappe fondamentali della rivelazione divina.

Quest'ultima culminerebbe nella predicazione di Maometto, il profeta per eccellenza e l'ultimo dei latori della rivelazione di Allah dopo Abramo, in arabo Ibrahim, Mosè, Musa, e lo stesso Gesù, Isa.

A tal proposito occorre precisare che la tradizione musulmana, riferendosi a Gesù come al più venerabile fra i profeti vissuti prima di Maometto, considera esclusivamente la sua natura umana.

Maometto stesso non si attribuì mai una natura sovrumana, presentandosi unicamente come il profeta al quale Allah avrebbe consegnato, tramite l'arcangelo Gabriele, la rivelazione divina destinata a essere custodita e venerata per sempre dai fedeli, “il Corano”, il libro sacro dettato da Dio all'umanità a completamento del messaggio parzialmente trasmesso dalla Bibbia ebraica e cristiana.

Affiancando a questa concezione teologica un corpus normativo che regolamenta con precisione la condotta dei fedeli interamente sottomessi al

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volere divino, l'Islam ambisce a identificare l'intera società con la comunità degli adoratori di Allah.

Tuttavia, seppure paradossalmente, il mondo musulmano non ha mai conosciuto, a differenza del cristianesimo, un'autorità suprema ritenuta depositaria della verità in materia di fede e di etica.

In assenza di una figura paragonabile a quella del papa del cattolicesimo, la tradizione islamica assegna all'intera comunità dei fedeli il compito di custodire i precetti della religione e della retta condotta e accoglie con molte riserve il ruolo di custodi autorevoli dell'ortodossia attribuito in epoca moderna ai dotti dell'università Azhar del Cairo fra i sunniti, e alla gerarchia dei mullah iraniani fra gli sciiti.

MITRAISMO. Una delle principali religioni dell'impero romano, fondata sul culto di

Mitra, antica divinità persiana: presentato nell'Avesta, il libro sacro dei seguaci di Zoroastro, come il capo degli spiriti buoni che governano il mondo e procurano all'umanità ciò di cui ha bisogno.

Mitra fu venerato in seguito come dio del sole, e come tale identificato con Elio dai greci d'Asia Minore, che ne favorirono il culto, giunto a Roma nel 68 con i pirati cilici prigionieri di Pompeo e diffusosi rapidamente, in età imperiale, in Italia e nelle province romane come culto rivale del cristianesimo.

I seguaci di Mitra, organizzati in comunità esclusivamente maschili, a cui si accedeva per mezzo di un rito iniziatico segreto, coltivavano la fede in una forma di sopravvivenza dell'anima dopo la morte, adottando culti propri del politeismo ma prossimi a principi cristiani.

Da ricordare la data del 25 dicembre, festa del dio sole celebrata dai fedeli di Mitra.

NEW AGE. Fusione di dottrine, filosofie, istanze spirituali, sociali e politiche

eterogenee che mirano alla trasformazione degli individui e della società grazie alla consapevolezza spirituale.

Visto spesso come un nuovo paganesimo o gnosticismo, il movimento ha radici più recenti nello spiritualismo del XIX secolo e nella controcultura degli anni Sessanta, che rifiutava il materialismo a favore del misticismo orientale e anteponeva l'esperienza spirituale spontanea alla chiesa istituzionale.

Le tecniche di valorizzazione del Sé e l'idea che l'individuo sia responsabile e capace di ogni cosa, dall'autoguarigione alla creazione del mondo, hanno trovato applicazione in ambito sanitario e sportivo, nell'esercito e nelle associazioni suscitando vivaci dibattiti e reazioni opposte anche di notevole intensità, l'ultima delle quali è la condanna esplicita della Chiesa Cattolica, per bocca di Giovanni Paolo II°.

Il pensiero olistico, a cui si ispira la New Age, ha influenzato l'atteggiamento, ad esempio, verso la medicina, l'ambiente, la famiglia, il lavoro e la pace nel mondo.

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Idee spesso associate al movimento della New Age includono dottrine e pratiche come la reincarnazione, il biofeedback, l'alchimia, lo yoga, le arti marziali, l'occultismo, l'astrologia, la divinazione, l'agopuntura, i tarocchi, lo Zen, la mitologia e la chiaroveggenza.

Il movimento New Age si presenta come una metodologia atta a garantire un futuro più soddisfacente proponendo anche un nuovo approccio terapeutico.

Secondo la visione dell’Età dell’Acquario l’uomo è interconnesso con l’ambiente in cui vive: a livello regionale, planetario e cosmico.

Il principio olistico su cui si basa la visione terapeutica della New Age, la complementarità e l’unità di ciò che sembra diverso o contraddittorio, conduce a terapie psico-corporali, che si esplicano in tre aspetti precisi: la complementarità dei sessi, la convinzione che nel mondo empirico ogni cosa occupi il posto che le spetta e la perfezione morale dell’uomo.

Il simbolo del Tao racchiude in sé l’idea della complementarità del principio maschile e di quello femminile, in termini cinesi dello Yin e dello Yang.

Ogni cosa possiede una doppia polarità, maschile e femminile, positiva e negativa.

È il principio della fisica e del magnetismo: ad ogni elettrone corrisponde un protone.

Solo se esiste un perfetto equilibrio tra le due valenze è possibile avere salute fisica e psichica.

Lo squilibrio di tali cariche comporta instabilità e, quindi, malattia. Tutto ciò che esiste è al posto giusto e si trova nel momento giusto. Un tale motto può sembrare fatalista, ma non è altro che l’accettazione

della realtà quale appare. Ciò significa che bisogna cercare di modificare una situazione

spiacevole, perché questo comporterebbe un’accettazione passiva di ogni cosa.

È necessario, invece, accogliere e comprendere nella sua totalità il problema per poi trovare il modo migliore per risolverlo.

L’uomo dell’Età dell’Acquario dovrebbe cercare di essere felice nel suo corpo, sereno e buono nel comportamento, in altre parole: perfetto.

Il movimento New Age è decisamente ottimista. Crede nell’avvenire, in un mondo migliore, nella fratellanza e nella

comunicazione non come scontro, ma come arricchimento reciproco. Il simbolo dell’acquario spazzerà via le cristallizzazioni dell’Età dei

pesci, apportando rinnovamento, gioia, serenità e prosperità. Prima che tale realtà si avveri, però, passeranno ancora parecchi anni

chiamati di "transizione" tra un’era e l’altra. In tale periodo le vecchie forme crolleranno non senza sofferenza e

dolore, per lasciare spazio alla nuova vita che sta per nascere.

PANTEISMO. Dottrina che identifica l'universo dal greco, pan, "tutto" con Dio dal

greco, theós.

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Il pensatore può muovere da un'idea della realtà divina e indagare poi la relazione tra ciò che non è divino e il divino.

Questa posizione viene comunemente denominata "panteismo acosmistico".

Oppure, il pensatore può partire da una comprensione della finitezza e mutevolezza della realtà e dare il nome di Dio alla loro totalità onnicomprensiva.

Questo orientamento è chiamato "panteismo ateistico". Le forme più tipiche del panteismo acosmistico sono identificabili nella

tradizione indù, di cui il maggiore esponente fu il filosofo indiano Shankara. Le difficoltà dell'acosmismo sono visibili nel suo sistema: tendenza a

negare la realtà del finito, in quanto esso è mutevole, negazione della realtà del male, della realtà della libertà e del divenire, e considerazione della personalità individuale in ultima analisi come irreale.

Nel pensiero occidentale, oltre a buona parte della filosofia rinascimentale, il filosofo olandese Baruch Spinoza rappresenta l'esponente di spicco di una forma di panteismo di grande coerenza logica.

La sua visione rappresenta una critica rilevante della concezione "ortodossa" secondo cui la realtà di Dio è in certo senso esterna alla realtà del mondo.

È difficile infatti trovare nell'opera dei principali filosofi e teologi la mera equivalenza di "Dio" e "mondo".

Generalmente abbondano determinazioni che affrontano le dicotomie tradizionali come quelle dell'Uno e del molteplice, del bene e del male, della necessità e della contingenza, dell'essere e del divenire.

I più famosi panteisti nella storia furono: Shankara, JJ. Toland, Giordano Bruno, B. Spinoza, G. Scoto Eurigena, F.W.J. Schelling, J. Eckart, G.W.F. Hegel.

SCINTOISMO. Dal giapponese Shinto, "la via degli dei". Religione tradizionale del Giappone, che si identifica pienamente con la

cultura e l’ideologia politica locale, pur nella capacità di convivere con altre dimensioni religiose, come il Buddhismo, da secoli diffuso in Giappone.

E’ una religione politeista che venera un nutrito pantheon di kami ("dei" o "spiriti") comprendente varie classi di divinità, tra cui gli dei locali, i fenomeni naturali, gli esseri viventi, considerati depositari di una forza vitale e spirituale e gli antenati nobili deificati.

L’imperatore è stato a lungo venerato come kami vivente. Sorto in una cultura preletteraria, lo scintoismo conserva tuttora i suoi

caratteri di religione spiccatamente rituale, che invita i fedeli a venerare i kami, propiziandoseli con preghiere e offerte, e a scongiurare la loro ira evitando gli stati di impurità.

Offerte di riso, sakè, pesce, frutta e verdura caratterizzano le cerimonie più importanti, connesse con i cicli stagionali, a testimonianza del fatto che i riti traggono origine da una società agricola e con le tappe della vita del fedele.

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Queste sono segnate dalla prima visita dei neonati al loro kami tutelare, dal Shichi-go-san (Sette-Cinque-Tre), una festa durante la quale i bambini di cinque anni e le bambine dai tre ai sette anni pregano nei templi per ottenere buona salute, e dalle tradizionali cerimonie nuziali.

Storia. Nato in epoca preistorica dall’evoluzione di credenze popolari di natura

sciamanica e animistica, lo scintoismo assunse caratteri distintivi soltanto alla fine del VI secolo, quando la famiglia imperiale fece divinizzare gli ujigami, i numi tutelari dei clan guerrieri, collocandoli in un pantheon che rispecchiava fedelmente la struttura politica vigente.

Ciò rese lo scintoismo la religione ufficiale giapponese. Tuttavia l’introduzione del buddhismo (538) influì in modo sempre più

evidente sulla religione tradizionale, al punto di creare un culto sincretistico che fu codificato in termini filosofici come Ryobu Shinto ("Shinto dei due aspetti ").

Soltanto nel XII secolo si verificò un tentativo di liberare la religione tradizionale dal legame con il buddhismo.

Yoshida Kanemoto, membro di una delle famiglie sacerdotali che guidavano questo movimento riformatore, elaborò una visione teologica dello scintoismo, proponendolo come religione destinata a fondere in sé tutte le altre.

La sua scuola, detta Yoshida Shinto, acquisì un ruolo predominante con l’inizio della dinastia Tokugawa nel 1603 e, pur non riuscendo a sradicare il culto sincretistico, ispirò direttamente le scuole Kokugaku della "Dottrina nazionale", che alla fine del XVII secolo restituirono alla fede nazionale la sua funzione di strumento di identificazione patriottica e favorirono, attraverso ricerche filologiche, la corretta interpretazione dei testi sacri.

Questa ideologia radicale divenne dominante con la restaurazione Meiji del 1868, e lo scintoismo divenne religione di stato.

La separazione definitiva dal buddhismo fu sancita per decreto nel 1868 e le immagini del Buddha furono rimosse dai templi e dal palazzo imperiale.

Il processo di politicizzazione della religione nazionale ebbe il suo culmine nel 1932 con il decreto del ministero dell’Istruzione che, assegnando ai santuari scintoisti il ruolo di scuole di patriottismo, creava la struttura necessaria a sostenere il regime militarista e imperialista di quegli anni.

Con la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, il governo di occupazione insediato dagli Stati Uniti sancì già nel 1945 la fine dello scintoismo come religione di stato, imponendo all’imperatore di negare esplicitamente la sua natura di divinità.

I santuari si riorganizzarono nel 1946 come associazioni autonome, sostenute da donazioni private, e come riti privati della famiglia imperiale furono reinterpretate le cerimonie di corte.

Nonostante questa profonda laicizzazione del paese, lo spirito dello scintoismo sopravvive tuttora in forme che si adattano, talora paradossalmente, alle esigenze anche tecnologiche della società moderna.

SUFISMO.

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É questa la corrente più esoterica e mistica della religione islamica. Movimento religioso di carattere mistico e ascetico sorto nel mondo

islamico a partire dall' XI secolo, in prevalenza fra i sunniti, benché comprenda anche confraternite e membri sciiti, che non assunse mai le caratteristiche settarie di altri gruppi, come, ad esempio, quello degli ismailiti.

Vivendo in una perfetta adesione all'istante presente e in un accettazione incondizionata della realtà intesa come manifestazione di Dio, i santi e i saggi sufi arrivano a conoscere la più alta realizzazione spirituale e accedono alla coscienza della realtà ultima fino ad annullarsi in essa.

Il sufismo è la via che conduce dall'individuale all'universale, dal mondo delle apparenze all'Unità, anche di tipo cosmico.

Rumi e i dervisci ruotanti. La città santa di Konya, in Turchia, è teatro di un rito che affonda le sue

radici nel mistero. Abbiamo così il sama estatico dei dervisci mevlevi, la confraternita sufi

fondata da Gialal-ud-Din Rumi nel XIII secolo dell'era cristiana. Accanto al mausoleo che ospita il sepolcro di Rumi, i dervisci si

esibiscono, davanti a un pubblico attonito, nella loro danza folle e vertiginosa. Mentre il flauto e i tamburi cominciano a suonare, essi depongono la

sopravveste nera, simbolo del basso, oscuro mondo in cui l'anima è prigioniera e, candidi come aironi migranti verso una patria lontana, cominciano a ruotare senza posa sul perno di un piede.

Lo scopo della danza (dhikr) è generare ed alimentare uno stato di estasi rituale e accelerare il contatto tra la mente del Sufi e la Mente Cosmica di cui egli si considera parte.

Origini. Per quanto gli adepti riconducano le origini del loro movimento all'epoca

di Maometto, il termine che lo denota,”Tasawwuf”, comparve a Kufa, in Iraq, soltanto nel IX secolo, al tempo degli abbasidi.

Esso sembra derivare dal termine arabo suf, da cui "sufismo", che indica l'abito di lana grezza indossato dagli asceti musulmani.

Alla fine del X secolo questa corrente aveva già diffuso confraternite di seguaci da Bassora e da Baghdad, capitale abbaside, in tutto l'Iraq e nel resto del mondo islamico, dove rappresentava un tentativo di interpretazione mistico-esoterica della religione di Maometto.

Da principio oggetto dell'ostilità delle correnti islamiche più tradizionaliste, il movimento ottenne dal XII secolo un riconoscimento formale nell'ambito dell'ortodossia, soprattutto grazie all'operato e agli scritti di alcuni membri illustri provenienti dai ceti colti del sunnismo, come il pensatore al-Ghazali.

Caratteristiche. Il sufismo non prevede un sistema dottrinale omogeneo che lo caratterizzi

precisamente rispetto alle altre correnti dell'Islam, e gli studiosi hanno attribuito ai diversi settori del movimento prospettive teologiche tendenti al monismo, al teismo o al Panteismo.

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Un motivo unificante tra le varie dottrine dei sufi è forse la convinzione di godere di una speciale relazione di elezione (walaya) con la divinità, grazie alla quale sarebbe possibile stabilire una forma di comunicazione con Dio al fine di ottenere la comunione spirituale e la conoscenza della verità divina (haqiqa).

Fonte di questa potenzialità è lo stato di grazia riservato da Dio stesso agli iniziati, che ne entrano in possesso mediante un lungo cammino di ascesi spirituale (maqamat) in varie tappe, da compiersi sotto la guida di un maestro (shaykh o pir) ritenuto capace di trasmettere al suo discepolo uno stato di benedizione soprannaturale (baraka).

Tale benedizione sarebbe concessa alle generazioni future da Alì e dallo stesso Maometto per mezzo della successione autorevole (silsisla) di maestri illustri.

L'esistenza del mondo, secondo i sufi, sarebbe garantita, in ciascuna generazione, dalla nascita di un maestro dotato della natura di "uomo perfetto" (qutb), la cui identità può essere svelata solo a quanti abbiano raggiunto lo stato del distacco da sé (fana), della dipendenza da Dio (baqa), e della conoscenza (marifa).

A differenza dell'imam degli sciiti, con il quale pure condivide alcuni aspetti essenziali, come i poteri soprannaturali e il ruolo di garante dell'esistenza dell'universo, l’"uomo perfetto" del sufismo non dipende da una particolare linea di discendenza familiare e non appare come figura isolata nella sua epoca.

Rappresenta, al contrario, il vertice di una gerarchia di maestri venerabili, dotati in qualche misura delle sue stesse facoltà.

I sufi, infatti, venerano come santi, accanto agli uomini perfetti, innumerevoli maestri del passato, fra i quali personaggi estranei alla loro dottrina e gli stessi imam sciiti.

Grande importanza è attribuita alla musica e alla poesia; per quanto riguarda l'amore profano e il vino, tendenzialmente demonizzati dalla tradizione islamica, essi vengono considerati esperienze simboliche dell'amore divino e dell'estasi mistica, ( vedi “Stati di coscienza modificati e Bacco”).

TANTRISMO. Complesso di pratiche rituali fondate sugli insegnamenti del Tantra (dal

sanscrito, "sistema", "trama di tessuto"). L'influsso del tantrismo sulle religioni indiane aumentò a partire dal VI

secolo D.C., rimanendo tuttavia circoscritto a piccoli gruppi. In particolare, si appropriarono delle pratiche tantriche alcune comunità

buddhiste della setta vajrayana e le comunità indù dedite allo shaktismo, che mette in risalto la funzione della forza divina femminile e le rende omaggio superando così le barriere di sesso e di casta.

Il tantrismo, attraverso la recitazione di mantra e la pratica di tecniche yoga e di meditazione, cerca la via della redenzione avendo come fine ultimo il distacco da ogni legame terreno.

Tantra, corpus di testi e rituali esoterici indù e buddhisti.

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I Tantra indù, redatti in epoca medievale dopo i Purana sono di natura sincretica e hanno usualmente la forma di dialoghi in cui il dio Shiva spiega alla sua sposa Parvati la filosofia e i miti che sottendono al rito tantrico, incentrato sul principio energetico femminile, o Shakti.

Questo rito si discosta dalle abitudini indù sia nelle pratiche sessuali sia in quelle di purificazione.

Gli adepti imparano da un guru come sprigionare la loro energia psicosessuale, simbolicamente rappresentata da un serpente avvolto alla base della spina dorsale (Kundalini). La forza deve raggiungere il centro energetici, i chakra, più alto, quello cioè posto alla sommità della testa.

Solo così l'adepto sperimenta in se stesso l'unione del dio e della dea. Il tantrismo buddhista è un aspetto della terza fase del buddhismo, il

"veicolo del fulmine" o "del diamante" e si sviluppò dal buddhismo mahayana.

Fu perfezionato nel Tibet, dove diede vita a una sorta di sincretismo con il tantrismo indù, specialmente in Assam e Bengala.

Un tempo esistevano sette tantriche in tutta la Cina e il Bengala; ora sopravvivono soprattutto nell'India settentrionale.

TAOISMO. Termine che designa l'insieme delle dottrine filosofiche e religiose che

ebbe origine intorno al IV secolo a.C. in Cina, in concorrenza con il confucianesimo.

Il taoismo risulta oggi costituito da due sistemi distinti: il "taoismo filosofico", che si ritiene nato nella Cina dell'epoca classica con la dinastia Chou, e il "taoismo religioso", che si affermò 500 anni più tardi con la dinastia Han.

Quest'ultimo si fonda sulla rivelazione del saggio Lao zi (Lao-tzu), che un taoista di nome Zhang Daoling asserì di aver accolto nel 142 d.C. sui monti del Sichuan.

Il taoismo filosofico è rimasto il fondamento immutato di un coacervo di credenze religiose ereditate dall'originario politeismo cinese e di atteggiamenti e pratiche che per l'Occidente moderno sono definibili come superstiziose, come lo sciamanesimo e la divinazione.

Il taoismo religioso è invece tuttora una religione praticata, ed è divenuta parte integrante della cultura popolare cinese.

Origine e dottrine fondamentali. Il taoismo filosofico ebbe origine nel fermento intellettuale del periodo

della dinastia Chou, quando numerose scuole filosofiche si contesero il ruolo di consigliere di governanti piuttosto che di dispensatrici di suggerimenti circa il modo corretto di vivere in un mondo lacerato dai mutamenti politici e sociali.

Verosimilmente, le sue origini sono da ricercate in quella cosiddetta "scuola yang" tanto disprezzata dal filosofo confuciano Mencio, il quale affermava che gli yangisti non si sarebbero neppure strappati un capello dal capo a beneficio del mondo intero.

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In effetti, la scuola yangista predicava la crescita e la valorizzazione dell'interiorità dell'individuo e il ritiro a vita privata, riconducendosi a una tradizione cinese di mistica e contemplazione simile allo yoga, che era stata diffusa nel tardo IV secolo a.C. dal filosofo Zhuang Zi(Chuang-tzu).

Dopo poco tempo, un pensatore anonimo compilò una raccolta di riflessioni celandosi dietro il nome del semileggendario Lao Zi o Lao-tzu, tradizionalmente identificato come maestro di Confucio.

È indubbio che, mentre Zhuang Zi concepì le proprie teorie esclusivamente a uso privato, Lao Zi presentò esplicitamente le proprie come l'esposizione di un manuale di governo.

Le dottrine taoiste fondamentali, sia filosofiche sia mistiche, sono contenute nel Tao-te ching, il Libro della via e della virtù, che risale al III secolo a.C. e viene attribuito a Lao zi, e nel Zhuangzi, un testo composto di parabole e allegorie, anch'esso risalente al III secolo a.C., ma ricondotto a Zhuang Zi.

Mentre il confucianesimo esortava l'individuo a conformarsi alle norme tradizionali della "Via degli antichi re", il taoismo asseriva che l'individuo dovrebbe ignorare le imposizioni della società e cercare unicamente di conformarsi al disegno della natura, il Tao o Dao, la "via", il "cammino", il "principio", che non è definibile a parole né concepibile con il pensiero.

Per essere in armonia con il Tao è necessario "non agire",wu-wei, non fare cioè nulla di artificioso o innaturale.

Se ci si abbandona liberamente agli impulsi della propria natura e ci si libera da qualsiasi dottrina si giunge all'unità con il TAO e si acquista un potere mistico, il De.

Esso consente di trascendere qualunque contraddizione tra gli aspetti del mondo, persino quella tra la vita e la morte.

Spesso i taoisti più tardi interpretarono il Tao come una sorta di potere magico, ma pare che Lao Zi e Zhuang Zi si siano serviti del termine solo per designare, in generale, le capacità dell'individuo perfettamente libero.

Zhuang Zi, in particolare, si oppose ai confuciani e alla scuola di Mo Zi o Mo ti. Questi infatti sostenevano che la ragione umana avrebbe potuto rivelare il Tao mentre invece egli riteneva che le distinzioni del pensiero concettuale rappresentassero essenzialmente la distanza dell'uomo dal Tao.

Per quanto riguarda le dottrine sociali e politiche, i taoisti invocarono un ritorno alla vita agreste delle origini.

Nel Tao-te ching il "non agire" fa riferimento tanto al sovrano quanto al privato cittadino.

Diffidando degli artifici concettuali al pari di Zhuang Zi, Lao Zi raccomandò al sovrano di riempire il ventre dei sudditi, ma di vuotare la loro mente, in modo tale che essi non potessero mai desiderare niente.

Per lui lo stato ideale doveva incarnarsi nella dittatura di un filosofo-sovrano alla guida di un popolo obbediente e passivo.

Tale visione è ravvisabile, benché sussistano alcune differenze, nella teoria dello stato totalitario sviluppata dalla scuola filosofico-politica dei legisti fiorita al tempo degli stati combattenti, il cui massimo esponente fu Han Fei.

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Il taoismo sopravvisse agli attacchi di concezioni filosofiche concorrenti sotto la dinastia Qin, che aveva unificato la Cina.

Il pensiero di Lao Zi venne raccolto dai cortigiani della dinastia Han, che lo sincretizzarono con leggende dell'Imperatore Giallo, Huangdi, e con la cosmologia Yin-Yang del Tai Ji al fine di arricchire la filosofia di governo dell'impero.

Si verificò inoltre una fusione di taluni aspetti del taoismo con la religione cinese.

I seguaci di questi culti, come i Turbanti Gialli di Shandong, contribuirono a rovesciare la dinastia (220 D.C.).

Dopo questa data il popolo fu più incline ad abbracciare il taoismo religioso, mentre il ceto dei mandarini, più colto, adottò il taoismo filosofico associandolo a speculazioni cosmologiche e scientifiche.

Il taoismo influenzò profondamente la letteratura cinese e l'arte cinese. La poesia di Tao Yuanming o T'ao Ch'ien e di Li Po deve molto al

taoismo. La pittura paesaggista si ispirò in larga misura all'evocazione delle forze

della natura e al culto di un idillico ritiro dal mondo. La ricerca dell'immortalità sulla scorta dei riferimenti metaforici alla

perfettibilità e all'immortale xian che costellavano l'opera di Zhuang Zi, portò alla nascita di una chimica rudimentale.

Gli esperimenti di alchimia cedettero il posto, tra il III e il VI secolo, a tutta una serie di pratiche igienico-sanitarie, tuttora seguite, che, sottolineando l'importanza della respirazione regolare e della concentrazione per prevenire le malattie, miravano a favorire la longevità.

Il taoismo e il buddhismo cinese si influenzarono reciprocamente dopo la diffusione del buddhismo nel IV secolo D.C.

Anche il taoismo si diede un'organizzazione pseudomonastica. Alcuni discepoli taoisti sostennero persino che il leggendario Lao Zi

avesse effettivamente lasciato la Cina e fosse divenuto il Buddha, ma la dinastia mongola Yuan con l'imperatore Kublai Khan condannò questo mito nel 1281.

Il taoismo fu responsabile della più massiccia persecuzione del buddhismo mai avvenuta in Cina (842-845), a opera di un imperatore taoista della tarda dinastia Tang ma alla fine, le dottrine taoiste si fusero con le idee buddhiste, determinando la nascita del Buddhismo Zen.

Gli studiosi moderni hanno rivelato la profondità filosofica del taoismo più antico.

Martin Heidegger tentò di tradurre il Tao-te ching, e reminiscenze taoiste ricorrono nella sua filosofia e in quella dei filosofi da lui ispirati.

Inoltre, il taoismo filosofico ha destato grande interesse, in particolare per la filosofia del linguaggio, le correnti antirazionaliste, lo strutturalismo, la decostruzione e molti altri orientamenti del pensiero moderno.

TEOSOFIA. La parola Teosofia,"Sapienza di Dio" o "Saggezza divina" o "Saggezza del

divino", venne utilizzata per la prima volta dai "Settanta" che tradussero la

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Bibbia ebraica in greco, ad Alessandria d’Egitto tra il 150 ed il 200 a.C. per rendere la parola ebraica "binah", che significa comprensione o intelligenza.

Ma fu la Scuola Neoplatonica fondata sempre ad Alessandria d’Egitto da Ammonio Sacca (175 D.C.-242 D.C.) a farne un termine diffuso.

La Teosofia, come la si intende attualmente, è il complesso delle conoscenze che stanno alla base di ogni religione, quegli insegnamenti essenziali comuni a tutte le religioni e che costituiscono quel comune denominatore che permette di conciliare tutte le religioni mediante uno studio comparato.

In breve, gli insegnamenti teosofici sono le conoscenze del lato spirituale dell'uomo e delle grandi leggi della Natura e dell'Universo che ne regolano l'esistenza.

La Società Teosofica è stata fondata a New York il 17 novembre 1875 per opera della nobildonna russa Helena Petrovna Blavatsky.

I tre principi e scopi su cui si basa la Società Teosofica sono: Formare un nucleo di Fratellanza Universale dell’Umanità senza

distinzioni di razza, sesso, credo, casta o colore. Incoraggiare lo studio comparato delle religioni, filosofie e scienze. Investigare le leggi ancora misteriose della Natura ed i poteri latenti

dell'uomo. I teosofi sostengono che la Verità va ricercata con lo studio, la riflessione,

la purezza di vita e la devozione costante e assidua agli alti ideali. Considerano la Verità come una ricompensa alla quale mirare, non un

dogma da imporre agli altri con autorità. I teosofi ritengono anche che la credenza deve essere il risultato dello

studio individuale o dell'intuizione e non una sua premessa e che deve basarsi sulla conoscenza piuttosto che sulle affermazioni.

Essi estendono la tolleranza a tutti, anche agli intolleranti, non come privilegio da concedere, bensì come dovere da adempiere e cercano di rimuovere l'ignoranza, non di punirla.

Considerano ogni religione come un'espressione della Divina Saggezza e preferiscono studiarla anziché condannarla, praticarla anziché farne proselitismo.

La Teosofia presenta una filosofia che rende la vita comprensibile e che dimostra che la giustizia e l'amore guidano la sua evoluzione.

ZOROASTRISMO. Religione fondata nell'antica Persia dal profeta Zoroastro, nome

grecizzato di Zarathustra. Le dottrine predicate da Zoroastro sono conservate nelle sue Gatha, i

salmi contenuti nel testo sacro noto come Avesta. Le Gatha raffigurano il culto monoteistico di Ahura Mazda il "Signore

saggio" e il conflitto cosmico di Verità e Menzogna. Tutto ciò che è buono è emanazione di Ahura Mazda: Spenta Mainyu o il

"Sacro Spirito", forza creativa e le entità che lo assistono. Tutto il male è causato dal "gemello" di Spenta Mainyu, Angra Mainyu

o lo "Spirito malvagio"; in persiano, Ahriman e dai suoi aiutanti.

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Angra Mainyu è malvagio per scelta, in quanto alleato della Menzogna, mentre Spenta Mainyu ha scelto la Verità, come possono scegliere gli uomini.

dopo la morte l'anima di ciascuno sarà giudicata al Ponte del Giudizio; il seguace della Verità lo attraverserà e sarà condotto in paradiso, mentre gli amici della Menzogna precipiteranno nell'inferno.

Il male sarà infine eliminato dal mondo grazie a una sorta di prova del fuoco.

Il primo re persiano che riconobbe la religione predicata da Zoroastro fu probabilmente Dario I.

Nelle sue iscrizioni abbondano le lodi di Ahura Mazda e si considera la Menzogna come forza negativa per eccellenza.

Anche suo figlio, Serse I, fu un adoratore di Ahura Mazda, mentre Artaserse I, che regnò dal 465 al 425 a.C. promosse una forma di sincretismo, elaborata dai magi, fra la dottrina di Zoroastro e il vecchio politeismo.

Le tracce di questo sviluppo sono ben visibili nelle diverse componenti degli Yasht.

Artaserse II che regnò dal 409 al 358 a.C. venerava Ahura Mazda, Mitra e Anahita.

Durante il suo regno fu probabilmente costruito il primo tempio persiano. Sotto la dominazione dei seleucidi (greci, 312-65 a.C.) e degli arsacidi

(parti, 247 a.C. ca. 226 D.C.), prosperarono accanto allo zoroastrismo culti e divinità straniere.

La nuova dinastia persiana dei sassanidi (224-636 D.C.) proclamò lo zoroastrismo religione di stato della Persia.

Nonostante l'islamizzazione della Persia, avvenuta dopo la conquista araba del VII secolo, lo zoroastrismo sopravvisse in piccole comunità nelle regioni montuose di Yezd e Kerman.

Zoroastro ha ancora circa 18.000 seguaci in Iran. Gli zoroastriani, detti parsi o "persiani", sono numerosi e spesso facoltosi

in India circa 150.000, soprattutto nella zona di Bombay. Celebrano ancora la liturgia avestica e curano il fuoco sacro, ma

preparano una haoma non tossica e soltanto in pochi seguono ancora l'uso dei magi di esporre i cadaveri sulle cosiddette torri del silenzio perché siano preda degli avvoltoi.

Questo lungo excursus tra le principali forme religiose del pianeta ci può

servire molto per comprendere meglio l’analisi degli stati modificati di coscienza che possono essere sviluppati con concezioni o convinzioni religiose completamente diverse tra di loro.

Nel contesto abbiamo già accennato a qualche pratica utilizzata per ottenere qualche stato di coscienza modificato particolare..

Cerchiamo ora di essere più precisi, anche se, per le solite esigenze di spazio, forzatamente alquanto sintetici.

BUDDHISMO.

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Attraverso la pratica dell’ottuplice sentiero, come abbiamo visto, il Buddha raggiunse a ventinove anni, in una “notte di grazia”, quello stato di coscienza modificato che lui chiama “Illuminazione”.

Non è per noi tanto facile esaminare o capire tutto quello che ha potuto provare o sperimentare in quello stato.

Da allora però cambiò completamente vita e si mise in cammino, come un povero viandante, predicando ai semplici, agli umili ed ai poveri la sua “avventura mentale”.

Quando un essere parla “con il cuore” viene subito ascoltato. In modo particolare da chi “vive con il cuore” e, come ben si nota nel

contesto, gli adepti si moltiplicarono a dismisura. Le pratiche del Raja Yoga ( Yoga Reale) nascono dalla fusione del

bhaktiyoga, yoga religioso, che si fonda sull’autocontrollo e l’osservanza fedele dei principi religiosi con il karmayoga, il sentiero del buon operare e del buon servizio e dell’jnanayoga, la via dell’intelletto.

La pratica yoga serve in modo specifico per raggiungere lo stadio della purificazione, giungendo, attraverso vari passaggi od elevazioni, fino al nirvana.

Esso però si raggiunge solo staccandosi completamente dalle cose terrene, controllando il ritmo del respiro e concentrandosi con pazienza e perseveranza su un “mantra” oppure su qualche parte del corpo o su un solo oggetto.

L’“ottuplice sentiero” dunque si raggiunge con molteplici passaggi che elenchiamo molto brevemente.

1)Yama o purificazione della mente. Si raggiunge esercitando vari tipi di comportamento come la non

violenza, la castità, la serenità, dominando tutti i tipi di desideri e non accettando mai regali.

2)Niyama. Le regole sono in modo particolare lo studio, il digiuno

purificatore, il piacere del poco, l’adorazione di Dio. 3)Asana. Si ottiene con un particolare controllo della postura fisica,

mantenendo tutto il corpo completamente libero da tensioni nervose e muscolari, con posizioni anche completamente al di fuori delle normali.

4)Pranayama. Si raggiunge con un grande e perseverante allenamento al

controllo costante e progressivo della respirazione, fino a mantenerla calma, profonda, tranquilla e regolare ( due-tre respirazioni al minuto).

In questo specifico stato di coscienza modificato si può vivere lo scorrere del tempo in modo diverso da quello normale, avvicinandosi,

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come afferma Mircea Eliade, al fluire dei ritmi del gran tempo cosmico.

5)Pratyahara. E’ ottenuto con un controllo severo e costante nel tempo delle

sensazioni che partono dalla volontà, in modo da riuscire a smorzarle del tutto.

6)Dharama. E’ uno stato di concentrazione mentale particolare, ottenibile con

la fissazione della mente o sul loto del cuore o sul loto della testa. 7)Dhyana. Si tratta di uno stato di coscienza modificato, ottenibile quando le

onde mentali si congiungono in una sola, senza più pensieri. 8)Samahdi, il massimo raggiungibile da esseri umani.

Può essere ottenuto con l’esperienza del superconscio, con la contemplazione, con l’identificazione con il cosmo, con l’illuminazione interiore, con la dispersione del pensiero entro determinati tipi di contenuti immaginati.

Gli ultimi tre gradini, concentrazione – meditazione – illuminazione,

quando sono ottenuti in modo perfetto, formano il Samyana o stadio della conoscenza vera o del dominio perfetto dei sensi. -

Lo Swami Sivananda Sarasvati parla anche di meditazione concreta (Saguna Dhyana) e di meditazione astratta /Nirguna Dhyana).

Nella meditazione concreta l’attenzione viene focalizzata su una immagine fisica ad occhi aperti o su una immagine mentale ad occhi chiusi.

Nella meditazione astratta, invece, l’attenzione è focalizzata sulla pura essenza di sé, facendo in modo di dimenticare completamente il corpo, la mente stessa ed il cosmo intero.

Ancora più ad oriente, in Cina ed in Giappone, ma anche presso i popoli della Polinesia, la dottrina Zen del vuoto mentale, come scrive Suzuki, è avvicinabile, se non addirittura a volte sovrapponibile, ad uno stato meditativo ottenuto con la tecnica della concentrazione passiva.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E BACCO

“Non c’è gioia senza vino” Talmud “Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo”. Hemingway. Morte nel pomeriggio. “Una sera nelle bottiglie cantava l’anima del vino”. Ch. Baudelaire. L’ame du vin. “Il bere causa morte lenta”. ” E chi ha fretta”?. R. Benchley, già vecchio. Prendiamo l’occasione della mostra alla Biblioteca Casanatense di Roma

dal titolo: ”Il vino tra il sacro ed il profano”, che è stata aperta dal 21 ottobre 1999 al 29 gennaio 2000, per interessarci anche noi del grande valore simbolico, specie nei riguardi della salute, che il “dolce nettare” ha sempre avuto nella storia, fin dagli albori della civiltà mediterranea.

Il vino nel mito e nella storia ha avuto infatti una parte di primo piano, non solamente come alimento e portatore di salute, ma anche e soprattutto come espressione viva e vivace della sua carica in molti momenti difficili, sia individuali, sia collettivi.

Ci basti ricordare in questo contesto le grandi feste dionisiache, celebrate in onore di Bacco, in modo particolare a Delfi, che comprendevano momenti estatici ed orgiastici, celebrate dalle baccanti o menadi e dal loro corteo di centauri, ninfe e satiri.

Le celebrazioni cittadine culminavano infine con grandi spettacoli teatrali, ai quali partecipavano, con opere ancora oggi famose, Eschilo, Sofocle, Euripide ed Aristofane.

Il momento centrale di tutta la celebrazione era altresì un tipo particolare di musica, suonata anche con strumenti a fiato, oltre ai normali strumenti a corda, con cori e danze sacre, che portavano, insieme alle libagioni, anche dentro vari stati di coscienza modificati.

Naturalmente, in questi casi, i cosiddetti “invasati dal dio Bacco” cominciavano a profetare e a compiere rituali strani, molto spesso rivolti perfino al misticismo.

Delfi tra l’altro è diventata famosa proprio per il suo “oracolo”, al quale si rivolgevano perfino i potenti ed i re.

Ricordiamo ancora Sileno, il più anziano dei satiri, il quale, quando veniva colto “nel torpore del vino”, era in grado di prevedere il futuro di chiunque fosse insieme a lui.

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Presso i sufi, una rigida comunità di monaci in prevalenza sunniti, si apprezza il vino come simbolo dell’estasi mistica, in quanto conduce a degli stati di coscienza anche al di fuori della realtà comune di tutti i giorni.

Tutto questo rituale non si è completamente perso durante i secoli se, ancora in epoca umanistica, Lorenzo il Magnifico lo celebrò con: ”Il trionfo di Bacco ed Arianna” e Rabelais, con la sua raffinata e vivace comicità, nell’opera: “Gargantua e Pantagruel”, dedicata proprio ai “bevitori illustrissimi”, nella quale troviamo uno studio sul vino tra i più completi apparsi durante il Rinascimento.

Baudelaire, nella sua raccolta capolavoro: “I fiori del male” inneggia al vino, dedicandogli addirittura tutta la terza parte.

Anche nei Carmina Burana, di netta ispirazione goliardica, i temi più frequenti sono quelli del vino, delle donne, del gioco, dei piaceri della vita. Essi sono stati musicati dal compositore tedesco Carl Orff, che ne ha ricavato dei bellissimi quadri musicali allestiti in un opera-balletto.

Ma torniamo a Rabelais, il quale ci presenta l’assunto che non serve a nulla essere in grado di apprezzare il vino in quanto tale, ma bisogna invece saper assaporare, non certo solo con il palato, unicamente il “vino buono”; in altre parole solo il “vino di qualità”( diremo oggi il “vino DOC”) che dona all’essere umano “il potere di riempire l’anima di ogni verità, di ogni sapere, di tutta la filosofia”.

Perfino il grande Nietzsche nella:“Nascita della tragedia dallo spirito della musica” molto argutamente si interessa della notevole contrapposizione tra il carattere istintivo e passionale dei miti e dei riti dionisiaci con quello invece dotato di grande ordine ed armonia dei riti di Apollo.

Resta traccia dei baccanali perfino nella nostra bellissima Verona, ove, a Carnevale, si celebra il “Baccanal del Gnoco”, tradizione molto antica, che risale ai secoli del primo rinascimento, ove, insieme ai gnocchi, piatto tipico veronese, scorrono fiumi di Bardolino, Soave e Valpolicella, nomi di vini doc ormai noti ed apprezzati in tutto il mondo.

T.Gregory, direttore dell’ ”Appendice 2000” della Treccani, così scrive in “Bevo vino, dunque sono”: “Consumare il prodotto della vite è dunque espressione di una cultura – non della natura – che colloca il vino in una sfera privilegiata, in un immaginario anch’esso proprio dell’uomo: il vino, con la sua simbologia accompagna tutte le più complesse esperienze dell’esistenza umana, dalla vita quotidiana fino al sommo dell’esperienza mistica, dove proprio la “sobria ebrietas” indica il vertice della contemplazione, secondo una tematica di tutta la tradizione platonica, gnostica, ermetica, cristiana che variamente celebra i misteri del vino”.

In questo breve escursus, senza soffermarsi naturalmente ad analizzare ogni singola civiltà, ogni singolo popolo dedito alla cultura ed anche al culto del vino, ci piace ricordare la tradizione cristiana, che si presenta molto ricca in rituali e simbolismi dedicati al vino.

Essa infatti parte dall’ebbrezza di Noè, che, dopo aver approfittato un po’ troppo del liquido da lui creato, si corica nudo nella sua tenda, avendo perso i suoi freni inibitori. Si arriva più tardi alle dolci parole del Cantico dei

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Cantici, dove il primo incontro tra i due amanti è proprio nella “cella del vino”:

Cantico 1:2 Mi baci egli dei baci della sua bocca poiché le tue carezze sono migliori del vino. Cantico 4:10 Quanto sono dolci le tue carezze, o mia sorella, o sposa mia! Come le tue carezze sono migliori del vino, come l'odore dei tuoi profumi è più soave di tutti gli aromi! Cantico 7:3 Il tuo seno è una tazza rotonda, dove non manca mai vino profumato. Il tuo corpo è un mucchio di grano, circondato di gigli.

Ed ecco le parole di Gesù a Cana, nella sua prima uscita per un

matrimonio, con la mamma che gli chiede un favore particolare, per non intristire i convitati:

Giovanni 2:3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. Giovanni 2:9 Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l'acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: Giovanni 2:10 Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora.

Da ultimo le parole più importanti, ricche di significato e di mistero profondo, pronunciate nell’Ultima Cena quando Gesù, offrendo il vino ai suoi discepoli, dice:

Luca 22:20 Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. Giovanni 6:54 “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno”. Giovanni 6:55 “Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda”. Giovanni 6:56 “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui”.

Il rituale cristiano, in questo caso, ci porta proprio più addentro al nostro tema, per incominciare ad analizzare da vicino come il trascendente entri nella storia umana proprio con i due simboli fondamentali del pane e del vino, i quali, pur facendo parte del quotidiano sulla tavola anche dei più poveri, sono stati nobilitati tra i più alti che possano esistere, anche se sono adombrati di quel “misterium fidei” che oltrepassa i limiti della ragione.

Presso tutti i popoli mediterranei da sempre il vino sulla tavola, il “vino buono” alla Rabelais, è segno di amicizia, di incontro, di allegria, di amore, di speranza, di sintonia, ma anche di rituali e di simboli che si perdono nella notte dei tempi.

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Perfino in bocca agli assaggiatori specialisti le caratteristiche organolettiche di un vino sono ricche di aggettivi esuberanti di simboli, metafore, allusioni e fantasie a non finire. E non sono certo pochi gli aggettivi che si usano: sono più di cinquecento!

Del resto anche le cosiddette “estasi dionisiache” non fanno sicuramente parte delle elaborazioni del cervello sinistro, specie quando veniva superata la soglia della “sobria ebrietas” già ricordata.

In questo modo, sopito il “grande ribollire” della ragione, si fanno strada altre sensazioni, esperienze, vissuti, emozioni che si agganciano molto bene a quei stati di coscienza modificati che gli esperti professionisti conoscono da tempo come veglia rilassata, stato ipnoide, stato preipnotico, stati ipnotici, stati crepuscolari, stati di concentrazione passiva, stati di concentrazione profonda.

Alla luce delle ultime scoperte sul sonno, sull’inconscio inferiore, medio e superiore, un nuovo mondo si apre oggi sull’antico e sull’arcaico dentro di noi e si scopre che il “vino buono” fa bene, non solamente al corpo (vedi bibliografia), ma anche all’anima ed allo spirito.

Esso infatti induce, in modica e giusta quantità, uno stato di coscienza modificato che attenua le problematiche di ogni giorno, riportando alla soglia della coscienza esperienze rimosse e dimenticate, sensazioni di tipo diverso dal normale, che ci immergono in mondi fantastici, tipici delle favole; vissuti di tipo onirico o similonirico che risvegliano processi archetipici risalenti agli albori dell’umanità; emozioni vivide ed intense, spesso altamente gratificanti a livelli superiori.

Tutto questo naturalmente si ricollega all’attività prevalente di certe aree del cervello destro che si attivano in modo quasi automatico quando piccole ma sufficienti dosi di alcol arrivano a dare speciali tipi di stimolazioni alle reti neuroniche e dendritiche, spesso anche a livello subliminale.

Di norma chi si occupa di stati similonirici, di stati ipnoidi, di stati crepuscolari, di autoipnosi, di stati meditativi, di stati mistici, può intendere meglio quanto andiamo affermando.

Il limite tra processi consci ed inconsci del cervello si presenta del resto alquanto sfumato e tutti questi stati, ancora ai limiti della ricerca e della comprensibilità razionale, possono essere veramente il punto di convergenza tra di essi o anche forse solo per qualcuno di loro.

Con queste considerazioni si giunge dunque al punto focale. Il “vino buono” può continuare ad essere gustato come fonte di benessere per l’organismo?

Sembra ormai accertato che, in modica quantità, assunto non a stomaco vuoto, favorisca la circolazione del sangue, in modo particolare a livello coronarico e dei piccoli vasi.

Ma potrebbe anche essere utile per attivare un certo “benessere dell’anima”, attenuando l’ansia, specie

quella di tipo anticipatorio; modificando il comportamento verso se stessi e verso gli altri; dando

ampio respiro al riemergere di vissuti inconsci, rimossi magari fin dall’infanzia;

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favorendo l’attenuazione del complesso diuturno lavorio razionale del cervello sinistro per dare più spazio alle attività artistiche, musicali, intuitive, creative del cervello destro.

Tutti ne guadagnerebbero in “qualità di vita” e, in modo particolare, tutti

quei soggetti di una certa età che potrebbero cominciare a compiere il primo passo per “dare più vita agli anni” invece del solito, monotono e perfino frustrante “più anni alla vita”.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E ATTIVAZIONE DI FACOLTA’ARTISTICHE

“Un’opera d’arte è un angolo della creazione visto attraverso un

temperamento”. E. Zola. Mes Aines. “L’arte, questo prolungamento della foresta delle vostre vene, che si

effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del tempo”. F.T. Marinetti. Manifesto tecnico della letteratura futurista. Dapprima un tentativo di classificazione. Cosa intendiamo per arte e per facoltà artistiche? Ancora una volta il quesito si presenta alquanto difficile perché la parola

arte assume significati alquanto diversi e perfino contraddittorie, a seconda delle culture, delle idee e convinzioni religiose e politiche, del modo di vivere di determinate etnie, della diversa interpretazione della realtà, delle emozioni da cui scaturisce o che provoca, ecc.

D’altra parte non è qui il luogo per discutere delle innumerevoli forme di arte che si sono sviluppate nel corso dei secoli presso tutti i popoli della terra.

Un esempio per tutti: Aristotele scrisse che l’arte si doveva considerare come un classico esempio di imitazione della natura, che porta conforto e gioia e nello stesso tempo trasmette nuove conoscenze, che di norma sono celate entro l’animo umano.

Ci interesseremo invece, almeno un po’ meno superficialmente, della psicologia dell’arte, più attinente al nostro campo di indagine, dato che si tratta di un campo di studio specificamente rivolto all’analisi pratica delle produzioni e delle personalità artistiche.

In questo senso si può pensare che ogni tipo di attività artistica sottenda a processi ove entrano in gioco motivazioni ed emozioni particolari, cioè non rivolte in gran parte verso altri tipi di attività.

Ogni tipo di attività artistica rivela poi un “atto creativo”, ove entrano in gioco, oltre alle emozioni ed alle motivazioni ricordate, anche una percezione strettamente individuale del mondo, una immaginazione molto sensibile ed accurata, uno speciale tipo di memoria delle cose immagazzinate anche molto tempo prima, forse anche ancestrale, ed un linguaggio che si esprime in forme, in colori, in espressioni, in determinati tipi di movimento statico e dinamico piuttosto che in concetti o parole.

Molti autori della scuola psicoanalitica si sono a lungo soffermati sull’analisi dei contenuti inconsci che dovrebbero essere alla base di ogni atto creativo, che in questo modo rende l’artista capace di “sublimare” conflitti del profondo e dei meccanismi di difesa al servizio dell’Io”.

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Resta comunque il fatto indiscutibile che ogni artista vive dentro un suo mondo, composto di sensazioni, vissuti, emozioni ed esperienze personali ma totalizzanti, e lo presenta ad altri con le sue creazioni, di qualsiasi corrente esse siano, legate pur sempre alla sua personalità ma anche e soprattutto alla sua genialità.

Naturalmente, ma solo in un secondo tempo, entrano in gioco anche fattori culturali, di imitazione, di correnti, di sottocorrenti che possono legare ogni singolo artista ad un mondo che lo accomuna ad altri artisti più o meno simili a lui.

Ma il momento in cui nasce un’opera d’arte è sempre personale, individuale, unico, irripetibile.

Soprattutto per il fatto che, con le antiche ed attuali teorie cinesi sul tempo, “nessun momento può essere in nessun modo eguale ad un altro, al massimo può essere simile”, proprio per fattori legati all’individuo, al suo vivere, al suo sentirsi “essere umano”, al suo posto nella civiltà o nella etnia d’origine, e più in grande al movimento di rotazione delle Terra su se stessa, al movimento di rivoluzione intorno al sole, al movimento di quest’ultimo verso la costellazione di Ercole, lungo il braccio esterno della nostra Galassia, la quale, a sua volta, è attratta verso la costellazione di Andromeda ed entrambe subiscono l’attrazione del grande ammasso di Galassie della Vergine, a 50 milioni di anni luce di distanza.

“L’essere umano così grande e creativo nelle sue attività, specie artistiche, cosi infinitesimo di fronte al cosmo”!

Molto facilmente l’opera d’arte nasce “in un momento sincronico” alla Jung.

In questo modo molti fattori fisici, psichici, mentali entrano in sintonia tra di loro e nasce quel tipo particolare di stato d’animo che noi amiamo chiamare “ispirazione artistica”, nella quale si intersecano, si assommano, si uniscono, si “soffrono” emozioni ed esperienze, sensazioni e vissuti, in un carosello che solamente l’artista percepisce e tenta di fermare, di immobilizzare, di descrivere, di narrare, di rappresentare, di vivere, di tramandare nella sua opera.

A questo punto si innesta quanto vogliamo dire intorno agli stati di coscienza modificati e le attività artistiche.

E noto ai più che l’opera d’arte nasce, come dicevamo, in un momento particolare e sincronico, in un “momento di grazia” dell’artista, quando, immerso nella sua “ispirazione” concentra tutte le sue energie nella sua creazione, astraendosi, a volte completamente, dalle stimolazione esterne, di qualsiasi tipo esse siano.

Nel “momento creativo” l’artista non sente la fame, non soffre la sete, si dimentica dei suoi impegni normali, si scorda della stanchezza, del sonno, e di ogni altro bisogno fisico.

Entra, per così dire, in uno stato similipnoide o ipnoide, nel quale sono quasi abolite le afferenze che giungono dalla periferia che vengono “bloccate” prima del loro arrivo alla neocorteccia.

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Così, immerso nella realizzazione della sua opera, scorda perfino eventuali sintomatologie dolorose, a livello dei vari organi, sistemi od apparati.

È così concentrato che riesce ad innalzare, a volte anche di molto, la soglia del dolore, sicuramente per il fatto che la neocorteccia “si dimentica” di leggere la mappa che si era costruita per informarsi delle afferenze dolorose provenienti dalla periferia, la cosiddetta “neuromatrice”.

È talmente in ascolto degli stimoli subliminali provenienti dai ricordi o dalle esperienze ancestrali che ”vive come viva” la sua opera.

Ricordiamo la famosa frase di Michelangelo davanti al suo Mosè: “Perché non parli”?

E tutto questo stato d’animo, queste sensazioni particolari, queste emozioni violente, queste esperienze vissute non ricordano molto da vicino certi stati di coscienza modificati di cui abbiamo ampiamente parlato?

Stati similipnoidali, ipnoidali, autoipnotici, di veglia rilassata, di concentrazione passiva, di rilassamento profondo, di inibizione corticale diffusa, fino a certi stati meditativi o mistici, tutto fa pensare che consciamente, ma molto più frequentemente inconsciamente, l’artista si lasci trasportare entro un percorso estremamente ricco di contenuti rimossi che riaffiorano sotto stimoli particolari che lui solo vive e sente in quel preciso istante.

Come dicevamo altrove, a proposito di certi brani musicali che fanno vibrare ogni fibra dell’organismo, anche l’opera dell’artista, quando riesce a trasmettere, in ogni essere umano che la guarda, tutto quello che lui sentiva dentro in quel momento, allora diventa e solo allora una vera opera d’arte con tutte le sue prerogative.

In questo modo si può capire come possiamo trovare opere d’arte in tutti i tempi, presso tutti i popoli, presso qualsiasi civiltà, dai graffiti entro le grotte, alle maschere degli aborigeni australiani, alle splendide costruzioni o quadri del Medio Evo e del Rinascimento, alle ultime Avanguardie ecc.

Quello che conta è come sono state realizzate, più che con quali o quanti mezzi.

I grandi mezzi hanno solo realizzato opere monumentali, molto funzionali dal punto di vista pratico e tecnologico, non certo opere d’arte.

Le americanate sono forse anche a volte belle a vedersi, ma non commuovono certo l’animo per portarlo verso realizzazioni superiori, verso il cammino dell’evoluzione, verso la conquista dell’anima.

A questo punto potrebbe anche essere utile chiederci se i programmi di un computer possono veramente creare opere d’arte.

Noi siamo dell’opinione che almeno per il momento questo sia impossibile ma ci assale anche il dubbio che forse non sarà mai possibile, almeno con le conoscenze tecnologiche attuali.

Vorremmo quindi insistere sul modo, che crediamo oltretutto indispensabile, del come allenarsi a diventare artisti, a porsi nelle condizioni di creare opere d’arte.

Se esiste una vera motivazione diventa meno difficile. Del resto è ancora aperta la discussione se artisti si nasce o si diventa.

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Molto facilmente si possono ereditare delle facoltà in questo senso. Prendiamo ad esempio la famiglia Strauss, molto nota e non solo per i

valzer viennesi. Ma noi siamo convinti che anche un buon allenamento agli stati di

coscienza modificati, in modo particolare usando particolari tipi di induzione oppure l’autoipnosi, possa dare magnifici frutti in molti campi dell’arte, anche perché si slatentizzano possibilità fino a quel punto completamente ignorate.

Non ci sembra che tutto questo sia stato tentato fino ad ora, se non da scuole di arteterapia che usano dei trattamenti terapeutici particolari con arti visive, specifici passi di danza, movimenti del corpo adatti allo scopo accompagnati da musiche rilassanti o new-age.

Si usa a volte anche la pittura, la modellazione della creta e la creazione di determinati tipi di “collages” Il tutto per cercare di ottenere, attraverso questi “momenti creativi”, l’emersione di conflitti rimossi, di stati di ansia anticipatoria, di disagio psico-fisico, i quali poi, in un secondo tempo, possono essere elaborati dal terapeuta, in modo da scaricare la tensione accumulata.

Il ritorno all’ “arcaico” è evidente e sottende percorsi importanti per l’individuo, ancora ai primi passi nella scala evolutiva.

Nella nostra lunga pratica in questo campo abbiamo notato anche che, indipendentemente dall’aspetto psicoterapeutico sotteso a tutto questo, il risveglio o l’attivazione di facoltà artistiche con specifiche induzioni atte allo scopo, diventa di per sé stesso, come mi diceva qualche cliente, “balsamo per l’anima”, di cui, almeno in un secondo tempo, usufruisce in senso positivo perfino il soma.

Il risveglio o l’attivazione di facoltà artistiche, di qualsiasi tipo esse siano, diventa dunque un vero e proprio “antistress”, di cui possono usufruire tutte le persone affette da “sindrome del burn-out professionale”, oppure afflitte da evidenti e noiosi disturbi somatoformi.

Esse possono dunque ritrovare un nuovo equilibrio mentale e somatico, dovuto ad un miglioramento spontaneo di tutta la sintomatologia accusata, in modo particolare se si tratta dei disturbi d’ansia generalizzata.

D’altra parte essi sono molto frequenti al giorno d’oggi, perfino tra le casalinghe non realizzate ed insoddisfatte della propria condizione sociale che, più sovente di quel che si crede, si danno “anima e corpo” a Bacco, annegando in lui i propri dispiaceri fisici e psicologici.

Noi siamo del parere che tutto questo possa essere molto utile, magari molto di più in futuro, forse anche con l’aiuto delle nuove tecnologie.

Ma quello che riteniamo più importante è istituire subito corsi di perfezionamento con tecniche adatte, finalizzate appunto al risveglio di attività artistiche. Una volta raggiunto lo scopo si può passare in un secondo tempo anche all’allenamento all’autoipnosi.

Un tipo di induzione molto adatto è quello che ho usato fin dal 1978 e che ritengo ancora oggi valido, proprio per “aiutare l’anima ad elevarsi verso l’infinito” e nello stesso tempo ricaricarsi di tutte le energie perdute.

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“Tecnica della distensione fisica e psichica con frasi. Immagini e metafore poetiche, per l’attivazione dell’inconscio superiore o spirituale”.

Dopo aver messo il cliente a suo agio, nella posizione che lui ritiene la più comoda possibile, ed aver ottenuto un buon rilassamento del corpo e della mente, con uno dei metodi menzionati all’inizio del volumetto, si procede con frasi poetiche evocanti metafore, immagini e situazioni universali, usando in modo specifico la prima persona plurale.

Il cliente, in questo modo, si sente accompagnato quasi per mano, in una situazione esperenziale nuova, al limite tra favola, poesia e metafora, con ottimi risultati, non solo di rilassamento, ma anche di recupero di cariche o energie perdute, lontano, molto lontano, dallo stress della quotidianità.

”Ora che ci sentiamo perfettamente rilassati.... perfettamente rilassati e a

nostro agio....perfettamente rilassati nel corpo e nella mente... in questo momento di incontro per noi..... di incontro importante per noi... di incontro importante per lo sviluppo futuro.... di incontro ricco di sensazioni e di emozioni.......di incontro delle nostre aspirazioni, delle nostre affinità, delle nostre emozioni……delle nostre sensazioni…..mentre fuori sussurra leggermente il vento tra le foglie degli alberi in fiore... tra le piccole vie della insonne città..... tra i giochi di sempre della piazza antica.... tra le nubi di fuoco che si rincorrono… che si rincorrono nel limpido cielo del tramonto.... mentre un pallido sole si smorza pigro e lento......pigro e lento….. lungo i crinali degradanti delle verdi colline....giocando a nascondino tra le foglie delle silenti betulle…..o lungo la finissima sabbia della bianca spiaggia......o lungo i campi dorati del grano maturo..... o lungo le bianche nevi delle alte montagne.... mentre il ruscello intona la sua gioia… la sua gioia profonda… scendendo saltellante a valle, scendendo veloce e ribelle lungo i tortuosi sentieri delle alte montagne….

Ora….lentamente….lentamente….i rumori diventano…via via sempre più ovattati.... sempre più lontani..... sempre più evanescenti..... e la temperatura sempre più confortevole ed amica.... ed il nostro corpo sempre più rilassato.... sempre più calmo..... sempre più disteso..... sempre più riposato.... e la nostra mente invasa solo… solo da grande calma.... da grande tranquillità.... da grande distensione.....ecco noi qui…. qui ed ora…. qui ed ora…. ci prendiamo tutto il nostro tempo per questo….ci prendiamo tutto il nostro tempo….tutto il nostro tempo…. per ascoltare la voce del nostro io profondo, la voce del cuore…..la voce calda del cuore…..la voce nuova del cuore…. mentre assaporiamo tutto il nostro tempo…. il nostro tempo…. che lento fluisce... fluisce…. fluisce…..e si dilata…..si dilata…..si dilata a dismisura…..

Ecco.... ecco.... dentro di noi.... nel nostro profondo… ecco… si risveglia una vibrazione... un fremito lento e sottile….. un sussurro lieve quasi impercettibile… quasi indefinito…. come ali leggere di farfalla… come ali vibranti di libellula… come ali armoniose di aquila… di aquila in volo planante… e tutto in noi entra in sintonia..... tutto entra in armonia.....tutto entra in empatia…. con il vento leggero e sottile.... con la campagna pigra e addormentata….con le colline verdeggianti e oziose….con il cielo azzurro e vicino…..con il sole terso e brillante.... con la luna

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grande e piena all’orizzonte.... con le stelle luminose e pulsanti... con il cosmo….con il cosmo infinito.... con il cosmo tutto......

Incominciamo lentamente a danzare.... a salire.... a salire danzando.... a danzare salendo... ancora a salire.... a danzare... senza peso..... senza più peso.... in un lento movimento a spirale..... a spirale....a spirale….. la spirale del tempo e dello spazio… la spirale del DNA.... la spirale delle galassie... la spirale delle lontane galassie…..lungo le vie del cielo.... lungo le ampie vie del cielo, lungo le ampie e spaziose vie del cielo, lungo le ampie, spaziose, luminose vie del cielo... dentro l'immensità dello spazio.... dentro l'immensità dello spazio.... immersi nell'infinito...... immersi nell'infinito....immersi nell’infinito.

Ora lentamente….. molto lentamente….. tutto svanisce.…. tutto svanisce…. tutto si perde nel nulla….ed insieme... sempre insieme... piacevolmente insieme..... sempre piacevolmente insieme... percorriamo la notte dei tempi...... la grande notte dei tempi..... la notte dei ricordi.... la grande notte dei ricordi….la notte delle nuove sensazioni … la notte delle emozioni… per rivivere il nostro passato remoto…. molto remoto…. dove sono presenti migliaia di generazioni…. le nostre generazioni…. le generazioni di tutto il pianeta terra…. il pianeta terra… il nostro pianeta terra…. ed insieme così lentamente….molto lentamente… svuotarci di tutto..... di tutto il peso.... di tutto il peso delle generazioni.... di tutto il peso dei ricordi…. dei ricordi sognati... dei ricordi vissuti… dei ricordi sentiti......

Ora sempre insieme... sempre insieme... piacevolmente insieme....ci avviamo per mano dentro la luce.... la grande luce.... la luce del futuro.... la luce del nostro futuro..... la luce del cuore.... la luce del nostro cuore... la luce dell'anima..... la luce della nostra anima.... la luce dell'anima cosmica....

Incominciamo così a librarci .... e librarci leggeri…. a librarci senza peso.....a librarci nel cielo…. tramite l'attimo..... tramite l'attimo..... tramite l'attimo del presente.... verso una nuova vita...... verso una nuova era.... verso la resurrezione.... verso la nostra resurrezione... verso l'infinito.... dentro l'infinito... oltre l’infinito... verso l’immensità... dentro l’immensità... oltre l’immensità... oltre il tempo e lo spazio... oltre il tempo e lo spazio... oltre lo spazio... per sentirci piacevolmente cullare in un momento... in un momento di rara bellezza... di rara concentrazione... di rara beatitudine… in un vissuto insolito e pregnante… in un vissuto attuale e futuro... in un vissuto verso lidi ignoti e presenti... verso lidi ridenti e futuri... verso lidi inconsueti ed amici...

Assaporiamo insieme questo momento di grazia... questo grande momento di grazia...questo nostro momento di grazia, mentre fluisce il tempo... fluisce lentamente il tempo... mentre ogni attimo è vivo… ogni attimo è vivo… ogni attimo è vivo… e tutto si confonde nel grande mistero della vita... nel grande mistero del cosmo... nel grande mistero dell’infinito...

Siamo creature senza peso.... senza peso.... fluttuanti nello spazio.... fluttuanti nello spazio e nel tempo.... alla ricerca di nuove immagini...... alla ricerca di nuove sensazioni.... alla ricerca di nuove emozioni.... alla ricerca dell'eden perduto...alla ricerca dell’eden perduto…..alla ricerca dell'anima...... alla ricerca della nostra anima.... alla ricerca dell’anima perduta…. alla ricerca dell'anima cosmica...

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Dopo un certo periodo di allenamento con questo tipo di induzione è

relativamente facile insegnare al soggetto, al quale si vogliono risvegliare facoltà artistiche anche l’autoipnosi, in modo che possa, in un secondo tempo, mantenersi in esercizio da solo in qualsiasi luogo esso si trovi.

L’autoipnosi, se ben condotta, infatti, immerge in situazioni molto simili allo stato nel quale l’artista spontaneamente ed inconsciamente si trova quando riesce a creare una “vera opera d’arte”.

L’autoipnosi diventa così non solo un buon allenamento per entrare negli stati di coscienza modificati, essendo lei stessa stato di coscienza modificato, ma aiuta perfino l’evoluzione mentale e spirituale del soggetto che vi si dedica con costanza, pazienza e perseveranza, come abbiamo del resto già accennato in altri settori della presente monografia.

L’autoipnosi si rivela così di grande utilità come primo gradino verso il raggiungimento, se ne esiste la motivazione, anche degli stati meditativi o mistici, di qualsiasi tipo sia in campo religioso oppure anche agnostico.

Chi ne guadagna in tutte le sue facoltà è il soggetto stesso che in questo modo vede ampliarsi all’infinito le sue possibilità, in modo specifico tutte quelle che fanno parte dell’attività dell’emisfero destro.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E INNOVAZIONI TECNOLOGICHE

“Gli dei non hanno certo svelato ogni cosa ai mortali fin da principio, ma

ricercando, gli uomini trovano a poco a poco il meglio”. Senofane. Frammenti. “L’americano che scoprì per primo Colombo fece una brutta scoperta”. Lichtenberg. Osservazioni e pensieri. In questi ultimi anni, tra il secolo ventesimo e ventunesimo, si parla,

addirittura perfino a sproposito, di grandi ulteriori passi in avanti in tutti i campi dello scibile umano, tra i quali campeggia lo studio sempre più parcellare del cervello.

Si spera, in questo modo, di essere in grado, tra non molto, di poter comprendere la mente e le sue funzioni più nobili; di essere in grado di entrare dentro quel grande mistero che ancora è l’anima umana, con tutte le sue caratteristiche tra le quali ancora molte sconosciute.

Un organo del nostro corpo che tenta di spiegare se stesso è quanto di più affascinante possa esistere nella miriade di “misteri” che ancora ci avvolgono in tutti i campi. E non solo nel campo umano.

Per esempio è iniziata nel 1992, a livello mondiale, la ricerca di vita intelligente nello spazio, con il progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence).

Per far questo si sono mobilitati decine di astronomi e di cosmologi per rintracciare, come primo passo, se esistono altri sistemi solari nella nostra galassia. Fino ai primi anni novanta non se ne parlava nemmeno, anzi si diceva che era molto improbabile che pianeti extrasolari potessero esistere.

Poi, dopo il 1995, con l’affinarsi delle ricerche e con i nuovi potenti telescopi a disposizione, si sono rintracciati i primi pianeti extrasolari ed ora non passa settimana che nuove scoperte si affianchino alle prime.

L’ultima, la più interessante da questo punto di vista, dei primi mesi del 1999, la notizia della scoperta, non solo di un nuovo pianeta extrasolare, ma addirittura di un sistema solare attorno alla stella Upsilon Eridani.

Da sempre l'umanità infatti si interroga sull'esistenza di forme di vita intelligente su altri pianeti.

Un grande filosofo greco, Metrodoro di Chioso, così scriveva molti secoli or sono a proposito di vita nel cosmo: ”È innaturale concepire un campo sterminato con un’unica pianta di grano e un universo infinito con un unico mondo abitato”. Secondo Margherita Hack, direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Trieste ed eminente astrofisica in campo mondiale, questa ipotesi, un tempo relegata ai libri di fantascienza, è al centro oggi di un importante programma di ricerca scientifico, il SETI appunto.

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Fino a questo punto, ad ogni modo, non c’è notizia di segnali di tipo intelligente ricevuti dallo spazio, anche se qualche anno fa ne era stata data notizia, poi quasi subito smentita.

Secondo la nota equazione di Drake, grande astrofisico americano, il numero delle civiltà extraterrestri che potrebbero comunicare con noi sarebbero almeno mille e naturalmente solo nella nostra Galassia.

Un eventuale incontro con un'altra civiltà però potrebbe anche essere completamente sconvolgente per la nostra, abituati come siamo ai nostri ritmi, alle nostre abitudini, ai nostri condizionamenti, alle nostre multiformi idee, alle nostre personali opinioni.

Gli astronomi, gli astrofisici, i cosmologi, i fisici sono tutti nell’aspettativa non certo del giorno dell’ “incontro”, ma almeno di quello del “contatto”, che sarebbe una vera “pietra miliare” nella storia della nostra umanità.

Il punto importante di aggancio con tutto il nostro discorso sulla presenza di eventuali altre civiltà spaziali è la domanda che ricorre sulla bocca di tutti gli interessati.

Ma se queste civiltà sono lontane anche pochi anni luce, supponiamo solo 4,1, la distanza che ci separa dalla stella più vicina, la Proxima Centauri, come possiamo fare a comunicare con loro via radio?

4,1 anni per mandare un messaggio ed altri 4,1 per la risposta non sono un po’ troppi?

Il cosmologo ed astrofisico Cosmovici ha elaborato una sua teoria secondo la quale l’unico modo per poter comunicare con civiltà extraterrestri sembra essere solo il linguaggio telepatico.

Perché ci siamo brevemente soffermati su queste ultime teorie e scoperte in campo astronomico?

Perché siamo dell’avviso che, proprio in questo periodo, ove sembra ai più che non ci sia più nulla da ricercare e da scoprire, si sia arrivati invece al momento di gettarsi dentro la mischia ed analizzare se, con l’aiuto delle nuove tecnologie, si possa ancora dire qualcosa di nuovo proprio nel campo degli stati di coscienza modificati.

Siamo perfettamente convinti che un aiuto sia possibile, ma prima è necessario che gli studiosi delle tecnologie più avanzate siano messi al corrente su tutto quello che si può ottenere per mezzo degli stati di coscienza modificati.

In modo particolare tra i fisici , i cosmologi e gli astronomi c’è ancora l’intimo convincimento che essi siano legati a qualche patologia oppure a qualche disfunzione cerebrale.

Ma noi sappiamo bene che non sempre è così. Esistono esseri umani che possono passare da uno stato di veglia vigile a

quello di veglia rilassata e successivamente anche agli altri stati di coscienza modificati senza mai aver accusato la benché minima alterazione nel campo dei neurotrasmettitori, dei neuromodulatori e dei neuroormoni, mantenendo, nella vita di relazione di tutti i giorni, un comportamento più che normale in tutti i sensi.

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Il nostro intimo convincimento è dunque che, nel campo delle funzioni cerebrali, esistano ancora molte possibilità latenti, come la telepatia, che forse un giorno potrebbero essere invece utilizzate in modo normale.

L’unico problema veramente serio sarebbe solo di accertare se tutto quello che riferisce l’ipotetico “telepata” risulti poi vero, affidabile e ripetibile nel tempo, cioè possa essere sottoposto, in ogni occasione, al metodo galileiano.

Esistono infatti una serie di domande alle quali ogni neuropsicoimmunoendocrinologo vorrebbe che fosse data una risposta plausibile, prima di accettare certi dati o certi tipi di affermazioni, di cui, da qualche decennio, è inondato l’universo delle pubblicazioni.

Barry L. Beyerstein che fa parte del Brain Behavior Laboratory, Dipartimento di Psicologia, Simon Fraser University, Burnaby, Canada ha pubblicato un ottimo lavoro dal titolo: “Cervello e Coscienza”, molto efficacemente tradotto dai componenti del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), fondato da P. Angela, al quale hanno già aderito molto studiosi e scienziati nelle varie discipline e anche Premi Nobel italiani.

Da esso citiamo volentieri questi passi, a proposito dei fenomeni di telepatia e chiaroveggenza e delle allucinazioni sensoriali:

“Come viene generato il "messaggio" dal cervello del "mandante" nella telepatia e da un oggetto inanimato nella chiaroveggenza?

Che tipo di energia potrebbe portare il messaggio senza perdite, lungo distanze immense e attraverso gli oggetti incontrati durante il percorso?

Qual è il mezzo di propagazione del segnale; che cosa impedisce il sovrapporsi di messaggi simultanei e che cosa li fa arrivare al "ricevente"?

Una volta arrivato al ricevente, che cosa dirige il messaggio alla modalità' sensoriale appropriata - per esempio, alla vista piuttosto che all'odorato - per non dire cosa produca una percezione significativa?

Quale forma concepibile di energia avrebbe la capacita' informazionale di imporre i modelli spazio-temporali necessari al numero astronomico di neuroni coinvolti anche nella più' semplice percezione?

Come potrebbe duplicare i lievi movimenti dei trasmettitori neurochimici attraverso le membrane cellulari che costituiscono il codice neurale”?

“Di solito è facile distinguere percezioni autentiche da immagini auto-prodotte, eccetto che nel corso dei sogni, delle OBE, e cosi' via.

Occasionalmente può essere difficile perché i sistemi del cervello che generano immagini dalla memoria condividono dei circuiti neurali con quei sistemi che decifrano gli stimoli sensoriali provenienti dall'ambiente.

Molti fattori possono temporaneamente disabilitare i più alti meccanismi del cervello che confermano la realtà delle percezioni.

Le allucinazioni si verificano quando la corteccia sensoriale viene attivata senza che vi siano stimoli ai recettori periferici.

Ciò può derivare da: stimolazione elettrica o con l'uso di droghe del cervello, suggestioni ipnotiche, alta febbre, narcolessia, emicrania, epilessia, schizofrenia,

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sovraccarico sensoriale o isolamento prolungato” (Horowitz 1975; Johnson 1978; Siegel e West 1975).

“Allucinazioni possono verificarsi quando le immagini interne confondono gli stimoli sensoriali esterni in percorsi neurali condivisi, o quando frazioni percettive indistinte sono imbellite secondo le aspettative e le credenze (Horowitz 1975).

Sono anche possibili in situazioni che influenzano la normale alternanza tra vigilanza e attenzione all'uso di immagini (utilizzate per ricordare, risolvere i problemi, sognare ad occhi aperti, e cosi' via). Forti conflitti, minacce emotive, paura, o desiderio possono prestare una qualità' intensamente reale al pensiero immaginifico. La meditazione, riducendo gli stimoli sensoriali e sopprimendo i sistemi verbali di coscienza, può' avere risultati simili.

Schatzman (1980) trovo' un sostegno obiettivo per la nozione che le allucinazioni passano attraverso processi che hanno luogo nell'area visuale del cervello.

Fu presentato uno stimolo visivo ad una paziente che sperimentava allucinazioni vivide.

La risposta elettrica della sua corteccia visiva quando ella osservava lo stimolo normalmente fu confrontata con quella di quando aveva allucinazioni che oscuravano lo stimolo dalla vista.

Nella seconda condizione, la traccia dello stimolo registrata scompariva man mano che la corteccia visiva iniziava a produrre l'immagine allucinata”.

Per chi si interessasse più a fondo della Percezione Extrasensoriale rimandiamo al lavoro completo di Beyerstein, che offre un’ampia disanima molto critica riguardo la problematica di tutti i fenomeni ad essa connessi, che pubblichiamo in appendice n° 1, per cortesia del CICAP.

Tornando al nostro ”excursus”, noi siamo dell’opinione che molto si possa ottenere certo con la sempre maggiore miniaturizzazione dei chip, a tal punto, che in questi giorni è comparsa sulle riviste, anche non specializzate, la fotografia di una formica che sta tenendo tra le sue zampine un chip di un decimo di millimetro e si nota che sta cercando di interpretare a cosa potrebbe servire questo minuscolo quadratino magico.

In campo strettamente scientifico ormai siamo vicini al giorno in cui si potranno inserire dei microchip nell’emisfero destro o sinistro, nei quali sono registrati grandi quantità di informazioni, dalle lingue nuove alle enciclopedie, dalle arti alla filosofia, in modo che non ci sarebbe più nessun bisogno di acquisire nozioni con la fatica e l’impegno attuale.

Del resto, fino a pochi anni or sono, era semplice fantascienza tutto quello che usiamo normalmente oggi.

Dal telefonino satellitare al computer nel cruscotto della macchina che ti illustra, su uno schermo, la mappa circostanziata con il tragitto più breve o più facile per arrivare in una data città o strada.

Dal GPS che ti fornisce la latitudine, la longitudine e l’altitudine di dove ti trovi, al Cd-Rom multimediale, nel quale, in un piccolo dischetto che puoi tenere in tasca, c’è una intera enciclopedia di 30 volumi, non solo come testo,

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ma anche con fotografie a colori e filmati dei contenuti più attuali o interessanti.

Dal DVD, per avere sempre pronti, al momento opportuno film, concerti, documentari, al masterizzatore per i Cd Rom da farsi in casa, ecc.

Molto utile tutto questo dal punto di vista umano ma, per il momento, non sembra proprio che sia servito veramente ad innalzare il livello della massa, in modo particolare quel livello morale, tanto auspicato da molti, ma raggiunto solo da pochi, da troppo pochi.

Anzi si potrebbe dire che si stia andando incontro ad una vera e propria involuzione della massa, più che ad una sua acculturazione.

La massa è sempre più attratta dai mass media, dalle nuove tecnologie, ma solo dal punto di vista del divertimento, del passatempo e della distrazione.

Quasi mai invece per motivi di ordine più elevato. Ci è sufficiente richiamare alla memoria il palinsesto dei programmi

televisivi in prima serata o la grande diffusione di tutti i tipi di “video-games” per computer.

Fatte queste pur doverose considerazioni il nostro tema è dunque quello di chiederci se sia possibile ottenere progressi in campo umano, con l’aiuto degli stati di coscienza modificati associati all’utilizzo delle innovazioni tecnologiche attuali.

Noi siamo veramente convinti che, con gli uni e le altre, sia importante ormai almeno cominciare a pensare che tutto questo potrebbe anche essere possibile.

Ben vengano le innovazioni tecnologiche per lavorare con minore dispendio di energia ed avere così un po’ tempo libero per dedicarsi “alle cose dell’anima e dello spirito”.

Non certo però per dedicare i momenti di relax solamente alla valorizzazione del corpo, perdendo di vista il vero scopo ultimo della vita.

Quello di imparare ad utilizzare le infinite possibilità del cervello umano, che noi usiamo ancora a livelli molto bassi, anche se non è assolutamente dimostrato dalla neurofisiologia che se ne utilizzi solamente il 10% delle effettive prestazioni, come vorrebbero sostenere alcune scuole, specie in campo New-Age.

Per quanto riguarda gli stati di coscienza modificati abbinati alle conquiste tecnologiche ci sarebbe ancora molto da dire, ma riteniamo sufficiente per i nostri lettori quanto esposto per sommi capi, anche per il fatto che eventualmente il tutto potrebbe essere più ampiamente svolto e discusso in altro tipo di lavoro.

Per il momento ci basta concludere ribadendo che l’allenamento agli stati di coscienza modificati può dimostrarsi veramente utile sotto molti punti di vista (vedi appendice 2), ma in modo altamente specifico per:

aumentare la concentrazione, la volontà, l’attenzione e la memoria, specie quella a lungo termine;

potenziare la fantasia, la creatività, le attività artistiche ad ogni livello;

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evidenziare la disponibilità del cuore verso tutto quello che porta a livelli più alti di vita, intesa nel senso morale e spirituale;

aiutare a rimuovere conflitti inconsci, a diminuire l’ansia anticipatoria, a vivere più in armonia con se stessi ed in sintonia con gli altri;

immergersi in mondi nuovi, anche virtuali, per acquisire tutte quelle esperienze che sono legate al nostro passato più o meno remoto, come i miti, i riti, le favole, le leggende ecc.;

imparare, a livelli più alti, a comprendere l’universo e tutto quello che ci può insegnare di nuovo ogni giorno;

assaporare, nei “momenti di grazia”, quelle sensazioni diverse dal normale, che danno una particolare sensibilità d’animo, adatta per gioire anche delle “piccole cose” di ogni giorno;

rivivere situazioni positive o negative con “gli occhi della mente”, per porle al loro giusto posto nell’andamento della vita di tutti i giorni;

motivarsi nell’essere coerenti con se stessi, con le proprie idee, con i propri principi morali e spirituali, a volte anche andando contro le opinioni correnti, ma rispettando e cercando di prendere in considerazione anche quelle degli altri;

diminuire le aggressività e le conflittualità latenti e manifeste per porsi nella condizione di valutare anche le ragioni e le posizioni degli altri;

rispettare chiunque tenti di “percorrere il suo cammino verso l’evoluzione”, anche se consideriamo, dal nostro punto di vista, che la strada da lui intrapresa è “semplicemente” sbagliata;

far rivivere, in ambito individuale e collettivo la “legge dell’amore”, composta da tutto quello che ogni essere umano “sente dentro”, almeno qualche volta nella vita: fraternità, sintonia, libertà, calore umano, partecipazione intima alle leggi del cosmo, lungo i “sentieri dell’infinito”.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E PERCEZIONE EXTRASENSORIALE

“I cinque sensi imperfetti dati dalla natura dei beni e anche de’ mali son l’unica misura”. Voltaire. Discorsi in versi sull’uomo. “Nulla è più facile che illudersi, perché ciò che ogni uomo desidera, crede anche che sia vero”. Demostene. Orazioni. Terza Olintica. Tre sono le prerogrative con le quali si evidenzia la percezione

extrasensoriale ( extrasensory perception - ESP): telepatia, chiaroveggenza e precognizione. Le definizioni sono comunque piuttosto incerte a seconda dei vari autori,

anche perché manca ancora un completo accordo tra di essi. Secondo Tart, che da lunghi anni studia questi fenomeni, si parla di

telepatia quando in casi particolari si accede ai contenuti mentali di un’altra persona

Quando invece si conosce direttamente lo stato del mondo fisico lontano dal luogo nel quale ci si trova, benché sia sconosciuto ad ogni persona presente, si parla di chiaroveggenza.

Se si è in grado di prevedere eventi futuri che non possono essere previsti con le conoscenze normali, dato il processo casuale che determina la loro realizzazione, si parla di precognizione.

La telepatia, la chiaroveggenza e la precognizione dimostrano chiaramente che la coscienza deve essere investigata come un fattore con concrete proprietà a se stanti, non come un semplice epifenomeno facente parte delle proprietà del sistema nervoso e del cervello fisico.

Questi dati empirici del resto mostrano proprietà della coscienza che non sembrano essere sempre riducibili alla variabile fisica tramite la nostra attuale comprensione di essa oppure anche per ragionevoli sue estensioni.

Ma sull’altra sponda sentiamo anche cosa afferma il CICAP lombardo nel suo bollettino dell’ottobre 1997 per bocca di Francesco Grassi dal titolo: “I bugs del paranormale”

“E se il mondo reale avesse dei "bugs"? Sarebbero forse questi “bugs” i cosiddetti fenomeni paranormali? Mi pongo queste domande da parecchio tempo, e credo di aver trovato una

risposta. Ma forse è meglio procedere per gradi. Che cosa è un "bug"? Questo termine inglese, la cui traduzione letterale in italiano è "insetto",

viene usato molto spesso nel gergo informatico per caratterizzare dei

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comportamenti "non desiderati", "strani", "non normali" da parte di un "programma software" o meglio, tanto per semplificare, da parte di un computer.

Il termine risale al famoso aneddoto relativo al periodo in cui i computer occupavano intere stanze, secondo il quale delle blatte annidatesi all'interno di un calcolatore, avevano causato un corto circuito alle valvole termoioniche producendo così dei comportamenti anomali da parte del sistema………

I fenomeni paranormali fino ad ora si sono rivelati delle contraddizioni in termini, nel senso che non si sono mai manifestati sotto opportuni controlli e tanto meno non è mai stato possibile riprodurli.

Per quale motivo dovremmo cercare di spiegare quale energia Uri Geller impiega per piegare i cucchiai se non ha mai voluto sottoporsi ad un rigoroso controllo?

Ciò sarebbe analogo alla richiesta di modifica al nostro programma sofware da parte di un utente che dichiari di aver ottenuto a video la scritta "10 diviso 5 è uguale a 37", dopo aver inserito i valori 10 e 5.

E che cosa dovremmo pensare se alla richiesta di poter andare a casa sua per riprodurre il problema dal momento che sul nostro computer quello stesso calcolo dà il risultato corretto, quell'utente rispondesse: "dovete fidarvi della mia parola, e poi ho molti testimoni!"?

Come ben si nota da questi brevi accenni lo psicologo Tart ed il CICAP sono su posizioni diametralmente opposte.

In questi casi da che parte sta la verità? Molti sono gli studiosi di ESP, come molti sono i sostenitori

dell’affermazione galileiana che quando i fenomeni non sono riproducibili non possono essere veri.

D’altra parte è ormai indiscutibile che negli stati modificati di coscienza possono avvenire dei fenomeni ESP poco controllabili e forse per niente riproducibili.

In questi casi sono fenomeni veri o virtuali? Cioè fanno parte solamente del soggetto che li sta sperimentando o

possono invece essere condivisi da altri soggetti. Entriamo in un terreno molto vasto e per certi aspetti ancora misterioso. E’ anche vero che, in campo ipnologico, se lo stato ipnotico è

sufficientemente profondo, si possono dare dei suggerimenti al soggetto o a un gruppo di soggetti di visualizzare un paesaggio, una scena, già vissuta in passato o completamente nuova.

In essa ci si può immergere in tre dimensioni e con i cinque sensi, come in una evidente “realtà virtuale”, del resto ora possibile ottenere in modo splendido anche al computer, specie se si usano particolari accorgimenti tecnici.

Diventa così relativamente meno difficile cercare di comprendere cosa succede nei circuiti cerebrali del soggetto in ipnosi quando gli si danno suggerimenti atti a provocare visualizzazioni guidate, dato che è noto a chi pratica tutto questo, che il cervello produce anche visualizzazioni spontanee di ogni tipo.

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Anzi queste possono divenire molto utili a scopo terapeutico utilizzandole in un secondo tempo come materiale spontaneo da elaborare in mille modi diversi, a seconda della preparazione e della scuola del terapeuta.

Il punto focale di tutta la nostra asserzione sta indubbiamente nello studio dei processi mentali che sono alla base della formazione del pensiero e di conseguenza delle immagini, come quelle eidetiche oppure quelle con le quali si procede sia nelle visualizzazioni spontanee sia in quelle guidate.

Il processo neuronale è veramente complesso, per quanto il pensiero che ne scaturisce possa essere anche molto semplice.

Più aumenta la complessità, come si potrebbe ipotizzare per gli stati di coscienza modificati e per la percezione extrasensoriale, più si è costretti ad operare nell’ambito di una sempre maggiore incertezza.

A questo livello la logica classica non è più applicabile efficacemente, almeno su molti versanti.

Sono dunque necessari nuovi strumenti di analisi, come per esempio il pensiero analogico o se vogliamo ancora meglio il pensiero intuitivo.

Con Bettelli si potrebbe affermare che “La mente umana, per il modo in cui è organizzata, ha, come sistema ottimale, la funzione di interpretare le varie situazioni secondo il criterio della probabilità. Il maggiore o minor grado di questa sarà determinato dall'esperienza e dalle necessità del momento.

Il pensiero logico si basa sul massimo di probabilità. Il pensiero del senso comune dà per scontato una grande quantità di dati, se

così non fosse la mente umana sarebbe paralizzata dalla sua stessa complessità.

Nel momento stesso in cui due concetti si collegano, essi si pongono in una determinata direzione, ed è più facile associare altri concetti ai primi due, e seguirne l'orientamento, che ignorarli.

Esiste cioè una retro-attività positiva tra eventi. Come nella formazione di un fiume il corso, prima debolmente accennato,

cresce poi e si approfondisce nel tempo, così i canali nervosi si rafforzano con l'uso.

Costa fatica non tener conto di un precedente, specialmente quando non esiste ancora un'alternativa.

Gli sforzi di ricerca scientifica sono in gran parte impiegati nell'ampliamento logico di alcuni campi che generalmente sono ritenuti redditizi.

Spesso però le geniali intuizioni e i grandi progressi scientifici sono merito di persone che hanno scavato in un nuovo campo senza tener conto dei lavori in corso nel vecchio, a volte perché non lo ritenevano produttivo, altre perché ne ignoravano semplicemente l'esistenza, altre volte ancora per seguire il loro temperamento anticonformista, o per puro capriccio”.

E più avanti continua: “Quando il pensiero logico non è più sufficiente per afferrare compiutamente

il senso di un fenomeno, allora si può attingere ad un pensiero alternativo o pensiero laterale.

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Lo schema d'azione del pensiero laterale può essere articolato su quattro principi operativi, di contenuto estremamente vasto e che non esauriscono certo le possibilità d'intervento del pensiero laterale.

Tra questi principi esiste uno stato di fluidità; possono avere più di un elemento in comune, e alcuni di questi elementi potrebbero anche diventare loro stessi dei principi autonomi.

I quattro principi operativi sono: 1) L'identificazione delle idee dominanti, o polarizzanti.

2) La ricerca di nuovi metodi d'indagine della realtà.

3) L'evasione dal rigido controllo esercitato dal pensiero logico.

4) L'utilizzazione dei dati e delle circostanze fortuite. La scelta di un determinato modulo interpretativo di una realtà è, di solito,

dovuta al caso o a ragioni pratiche. Due modi, entrambi arbitrari, di definire una realtà si equivalgono. Ma se si è in presenza di un problema che richiede un'elaborazione allora

diverse scelte portano a risultati assai diversi. Un leggerissimo spostamento del punto di osservazione può portare a

risultati profondamente diversi. Può bastare spostare l'attenzione da un dato all'altro di un problema per

passare da un tipo di ricerca ovvia a un tipo di ricerca più originale”. Mi sembra che queste citazioni siano estremamente significative per

quanto riguarda i fenomeni di percezione extrasensoriale da studiare, ricercare, analizzare ed interpretare in modo corretto.

Non di certo, come si usa fare attualmente, nel solo stato di coscienza di veglia vigile, quando la razionalità ha il completo sopravvento, oppure con elementi di pensiero preconcetti, ma invece allenando i volontari ad entrare in qualche stato di coscienza modificato prima degli esperimenti, come veglia rilassata, ipnosi a diversi livelli, autoipnosi, stati meditativi ecc.

E’ un’idea che proponiamo da questo volumetto, come lanciare un sasso nello stagno.

Se lo stagno è sufficientemente profondo e ricco di acqua limpida, si potrà seguire bene l’allargarsi dei cerchi sempre verso nuove ipotesi e teorie completamente nuove.

Non è più possibile infatti negare i fenomeni di percezione extrasensoriale solo perché poco o nulla ripetibili, ma non è nemmeno possibile, come altri, “fidarsi” troppo dei racconti di molti soggetti in cerca solo di affermazione personale o, ancora peggio, di realizzare lauti guadagni a scapito della credulità popolare.

Molte nuove conquiste della fisica, come la recentissima scoperta del “Teletrasporto nel mondo dei quanti” porta a considerare nuove prospettive affascinanti, fino a ieri relegate nel campo dei film fantascientifici, come Star Treck, che tanto successo stanno avendo in tutto il mondo, proprio come evasione dalla realtà normale e piuttosto grigia di tutti i giorni.

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La nostra mente o la nostra coscienza hanno effettivamente bisogno di spinte nuove da utilizzare certamente nello stadio di veglia vigile, cioè razionale.

Ma hanno anche bisogno di nuove conquiste del pensiero che si possono certamente realizzare in fase intuitiva o creativa, cercando di allenare bene il cervello destro, specie durante gli stati di coscienza modificati, di cui abbiamo già dato ampie delucidazioni.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E L’ORACOLO CINESE “ I CHING”

“Il destino mescola le carte e noi giochiamo”. Schopenhauer. Aforismi sulla saggezza del vivere. “Non sono gli uomini a dominare la sorte, ma la sorte a dominare gli

uomini”. Erodoto. Storie. VIII°. 49 “Sogni e oracoli sono compresi, per lo più, il giorno in cui si compiono”. Eliodoro. Le Etiopiche. II°. 36

Non si sa ancora con precisione a quando risalga: una prima stesura del

testo dell’ “I Ching”, il “Libro dei Mutamenti” “The book of the changes”, ma nella letteratura cinese si parla di quattro saggi come probabili autori: Fu Hi, il re Uenn, il duca di Ciou e Kung Tsë.

Secondo dati piuttosto incerti avvenne quasi sicuramente tra il XVI e il XII secolo Avanti Cristo.

Va ricordata anche una famosa frase pronunciata da confucio (551-479 a.c.)quando si mise a leggere e studiare l’oracolo:

"Ho cominciato all'età di 50 anni a studiare l' I Ching, grazie al quale ho conosciuto il mandato del cielo".

D’altra parte a quell'epoca i libri non erano certamente come gli attuali. Erano composti da strisce di bambù intrecciate da corde di pelle bovina. Una leggenda specifica racconta che l' I Ching di Confucio si sfasciasse

almeno tre volte, forse come segno che non era ancora pronto per interpretarlo.

Ad ogni modo è indubbio che il libro influì moltissimo sia sul Confucianesimo come pure sul Taoismo.

E’ infatti classificato come uno dei cinque classici del Confucianesimo e dell’antichità.

Scrive R. Wilhelm nell’introduzione alla traduzione in lingua tedesca del 1924 che:

”Una luce del tutto nuova si espande da qui, su molti misteri contenuti nei pensieri, spesso molto oscuri, del misterioso Vecchio (Confucio) e dei suoi discepoli, e inoltre, su molte cose che nella tradizione confuciana si trovano come assioma fisso, accettato senza ulteriore indagine.

Anzi, non solo la filosofia, ma anche la scienza naturale e la scienza politica della Cina hanno attinto sempre nuovamente a questa fonte di saggezza, e non è da stupirsi se questo libro sfuggì –unico fra tutti gli antichi scritti di saggezza degli stessi confuciani – persino al grande rogo di tutti i libri voluto da Tsinn Sci Huang”.

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In principio il Libro dei Mutamenti era una raccolta di segni grafici destinati a servire come oracoli.

Il si era rappresentato come linea intera ed il no come linea spezzata.

si ___ ****** no _ _ E’ possibile fare il paragone anche con il computer il quale funziona

usando solamente due cifre: lo zero, 0 e l’uno, 1 (cifrario binario). Più avanti dalla linea intera e da quella spezzata si passò alla

combinazione delle due arrivando ad otto segni, che sono i segni dei mutamenti che avvengono in cielo ed in terra, immagini sempre in mutazione.

Più avanti ancora nel tempo i segni passarono da 8 a 64, con molteplici combinazioni tra di loro.

In pratica sono combinazioni varie di trigrammi composti come segue dalle tre linee intere alle tre linee spezzate:

Con il fluire delle generazioni il Libro dei Mutamenti divenne anche e

soprattutto il Libro della Saggezza e fu usato sia da Lao Tse come da Kung Tse, per le loro ispirazioni, teorie ed annotazioni al Libro.

Gli otto segni rappresentano per i due saggi “immagini” non di oggetti ma di “stati di mutamento soprattutto mentali”, nel senso che tutto ciò che si esplica nel campo del visibile è l’estrinsecazione di una “immagine” oppure di un’“idea” nel campo dell’invisibile.

Si spiega così come quello che avviene nel campo del visibile sia esattamente quello che è già avvenuto nel campo dell’invisibile.

il libro dice che a questo tipo particolare di “intuizione immediata”, cioè al di fuori della razionalità, possono arrivare, nel campo umano, solamente i saggi oppure i santi (mistici) che così entrano in contatto con questi mondi soprasensibili proprio, come affermiamo noi, con l’uso degli stati di coscienza modificati.

In questo modo i saggi ed i mistici sono in grado di “interferire nella determinazione degli accadimenti universali, ed in tal modo l’uomo forma assieme al cielo, mondo soprasensibile delle idee, e alla terra, mondo corporeo della visibilità, una terna di potenze originarie”.

L' I Ching, come ben si arguisce da queste brevi note, è un libro molto complesso: ha 64 capitoli fondamentali, quanti sono i segni da interpretare e alcune appendici.

Esse sono definite "dieci ali". In occidente l'i ching arrivò molto tardi. Fu introdotto in Europa da padre Jean Baptiste Regis s.j. vissuto dal

1664 al 1738.

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La versione in latino di questo si ebbe però molto più tardi, solamente tra il 1834 e il 1839 a Tubinga.

Fu tradotto nel1854 dal teologo inglese James Legge, ma solo dal punto di vista filologico e non certo interpretativo.

Passarono di nuovo altri settant'anni e , nel 1924, l' I Ching fu tradotto in tedesco da Richard Wilhelm che ottenne una prefazione, ancor oggi molto considerata presso le sedi accademiche, di Carl Gustav Jung, il celebre psicologo e psichiatra svizzero, caposcuola della "psicologia analitica" e autore anche di un saggio su "Psicologia e alchimia".

La prefazione è di ben diciotto pagine, che varrebbe anche la pena di riportare per intero, ma non vogliamo esagerare in lunghezza con il lettore.

Per chi si appassionasse veramente al soggetto che stiamo trattando, rimandiamo alla bibliografia.

Riportiamo invece qualche passo esplicativo, in modo che il lettore si renda conto che l’oracolo cinese “I Ching” non è un testo di divinazione ma è un “libro vivente” in tutta l’accezione del termine.

Dice dunque Jung che: “Ove il significato del Libro dei Mutamenti” si potesse afferrare con facilità

quest’opera non avrebbe bisogno di una introduzione, ma ciò è ben lungi dall’esser vero, perché il Libro ha destato il sospetto di essere una collezione di antiche formule magiche e di essere quindi troppo astruso per riuscire intelligibile, o di essere privo di valore…….

Conoscevo l’I Ching da quasi trent’anni, e mi ero già familiarizzato con esso, quando per la prima volta incontrai Wilhelm poco dopo il millenovecentoventi.

Egli mi confermò allora quello che io già sapevo e mi insegnò ancora molte altre cose.

Non sono un sinologo e non sono mai stato in Cina. Posso assicurare i miei lettori che non è davvero troppo facile trovare un

accesso congruo a questo monumento del pensiero cinese, così infinitamente diverso dal nostro modo di pensare.

Per capire in generale di che cosa tratti un simile libro è assolutamente imperativo buttare a mare certi pregiudizi della mentalità occidentale.

E’ un fatto curioso che della gente così dotata e intelligente come i cinesi non abbia mai prodotto quella cosa che noi chiamiamo Scienza.

La nostra scienza comunque è basata sulla causalità, e quest’ultima è considerata verità assiomatica”.

Invece i cinesi, almeno fino a qualche decennio fa erano convinti, e forse in gran numero lo sono tuttora, che ogni evento fosse fine a sé stesso e non potesse perciò essere ripetibile. Quindi non esiste un nesso logico tra causa ed effetto, come invece sostiene tutta la tradizione occidentale.

Ritornando alla prefazione di Jung, in merito a questo punto egli afferma più avanti che:”…bisogna ammettere che degli istanti possono lasciare tracce di lunga durata.

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In altre parole: chiunque sia stato l’inventore dell’I Ching, era convinto che l’esagramma costruito in un dato momento coincideva con questo anche nella qualità e non soltanto nel tempo.

Per lui l’esagramma era l’esponente del momento in cui lo si otteneva, più ancora anzi del misuramento del tempo, in quanto lo si comprendeva come un indicatore della situazione essenziale prevalente al momento della sua origine.

Questa assunzione implica un certo strano principio che io ho denominato sincronicità , concetto che formula un punto di vista diametralmente opposto alla causalità.

Siccome quest’ultimo è una verità meramente statistica e non assoluta, essa è una specie di ipotesi di lavoro esprimente come gli eventi evolvono l’uno dall’altro, mentre la sincronicità considera la coincidenza degli eventi in spazio e tempo come significatore di qualche cosa di più d’un mero caso, cioè di una peculiare interdipendenza di eventi oggettivi tra di loro, come pure tra essi e le condizioni soggettive (psichiche) dell’osservatore o degli osservatori……..

Come la causalita spiega la sequenza degli eventi, nella mentalità cinese la sincronicità spiega la loro coincidenza”.

Anche secondo Jung non tutto è chiaro; anzi l’oracolo cinese I Ching solleva certamente molti più dubbi, perplessità e domande che non certezze.

Ma è un libro che vale la pena di conoscere, di studiare e di interpretare, soprattutto ai giorni nostri, alla luce delle ultimissime scoperte in campo fisico, come quelle del “Teletrasporto nel mondo dei quanti”.

I volumi in lingua italiana dedicati a I Ching sono ormai numerosi. Alcuni sono a mala pena solo nozionistici; altri di facile consultazione ma

poveri in contenuto; altri ancora di modesto uso estemporaneo per pseudo divinatori del futuro, come molti in questo periodo.

Il più recente è un ponderoso volume: I Ching "Il libro della versatilità", a cura di Rudolf Ritsema e Shantena Augusto Sabbadini, edito dalla Fondazione Eranos di Ascona, in Svizzera.

Se la prima stesura probabilmente avvenne tra il XVI e il XII secolo a.C., come abbiamo accennato in apertura, il testo definitivo è attribuito agli esperti di re Zhou Wenwang (XI secolo).

Secondo alcuni studiosi forse essi sono solo due, mentre altri sono del parere che si tratti di un accumulo di esperienze alle quali parteciparono i tanti funzionari di corte, addetti all'oracolo dei re.

Le ricerche continuano e ogni tanto qualche particolare arricchisce la storia dell' I Ching, ma è quasi impossibile che si arrivi a una soluzione certa.

Ma cosa sono in ultima analisi I Ching e gli esagrammi, di cui si è interessato perfino C. G. Jung ?

L’oracolo si fonda come abbiamo visto su 64 esagrammi. Per comodità, anche se questo è discusso dai “puristi” si lanciano in aria tre monetine al posto dell’analisi molto laboriosa e complicata dei gruppi di steli di millefoglie, come veniva usato nell’antichità.

Con le monetine tutto diventa più facile. Ci si accorda che ad es. la testa vale tre e la croce vale due.

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Ogni lancio offre quattro possibilità: 2+2+2=6= linea spezzata mobile 3+2+2=7= linea intera fissa 3+3+2=8= linea spezzata fissa 3+3+3=9=linea intera mobile. Si lanciano le monetine sei volte, annotando, dal basso verso l’alto, i

risultati dei lanci. Si consulta l’oracolo con l’esagramma ottenuto con i sei lanci. Il tutto è magistralmente descritto nel libro:“I King” di Richard Wilhelm.

Astrolabio. Roma. 1950. Di per sé il metodo sembra a prima vista completamente banale, in modo

particolare per chi non è addentro in tutto questo procedimento e soprattutto nella mentalità “sincronica” e non “causale” da seguire.

Ma non è assolutamente così. Il libro dei mutamenti ha sempre appassionato, nel corso dei secoli,

milioni di persone, in modo particolare tutti quelli che si sono sempre interessati a "cose difficili, oscure e misteriose".

Come dicevamo all’inizio è un “libro vivente”, nel senso che è sempre attuale e perciò vivo, essendo il suo modo di agire “al di fuori del tempo e dello spazio”, proprio per la “sincronicità” che lo caratterizza in ogni suo punto..

E’ con questi presupposti che bisogna imparare bene i suoi contenuti, per essere sempre in buona forma nel consultarlo e nell’interpretarlo.

In questo contesto entrano così a pieno diritto gli stati di coscienza modificati.

Innanzitutto perché l’oracolo lo possono interpretare solo i santi ed i saggi, secondo quanto esige la tradizione.

In secondo luogo perché è sempre necessario un periodo di riflessione e di allenamento per essere in grado di dare, con il loro aiuto, una buona e ricca interpretazione della domanda posta prima della consultazione.

A tal proposito l’Editore nel capitoletto dedicato alla consultazione dell'oracolo scrive testualmente: “Opportuno usare l'I King esclusivamente come libro di consultazione per delle questioni di rilevante importanza per le quali, nonostante un esame approfondito, non si sia potuti giungere ad una soluzione soddisfacente.

Si consiglia di sottoporre al giudizio superiore, rappresentato dall’I King, sempre domande sull’ orientamento personale assunto o da assumere nei propri riguardi, nei confronti di un’altra persona o di fronte ad una situazione di fatto.

Non si dimentichi che l’interpretazione della risposta ottenuta richiede come condizione indispensabile, onde poter essere assorbita o assimilata nelle sua significazione, un’inalterabile oggettività specialmente verso se stessi e una capacità di cogliere l’essenza della risposta, evitando di rivolgere l’attenzione su singole parole o frasi staccate.

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E’ raccomandabile per stabilire un controllo personale ed una esperienza individuale raccogliere e coordinare accuratamente le varie domande e le relative risposte ottenute nel corso del tempo”.

Riportate queste importanti osservazioni che condividiamo in pieno, possiamo affermare quindi che per essere in grado di interpretare bene la risposta fornita dai King in merito alla domanda prefissata, si rivela necessario cercare di essere almeno nello stato di coscienza modificato di veglia rilassata o ancora meglio di autoipnosi.

Il fluire delle considerazioni in questo stato diventa molto più spontaneo, più agevole e soprattutto più aderente alla realtà di quel dato momento, che è pertanto unico ed irripetibile, secondo la visione cinese degli avvenimenti ed anche secondo la teoria della sincronicità.

E’ questo il punto fondamentale di tutto. La domanda personale infatti non può essere ripetuta entro un tempo

breve, per es. di qualche giorno, perché, essendo cambiato il momento di analisi, cambia naturalmente anche la risposta data dall’oracolo cinese.

Non ci consta che nessuno per il momento abbia cercato di consultare l’ I Ching nello stato di coscienza modificato dell’autoipnosi, ma la nostra certezza deriva dal fatto che le risposte date sono effettivamente, a tutti gli effetti, molto più appropriate, contengono elementi di analisi più accurata, dovuta forse anche al fatto di una migliore interpretazione a livello spontaneo e intuitivo. Il difficile si presenta quando la domanda non è posta nella formula più adatta oppure se riguarda fatti o momenti poco significativi, sia individuali, sia collettivi.

In questo frangente la risposta può presentarsi elusiva, nel senso che può dare adito a diverse interpretazioni che possono essere simili, mai però completamente diverse o addirittura con significati contrari tra di loro.

Un esempio può essere molto più valido di molte spiegazioni. Agisco nello stesso modo di Jung, quando ha scritto la prefazione e che

ha chiesto al “Libro vivente” cosa diceva della sua accoglienza presso gli studiosi e della sua diffusione nel tempo.Prendo il libro di Wilhelm e faccio dunque più o meno la stessa domanda.

Come sarà accolto questo mio volumetto nel campo degli studi ipnologici? Come e quanto sarà diffuso nel tempo? Lancio le monetine sei volte. Mi escono in successione dal basso verso l’alto: 7-8-8-8-8-7, che

corrispondono al seguente esagramma:

___ _ _ _ _ _ _ _ _

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___

Tutte linee stabili, nessuna linea mobile. Cioè il segno è statico. Non ci saranno cambiamenti nel tempo. Vado a guardare a quale numero corrisponde l’esagramma uscito.. E’ il N° 27. In cinese I Traduzione:” Gli angoli della bocca cioè l’alimentazione”. “Una bocca

aperta”. Verrà accolto a bocca aperta? Questo il mio primo istintivo tentativo di

interpretazione. Ma no, non è così! Diverrà invece un alimento per me e per i lettori. La linea intera stabile è al primo e sesto posto. Dunque non cambierà nel corso degli anni. Essendo essa al primo posto in basso, mi alimenterà in tutto quello che

riguarda il fisico e le ricerche in tanti campi della tecnologia. In ultima analisi alimenterà il mio cervello sinistro. Ma la linea intera stabile è anche al sesto posto, cioè nel punto più alto e

pertanto questo mio volumetto nel tempo, usando pazienza, costanza e perseveranza, alimenterà il mio cervello destro ma anche altre persone nella ricerca in campo intuitivo, creativo e spirituale

La sentenza infatti dice testualmente:“Gli angoli della bocca. Perseveranza reca salute”.

Più avanti il commento:” La natura nutre tutti gli esseri. Il grand’uomo (in questo caso il volumetto) alimenta e cura i capaci per provvedere, attraverso questi, alla cura di tutta l’umanità”.

Si potrebbe andare avanti con ulteriori tentativi di analisi ed interpretazioni, ma, per quanto mi riguarda, direi che sono già ampiamente soddisfatto.

Quello che conta in questo contesto è la prima risposta e l’interpretazione data che, come ognuno può notare, riguarda proprio il grado di utilità del volumetto e come esso verrà accolto dagli interessati..

Sarà solamente questione di tempo e di perseveranza ma diventerà utile dal punto di vista fisico, psicologico e spirituale e servirà soprattutto ai capaci.

Con questo tipo di presentazione spero di aver dato almeno una pallida idea di come funziona l’I Ching”, il Libro dei Mutamenti (The book of changes) a quell’assiduo lettore che mi ha seguito fin qui.

D’altra parte solamente chi si è avventurato nella lettura di queste note fino a questo punto potrà essere considerato un capace in tutti i sensi, su base razionale, intuitiva e creativa ed avrà certamente modo, in questo contesto, di progredire fisicamente, moralmente e spiritualmente.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E STATI DI COMA

“Il resto è silenzio”. Shakespeare. Amleto. “Vado a cercare un gran forse”. Rabelais, poco prima di morire. In questo volumetto non poteva certo mancare la trattazione, almeno per

sommi capi, di un particolare e caratteristico “momento” di stato di coscienza modificato come è certamente il coma, naturalmente visto non dal punto di vista neurofisiologico, come si usa procedere nelle sale di rianimazione, ma invece da quello neuropsichico.

La letteratura sull’argomento non è molto vasta, anche per il fatto che ci si limita all’esame dello stato comatoso a punteggio, utilizzando la Scala di Glasgow, tutta basata su valutazioni neurologiche come il grado di apertura degli occhi, le risposte verbali, le risposte motorie e non certo quelle psicologiche o psichiche.

Nel coma vero il paziente è o sembra incosciente e non può essere risvegliato neppure con forti stimolazioni di natura fisica.

Vi sono vari gradi di coma, da quello in cui tutti i riflessi sono spenti a quello invece nel quale il paziente risponde a stimolazioni che provocano dolore con tentativi di ritrarsi o di vocalizzazione.

L’esame neurologico caratterizzato dalla ricerca dello stato di coscienza, di un’eventuale motilità o tono degli arti, dalle caratteristiche del respiro, dai riflessi e dalle dimensioni pupillari e dalla reazione alla luce, deve necessariamente essere completato anche da un accurato esame generale che prenda in considerazione le eventuali cause dello stato comatoso come uso e abuso di sostanze tossiche, traumi specie craniali oppure pregresse affezioni sistemiche o neurologiche.

Come dicevamo la scala di Glasgow valuta L’apertura degli occhi. Mai 1 Agli stimoli dolorosi 2 Agli stimoli verbali 3 Spontanea 4 Le risposte verbali Assenza di risposta 1 Suoni incomprensibili 2

Parole inappropriate 3 Disorientato e parlante 4 Orientato e parlante 5

Le risposte motorie Assenza di risposta 1 Estensione (rigidità da decerebrazione) 2 Flessione anormale

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(rigidità da decorticazione) 3 Retrazione in flessione 4 Localizzazione del dolore 5 Ubbidiente 6 Se utilizzata subito dopo l’evento scatenante essa da una valutazione

piuttosto grossolana della vastità e della gravità delle lesioni cerebrali. Dal numero 3 al 5 della scala le lesioni sono praticamente quasi sempre

irreversibili, in modo particolare se mancano completamente i riflessi oculari e le risposte oculo-vestibolari.

Se invece il punteggio è tra 5 e 8 vi può essere qualche probabilità di recupero funzionale, mentre se il punteggio è superiore a 8 vi sono notevoli probabilità di un buon recupero.

Abbiamo riportato abbastanza fedelmente la scala di Glasgow, adattata al nostro lavoro, perché ci si renda conto che si tratta pur sempre di una valutazione neurofisiologica oltremodo valida almeno per i criteri “ex adiuvantibus”.

Sappiamo bene che molte volte, specie in caso di coma profondo con EEG piatto tutto questo non è possibile perché il paziente è completamente assente dalla realtà normale di tutti i giorni, almeno nei segni esteriori.

Ma non sempre è così. Sono stati descritti in letteratura dei casi di pazienti risvegliatisi dal coma

anche profondo che hanno raccontato che sentivano o avvertivano tutto quello che succedeva intorno a loro, come le parole dei medici e del personale sanitario, anche se non potevano muovere neppure un dito, almeno per segnalare questo stato di coscienza modificato.

Per loro era come vivere in uno stato crepuscolare, ma pur sempre con un barlume di coscienza.

Abbiamo dunque cercato in letteratura, sempre con la cortesia di Medline, se fossero stati segnalati dei casi attraverso i quali poter comprendere meglio di che tipi di stati di coscienza modificati si può parlare per gli stati di coma, ma il risultato è stato davvero molto scarso.

Dicevamo appunto all’inizio che di norma, nelle sale di rianimazione, ci si accontenta, forse anche per l’assoluta mancanza di tempo e per l’urgenza di alcune prestazioni indilazionabili, di eseguire solo un accurato esame neurofisiologico del paziente, ma non quello neuropsichico.

Noi riteniamo invece che, se l’esame neuropsichico fosse fatto di routine, almeno in un secondo tempo e progressivamente analizzato da personale altamente specializzato, potremmo forse avere una grande arma in più per cercare di risolvere anche casi molto complicati.

Del resto è notorio ed i casi non sono più molto rari che qualche paziente si “risveglia” dal coma, a volte anche profondo, facendogli sentire, attraverso le cuffie, le voci dei parenti o degli amici oppure anche di qualche attore o di qualche campione soprattutto di calcio ai quali erano molto legati affettivamente e/o emotivamente.

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Non è stato ancora spiegato perché questo succeda, ma forse questo è uno dei modi particolari per “entrare” nel profondo o nell’inconscio dell’individuo in coma.

In questi casi molto probabilmente si “attivano” con neuromodulatori, neuroormoni e neurotrasmettitori determinate sedi cerebrali nelle quali è situata la memoria a lungo termine e di qui, attraverso percorsi neuronali ancora ignoti, arrivare fino alla corteccia, la quale, in questo modo, viene “risvegliata”, cioè torna allo stato di “veglia vigile”.

Il punto più importante, secondo il nostro parere, è proprio quello di cercare l’attivazione delle sedi cerebrali, molto probabilmente situate nella neocorteccia, ove, per così dire, è “nascosta” la coscienza, nei suoi vari stati.

In questo modo si “risvegliano” tutte quelle funzioni che possono via via far ritornare il paziente allo stato di veglia vigile, magari passando attraverso vari stadi.

Un esempio tra tutti può essere altamente significativo. Su Jama del 21 Giugno 2000 N° 283(23), Pagg.3075-81 è apparso un

articolo a firma di Salazar AM, Warden DL, Schwab K, Spector J, Braverman S, Walter J, Cole R, Rosner MM, Martin EM, Ecklund J, dal titolo:” Cognitive rehabilitation for traumatic brain injury: A randomized trial” nel quale gli autori come obbiettivo si sono posti di valutare l’efficacia ed i costi della riabilitazione cognitiva presso centri ospedalieri oppure a casa in 120 pazienti valutati secondo la Scala di Glasgow dal 13 in giù, con amnesia post traumatica fino a 24 ore, oppure con focolai cerebrali da contusione rilevati sia alla tomografia computerizzata, sia alla risonanza magnetica.

I pazienti sono stati randomizzati nel senso che una metà sono stati assegnati ad una cura intensiva, standardizzata per 8 settimane, con un programma di riabilitazione cognitiva in Centro Ospedaliero specializzato; gli altri invece con un limitato programma di riabilitazione a casa con telefonate settimanali di supporto a cura di assistenti psichiatrici.

Le conclusioni, ad un anno di distanza, sono state che non esiste alcuna differenza significativa tra la riabilitazione ospedaliera e quella a casa (rispettivamente 90% e 94%).

Gli autori concordano che è necessario proseguire negli interventi di riabilitazione, cercando di capire quale possa essere il migliore, indipendentemente dal luogo di attuazione.

Noi siamo invece dell’avviso che una riabilitazione condotta da personale specializzato presso il domicilio del paziente e non solo attraverso telefonate settimanali sia a tutti gli effetti molto più importante che non la stessa metodica condotta in ambiente ospedaliero, anche se altamente specializzato.

Qui è utile anche una nostra voluta provocazione. Nei pazienti che sono stati in coma per poco tempo può essere possibile

un certo tipo di riabilitazione fisica e psicologica. Più che di metodologia applicata è più che altro questione di infinita pazienza e di grande perseveranza nel seguire il soggetto con tutti i mezzi di riabilitazione possibili.

Ma per chi rimane o è rimasto in coma per molto tempo come ci si potrebbe comportare?

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La provocazione inizia a questo punto. Sappiamo tutti specialisti e non che è molto difficile entrare nel profondo

dell’individuo, anche attivando nel cliente alcuni stati di coscienza modificati, come la veglia rilassata, gli stati ipnoidali od ipnotici, partendo sempre dalla veglia vigile.

Ma se un soggetto è già, per cause varie, in uno stato di coscienza modificato, come per esempio il coma vigile, come è possibile pilotarlo in modo che possa divenire ricettivo ai nostri suggerimenti e pertanto essere attivato nelle aree importanti della neocorteccia che servono per la vita di relazione?

Noi siamo del parere che sia possibile ottenere questo solamente se anche l’operatore si pone in uno stato di coscienza modificato, come l’autoipnosi, in modo da diminuire notevolmente le afferenze che giungono dalla periferia.

In questo stato potrebbe avere così il modo, naturalmente a livello subconscio, di raggiungere, per vie ancora sconosciute alla neuropsicoendocrinoimmunologia, alcune aree cerebrali ancora leggermente attive ma tali da ricevere segnali importanti per attivarsi.

Le afferenze esterne, infatti, facendo un paragone con la radio, possono disturbare tutto quello che parte invece dal cervello destro come efferenze,, in uscita cioè invece che in entrata, e così il paziente non riesce a captare i segnali inviati perché troppo deboli oppure in qualche modo disturbati dalla attività cerebrale conscia dell’operatore che interferisce con quella subconscia o inconscia, l’unica forse in gradi di attivare, come dicevamo, aree cerebrali ancora in grado di ricevere segnali diversi da quelli che si inviano nello stato di veglia.

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FINALE. STATI DI COSCIENZA MODIFICATI: Artefatto della mente o realtà veramente vissuta? Nei numerosi capitoli che abbiamo preso in considerazione sono stati

analizzati vari momenti di stati di coscienza modificati, i quali sottendono una realtà diversa dal normale di veglia vigile, almeno per quanto riguarda la esperienze, i vissuti e le sensazioni.

E’ di rigore, alla conclusione del nostro lavoro, porci seriamente una domanda che riteniamo almeno utile, se non indispensabile, nel contesto di tutto quanto riportato ed esperito.

Gli stati di coscienza modificati sono veramente realtà vissuta con tutte le sue sensazioni ed esperienze o potrebbero invece essere solo un artefatto della mente, la quale, al di fuori della stretta razionalità, vaga, per così dire, lungo sentieri completamente inesplorati e pertanto altrettanto sconosciuti?.

Ci si potrebbe del resto rifugiare nella famosa frase: ”Ai posteri l’ardua sentenza”, mantenendoci così al di fuori delle sempre più numerose discussioni che coinvolgono i credenti in questi stati e gli scettici ad oltranza.

Ma non siamo di questo parere. Se si vuole esperire sempre qualcosa di nuovo, oltre ad una buona e

necessaria dose di coraggio nel frequentare momenti di vita nuovi, bisogna anche tenere in considerazione chi, non essendo ancora entrato in questi stati con assiduità, è costretto dalla ragione a negarli del tutto oppure a tenerli in vita come soli artefatti della mente.

A tal riguardo, sempre con la cortesia del CICAP, abbiamo inserito volentieri, in questo volumetto, l'Appendice n° 1, che riguarda proprio l’articolo di Beyerstein su “Cervello e coscienza”.

Ma non possiamo però fermarci qui, anche perché l’interesse per questi argomenti è in continuo costante aumento, purtroppo anche da parte di molti millantatori, che a questo scopo e sicuramente in malafede, guadagnano molti miliardi, a spese dei soliti infiniti creduloni.

Ma non tutti quelli che operano in questo settore sono in malafede. Esistono molti studi al riguardo. Basta recarsi all’appendice n° 2 per rendersi conto di tutto questo. I nomi di alcuni autori di fama mondiale sono più che sufficienti per

capire che, anche se l’argomento è di indubbia difficoltà, essi non sono sicuramente in malafede.

La ricca bibliografia su titoli i più vasti conferma sicuramente tutto ciò. Ma il punto fondamentale non è neppure questo. Si tratta in conclusione di capire se effettivamente esistono altre realtà al

di fuori di quella normale di tutti i giorni. Un giorno i fisici ed i cosmologi molto probabilmente riusciranno a darci

qualche idea meno confusa anche e perfino sugli stati di coscienza modifixati.

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Essi infatti alla luce delle ultime scoperte cominciano già a parlare di pianeti extrasolari, di probabili civiltà superiori alla nostra nel cosmo, di particelle più veloci della luce, i tachioni, di universi paralleli al nostro od intersecantisi con il nostro, di una lunga e forse infinita serie di Big Bang prima dell’attuale, di buchi neri attraverso i quali esisterebbero porte verso altri tipi di universo ecc.

E’ inutile pertanto, anche se al momento non abbiamo prove sperimentali sicure, definire come artefatti della mente determinati stati di coscienza modificati che abbiamo analizzato nei capitoli precedenti.

Non è possibile che le persone che li hanno sperimentati e descritti con vari tipi di linguaggio siano tutte in malafede!

Non è possibile pensare come millantatori certi soggetti che per raccontare le loro esperienze fuori della realtà normale, in tutte le epoche, hanno perso la fiducia, il posto di lavoro, il loro normale vivere quotidiano!

E se poi veniamo a noi, come è possibile pensare, anche se indubbiamente può succedere, che tutti i soggetti in terapia siano solo capaci di raccontare le palle più mostruose, solo per il capriccio di essere seguiti o per farsi vedere diversi dagli altri?

Sappiamo tutti qunto l’animo umano sia spesso incomprensibile e fuorviante, ma non sempre è così.

E’ chiaro comunque che il mondo è pieno di soggetti borderline, di schizoidi o peggio di schizofrenici, ma catalogare in queste classi psichiatriche tutti i soggetti che hanno avuto esperienze come quelle descritte in queste categorie è senz’altro troppo azzardato, anche se da più parti si pensa proprio in questo modo.

In questo senso dove vanno allora a finire la creatività, la ricerca e la disponibilità verso il nuovo?

L’”Ipse dixit”purtroppo, in molti casi, è ancora oggi così valido che molti contributi, anche se azzardati, sono etichettati come “voli pindarici” e non aiutano certo nuove scoperte, specie nel campo delle attività del cervello umano, a nostro avviso, quasi tutte ancora da scoprire.

Non si sarebbe compiuto alcun passo avanti, come del resto è successo per 1500 anni, quando l’unico Verbo era Aristotele, se non fosse nato, per fortuna, un Galileo, che ha aperto, come ben sappiamo, nuove porte e nuovi orizzonti, alla ricerca sperimentale, soprattutto in campo fisico,

Ora è giunto il momento di compiere una nuova rivoluzione, questa volta nel campo delle possibilità del cervello umano, organo ancora tutto da scoprire nelle sue molteplici e quasi sconosciute attività.

Molto si sta facendo da qualche anno nel campo della “realtà virtuale”, con risultati così stupefacenti che ancora all’inizio degli anni ’90 erano addirittura impensabili e considerati solamente da mantenere nel regno della fantascienza.

Torniamo dunque ancora al nostro assunto:”Siamo uomini o molecole?” Da certi puti di vista è possibile che la mente sia formata solamente da

“un groviglio di neuroni”, ognuno adatto, con altri innumerevoli suoi simili, a

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darci la possibilità di avere una coscienza, con la quale sentirci unici, liberi ed irripetibili.

Ma si possono avere anche altre ipotesi di lavoro. Una fra tante è che il groviglio di neuroni possa essere solo il substrato di

una entità superiore ed astratta che possiamo chiamare con il nome di “anima” che si seve di esso per evidenziare la sua presenza e per fare in modo che possiamo avanzare, sia pure molto lentamente, sulla strada faticosa dell’evoluzione.

Ciò starebbe a dimostrare che possiamo considerarci come dei “sistemi aperti” che si avviano verso l’entropia negativa.

In altre parole “sistemi che evolvono” al contrario dei sistemi fisici normali che vanno verso l’entropia, cioè “sistemi che decadono” e lentamente ma inesorabilmente si portano verso il nulla, secondo il II° Principio della Termodinamica”.

Siamo giunti così al termine di questo lavoro. Resta solo un avvertimento importante per quell’uno che fosse arrivato

(bontà sua) fino a queste ultime righe. Nelle pagine precedenti ho esposto soltanto idee e non convinzioni. Sono solo alcune ipotesi di lavoro e non teorie. Sono però il frutto di osservazioni continue ed accurate, pur in mezzo a

mille difficoltà anche di natura semantica, entro stati di coscienza modificati riferiti sia da altri, sia quelli vissuti e percepiti personalmente.

Mi auguro pertanto una cosa sola: che l’invito a guardarsi e sentirsi dentro, che nasce dal volumetto, possa essere seguito almeno da chi abbia voglia e coraggio di intraprendere questa strada affascinante e meravigliosa “ai limiti dell’infinito”, dentro e fuori di noi.

Il tutto con la segreta speranza che le indicazioni suggerite non si fermino in superficie, cioè a prenderne atto e tutt’al più a fermarsi ad osservare solo il dito che indica avanti, ma possano entrare in profondità, nell’infinito e nel mistero racchiuso dentro ogni forma vivente che abita sul nostro pianeta e forse anche numerosi altri luoghi del nostro universo.

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"States of Consciousness:" Contents: Systems Approach to States of Consciousness; Components of Consciousness: Awareness, Energy, Structures; Conservative and Radical Views of the Mind; Nature of Ordinary Consciousness; Discrete States of Consciousness; Stabilization of a State of Consciousness; Induction of Altered States; Subsystems; Individual Differences; Using Drugs to Induce Altered States; Observation of Internal States; Identity States; Strategies in Using the Systems Approach; Depth Dimension of a State of Consciousness; State-Specific Communication; State-Specific Sciences; Higher States of Consciousness; As Above, So Below; Ordinary Consciousness as a State of Illusion; Ways Out of Illusion. 305 pp., index. 1971.

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Per chi abbia intenzione di consultare un’ampia bibliografia sui vari tipi di stati di coscienza ed approfondire gli argomenti trattati nel presente volume prenda visione dell’appendice n°2.

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STATI DI COSCIENZA MODIFICATI E COMA. Vedi appendice 2 alla voce Coma.

APPENDICE N°1

Per la cortesia del CICAP: “comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale” un lavoro esplicativo con molti punti di contatto tra stati di coscienza modificati e manifestazioni normalmente considerate “paranormali”.

CERVELLO E COSCIENZA di Barry L. Beyerstein

L'Identità Psiconeurale (IPN) Alpha e Omega Punti di partenza La fisiologia delle allucinazioni Percezione: normale ed extra-sensoriale La soluzione al 10 percento Conclusione Riferimenti

La moderna scienza del cervello ci offre utili intuizioni riguardo

alcune strane esperienze personali come le allucinazioni e i viaggi fuori dal corpo; inoltre, ci è di aiuto nel valutare certe affermazioni di percezione extra-sensoriale e di coscienza pre-natale e post mortem.

Molti tipi di esperienze personali anomale contribuiscono alla credenza nel paranormale.

Può trattarsi di emozioni potenti, spontanee o percezioni apparentemente non provocate che gli altri non possono verificare. Per alcuni queste esperienze sono accompagnate da una sensazione chela coscienza si sia estraniata dal corpo o che una forza aliena stia

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"usurpando il trono della volontà'". Questi interludi sono variamente interpretati come divini o diabolici, illuminanti o premonitori, semplici curiosità' o il richiamo ad una missione sacra.

Tra quelli che hanno riconosciuto di essere stati "guidati" da "rivelazioni" simili, ci sono Platone, San Paolo, Giovanna d'Arco, Colombo, Mozart e Newton da una parte, Attila, Hitler, Stalin, e Charles Manson dall'altra. Molte antiche credenze nel soprannaturale, probabilmente hanno la propria origine in rivelazioni di questo tipo. Esse alimentano ancora oggi molte credenze di tipo mistico.

Sappiamo oggi che sia cervelli sani che malati produrranno, di tanto in tanto, sensazioni ed emozioni spontanee che sembrano originare dall'esterno, magari in altre menti.

Queste irresistibili esperienze vengono citate in continuazione come prove del paranormale.

Le "spiegazioni" paranormali per questi eventi costituiscono una sfida per gli psicofisiologi perché', se corrette, le implicazioni per la visione neuroscientifica della relazione mente-cervello sarebbero profonde.

Se, come molti occultisti sostengono, la mente può' esistere libera dal corpo, influenzare direttamente altre menti o la materia a distanza, e ricevere informazioni attraverso sensi non convenzionali, molti capisaldi della neuroscienza sarebbero tristemente incompleti, se non totalmente erronei.

Benché' io dubiti che gli studi sulle presunte anomali e paranormali della coscienza capovolgeranno le fondamenta della neuroscienza, potrebbero ampliare la nostra comprensione tradizionale della percezione, della memoria e delle emozioni.

Simili studi potrebbero eventualmente anche aiutare la gente a comprendere le autentiche cause di esperienze "straordinarie" che sembrano per essa cosi' reali.

L’Identità' Psiconeurale (IPN) Nel 1949, Donald O. Hebb enuncio' il credo al quale la maggior

parte dei neuroscienziati aderirebbe ancora. La psicologia moderna da' completamente per scontato che le

funzioni comportamentali e neurali sono perfettamente correlate e che una è completamente causata dall'altra. Non c'è un'anima separata o una forza vitale che mette il dito nel cervello ogni tanto e fa fare alle cellule neurali ciò' che altrimenti non farebbero.

Naturalmente, questa è solo un'assunzione di comodo... È abbastanza concepibile che un giorno questa assunzione dovrà essere eliminata. Ma è anche importante rendersi conto che non abbiamo ancora raggiunto quel giorno: l'assunzione di comodo è necessaria e non ci sono vere prove del suo contrario. La nostra incapacità' fino ad ora di risolvere un problema non lo rende insolubile. Non si può' logicamente essere un determinista in fisica e biologia e un mistico in psicologia (Hebb, 1949, p. xiii).

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Sebbene la visione sul determinismo sia cambiata da quando Hebb scrisse, la sua convinzione che la coscienza sia inseparabile dal funzionamento del cervello rimane la pietra miliare della psicologia fisiologica. Una discussione delle questioni filosofiche sottostanti l'assunzione di comodo di Hebb - l’identità' psiconeurale (IPN) - va oltre i fini di questo articolo.

Alpha e Omega Gli psicobiologi sono scettici delle affermazioni secondo cui una

coscienza matura esisterebbe prima della nascita e dopo la morte. Le presunte prove scientifiche per una vita oltre la morte (per esempio: Moody 1975; Osis e Haraldsson 1977) sono difettose, logicamente ed empiricamente (Alcock 1979; Puccetti 1979; Siegel 1981).Oltre a inconsistenze e a difetti metodologici, molte affermazioni dei sostenitori dell'ipotesi di una sopravvivenza dopo la morte sono ulteriormente minate da un concetto di morte chiaramente antiquato.

Secondo i moderni criteri neurologici, i pazienti che si suppone siano "ritornati dall’aldilà'" non sono mai morti, solo rianimati da un arresto cardiopolmonare (ACP) - cioè, una temporanea interruzione del battito del cuore e della respirazione. Poiché le cellule cerebrali non cessano di funzionare immediatamente dopo un ACP, l'attività mentale può continuare (sebbene degradata dalla deprivazione di ossigeno/glucosio e da altri cambiamenti neurochimici) per alcuni minuti dopo l'ultimo battito del cuore e l'ultimo respiro.

Il morire è un processo composto da vari stadi, reversibile finché non soccombono certe cellule importanti del tronco cerebrale e della neocorteccia.

Quindi, un paziente con una neocorteccia silenziosa può ancora respirare e presentare delle pulsazioni ma essere clinicamente morto; chi soffre di un ACP temporaneo non presenta pulsazioni e respirazione non è cerebralmente morto. Ricordi del periodo precedente alla rianimazione non implicano un aldilà' perché', fortunatamente, questi pazienti non sono mai cerebralmente morti.

Il criterio oggi usato in molte società moderne per definire la morte legale è costituito dall'interruzione irreversibile della comunicazione tra cellule critiche del cervello.

Altre pseudoscienze attribuiscono capacita' cognitive e motivazionali al nascituro. Alcuni sostengono che il feto possa comprendere le conversazioni dei genitori e possa subirne danni psicologici persistenti.

Le farneticazioni Scientologiche di L. Ron Hubbard (1968) circa la vita nell'utero iniziarono come fantascienza e sono oggi bollate, appropriatamente, come religione, ma è specialmente preoccupante quando professionisti presumibilmente accorti fanno affermazioni simili ignorando ben chiare diffide neurologiche.

Le loro prove si basano sui "ricordi" di adulti con problemi psicologici sufficientemente preoccupanti da richiedere delle cure terapeutiche.

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Lo psichiatra Thomas Verny (1981) modella le sue teorie di psicopatologia in base a ciò' che i pazienti gli dicono sulle loro memorie fetali.

Arthur Janov (1970), fondatore del sospetto movimento dell'"Urlo Primario", asserisce che le nevrosi nascono dai ricordi del trauma della nascita, e Leonard Orr offre la cura: alleviare la nascita iperventilando in una vasca da bagno piena di acqua calda. (per una buona critica, vedi Rosen 1977).

I ricordi dall'utero sono estremamente dubbi, data l’immaturità del cervello fetale. Il sistema uditivo raggiunge un funzionamento rudimentale nell'ultimo trimestre della gravidanza, e poco dopo la nascita si può' abituare il bambino a compiere diversi movimenti in risposta ad altrettanti suoni verbali (Aslin et al. 1983).

Tuttavia, estrapolare da queste semplici abilità la congettura che i feti comprendano le conversazioni degli adulti, e anni dopo ne risentano, offende il buonsenso e le notevoli ricerche sullo sviluppo del bambino.

Vermi sostiene che "tutto ciò' che una donna pensa, sente, dice e spera influenza il suo bambino non ancora nato" (citato da Cannon 1981). Questo legame mistico tra le coscienze della madre e del feto è incompatibile con l'IPN poiché non esiste alcun legame neurale tra i loro cervelli.

Sebbene forti tensioni durante la gravidanza possano avere degli effetti a causa di alterazioni nelle componenti chimiche intrauterine, è difficile immaginare come specifici pensieri e sensazioni della madre possano raggiungere ed essere riconosciuti dal cervello del feto.

Le speculazioni di Verny riguardano un presunto legame telepatico tra la madre ed un'incredibilmente precoce mente fetale. Ricordano le vecchie superstizioni secondo cui le madri gravide spaventate dagli elefanti avranno bambini deformi e quelle che rubano daranno alla luce dei ladri.

Sebbene gli psicofisiologi siano semplicemente divertiti dalle congetture di Verny, è poco propizio che le sue credenziali di psichiatra ingenerino una fiducia diffusa.

Ho incontrato molte madri di bambini con problemi di sviluppo il cui fardello è stato inutilmente sovraccaricato di senso di colpa. Credevano che i loro pensieri ambivalenti durante una gravidanza difficile dovessero essere stati la causa della condizione dei loro bambini.

Studi competenti sulla memoria dei bambini non ispirano fiducia nei presunti ricordi prenatali (White e Pillemer 1979). Ci sono spiegazioni alternative del perché' la gente creda di ricordare la vita nell'utero o in incarnazioni precedenti (Alcock 1981; Loftus 1980; Zusne e Jones 1982).

Ci sono prove che i ricordi sono immagazzinati come modificazioni strutturali nei circuiti neurali (Squire 1986). Vista l’improbabilità del fatto che questi meccanismi siano già pienamente funzionanti prima della nascita, è logicamente impossibile che delle esperienze cosi' immagazzinate sopravvivano alla disintegrazione del cervello.

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Le credenze prevalenti che la conoscenza possa essere ottenuta da incarnazioni precedenti o da una "mente universale" (custode di tutta la passata conoscenza e creatività) sono non solo implausibili ma anche avviliscono ingiustamente le conquiste sbalorditive dei singoli cervelli umani.

Punti di partenza. Molte persone credono che il loro "sè psichico" lasci periodicamente i

loro corpi per ricuperare informazioni distanti. I critici della letteratura relativa alle "esperienze fuori dal corpo"

(OBE -Out of Body Experiences) ritengono che le prove a favore di questo fenomeno siano poco convincenti (Blackmore 1982; Neher 1980).

Le descrizioni di OBE sono compatibili con ciòche si sa circa fenomeni neurali e psicologici conosciuti che evocano vivide allucinazioni e pregiudicano temporaneamente la capacita' di esaminare la realtà. Nere (1980) offre anche degli esercizi di rilassamento e di immaginazione per coloro che desiderano sperimentare da sé un OBE.

Nell'ultimo secolo, il neurologo Huglings Jackson riportò che aberrazioni nei lobi temporali del cervello possono produrre sensazioni di galleggiamento e disincarnazione, inclusa l'impressione di vedere il proprio corpo da lontano (MacLean 1970).

Da allora, le OBE sono state prodotte dalla stimolazione elettrica dei lobi temporali durante operazioni di neurochirurgia. Queste esperienze sono anche associate con varie droghe, attacchi epilettici, episodi di emicrania ed ipoglicemia e modificazioni neurochimiche vicine alla morte.

Occasionalmente, le OBE occorrono spontaneamente in individui normali e svegli, probabilmente a causa di un'attivazione casuale dei sistemi del lobo temporale.

Le OBE sembrano meno misteriose quando pensiamo che il cervello genera immagini simili durante i sogni o nelle memorie visive, dove noi di solito ci vediamo da una posizione che in realtà' non abbiamo mai occupato.

È principalmente la chiarezza o "realtà" delle OBE (relativa all’attività del lobo temporale e frontale) che le distingue da forme simili di immaginazione, incluso il "sognare ad occhi aperti" che può', a sua volta, sembrare piuttosto vivido.

Le OBE possono ancora essere innescate da suggerimenti sbagliati quando i meccanismi di eccitazione del cervello si spostano da uno stato di assopimento ad uno stato di sonno, dal sonno alla veglia, dal sonno senza sogni al sonno con sogni, e cosi' via.

In un tale sistema formato da cosi' tanti componenti, ci si può' benissimo aspettare che occasionalmente si verifichino delle desincronizzazioni - che possono qui risultare in attività simili al sognare durante uno stato di quasi veglia. Le immagini di inizio (ipnagogiche) e di fine (ipnopompiche) del sonno sono spesso miscugli bizzarri, ma all'apparenza reali, di percezioni genuine ed allucinazioni (Stoyva 1973).

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La fisiologia delle allucinazioni. Di solito è facile distinguere percezioni autentiche da immagini auto-

prodotte, eccetto che nel corso dei sogni, delle OBE, e cosi' via. Occasionalmente può' essere difficile, però, perché' i sistemi del

cervello che generano immagini dalla memoria condividono dei circuiti neurali con quei sistemi che decifrano gli stimoli sensoriali provenienti dall'ambiente.

Molti fattori possono temporaneamente disabilitare più' alti meccanismi del cervello che confermano la realtà' delle percezioni.

Le allucinazioni si verificano quando la corteccia sensoriale viene attivata senza che vi siano stimoli ai recettori periferici.

Ciò può' derivare da: stimolazione elettrica o con l'uso di droghe del cervello, suggestioni ipnotiche, alta febbre, narcolessia, emicrania, epilessia, schizofrenia, sovraccarico sensoriale o isolamento prolungato (Horowitz 1975; Johnson 1978; Siegel e West 1975).

Allucinazioni possono verificarsi quando le immagini interne confondono gli stimoli sensoriali esterni in percorsi neurali condivisi, o quando frazioni percettive indistinte sono imbellite secondo le aspettative e le credenze (Horowitz 1975).

Sono anche possibili in situazioni che influenzano la normale alternanza tra vigilanza e attenzione all'uso di immagini (utilizzate per ricordare, risolvere i problemi, sognare ad occhi aperti, e cosi via). Forti conflitti, minacce emotive, paura, o desiderio possono prestare una qualità' intensamente reale al pensiero immaginifico.

La meditazione, riducendo gli stimoli sensoriali e sopprimendo i sistemi verbali di coscienza, può' avere risultati simili. Schatzman (1980) trovo' un sostegno obiettivo per la nozione che le allucinazioni passano attraverso processi che hanno luogo nell'area visuale del cervello.

Fu presentato uno stimolo visivo ad una paziente che sperimentava allucinazioni vivide. La risposta elettrica della sua corteccia visiva quando ella osservava lo stimolo normalmente fu confrontata con quella di quando aveva allucinazioni che oscuravano lo stimolo dalla vista. Nella seconda condizione, la traccia dello stimolo registrata scompariva man mano che la corteccia visiva iniziava a produrre l'immagine allucinata.

Molte credenze occulte nascono dal malinteso che qualsiasi cosa vista o sentita debba necessariamente esistere fuori da noi stessi. Fatica, stress, monotonia o ferventi desideri possono oscurare le "etichette" che designano l'origine esterna o interna man mano che i messaggi passano attraverso il cervello - offuscando cosi' la linea di demarcazione tra realtà' e fantasia.

Percezione: normale ed extra-sensoriale. Molta letteratura supporta il corollario dell'IPN secondo cui la

percezione sarebbe un processo del cervello (Uttal 1973). Per quanto riguarda i sensi convenzionali (vista, udito, gusto, odorato, tatto) sappiamo molto su come differenti energie vengono tradotte dai recettori in codici

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neurali e su come i sistemi del cervello ne distribuiscono e analizzano il contenuto.

Danni ad analizzatori specifici del cervello cancellano la percezione delle qualità' che essi altrimenti codificherebbero. Se la mente potesse abbandonare il corpo e conservare una piena consapevolezza del viaggio, perché' un semplice difetto di "hardware" nel cervello dovrebbe lasciare dei pazienti insensibili?

D'altra parte, se fossero danneggiati solo i recettori periferici, sarebbe possibile creare rozze protesi in grado di stimolare la corteccia sensoriale con impulsi elettrici predeterminati.

Che queste evochino semplici modelli visivi sostiene l'ipotesi dell'IPN, ma la rozzezza delle percezioni prodotte dalle protesi stimolanti più' avanzate sottolinea l'enorme compito che eventuali "energie" telepatiche dovrebbero compiere perché' la percezione extra sensoriale (ESP - Extra Sensorial Perception) possa essere compatibile con l'IPN.

Un "messaggio" che potesse superare gli abituali percorsi neurosensoriali alla coscienza dovrebbe ancora imporre un' attività precisamente modellata a milioni di cellule cerebrali.

Un teorico che cercasse di coniugare l'ESP all'IPN dovrebbe suggerire dei meccanismi plausibili al fine di rispondere alle seguenti domande:

Come viene generato il "messaggio" dal cervello del "mandante" nella telepatia e da un oggetto inanimato nella chiaroveggenza?

Che tipo di energia potrebbe portare il messaggio senza perdite, lungo distanze immense e attraverso gli oggetti incontrati durante il percorso?

Qual'è il mezzo di propagazione del segnale; che cosa impedisce il sovrapporsi di messaggi simultanei e che cosa li fa arrivare al "ricevente"?

Una volta arrivato al ricevente, che cosa dirige il messaggio alla modalità' sensoriale appropriata - per esempio, alla vista piuttosto che all'odorato - per non dire cosa produca una percezione significativa?

Quale forma concepibile di energia avrebbe la capacita' informazionale di imporre i modelli spazio-temporali necessari al numero astronomico di neuroni coinvolti anche nella più semplice percezione?

Come potrebbe duplicare i lievi movimenti dei trasmettitori neurochimici attraverso le membrane cellulari che costituiscono il codice neurale?

Gli entusiasti dell'ESP raramente si pongono questo tipo di domande. Infatti, evitarle è una delle attrattive del dualismo (se la mente non è

fisica, queste limitazioni non sono applicabili). Il parapsicologo Charles Tart (1977), e ciò va detto a suo credito,

cerca di far fronte ad alcuni di questi problemi, ma le soluzioni da lui proposte sono essenzialmente antichi principi di Magia Simpatica e di Contatto ridefiniti in termini tecnici.

Egli sostiene che debbano esistere nel cervello "canali", "decodificatori", ecc., perchè l'ESP è un’abilità' stabilita, ma non suggerisce dove e come potrebbero trovarsi.

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Godbey (1975) ha ragione quando afferma che le prove della telepatia o della chiaroveggenza sarebbero insufficienti, in sè stesse, per rifiutare l'IPN.

Il cervello potrebbe concepibilmente essere messo in uno stato fisico di "sapere qualcosa" da una qualche forza materiale non ancora scoperta.

Tuttavia, come io sostengo, ciò richiederebbe una forma di energia non molto diversa da quelle note ai fisici, che operasse sui meccanismi neurali in modi che sembreranno bizzarri anche agli psicobiologi.

Sebbene entrambe queste ipotesi potrebbero un giorno venire confermate, oggi servono solamente per "spiegare" fenomeni per i quali esistono interpretazioni naturalistiche più credibili (Alcock 1981; Blackmore 1982; Marks e Kammann 1980; Neher 1980; Zusne e Jones 1982).

La soluzione al 10 percento. Nel sostenere che le attuali teorie sul funzionamento del cervello

gettano sospetti sull'ESP, la psicocinesi, la reincarnazione e cosi via, mi viene spesso rinfacciata la più nota neuro-mitologia: la nozione secondo cui noi normalmente useremmo solamente il 10 per cento del nostro cervello. Gli "illuminati" presumibilmente riuscirebbero ad utilizzare il rimanente per levitare, piegare cucchiai, prevedere il futuro, leggere il pensiero ed altre fantasticherie inconcepibili per chiunque altro.

Le origini del mito del 10 percento sono oscure, ma il concetto venne ampiamente disseminato in popolari corsi di comunicazione (Dale Carnegie) e proferito pubblicamente nientemeno che da Albert Einstein. Credo che l'errore nacque da un travisamento di una ricerca del 1930 la quale dimostrava che, con l'avanzamento evolutivo, una proporzione progressivamente più piccola del cervello è adibita a compiti strettamente sensoriali o motori.

Per ragioni metodologiche, le aree non-sensoriali e non-motorie allargatesi vennero denominate "corteccia silenziosa", sebbene siano tutto fuorchè silenziose. Sono responsabili delle nostre caratteristiche più umane, incluso il linguaggio ed il pensiero astratto.

Aree di massima attività si muovono nel cervello quando ci applichiamo a compiti diversi, e può' esserci una qualche riorganizzazione delle regioni funzionali dopo un danno al cervello; ma non ci sono normalmente regioni dormienti che attendono nuovi compiti.

Questa concetto della "ruota di scorta cerebrale" continua a fare la fortuna di psicologi poco seri e dei loro corsi di auto-miglioramento. Come metafora per il fatto che pochi di noi sfruttano pienamente i propri talenti, chi potrebbe negarlo? Come rifugio per gli occultisti che cercano una base neurale per il miracoloso, però, lascia molto a desiderare.

Conclusione. Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie.

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Ci sono molti esempi di persone estranee al mondo scientifico che sbaragliarono fortificazioni di ortodossia scientifica, ma prevalsero grazie a dati irrefutabili.

Più spesso, scoperte egregie che contraddicono studi e ricerche tra i più sicuri, si rivelano essere artefatti.

Io sostengo che accettare i poteri paranormali, la reincarnazione, la "coscienza cosmica" e cose del genere, richiederebbe una revisione fondamentale delle fondamenta delle neuroscienze.

Prima di abbandonare teorie materialiste della mente che hanno brillantemente svolto il loro compito, dovremmo insistere nel richiedere migliori prove per l'esistenza dei fenomeni paranormali di quelle che esistono al giorno d'oggi, specialmente quando le stesse neurologia e psicologia offrono alternative più plausibili.

Barry L. Beyerstein fa parte del Brain Behavior Laboratory, Dipartimento di Psicologia, Simon Fraser University, Burnaby, Canada.

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APPENDICE N°2 Bibliografia sugli stati di coscienza discreti, diversi, alterati, modificati ottenibili con le più svariate forme di indirizzi filosofici, religiosi, psicologici e psicoterapeutici.

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