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Lettera ai cristiani per il Sinodo 2019

Carissimi,al termine del percorso sinodale ci apprestiamo a celebrare il nostro Sinodo Diocesano, il primo dell’Arcidiocesi di Matera - Irsina.

L’anno pastorale appena trascorso è stato intenso e impegnativo per tutti. Il percorso sinodale ci ha permesso di ascoltare la Parola di Dio, pregare, confrontarci con l’insegnamento della Chiesa, con le indicazioni di Papa Francesco, riflettere insie-me, sinodalmente, ed essere propositivi in vista del Sinodo che ci vedrà impegnati nei prossimi anni.

Un desiderio su tutti ha animato, sia nei gruppi e nelle assemblee sia nei contributi provenienti dalle parrocchie, quanti hanno lavorato con im-pegno, guardando al futuro e al bene della nostra Chiesa locale. Si avverte il bisogno di riempire di contenuti evangelici la nostra vita, le nostre scelte, le nostre comunità, non per annullare il passato, che è patrimonio culturale e religioso della nostra terra e della nostra gente, ma per arricchirlo di quel vino buono che ci permetta di gustare la no-stra appartenenza a Cristo e alla Chiesa.

Da queste considerazioni la scelta dell’icona bi-blica, che rende bene il senso del nostro cammino e alla quale faremo riferimento, in Lc 5, 33-39: «In quel tempo, gli scribi e i farisei dissero a Gesù: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono!” Gesù rispose: “Potete far digiu-nare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno”. Diceva

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loro anche una parabola: “Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vec-chio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. Nessu-no che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono»!

Nel brano evangelico, riportato da tutti e tre i sinottici, Gesù ha voluto insegnare ai suoi disce-poli e alle prime comunità cristiane di sottrarsi alla tentazione di mettere insieme una mentalità antica che pone al centro una giustizia che non gli appartiene (Gv 8,1-11) e la misericordia a lui tanto cara (Mt 9,16-17).

I comportamenti esteriori non sempre corrispon-dono a quanto si vive interiormente. Spesso si fanno tante cose senza capirne il senso. Appa-rentemente sembra che i discepoli di Giovanni e quelli dei farisei siano più “bravi” dei discepoli di Gesù. Coloro che dialogano con Gesù gli fanno notare che i primi osservano il digiuno, al con-trario dei secondi. Vogliono capire o indurlo in errore? Gesù non si uniforma alla stessa logica degli interlocutori che vorrebbero sapere chi sono i discepoli più bravi. Quelli di Giovanni e dei fa-risei o i suoi?

Il Maestro li invita a non lasciarsi condizionare dall’esteriorità dei farisei e risponde con una do-manda che li induca a riflettere sul senso del di-giuno così come ai loro giorni era inteso. Se prima il digiuno aveva senso perché ricordava a Israele

il suo peccato e il conseguente castigo, nell’attesa della liberazione definitiva annunciata dai Profeti, con la parabola degli invitati a nozze e dello sposo Gesù fa capire che lui è lo Sposo, il Messia, che è giunto il tempo in cui le profezie si sono com-piute.

È arrivato il tempo di accogliere la misericordia. È un invito a non sposare il modo di agire dei fa-risei che, pur accogliendo l’annuncio di Gesù, ri-manendo ancorati a vecchie certezze, rischiavano di svuotarne completamente il senso profondo. Il vangelo si basa sulla libertà (Gc 2,12), sulla verità che rende completamente liberi (Gv 8,32), su un nuovo concetto di giustizia (Gv 2,12): un annun-cio affascinante. Gesù chiede, incominciando dai discepoli, di accogliere la novità del vangelo che è lui stesso.

Alla luce di queste considerazioni si comprende come la parabola del rattoppo e del vino allarghi l’orizzonte della comprensione, guarendo dalla miopia tipica di chi non vuol guardare lontano. Il cambiamento è arrivato. Non più aggiustamenti o sistemazione di una pezza in base alla situazione che si presenta. C’è bisogno di un bel vestito nuo-vo. Bisogna sistemare la cantina, buttando via i contenitori vecchi che non servono più, collocan-do i nuovi per versarvi il vino nuovo: Gesù, colui che ci rende veramente uomini nuovi.

Il nostro intento è esattamente quello di renderci conto che, come Chiesa di Matera - Irsina, abbia-mo bisogno di dotarci di “otri nuovi”, accogliendo il “vino nuovo”. Il nuovo è Gesù Cristo, il Vangelo, la buona notizia, da riprendere e gustare, ripro-

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posto nella sua attualità all’uomo d’oggi. L’uomo, in tutte le condizioni sociali e professionali, con i propri dubbi e perplessità, con i propri giudizi sprezzanti, con le proprie povertà interiori e mi-serie, con la mentalità dello scarto e la tentazione d’innalzare muri. Il nuovo è sempre Gesù Cristo, che si accosta all’uomo, piegandosi sulla sua uma-nità defraudata della dignità e lasciata in mezzo ad una strada (il buon samaritano). Si accosta a coloro che, delusi, disgustati e rassegnati, cado-no in una sorta di rassegnazione e pessimismo, camminando con loro, condividendone la strada, spezzando il pane di vita per loro (i discepoli di Emmaus).

Papa Francesco ci ricorda: «Non dobbiamo avere paura di lasciare gli “otri vecchi”: di rinnovare cioè quelle abitudini e quelle strutture che, nella vita della Chiesa e dunque anche nella vita consacrata, rico-nosciamo come non più rispondenti a quanto Dio ci chiede oggi per far avanzare il suo Regno nel mon-do: le strutture che ci danno falsa protezione e che condizionano il dinamismo della carità; le abitudini che ci allontanano dal gregge a cui siamo inviati e ci impediscono di ascoltare il grido di quanti attendono la Buona Notizia di Gesù Cristo»1.

È quanto in definitiva è emerso dal lavoro fatto dai confratelli sacerdoti, dai religiosi e religiose, dai laici, portato avanti con impegno, abnegazio-ne e determinazione, sostenuti dalla preghiera dell’intera Chiesa locale.

1 FRANCESCO, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congrega-zione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, 27 no-vembre 2014.

Usciamo arricchiti dalle profonde riflessioni che i gruppi di studio ci hanno consegnato, dopo aver assimilato le catechesi e le indicazioni su «L’Evangelii gaudium conversione pastorale per una Chiesa in uscita» (S.E. Mons. Rino Fisichella). A seguire si è lavorato sulle quattro Costituzioni conciliari integrate con le cinque Vie di Firenze, lasciandoci aiutare da S. E. Mons. Claudio Ma-niago, da S. E. Mons. Giovanni Intini, da Don Dario Vitali, dal Prof. Franco Miano e dalla Prof.ssa Pina De Simone.

Abbiamo avuto modo di riflettere sulla posizione della Chiesa vissuta tra Cristo, che ci mostra la mi-sericordia del Padre, e l’umanità alla quale si dona come luce. La Chiesa non è del Papa, del Vescovo o del singolo presbitero o del laico: è di Gesù Cri-sto. Lui l’ha generata dall’alto della croce quando dal suo fianco sono scaturiti “sangue e acqua”, sim-boli dei sacramenti della Chiesa stessa. Da quel momento è stata inviata nel mondo per donare gioia e speranza. Questo è il senso del richiamo di Papa Francesco nell’Evangelii gaudium: la gioia del vangelo consiste nell’unire la misericordia di Dio e la speranza attesa dal mondo2.

Un lavoro certosino ben coordinato, con compe-tenza e zelo sacerdotale, da Mons. Filippo Lom-bardi e l’equipe Diocesana, dai responsabili dei gruppi di studio (Mons. Biagio Colaianni, Vita presbiterale/uscire; Don Vincenzo Di Lecce, Li-turgia/trasfigurare; don Pasquale Giordano, Ca-techesi/annunciare; Don Domenico Monaciello,

2 Cfr. Consiglio Permanente CEI, Roma 24/26 settembre 2018. Intervento di S. E. Mons. Franco Giulio Brambilla su: Matera 2019 Capitale europea della Cultura: un’occasione per ripensare il rapporto con la fede.

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Chiesa e organismi di partecipazione/uscire; Padre Basilio Gavazzeni, Cultura/educare; Prof.ssa Anna Maria Cammisa, Carità e inclusione sociale dei poveri/abitare; Prof. Lindo Monaco, Laicato e questioni sociali/abitare; Sr. Milena Acquafredda, Dimensione missionaria/educa-re).

Ora è il tempo di iniziare a celebrare il 1° Sino-do Diocesano dell’Arcidiocesi di Matera - Irsina, proprio nell’anno in cui la nostra città di Mate-ra vive un evento storico: Capitale europea della Cultura. È un’opportunità per la nostra Chiesa di riscoprire la valenza culturale della sua missione evangelizzatrice e per aprire e tenere vivo un dia-logo con le diverse culture. Sarà proprio durante quest’anno pieno di eventi e celebrazioni culturali di ogni genere che noi, attraverso il Sinodo, volen-do usare alcune affermazioni di Papa Francesco, intendiamo:

‒ Essere in cammino e in relazione con gli altri per ascoltare il Signore.

‒ Favorire nelle comunità la carità evangelica e la solidarietà fraterna.

‒ Collaborare con i ministri del Signore per es-sere tutti icone viventi di prossimità.

‒ Promuovere il bisogno di uomini di amore, non di uomini di onore.

Nello stesso tempo vogliamo evitare l’ansia di schematizzare, dando ampio spazio di riflessione e discernimento alle profonde indicazioni presen-tate nei questionari.

Non è possibile confrontarsi con gli altri se non alla luce della Parola di Dio e dell’insegnamen-to della Chiesa. Il confronto può realizzarsi solo se illuminato dallo Spirito Santo e non basato su un pensiero personale e particolare. Solo così ci sarà vero discernimento. Mi permetto di usare le parole del card. Carlo Maria Martini: «L,esempio biblico di cui mi servo per spiegare il distinguere e il discernere, è la descrizione del Concilio di Gerusalemme (cfr At 15) dove si può vedere bene la dinamica di Chiesa. Se leggiamo attentamente il resoconto del Concilio, rimaniamo stupiti nell’ac-corgerci che, dovendo risolvere un problema pratico molto difficile - la convivenza tra i cristiani prove-nienti dal giudaismo e i cristiani convertiti dal pa-ganesimo - non si fa ricorso alle Scritture o a una tradizione canonica, di cui c’era un primo embrione, ma si fa ricorso, anzitutto, alla riflessione sul vissuto nella grazia dello Spirito Santo! Ci sono tre grandi relazioni nel Concilio di Gerusalemme: la prima, in cui Paolo riferisce su quanto lo Spirito Santo ha operato in tutte le comunità, e quindi prendendo co-scienza di ciò che è il vissuto di grazia; la seconda, in cui Pietro si domanda quale relazione abbia il vissu-to di oggi con gli eventi passati, qual è la continuità di grazia in cui esso si inserisce; la terza relazione, in cui Giacomo, a partire dalle parole di Paolo e di Pietro, propone un modo pratico di vivere insieme, un modo che tenga conto delle verità fondamenta-li. Questo atteggiamento è quello che si propone di ascoltare la voce dello Spirito e di trarne conseguenze

Essere in cammino e inrelazione con gli altriper ascoltare il Signore

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per l’oggi, in umile obbedienza di quella Parola che ha parlato nella Chiesa e che ancora parla nel Ma-gistero, nella forza della predicazione, nella lettura quotidiana della Scrittura, nella vita quotidiana dei fedeli, nell’esperienza della santità»3.

Il lavoro di sintesi, fatto durante il percorso sinoda-le, ci ha indicato esattamente questo, sottolineando le linee fondamentali e imprescindibili che hanno guidato la prima Chiesa di Gerusalemme e da quel momento, nel corso dei secoli, la Chiesa Cattolica. Le basi sulle quali stiamo lavorando sono:

¾ Preghiera – Non è superfluo ricordare che ogni compito ecclesiale va accolto e accompa-gnato dalla preghiera. Essa ci mette al riparo dalla tentazione di pensare che quello che fac-ciamo è opera della nostra bravura e delle no-stre capacità. Nel dialogo personale con Dio riconosciamo che tutto è dono suo e che siamo strumenti nelle sue mani e che umilmente ci mettiamo a servizio della Chiesa e dei fratelli in umanità.

¾ Fedeltà al compito – Dio è fedele sempre. Nell’essere stati scelti si manifesta la sua fidu-cia e la fiducia della Chiesa. Nell’accogliere in spirito di obbedienza il compito di far parte dei “Centodiciannove” ci vien chiesto di corri-spondere e di ricambiare nella fedeltà la fedel-tà di Dio. Questa nostra fedeltà si manifesterà nel perseverare nell’impegno di seguire tutto il Percorso, di studiare, di ascoltare, di non far

3 C.M Martini, Cristiani coraggiosi. Laici testimoni nel mondo di oggi, Milano 2017, 123 – 124.

mancare il nostro apporto di intelligenza e di volontà nel perseguire il fine per cui siamo stati chiamati: la crescita della nostra Chiesa nella comunione e nella gioia di evangelizzare.

¾ Senso di responsabilità – Fedeltà a Dio e fe-deltà all’uomo sono due principi che vanno in-sieme. Mentre corrispondiamo a Dio dobbia-mo rispondere anche agli uomini del nostro lavoro: la salvezza è per l’uomo, l’evangelizza-zione è per la salvezza nostra e dei fratelli, di ogni persona. Il Sinodo si fa perché la Chiesa sappia offrire la gioia del Vangelo agli uomini e alle donne di questo nostro tempo, agli ulti-mi, a chi vive le periferie esistenziali, ai poveri ed emarginati. Assumiamo una responsabilità storica perché la Chiesa sia più missionaria e profetica.

¾ Partecipazione attiva – Non vuol essere una raccomandazione di rito ma la sottolineatura di una necessità. Nessuno sarà valutato per quanto produce, anzi non sarà per niente va-lutato, ma ognuno è accolto per i suoi doni e carismi che sono per l’utilità comune. Nessu-na ansia da prestazione ma umiltà, semplicità, verità, comunione, ascolto reciproco, dialogo, confronto di opinioni diverse.

¾ Franchezza (parresia) – Ho voluto eviden-ziare questa virtù perché fondamentale per il compito che siamo chiamati a vivere. Papa Francesco l’ha molto raccomandata ai padri sinodali dei due sinodi sulla famiglia: parlare con franchezza: «Una condizione generale di base è questa: parlare chiaro. Nessuno dica: “Que-

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sto non si può dire; penserà di me così o così...Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia4». Dove parlare chiaro non vuol dire puntare il dito e nemmeno evidenziare i difetti di altri, ma cercare il bene comune, indicare prospet-tive di superamento di un problema, di una difficoltà, di un limite.

¾ Capacità di discernimento – Questo è pro-prio di un Sinodo, è il frutto del Sinodo: cer-care il bene tra il “tanto” che si presenterà in questo percorso: individuare vie nuove, stili nuovi di evangelizzare, superando la logica del “si è fatto sempre così” o del rispetto formale di tradizioni ormai svuotate del loro contenu-to di fede. Il Sinodo più che risolvere tutti i problemi, cosa umanamente impossibile, deve innescare processi, aprire dialoghi, costruire ponti, abbattere muri, aprire la Chiesa …

Se queste sono le premesse, dobbiamo necessa-riamente avere a disposizione “otri nuovi”, perché Gesù, vino sempre nuovo e buono, non si disper-da. Questo significa che tutti (vescovo, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, ogni battezzato) siamo invitati, in quanto discepoli di Cristo, ad essere presenza viva del suo stare in mezzo a noi. Con-tenti di appartenere a Lui e alla sua Chiesa. Gio-iosi di testimoniare con la vita le scelte che siamo capaci di fare. Credibili perché abitati dallo Spiri-to Santo e, quindi, capaci di parlare un linguaggio nuovo, sapendo dialogare con l’uomo d’oggi: una nuova Pentecoste.

4 FRANCESCO, Discorso alla prima Congregazione generale della terza Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, sul tema: «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell›evangelizzazione», 06.09.2014.

Durante tutto il percorso sinodale sono stati indi-viduati alcuni punti fermi da affrontare per versa-re “vino nuovo” in “otri nuovi”. È necessario:

� Promuovere e avviare processi di purificazione delle devozioni e della pietà popolare che spes-so è confusa con la fede.

� Raggiungere i giovani e costruire con loro qualcosa di bello, valido e definitivo. Avviare laboratori / oratori per gli anziani.

� Procedere ad una verifica periodica all’inter-no dei gruppi, delle associazioni, dei cammini di fede, delle confraternite e stimolare loro ad aiutarsi, nello spirito della correzione fraterna, a superare limiti e difficoltà e a guardare tutti nella stessa direzione.

� Favorire un approccio di annuncio e di relazio-ne basato sull’ascolto, sull’accompagnamento nella situazione di vita concreta della persona, sull’assunzione di uno stile di vita comune, su un atteggiamento di speranza e di compren-sione profonda, sull’attenzione a valorizzare le specificità e le risorse di ciascuno, sullo spirito di collaborazione nelle varie realtà.

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Nel suo ultimo viaggio in Sicilia, Papa Francesco ha ribadito alcuni concetti chiari, presenti nell’EG, che risuonano come un forte richiamo anche per noi che viviamo problematiche similari. Riporto al-cuni passaggi: «Per essere Chiesa della carità missio-naria, occorre prestare attenzione al servizio della ca-rità che oggi è richiesto dalle circostanze concrete”,…“È importante favorire nelle parrocchie e nelle comunità la carità evangelica, la solidarietà e la sollecitudine fra-terna… rifuggendo la tentazione mondana del quieto vivere, del passarsela bene, senza preoccuparci dei bi-sogni altrui”…”Non dimenticate che la carità cristiana non si accontenta di assistere; non scade in filantropia, ma spinge il discepolo e l’intera comunità ad andare alle cause dei disagi e tentare di rimuoverle, per quan-to è possibile, insieme con gli stessi fratelli bisognosi: integrarli con il nostro lavoro5».

Dal lavoro svolto durante il percorso sinodale, in sintonia con il magistero della Chiesa, con quan-to Papa Francesco ci sta insegnando, è emerso in modo chiaro quanto segue:

¾ Si percepisce in molti il desiderio di essere Chiesa in uscita;

¾ È significativa la presenza della Caritas dioce-sana e delle Caritas parrocchiali;

¾ È necessario maturare una maggiore consape-volezza di essere Chiesa nel mondo;

5 FRANCESCO, Discorso nella Diocesi di Piazza Armerina, 15.09.2018

¾ È indispensabile recuperare una maggiore incidenza della Chiesa nel sociale, sottoline-ando la dimensione sociale della evangelizza-zione;

¾ È improrogabile assumere con maggiore deci-sione la cura della casa comune, sia attraverso un’azione educativa al rispetto del creato, sia attraverso percorsi di condivisione e di colla-borazione con le istituzioni e quanti hanno a cuore la salvaguardia dell’ambiente, per la promozione di un’ecologia integrale;

¾ Si avverte il bisogno di vivere con maggiore fiducia l’azione dello Spirito per non rimanere schiacciati dai problemi, con la tentazione di isolarsi dalla realtà.

¾ È auspicabile che la Chiesa del dialogo, nell’a-pertura alle realtà temporali, scorga i semi di bene e di verità disseminati tra gli uomini in qualsiasi condizione. È auspicabile approfon-dire la teologia del Popolo di Dio come re-sponsabilità per la salvezza dell’uomo, per lo sviluppo integrale e per il bene comune.

Sempre a Piazza Armerina, Papa Francesco sti-la un elenco dei problemi che assillano il nostro Sud e non solo la Sicilia: «Non sono poche le pia-ghe che vi affliggono. Esse hanno un nome: sottosvi-luppo sociale e culturale; sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani; migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcoli-smo e altre dipendenze; gioco d’azzardo; sfilaccia-mento dei legami familiari».

Favorire nelle comunitàla carità evangelicae la solidarietà fraterna

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«Di fronte a tanta sofferenza la comunità ecclesiale può apparire, a volte, spaesata e stanca; a volte in-vece, grazie a Dio, è vivace e profetica, mentre ricer-ca nuovi modi di annunciare e offrire misericordia soprattutto ai fratelli caduti nella disaffezione, nella diffidenza, nella crisi della fede”…”Vi esorto, pertan-to, a impegnarvi per la nuova evangelizzazione di questo territorio centro-siculo, a partire proprio dalle sue croci e sofferenze6».

È tempo, ci siamo detti, di versare “vino nuovo” in “otri nuovi”:

� Creando percorsi di educazione alla dimen-sione sociale dell’evangelizzazione;

� Promuovendo esperienze di impegno con-creto per la pace, per la non violenza, per il rispetto delle diversità tra uomo e donna, tra persone di culture diverse;

� Facendo conoscere la Dottrina sociale della Chiesa sia nella catechesi ordinaria che con appositi momenti formativi, per incrementare nei cristiani la vocazione alla politica;

� Evitando di restare «comodi … spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa7», como-dità che rischierebbe di paralizzarci, soprat-tutto se continueremo a servirci degli “otri vec-chi” incapaci di contenere il “vino nuovo”;

� Approfondendo l’ecclesiologia del Concilio che ci riporta alla Chiesa delle origini, allo stile

6 Idem.7 FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, n. 129, 24 set-tembre 2013.

di vita delle prime comunità cristiane: ancora oggi, a oltre cinquant’anni dalla conclusione del Concilio, è necessario rispecchiarsi in quel modello di Chiesa;

� Entrando nella Chiesa mistero e nella Chiesa comunione: sono due aspetti dell’unica Chiesa che chiedono ancora di essere approfonditi e concretizzati.

La tentazione è sempre la stessa: accomodarsi nei panni dell’uomo vecchio (si è sempre fatto così!), senza rendersi conto che Gesù è l’uomo nuovo. Cosa significa? Prendere delle toppe, alcune frasi del Vangelo, e cucirsele addosso secondo le neces-sità del momento a giustificazione di scelte di vita personali o comunitarie.

Gesù ci dice che ciò che ormai è vecchio e logoro non ha bisogno di essere riparato ma messo da parte. Una Chiesa piena di toppe non sarà mai nuova e non indosserà mai il vestito bello della Parola di Gesù. In un cammino di fede adulta il vecchio serve per capire come proiettarsi nel fu-turo, rinnovandosi nel presente. Diversamente, sarà una Chiesa senza anima, senza la forza e la guida dello Spirito Santo. Il vino nuovo, Gesù, si gusta meglio perché siamo “otri nuovi”. È que-sto lo spirito che deve animare il nostro Sinodo, affinché non resti una celebrazione di norme e orientamenti, ma incida profondamente nella vita di ciascuno.

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Parlando della Parrocchia nel 1957, Don Primo Mazzolari fa una descrizione che è di una attualità sconcertante. Com’è nel suo stile rispettoso e inna-morato di Cristo e della Chiesa, parla con sinceri-tà, forza e determinazione, senza sottacere i pericoli che corre. «La parrocchia a servizio dei poveri. Una parrocchia senza poveri cos’è mai? Una casa senza bambini, forse anche più triste. Purtroppo ci siamo così abituati a case senza bambini e a chiese senza poveri, che abbiamo l’impressione di starci bene. I bambini sco-modano, i poveri scomodano. Questo però non dice niente, né ha molta attinenza col tema della parrocchia. È soltanto un piccolo sfogo del cuore per farlo mansueto e ragionevole in un argomento poco mansueto e niente affatto ragionevole. La parrocchia, che fu ed è, e non può non essere, la cellula della Chiesa, oggi è in crisi8».

Ma non sono forse questi i forti richiami che Papa Bergoglio continua a fare quando dice che la par-rocchia “non si tocca”? Oppure quando afferma che non è «una struttura che dobbiamo buttare dalla finestra9»?

Durante la visita a Cracovia, per la GMG, parlan-do ai vescovi polacchi, ha ribadito con forza che la parrocchia è «la casa del popolo di Dio», e «deve rimanere come un posto di creatività, di riferi-mento, di maternità10».

8 P. MAZZOLARI, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, a cura di M.GUASCO, ed.,EDB, Bologna 20089 FRANCESCO, 27 luglio 2016, nel dialogo avuto con i vescovi polacchi nella cattedrale di Cracovia, durante la GMG.10 Idem.

Concetti presenti nell’esortazione apostoli-ca Evangelii gaudium: «la parrocchia non è una struttura caduca11». Riprendendo l’esortazione apostolica Christifideles laici, di Giovanni Paolo II, ribadisce che la Parrocchia «continuerà ad essere la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie12».

A una delle tante domande che gli sono state rivol-te, Papa Francesco, con la chiarezza e semplicità che lo contraddistingue ha precisato: «Qualcuno dice che la parrocchia non va più, perché adesso è l’ora dei movimenti. Questo non è vero! I movimenti aiutano, ma i movimenti non devono essere una alternativa alla parrocchia: devono aiutare nella parrocchia, portare avanti la parrocchia, come c’è la Congregazione Mariana, come c’è l’Azione Cattolica e tante realtà13».

Durante il percorso sinodale tutte queste consi-derazioni sono venute fuori in modo chiaro e ine-quivocabile: frutto di preghiera, ascolto e rifles-sione comunitaria. Questa è sinodalità!

Versare “vino nuovo” in “otri nuovi” non signifi-ca aprire strade nuove, percorsi nuovi. Vuol dire ritornare al gusto del Vangelo, all’essenziale. La Parrocchia, oggi come ieri, è chiamata ad essere sempre più “popolare”: in mezzo alle case abitate da battezzati e non.

Per sfuggire la tentazione di versare “vino nuovo” in “otri vecchi” è necessario:

11 Idem.12 Idem.13 Idem.

La Parrocchia:tutti icone viventi di prossimità

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� Consapevolezza della dignità e della capacità attiva del popolo di Dio;

� Buon dialogo tra vescovo – sacerdoti – laici battezzati;

� Valorizzazione dell’esperienza della sinodali-tà come stile di vita permanente della nostra Chiesa diocesana e delle nostre comunità par-rocchiali;

� Migliore funzionamento degli organismi di partecipazione come luoghi concreti per l’e-sercizio della sinodalità;

� Attuazione più incisiva dell’esperienza della interparrocchialità per uscire dall’individuali-smo pastorale e per crescere nella comunione concreta tra sacerdoti e popolo di Dio, auspi-cando le unità pastorali, frutto dell’impegno interparrocchiale;

� Promozione della catechesi non solo in par-rocchia, ma anche negli ambiti di lavoro, al fine di rafforzare l’identità cristiana, superando l’estraneità che spesso impera fra i battezzati. Diventa un modo concreto per verificare e rin-saldare “la tenuta” della fede, cioè la capacità di Cristo di trasfigurare con la sua presenza tutte le situazioni, anche le “più lontane” e le più dolorose;

� Maggiore disponibilità;

� Valorizzazione dei carismi dei laici e maggio-re coinvolgimento nel percorso di ascolto e di discernimento;

� Formazione permanente dei membri dei Con-sigli pastorali per svolgere al meglio il ruolo di ascolto e di lettura della realtà;

� Maggiore dialogo e scambio tra gli uffici dio-cesani.

Questa è profezia! Solo se ci si mette in ascolto dello Spirito Santo, facendosi permeare dalla Pa-rola di Dio, la Parrocchia sarà un “otre nuovo” da cui chiunque potrà attingere e gustare, delizian-dosi, il “vino nuovo”.

La tentazione di essere efficienti, di lasciarsi pren-dere dalla smania dell’organizzare e promuovere continuamente iniziative potrebbe dare alla par-rocchia un’identità che non le appartiene. Essa è famiglia e non fabbrica di eventi; è popolo di Dio e non azienda; è comunità e non partito o sin-dacato. Direbbe Don Mazzolari, è “focolare”, “casa domestica”, dove è possibile fare esperienza della figliolanza divina.

Siamo chiamati, vescovo, presbiteri, diaconi, con-sacrati/e e laici, ad essere presenti nella vita so-ciale, a interiorizzare la Parola che costruisce una fede nuova, adulta, un vestito nuovo privo di top-pe del vestito vecchio.

Non ci si improvvisa politico o sindacalista cri-stiano: la dottrina sociale della Chiesa deve gui-dare ogni scelta e impegno. In ossequio a questi principi, chiunque gestisca la cosa pubblica non può agire per fini o scopi di interesse personale. Tutto si faccia in un dialogo sincero e trasparen-te, per il bene della collettività, senza la paura di

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manifestare la propria fede, nella difesa di quei principi che ci appartengono. «Ognuno è soltanto obbligato a camminare con la luce che ha, cioè a fare la verità di cui è in possesso. Il rimanere fedeli alla verità posseduta non è un piccolo merito, mentre apre la via a una luce più grande»14.

14 P. MAZZOLARI, La più bella avventura, a cura di M. Margotti, EDB, gennaio 2015.

Il percorso sinodale ci ha aiutati a prendere co-scienza che Dio fa le “cose nuove”, servendosi di “uomini di amore”, innamorati del Vangelo e non di uomini di onore. Quanti santi preti e diaconi, anche ai nostri giorni, sempre più innamorati del loro ministero! Quanti religiosi e religiose servo-no la Chiesa con gioia ed entusiasmo! Quanti laici impegnati, con una fede adulta, spinti dalla forza dell’amore, vivono santamente la loro vocazione! Quanti giovani sorridono alla vita, testimonian-do la bellezza di una umanità nuova, che non si lascia intimorire dal male che discrimina e isola!

La Chiesa, in perenne tensione verso il suo Si-gnore, annuncia attraverso il Kerigma, all’uomo d’oggi che si lascia incontrare, quindi convertire.

Ecco il “vino nuovo” versato negli “otri nuovi” della nostra Arcidiocesi, delle nostre comunità parroc-chiali ricche di associazioni, confraternite, gruppi.

La buona notizia è la novità che Gesù ha portato: Dio ama indipendentemente dall’agire dell’uomo, sempre pronto ad accogliere il suo amore. È il vino nuovo, che cambia radicalmente il rapporto con Dio.

Già Paolo VI nel 1975 diceva: «Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, è, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: «Ecco io faccio nuove tutte le cose» (Apoc. 21, 5; cfr. 2 Cor.

Promuovere il bisogno diuomini di amore,non di uomini di onore

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5, 17; Gal. 6, 15). Ma non c’è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo (Cfr. Rom. 6, 4) e della vita secondo il Vangelo (Cfr. Eph. 4, 23-24; Col. 3, 9-10). Lo scopo dell’evangelizzazione è appunto questo cambiamen-to interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sarebbe dire che la Chiesa evangelizza allor-quando, in virtù della sola potenza divina del Mes-saggio che essa proclama (Cfr. Rom. 1, 16; 1 Cor. 1, 18; 2, 4), cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri»15.

Il lavoro fin qui portato avanti dai gruppi di stu-dio, dalle comunità parrocchiali e dai singoli fede-li, ha evidenziato questi aspetti:

¾ Nella nostra diocesi sono in crescita l’identità e la coscienza battesimale del laico come la sua partecipazione attiva sia a livello intraecclesiale che a livello extraecclesiale nella società e negli ambiti lavorativi;

L’attenzione e la cura dei poveri e dei bisognosi appaiono radicate. Da buoni meridionali, stori-camente vissuti nell’indigenza, abbiamo innato il senso dell’accoglienza. Varie sono le modalità che favoriscono forme di integrazione quale l’isti-tuzione di corsi di lingua italiana, sorti sponta-neamente in luoghi della diocesi, aperti a tutti e frequentati da uomini e donne di diversa prove-nienza, cultura e religione;

15 PAOLO VI, Esortazione apostolica, Evangelii nuntiandi, 08 dicembre 1975.

¾ Nelle comunità parrocchiali lo slancio missio-nario è molto presente e si manifesta con ini-ziative rivolte di volta in volta ai giovani, alle famiglie, agli adulti ecc., in genere collegato ai periodi dell’anno liturgico e finalizzato alla celebrazione dei sacramenti. Purtroppo, i ten-tativi di promuovere iniziative che riguardino aspetti dell’attualità o del vivere quotidiano affrontati alla luce del messaggio evangelico e dell’esperienza cristiana di vita, vedono la par-tecipazione di persone già direttamente impe-gnate nella sfera parrocchiale, ma non sempre arrivano a una platea più ampia. Questo man-cato coinvolgimento di quanti non frequentano la Parrocchia, ci induce ad affermare con ram-marico che la comunità risulta deficitaria nella sua funzione educativa ed evangelizzatrice.

Particolarmente interessante è il richiamo al recu-pero della Liturgia:

¾ In genere le liturgie risplendono per nobile semplicità, ma se questa condizione è neces-saria, non è tuttavia sufficiente a garantire il coinvolgimento dei fedeli;

¾ Quando ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, la risposta è immediata: Gesù di Na-zareth, il Signore, il Cristo crocifisso e risor-to. Ma se ci chiediamo dove si rende attuale il mistero della salvezza, la risposta non è mai: nella liturgia. Si pensa generalmente di poter essere credenti senza “andare a messa”. Alcuni dichiarano di essere credenti ma non pratican-ti, poiché ritengono l’insieme dei riti una pura formalità;

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¾ A volte i sacramenti vengono chiesti non per una vera scelta di vita cristiana ma, soprattutto Cresima e Matrimonio, come un obbligo da assolvere per ottenere una “certificazione” che permetta di celebrare altri riti. Il sacramento dell’unzione degli infermi non è sempre ade-guatamente evangelizzato;

¾ I fedeli che partecipano alla messa, proba-bilmente, lo fanno oggi con più consapevo-lezza rispetto al passato; vogliono incontrare il Signore e desiderano che anche i loro figli possano camminare su una strada buona. La partecipazione comunque non ha alcuna ri-percussione nella vita sociale del cristiano. Si ha, infatti, l’impressione di essere passati da una partecipazione ostentata pubblicamen-te, tipica dei decenni addietro, ad una pratica intimistica e non condivisa: l’essere cristiani è diventata una scelta personale vissuta in am-bito privato.

Alla luce delle indicazioni emerse dal percorso sinodale, si evince che questo è il tempo in cui bi-sogna stare attenti a non ridurre l’insegnamento di Gesù ad una serie di regole e di precetti che lui stesso condanna. Il Vangelo è vita che trasfor-ma l’uomo, lo riempie di Dio. Il mosto nella botte fermenta. Prima che diventi vino buono, quindi nuovo, passa del tempo: avviene un cambiamento. Se questo non avviene, non si può ammirarne la limpidezza né avvertirne l’ebbrezza. È il passaggio che ci viene richiesto: un cambiamento di menta-lità che coinvolga l’uomo per essere come Dio lo ha da sempre pensato e voluto.

Il dire di Papa Francesco è chiaro: «C’è bisogno di cristiani che rendano visibile agli uomini di oggi la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni cre-atura. Sappiamo tutti che la crisi dell’umanità con-temporanea non è superficiale, è profonda. Per questo la nuova evangelizzazione, mentre chiama ad avere il coraggio di andare controcorrente, di con-vertirsi dagli idoli all’unico vero Dio, non può che usare il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteg-giamenti prima ancora che di parole. La Chiesa in mezzo all’umanità di oggi dice: Venite a Gesù, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e troverete risto-ro per le vostre anime (cfr Mt 11,28-30). Venite a Gesù. Lui solo ha parole di vita eterna»16.

16 FRANCESCO, Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, 14 ottobre 2013.

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Papa Francesco, nella Gaudete et Exsultate, met-te in evidenza i pericoli da evitare nella nuova evangelizzazione che chiama «un immanentismo antropocentrico travestito di verità cattolica17”. Cosa significa? Lui stesso lo spiega chiedendo di evitare l’«elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consuma-no le energie nel controllare18».

Così il Papa definisce lo gnosticismo, pericolo da evitare insieme al suo opposto: il pelagianesi-mo. Ci tiene a precisare come il pericolo accade all’interno della Chiesa stessa: «Non mi riferisco ai razionalisti nemici della fede cristiana19», a cau-sa del «fascino ingannevole20», dove prevale la «vanitosa superficialità21», tipico della prima eresia: «Questo può accadere dentro la Chiesa, tanto tra i laici delle parrocchie quanto tra coloro che insegnano filosofia o teologia in centri di formazione22», soprattutto quando (nessuno è esente, né pastori né fedeli) nelle scelte pastorali si «assolutizzano le proprie teorie e obbligano gli altri a sottomettersi ai propri ragionamenti23».

La cosa più triste che Papa Francesco sottolinea è la pretesa «di ridurre l’insegnamento di Gesù

17 FRANCESCO, Esortazione Apostolica, Gaudete et exultate, 35, Roma 19 marzo 2018.18 Ibidem, 36.19 Ibidem,39.20 Ibidem, 38.21 Idem.22 Ibidem, 39.23 Idem.

a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto24». Pressante è l’invito ad allargare gli oriz-zonti della misericordia, lasciandoci guidare dal-lo Spirito Santo: «Anche qualora l’esistenza di qualcuno sia stata un disastro, anche quando lo vediamo distrutto dai vizi o dalle dipendenze, Dio è presente nella sua vita. Se ci lasciamo gui-dare dallo Spirito più che dai nostri ragionamenti, possiamo e dobbiamo cercare il Signore in ogni vita umana25». Ma soprattutto di uscire dalla logica di assolutizzare la “propria” verità: «Non possiamo pretendere che il nostro modo» di intendere la verità «ci autorizzi a esercitare un controllo stretto sulla vita degli altri26».

È necessario uscire dalla confusione che emerge quando si pensa di sapere tutto e di possedere la Verità, ignorando che l’unica Verità è Gesù Cri-sto. Da qui l’invito a sottrarci dalla «pericolosa confusione27» che, in termini semplici e concre-ti, si manifesta nel «credere che, poiché sappiamo qualcosa o possiamo spiegarlo con una certa logica, già siamo santi, perfetti, migliori della “massa igno-rante28”». È lo stesso pensiero di Giovanni Pao-lo II quando ci invitava a sfuggire la «tentazione di sviluppare un certo sentimento di superiorità rispetto agli altri fedeli elitarismo narcisista e au-toritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare eli-tarismo narcisista e autoritario dove, invece di evan-

24 Idem.25 Ibidem, 42.26 Ibidem, 43.27 Ibidem, 45.28 Idem.

Ci sono dei pericoli da evitare

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gelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare29».

Insegnamento costante di Papa Francesco, vis-suto con coerenza nell’agire e nelle parole. Già all’inizio del suo pontificato affermava: «Nessuno è escluso dalla speranza della vita, dall’amore di Dio. La Chiesa è inviata a risvegliare dappertutto questa speranza, specialmente dove è soffocata da condizio-ni esistenziali difficili, a volte disumane, dove la spe-ranza non respira, soffoca. C’è bisogno dell’ossigeno del Vangelo, del soffio dello Spirito di Cristo Risor-to, che la riaccenda nei cuori. La Chiesa è la casa in cui le porte sono sempre aperte non solo perché ognuno possa trovarvi accoglienza e respirare amore e speranza, ma anche perché noi possiamo uscire a portare questo amore e questa speranza. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire dal nostro recinto e ci guida fino alle periferie dell’umanità»30.

Altro che “vino nuovo” in “otri nuovi”! Il rischio è di continuare a versare “vino vecchio” in “otri vec-chi”. E il vino vecchio, con il passare degli anni, diventa liquoroso, gradevole ma non più buono da bere a tavola.

La Chiesa è minacciata da un altro pericolo: il pelagianesimo, visione di coloro che credono nel-la «giustificazione mediante le proprie forze31», favorendo quell’«autocompiacimento egocentrico ed elitario32» che viene mostrato attraverso scelte

29 GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsin., Vita consecrata (25 marzo 1996), 38: AAS 88 (1996), 412.30 Cfr. FRANCESCO, Discorso ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, 14 ottobre 2013.31 FRANCESCO, Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, 49.32 Ibidem, 57.

discutibilissime, prese di posizione, atteggiamen-ti, che non favoriscono l’immagine di Chiesa co-munione, di famiglia radunata attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia. Ciò che a volte pre-vale è «l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e il prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale33».

L’analisi che Papa Francesco fa e che in alcuni tratti potrebbe risultare scomoda, chiarisce senza mezzi termini che: «Molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in possesso di pochi34», in particolare quando «alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili35». L’intento del Pontefice è quello di invitare tutto il popolo santo di Dio con i loro pastori a ritor-nare al cuore dell’annuncio della buona notizia «in un solo precetto: Amerai il prossimo come te stesso». «In mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello. Perché in ogni fratello, specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio. Con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte36».

33 Idem.34 Ibidem, 58.35 Idem.36 Ibidem, 61.

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Ancora Don Primo Mazzolari pone all’attenzio-ne il fatto che nella pastorale, a volte, si percor-rano strade che sarebbe opportuno evitare. Le sintetizzo così:

� Nell’intento di «descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori37», non c’è nulla di evangelico: si resta a guardare e a puntare il dito sugli errori degli altri;

� Alcuni lavorano con zelo ma da “battitori soli-tari”, senza essere in comunione con la Chiesa, ritenendo il proprio “fare” il più efficace. Don Mazzolari definisce questo atteggiamento «attivismo separatista». Questo metodo pro-cura molti consensi nell’opinione pubblica ma il rischio è che faccia nascere «un’altra Chiesa”;

� Don Mazzolari definisce altresì un al-tro atteggiamento: il «soprannaturalismo disumanizzante38». La vita religiosa viene colta come un rifugio per affrontare delusio-ni, difficoltà, malattie e sofferenze di vario ge-nere, ma correndo il rischio di estraniarsi dal mondo dove, invece, bisogna agire ed evange-lizzare. In questo caso le devozioni prendono il sopravvento: «Si sopprime un termine, il mondo, cioè il campo dove il Signore vuole che lavoriamo39». È proponibile una fede dove lo spiritualismo prende il sopravvento?

37 P. MAZZOLARI, Lettera sulla parrocchia e la parrocchia, 51.38 Ibidem, 54.39 Ibidem 37/38.

Nell’esortazione apostolica Christifideles laici (n. 26), Giovanni Paolo II ci invita a ripensare la par-rocchia come «la Chiesa che vive tra le case degli uomini». Definizione che riprende nel messag-gio che inviò ai vescovi italiani, in occasione della 52a Assemblea generale (Assisi: 17-20 novembre 2003). Assemblea alla quale, con mia grande me-raviglia, fui invitato a partecipare come rappre-sentante di tutti i parroci della Calabria.

La domanda di fondo che caratterizzò i nostri gruppi di studio fu questa: come e quando la parrocchia è «la Chiesa che vive tra le case degli uomini»? Il discernimento dei vescovi, alla luce dei contributi che furono dati dal lavoro assem-bleare e dai singoli, portò alla pubblicazione del documento: «Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia»40”.

I punti essenziali sui quali si ritorna ancora oggi non cambiano. Essenzialmente mettono in evi-denza che la Parrocchia è la Chiesa di tutti, perché fortemente radicata in un territorio ben preciso, dove i singoli battezzati scoprono di essere Chiesa partecipando, soprattutto nel giorno del Signore, all’Eucaristia. Tutto questo sarà possibile se l’a-spetto missionario, non solo del presbitero ma di tutti gli operatori pastorali, si mette seriamente in cammino: andare dal centro verso la periferia per poi dalla periferia proseguire verso il centro.

40 CEI, Nota Pastorale, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, 30 maggio 2004.

La parrocchia,Chiesa di Diotra le case degli uomini

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È necessario vincere la tentazione di quell’auto-referenzialità che mina profondamente il tessuto spirituale e umano della Parrocchia stessa. Non si possono uniformare tutte le esperienze dei vari cammini di fede che ci sono nella Parrocchia, scambiandola con la comunione che si esprime, invece, proprio nelle differenze.

«Nelle prime righe della lettera sulla parrocchia, don Mazzolari dice: “Dalla parrocchia la Chiesa fa casa con l’uomo”, dove l’espressione ‘fa casa’ anche nel linguaggio comune è un’espressione che viene utiliz-zata in riferimento alla famiglia (la casa fa riferi-mento alla famiglia). E ‘far casa insiemÈ è l’espres-sione che dice una familiarità, una consuetudine, un’intimità: la parrocchia, dunque, si configura come il luogo di familiarità, di intimità, di consuetudine di Dio con l’uomo. La parrocchia diventa il luogo in cui è più forte questo diventare famigliare di Dio con l’uomo, nella dimensione della Chiesa»41.

41 P. BIGNARDI, Parrocchia Chiesa che vive tra le case degli uomini, Settimana Nazionale di Spiritualità Missionaria, Assisi 2005.

In questa logica si è lavorato e si sta lavorando in vista di Matera 2019. Nell’ultimo incontro dell’Assemblea Permanente della CEI42, uno dei punti all’ordine del giorno è stato: Matera 2019 Capitale Europea della Cultura: un’occasione per ripensare il rapporto con la fede. Sono stato invi-tato a presentare il nostro programma dopo l’in-troduzione teologica-pastorale sul tema da parte di S. E. Mons. Franco Giulio Brambilla.

Il mio intervento ha sostanzialmente sintetizzato il percorso che il gruppo di lavoro, già dal 2015, ha portato avanti. Tra le altre cose ho voluto sot-tolineare quanto segue.

Il concetto della “eredità” del 2019 per la nostra gente e il nostro territorio è la linea guida es-senziale su cui ci si è mossi nello sviluppare un progetto articolato, forse ambizioso, sicuramente desideroso di cogliere sino in fondo questa occa-sione. Ma perché questa eredità si perpetui nel tempo, occorre costruire un percorso che vada nella logica del lungo termine e soprattutto che sia efficace per incidere sul territorio in maniera stabile. Su queste premesse e seguendo le indi-cazioni dell’Ufficio CEI per la pastorale del turi-smo, dello sport e del tempo libero, è nato il Par-co culturale ecclesiale “Terre di luce”, secondo la definizione che San Giovanni Paolo II diede delle terre lucane. Il Parco, ora costituito come associa-

42 Consiglio Permanente CEI, Roma 24/26 settembre 2018.

Matera 2019: Un’occasione per riprendereil rapporto con la fede

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zione di promozione sociale, è il meta-luogo nel quale si realizza il calendario di eventi del pro-gramma “I Cammini”. Contestualmente si pon-gono le premesse per questa eredità, accogliendo un modello che vuole dare stabilità, durabilità e sostenibilità nel tempo a quanto ci si auspica pos-sa scaturire dalle riflessioni contenute nel docu-mento “Tra Radici e Futuro”.

Il Parco Culturale “Terre di luce” intende configu-rarsi come un sistema territoriale che promuove, recupera e valorizza, attraverso una strategia co-ordinata e integrata, il patrimonio liturgico, sto-rico, artistico, architettonico, museale, ricettivo, ludico di una o più Chiese particolari. Una realtà che sappia raccontare che cultura è anche cresci-ta interiore e spirituale, se ad ogni bene culturale corrisponde anche una comunità.

Ma quali sono le prospettive più a lungo termi-ne? Per dare forza, resilienza e durabilità a questa iniziativa, abbiamo immaginato diversi momenti propedeutici uno all’altro:

y Creare e consolidare una rete aperta e inclu-siva di “operatori” provenienti in primis dalle realtà diocesane e parrocchiali.

y Attivare un circuito di scoperta e fruizione del territorio e delle sue risorse storiche, architet-toniche, artistiche e culturali differenziato per “cammini” e ispirato ai temi delle religiosità e della spiritualità.

y Costituire una infrastruttura per la promozio-ne di iniziative economiche e microimpren-

ditoriali (integrandosi e proseguendo in tal senso l’esperienza del Progetto Policoro) fra le comunità diocesane della Basilicata e nel più ampio contesto regionale.

y Avviare una concreta offerta di turismo “reli-gioso” che non sia di mero consumo ma reale percorso culturale e spirituale, al fine di utiliz-zare il patrimonio ecclesiale in maniera piena e coerente ed allo stesso tempo realizzare una corretta valorizzazione, rispettosa della sua natura “sacra”

y Arrivare alla costituzione di una Fondazione di Partecipazione come strumento e modello di lavoro per la costruzione del bene comune e una attenzione particolare all’impegno contro il disagio, le povertà, le discriminazioni.

In questo modo riteniamo di poter concretamen-te generare valore, un valore a tutto tondo, per la comunità e per la comunità ecclesiale in partico-lare, dando contestualmente “gambe” alla iniziati-va del Parco: simbolo, strumento e infrastruttura primaria e garanzia di durabilità e resilienza per una iniziativa che ambisce a essere “legacy” del 2019 per tutto il territorio. Una fondazione di partecipazione è un ente non profit, che mette insieme soggetti rappresentativi di una comuni-tà locale (privati cittadini, istituzioni, associazio-ni, operatori economici e sociali) con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita della comunità stessa, attivando energie e risorse e promuoven-do la cultura della solidarietà, del dono e della responsabilità sociale. La principale peculiarità di questo tipo di fondazione è la possibilità per

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una collettività di investire nel proprio sviluppo e nelle sue qualità, attivando risorse proprie per realizzare progetti ed interventi per il territorio. La Fondazione, grazie alla capacità di attrarre ri-sorse, sotto forma di donazioni e altre liberalità, valorizzarle attraverso una attenta gestione patri-moniale e di investirle in progetti locali di caratte-re sociale, rappresenta un importante strumento di sussidiarietà.

L’idea di poter vedere coinvolte nelle attività della “nascente” fondazione le specifiche azioni di so-stegno messe in opera, per esempio, dalla Cari-tas diocesana insieme alle attività di promozione culturale, renderebbe una testimonianza signifi-cativa del “come” la Chiesa di Matera abbia in-terpretato la storica occasione della “capitale della cultura”, ovvero proponendo una Cultura della Carità, capace di fare dell’intrattenimen-to intellettuale una straordinaria occasione di inclusione sociale.

Carissimi, a conclusione di questa lettera, in vi-sta del nostro Sinodo Diocesano, invito tutti a sentire e vivere questo momento di grazia come il passare di Gesù nelle nostre comunità parroc-chiali. È lui il “vino nuovo”che si ripropone con il suo messaggio salvifico per vivere il cambiamento preparando “otri nuovi”. Una storia, quella della nostra Chiesa, bella se pur piena di tanta soffe-renza, ma impregnata di fede.

Siamo consapevoli che abbiamo bisogno di man-tenere viva la memoria e la perseveranza dei nostri padri ma, nello stesso tempo, siamo chiamati con fiducia a esercitare quel cambiamento che oggi noi tocchiamo con mano, godendone i benefici.

Il Sinodo ci aiuterà a saper guardare positivamen-te avanti, a fare delle scelte che ci permetteranno di ravvivare le nostre comunità parrocchiali e l’in-tera Chiesa Diocesana.

Sarà un anno pieno di preghiera e di ascolto della Parola, accogliendo quanto lo Spirito Santo dirà oggi e quì alla nostra amata Chiesa di Matera - Irsina.

Per questo siamo invitati a metterci seriamente in ascolto del Signore, per maturare e assimilare i contenuti.

Benedetto XVI nel Motu Proprio Porta Fidei, dice: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali,

Conclusioni

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culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato43». Quindi questo è il tempo in cui siamo invitati a proporre la fede attraverso un’evangelizzazione che ci porti a suonare i campanelli, come direbbe Papa France-sco, guardando il centro dalle periferie.

Ringrazio quanti hanno lavorato fino a questo momento, durante l’itinerario sinodale, e quanti saranno chiamati a portare avanti i lavori del Si-nodo. La nostra Chiesa Diocesana li sostenga con la preghiera.

La Vergine Maria della Bruna e i nostri santi Pa-troni, Eufemia, Eustachio e Giovanni da Matera ci aiutino durante i lavori sinodali, affinché, sem-pre più innamorati di Gesù e della Chiesa, pos-siamo sostenerci ed essere l’uno per l’altro annun-ciatori dello stesso messaggio: il Vangelo di Gesù.

Vi abbraccio e benedico tutti.

Matera, lì 4 ottobre 2018San Francesco d’AssisiPatrono d’Italia

43 BENDETTO XVI, Lettera Apostolica in forma Motu proprio, Porta fidei, 11 ottobre 2011, n. 2.

ARCIDIOCESI DI MATERA-IRSINALettera ai cristiani della Chiesa di Matera-Irsina per il Sinodo 2019

Supplemento a Logos le ragioni della verità n. 19

Finito di stampare nel mese di Ottobre 2018 presso:D&B stampagrafica Bongo | Gravina in Puglia

progetto grafico: Dream Graphics di Antonio Gargano | Matera