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CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMASCUOLA FORENSE
V.E. ORLANDO
AVV. VALERIA SIMEONI
ATTO DI APPELLO NELL’INTERESSE DELL’IMPUTATO
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Tizio dipendente della Società farmaceutica S.p.A. e sottoposto di Sempronio nell’ambito della Società farmaceutica S.p.A., è
indagato per il reato di corruzione propria ex art. 319 c.p. in concorso con Caio (funzionario di un ufficio pubblico preposto al
controllo del settore farmaceutico).In particolare, al capo B) di imputazione si ipotizza che:
“con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, Caio quale pubblico ufficiale, per compiere ovvero per aver compiuto
atti contrari ai doveri del suo ufficio e precisamente per predisporre relazioni tecniche, fornire consigli a supporto delle richieste di
registrazione di farmaci e favorire gli interessi di aziende private quale rappresentante dell’Italia presso organismi internazionali a controllo dei farmaci, riceveva da Tizio operante nell’ambito e per conto della Società farmaceutica S.p.A. per sé e per altri, denaro e
altra utilità (Fatto commesso a Napoli nel 2008)”.
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In esito al rinvio a giudizio, il dibattimento si celebra nel febbraio del 2012 e termina il 10 febbraio 2013.
In particolare, da una intercettazione telefonica e dalla corrispondenza via mail acquisita durante l’istruttoria
dibattimentale, emergeva che l’utilità fornita a Caio sarebbe consistita in un breve soggiorno nella casa a Vietri sul Mare di Sempronio, come visto superiore di Tizio, ed amico di Caio. In concreto, Tizio in occasione di una telefonata intercettata, avuta
con Caio mentre entrambi si trovavano a Napoli, era stato semplicemente il tramite della offerta di disponibilità della casa
sfitta del suo superiore Sempronio a Caio. Dal dibattimento, inoltre, non emergeva invece alcun atto
(relazione tecnica o specifico parere reso) contrario ai doveri
d’ufficio compiuto da Caio.
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Al termine del giudizio di primo grado, il Tribunale di Napoli con sentenza del 10 febbraio 2013 condanna Tizio ad anni 4 e mesi 2
di reclusione, partendo dal minimo della pena prevista per il delitto di cui all’art. 319 c.p., così come modificata in esito alla
riforma introdotta dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione”, senza concessione delle attenuanti, il cui diniego era stato esteso
dal Tribunale genericamente a tutti gli imputati.Il Tribunale nella sentenza di condanna ivi impugnata, afferma la sussistenza del reato di cui all’art. 319 c.p. poiché, tra l’altro,“a prescindere dalla concreta individuazione dell’atto contrario ai
doveri di ufficio di Caio, la condotta di Tizio di fornire una “utilità a Caio” evidenzia un accordo tra i due avente ad oggetto l’asservimento della funzione pubblica di Caio agli interessi del privato corruttore”, Tizio (Cass. pen. sent. n. 34834 del 2009).
Alla luce della sua condanna, Tizio e il suo difensore
proponevano appello avverso la sentenza di primo grado.
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Ecc.ma Corte di Appello di Napoli
Proc. pen. n. xxx Reg. Gen. Trib n. Sentenza n. xxx Trib
Atto di appello nell’interesse di Tizio
Il sottoscritto Tizio, nato a () il xx e il sottoscritto Avv. () del Foro di (), con studio in (), Via () n. (), difensore dei Tizio nel medesimo procedimento penale
indicato in epigrafe, come da nomina in atti, propongonoAPPELLO
avverso la sentenza n. (), pronunciata dal Tribunale di Napoli, Sezione penale in composizione collegiale, il 10 febbraio 2013, depositata il (), nel procedimento
penale n. () R.G.N.R. e n. () R.G. Trib., con la quale il Tribunale di Napoli dichiarava Tizio colpevole del reato a lui ascritto in rubrica al capo B) di
imputazione e lo condannava alla pena principale di anni quattro e mesi 2 di
reclusione, con il diniego delle attenuanti generiche.
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L’appello si riferisce a tutti i capi e punti della sentenza impugnata relativi:
All’affermazione della responsabilità penale di Tizio per il reato di cui all’art. 319 c.p. in relazione al quale è intervenuta la condanna nei suoi
confronti, contestato al capo B) dell’imputazione.
Al mancato accoglimento dell’eccezione della incompetenza per territorio.
Alla violazione di legge con riferimento all’applicazione dell’art. 319 c.p. alla luce della interpretazione fornita all’esito della riforma introdotta dalla
L. 190/2012, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell' illegalita' nella pubblica amministrazione” in
relazione all’art. 2 co. 4 c.p., art. 25 Cost..
Alla mancata concessione a Tizio delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p..
All’eccessività della pena.
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La sentenza impugnata è, infatti, illegittima per i seguenti
MOTIVI
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I. Assoluzione di Tizio per il reato cui all’art. 110, 319 c.p. ante riforma n. 190/2012, contestato al capo B) perché il fatto
non sussiste ai sensi dell’art. 530 co 1 c.p.p.. In esito al giudizio di primo grado, il Tribunale ha
condannato Tizio ad anni quattro e mesi due di reclusione per una ipotesi di corruzione propria ai sensi dell’art. 110, 319 c.p.., in particolare perché in concorso con Sempronio, suo superiore
nell’ambito della Società farmaceutica S.p.A. avrebbe dato denaro e altra utilità a Caio, per il compimento da parte di Caio
di atti contrari ai doveri del suo ufficio, indicati nel capo di imputazione (fatto commesso a Napoli nel 2008).
All’esito dell’istruttoria dibattimentale, l’ipotesi di reato contestata a Tizio nei termini di corruzione propria ai sensi
dell’art. 319 c.p alla luce della corretta applicazione ed interpretazione di tale disposizione ante riforma n. 190/2012, è
risultata del tutto priva di fondamento, essendo stata evidenziata l’insussistenza degli elementi costitutivi del delitto ex art. 319 c.p. sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo.
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Come è noto, l’art. 319 c.p., prevede che “Il pubblico ufficiale, che per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del
suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sè o per un terzo, denaro
od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni” (Testo Ante Riforma del 2012).
Nel caso di specie, le prove documentali acquisite quali le mail del giorno xxx a firma di Tizio e di Caio, le intercettazioni
telefoniche n. xxx del xxx trascritte in atti, nonché le testimonianze rese da Mevio in sede di istruttoria dibattimentale,
escludono l’esistenza dell’accordo corruttivo tra Tizio e Caio per il compimento degli asseriti atti contrari ai doveri d’ufficio, per
l’approvazione del farmaco in questione, consistiti in relazioni tecniche,.. consigli a supporto delle richieste di AIC e per favorire
gli interessi di aziende private ..”, anche essi risultati insussistenti.
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In particolare, da nessuna conversazione risulta che Tizio abbia offerto o anche semplicemente promesso a Caio denaro o altra
utilità per compiere atti contrari ai doveri dell’ufficio dello stesso; da nessuna conversazione o acquisizione probatoria risulta provato
che tra Caio e Tizio sia intercorso un accordo illecito avente ad oggetto la procedura di approvazione del farmaco in cambio del soggiorno di una settimana a Vietri sul mare, ovvero di denaro o
di altra utilità. Difetta pertanto nel caso in questione l’accordo corruttivo ovvero,
il c.d. pactum sceleris che rappresenta uno degli elementi costitutivi della corruzione ex art. 319 c.p..
Sul punto, come è noto, la giurisprudenza è chiara e ha, in più occasioni, ribadito che ai fini della configurabilità della corruzione è necessario sia raggiunta la prova dell’accordo corruttivo, da
non confondersi con la prova della ricezione di denaro o altra utilità da parte del presunto corrotto (cfr. Cass. 15 maggio 2008 n.
34416: cfr. sul punto anche Cass. 9.6.2009 n. 32369).
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Non è risultata alcuna relazione tecnica o specifico parere contrario ai doveri di ufficio reso di Caio, il quale era in ogni caso del tutto
privo del potere di determinare o impedire la approvazione del farmaco.
Al riguardo, come è noto, la giurisprudenza di legittimità stabilisce che l’atto o il comportamento amministrativo, oggetto
dell’illecito accordo, se non individuato ab origine, deve essere almeno individuabile e l’individuazione si realizza anche quando la controprestazione della promessa, della dazione di denaro o di
altra utilità sia integrata da un generico comportamento del pubblico ufficiale, ove venga tuttavia accertato che la consegna del
denaro al pubblico funzionario fu effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e per retribuirne i favori (Cass.
19.3.1998, Cunetto, CED 210084, CP 1999, 3131; cfr C. 15.11.2000, Di Giovanni GdirD2001, n.2, 123; C6.3.1998,
Lombardi, Gdir 1998, n.23, 79; C 20.11.1997, Macinio Battaglia , CED 210048, RP 1998, 712).
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Come visto, il Tribunale nella sentenza di condanna afferma la sussistenza del reato di cui all’art. 319 c.p. poiché, a prescindere
dalla individuazione dell’atto concreto contrario ai doveri di ufficio di Caio, la condotta di Tizio che fornisce a Caio una “utilità” evidenzia un accordo tra i due avente ad oggetto
l’asservimento della funzione pubblica di Caio agli interessi del privato corruttore, Tizio (Cass. pen. sent. n. 34834 del 2009).
Al riguardo, è necessario precisare che soltanto con riferimento all’art. 318 c.p. la novella del 2012 ha eliminato il necessario
collegamento della utilità ricevuta o della utilità promessa con un atto dell’ufficio, da adottare o già adottato, modificando di tale
fattispecie non soltanto il trattamento sanzionatorio ma anche il precetto.
(art. 318 post riforma: Il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o
altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni).
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Come risulta dalla norma, infatti, la riforma del 2012 ha eliminato dall’art. 318 c.p. il necessario collegamento della utilità ricevuta o promessa
con un atto dell’ufficio, da adottare o già adottato, con la conseguente configurabilità del
reato anche nei casi in cui l’esercizio della funzione pubblica non debba concretizzarsi e non
si concretizzi in uno specifico atto.
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Al riguardo, occorre precisare che precedentemente alla riforma del 2012, la giurisprudenza era giunta ad attribuire alla nozione
di atto di ufficio una vasta gamma di comportamenti, effettivamente o potenzialmente riconducibili all’incarico del
pubblico ufficiale prescindendo,quindi, dalla necessaria individuazione di un atto al cui compimento collegare l’accordo
corruttivo. La novella di cui alla L. 190/2012 recepisce tali approdi
giurisprudenziali ma soltanto con riferimento all’art. 318 c.p. e non per l’art. 319 c.p di cui lascia immutato il testo letterale in
cui permane il collegamento all’atto di ufficio con la utilità ricevuta. La novella del 2012 modifica, infatti, soltanto il
trattamento sanzionatorio del 319 c.p. prevedendo la reclusione da 4 ad 8 anni (e non più da 2 a 5 anni) continuando a prevedere la necessita del sinallagma tra la dazione o la promessa di utilità
ed il compimento dell’atto.
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In sostanza, secondo alcuni commentatori della riforma, l’art. 318 offre un’interpretazione autentica dell’art. 319 c.p., superando la giurisprudenza che ravvisava superflua l’individuazione dell’atto
contrario ai doveri d’ufficio: se il legislatore avesse voluto prescindere dall’individuazione di tale atto contrario ai doveri
d’ufficio, avrebbe modificato anche l’art. 319, nel quale invece è rimasta l’indicazione dell’elemento costitutivo di fattispecie
dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, il quale deve quindi essere chiaramente individuato.
In ogni caso, Caio non ha posto in essere alcun comportamento diretto in termini concreti a vanificare la funzione
demandata al pubblico ufficiale e la violazione dei doveri di fedeltà, imparzialità e del perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono (cfr. da ultimo, Cass. Penale
sez. VI, n. 86/2008, RG 26880/07, 16.1.2008; Cass. Sez. VI, 26.2.2007, n. 21192; Cass. 25.3.1999).
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Il dibattimento ha, altresì, evidenziato l’insussistenza di altri due elementi costitutivi del reato ex art. 319 c.p. con riferimento alla utilità e alla connessione tra il comportamento del pubblico
ufficiale – Caio e i comportamenti del privato, Tizio. In particolare, dalle prove acquisite (mail e dalle intercettazioni
telefoniche) è emerso che Tizio non ha mai effettuato nei confronti di Caio alcuna dazione né alcuna promessa di denaro, o altra utilità e tali elementi non sono mai stati concretamente indicati neanche
nel capo di imputazione (cfr. impugnazione dell’ordinanza) In realtà, il Tribunale ha erroneamente considerato come
“utilità” fornita da Tizio a Caio ovvero ricevuta da Caio da parte di Tizio l’offerta del soggiorno di una settimana nella villetta di
Sempronio a Vietri sul mare, messa a disposizione non da Tizio
ma da Sempronio per la sua amicizia con Caio risalente negli anni e nel periodo in cui era sfitta.
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Lo stesso Tribunale ha quantificato il valore di tale asserità “utilità” in soli “1.000” (mille) euro poiché, ad
eccezione della villetta, il soggiorno era a spese di Caio. Con riferimento a tale soggiorno Tizio ha fornito a Caio su richiesta del suo diretto superiore Sempronio, soltanto delle informazioni di carattere operativo relative al treno,
all’ ombrellone, sdraio rese da Tizio a Caio. Ebbene, nel caso in questione, anche l’assoluta
modestia della asserita utilità rispetto all’ipotizzata controprestazione (approvazione di un farmaco in sede
europea) e il conseguente palese squilibrio tra le prestazioni rispetto all’entità degli interessi coinvolti
dimostrano l’insussistenza della corruzione.
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Come è noto, “anche il valore sintomatico dell’entità della dazione, nel senso cioè che la percezione di un vantaggio, di assoluta modestia (nella
specie, mille euro) rispetto all’entità degli interessi in gioco, può ragionevolmente far propendere per l’inesistenza di un patto di
mercimonio avente ad oggetto atti contrari a doveri d’ufficio. Al fine di individuare correttamente la figura criminosa deve essere accertato il
nesso tra l’utilità e l’atto da compiere o compiuto da parte del p.u. ed in particolare:se il compimento dell’atto sia stato la causa della
prestazione e dell’accettazione da parte del pubblico ufficiale;se l’atto sia o meno contrario ai doveri di ufficio” (cfr. Cass. Sez. VI, 15 maggio
2008 n. 34415; cfr. 13.07.2000,n. 9737). Alla luce della corretta applicazione dell’art. 319 c.p., il collegamento - o rapporto sinallgmatico - della dazione della
utilità o della promessa di utilità con l’atto del P.U. fa ritenere rilevanti ai fini della sussistenza del delitto di corruzione quelle dazioni o
promesse di dazioni che fossero proporzionate al tipo e all’importanza della prestazione richiesta dal pubblico ufficiale.
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Inoltre, non è in alcun modo emerso il collegamento tra procedura relativa all’approvazione del farmaco in questione e l’offerta del soggiorno di Caio in casa di Sempronio, che, come visto, erano
amici da tempo. Al riguardo, come è noto, la Suprema Corte ha ritenuto che “ciò che differenzia radicalmente la condotta penalmente illecita, da quella consentita, è la provata connessione tra i comportamenti del funzionario e quelli del privato, nell’ambito del mercimonio
della pubblica funzione. In assenza di tale essenziale e prioritaria convergenza sull’accordo criminoso, appare ininfluente
l’indagine sulla destinazione dell’utilità (cfr. Cass. Sez. IV 15 maggio 2008 n. 34416).
Alla luce di quanto esposto si chiede l’assoluzione di Tizio per il reato di cui all’art. 319 c.p. perchè il fatto non sussiste.
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II. Eccezione di incompetenza per territorioIn udienza preliminare si eccepiva l’incompetenza per territorio dell’Autorità Giudiziaria di Napoli rispetto al reato di corruzione
ex art. 319 c.p. poiché competente a giudicare doveva essere l’Autorità Giudiziaria di Salerno (dazione verificatasi a Vietri
sul mare). Tale eccezione si riproponeva tempestivamente dinnanzi al Tribunale,
ex art. 21 c.p.p.. Infatti, come emerso dal dibattimento, Caio apprende della possibilità di usufruire della villetta di
Sempronio a Vietri sul mare, da una telefonata con Tizio, portavoce di Sempronio, intercorsa tra i due quando erano a
Napoli, e l’unica asserita “utilità” ricevuta da Caio e fornita da Tizio consiste solo ed esclusivamente, nel breve soggiorno di Caio nella villetta di Sempronio a Vietri sul mare (Salerno), le
cui chiavi sarebbero state consegnate allo stesso Caio direttamente a Vietri sul mare.
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Di conseguenza, qualora nell’imputazione fosse stato indicato in modo chiaro e preciso il
soggiorno presso la casetta di Vietri quale unica presunta utilità dell’ipotizzata corruzione, sarebbe stata evidente l’incompetenza per
territorio dell’Autorità Giudiziaria di Napoli, luogo in cui sarebbe avvenuta la promessa e
Tizio non sarebbe stata sottratto al suo giudice naturale ex art. 25 Cost..cioè il Tribuanle di
Salerno.
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Come è noto, nello schema tipico del delitto di corruzione non può in alcun modo confondersi la “promessa” con la
“dazione”, proprio alla luce della diversità delle conseguenze in tema di momento consumativo e di locus commissi delicti;
il viaggio a Vietri, in ogni caso, è stato pagato da Caio; Caio otteneva le chiavi dell’appartamento solo una volta giunto a
Vietri sul mare; prima di quel momento, non è quindi neppure ipotizzabile una qualche ficta traditio della casa di Vietri sul
mare nei confronti del Caio; a fortiori non è quindi ipotizzabile alcuna vera traditio; il luogo in cui si sarebbe consumata l’ipotetica corruzione non coincide con quello in cui si
sarebbe raggiunto l’accordo corruttivo, ma coincide con il luogo in cui successivamente il Caio avrebbe ricevuto
l’asserita utilità, cioè Vietri sul mare (Salerno).
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Sul punto, la giurisprudenza di legittimità pacifica, come è noto, ritiene che “il delitto di corruzione è reato a duplice schema perché si perfeziona
alternativamente con l’accettazione della promessa o con il conseguimento effettivo dell’utilità, ma, se tali atti si susseguono, il momento consumativo si
cristallizza nell’ultimo, che assorbe, facendogli perdere di autonomia, l’atto di accettazione della promessa, perché con l’effettiva prestazione si concretizza
l’attività corruttiva e si approfondisce l’offesa tipica del reato” (giurisprudenza consolidata: cfr. ex pluribus, Cass. Sez. VI sentenza n. 35118 del 9.7.2007; Cass. Sez. VI sentenza n. 234360 del 4.5.2006; Cass. sentenza del 5.6.2007 in Guida al Diritto 07, 41, 79; Cass. 4.5.2006, in R. pen. 07, 447; Cass. 7. 2.2003 n. 225669;
Cass. 21.10.1998, n. 213331; Cass. 5.2.1998, in Cass. Pen. 1999, 2514; Cass. 24.10.1997, ivi, 506; Cass. Sez. VI 26.3.1996, Garbato, in Cass. Pen. 1997, p.
3402).Per tali motivi, si eccepisce anche in questa sede l’incompetenza per territorio dell’Autorità Giudiziaria di Napoli e del Tribunale di Napoli con riferimento al reato ipotizzato al capo B) nei confronti di Tizio, Caio e Sempronio e si chiede che gli atti vengano trasmessi all’Autorità Giudiziaria di Salerno per l’ulteriore
corso.
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III. Illegittimità della sentenza sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, a causa dell’applicazione retroattiva della norma incriminatrice di cui all’art. 319 c.p., nel testo introdotto dalla
L. 190/2012
In esito al giudizio di primo grado, il Tribunale nell’affermazione del giudizio di responsabilità penale ha ritenuto
sussistente nei confronti di Tizio il reato di cui all’art. 319 c.p., come modificato dalla riforma introdotta dalla L. 190/2012, che ha aggravato il trattamento sanzionatorio, lasciando inalterato il
precetto penale. In sostanza, il Tribunale ha applicato retroattivamente la legge più sfavorevole al reo con riferimento alla pena, in esito alla citata riforma della L. 190/2012, in violazione dei principi fondamentali in materia di successione delle leggi, ai sensi dell’art. 2 co. 4 c.p.,
applicando a Tizio il trattamento sanzionatorio più sfavorevole.
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La sentenza impugnata è illegittima per violazione dell’art. 2 co. 4 c.p. prevede che “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le
posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. In sostanza, nell’ipotesi di successione di leggi solo modificative di leggi già esistenti, si applica la legge più favorevole anche se essa è entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto. In altri termini, nel
caso di difformità tra la legge vigente al momento della commissione di un reato e quella intervenuta successivamente, deve essere applicata quella più
favorevole al reo.Nel caso di specie, ci troviamo nell’ipotesi di “successione propria” in cui la disposizione di legge successiva non ha inciso sul precetto che è rimasto
inalterato, bensì soltanto sulla disciplina sanzionatoria. Infatti, il testo dell’art. 319 c.p. ante riforma prevedeva la pena della reclusione da due a 5 anni, mentre il testo successivo alla riforma del 2012 prevede la reclusione
da 4 ad 8 anni.
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Del resto, l’ art. 7 della CEDU (Nulla poena sine lege), prevede che
1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa,
non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una
pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di
una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di
diritto riconosciuti dalle nazioni civili.
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Al riguardo, è il caso di citare la recente sentenza della Grande Camera della Corte EDU con la quale si è stabilito che “l’art. 7 , 1 co, CEDU “garantisce non solo il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, ma anche, implicitamente, il principio della retroattività
della legge penale più favorevole” “incorporato nella regola che laddove vi siano differenze tra la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e le leggi penali successive intervenute
prima chesia intervenuta la sentenza definitiva, le corti devono applicare la legge le cui disposizioni siano più favorevoli per
l’imputato”. Infine, è il caso di osservare che ai fini della corretta applicazione
dell’art. 2 c.p. e al più generale principio della certezza del diritto, il principio di irretroattività attribuisce rilievo decisivo al momento in cui
è stata realizzata la condotta consentendo che ciascun consociato prima di agire sia posto nella condizione di sapere come l’ordinamento
considera la sua condotta. Al contrario, l’applicazione del criterio dell’evento, impedirebbe al soggetto di adeguare la propria condotta
alle mutate prescrizioni di legge.
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Nel caso de quo, come visto, l’asserita utilità sarebbe stata ipoteticamente
conseguita da Caio in epoca antecedente alla modifica legislativa riforma a nulla rileva evidenziare la duplicità dello schema del delitto di corruzione nei termini in precedenza
evidenziati.
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Erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p. per la mancata concessione circostanze attenuanti generiche
A Tizio è stata applicata la pena di anni 4 e mesi 2 di reclusione, senza concessione delle circostanze attenuanti
generiche, per il reato di cui gli artt.110e 319 c.p., nella erronea applicazione dei presupposti dell’art. 62 bis c.p. con assenza di
motivazione sul punto. In particolare, il Tribunale fa riferimento alla gravità del
reato, in assenza di alcuna motivazione in ordine alla incensuratezza di Tizio, nonché all’esiguo valore della asserità utilità.
Al riguardo, come è noto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche deve essere necessariamente sorretto da un adeguato apparato logico e argomentativo nell’ipotesi in cui la
gravità del reato assurge a criterio preponderante e decisivo (cfr. Cass., sez. V, 9.2.1984, Amoroso, rv. 163641; 17.1.1970, Stabile, rv.
114031).
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La sentenza di condanna nei confronti di Tizio doveva, pertanto, contenere l’ indicazione di altri criteri giustificativi della mancata
concessione di tali attenuanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p.. Ulteriore profilo di legittimità della sentenza sul punto
riguarda anche l’erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p con riferimento alle regole che disciplinano le circostanze, con particolare riferimento al regime della comunicabilità delle circostanze in esito
alla riforma della legge n. 19 del 1990.Come risulta dal testo del provvedimento impugnato, il
Giudice di prime cure estende genericamente a tutti gli imputati il diniego delle attenuanti generiche con omessa motivazione sul punto.
Al riguardo, come è noto, le attenuanti generiche, in ragione della loro natura di vere e proprie circostanze attenuanti sono
assoggettate alla generale disciplina delle circostanze del reato.
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Nel caso di specie, l’estensione del diniego delle circostanze generiche a tutti gli imputati senza alcuna distinzione delle singole posizioni degli imputati che rivestono ruoli e condotte diverse, è stato effettuata in violazione della disciplina delle circostanze introdotta
dalla legge n. 19 del 1990, che ha abrogato il principio della automatica comunicabilità ai
concorrenti nel medesimo reato delle circostanze sia aggravanti che attenuanti, sia oggettive che soggettive
che avessero, comunque agevolato la commissione del delitto.
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Erronea applicazione dell’art. 133 c.p. ed eccessività della pena inflitta.
Tizio è stato condannato alla pena di anni 4 e mesi due di reclusione, avendo il Tribunale erroneamente applicato la pena ex
art. 319 c.p. post riforma del 2012, nei termini in precedenza illustrati.
Nella determinazione della pena, il Tribunale ha sostenuto di aver dato rilievo alla gravità del fatto commesso da Tizio atteso il particolare allarme sociale che le condotte corruttive suscitano e
le gravi conseguenze di esse a causa della diffusione di esse come una prassi ritenuta “normale”.
Alla luce di tutto quanto sopra osservato, in realtà, siffatta pena appare oltre che radicalmente ingiusta, comunque eccessiva,
tenuto conto dei criteri legali cui il giudice deve attenersi nella commisurazione della pena individuati dall’art. 133 c.p., di cui vi
è stata, quindi erronea applicazione.
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Infatti, non sono state prese in considerazione dal Tribunale la tenuità della condotta di Tizio, la mancanza della capacità a delinquere dell’imputato, che sono il riferimento della valutazione espressa dal giudice sul quantum della pena.Tale mancanza risulta tanto più rilevante se si considera che Tizio è incensurato e che la gravità del reato è minima, tenuto conto della modalità dell’azione (in realtà, del tutto inesistente, come già evidenziato) a cui non è conseguito alcun danno.
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Al riguardo, occorre evidenziare il principio risalente, consolidato e ribadito anche da recentissime sentenze della Suprema Corte secondo il quale nell’ipotesi il giudice si discosta notevolmente dai limiti edittali - se anche non tenuto ad effettuare un esame analitico di tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. - deve, tuttavia, precisare la condanna con una motivazione approfondita che dia conto, al di là dell'affermazione di maniera sulla gravità del fatto e sulla personalità dell'imputato, dell'effettiva gravità dei comportamenti in termini di maggiore concretezza (Cassazione penale sez. V, 26 novembre 1996, n. 511; Cass. pen. sez. sez. III, 03 maggio 2012, n. 46822).FirmeImputatoDifensore
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