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Se avete 50 anni e giù di lì, è arrivato il mo-mento di fare un sacco di cose che finora visiete negate. Iniziare a bere brandy. Compra-re dei guanti estivi (di pizzo, si immagina).Sapete sputare (da professioniste, s’inten-de)? È ora di imparare. Potreste anche deci-dere di cibarvi di pane e sottaceti per una

settimana, e mettervi a far scattare gli allarmi della genteperbene per poi scappare a gambe levate, il che non è cosìfacile, se vi siete anche concesse dei sandali di satin. Ma come prima cosa dovete comprare un cappello rosso eindossare un abito viola, perché è da quel momento precisoche comincerete a sentirvi molto meglio. Lì comincia una vi-ta nuova, assicurano le dame - niente maschi - della RedHat Society, una cosa che in Italia non c’è (a meno di celluleancora clandestine), e c’è in tutto il mondo anglosassone,perfino due gruppi in Cina, ma in Italia la paura del pernac-chio è ancora troppo forte. E il viola porta pure male.Comunque, le signore in rosso-viola sono oltre 70mila, pre-senti in 25 paesi, e si dicono l’organizzazione femminile piùgrande al mondo. Non sono una lobby, non fanno politica,non sono femministe, non sono una setta. Gruppo trasversa-le, dirigenti d’azienda e pensionate, middle class, commes-se, con l’unica religione di uno sfacciato cappello rosso cal-cato in testa. Un’americanata, vien da pensare. In effetti lafaccenda è partita dalla California: nel 1997 Sue Ellen Coo-per, di Fullerton, decide di regalare a un’amica che compie55 anni un audace cappello rosso tipo fedora (quello diHumphrey Bogart, e dei gangster). E una poesia che comin-cia così: «Quando sarò vecchia mi vestirò di viola/con uncappello rosso che non si intona e non mi dona/e spenderòla pensione in brandy e in summer gloves/ e in satinsandals, e poi dirò che non abbiamo soldi per il burro...». Un manifesto. Un programma di vita esaltante, avrannopensato le due, che hanno cominciato a regalarsi cappellirossi e a diffondere il verbo, che comprende varie scorrettez-ze e alcuni micropeccati: cose come rubacchiare gli assagginei negozi, e fregare i fiori nei giardini altrui. Son cose chenon si fanno, soprattutto a una certa età, ma quelle dellaRHS se ne fregano, e qui bisogna proprio puntualizzare chequesta RHS non ha niente a che vedere con la RHS che staper Royal Horticultural Society, la potente organizzazione digiardinaggio-orticoltura inglese al cui vertice siede la reginad’Inghilterra. Una che non disdegna il cappello rosso (conpiume di fagiano, con rose di stoffa, con rose metalliche; atoque, a tesa stretta, a caciotta, e anche a caciotta rivoltata;

di garza, panno, fustagno, più un paio dipesanti corone in diamanti e velluto ros-so/viola). Una dei pochissimi al mondocapaci di portare con grazia il colore delpotere sulla testa (e non fa parte della So-ciety). La RHS di origine californiana inve-ce è democratica: di regine ne ha moltis-sime, a partire dalla Queen Mother SueEllen - quella di Fullerton - che è il verticein quanto fondatrice e verrebbe da dirleanche guru, non fosse che il vero guru èl’autrice della poesia-manifesto: Jenny Jo-seph, una simpatica poetessa ultrasettan-tenne che vive nel Gloucestershire (e non

fa parte della Society). Diventare Queen Motherè facile. Basta pagare 39dollari l’anno, chiamareun po’ di amiche in età,fondare un chapter (unasezione), cominciare a fol-leggiare. Se più giovani, ilcappello è rosa, gli abiti la-vanda. Si organizzanopranzi e feste, si fannomolti tea party, si fanno icori, si viaggia. «Noi acco-gliamo la mezza età converve, humour e slancio»,dichiara Sue Ellen, e in ef-fetti il fotografo Paolo Ver-zone, che un mese fa haincrociato un gruppone didame a Firenze mentre

sciamavano per piazza del Duomo, ne conferma «l’incredi-bile, allegra energia, e la voglia di stare insieme, schietta, di-sinteressata». Fulminato da quella visione rosso/viola cardi-nalizia ma femminile, ha prontamente chiesto un appunta-mento (le ragazze erano tutte olandesi) ed eccolo sul molodi Scheveningen, a misurarsi con «la loro cortesia ottocente-sca. Mai volgari, sempre disponibili». Solo che questa voltaerano 400, un temibile raduno di 400 Ladies vestite in pom-pa magna, talvolta impennacchiate, le giovani in tacchi e tu-bino viola/lilla, alcune in crinolina e parasole, una femminilitàtrionfante, audace, orgogliosa e anche un po’ diavolesca.Sexy ma con garbo, demodée ma con sprint, «e lasciatemidivertire!», diceva Palazzeschi (loro però non sanno chi è).«Da vecchia potrò indossare camicie terribili e mangiare 3libbre di salsiccia in una volta», scrive la poetessa Joseph.Perché nell’attesa di quel giorno, «dobbiamo mettere vestitisobri, pagare l’affitto, non imprecare per strada, dare il buonesempio ai bambini, avere amici a cena, leggere i giornali».Comprensibile quindi, che di colpo, di scatto, venga la vogliatremenda di mettersi un cappello piumato alla Vermeer, uncappuccetto rosso, un berretto frigio da sanculotto, una tesalarga con teiera e tazze, alla moda di Ascot ma vermiglio.Una sfida, «che c’è da guardare, embè?». Un po’ di rivolu-zione nella vita, che diamine. Un cucchiaino di medicina pe-pata contro l’età malmostosa della menopausa. Uno sport,nel senso inglese, quel cappello portato senza paura che inItalia giusto i capistazione. E il papa, certo.

D 96

La RedHat Society

è in tutto il mondo,

perfino in Cina.

Ma inItalia no

22 MAGGIO 2010