BIENNALE D’ARTE CONTEMPORANEA
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A cura di: Tullio Casilli, Vincenzo Denti, Donato NovelliniProgetto gra�co di: Marco Malinverno
Comunedi Bozzolo
Comune di S. Martinodall’ argine
Alessia Zolfo
Anna Donati
Beatrice Madella
Damiano Paroni
Elisa Lebovitz
Ermanno Poletti
Gianluca Ferrari
Gianluca Stumpo
Giorgio Pignotti
Giorgio Tentolini
Ieva Petersone
Magdalena Kwapisz Grabowska
Roberta Busato
Stefano Pezzotti
Vanessa Belotti
Walter Borghetti
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L´occasione di introdurre il catalogo d´arte della seconda Biennale d´arte contemporanea Impri-matvr, mi permette di o�rire qualche spunto di ri�essione a proposito di un tema sempre parti-colarmente sentito dall´Amministrazione Comu-nale, ovvero quello riguardante le politiche culturali; a maggior ragione se, come in questo caso, indirizzate alla valorizzazione dei giovani talenti e delle nuove espressioni artistiche. San Martino dall´Argine, grazie ad Imprimatvr e alle mostre d´arte organizzate dalla Galleria Studio 10, si sta ritagliando un importante ruolo sul territorio, non solo mantovano, proprio nell´o�erta di eventi artistici di grande spessore. Questo status di piccolo epicentro culturale, oltre a renderci decisamente orgogliosi, ci pone nella condizione, sempre auspicata, di poter valorizzare il patrimonio storico e architettonico del nostro territorio, nonchè dei personaggi illustri che lo rappresentarono, riallacciandolo
alla contemporaneità e vivi�candolo attraverso nuove prospettive. La convinzione che la cultu-ra non sia un valore astratto, ancora meno un semplice costo al quale pagare pegno per obbli-ghi d´immagine, ci porta a pensare che l´impegno di chi si è adoperato per la buona riuscita di questa rassegna vada incoraggiato: la cultura è frutto dell´uomo, delle sue capacità, dell´operosità e, in qualche caso, anche della propensione a correre qualche rischio.La grande importanza dell´ospitalità, la capacità di creare occasioni di dialogo fra le varie discipli-ne estetiche, la vivacità ed il dinamismo dei giovani artisti presenti in mostra, sono tutti presupposti per ritenere virtuosa la strada intra-presa. Possiamo dunque ritenere Imprimatvr una scommessa vinta.
Il SindacoIng. Alessandro Bozzoli
Imprimatvr 2012, una scommessa vinta
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La cultura del fare e l’arte di saperla portare avanti
Tornare dopo il sorprendente esordio del 2010 a scrivere della Biennale d’arte contemporanea Imprimatvr è per me un lieto evento, la conferma di un dialogo sempre vivo con San Martino dall’Argine; più che mai nei confronti di iniziative come questa, nate e portate avanti con impe-gno, determinazione e competenza; l’arte intesa come espressione viva del territorio, non calata dall’alto, in grado di coniugare cultura, creatività e intraprendenza giovanile, rappresenta certa-mente un valore aggiunto alla qualità del nostro vivere comune, un segno importante di speran-za in un periodo di�cile come quello che stiamo vivendo. Imprimatvr rappresenta infatti la conferma che, al di là delle criticità contingenti e dell’ottusità degli apparati burocratici, è possibi-le operare in autonomia grazie alla forza di un progetto originale e vincente, rispettoso della tradizione e al tempo stesso aperto alle sugge-stioni di un futuro ancora tutto da scrivere.
Encomiabile perciò l’intento della rassegna di aprire spazi così importanti, come quelli della chiesa Castello, alle sensibilità artistiche giova-nili. Spesso purtroppo la cultura diventa facile stereotipo, vuota parola priva di connessioni con le reali istanze del territorio; nei casi peggio-ri anche sterile contenitore per astruse velleità inserite in logiche di potere. Ma proprio perché la libertà di espressione artistica, coniugata alle necessarie caratteristiche qualitative, possa continuare a trovare una consona visibilità, è fondamentale che l’idea riesca a prendere forma, è d’obbligo che si concretizzi diventando punto di riferimento autorevole e riconoscibile. La biennale d’arte contemporanea Imprimatvr, senza perdere alcunché della sua originaria freschezza è riuscita proprio in questo, nel di�-cile compito di saper coniugare la spontaneità dell’ispirazione iniziale con il rigore e la serietà di un evento prestigioso.
On. Giovanni Fava
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Il rapporto tra l’opera e lo spazio espositivo non si risolve con un' equazione, è l’intimo rapporto tra contenitore e contenuto che immancabil-mente contamina entrambe, ampli�cando la forza comunicativa dell’opera ed esaltando lo spazio che l’opera contiene. Spesso lo spazio espositivo è un non luogo, asettico e vuoto, lo spazio d' imprimatvr è ipertro�a massimalista barocca, spazio impossibile per isolare l’opera degli artisti che dovranno rapportarsi con un contenitore di�cilmente gestibile soverchiante e irriverente nei confronti della contemporaneità dall’alto della storia che lo anima. Dunque che fare, s�dare il passato carico di sacralità della chiesa Castello o cercare una intima complicità con essa? I protagonisti di Imprimatvr sono nell’età dell’oro, alcuni a�rontano con l’impertinenza della giovinezza il mestiere dell’artista, altri con la leggerezza del dilettante ci deliziano delle loro intuizioni, altri ancora
fanno delle contraddizioni della loro età la forza stessa delle loro operare, altri ancora, ri�utando i codici stilistici tradizionali, li sovvertono crean-done di nuovi, che verranno ben presto rinne-gati forse da loro stessi; eppure in tutto questo caos una ricerca è individuabile, chiunque operi nella comunicazione artistica contemporanea racconta la sua verità. Dunque, quale posto migliore di questo, dove tutti raccontano la loro storia stringendo in pugno la verità di cui sono portatori… potremmo godere anche noi della luce folle che brilla nei loro occhi?
Vincenzo Denti
CHI E’ SA
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Concept-Us.
Imprimatvr è una Biennale d’arte contemporanea creata nel 2010 con il preciso intento di promuovere l’arte giovanile in tutte le sue forme. Imprimatvr è un concorso artistico che vede la partecipazione di sedici artisti selezionati attraverso tre criteri di monitoraggio: le accademie d’arte, le espressioni creati-ve del territorio e la ricerca di nuovi talenti nel panorama europeo. I due premi in palio sono dedicati rispettivamente alla memoria di Don Ferrante Aporti, istitutore degli asili d’infanzia in Italia, e al pittore Aldo Marini, nato a San Martino dall’Argine e sul quale è in corso un’operazione di riscoperta e valoriz-zazione del percorso artistico novecentesco. Imprimatvr è una struttura organizzativa dinamica, un concetto, un marchio originale, uno spazio aperto all’Arte svincolato dai corporativismi di settore. Per tutti questi motivi la �loso�a che ha ispirato e ispira tuttora il Premio non è quella che presiede altre meritevoli iniziative similari; perché anche se dopo tre anni di attività non è più una novità, Imprimatvr porta comunque in sé il Nuovo e lo propone come concetto fondante di arricchimento culturale.
Gli organizzatori: Vincenzo Denti, Donato Novellini, Cedrik Pasetti, Alessio Renoldi
Artista di natura, inizia a dipingere dall’ età di 10 anni. Dopo il conseguimento della maturità scienti�ca e la frequenza al corso di laurea in Lettere all’ Università di Roma, si diploma in “Pittura e tecniche dell’ incisione” all’ Accademia di Belle Arti di Frosinone. Il suo percorso artistico la porta ad essere uno dei più ra�nati interpreti , dal messaggio immediato, capace di imporsi sul tema del divario tra astratto e �gurativo. La sua produzione la conduce, nel segno universale dell’ arte, ad esprimersi con opere comprensibili dal grande pubblico. Eccezional-mente garbata e spontanea , si propone con tecniche d’ esecuzione che traggono origine da materiali poveri che lei trasforma in autentici capolavori di estremo equilibrio formo-cromatico. Costruisce soggetti ,dall’ impronta signorile , ispirandosi ad eventi della vita comune e a spunti letterari collocati nella memoria di tempi lontani. I suoi polittici , come le singole composizioni , hanno tutte le carte in regola per essere ospitati in collezioni di nicchia.
Tullio Casilli
La ricerca di Anna Donati passa attraverso la pittura e l'incisione e ha una forte connotazione introspettiva, è necessità di trovare la forma appropriata per esprimere signi�cati personali, attraverso un'indagine sulla �gura umana e sui luoghi, �sici e psichici, in cui essa si muove. Attraverso l'utilizzo di punti di vista e prospettive marginali vengono alterati gli schemi men-tali e visivi della relazione tra spazio osservato e spazio dell'osservatore procurando una sorta di straniamento, che rallenta od altera il processo percettivo, infrange le barriere convenzio-nali tra rappresentazione astratta e realista rivelandone i potenziali.
Antonio Santelli
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Anna Donati
Dipende dal punto di vista n°11-12-13-1440 x 60 stampa digitale su carta fotogra�ca 2011
Il lavoro di Beatrice, consistente in autoritratti in 15 secondi, parte dall’indagine sul “Vedere”. Lo de�nisce consueto quanto “l’Esistere”, fattore imprescindibile della percezione, entità plasmante il reale nonché attestazione di esistenza. Il “Vedere” è nella forza descrittiva della Luce e del suo contrario: l’Oscurità. Nel loro mutuo, continuo interagire si manifesta il mondo; la prima rivela un tutto contenuto nella seconda; le possibilità di immagini sono illimitate. La Fotogra�a, �glia di questo con�itto incruento, ne interpreta la tensione restituendoci realtà di ogni tipo; intimo complice il Tempo. L’Autrice aggiunge: “Il buio rappresenta, per una mente al lavoro, una situazione di brodo primordiale, un amalgama di realtà solamente potenziali dal quale ogni individuo può trarre in�nite creazioni. In fotogra�a il buio è un bacino di potenziali immagini latenti” dentro il quale ognuno può attingere liberando nuove visioni. Parte, dunque, da un approccio conoscitivo e meticoloso sull’ambiguità del reale e arriva a motivar-ne una forma di esistenza con il solo gesto creativo, seppur spinto alla sperimentazione estre-ma. Tale azione è tra le più di�coltose anche in termini operativi: la ricerca su un’ipotetica reinterpretazione del proprio corpo con pose di 15 secondi in “Light painting”. Si tratta di una forma di “autoritratto in autoscatto” plasmato nell’oscurità dalla luce emanata dal gesto stesso della protagonista in lunga posa. È una sorta di intima performance scandita nel tempo di un’esposizione, nel gesto di dipingere con la luce, nel calcolo di un improbabile, immediato risultato: una visionaria, multiforme presenza emersa dall'oscurità. L’ Autrice si appropria del tempo per forgiare essa stessa con la luce una nuova, autentica immagine di Sé.
Leonardo Degl’ Innocenti
L’attenzione principale nella mia ricerca è rivolta all’interazione dell’opera con il luogo in cui viene esposta. Ogni lavoro viene inteso come una risposta, estetica e concettuale, allo spazio che lo accoglie. In questa occasione si parte da una delle tombe presenti nel pavimento della chiesa per estetizzarla, assumendola a parte integrale dell’installazione. Nello speci�co viene creata l’ombra del personaggio a cui la tomba è dedicata, descrivendolo in piedi, esattamente su di essa. Il soggetto non è visibile ma la sua ombra è tangibile, stagliandosi sul pavimento e poi sulla parete dell’altare ci mostra cosa egli stia facendo in quel momento. Il personaggio sta indicando una cosa: un quadro, nero, posto sopra l’altare. Come l’ombra che lo indica, è anch’esso privo di un’immagine ma comunque concretamente presente. Questa tensione tra i due elementi attraversa stilisticamente e concettualmente lo spazio. Il minimalismo nichili-sta dell’installazione si confronta con le architetture barocche dell’altare, mentre il bagaglio storico del luogo si misura con la �ssità atemporale dell’evento di cui lo spettatore è partecipe e testimone. Come nei passati eventi espositivi, anche questo intervento rimarrà un episodio unico che non verrà mai più ripetuto in occasioni future. I prossimi luoghi avranno infatti diverse dinamiche spaziali e culturali che imporranno quindi altrettante risposte da parte dell’artista. La seconda opera è una interpretazione della via crucis. Le 14 fasi del cammino sono riprese anche se la l'iconogra�a è completamente azzerata in virtù di una pura indagine spaziale. La scansione ad intervalli regolari delle tele viene rotta sulla parte destra per ricreare una tensione e lasciare aperto il gioco interpretativo dello spettatore. Vivendo di questa rottu-ra l'opera può essere collocata in qualsiasi punto all'interno dello spazio. Damiano Paroni
Verrebbe voglia di entrare nel quadro, tentazione fanciullesca di infrangerne la magia, illusio-ne ed incantesimo, se non fosse per il timore di non sapere poi come uscirne. Nelle opere di Elisa Lebovitz, l’esotismo turistico o l’a�abulazione del fantastico come via di fuga dalla realtà, sono solo apparenti interpretazioni, risposte parziali per accidentali visioni. Certo l’amore per il Giappone, così evidente nella sintesi estetica, appare in tutta la sua forza attraverso una serie di richiami stilistici ben calibrati. La frenesia moderna del contesto metropolitano contrappo-sta alla delicatezza di certe suggestioni panteistiche, eredità dell’ancestrale in�uenza shintoi-sta; il concetto di maschera, così paradossalmente tras�gurato dall’elitarismo del teatro Nò alla popolarità dell’imaginario Manga; Hiroshima mon amour vs Daitan 3, e le contraddizioni potrebbero susseguirsi all’in�nito Frammenti sparsi di una sapienza lontana, di una disciplina interiore ma anche di una contemporaneità senza più luoghi d’origine, trapasso violento dalla tradizione dei �ori di ciliegio alla post modernità dei treni volanti. Elisa Lebovitz sceglie, attra-verso la perfezione dell’esecuzione tecnica, di oltrepassare senza indugio una didascalica presa d’atto delle contraddizioni citate; è infatti con grazia che l’elemento alieno prende posto nel rassicurante teatro realista. L’espressione visionaria e straniante del vivido colore fumettistico, da un lato, sensoriale, estremizza lo stacco logico pur senza rendere anemico sfondo il resto dell’opera; dall’altro, introspettivo, ricompone il dualismo secondo una nuova poetica, idioma sconosciuto compreso dagli occhi, decodi�cato nell’anima, quale riassunto enigmatico di quotidiane vite parallele. Come se, tra i rumori di quel tra�co lontano, si ricono-scesse distinto, quello del silenzio.
Donato Novellini
Ermanno Poletti dopo il diploma all’Istituto Statale d’Arte di Guidizzolo si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera dove si diploma in scultura e consegue le abilitazioni di discipline plasti-che e di disegno e storia dell’arte. Dal 2004 diventa assistente del Prof. Bruno Gandola prima all’Accademia di Belle Arti di Brera titolare del corso di tecniche murarie e dei materiali e poi all’Università degli Studi di Milano al corso di restauro dei beni culturali. Attualmente vive e lavora in provincia di Mantova dove insegna discipline plastiche al Liceo Artisitico Giulio Romano. La partecipazione ad un premio è per un artista esporsi alla visibilità di tutti. Cioè che è creazione emerge alla visibilità, e quando si pensa ad un opera artistica si pensa ad una creazione di forma, di colore dettato da un animo sensibile al proprio vivere e quindi all’ambiente nel suo totale insieme. Ermanno Poletti presenta opere ricche di forza, di un’energia vitale che è come quella della natura giovane, che infonde speranza e che guarda con felicità al futuro. Sono opere nuove, uniche, nelle quali si legge una conoscenza antica. Sono steli che somigliano a �ancate di portali di chiese benedettine, nei quali gli alberi, come quelli della vite e della conoscenza salgono parallelamente alle forme del mondo tecnologico industriale. A tratti sembra che le sfere siano la trasformazione della stessa natura in elementi di bronzo, come germinazioni giganti immobili. Vi è nell’opera un ritmo musicale, come di tasti di saxofono che danno l’impressione che ancora vi sia un suono, delle foglie del vento, che esce tra una fessura e l’altra della grande stele. Vi è l’a�ermarsi di una natura che sta supe-rando il freddo inverno e combatte tra cementi, ingranaggi, e segmenti che vogliono ingloba-re e fossilizzare la vita. Vi è tutto il signi�cato dell’anima di un giovane che si sente so�ocato entro realtà tecnologiche a volte troppo invasive e che velocemente vogliono assorbire anche i valori di cui l’uomo ha più bisogno, come uomo/albero, per vivere.
Floriana Spalla
L’installazione di Gianluca Ferrari, appositamente studiata come intervento d’interazione con l’ambiente Museale, è parte di un progetto più articolato adattato ad un contesto site-speci�c. L’idea dell’artista, osservando la disposizione simmetrica delle lapidi presenti sulla pavi-mentazione della Chiesa, si sviluppa su due livelli di creazione. Inizialmente si percepisce un atto di ‘copertura’, il gesto di occultamento delle lastre di marmo attraverso il posizionamento di pan-nelli perfettamente combacianti; in seconda fase si potrà notare come le strutture così disposte, grazie ad un’iconogra�a minimalista, restituiscano, attraverso la stampa fotogra�ca, una serie di sottintesi, sintetizzati attraverso parole chiave a supporto e declinati ad una particolare forma di dialogo fra sovrastante e sottostante; ‘il doppio’ di un sigillo marmoreo teoricamente inteso come de�nitivo, segni nello spazio che si fanno re-interpretazione della componente architetto-nica meno appariscente, attraverso nuovi parametri di riconoscibilità, proposta di una visuale inedita e rigorosa. Tutto ciò mentre in super�cie l’enigmatico interfacciarsi di pro�li umani presiede, su sfondo monocromatico, uno speculare dialogo orizzontale, diretto e comunicativo. ‘Face to face’ sviluppa una perpendicolarità dell’azione creativa, incrociando due diversi livelli di reciprocità, direzioni opposte colte nell’atto puntuale d’intersecarsi.
Guglielmo de Vecchi
Dopo la maturità artistica si laurea in Pittura all’ Accademia Clementina di Bologna sotto la guida di Davide Benati. Artista iperrealista esprime, con determinata convinzione, i contrasti del vivere quotidiano. La sua calda e armonica gamma cromatica interpreta alla perfezionel’ esaltazione di singolari scene di vita metropolitana. Artista chiuso ai progressismi conven-zionali , rappresenta uno dei pochi baluardi capaci di opporsi a chi fa della pittura inesistente uno scudo per nascondere i propri limiti. In�uenzato dagli interni di Edgar Degas esprime con esaltante signorilità l’equilibrio degli spazi nei quali si muovono miseria e benessere della vita di ogni giorno. La presentazione del barbone “ Rich” , in contemplazione di un’ opulenta vetrina , così come l’elegante stanza so�usa di calda luce con la signora “realizzata” e a�accia-ta a una �nestra spalancata , testimoniano che la vita, nella sua complessità, non è che una realtà in cerca di soddisfazioni e desideri da realizzare.
Tullio Casilli
Artista spiccatamente �gurativo , dal garbo risoluto e severo, è capace di esprimere tramite una gra�ca di taglio duro e gra�ante la so�erenza interiore dei soggetti più complessi della Società. Acuto interprete della satira, con punte di inconsueto rigore, è in grado di estrapolare con estrema trasparenza ed assoluto rispetto, il sentimento che si cela all’interno degli indivi-dui che rappresenta. A sostegno della voluta in�essibilità dialettica , evita ogni forma di sfarzo cromatico per rendere al meglio il travaglio interiore dei suoi soggetti trasformandoli in anoni-mi eroi di un’ epoca attuale e priva di riferimenti. Inizia la sua attività espositiva partecipando alla Rassegna internazionale “Salvi” di Sassoferrato (An) nel 2003. Partecipa con successo a numerose quotate collettive tra le quali l’ ultima Biennale di Venezia . Ordina la sua ultima personale “Visioni illecite” a san Benedetto del Tronto nel 2010.
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Tullio Casilli
Unknown sono fogli di carta ritagliati e sovrapposti, a voler ridurre l’evento al suo primo livello di contenuti, lo spunto �gurativo di partenza è “l’uomo che cammina”, o meglio la sua labile traccia disincarnata in una percezione distante, emotivamente neutra e quasi distratta. Ma è proprio in quel punto, dove l’immagine sta per scomparire, azzerata nel grigiore di fondo di una memoria ormai satura o travolta dal �usso vorticoso di in�nite sollecitazioni visive, che Tentolini compie il suo salvataggio in extremis, riconferendo quasi artigianalmente stabilità a quell’ombra, secondo un percorso inverso che conduce alla sua interiorizzazione, cioè a ritro-varla sedimentata in un riposto angolo della memoria. Si tratta dello sviluppo di una ricerca che Tentolini persegue coerentemente ormai da diversi anni attraverso installazioni, proiezio-ni luminose, complesse stratigra�e di volti e di corpi realizzate su freddi supporti trasparenti o impresse su più caldi materiali tradizionali come il legno e la carta. Al di là dei di�erenti livelli di lettura cui si prestano i suoi lavori, un primo sicuro e�etto sullo spettatore è quello di un singolare ampliamento della percezione oltre i con�ni del visibile e del sensibile, dove l’ultima traccia del corpo si rivela la soglia di una misteriosa cartogra�a dell’anima.
Walter Rosa
Artista originale e dalle idee decisamente chiare propone ambienti inanimati dove a parlare non è la presenza del genere umano ma la sua assenza. Gli oggetti del vivere quotidiano occu-pano uno spazio regolato dalle rigide leggi della prospettiva e da una sequenza di colore, tra l’ aggressivo e lo sfumato, capace di equilibrare l’ evidente assenza della vita animata. Straor-dinariamente abile nel calamitare l’ attenzione sulle linee essenziali delle sue opere, propone pirotecnici giochi di colore in grado di trasmettere calore e �ducia anche in ambienti asettici. Si laurea all’ Accademia di Belle Arti di Riga e perfeziona la sua formazione artistica a seguito di una borsa di studio presso l’ Università di Oporto all’interno della facoltà di Belle Arti della città portoghese. Partecipa, nel 2008, al progetto “Il più grande coro del mondo” ordinato nella sede dell’ Unesco a Parigi mentre ha tenuto la sua ultima personale alla galleria 1. Stavs di Riga. Vive e lavora tra Riga e Milano.
Tullio Casilli
Si laurea in Pittura nel 1999 all’ Accademia "Jan Matejko" di Cracovia , il più prestigioso polo artistico della Polonia. Partecipa a numerose rassegne in Polonia, Germania, USA ed Inghil-terra e vince , nel 2010, il Chelsea International Fine Art Competition di New York. Artista estremamente elegante, si dissocia ben presto dai rigidi schemi �gurativi pur dimostrandone le reali capacità interpretative e coglie, da subito, la necessità di confrontarsi con i grandi gra�ci del ‘900. Capace di esprimersi con singolare maestria , in termini apparentemente spogli, presenta soggetti semplici ma in grado di comunicare con straordinaria immediatez-za. Magdalena Kwapisz interpreta, nel migliore dei modi, il grigiore che prelude lo scoppio di un temporale anticipandone, con qualche sapiente tocco cromatico , i bagliori dei lampi e il fragore dei tuoni. In questa chiave neo �gurativa esprime le sue grandi doti gra�che le quali , alla luce della sua essenzialità , temono ben pochi rivali tra gli artisti contemporanei. Vive e lavora a Berlino; espone per la prima volta in Italia .
Tullio Casilli
La ricerca artistica di Roberta Busato si muove con grande e�cacia verso una particolare forma di analisi dell’elemento umano. Attraverso un paziente lavoro di destrutturazione, ricomposizione e rielaborazione, dettagli e particolari �sici ben precisi vengono riproposti, attraverso due tecniche diverse, in una nuova forma, esteticamente decontestualizzata quanto radicalmente traslata, nella sua essenza, in un altrove introspettivo, in un labirinto simulato carico di richiami e spunti di ri�essione. La sensazione di staticità si corrompe attra-verso un gioco di percezioni incerte, un tremore intuito s’insinua alla lettura, ma qualcosa sfugge. L’azione analitica e l’atto di osservare sono le premesse ad una particolare forma di tras�gurazione, colloquio fra la natura intima ed univoca dell’essere umano e la sua tracciabi-lità esteriore. Come in una sorta di rappresentazione evocativa si viene a creare un’apparente contrapposizione speculare: interiorità ed esteriorità, comunicazione sussurrata fra segni di riconoscimento sfasati, gioco di matrici alterate per una nuova topologia umana; per l’incontro, sottilmente inquietante, fra l’elemento riconoscibile ed il suo doppio mai manife-stato, fermo immagine di un passaggio verso l’ignoto, oppure frammento alieno, specchio dove è ri�esso un altro.
Donato Novellini
La sensazione che si prova di fronte ad un’opera di Stefano è di profondo smarrimento perché i codici stilistici ci raccontano di un’arte che ben poco ha di galleria d’arte, sembra di guardar fuori dalla �nestra che incornicia solo in parte il muro di una periferia metropolitana. Questo perché non solo la tecnica utilizzata ma anche la tipologia della comunicazione non sembra coinvolgere astrusi concettualismi tipici di molta arte contemporanea, vengono dal basso dalla meno nobile ma forse più lucida e odierna forma di narrazione iconica, la street art.Le ninfee care agli studiosi d’arte diventano un misto di photoshop e stencil, un icona contem-poranea viene ulteriormente consacrata dalla bomboletta di un imbrattatore di muri. Certo sono provocazioni irriverenti che denotano però un lucido e sottile utilizzo delle immagini che decontestualizzate o meglio ricontestualizzate, si accrescono di una forza inaspettata.
Antonio Santelli
“Michele è in crisi” e “Marmotte” sono due gruppi scultorei che nascono da una ri�essione sulla contemporaneità, con un linguaggio che mescola ironia e tragedia. Sono, infatti, rappre-sentati personaggi storici della tradizione Disney, i quali hanno fatto da accompagnamento rassicurante alla mia infanzia che qui sono rapportati con il mondo reale, le di�coltà della crisi economica che colpisce anche la grande star (topolino) e l'alienazione giovanile fatta di vide-ogiochi ed obesità. Oltre al rapporto con la realtà che ormai li distacca totalmente dall'imma-ginario rassicurante che avevano in origine c'è anche il rapporto con i nuovi stereotipi e modelli nati dalla tradizione animata statunitense, infatti, si può notare come alcuni dettagli (come la tv o la birra e la ciambella) siano presi dalla serie i Simpson. Il rapporto fra i modelli animati che interagiscono negli ambienti opposti vuole sottolineare come i modelli le abitu-dini ed i contenuti siano radicalmente diversi quindi cambiati(Disney-Simpson). Queste ri�es-sioni non vogliono essere una critica del resto, le cose cambiano, si evolvono e nessuno sa se in meglio o in peggio, è semplicemente una rappresentazione della realtà, di com’eravamo, di come siamo senza la pretesa di sapere come saremo.
Stefano Franzotti
Per fare un albero ci vuole un tavolo. Le opere fotogra�che di Walter Borghetti si palesano paradossalmente così, come sorrette da una logica bizzarra, e davanti alla colossale impostura della rappresentazione s�dano l’oggettività con una mossa imprevista, e pur tuttavia ben decodi�cabile nello stile. Ma è una trappola cedere subito tutta l’attenzione all’estetica perché le immagini, scene ricoperte di bianco e nero – o più raramente di colori - potenzialmente reali, sature di vissuto interiore, non cercano minimamente di trastullare l’occhio, non simula-no semplicemente allegorie astratte, nemmeno suggeriscono pesantezze didattiche o facili moralismi. Forse accadute prima dell’atto e sognate prima del sonno, le risposte tardano a giungere, mentre permane la curiosità. Tutto è sotto controllo. Nel vecchio tinello, tv ca�ettie-ra e pattumiera, come nella quiete della campagna; tutto è oltremodo fuori controllo.Nelle sordide allegorie che conosciamo bene, perché provenienti da un patrimonio mnemo-nico collettivo e condiviso, nella concreta maestosità di edi�ci fatiscenti, nei gesti minuti di una normalità inesistente: pubblicitaria per editto di massi�cazione, neo-realista per logica conseguenza. Richiami pasoliniani nelle grottesche posture di maschere qualunque, periferie scon�nate ovunque e somatizzate in una serie di automatismi, lager moderni di modelli falla-ci; poi, tra pertugi e spioncini, la recita immobile, come paralisi senza morale di una cerimonia in cartongesso, e da un ri�esso perduto nell’angolo sbagliato tutta l’obiettività del caso; poi certo, sempre grande a�anno nel seguire ritmi e dettami alienanti della contemporaneità ma, nel preciso istante in cui ci si rende conto che il moderno è divenuto il nuovo vecchio, qualcu-no scatta una foto.
Donato Novellini
Imprimatvr ringrazia: Gianni Fava, Gianfranco Ferlisi, Claudio Cerritelli, Alessandro Zambelli, Guglielmo Tonini, Fabio Marini, Francesco Denti, Deborah Aguggeri, Giovanni Cattabiani, Ferruccio Pecchioni, Giulia Santi, Afro Somenzari, Anna Compagnoni, Cinzia Pedrazzoli, Laura Negri, Alessia Cattafesta, Riccardo Ronda, Mauro Gandol�, Marco Malinverno, Pietro Tonini, Tullio Casilli.
E’ stato bello imparare che, con l’arte, è sempre una questione riguardante la capacità di riuscire a stimolare legami comunicativi, emozionali, intellettivi. Apprendere, attraverso la sensibilità senso-riale unita all’analisi più oggettiva dei riferimenti culturali, a tradurre l’espressione estetica, la creati-vità divenuta forma tangibile, la tecnica applicata senza i doveri di uno scopo utilitarista, segreta logica dalle innumerevoli combinazioni – tra le quali pure l’illogicità – manifestazione realizzata dell’idea. Come a voler spiegare la di�erenza che passa fra artista e artigiano, sottile con�ne de�nito da qualcosa di di�cilmente inquadrabile: genialità? Indole? Attitudine? Forse non è cosa da precisa-re ma da riconoscere al volo. Soddisfazioni, a volte inquietanti, e stupore; infatti non tutti i quadri stanno bene dietro il divano, in salotto. E non tutti, sbagliando, sono disposti a demolire il salotto per far posto al quadro, opera che starà bene di per sé, spesso indisponibile a far d’arredo. Poi, cosa può unire artisti di varia formazione, linguaggi apparentemente inconciliabili calati in luogo sacro? Gioventù senza paura rinchiusa in chiesa, nell’eco so�usa di richiami meta�sici, fra statue, stucchi ed a�reschi tutto il fascino dell’eterodossia. Sarebbe così super�ciale limitarsi alla semplice presa visio-ne, chiedere conto di un �lo conduttore o chiudere il discorso a�ermando “niente”. Niente è già molto, ma non abbastanza per dire tutto. Impossibile sintesi infatti, la libertà d’espressione lasciata agli artisti non consente di riassumere, inquadrare o generalizzare, perciò occorre andare fuori tema rimandando alle singole critiche per un approfondimento speci�co. Ne usciamo così: Imprimout, cambiamo i �ori, resta pur sempre un bel giardino, curato con amore da tutti per la seconda volta.
Donato Novellini
Imprimout
5 Gli artisti
6 Imprimatvr 2012, una scommessa vinta Alessandro Bozzoli
7 La cultura del fare e l’arte di saperla portare avanti Giovanni Fava
8 Chi è sà Vincenzo Denti
9 Concept-Us
INDICE
Vincenzo Denti, Donato Novellini, Cedrik Pasetti, Alessio Renoldi
11 LE OPERE
12 Alessia Zolfo
16 Anna Donati
20 Beatrice Madella
24 Damiano Paroni
28 Elisa Lebovitz
32 Ermanno Poletti
36 Gianluca Ferrari
40 Gianluca Stumpo
76 Ringraziamenti
77 Imprimout Donato Novellini
44 Giorgio Pignotti
48 Giorgio Tentolini
52 Ieva Petersone
56 Magdalena Kwapisz Grabowska
60 Roberta Busato
64 Stefano Pezzotti
68 Vanessa Belotti
72 Walter Borghetti