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A U L A M A G N A

3

IL PELLET:NOTIZIE ED INFORMAZIONI SULLA

PRODUZIONE E L'IMPIEGO

di Bernardo Hellrigl

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IL PELLET: NOTIZIE E INFORMAZIONI

SULLA PRODUZIONE E L’IMPIEGO

di Bernardo Hellrigl

Già Professore ordinario di Assestamento forestale, presso l’Università degli Studi di Padova

E-mail: [email protected]

Compagnia delle Foreste – Arezzo (I)

A U L A M A G N A 3

S u p p l e m e n t o s c i e n t i f i c o d e g l i a p p r o f o n d i m e n t i d i

S h e r w o o d – F o r e s t e e d A l b e r i O g g i

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Indice Oggetto e limiti 1 Le materie prime per la fabbricazione del pellet di legno 2 Le caratteristiche merceologiche e fisiche del pellet 4 Il potere calorifico del pellet 7 La fabbricazione del pellet 13 Le normative di prodotto del pellet 16 Produzione e consumo di pellet in alcuni Paesi 21 Il costo del pellet e del riscaldamento a pellet 30 Il consumo di energia nella produzione del pellet 37 Le emissioni di carbonio nella produzione del pellet 43 Le emissioni di carbonio nell’impiego del pellet e le concomitanti evitate emissioni di carbonio antico 49 Le emissioni inquinanti nella combustione del pellet 55 Acronimi impiegati nel testo 69 Bibliografia 70 Riassunto 74 Summary 75 Zusammenfassung 76

Compagnia delle Foreste, via Pietro Aretino 8, 52100 Arezzo (I), tel. +39.0575.370846, e-mail [email protected] , sito internet www.compagniadelleforeste.it

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

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OGGETTO E LIMITI

Da alcuni anni il pellet combustibile,

piccoli cilindretti costituiti da minuscoli

frammenti di legno pressati e bachelitizzati

in superficie, declamato dai produttori di

stufe e termocamini quale “combustibile

del futuro”, comodo, efficace, ecologico e

pulito, è conosciuto anche in Italia dove,

grazie anche a notevoli campagne

pubblicitarie sulle TV locali, sta trovando

un crescente numero di affezionati

apprezzatori.

Il grande interesse che sta suscitando il

pellet – consumo nazionale stimato

attorno alle 150-170 mila tonnellate annue

(Panvini, 2002; Paniz 2003) – risiede nel

fatto che esso permette un elevato grado

di automazione degli apparecchi e/o

impianti, che ne avvicina le modalità di

impiego a quelli alimentati da olio

combustibile, kerosene, GPL e – per il

solo esercizio – persino a quelli a gas

naturale. Questa importante proprietà del

pellet è dovuta alla particolare forma,

dimensione e omogeneità dei suoi

minuscoli elementi, che – similmente a

granaglie – possono venire convogliati al

forno di combustione per mezzo di

semplici congegni meccanici

(specialmente coclee), con tutti i

conseguenti vantaggi in fatto di

regolazione automatica, dosatura e

alimentazione continua.

Non è perciò più necessario essere in

casa per fare “partire” (o regolare)

l’impianto di riscaldamento o anche una

stufa, nel qual caso la ricarica del

combustibile (venduto anche al dettaglio in

sacchi di 15 chili) è possibile pure ad

apparato acceso, ma deve avvenire ad

intervalli piuttosto brevi, variabili da 2 a 3-6

giorni a seconda del modello, della

funzione della stufa (riscaldamento

principale o accessorio), dell’ampiezza e

della dispersione termica dell’ambiente da

riscaldare, nonché della temperatura

esterna. Per le caldaie “con serbatoio”

l’autonomia è di regola maggiore.

Per installazioni ”con deposito” adibite al

riscaldamento centralizzato di villette o di

condomini, il rifornimento del pellet può

invece avvenire in grandi quantità per

mezzo di apposite autobotti che lo

scaricano in un locale di deposito (anche

extramoenia) in comunicazione con la

caldaia, con modalità funzionalmente

analoghe a quelle del riempimento di una

cisterna di olio combustibile. In questo

caso un solo rifornimento è sufficiente per

un’intera stagione di riscaldamento, ma

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per siffatte utenze il pellet subisce la

concorrenza del cippato di legno nei

confronti del quale è più caro ma per

alcuni versi (rarissimo bloccaggio del

sistema di alimentazione, assicurata

assenza di problemi di fermentazione e

richiesta di minore spazio di deposito) più

affidabile e comodo.

Meno diffusa, ma praticata anche da alcuni

produttori o distributori italiani, è la fornitura

in big-bag, che sono grandi sacchi di

materiale resistente, spesso di forma

parallelepipeda, che contengono quantità di

pellet variabili tra 500 e 1.500 kg.

Fatta questa introduzione, che mette in

risalto la comodità del riscaldamento a

pellet, si può passare alla descrizione di

questo (relativamente) nuovo tipo di

combustibile alternativo, della sua origine

e dei risvolti ambientali della sua

produzione, facendo però in questa sede

riferimento solo al pellet di legno1. Perciò

nel prosieguo, quando si dirà solamente

pellet, si intenderà sempre pellet di legno.

1 Da altri Paesi è nota l’esistenza di pellet combustibili fabbricati con materiali molto diversi (dalla paglia alle cortecce, dalla carta da macero al Miscanthus), ma, a quanto si sa, tali prodotti non vengono attualmente commercializzati in Italia, benché qualche impiantista ne abbia sperimentato la produzione per testare la versatilità delle sue pellettizzatrici. Inoltre, vista la diffusione, in alcuni Paesi, di briquette di lignite, non è da escludere che pellet per uso combustibile vengano fabbricati anche con tale materiale o con torba.

LE MATERIE PRIME PER LA FABBRICAZIONE DEL PELLET DI LEGNO Stando alle attuali normative (ove

esistono)2 il pellet di legno deve essere

fabbricato con legno vergine

(naturbelassen, in natural state, untreated) privo o quasi di corteccia, cioè con legno

non contaminato da altri materiali

(plastiche, colle, vernici, preservanti, ecc.)

come avviene invece nei pannelli

truciolari, nei compensati, nelle traversine

ferroviarie e in quasi tutti i tipi di “legno di

risulta” (Altholz) derivanti da demolizioni o

dalla dismissione di oggetti o manufatti di

legno (mobili, attrezzi, paleria, pallets,

cassettame, ecc.). Il materiale di partenza

per il pellet di legno “a norma” è oggi

generalmente costituito da trucioli di

piallatura (molto ricercati dai produttori a

causa della loro omogenea e bassa

umidità) e da segatura. Vengono però

impiegati pure altri cascami di segheria

(sempre vergini e senza corteccia), come

sciaveri, refili e troncature, oppure anche

scarti di alcune particolari industrie di

seconda lavorazione del legno che

impiegano solo materiale legnoso vergine,

come lo sono, ad esempio, il tavolame o i

semilavorati prodotti dalle segherie.

Laddove esistono specifiche severe

normative di prodotto per il pellet di legno,

per la sua fabbricazione non sono invece

consentiti gli scarti di mobilifici e

2 Se non altrimenti detto, si fa qui riferimento alla vigente normativa austriaca (ÖNORM M 7135).

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falegnamerie generiche che impiegano

anche pannelli di vario tipo3.

Questi “buoni” materiali di partenza

vengono prodotti in grande quantità (2-2,5

milioni di tonnellate all’anno di residui

legnosi vergini in Italia secondo le stime di

Federlegno-arredo [Cerullo e Pellegrini,

2002] e 2 milioni di metri cubi di segatura

in Austria [Auerbach, 2000], per non

parlare dei Paesi fennoscandici4), che

però non possono venire considerate tutte

fattibilmente disponibili per la

fabbricazione di pellet. Ciò in quanto nelle

varie industrie del legno è molto elevato

(e ancora crescente) l’autoconsumo degli

scarti per impiego energetico aziendale e

sul mercato di queste “materie prime

seconde” i produttori di pellet debbono

concorrere con i pannellifici e le cartiere.

Comunque, in Italia, all’attualità, i problemi

di approvvigionamento dei pellettifici non

sembrano legati alla disponibilità di

materiale ma piuttosto al suo prezzo e ai

costi di trasporto, in quanto sul mercato di

vendita i nostri produttori debbono

concorrere con il pellet di importazione.

3 In Italia, in mancanza di una normativa e certificazione (nazionale) di prodotto, non si può escludere che vengano fabbricati anche pellet con legno variamente contaminato. Così pure è possibile che vengano venduti pellet combustibili fabbricati in altri Paesi con legno variamente contaminato o con gli altri materiali di cui si è detto nella nota 1. 4 Per la Svezia Elisabeth Du Rietz (2002) segnala una disponibilità di segatura per impieghi esterni alle segherie pari a circa 7-8 milioni di metri steri con una domanda di circa 3,5 Mmst dell’industria del pellet e di circa 2,5 Mmst da parte dei pannellifici.

Sempre ancora a proposito della materia

prima, problemi di normativa a parte,

talvolta sembra poter notare una certa

remora nei riguardi del legno di bosco

(legno dei cedui e residui di lavorazione

boschiva delle fustaie) legata alla

presenza di una discreta quantità di

corteccia (che fa aumentare il contenuto in

ceneri e alcune emissioni di inquinanti5), al

più elevato costo del materiale e della sua

pellettizzazione, nonché all’incostanza del

contenuto idrico del “legno di bosco” e alla

sua qualità spesso multispecifica (in senso

botanico).

La necessità di pensare a rifornirsi di

materia prima direttamente in bosco però

sussiste chiaramente come testimoniano,

ad esempio le parole di Strehler (2000),

che scrive “A cospetto di crescenti livelli

del costo dell’energia, come ad esempio

quelli della Svezia (e potrebbe valere

anche per l’Italia, n.d.r.), può diventare

sensato essiccare e pellettizzare anche

cippato boschivo” e di Mickelsson (2002)

che riferisce di “molte ricerche per valutare

ulteriori materie prime”, fra cui annovera i

felling rests. Alla necessaria futura “ricerca

di nuove fonti di materia prima (scarti

agricoli e forestali e residui della

5 Il problema della corteccia va comunque tenuto ben presente e studiato con attenzione anche oltre a quanto riguarda la sua composizione chimica naturale. Ciò in quanto questo tessuto – mantello del corpo legnose – è sempre esposto all’ambiente esterno e perciò può essere soggetto a deposizioni di sostanze pericolose (metalli pesanti, arsenico, zolfo, composti alogenati, ecc.) veicolate dall’aria, con le precipitazioni o le nebbie.

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lavorazione dell’industria alimentare)”

accenna pure Panvini (2002), il quale però

ritiene necessario “che vengano condotti

test rigorosi sulle materie prime e che sia

disponibile una normativa tecnica di

riferimento” alla cui redazione sta

attivamente lavorando il Comitato

Termotecnico Italiano (C.T.I. 2003). Ai

residui delle attività forestali e agricole fa

cenno pure Mezzalira (2002), che però ne

mette in risalto i maggiori costi di

approvvigionamento e di frantumazione.

Altrettanto vale per le potature e le

sostituzioni della frutticoltura e viticoltura –

messa particolarmente in risalto da Berton

(2002), presidente dell’AIEL

(www.aiel.cia.it) – che, tra l’altro, gli

agricoltori parrebbero spesso disposti a

cedere gratuitamente “in campo”. Prime

prove italiane in merito sono state fatte,

per potature di ulivo, dall’Istituto per la

Meccanizzazione Agraria di Roma,

avvalendosi della tecnica di

pellettizzazione sviluppata dalla EcoTree

System di Firenze.

Recentemente il problema della

produzione di pellet con i residui della

lavorazione boschiva è stato affrontato, in

relazione alle emissioni dannose, da

Olsson e Kjällstrand (2003) che

concludono che il pellet da legno vergine

dovrebbe venire riservato alle utenze

domestiche mentre quello “da bosco”

sarebbe più indicato per i grandi impianti

con purificazione dei fumi e con possibilità

di fare tornare la cenere in foresta.

LE CARATTERISTICHE MERCEOLOGICHE E FISICHE DEL PELLET Gli elementi del pellet sono cilindretti di

minuscoli frammenti di legno (tipo

segatura molto fine o macinato

grossolano di legno) pressati e

bachelitizzati sulla superficie di

estrusione, di diametro generalmente

compreso tra 0,4 e 1 cm e di lunghezza

variabile da 0,5-1 a 4-5 centimetri6.

Omogeneo nell’ambito delle singole partite

(o produzioni), ma diverso fra queste, il

colore del buon pellet varia nell’ambito di

un’allargata accezione del bruno (da

giallognolo-bruno o grigiastro-giallino fino

al marrone carico) e dipende spesso più

dalla specie del legno impiegato che dal

processo di fabbricazione. La colorazione

del singolo cilindretto è generalmente

minimaculata (particelle più chiare fra una

maggioranza di elementi più scuri) per

motivi inerenti alle caratteristiche

cromatiche, grandi e minute, del materiale

impiegato7. Comune a tutti i pellet è poi

6 Nella normativa austriaca (ÖNORM M 7135) è prevista anche una seconda categoria di pellet di legno (HP2) di dimensioni maggiori (diametro 1-4 cm e lunghezza fino a 4 volte il diametro) caratterizzata da una densità un po’ minore ma comunque superiore a 1 g/cm3. Pare principalmente destinata a impianti più grandi di quelli domestici o dei piccoli condomini. 7 Colorazioni molto scure o comunque atipiche possono fare supporre la presenza di elevate

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una leggera lucentezza della superficie

cilindrica, la cui intensità varia a seconda

della tecnologia di produzione.

Fra le caratteristiche fisiche del pellet, quella che maggiormente sorprende il

profano è l’elevato peso specifico dei

singoli cilindretti (1,2 g/cm3 secondo la

Energieagentur NRW e superiore a 1,12

g/cm3 secondo la normativa austriaca)

dovuto principalmente – nonostante il

basso contenuto di umidità residua e

l’inevitabile esistenza di interstizi fra i

singoli frammenti di legno – all’elevata

riduzione, per fortissima compressione,

della porosità del legno (= schiacciamento

e/o interruzione dei lumi cellulari, dei vasi

o delle tracheidi) e alla più elevata densità

dello strato bachelitizzato. Un buon pellet, gettato in un bicchiere di acqua, deve

perciò andare a fondo, e a fondo

rimangono anche la maggior parte dei

frammenti nei quali in acqua può

sbriciolarsi; ciò in quanto, come insegna

Giordano (1955), il peso specifico della

“sostanza legnosa” anidra è uguale a circa

1,5 g/cm3.

Più ridotto, praticamente dimezzato, risulta

invece il “peso sterico”, ovvero il peso del

metro stero “riversato” (msr)8 del prodotto

aliquote di corteccia oppure di materiale scuro di altro tipo, come erba, aghi o foglie. 8 In proposito si annota che per uniformità di espressione anche nei confronti con l’estero, per le misure volumetriche del legno e dei suoi assortimenti si potrebbero impiegare i seguenti

nel suo insieme di elementi e interspazi,

per il quale in letteratura vengono riportati

valori oscillanti tra 600 kg/msr (Strehler,

2000) e 650 kg/msr (Energieagentur

NRW; Jonas e Haneder, 2001), mentre

da alcuni produttori e da Rapp (2002)

vengono indicati valori anche superiori.

Molto basso è poi sempre il contenuto

idrico (water content, Wassergehalt) del

pellet per il quale la normativa austriaca e

svedese prescrivono un limite superiore

del 10%, mentre diversi produttori

scendono anche attorno all’8%9.

Per quanto riguarda il tenore idrico, le

indicazioni riportate in letteratura o

indicate dai produttori però non sempre

sono interpretabili in maniera

scientificamente rigorosa, in quanto

spesso non è chiaro se si tratta di grado di

acronimi: mccc = metro cubo solido con corteccia; mcsc = metro cubo solido senza corteccia; msa = metro stero accatastato per il tondello; msi = metro stero impilato per la legna da stufa e msr = metro stero riversato (o “alla rinfusa”) per la misura del volume di ammassi di cippato o pellet (e anche di “legna da stufa” non impilata).L’impiego del solo simbolo m3 può talvolta indurre incertezza o confusione. Gli autori tedeschi impiegano per il msr il termine Schüttraummeter (Srm). 9 Questo molto basso contenuto idrico non fa solo risparmiare energia di evaporazione nella combustione, ma dovrebbe anche ridurre notevolmente, rispetto al più umido legno in ciocchi e all’ancora più umido cippato, le emissioni di composti delle categorie CxHy, TOC ed EOX (fra i quali interessano, per ragioni diverse, il metano e i composti PAK, PCB, PCDD e PCDF, lo HCB, il PCP e altri ancora) che tanto hanno contribuito a screditare il riscaldamento a legna praticato con le attrezzature non corrispondenti ai livelli tecnologici oggi raggiunti.

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umidità (= Holzfeuchtigkeit = us = peso

dell’acqua rapportato percentualmente al

peso della sostanza legnosa anidra)

oppure di contenuto idrico (=

Wassergehalt = uu = peso dell’acqua

rapportato percentualmente al peso del

legno umido, spesso anche detto “peso tal

quale”)10. Dal punto di vista tecnico-

calorico questo elemento di incertezza che

spesso sussiste non è però – nella

fattispecie del pellet – di particolare

rilevanza pratica per il consumatore,

perché dai numeri riportati nella nota 10 si

può calcolare che il potere calorifico

(inferiore) di un pellet con contenuto idrico

dell’8% risulta inferiore a quello di uno con

grado di umidità dell’8% solo di 0,87%.

Le indicazioni sulle confezioni (o nei

depliant informativi) dei produttori italiani -

precedute da locuzioni o termini come

“umidità contenuta”, “umidità”, ecc. -

riportano valori che spesso spaziano tra

5,2 e 8%.

A proposito dello stato idrico del pellet è

poi opportuno aggiungere che esso è

comunque sempre inferiore alla misura di

us = 12-15%, che secondo Giordano

(1955), segna un valore di riferimento

dello stato di equilibrio dell’umidità del

legno con l’umidità media di un ambiente

10 Per fornire un ordine di grandezza della differenza fra le due misure dell’umidità nell’ “area pellet”, si annota che ad us = 8% corrisponde uu = 7,41%, mentre uu = 8% equivale a us = 8,70%.

protetto o almeno coperto, e circa uguale

a quello di us = 7-8% riportato da Vorreiter

(1949) per oggetti e manufatti di legno

nelle abitazioni riscaldate (zimmertrocken).

Perciò il pellet potrà conservare totalmente

integro il suo basso stato igroscopico solo

in contenitori sigillati (tipo sacchi di

plastica), mentre potrà assorbire umidità

ambientale se è a diretto contatto con

l’aria, come accade per il pellet sfuso nel

deposito di casa. Aumenti di umidità

possono verificarsi anche per il pellet confezionato in sacchi di carta non

plastificata.

Interessanti studi in merito, condotti in

Svizzera da Hasler e Nussbaumer (2001)

su campioni di pellet di provenienza

svizzera e austriaca, hanno portato alla

conclusione che, a contatto diretto con

aria a temperatura media di 18-26 C° e

umidità relativa oscillante tra 52 e 76%, il

grado di umidità del pellet, dopo un mese

circa, si stabilizza attorno ad un valore di

us = 11%.

Con un siffatto possibile aumento

dell’umidità del pellet diminuisce il suo

potere calorifico (kWh/kg) e cresce, ma

meno sensibilmente, il suo peso specifico

(kg/dm3). Comunque l’energia ricavabile

dal pellet inumidito diminuisce solamente

dalla quantità necessaria per fare

evaporare l’acqua aggiuntiva. Dato che

questa perdita di energia netta erogabile

Espresso in formule invece è: uu% = (100 × us%) : (100 + us%) ed us% = (100 × uu%) : (100 − uu%).

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nella combustione non è elevata11, si può

ritenere che gli avvisi del tipo “custodire in

luogo asciutto” che generalmente si

leggono sui sacchi di pellet riguardano più

la perdita di consistenza del prodotto che

non la diminuzione del suo contenuto di

energia netta.

In proposito si può ricordare che, secondo

le sopra citate sperimentazioni di Hasler e

Nussbaumer, su 10 tipi di pellet esaminati

(6 svizzeri con diversi leganti, 2 svizzeri

senza leganti e 2 austriaci senza leganti),

a seguito di un aumento del contenuto di

umidità solo uno (il peggiore in partenza)

vede diminuire l’aliquota di particolato

sfregabile (Abrieb, Feinanteil) mentre negli

altri tale componente negativa per i

meccanismi di adduzione del combustibile

aumenta anche del 50%. In definitiva,

dopo l’aumento dell’umidità, solo 4 dei 10

campioni esaminati (due svizzeri e i due

austriaci) rimangono sotto alla soglia di

sfregabilità della normativa austriaca.

11 Nel caso di aumento del 50% del contenuto idrico di un pellet medio (che così passerebbe dall’8% al 12%), la perdita di energia utile erogata nella combustione di 1 kg (originario) di pellet sarebbe uguale solamente a 0,04 kgH2O × 0,68 kWh/kgH2O = 0,027 kWh che corrisponde a circa il 0,58% del contenuto calorico utile del prodotto originario con contenuto idrico dell’8%. Perciò un certo aumento dell’umidità del pellet nel deposito di casa o l’acquisto di pellet inumidito in sacco di carta prepesato (a uu = 8%) non comporta particolare danno. La diminuzione del potere calorifico inferiore, a causa anche dell’aumento di peso di 0,04 kg (di acqua), sarebbe invece pari a ben 4,98%, e il pellet così “umidificato” certo non potrebbe essere venduto (con pesatura alla consegna) come pellet con uu = 8%.

Assolutamente da evitare è comunque la

conservazione del pellet in cantine con

muri umidi oppure la sua esposizione alla

pioggia, sotto la cui influenza i cilindretti

finirebbero anche a sbriciolarsi.

Sulle confezioni dovrebbero poi essere

riportate anche indicazioni riguardanti il

contenuto di ceneri e l’aliquota di polveri.

In proposito, i livelli massimi riportati dalla

normativa austriaca sono di <0,5 (0,8)%

per le ceneri e di <2,3% per il previsto test

di abrasione.

IL POTERE CALORIFICO DEL PELLET Passando più organicamente al cruciale

argomento del potere calorifico del pellet, è opportuno premettere che – visto il tipo

di apparecchiature in cui viene

generalmente impiegato – è opportuno

argomentare sempre in termini di potere

calorifico inferiore (p.c.i.).

Ciò premesso si può poi osservare che il

potere calorifico del pellet – nella sua

ordinaria forma di espressione riferita

all’unità di peso “tal quale” (kWh/kg o

MJ/kg) – dipende solamente dalla

costituzione chimica della “sostanza

legnosa” di cui è formato (a causa della

quale, per le diverse specie botaniche,

varia, relativamente di poco, il potere

calorifico del legno allo stato anidro12) e

dal contenuto di umidità che gli è proprio.

Il peso specifico (g/cm3) invece entra in

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gioco solo quando (eventualmente) il

potere calorifico del pellet viene espresso

in riferimento (più incerto) all’unità

volumica del metro stero riversato

(kWh/msr oppure MJ/msr).

In base a ciò – se, in un calcolo di

inquadramento, per la sostanza legnosa

anidra si assume un potere calorifico

inferiore pari a 5,2 kWh/kg (Jonas e

Haneder, 2001; Schneider, 2001) e per il

pellet si considera un contenuto idrico pari

all’8% – si può ragionare e calcolare come

segue:

1. in 1 kg di pellet dal contenuto idrico

dell’8% sono contenuti 0,92 kg di

sostanza legnosa anidra che

detengono 0,92 kg x 5,2 kWh/kg =

4,784 kWh = 4.114 kcal = 17,2 MJ di

energia chimica sviluppabile;

2. nello stesso kilogrammo di pellet sono contenuti 0,08 kg di acqua, la cui

evaporazione nella combustione

consuma 0,08 kg x 0,68 kWh/kg =

0,054 kWh = 46,4 kcal = 0,194 MJ di

energia termica sviluppabile;

3. a questo generico pellet afferisce perciò un potere calorifico

inferiore uguale a 4,784 – 0,054 =

4,730 kWh/kg = 4.068 kcal/kg = 17 MJ (13);

12 Queste variazioni verranno esposte più avanti nella tabella 1. 13 Applicando la formula generale riportata da Hartmann (2000) per i biocombustibili solidi, espressa da p.c.i. (in MJ/kg) = [18,5 × (100 – uu%) – 2,441 × uu%] : 100, si ottiene 16,8 MJ/kg = 4,67

4. per ottenere l’energia termica lorda

sviluppata nell’impianto di

combustione, da questa quantità è poi

ancora da detrarre l’ammontare del

calore di surriscaldamento del vapore

(1,92 kJ/kg per °C), che però assume

una certa rilevanza solo se i fumi

escono dall’ “area utile” con

temperatura molto elevata.

Da un esame superficiale di queste cifre

potrebbe sembrare che il contenuto idrico

influisca solo molto marginalmente sul

potere calorifico del pellet. In realtà però

non è così . Infatti, se da un lato è vero che

l’aumento del contenuto idrico di 1 punto

percentuale (= 10 grammi di acqua per

chilogrammo di pellet) costa pochissimo

in termini di calore di evaporazione

(solo 0,0068 kWh = 5,85 kcal = 24,45 kJ),

dall’altro canto la correlata diminuzione di

un punto percentuale, cioè di 10 grammi,

della quantità di sostanza legnosa anidra

contenuta nel chilogrammo di prodotto “tal

quale” costa quasi 8 volte tanto, ovvero

kWh/kg. Si è voluto ricordare questo algoritmo generalmente solo riportato nella sua versione grafica, perché con le opportune (piccole) modifiche numeriche legate al potere calorifico inferiore del legno delle diverse specie, è molto utile per il calcolo del potere calorifico inferiore del pellet, del cippato e della legna per i diversi valori del contenuto idrico. Per queste applicazioni la formula può venire impiegata anche come p.c.i. (in kWh/kg) = [5,2 × (100 – uu%) – (0,68 × uu%)] : 100. Questa seconda formula fornisce però risultati leggermente superiori (circa dell’1,2%) dalla precedente, perché mentre 5,2 kWh è maggiore di 18,5 MJ, 0,68 kWh risulta praticamente uguale a 2,441 MJ.

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0,01 kg x 5,2 kWh/kg = 0,052 kWh = 44,7

kcal = 186,8 kJ14.

L’influenza del contenuto idrico del pellet sul suo potere calorifico è opportunamente

dribblata dalla normativa austriaca, che

riferisce il suo minimo di potere calorifico

inferiore (18 MJ/kg) al peso anidro (atro, water free) del pellet.

Di una certa importanza per il potere

calorifico del pellet è poi, come già

accennato, la composizione e la struttura

del legno impiegato per la sua

fabbricazione, in quanto i suoi vari

componenti hanno poteri calorifici molto

diversi (relativamente basso quello della

cellulosa, [circa 4.000 kcal/kg] più alto

quello della lignina [circa 6.000 kcal/kg] e

più elevati ancora quelli di resine,

sostanze oleose e zuccherine, gomme,

latici, ecc.). Un altro fattore che pure

condiziona (leggermente) il p.c.i. del legno

anidro è dato dall’energia necessaria per

far evaporare l’acqua che si forma per

ossidazione dell’idrogeno contenuto nel

legno, che oscilla (leggermente) attorno al

14 Per inciso si può annotare che la perdita di potere calorifico di una dendromassa (concetto che include tanto il pellet quanto il legno solido o cippato) all’aumentare di un punto percentuale (p.p.) del suo contenuto idrico è costante in valore assoluto (circa 0,21 MJ/p.p. = 50,2 kcal/p.p. = 0,058 kWh/p.p., mentre la perdita percentuale risulta crescente all’aumentare del contenuto idrico di partenza. Così per una dendromassa il cui contenuto idrico passa dall’8% al 12% il potere calorifico (calcolato con la formula secondo Hartmann) diminuisce del 4,98%, mentre un passaggio del contenuto idrico dal 18 al 22% comporta un calo del potere calorifico pari al 5,69%.

6%. E’ una quantità di acqua non

indifferente se si pensa che 1 kg di legno

anidro (LA) ne sviluppa circa 0,06 kg

H2O/kgLA x 9 g.molH2O/g.molH2 = 0,54kg

di acqua, cioè tanta quanto ne contiene di

acqua di saturazione e imbibizione 1 kg

della stessa dendromassa con umidità

uguale al 54%.

Diversa è poi anche la composizione dei

vari tessuti (conduttivo, parenchimatico e

meccanico, alburno e durame, legno

primaverile e autunnale, ecc.). Perciò il

legno (o, meglio, la “sostanza legnosa”) di

ogni specie botanica possiede, in senso

medio-statistico, un proprio potere

calorifico inferiore che, secondo Autori

classici citati da Vorreiter (1949), può

oscillare – per legno anidro di fusto – del

6-7% attorno alla media risultante da un

elevato numero di prove calorimetriche

effettuate su campioni di diverse specie,

provenienze ed estrazione.

Entrando più nel dettaglio del potere

calorifico del legno delle varie specie con

cui può venire fabbricato il pellet, pare

anzitutto opportuno ricordare la differenza,

per le nostre latitudini, tra resinose e

latifoglie, sempre messa in evidenza da

Guglielmo Giordano . Partendo dai

numerosi e approfonditi studi di questo

grande Maestro italiano della tecnologia

del legno, risulterebbe che, le due

categorie dendrologiche si

distaccherebbero da una generica media generale, di circa ± 3-3,5%. Basandosi

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Nota Le denominazioni non specifiche (Acero, Quercia e Olmo) sono trascritti come riportati da Kollmann. Tabella 1 - Poteri calorifici inferiori, in MJ/kg, della legna da ardere (spacconi e tondelli) delle più

importanti specie arboree europee o coltivate in Europa. Da Kollmann (1951)

su questa distinzione e sul calcolo dianzi

esposto risulterebbero perciò due valori

generici e orientativi per il potere calorifico

inferiore di pellet con contenuto idrico

dell’8%, corrispondenti grosso modo a

3.900-4.100 kcal/kg per pellet di resinose

e 3.700-3.900 kcal/kg per pellet di

latifoglie. Si tratta però di una “regola” non

generalizzabile, in quanto, per esempio,

secondo Vorreiter (1949), i poteri calorifici

inferiori della betulla e della robinia sono

maggiori di quelli dell’abete e del pino

silvestre. Ciò però non è confermato da

Kollmann (1951) che, per la legna da

ardere riporta i valori raccolti nella tabella 1,

che a loro volta differiscono da quelli

calcolati o segnalati più recentemente da

diversi Autori15.

15 Sempre per quanto riguarda i poteri calorifici inferiori del legno delle singole specie, Schneider

Dai valori calcolati dai diversi studiosi

emerge comunque che il potere calorifico

inferiore delle singole specie legnose non

è correlato al loro peso specifico

(apparente), in quanto quest’ultimo

dipende molto più dalla porosità del legno

che non dai caratteri chimico-energetici

della “sostanza legnosa”.

(2001) riporta valori massimi (15,9 MJ/kg ad uu = 15%) non solo per la picea (che fa onore al suo nome), ma anche per l’abete che non contiene resina. Il valore più basso (14,4 MJ/kg) viene invece segnalato per il faggio e relativamente bassi risultano anche i poteri calorifici di altre specie a legno pesante (come la robinia e l’olmo) per i quali è riportato lo stesso p.c.i. del pioppo (14,8 MJ/kg, sempre per uu = 15%). Simile è anche la gerarchia calorifica riportata in un grafico da Jonas e Haneder (2001), che vede in testa l’abete bianco, il pino silvestre e la betulla e in coda il pioppo e il carpino.

Salice bianco 17,06 Olmo 18,47 Ontano bianco 17,29 Tiglio 18,70

Carpino bianco 17,29 Castagno 18,81

Pioppo nero 17,58 Robinia 18,93

Cerro 17,62

Acero 17,74 Larice 19,04

Ontano nero 17,99 Douglasia 19,15

Quercia 18,04 Abete bianco 19,19

Frassino 18,09 Abete rosso 19,32

Betulla 18,11 Pino silvestre 19,47

Faggio 18,34 Pino strobo 20,28

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POTERE CALORIFICO INFERIORE

COMBUSTIBILE uu% kWh/kg kWh/l kWh/m3 kWh/msi kWh/msr

CONTENUTO

CARBONIO

Pellet us = 9% 8,26 4,70 3060 0,50%

Legna di ceduo us = 25% 20,00 3,98 2920 2480 0,50%

Legna di ceduo us = 18% 15,25 4,25 3040 2580 0,50%

Cippato di ceduo us = 70% 41,18 2,74 2670 940 0,50%

Cippato di ceduo us = 50% 33,33 3,20 2750 960 0,50%

Cippato di ceduo us = 30% 23,08 3,80 2840 990 0,50%

Cippato di pioppo us = 120% 54,55 1,97 1340 470 0,50%

Cippato di pioppo us = 50% 33,33 3,20 1480 520 0,50%

Cippato di pioppo us = 30% 23,08 3,80 1530 540 0,50%

Gasolio 11,86 10,19 0,86%

Olio combustibile 11,40 10,34 0,85%

Gas naturale (Italia) (1bar) 13,50 9,59 0,76%

G.P.L. 12,80

Carbone fossile (stat. int.) 8,14 0,92%

Carbone di legno 8,72 0,90%

NOTA Si ricorre alla prassi seguita da diversi Autori autorevoli di esprimere il potere calorifico inferiore dei combustibili in kWh termici; 1 kWht = 860 kcal = 3,6 MJ. Per pellet a legno p.c.i. è stato calcolato con la prima formula di nota 13. Per il pellet, la

legna e il cippato la percentuale di carbonio è riferita al materiale anidro.

Tabella 2 - Poteri calorifici inferiori e contenuti di carbonio del pellet e di altri combustibili.

Viste queste sostanziali differenze

risultanti anche da fonti bibliografiche

autorevoli, non appare certamente

ragionevole calcolare il p.c.i. di un pellet ad un (dichiarato) tenore idrico partendo

da un valore (medio) del p.c.i. del legno

allo stato anidro reperito in letteratura.

Tale valore deve invece venire accertato

da rigorose analisi di laboratorio (da

eseguire sulle diverse “partite” di pellet) che per il pellet certificato devono venire

eseguite da laboratori indipendenti

secondo precisi protocolli previsti (o da

prevedere) nelle normative o nei loro

collegati. Tali analisi terranno poi

implicitamente anche conto del fatto che la

“composizione” del legno pellettizzato

potrà non essere del tutto identica a quella

del legno vergine da cui deriva. Ciò in

quanto, alle temperature raggiunte nelle

diverse tecnologie in certi momenti della

fabbricazione, sostanze ad elevato potere

calorifico possono perdere le loro

componenti più volatili, e che il potere

calorifico del pellet può pure essere

influenzato dalla composizione delle

(eventuali) sostanze agglutinanti (farine di

cereali, amido, ecc.) che possono essere

aggiunte al legno.

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PELLET UU8,3% kg

GASOLIO litri

GASOLIO kg

OLIO COMB. kg

GAS NAT. m3

G.P.L. kg

CARBONE kg

1 kg di pellet us = 9% equivale a 1,00 0,46 0,40 0,41 0,49 0,37 0,58

1 litro di gasolio equivale a 2,17 1,00 0,86 0,89 1,06 0,80 1,25

1 kg di gasolio equivale a 2,52 1,16 1,00 1,04 1,24 0,93 1,46

1 kg di olio combustibile equivale a 2,43 1,12 0,96 1,00 1,19 0,89 1,40

1 m3 di gas naturale equivale a 2,04 0,94 0,81 0,84 1,00 0,75 1,18

1 kg di G.P.L. equivale a 2,72 1,26 1,08 1,12 1,33 1,00 1,57

1 kg di carbone equivale a 1,73 0,80 0,69 0,71 0,85 0,64 1,00

p.c.i. (kWh/quantità) 4,70 10,19 11,86 11,40 9,59 12,79 8,14

Tabella 3 - Quantità di pellet e combustibili fossili che contengono il medesimo quantitativo di energia

chimica nominale, e cioè: 4,70 kWh = 16.920 kJ = 4.042 kcal.

Prima di terminare l’argomento sul potere

calorifico sembra opportuno evidenziare i

p.c.i. di alcuni altri combustibili coi quali il

pellet (standard con us = 9%) entra in più

diretta concorrenza sul mercato del calore.

A tal fine è stata approntata la tabella 2

nella quale le equivalenze energetiche

sono intese in termini fisico-chimici (cioè

senza considerare eventuali differenze di

rendimenti alla combustione dovute a

motivi tecnologici) e i cui numeri sono da

intendere come valori orientativi o

convenzionali. Ciò vale in particolare per

la colonna kWh/m3, nella quale per il legno

del ceduo è stata adottata una massa

volumica anidra di 660 kg/m3 (con

coefficiente di ritiro volumetrico uguale a

15%) e per il cippato di pioppo una di 340

kg/m3, con coefficiente di ritiro volumetrico

uguale a 10%. E vale ancora

maggiormente per le colonne kWh/msi e

kWh/msr per il calcolo dei cui valori (per i

biocombustibili) è stata necessaria pure

l’adozione di medie generali per i molto

dispersi coefficienti sterici di impilamento

per la legna da stufa (0,85%) e di

riversamento per il pellet (0,65%) e per il

cippato (0,35%).

Dai valori esposti nella tabella 2 emerge

che per confronti “a spanne” si può

ritenere che:

• 1 chilogrammo di gasolio o di olio

combustibile può venire

nominalmente16 sostituito da 2,5 kg di

pellet; • 1 litro di gasolio può venire

nominalmente sostituito da circa 2,2

kg (o di circa 3,3 decimetri steri

riversati) di pellet; • 1 m 3 di gas naturale (a 1 bar) può

venire nominalmente sostituito da circa

2 kg di pellet. Valori più precisi dell’equivalenza

energetica del pellet (con us = 9%) con i

16 La locuzione “nominalmente” sta per “a parità di rendimento termotecnico”

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principali combustibili fossili concorrenti

sono riportati nella tabella 3. LA FABBRICAZIONE DEL PELLET La tecnologia della fabbricazione del pellet di legno deriva dalla molto più antica

impiantistica dell’industria mangimistica

dalla quale, secondo Leitgeb (1998) si è

distaccata circa 25 anni fa negli Stai Uniti

ad opera di Rudi Gunnermann. Il primo

decennio è stato costellato di difficoltà

nella vendita, in quanto appariva sul

mercato un combustibile nuovo per il

quale non esistevano ancora stufe e

bruciatori specifici e perché la

pellettizzazione del legno è tecnicamente

difficile nel dettaglio gestionale. “Spesso

l’ottimizzazione della produzione dipende

da un leggero giro di una manopolina”,

dice ancora Leitgeb.

In maniera molto schematizzata e con

riferimento alle linee di processo e ai tipi di

macchinario più frequentemente impiegati,

il rapporto Wood pellets in Europe (AA.

VV., 2000)17 divide il processo di

fabbricazione del pellet nelle seguenti sei

fasi fondamentali: essiccazione, triturazione,

pellettizzazione, raffreddamento, separazione

e immagazzinamento/insaccamento.

L’essiccazione – necessaria per ridurre il

contenuto idrico (moisture content) di

materiale eventualmente più umido alla

17 Nel proseguio questo corposo documento verrà chiamato Rapporto UMBERA, facendo riferimento alla Società Editrice che ha anche collaborato sostanzialmente alla sua realizzazione.

misura ottimale per la pellettizzatrice (8-

10%, secondo il rapporto UMBERA, 10-

12% secondo Leitgeb, 1998 e 11-15%

secondo Sitzmann, 2000) – può essere

eseguita con procedimenti diversi e

comporta sempre un dispendio di energia

che dipende dalla quantità di acqua da

eliminare e dalla tecnologia impiegata per

l’essiccazione. Fra i vettori energetici

impiegati nell’essiccazione in tamburi

rotanti il Rapporto UMBERA indica il legno

o il gas naturale, ma, forse più spesso,

trovano impiego il gasolio o l’olio

combustibile. Comunque è la fase di

lavorazione a più ampio range di consumo

energetico, il quale nei casi più sfavorevoli

e nelle tecnologie più dispendiose può

arrivare anche ad assorbire fino a 4/5 della

complessiva energia di processo.

La triturazione serve per ridurre il

materiale di partenza (trucioli di pialla,

segatura, cips, o anche elementi legnosi

più grossi) in particelle molto minute e

uniformi, con grado di finezza che dipende

anche dal diametro dei pellet che si vuole

produrre. Spesso vengono impiegati mulini

a martello alimentati da corrente elettrica e

il calore e la ventilazione che vengono

prodotti possono provocare una leggera

(aggiuntiva) diminuzione del contenuto

idrico. Se il materiale di partenza è molto

massiccio (pallets, elementi di imballaggi,

sciaveri, refili, residui forestali o agricoli,

ecc.) è necessaria una preventiva

frammentazione o cippatura (precedente

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all’essiccazione) seguita da uno o due

processi di triturazione. Se invece il

materiale ha già una grana inferiore ai 3

mm anche la triturazione può essere

evitata.

Nella pellettizzatrice, che agisce per

compressione e con riscaldamento,

l’elemento principale è costituito da stampi

perforati (comuni a tutti i processi di

estrusione) cilindrici o piani, detti anche

matrici, attraverso i cui fori il particolato

legnoso viene spinto ad elevata pressione

(fino a 200 atmosfere) con idonei sistemi a

rulli18. Negli impianti con matrici cilindriche

l’estrusione generalmente avviene

dall’interno verso l’esterno, ma esistono

anche pellettizzatrici con direzione di

estrusione opposta. Gli “spaghettoni” di

materiale compresso e bachelitizzato (in

superficie) che fuoriescono dai fori delle

matrici vengono tagliati alla lunghezza

voluta da apposite lame generalmente

fisse. Talvolta è prevista l’aggiunta di

leganti, che, se non addirittura vietati dalle

18 Dato che il particolato legnoso essiccato a uu< 15% è difficile da addensare e può condurre a ostruzioni dei fori delle matrici, per agevolare e ottimizzare la pellettizzazione è molto opportuno “condizionare” il particolato essiccato con un adeguato trattamento con vapore surriscaldato (Leitgeb, 1998; Sitzmann, 2002). Ciò può sembrare un controsenso perché prima si toglie umidità e poi se ne riporta, ma così non è. Infatti l’acqua tolta nel segmento finale dell’essiccazione è di saturazione (o “igroscopica”), mentre quella poca aggiunta è di inumidimento e serve per rendere più deformabili le scheggine di legno. Inoltre l’elevazione della temperatura durante il condizionamento serve per agevolare la successiva fluidificazione della lignina.

normative, debbono comunque essere

sempre “naturali” nel pellet certificabile,

perché come agglomerante agisce la

lignina mobilizzata dall’aumento della

temperatura provocato dall’attrito durante

l’estrusione19.

Il raffreddamento del prodotto estruso e

tagliato a misura è una parte importante

del processo di fabbricazione del pellet (che esce dalle pellettizzatrici ordinarie

con temperature attorno ai 90-95 °C) in

quanto “ aiuta a stabilizzare e indurire il

pellet”. La “separazione”, non sempre eseguita,

serve invece per eliminare dal prodotto

commerciale il particolato non legato nei

cilindretti, che viene reimmesso nel

sistema di estrusione. E’ comunque

un’operazione necessaria per migliorare la

qualità globale del prodotto.

Altrettanto vale per la fase di

insillamento/insaccamento, in quanto una

prolungata esposizione all’aria aperta del

prodotto finito comporterebbe, nei giorni

nebbiosi o piovosi, una certa diminuzione

del potere calorifico, della quale – qualora

avvenisse – il produttore dovrebbe tenere

conto nella “dichiarazione” del pellet, dato

che la vendita avviene “a peso”. Inoltre,

più in generale, un aumento del grado di

umidità comporta anche una diminuzione

19 Fra i possibili leganti insospettabili possono comunque venire presi in considerazione farine di cereali e l’amido, ma i costi del prodotto aumentano; spesso è nominato anche il sulfonato di lignina, sottoprodotto dell’industria cartaria.

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della resistenza allo sfregamento che è

una caratteristica molto importante del

prodotto.

In concreto, molti impianti hanno

caratteristiche peculiari e proprie legate a

fattori economici (prezzi dei diversi vettori

energetici), tecnici (tipo di materiale

impiegato e possibilità di cambiarlo) e

tecnologici (diversi produttori apportano

spesso modifiche ai loro impianti per

aumentarne la capacità produttiva o per

diminuire le spese). Importante in questo

senso sono anche le caratteristiche della

specie di legno impiegata (particolarmente

per la sua durezza e il contenuto di resina)

e persino la sua provenienza. Così ,

ancora secondo Leitgeb (1998), il legno di

larice “si pressa quasi da solo”, mentre

quello di faggio “ti spezza il collo”. Facile

da pellettizzare sono anche i legni di pino

silvestre e di abete rosso (Sitzmann,

comunicazione personale) che sono le

specie più largamente impiegate in

Europa.

Comunque la pellettizzazione è molto più

complessa di quanto possa apparire dalla

fisica del processo e in proposito

Sitzmann (2002) afferma

“Holzpellettierung ist nicht trivial !”. Infatti,

le reazioni chimiche che avvengono a

carico delle sostanze contenute nel legno

o negli additivi sono numerose, complesse

e in parte interconnesse. Così , ad

esempio, mentre le sostanze grasse o

cerose hanno preminente funzione di

lubrificazione, dagli additivi amilacei o

saccarini (come la fecola di mais o la

melassa), specie sotto l’azione catalitica di

piccole quantità di acido ossalico, deriva il

5-idrossimetilfurfurato che, assieme alla

lignina, è di massima importanza nei

fenomeni di compattazione. Azione simile

ha anche la condensazione fenolica della

formaldeide che deriva dalle sostanze

tanniche. Effetti positivi possono avere

pure piccole aggiunte di corteccia, che

contiene, tra l’altro, proprio composti

lipidici, cerosi e polifenolici.

Infine si annota che in circostanze molto

favorevoli le fasi iniziali possono essere

anche evitate se, ad esempio, si può

partire da particolato legnoso a grana

molto fine (polvere di legno) e contenuto

idrico non superiore al 10-15%.

Un nuovo procedimento, che ricorda il

vecchio sistema italiano della produzione

della “Masonite”, è stato sviluppato e

sperimentato recentemente dalla Cambi Bioenergi Vestmarka, maggiore produttore

norvegese di pellet. Il materiale di

partenza, costituito da segatura, è

precondizionato in un’autoclave nella

quale viene dapprima saturato di vapore

ad elevata pressione e temperatura e poi

fatto “esplodere” aprendo

improvvisamente l’apparecchiatura. Con

questa repentina diminuzione della

pressione il materiale legnoso viene ridotto

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in fibre e nell’ambito del processo viene

anche ammorbidita la lignina, che così può

successivamente svolgere in maniera

ottimale il suo essenziale ruolo di

bachelitizzazione superficiale del pellet. Il prodotto risulta di eccellente qualità, con

più elevato peso specifico (densità di 850

kg per metro stero riversato), maggiore

durezza e durabilità. Inoltre risulta

raddoppiata la capacità oraria della

pellettizzatrice e dovrebbe risultare poco

influente l’umidità del materiale di

partenza.

Un altro procedimento innovativo, teso

non solo a minimizzare il consumo di

energia, è stato sviluppato dalla toscana

EcoTre System. L’estrusione a

temperatura relativamente bassa, 50-60

°C, permette di bypassare il

raffreddamento nel contesto di un

processo originale e brevettato che – nella

produzione di pellet di legno – può

impiegare, oltre a trucioli di piallatura ben

secchi, non solo segatura e cips con

umidità del 30 -35%, ma anche potature

agricole20. Il pellet (ordinariamente

prodotto con diametro di 6 mm e

lunghezza media di 12 mm, aumentabile

20 Si è specificato “nella produzione di pellet di legno”, perché – come anche altri – si tratta di un macchinario molto versatile che può pellettizzare materiali di svariatissimo genere, dai fanghi degli impianti di depurazione e delle concerie fino alle carte e cartoni, dalle paste e polpe di risulta di processi delle industrie agroalimentari fino alle frazioni combustibili dei rifiuti solidi urbani, dai residui di coltivazione ai materiali plastici.

però, rispettivamente, a 20 e 40-50 mm),

rispondente ai requisiti delle normative

europee e americane, può arrivare - a

detta del fabbricante - a un peso specifico

di quasi 1,5 kg/dm3 e ad una densità di

stoccaggio compresa tra 650 e 780 kg per

metro stero riversato, a seconda del

processo di lavorazione e della specie

legnosa. Per quanto riguarda il consumo

energetico, il Rapporto UMBERA riferisce

di un ampio range di “ specific electric consumption” che varia da 0,025 a 0,045

kWh/kg a seconda della specie legnosa,

mentre direttamente dall’impresa si è

saputo, nel dettaglio, di uno stabilimento

costruito negli Stati Uniti, il quale –

partendo da legno vergine con umidità del

20% – produce 4 tonnellate di pellet all’ora

con un consumo di 0,035 kWhe/kg. Tra le

caratteristiche tecnologiche delle

pellettizzatrici EcoTre risaltano l’inversione

del processo di estrusione (che avviene

verso l’interno delle matrici cilindriche

rotanti) e la possibilità di attrezzare la

macchina con 2 trafile.

LE NORMATIVE DI PRODOTTO DEL PELLET In diversi Paesi, a iniziare da Austria,

Germania, Svezia e USA - esistono o

stanno per venire adottate normative di

prodotto per il pellet, mentre per quanto

riguarda il suo impiego generalmente

viene fatto riferimento alle disposizioni per

gli impianti calorifici a legno.

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La normativa più spesso richiamata in

letteratura è quella austriaca (ÖNORM

M 7135) che definisce i requisiti dei

pressati di legno (HP) e di corteccia (RP)

per uso combustibile, nonché le

disposizioni per la loro verifica. Nella sua

ultima edizione (01.11.2000) essa

prevede, per ognuno dei due tipi di

prodotto, tre identiche classi dimensionali

(HP1, HP2 e HP3, nonché RP1, RP2 e

RP3) che vanno dai pellet minuti

(categorie 1) – impiegati principalmente

nelle piccole e medie installazioni ad

alimentazione automatica (specialmente

stufe e caldaie per riscaldamento centrale)

– fino alle bricchette tradizionali (categoria

3) usate in tutti i tipi di apparecchiature a

caricamento manuale21.

Per i pellet di legno della categoria minuta

(HP1) i parametri limite della normativa

riguardano: le dimensioni (D da 4 a 10 mm

e L non superiore a 5D), il peso specifico

(superiore a 1,12 kg/dm3); il contenuto

idrico (uu) (inferiore al 10%), il potere

calorifico inferiore riferito allo stato anidro

(non inferiore di 18 MJ/kg), il contenuto

di ceneri (non superiore a 0,5% del peso

anidro), il contenuto, sul peso secco, di

azoto (<0,3%), zolfo (<0,04%) e (cloro

<0,02%) e la quantità di polvere dopo un

test di abrasione (inferiore a 2,3%). Come

materiale di partenza è prescritto “legno

21 Da informazioni assunte in Austria risulta che la produzione di pellet di corteccia (con ammesso contenuto idrico fino al 18%) è molto piccola.

vergine” (naturbelassenes Holz22, wood in natural state, untreated wood ) privo di

contaminanti (colle, vernici, preservanti,

ecc.), ma nella fabbricazione è permesso

l’impiego di termoagglutinanti vegetali non

chimicamente modificati (come farine di

frumento, segale o amido), che però –

secondo Nagl citato da Brega (2002) –

non possono superare il 2% del prodotto.

Un punto importante della revisione della

norma è dato dall’introduzione di un test di

sfregamento (Abriebtest) atto a verificare

la resistenza del pellet alla manipolazioni

specialmente nell’insufflazione nei

depositi. Secondo la norma, il residuo di

sfregamento (Abrieb) misurato con il

Ligno-Pellettester LT II non può superare il

2,3% (Golser, 2001)23.

Per rendere conto della complessità

tecnica di questa norma si può segnalare

che essa fa riferimento a ben 14 dispositivi

(due altre ÖNORM, nr. 7111 e 7132, dieci

norme DIN, corrispondenti al nostro UNI, e

due disposizioni legislative di quadro).

22 Negli scarti di segagione, ivi compresa la segatura, lo naturbelassenes Holz (letteralmente: legno lasciato allo stato naturale) non è tecnicamente evitabile una piccola componente di corteccia, che però la PVA limita a meno dell’1%. Veramente puri sono invece i piallaci, mentre le polveri di smerigliatura di legno vergine possono contenere tracce di abrasivo. 23 Sempre nel campo della normazione lo stesso Autore comunica che sono in preparazione (e nel frattempo probabilmente già emanate) due nuove norme che riguardano, rispettivamente, l’“assicurazione della qualità nel trasporto e nella logistica di deposito” ÖNORM M 7136 e “specifiche sul deposito del pellet presso il consumatore” ÖNORM M 7137.

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Dal punto di vista procedurale, per essere

iscritto nel registro dei “Produttori a norma”

(Normenregister) e per poter dichiarare il

proprio prodotto “ esaminato secondo la

norma M 7135”, il fabbricante deve

stipulare un “contratto di sorveglianza” con

un accreditato Istituto di analisi che

eseguirà una verifica iniziale e,

successivamente, una verifica senza

preavviso una volta all’anno. Inoltre il

produttore deve regolarmente procedere

ad autoverifiche settimanali del peso

specifico, del contenuto idrico e del

residuo di sfregamento e tenere anche un

registro degli agglutinanti impiegati.

Accanto alla normativa nazionale è in uso

anche una normativa privata (però

statalmente autorizzata) dell’Associazione

austriaca dei produttori di pellet (PVA,

www.pelletverband.at) che però è poco

differente, ma considera diversamente il

contenuto di polvere (che, prima del

trasporto, dovrebbe essere al massimo

dell’1%24) e, comunque, garantisce un

potere calorifico di 4,9 kW/kg (= 17,6

MJ/kg) e un contenuto idrico inferiore al

10%. La stessa Associazione – composta

da produttori di pellet, fabbricanti di

impianti di combustione di pellet e

rivenditori di pellet – ha introdotto anche

24 Il contenuto di polveri, che aumenta con il trasporto in autobotte e nel bunkeraggio, è importante perché un eccesso può impiastrare e bloccare il meccanismo di alimentazione del focolare. Altrettanto importante è il (non normato) contenuto di potassio del pellet che abbassa il punto

un proprio marchio di qualità (Gütesiegel) a garanzia degli acquirenti. Inoltre i suoi

associati, a tutela del loro prodotto, ne

eseguono una “codificazione” (Codierung)

per tramite di minuscole tavolette di legno

delle dimensioni di un cilindretto di pellet (colorate di rosso con sopra impresso il

logo PVA, l’anno di fabbricazione e la

sigla del produttore), che vengono

frammiste al pellet in ragione di 1 tavoletta

ogni 10 kg.

La normativa Germanica (DIN 51731),

valida anch’essa per pellet e bricchette,

prevede 5 classi dimensionali delle quali

l’ultima (HP5) corrisponde alla classe HP1

della normativa austriaca25. Sostanziale

corrispondenza fra le due disposizioni

sussiste poi per le restanti caratteristiche

di base nel cui ambito però in quella

germanica risulta triplicato l’ammesso

contenuto di ceneri, raddoppiato quello di

zolfo e aumentato nel 50% quello del

cloro. Molto più numerosi sono invece i

limiti alla composizione chimica del pellet che riguardano anche tutti i principali

metalli potenzialmente tossici: cadmio (0,5

mg/kg), cromo (8), mercurio (0,05),

piombo (10), rame (5) e zinco (100)),

nonché l’arsenico (0,8 mg/kg). Limitati a 3

di fusione delle ceneri con tutti gli inconvenienti che ad una tale fusione conseguono. 25 Una sufficiente uniformità delle classi dimensionali e l’obbligo della loro dichiarazione è una necessità che si impone (almeno a livello CEE) quale presupposto per lo sviluppo ordinato di un mercato sovranazionale delle stufe e dei bruciatori.

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mg/kg sono anche gli extractable organic halogens, mentre nulla è invece detto sulle

impurità (benché le pubblicazioni tedesche

parlino sempre di “legno lasciato al

naturale”) e sui leganti.

Simile alle precedenti è anche la

normativa svedese (SS 187120), con i

suoi tre gruppi dimensionali codificati solo

in termini di lunghezza riferita al diametro.

Applicata anche nella produzione

norvegese, risulta – nei confronti di quella

austriaca – un po’ più permissiva per il

potere calorifico (>16,9 MJ/kg anziché a

18). Per quanto riguarda la composizione

è solo indicato il limite per il contenuto di

zolfo (0,08%) e cloro (0,03%), e anche per

gli additivi è solamente prescritta

l’indicazione della sostanza e della

quantità. Richiesta invece, fatto unico fra

tutte le normative, l’indicazione delle

temperatura di fusione delle ceneri.

Recentemente (giugno 2002) la Energie–Bois Suisse (www.energie-bois.ch) ha

emanato un regolamento “Swisspellet” per

l’acquisizione volontaria del diritto al

relativo marchio di qualità, valido per

pressati di legno vergine (naturbelassenes Holz). Dal punto di vista tecnico questa

normativa (che si inserisce nel dispositivo

svizzero SN 166000:2001) è identica a

quella germanica (DIN 51731) ma si

avvale anche di alcune specifiche della

normativa austriaca (ÖNORM M 7135).

Fra le particolarità di questo “Regolamento

di certificazione” emergono la

dichiarazione di produzione nel territorio

nazionale e il divieto dell’impiego di

agglutinanti (Presshilfsmittel). Per quanto

concerne l’analisi chimica del prodotto

vengono indicati valori massimi per il

contenuto di zolfo, azoto, cloro, cromo,

rame, piombo, zinco, mercurio, cadmio,

arsenico ed EOX (= composti alogenati

estraibili).

Più recente ancora (marzo 2003) è la

normativa volontaria francese elaborata

dal French Pellet Club in collaborazione

con l’ITEBE (Institut Tecnique Europèen du Bois-Energie, www.itebe,org). Come

prodotto vengono distinte quattro

categorie di pellet, e cioè “stufa”, “caldaia”

(già in uso), “BIG” per impianti industriali e

“inceneritore” (previste per il futuro) e una

categoria unica per le bricchette, ognuna

con un proprio label. Le prime due categorie di pellet si

distinguono solo per le dimensioni che,

vincolanti per il 90% del prodotto, sono:

• per l’assortimento da stufa: D= 6 mm

+/-1 e L = 10-30 mm;

• per l’assortimento da caldaia: D= 8-10

mm +/-1 e L = 10-50 mm.

Identiche per le due categorie debbono

invece restare le caratteristiche fisiche che

sono: contenuto idrico <10%, peso

specifico 1.200-1.400 kg/m3, peso sterico

riversato >650 kg/msr, potere calorifico

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inferiore >4,7 kWht/kg. Identici sono anche

i massimali di contenuto dei soliti elementi

e precisamente: cloro (<0,03%), zolfo

(<0,08%) e azoto (<0,3%). Indicato è pure

il contenuto massimo di potassio che è

importante per il punto di fusione della

cenere il cui contenuto massimo

ammissibile è indicato con l’1%. Sono

consentiti, nella misura massima del 5%,

leganti naturali (amido, lignina, oli

vegetali), con l’obbligo di contrassegno per

tipo e quantità26.

Molto meno rigorose sono invece le

prescrizione per le categorie BIG e

inceneritore che, a detta degli estensori,

dovranno essere “definiti e precisati non

appena saranno disponibili sul mercato”.

Nella formulazione provvisoria per le due

categorie sono indicati solo il diametro (>

16 mm) e il peso sterico riversato (> 580

kg/m3riv). Non è indicato un limite minimo

per il potere calorifico che però deve

essere “indicato sull’imballaggio”, e non

sono, per ora, contemplate limitazioni per

gli elementi chimici di cui si è detto per le

categorie stufa e caldaia. Differenze per le

categorie BIG e inceneritore sono invece

indicate già adesso per il contenuto di

leganti e la tolleranza dell’impiego di

“legno di scarto” nel senso che per la

prima categoria valgono le limitazioni

26 Nell’edizione italiana della normativa (Marie-Maud Gererd, 2003) non compare mai il consueto termine “legno vergine” o “legno al naturale”, ma esso – per gli assortimenti stufa e caldaia – pare palesemente sottinteso.

riportate per i prodotti per stufa e per

caldaia27, mentre per la categoria

inceneritore non esistono alcune

limitazioni in merito.

Poco interessante per il nostro Paese,

infine, è invece la normativa statunitense

emanata dal Pellet Fuel Institute, la quale

– scarsissima di prescrizioni – fa differire

le sue due categorie (standard e premium)

solo per un minore contenuto di cenere

della seconda (1% invece di 3%) per la

quale è richiesta anche una densità sterica

superiore a 639 kg/m3 (= 40 pd/ft3) che

risulta un po’ più elevata (per ragioni di

“cifra tonda” in misura americana) di quella

prevista in Svezia per la categoria a

lunghezza relativa minore (600 kg/m3).

Per l’Italia non esiste ancora alcuna

normativa specifica per il pellet, ma i

migliori produttori si orientano a quella

austriaca. E’ però vigente da poco il

DPCM 8/3/02 “Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione” che sostituisce il

precedente Decreto del 02.10.1995, e al

quale si rimanda.

27 Nella categoria BIG, per la quale il materiale di partenza e costituito da scarti delle falegnamerie o delle ebanisterie (che, almeno in parte, sarà contaminato da colle e altri materiali non naturali) pare strano che debba venire indicato il contenuto di leganti naturali.

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Alla redazione di una normativa nazionale

sta però attivamente lavorando il Comitato

Termotecnico Italiano (http://www.cti2000.it)

che all’inizio del 2003 ha fatto circolare fra

gli interessati una ponderosa e

circostanziata “Proposta di specifiche e

classificazioni” per i biocombustibili solidi”

nel cui ambito ampio spazio è riservato

alle bricchette e al pellet, combustibili per i

quali sono anche previste specifiche per

“classi di qualità da destinare all’uso

domestico”28.

A livello comunitario invece la

Commissione Europea di Normazione

(CEN) da più di 2 anni ha istituito il

CEN/TC 335 “Solid biofuels”, con 5

specifici gruppi di lavoro. A quanto

sembra, il lavoro di questo comitato che

con 24 norme specifiche dovrà elaborare

le basi tecniche per un apposito

regolamento CEE che porti ad un mercato

sicuro e stabile dei biocombustibili

nell’Unione, sarà piuttosto facile per le

caratteristiche fisiche del pellet, non troppo

difficile per quelle chimiche, ma

certamente arduo per quanto riguarda la

provenienza (o la tipologia) della biomassa

da pellettizzare. Per coadiuvare a questo

28 Il lavoro del CTI e dei suoi diversi sottocomitati, svolto con lo scopo di promuovere il mercato dei biocombustibili (anche attraverso specifiche normative merceologiche e tecnologiche) e di fornire al legislatore nazionale e comunitario riferimenti tecnici precis i soprattutto per le politiche ambientali, non è facile, perché l’attuale legislazione è tutt’altro che chiara e univoca e, tra l’altro, risente sempre ancora delle incertezze inerenti al concetto di “rifiuto” codificato dal “Decreto Ronchi”.

lavoro, 34 istituzioni di ricerca collaborano

in un progetto denominato “BioNorm” (da

inserire nel programma quadro “Energia,

Ambiente e Sviluppo durevole”) anche con

lo scopo di promuovere un più rapido

trasferimento delle nuove acquisizioni

scientifiche agli operatori dei settori

interessati (Golser, 2001).

Per quanto riguarda le certificazioni si può

ancora aggiungere che recentemente la

DINCERTCO GmbH (http://www.dincertco.de)

ha lanciato un nuovo marchio di prodotto,

chiamato DINplus, che – basato sulle

normative ufficiali austriaca e germanica –

è più stringente nei controlli nella fase di

produzione (C.A.R.M.E.N., 2002).

PRODUZIONE E CONSUMO DI PELLET IN ALCUNI PAESI Per quanto riguarda – per i diversi Paesi –

le capacità produttive, le produzioni, i

consumi e i commerci con l’estero di

questo recente prodotto sinora raramente

rilevato dalle statistiche, si conoscono

soltanto notizie frammentarie e stime sulla

base di informazioni variamente raccolte.

Per i Paesi con maggiore produzione e

consumo, il Rapporto UMBERA (2000)

fornisce però alcuni dati importanti, anche

se un po’ datati, di cui qui si riporta una

sintesi corredata di notizie più recenti

attinte da altre fonti e da informazioni

personali.

I “quattro grandi” del pellet sono Svezia,

USA, Danimarca e Austria, ma anche in

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altri Paesi, tra i quali oggi è da includere

pure l’Italia, la situazione è in rapida

evoluzione e crescite annuali superiori al

15% non sono eccezionali.

La leadership, anche per la regolare

dinamica dello sviluppo, appartiene alla

Svezia, che nel 1998, produceva circa

470.000 tonnellate nel contesto di una

capacità produttiva di circa 600 kt. Più

recentemente, secondo Mickelsson

(2202), la capacità produttiva d ei 24

stabilimenti esistenti si aggirava attorno a

1 milione di tonnellate all’anno29. Hugues

Dit Ciles (2002), consigliere del French

Pellet Club creato dall’ITEBE, riferisce

invece, per la stagione 2000-2001, di una

produzione di 700 kt. Attualmente la

produzione potrebbe anche essere circa

di 1 milione di tonnellate (Olsson e

Kjällstrand, 2003).

La maggior parte del pellet prodotto (480

kt secondo Michelsson, 2002) viene

consumata nel teleriscaldamento, molto

diffuso in Svezia per abitazioni ed edifici

29 Se venisse sfruttata l’intera capacità produttiva di 1 Mt/a, potrebbero sorgere problemi di approvvigionamento di materia prima consueta, in quanto la quantità di legno vergine proveniente dall’industria del legno (segatura, piallacci e cips) non richiesta per altri impieghi più remunerativi, ammonta appunto a circa 1 Mt/a. Nuovi progetti di pellettizzazione richiederebbero perciò – con tutte le necessarie cautele, disposizioni e garanzie al livello dell’impiego – il passaggio ad altri tipi di materia prima, quali soprattutto i residui delle lavorazioni boschive, ma anche la paglia, la carta da macero e persino le acque nere. Con ciò però, almeno per alcuni prodotti, si uscirebbe dallo

pubblici, commerciali e industriali, nel

quale oggi più di 1/3 dell’energia prodotta

è di origine biomassale (cippato, legna,

pellet, corteccia, paglia e altre biomasse).

Minore ma più dinamico è invece il

mercato delle piccole quantità, che –

secondo Westermark (2001) – sta

attualmente crescendo con una rata

annua di circa 40%. Secondo Anderson

(2001), nel private household segment, in

cui il pellet sostituisce per 2/3 gasolio e

per 1/3 legna, tra il 1993 e il 2000, le

vendite sono passate da 1,8 a 77 kt/a e

per il 2001 è stimata una vendita di 120 kt.

Per il 2002-03, Rakos (2002) riferisce di

una stima di 250 kt circolata durante la

Conferenza mondiale sul pellet del

settembre 2002. Al pellet e alla sua

vendita sono interessate anche le

compagnie petrolifere ed esiste una certa

tendenza alla vendita del servizio, cioè del

calore, anziché del solo combustibile. Da

segnalare è pure che nel 2001 si è

verificata una crisi di disponibilità che ha

portato a aumenti del prezzo del 30%.

Favorito dal suo elevato rapporto

energia/peso (circa doppio di quello del

cippato fresco) ed energia/volume sterico,

non di rado il pellet viene anche

trasportato per lunghe distanze, pure per

via mare. Così la Skellefteå Kraft, situata

nel nord-est del Paese, invia il 60% della

sua produzione (circa 100 kt/a ricavate

specifico ristretto ambito merceologico del “pellet di legno”.

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principalmente da segatura) alla Birka di

Stoccolma. Altrettanto vale per le

importazioni dal Canada, dai Paesi Baltici

e dalla Polonia, che nel 1998 erano di oltre

100 kt.

Tornando ancora un attimo al

riscaldamento domestico si può riportare

che, secondo il Rapporto UMBERA

(2000), nel 1998 il 7,7% delle abitazioni

svedesi (ovvero 144.000 unità) risultava

servito dal teleriscaldamento, mentre il

resto (cioè 1.737.000 unità) veniva

riscaldato, con riferimento percentuale alle

1.881.000 unità complessive, per il

21.3% con firewood, per il 29,8% con

olio combustibile, per il 27.3% con

convertitori elettrici, per il 12,8% con

riscaldamento centrale alimentato a

corrente elettrica e solo per un marginale

1,1% con gas naturale. Molto diffusi,

rispetto all’Italia, risultano dunque diversi

sistemi alimentati con corrente elettrica, e

nelle case riscaldate con questi sistemi

l’eventuale passaggio al più economico

pellet (che costa 30-35 €uro/MWh per

piccole quantità contro gli 80 -85

dell’energia elettrica e i 46 dell’olio

combustibile) è tecnicamente reso difficile

dall’assenza di camini.

Altri grandi consumatori di pellet, specialmente confezionato in sacchi, sono

gli Stati Uniti, Paese in cui, attorno al

1985, furono costruiti i primi impianti per

la produzione di pellet per uso

combustibile. Nel periodo 1993/98 il

consumo è cresciuto da circa 500 a 600

kt/a per poi subire un leggero declino nel

biennio 1998/99, a causa del diffondersi

del meno caro riscaldamento a gas

naturale (0,021 USA$/kWh contro i 0,027

del pellet) e della spesso cattiva qualità

del granulato e delle stufe offerte sul

mercato. Attualmente, secondo Dit Ciles

(2002), la qualità dell’offerta è migliorata

per entrambi i prodotti (anche per opera

del Pellet Fuel Institute creato

appositamente) e il consumo è salito a

700 kt/a, accompagnato da una vendita di

37.000 nuove stufe nella stagione 2000-

2001 con un aumento del 26% rispetto

all’anno precedente30. Per la stagione

2001-2002, l’ITEBE (2001) prevede una

vendita addirittura di 900 kt di pellet che è

confermata anche da Rakos (2002) che

riferisce di aumenti di richieste che hanno

provocato un’insufficienza di offerta.

Il materiale di partenza è costituito

generalmente da segatura (che per certi

impianti può avere anche umidità del 50%

e perciò necessita di una drastica

essiccazione), ma vengono pure impiegati

residui di lavorazione (o materiali di risulta)

più grossolani che richiedono un processo

di frantumazione che precede la

triturazione. Le caratteristiche del

materiale di partenza influenzano

notevolmente il costo di produzione e la

30 Altri commentatori riferiscono di vendite di circa 50.000 stufe all’anno.

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produttività degli impianti; ceteris paribus,

il costo di produzione risulta maggiore

(mediamente del 20-25%) con il legno di

latifoglie che con quello di conifere. La

pellettizzazione di materiale con corteccia

è meno costosa ma da luogo a un

prodotto più scadente. Pellet combustibile

da coprodotti agricoli o da scarti

dell’industria agroalimentare può venire

fabbricato a costi ancora minori.

Il 95% del prodotto venduto è destinato al

riscaldamento residenziale (specie a

mezzo di stufe impiegate in funzione

accessoria) nel cui contesto generale –

secondo il Rapporto UMBERA (2000) –

soddisfa però solo lo 0,025% della

domanda statunitense di calore

domestico. L’incidenza relativa del

riscaldamento con pellet risulterebbe

maggiore secondo ITEBE (2001), per il

quale 250-300 mila abitazioni (foyers)

posseggono riscaldamenti con pellet, che

forniscono circa il 50% del loro fabbisogno

calorico con un consumo annuo medio di

2,8 tonnellate.

Molti dei circa 50 produttori di pellet sono

di piccole dimensioni (con produzioni

variabili da 0,75 a 15 t/h) e non

appartenenti alle grandi compagnie

dell’industria forestale e del legno.

Per la Danimarca, Paese molto attento ai

problemi ambientali, il Rapporto UMBERA

segnalava, per il 1998, una produzione di

circa 150 kt/a, fabbricate in 5 grandi

impianti). Attualmente, secondo Bjerg,

(2001), il consumo è di circa 190 kt/a e si

ritiene che prossimamente salirà fino a

250 kt/a. Sempre per la Danimarca, lo

stesso Autore segnala che fra il 1993 e il

1998 il consumo di pellet è cresciuto del

53%, mentre, sul versante della

produzione non è da aspettarsi un

aumento di buona materia prima secca

per la pellettizzazione (150.000 t/a di

piallacci secchi secondo Bjerg, 2002).

Perciò crescerà l’importazione, che

attualmente proviene soprattutto dalla

Scandinavia, dai Paesi Baltici e dal

Canada. Un notevole impulso

all’importazione verrà poi dalla

conversione a pellet di una grande

centrale di cogenerazione a carbone che

potrà consumare circa 300.000 tonnellate

di pressato all’anno.

Nel settore dell’impiego, la fetta più

importante, cioè circa 2/3 viene

consumata nel teleriscaldamento, mentre

per l’espansione futura sono interessanti

le 510.000 proprietà non allacciate alla

rete di distribuzione del gas naturale, che

hanno una domanda di energia per

riscaldamento pari a 43 PJ/a, attualmente

soddisfatta per 2/3 da olio combustibile,

quasi 3 volte più caro del pellet soprattutto

a causa delle imposte ambientali. Altra

richiesta di pellet potrà derivare dalla

recente abolizione dell’obbligo di

allacciamento alla rete di distribuzione del

gas naturale nelle aree servite.

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In Danimarca sussiste poi anche un

notevole interesse per il pellet di paglia e

dovrebbe essere stato ultimato un

impianto per la produzione di 130 kt/a

funzionale soprattutto al trasporto del

biocombustibile fino a Kopenhagen.

Esperti danesi stanno sperimentando vari

additivi per innalzare il punto di fusione

della cenere di paglia, tallone di Achille di

questo vettore energetico di coproduzione.

In Austria – secondo il Rapporto UMBERA

– nel 1999 la produzione di pellet di legno

vergine (specialmente da piallacci,

secondo Jonas e Haneder (2001) ma

anche da segatura, come risulta da

informazioni personali assunte presso

grandi produttori e commercializzatori) era

stata di 41,3 kt31. Nello stesso anno e

secondo la medesima fonte la capacità

produttiva dei 12 maggiori impianti

austriaci era invece molto più elevata

(118,3 kt/a) e il loro grado di utilizzazione

variava dal 17 al 100%, con una media

attorno al 35%.

Per il 2000 Jonas e Haneder (2001)

riferiscono di una produzione di 100 kt/a

che si affianca ad un’altrettanta quantità di

brichette di legno pressato, prodotto che

31 In proposito Rudolf Huber della UMDASCH di Amstätten, riferisce (in litteris 11.06.02), che in Austria si rendono annualmente disponibili circa 200-250 kt di piallacci con contenuto idrico del 10-14% (da lavorazione di segati essiccati artificialmente) e che la segatura impiegata è molto umida (uu uguale a circa 50%) e viene essiccata con energia prodotta bruciando cortecce, altra segatura e/o altri cascami di lavorazione del legno.

era già in uso prima della comparsa di

pellet. Per la stagione 2001/02, Rudolf

Huber (comunicazione personale) aveva

stimato le seguenti quantità di produzione:

brichette 170 kt, pellet di legno 90 kt e

pellet di corteccia 5 kt. Per la stagione

successiva 2002/03 riteneva che invece la

quantità prodotta di pellet di legno potesse

salire a 130 kt32. In equilibrio risulta il

commercio con l’estero, che pare

coinvolgere quantità uguali a poco

superiori del 10% della produzione interna.

Quasi la totalità (olt re al 95%) del pellet consumato nel Paese – dove nel 1996 il

16,3% delle abitazioni era riscaldato

prevalentemente con biomassa (di cui

67% di legna da ardere di fattura

tradizionale)33 – è oggi destinato alle

piccole utenze (stufe di vario tipo) e ai

piccoli e medi impianti di riscaldamento

centrale con potenza fino a 100 kW. Nelle

utenze maggiori (grandi impianti

centralizzati o di teleriscaldamento) è più

sentita la concorrenza del cippato che, a

32 Relativizzando queste 130 kt di pellet di legno, oggi sicuramente aumentati di un bel po’, si può calcolare che essi rappresentano circa lo 0,18% dell’energia primaria complessivamente consumata nel Paese, mentre il consumo pro capite è ben configurabile in un sacco da 15 kg all’anno. In termini di energia lorda impiegabile queste 130 kt equivalgono a circa 55.000 tonnellate di olio combustibile e perciò non si può più parlare di un prodotto di nicchia. 33 Tra il 1990 e il 1997 (secondo Golser, 2001) il numero delle case riscaldate con legno è però sceso da 608.000 (= 21% sul totale) a 514.000 (= 15,3%). Numerose sono state anche le sostituzioni di impianti e di stufe di vecchia data, a basso rendimento termico e notevolmente inquinanti.

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parità di contenuto energetico, è più a

buon prezzo34.

Nel molto dinamico settore dell’impiantistica

sono invece da segnalare i notevoli

progressi nella tecnologia della

combustione, particolarmente nell’aumento

dei rendimenti termotecnici e nella riduzione

delle emissioni inquinanti, realizzate dalle

numerose aziende specializzate, molto

attive anche sui mercati esteri. Sul mercato

interno stanno aumentando a ritmo

crescente tanto le vendite di apparati a pellet con potenza fino a 100 kW (oltre 4.500 nel

2001) che superano notevolmente quelli a

cippato (poco meno di 2.300), quanto anche

gli impianti di teleriscaldamento (alimentati

principalmente con cippato) di svariata

potenza (dai 100 kW di Weilershofen e

Hagenberg fino ai 7.000 kW di Allensteig).

Nella Regione della Bassa Austria (NÖ),

attorno a Vienna, gli impianti sono

attualmente più di 160 e il totale nazionale è

34 Ad latere, pare interessante riportare le percentuali (del 1999) dell’impiego dei “vettori energetici rinnovabili” in Austria, dove essi – secondo i Jonas e Haneder (2001) – fornivano (con esclusione dell’idroelettrico) il 12% del consumo complessivo di 1.200 PJ/a, ovvero circa 144 PJ. Il panorama è ovviamente dominato, con un notevole 54%, dall’assortimento classico “legna da ardere – legna da stufa”; seguono, nell’ordine, acqua reflue delle cartiere 19%, rifiuti combustibili 7%, combinato di solare, eolico e geotermico (incluse le pompe di calore) 5%, cippato di bosco 4%, cippato di segheria e pressati 4%, cortecce 4%, biogas 2% e paglia 1%.

di quasi 600 stabilimenti con una potenza

installata complessiva di circa 750 MW.

A proposito degli altri Paesi presi in

considerazione dal Rapporto UMBERA e

da Rakos (2002) si può sinteticamente

annotare quanto segue. Norvegia

Produzione del 1999 stimata in circa 20

kt/a, di cui 11 destinate all’esportazione

verso la Svezia. Capacità produttiva in

rapidissima crescita, che attualmente

dovrebbe aver superato le 100 kt/a. Stima

dell’esistenza, nel 1999, di sole 140 (sic!) stufe a pellet e di 30 impianti nel settore

di potenza da 20 a 50 kWh; inoltre

vengono menzionate 12 utenze pubbliche

con potenza installata superiore a 200 kW

(fino a 2,5 – 3,6 MW).

Più in generale – sempre rimanendo

nell’impiego delle biomasse – si può

segnalare l’esistenza di circa 800.000

stufe a legna, impiegate principalmente

per riscaldamento addizionale a quello a

corrente elettrica che domina il panorama

del calore domestico del Paese in cui il

50% del consumo energetico nazionale

complessivo è fornito da questo vettore,

praticamente tutto di origine

idrogravitazionale. Francia

Maggiore utilizzatore europeo di

bioenergia primaria con 11,2 Mtep/anno

nel 1999 e contributo del 21% nella

Comunità Europea secondo la 2001 –

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

Annual Energy Review della Commissione

Europea35. Questo Paese è partito già nel

1980 con la produzione pellet di legno

(talvolta chiamato anche granulé) ma –

forse per avere troppo puntato sulle grandi

utenze – non è mai diventato un grosso

produttore. Infatti, nel 1999, la produzione

era solo di 14 kt, ricavate principalmente

da segatura da parte di 5 imprese, fra le

quali emerge la COGRA 48 con la sua

produzione di 10 kt/a (ITEBE, 2001). La

stessa fonte ritiene che nel 2000 il parco

francese di impianti a pellet era costituito

da circa 12 bruciatori di potenza superiore

ai 300 kW, 150 impianti con meno di 100

kW e di (sole, n.d.r.) 600 stufe, il cui

mercato pare però essere in rapida

crescita. I prezzi sono molto differenziati a

seconda del tipo di fornitura (0,025 €/kWh

con autobotte e più del doppio in sacchi) e

costosa risulta anche la segatura a causa

della concorrenza dei pannellifici e delle

cartiere. Germania

In questo grande Paese, in cui, secondo

l’IEA, nel 1999 solo l’1,5% del consumo di

energia primaria era di origine biomassale,

nel 2001 esistevano circa 7,6 milioni di

apparecchiature di riscaldamento a legno

(tra stufe e caldaie di case mono, bi o

trifamiliari) con un aumento del 3,3%

sull’anno precedente. Il consumo

complessivo di questi impianti viene

35 Per l’IEA gli omologhi valori sono 9,6 Mtep/anno e 22,5%.

stimato in 12,3 Mt di legno, vettore

energetico che copre circa il 90% del

consumo dei principali combustibili solidi

impiegati nel riscaldamento domestico.

Recenti studi di C.A.R.M.E.N. (2002)

riferiscono, per l’anno 2001, di una

capacità prod uttiva di sole 23.100

tonnellate di pellet (non interamente

sfruttata) contro un fabbisogno di 37.600

tonnellate da parte di 8.200 riscaldamenti

centrali e 5.300 stufe. La situazione però è

in rapidissima evoluzione, in quanto la

vendita di caldaie da riscaldamento

centrale a pellet fino a 35 kW di potenza è

cresciuto da 800 a 2.400 unità dal 1999 al

2000 e di circa 5.200 nel 2001. Meno

consistente, di circa 3.000 unità, è risultata

invece, nel 2001, la vendita di stufe a

pellet, mentre i teleriscaldamenti a pellet (con potenze tra 150 e 300 kW) si

diffondono con circa 60 nuovi impianti

all’anno.

Per i prossimi anni è previsto che il

numero di acquisti di nuovi impianti

rimanga immutato mentre potranno

notevolmente aumentare le sostituzioni,

perché una legge impone che entro il 2004

vengano sostituite tutte le caldaie più

vecchie di 20 anni. In considerazione di

questa e altre circostanze C.A.R.M.E.N.,

in una proiezione al 2007, prevede un

consumo di 363 kt di pellet e che già nel

2004 la produzione (120 kt) superi il

consumo ritenuto pari a 110 kt.

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I maggiori ostacoli all’espansione del

consumo del pellet in Germania sono dati

dall’insufficienza della logistica (solo poco

più di 200 rivenditori, più diffusi nei Länder

meridionali e molto rari dal parallelo di

Berlino in su)36 e da certe incertezze sulle

qualità ambientali delle installazioni e del

combustibile. A queste remore spera di

ovviare l’Associazione per il pellet da

energia costituito due anni fa, e domiciliato

presso C.A.R.M.E.N..

Per quanto riguarda invece la base di

rifornimento dei pellettifici la Umwelthilfe,

una delle maggiori Associazioni

protezionistiche tedesche, stima che un

quarto degli scarti di lavorazione delle

industrie del legno e derivati (che

dovrebbero corrispondere a circa 5 milioni

di m3 all’anno) attualmente finisca ancora

in discarica (o negli inceneritori, n.d.r.) e

che con questa massa di scarti inutilizzati

si potrebbe fabbricare una quantità di

pellet corrispondente quasi a tutta la

produzione europea e statunitense.

Esperti di biomassa ritengono invece che

circa 300 kt/a di buona materia prima

(piallacci e segatura) sarebbero disponibili

per la produzione di pellet, in un mercato

più ampio nel quale esiste una notevole

concorrenza (da parte di pannellifici,

cartiere e anche industrie chimiche) per

36 Relativamente più numerosi, più di una sessantina, invece sono i costruttori germanici di impianti e stufe a pellet che operano in un mercato sul quale vengono offerti anche molti ottimi prodotti stranieri (austriaci soprattutto, ma anche italiani, svizzeri e scandinavi).

usi materiali dei cascami legnosi

industriali. Svizzera

Da ITEBE (2001) si apprende che: (i)

produzione e richiesta sono in forte

aumento, (ii) il prezzo è elevato perché la

poca segatura disponibile (circa 60.000

tonnellate all’anno) viene contesa da

diversi interessati, e (iii) nel 2001 una

stima del numero degli impianti di

riscaldamento con potenza inferiore a 100

kW ha dato i seguenti risultati: 10.335 a

legna, 1.344 a pellet e 1.143 a cippato.

Ciò però non autorizza a ritenere che il

pellet abbia superato il cippato perché è

probabile che la potenza media dei

bruciatori a pellet sia inferiore a quelle

delle caldaie a cippato. Finlandia

Poco è noto sulla produzione di pellet, che

viene preferenzialmente destinata

all’esportazione (comunicazione personale

da S. Grisotto). Andando un po’ fuori

tema, pare però interessante riferire

quanto recentemente (2002) ha riportato

Dan Asplud. Contributo dell’energia da

legno al consumo energetico nazionale

complessivo pari al 20%, più 4% da torba

e, ancora nelle rinnovabili, 4% di origine

idroelettrica. Campione nella produzione di

elettricità da biomassa (6,7 TWh/anno)

con un bel 10% sulla produzione

complessiva.

Credibili paiono poi anche i grandi progetti

per il futuro che prevedono un aumento

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del 50% dell’energia da fonti rinnovabili da

realizzare principalmente con

dendromassa e suoi derivati. L’ultimo

impianto CHP, entrato in funzione lo

scorso anno a Pietarsaari, ha una potenza

di 240 MWe più 160 MWt (per energia di

processo e teleriscaldamento) e viene

alimentato al 45% con corteccia e residui

delle lavorazioni boschive (150-200 mila

m3 all’anno) nonché dell’industria cartaria

e del legno, e per un altro 45% con torba. Canada

Vendita annuale, in rapida crescita dal

1993 al 1995 e poi abbastanza

stazionaria, attestata attorno alle 70-80

kt/a. Il maggior consumo avviene nelle

province marittime e nel Quebec. Inoltre

esiste anche una certa esportazione (ad

esempio verso la Svezia). Italia

Fino alla manifestazione “Progetto Fuoco”

del 2002, si sapeva poco e si

conoscevano solo i nomi di alcuni grandi

fabbricanti di pellet. In quell’occasione

questa lacuna è stata colmata da Antonio

Panvini (2002) che ha reso noto i risultati

di un’indagine condotta dal Comitato

Termotecnico Italiano, secondo la quale –

per l’annata 2001/2002 – il consumo

nazionale era stimabile in quasi 150.000

tonnellate di cui oltre 1/3 di impostazione.

La produzione risultava molto frammentata

e le 32 aziende censite fabbricavano

quantitativi compresi tra 200 e 25.000

tonnellate all’anno. Dall’indagine risulta poi

anche che l’81% del pellet italiano veniva

fabbricato nella fascia Lombardia – Veneto

– Friuli Venezia-Giulia dove risiede la

metà delle imprese produttrici italiane. Il

secondo polo era invece allocato nell’area

centro-settentrionale (Toscana – Umbria –

Abruzzo) dove un quarto delle industrie

censite produceva il 13,9% del pellet di

fabbricazione nazionale. Relativamente

basso è risultato l’impiego di manodopera

(non sempre a full time e talvolta non

esclusivamente addetta alla

pellettizzazione), in quanto un’unità

lavorativa produceva in media circa 2.000

tonnellate di pellet all’anno.

Secondo un’indagine più recente, condotta

da Panis (2003) con una tesi di laurea

nell’Università di Padova, la pr oduzione

sembrerebbe attestata attorno alle 160 kt,

mentre le importazioni (di difficile

accertamento per la mancanza di una

voce doganale specifica) ammonterebbero

a circa 20 kt.

Questi numeri sono testimonianza della

tumultuosa crescita di una nuova industria

del combustibile che fabbrica un prodotto il

quale evidentemente ha trovato un’ idonea

nicchia nel settore del riscaldamento

casalingo (corre addirittura la voce che

nell’ultimo anno siano state prodotte

20.000 stufe a pellet). Nella produzione

del pellet sembrerebbe raggiunta l’Austria,

che nel consumo verrebbe anche

superata.

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Passando all’Europa nel suo complesso,

Kent Nyström (2002), managing director della Swedish Bioenergy Association, alla

Conferenza Mondiale per il pellet del

2002, ha riferito di una stima di un mercato

europeo di 4-5 milioni di tonnellate per

anno conseguibile nei prossimi 5 anni in

base alle proiezioni eseguite

dall’Associazione Svedese dei produttori

di pellet.

Infine per vedere cosa può – in particolari

casi e situazioni – accadere nel settore dei

pressati combustibili di legno e corteccia,

pare interessante sintetizzare per sommi

capi anche quanto Kojima (2001) ha

riferito sulla situazione giapponese. Per il

suo Paese, nel quale solo lo 0,8%

dell’energia è di produzione biomasale

(specie da reflui di cartiere), questo Autore

riferisce che:

• la fabbricazione di bricchette

(specialmente di corteccia) iniziata nel

1964, ha raggiunto il suo massimo

assoluto già nel 1969 (con una

produzione di ben 945.000 tonnellate

all’anno da parte di 809 imprese) per

poi scendere gradualmente fino alle

122 kt del 1990, anno per il quale

termina la serie storica riportata da

Kojima;

• la fabbricazione del pellet (ancora

principalmente da corteccia di conifere

e per il resto da segatura), iniziata

dalla Kuzumaki Forestry Ltd nel 1982

dopo la seconda crisi petrolifera, ha

raggiunto il suo massimo di 27,7 kt/a

nell’anno 1994, per poi decrescere fino

alle 4,6 kt/a del 1990 e alle 2,3 kt/a

prodotte nel 2000 da parte di sole 3

imprese;

• nel 1999 in Giappone i prezzi

dell’energia erano di 0,060, 0,081-

0,086, 0,164-0,218, 0,033-0,048

€/kWh, rispettivamente per olio

combustibile leggero, gas naturale,

corrente elettrica e pellet; • per i motivi ambientali, politici e

socioeconomici sembra ragionevole

attendersi un “secondo boom della

bioenergia” nel quale il pellet può

essere considerato “la migliore risorsa

energetica alternativa per il settore

domestico”. Come principali motivi di

questo presumibile nuovo boom

l’Autore annovera: mitigazione

dell’effetto serra, conversione di rifiuti

in combustibile, cura delle risorse

energetiche nazionali, creazione di

occupazione e sviluppo dell’economia.

Tutto il mondo è paese.

Informazioni interessanti sulla situazione

giapponese si possono trovare sul sito del

Pellet Club Japan (http://www.jabio.org/pellet).

IL COSTO DEL PELLET E DEL RISCALDAMENTO A PELLET In quasi tutti gli scritti sul pellet, informativi

o scientifici che siano, l’argomento del

costo è affrontarlo o anche posto al centro

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IL PELLET: notizie e informazioni sulla produzione e l’impiego di Bernardo Hellrigl Pagina 31 di 78

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della discussione, e in proposito si

possono osservare i tre seguenti approcci.

1. I semplici confronti dei prezzi delle

unità commerciali dei diversi

combustibili (litro di gasolio,

chilogrammo di pellet, metro cubo

di gas naturale, kilowattora di

energia elettrica, quintale o metro

stero di legna, tonnellata (anidra o

umida) o “metro stero riversato” di

cippato, ecc.) nello stesso Paese,

che, di per sè, non dicono nulla di

direttamente confrontabile e perciò

qui verranno solo marginalmente

accennati.

2. I confronti tra i prezzi delle unità di

energia contenuta nei diversi

combustibili ( €/kJ, €/kcal oppure

€/kWht) che però – pur essendo

ben confrontabili – risultano ancora

insufficienti per fornire informazioni

esaurienti e soddisfacenti per

l’utente. Potrebbero tuttavia servire

a chi intendesse alimentare

manualmente con pellet stufe,

cucine economiche o caminetti

predisposti per altri combustibili

solidi, che però non sempre sono

adatti per il nuovo prodotto.

3. I confronti fra i costi dell’unità di

servizio (kcal, KJ o kWht)

effettivamente erogata nella forma

del prodotto “calore ambientale

domestico”. Anche se sono molto

più difficili da calcolare, ovviamente

solo questi tipi di valori portano a

cluster di dati veramente

confrontabili che possono aiutare il

consumatore a compiere le sue

scelte che fondamentalmente

riguardano due tipi di interventi

(installazioni ex novo e

sostituzioni), che richiedono

approcci metodologici, economici e

mentali diversi37.

Indipendentemente da ogni tipo di calcolo,

una supposizione di convenienza generale

(non solo economica) del pellet, almeno in

qualche tipo di impiego, può però essere

semplicemente desunta dalla rapida

crescita ed espansione territoriale del suo

mercato. Infatti, una regola generale di

ogni tipo di economia razionale dice che

se il mercato di un prodotto cresce, ciò

significa che per esso sussiste una reale

domanda non ancora sufficientemente

soddisfatta o, comunque, in aumento. Ciò,

riferito all’Italia, significa che nel nostro

37 In letteratura di regola si trovano solo confronti tra installazioni ex novo, anche perché nelle sostituzioni le casistiche possono essere molto diverse e andare dalla sostituzione integrale senza modificazione di impianti (una vecchia stufa di ghisa a legna, oppure anche a carbone o legna, viene sostituita da una stufa a pellet) a sostituzioni parziali con relativamente piccole opere murarie (un bruciatore a gasolio viene sostituito da uno a pellet, rendendo però necessaria anche la sostituzione, o modifica, del deposito e del sistema di adduzione del combustibile), oppure a sostituzioni integrali che richiedono grandi opere murarie e impiantistiche (in una casa sinora riscaldata con apparecchi elettrici singoli e sprovvista di camino si vuole impiantare un riscaldamento centrale a pellet).

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Paese – notevole produttore e anche

importatore di pellet – si è creata una

nicchia di mercato per questo prodotto che

però potrebbe avere eroso (o erodere)

quote di consumo di altri vettori energetici

rinnovabili, come la legna da ardere o (per

la sua quota idrogravitazionale) la corrente

elettrica. Considerando il consumo

nazionale di pellet – circa 150.000

tonnellate all’anno secondo Panvini (2002)

e 160.000 + 20.000 t/anno secondo Paniz

(2003) – e ritenendo che la maggioranza

delle famiglie consumatrici impieghi

questo combustibile solo per

riscaldamento occasionale o accessorio, si

potrebbe azzardare che all’attualità in

Italia esistano circa 100.000 famiglie che

impiegano pellet. Ciò, facendo riferimento

alla stima di 18 milioni di “abitazioni

riscaldate” eseguita da Riva (2002),

significherebbe che in Italia, nel

riscaldamento domestico, in 1 abitazione

su circa 180 è coinvolto (o talvolta anche

esclusivo) il pellet.

Venendo al prezzo del pellet, in letteratura

è reperibile un certo numero di dati che

nonostante la loro scarsa significatività,

verranno qui riportati per rendere evidenti

le notevoli differenze che esistono fra i

diversi Paesi.

Procedendo in questo senso si può

iniziare nuovamente con la Svezia, per la

quale il Rapporto UMBERA riporta – per

il 1999 – i seguenti prezzi: per grandi

forniture di pellet 100 € per tonnellata (=

0,021 €/kWh), per pellet in sacchi (da

16 kg) 0,16 €/kg (= 0,034 €/kWh), che

contrappone ai 0,45 €/l (0,046 €/kWh)

per l’olio combustibile per piccole forniture

e 0,84 €/kW he per la corrente elettrica per

il piccolo consumo.

Per la Germania invece la Energieagentur

NRW riferisce (senza indicazione

dell’anno) i seguenti prezzi: materiale in

sacchi 0,22-0,25 €/kg, merce in big-bag

0,20-0,23 €/kg e forniture con autocisterna

180-195 €/tonnellata. Holz, Pro Solar e

HEZ, invece, impiegano nei loro calcoli un

solo prezzo, probabilmente riferito al

rifornimento con autobotte, pari a 164 €/t,

ritenuto pari a 0,032 €/kWh, forse

esagerando un po’ con il contenuto

energetico.

Per l’Austria, Padinger e Spitzer (2001)

riportano invece, per il pellet, un prezzo di

0,159 €/kg (corrispondente a 0,034 €/kWh)

che confrontano con i prezzi (inizio 2001)

dei combustibili concorrenti che sono:

0,059 €/kWh per il gas naturale, 0,041

€/kWh per l’olio combustibile, 0,040 €/kWh

per la legna di faggio (prezzo di mercato)

e 0,014 €/kWh per il cippato

(probabilmente di scarti di segheria) o

legno di risulta.

Per l’Italia invece Panvini (2002) segnala

un prezzo di 0,21-0,26 €/kg e 110-150 €/t,

rispettivamente come prezzo di vendita al

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IL PELLET: notizie e informazioni sulla produzione e l’impiego di Bernardo Hellrigl Pagina 33 di 78

AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

dettaglio e all’ingrosso38. Una più recente

indagine di Paniz (2003) ha invece rilevato

prezzi commerciali al dettaglio oscillanti tra

0,20 e 0,26 €kg e riferisce che i produttori

molto piccoli, agendo spesso nel contesto

di economia informali, praticano talvolta

anche prezzi molto inferiori39.

Notizie comparative più ampie (fra

Nazioni, dalla Finlandia fino al Portogallo,

e fra vettori energetici, dall’elettricità al

pellet), tutte riferite all’unità energetica

intrinseca, sono invece riportate nel

Rapporto UMBERA, dal quale si possono

sinteticamente estrarre (per il settembre

1999) le seguenti indicazioni:

• il costo del pellet variava da minimi

di 0,020 – 0,021 €/kWh (in Olanda,

Norvegia, Svezia e Gran Bretagna)

fino a massimi da 0,041 €/kWh (in

Spagna e Portogallo) a 0,056

€/kWh (Italia)40;

38 Più basso, 0,14 €/kg, risul ta invece il “prezzo medio di mercato” riportato da Giampieri (2002) che è stato determinato come media aritmetica delle diverse “entità della fornitura”. Dai calcoli e dalle assunzioni dello stesso Autore, che è produttore di impianti di pellettizzazione, risulta che il kWh da pellet ha un costo inferiore a quello da metano, gasolio e GPL, rispettivamente, del 42, 58 e 46%. 39 L’ultimo prezzo rilevato in un discaunt di Padova il 14.02.04 per un bel pellet chiaro di origine friulana confezionato in sacchi di plastica di 10 kg (senza indicazione dell’umidità) è stato di 0,245 €/kg. Sul bancale contiguo erano esposti tronchetti pressati (forati e con deprezzatura “a rottura”) al prezzo di 0,167 €/kg 40 Il valore, notevolmente elevato, riportato per l’Italia, probabilmente risente del fatto che si tratta di un prezzo “vecchio” quasi di cinque anni e verosimilmente riferito all’allora esclusiva e rara vendita al dettaglio.

• in 13 dei 15 Paesi considerati

(fanno eccezione la Spagna e la

Germania) il kWh da pellet costava

meno di quello dell’olio

combustibile leggero41;

• altrettanto valeva anche per il gas

naturale con la sola eccezione

della Finlandia dove il kWh da gas

naturale costava solo il 60% di

quello da pellet; • il kWh termico da corrente elettrica

ovviamente costava dappertutto

molto più di quello degli altri vettori

energetici e il suo prezzo superava

quello del pellet di fattori che

variavano da minimi di 2 a 4 (per

Norvegia, Svezia, Spagna e

Portogallo) fino a massimi superiori

a 6 (per Gran Bretagna, Germania,

Olanda e Danimarca).

Un interessante confronto fra l’andamento

nel tempo (gennaio 1999, gennaio 2000,

dicembre 2000 e novembre 2001) del

prezzo del pellet e dell’olio combustibile è

riportata nel numero primavera/estate

2002 della Pelletzeitung austriaca,

pubblicata dalla PVA. I rapporti fra i prezzi

per chilogrammo di pellet e litro di olio

combustibile, per i sopra riportati mesi,

sono, in €uro, 0,17/0,31, 0,17/0,42,

0,19/0,55 e 0,19/0,45. Ammettendo

41 In Germania però negli anni successivi il prezzo dell’olio combustibile è raddoppiato, così che oggi anche in quel Paese il pellet risulta più conveniente.

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l’equivalenza energetica grossolana di 2

kg di pellet e 1 litro di olio combustibile, le

differenze percentuali del costo di una

unità di energia da pellet riferite a quella di

una da gasolio sono perciò risultate pari a

+10%, - 19%, - 31% e - 16%.

Passando invece al decisivo argomento

del costo della caloria usufruita di cui si è

detto al numero 3 dell’elencazione

introduttiva, si deve anzitutto sottolineare

che i calcoli per determinarlo sono

tutt’altro che semplici (e perciò da affidare

ad un vero specialista), perché

coinvolgono un elevato numero di

grandezze e parametri che, tanto per

citarne i principali, vanno dai costi di

investimento al loro saggio di sconto, dai

prezzi di acquisto dell’energia ai costi

monetari della gestione, dal rendimento

termico dei convertitori alle loro “durate di

vita”, dalle sovvenzioni o agevolazioni

fiscali (per le installazioni a combustibili

biomassali) eventualmente esistenti alla

potenza energetica da installare, ecc.

Un esempio interessante di calcolo di

questo genere (che, pur sintetizzato,

riporta 21 differenti voci di spesa) si trova

in HOLZ - PRO SOLAR - HEZ. Da esso

emerge che in Germania, per il

riscaldamento (comprensivo della

preparazione dell’acqua calda sanitaria) di

una casa di 140 m2 con fabbisogno

energetico di 12.500 kWh all’anno,

• il costo annuo complessivo del

riscaldamento con pellet risultava

inferiore rispetto a quello,

rispettivamente, con olio combustibile,

“gas liquido” e con corrente elettrica,

del 8,9%, 11,4% e 18,7%;

• nel confronto del riscaldamento a olio

combustibile con quello a pellet, il

primo risulta:

o meno caro del 21,2% per il costo di

investimento;

o meno caro del 14,7% per il costo

del combustibile;

o più caro del 90% per le spese di

gestione e manutenzione;

• per il riscaldamento con pellet, l’elevato costo di investimento (14.400

€) corrisponde:

o a 28,5 costi annuali di

combustibile;

o a 93,8 costi annuali di gestione e

manutenzione;

o a 21,8 costi annuali di combustibile

più gestione e manutenzione.

Più ridotte e meno favorevoli per il pellet sono invece le differenze riportate da

Rakos (2001) e calcolate per un piccolo

impianto di teleriscaldamento austriaco

con potenza installata di 100 kW e

tubature interrate di soli 50 metri.

Ammettendo per i prezzi dei vettori

energetici i seguenti valori: 0,075 €/kg

per il cippato, 0,138 €/kg per il pellet, 0,440 €/l per l’olio combustibile e 0,480

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€/m3 per il gas naturale i calcoli portano

a costi onnicomprensivi (in Euro all’anno

o Euro al kilowattora) poco diversi tra

loro. Il costo minimo (0,069 €/kWh) si

aggiudica l’impianto a cippato mentre

quello massimo (0,078 €kWh) va al gas

naturale; in posizione intermedia si

pongono i riscaldamenti con olio

combustibile (0,071 €/kWh) e con pellet (0,073 €/kWh)42.

Altrettanto recente (2001) e molto

circostanziato è poi l’interessante studio di

Padinger e Spitzer del prestigioso

Joanneum di Graz, anch’esso riferito alla

situazione austriaca. Dalla complessa

tabella elaborata da questi due Autori, si

può, in sintesi, estrarre che il costo

onnicomprensivo (combustibile + gestione

+ ammortamento all’8%) del chilowattora

utile per l’utente risultava, per il pellet, inferiore a quello da olio combustibile

(0,101 – 0,105 €/kWh) e da gas naturale

(0,117 – 0,119 €/kWh)43 nei seguenti casi:

• per impianti ad alimentazione

manuale (caldaie a legna della

potenza di 15 kW con rendimento

globale medio stagionale pari a

42 A risultati molto simili lo stesso Autore, assieme a Herbert Tretter (ambedue della E.V.A., austriaca) è pervenuto per il riscaldamento di un edificio pubblico di Vienna (Amtshaus Wien 7). 43 I prezzi dell’olio combustibile, del gas naturale e del pellet sono invece indicati con 0,041, 0,059 e 0,034 €/kWh. I rendimenti globali medi stagionali (Jahresnutzungsgrad) per i riscaldamenti con olio combustibili e gas naturale sono indicati come η =

0,7) con costi variabili tra 0,066 e

0,071 €/kWh;

• per impianti ad alimentazione

alternabile (legna e pellet) con

potenze da 25 a 45 kW e η = 0,75,

con costi variabili tra 0,086 e 0,096

€/kWh;

• per impianti con alimentazione

automatica, costruiti

specificamente per la combustione

del pellet, con potenze da 25 a 45 kW e η pari a 0,75, con costi

compresi tra 0,084 e 0,099 €/kWh.

Nei confronti dei costi onnicomprensivi fra

impianti domiciliari alimentati con

dendromasse di vario grado di

“elaborazione” (legna, cippato e pellet44) i

medesimi Autori, per gli apparati per cui

sussiste alternativa tra questi combustibili,

hanno calcolato:

• che con l’impiego del pellet al

posto della legna i costi si

riducevano del 7% per le stufe

(Kaminöfen) con potenza da 3 a 8

kW e = 0,6, del 9% per i “camini

aperti” con 3-8 kW e = 0,4,

dell’8% per le cucine economiche

0,8, mentre risultano minori (η = 0,75 o meno) per i riscaldamenti con pellet. 44 In questi confronti, con riferimento anche alla nota precedente, i prezzi dell’energia primaria sono stati ritenuti pari a 0,014 €/kWh per il cippato e 0,40 €/kWh pe r la legna (di faggio a prezzo di mercato), la quale – nonostante il notevole costo di lavoro che comporta il suo approntamento – non è più costosa dell’olio combustibile e molto più a buon prezzo rispetto al gas naturale.

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con 3-8 kW e = 0,6 e del 3% per

le stufe di maiolica45. Si tratta, per

chi non le conosce, dei rinomati

Kachelöfen, tipici impianti

tradizionali “a legna”, anche oggi

molto apprezzati per la qualità del

calore che erogano e per il posto

che occupano nella “cultura

dell’abitare” di varie regioni

specialmente alpine46 dove

ultimamente vengono prodotte in

”versioni moderne” molto

decorative che possono avere

rendimenti anche superiori all’88%

dovuti alla separazione

dell’afflusso di aria primaria e

secondaria regolato pure da una

sonda lambda;

• che con l’impiego del pellet al

posto del cippato i costi invece

aumentano nelle seguenti notevoli

misure: per le stufe del 36%; per i

camini aperti del 57%, per le

cucine economiche del 39% e per

le stufe di maiolica del 13%.

Per l’Italia recentemente Signorini (2002),

impiegando valori assunti presso

45 E’, in questo caso di un confronto più di carattere nominale, perché sembra che siano pochi i proprietari di queste bellissime stufe che pensano di passare al pellet (il quale, tra l’altro, non è certo un buon produttore di “brace lunga”), anche se diversi fabbricanti oggi producono “moduli per stufe di maiolica”. 46 In Austria, secondo Herlinde Andersam (2000), ne è provvista una abitazione su 7, grandi città comprese.

produttori di caldaie e di pellet47 ha

calcolato il costo annuo onnicomprensivo

del riscaldamento centrale di un

appartamento di 200 m2 con 5

combustibili, addivenendo ai seguenti

risultati: con metano 1.939 €/a, con legna

2.125 €/a, con pellet 2.182 €/a, con

gasolio 3.566 €/a e con GPL 4.114 €/a 48.

Concludendo, l’Autore – che per una

futura produzione di pellet sottolinea la

disponibilità potenziale di potature

frutticole (stimate in 6,2 Mt/a, molto

superiore alle 1,6 Mt/a degli scarti legnosi

industriali non adibiti ad altro impiego) –

vede il maggior campo di impiego del

pellet nelle aree extraurbane come valida

alternativa al gasolio e al GPL.

Ancora per le condizioni italiane un

esauriente studio comparativo del costo

del MWh termico utile è stato predisposto

a cura dell’ENEA da Castellazzi et al. (2002). Anche da questa analisi, riferita a

una caldaia da 100 Kwh operante per

1500 ore all’anno, risulta la convenienza

economica del cippato (55 €/MWh)

rispetto al pellet (59 €/MWh) 49, che però

47 Le informazioni sul potere calorifico del pellet (4,8 Mcal/kg) sono sembrate “eccessivamente elevate” all’Autore che tuttavia le ha impiegate nei calcoli. 48 Per i diversi sistemi caldaia/combustibile sono stati assunti rendimenti termotecnici dell’80%, ad eccezione di quello a metano per il quale è stato ritenuto congruo un rendimento del 90%. 49 Nel confronto cippato-pellet è anche da considerare che il cippato richiede un maggiore volume di deposito (il che può essere importante in città) e che – se non sufficientemente essiccato –

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risulta molto più conveniente del metano

(87 €/Meh) e del gasolio (109 €/MWh), per

i quali non è contemplato il contributo

conto capitale del 30%. Anche da questo

studio emerge la necessità di un’organica

considerazione complessiva: infatti, per

esempio, nel confronto cippato-gasolio i

costi di investimento stanno nel rapporto

22.500/10.000 mentre per il costo del

combustibile lo stesso rapporto diventa

5.000/15.000.

IL CONSUMO DI ENERGIA NELLA PRODUZIONE DEL PELLET Nella bibliografia consultata gli argomenti

del consumo energetico nella produzione

del pellet e delle connesse emissione di

CO2 sono spesso trattate solo

marginalmente. Inoltre le informazioni,

frequentemente di tipo relativo (costo

energetico di fabbricazione rapportato al

contenuto energetico del pellet), non di

rado mancano dell’indicazione della forma

di energia considerata nell’input del

processo produttivo, nonché della

tecnologia usata, della specie legnosa

impiegata e delle caratteristiche fisico-

dimensionali e, soprattutto, idriche del

materiale di partenza.

Un tipico esempio di questo genere si

trova nel riquadro tecnico-merceologico

dell’ottima informativa sul pellet diffusa

dall’Agenzia per l’Energia della Renania

Superiore-Westfalia, nella quale si legge

richiede rifornimenti più ravvicinati per evitare perdite energetiche per fermentazioni.

testualmente “Materia prima: trucioli di

pialla e segatura non trattati

(naturbelassen) ” e “Impiego energetico

per la produzione: circa 3% del contenuto

energetico50”. Attribuendo ad 1 tonnellata

di pellet un contenuto energetico di 17 GJ,

si può calcolare che per la sua produzione

siano mediamente necessari circa 142

kWh, i quali, anche se impiegati nella

forma elettrica, dovrebbero essere stati

calcolati in quella termica51.

Un po’ più elevato, 180 kWh/tpellet, è

invece il consumo energetico di

produzione indicato da Gmür (2000) per la

Svizzera, che corrisponde a circa il 3,8%

del contenuto energetico del granulato

fabbricato, mentre un consumo più basso

(2,7% del proprio contenuto di energia,

ovvero 127 kWh/tpellet) è riportato su un

interessante poster, senza data, della

Regionalenergie Steiermark, basato su

studi di Jensch (1988) e di Bergmair

(1996). In questo poster meraviglia il fatto

che tale percentuale venga indicata come

50 Aggiuntivamente a ciò, nella parte del fascicolo dedicata alle “Richieste alla materia prima” si legge “per un processo ottimale di pellettizzazione, l’umidità massimale del legno è limitata a circa il 14%”, che “pellet fabbricato a partire da “legno di bosco” non è concorrenziale nelle attuali condizioni” e che il costo energetico relativo può leggermente variare, a seconda delle esigenze di lavorazione, specie per quanto riguarda l’essiccazione e la sminuzzazione. 51 Di un rapporto di circa 3/100 scrive anche C.A.R.M.E.N. (2002), facendo però specifico riferimento a trucioli di conifere (Weichholz) con contenuto idrico non superiore al 15% e sottolineando la sostanziosa variabilità del rapporto in relazione alle necessità di triturazione ed essiccamento.

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“consumo energetico a partire dalla

piallatrice, rispettivamente, dalla sega”,

accomunando così in un unico valore il

costo energetico di due processi che – a

causa del differente contenuto idrico del

materiale di partenza – dovrebbe essere

diverso52.

La EcoTre di Settimino in Toscana invece

comunica (in litteris, 10.05.02) che in un

impianto da essa costruito negli U.S.A.

necessita, per la produzione di 1

tonnellata di pellet con umidità del 7 -8%

fabbricato partendo da “scarti di

lavorazione del legno” con umidità del

20%, un consumo di energia elettrica di

soli 35 kWh. Traducendo questi valori in

un rapporto di energia termica si può

calcolare che con il macchinario EcoTre la

produzione del pellet richiede solo un

equivalente del 2,3% del suo contenuto

energetico.

Molto chiari per quanto riguarda la forma

di energia considerata sono anche

Gustavsson e Karlsson (2201) che per la

produzione di 1 “MJ pellets” riportano un

costo energetico di 21 “kJ electricity”, il

che equivale a dire che per la produzione

di 1 tonnellata di pellet (= 17 GJ)

52 Il poster della Regionalenergie Steiermark riporta anche costi energetici relativi (espressi in percentuale del contenuto energetico “all’impiego”) “complessivi ab origine” (cioè calcolati a partire dall’albero in piedi o dal materiale fossile in giacimento) di altre forme di dendromassa (1,2% per legna in catasta, 2% per cippato con uu = 20% e 2,3% per cippato con uu = 30%) e di alcuni importanti combustibili fossili (10% per il gas naturale, 12% per l’olio combustibile extraleggero e 14,5% per il GPL).

occorrono 99 kWh elettrici. Ciò significa

anche che se l’energia elettrica viene

prodotta da un combustibile fossile con un

rendimento del 33%, per produrre 1

tonnellata di pellet sono necessari circa

300 kWh termici (fossili), ovvero occorre

bruciare circa 26 kg di olio combustibile.

Inoltre, dato che 300 kWht equivalgono

all’energia contenuta in 64 kg di pellet; ciò

significa che – secondo Gustavsson e

Karlsson e nel caso da essi contemplato –

il costo energetico della produzione del

pellet corrisponde al 6,4% del suo

contenuto energetico.

Molto specifici (cioè riferiti ad un dato

impianto), puntuali (perché indicanti il

materiale di partenza e il suo grado di

umidità) e differenziati (in quanto distinti

nelle due fasi caratterizzanti del processo)

sono pure i dati contenuti in una recente

ricerca dell’EMPA (Laboratorio federale

svizzero per il controllo dei materiali e la

ricerca) secondo la quale per la

fabbricazione di pellet a partire da

segatura fresca (us = 84%) sono stati

spesi 12,8% e 1,5% del contenuto

energetico del pellet, rispettivamente, per

l’essiccazione (eseguita con energia da

olio combustibile) e per il resto del

processo (alimentato da corrente

elettrica).

Poco diversi dai dati svizzeri sono valori

austriaci riferiti da Gerold Thek (in litteris

08.08.02) il quale, per segatura con

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umidità (u s) fino a 100%, riferisce di un

consumo di energia termica per

l’essiccazione e l’eventuale

condizionamento che può arrivare fino al

20% del contenuto energetico del pellet, al

quale si aggiunge un consumo di energia

elettrica (per la pellettizzazione vera e

propria, dalla triturazione fino al

raffreddamento) che può arrivare fino al

3%, specificando che si tratta di valori di

riferimento che assolutamente non

possono venire generalizzati.

Infine, in una grande LCA per la Svensk

Brikettenergi (importante compagnia con

16 impianti di produzione in Svezia e uno

in Latvia), Arvidson (1997), citato da

Hirsmark (2001), ha calcolato che per la

fabbricazione commercializzazione di

dendrocombustibili densificati (= DBF =

bricchette e pellets) con un contenuto

energetico di 1 MWh sono necessari 153

kWh di energia di cui 110 per

l’essiccazione53, 21 per consumi elettrici e

16 per trasporti (agli impianti e poi agli

utenti).

Le grandi differenze di costo energetico

assoluto e/o relativo riscontrabili in queste

citazioni sono dovute principalmente

all’umidità del materiale di partenza

impiegato e al tipo di costo considerato

(“aziendale” o di “cicli di vita”). Inoltre, la

pellettizzazione, e spesso anche la

53 Interessante per questa onerosa fase di produzione, che viene condotta con energia termica da dendromassa, è che essa necessita, come energia ausiliaria, solo il 3,8% di non-bioenergy input.

frammentazione/triturazione, è più

onerosa per il legno di latifoglie.

Molto interessante, in questo senso, è il

“design tecnico usuale di un impianto di

pellettizzazione” riportato da Rapp (2001),

che, organizzato come segue,

• essiccazione: 1 MWh per

ogni tonnellata di acqua evaporata;

• triturazione: 15 kWh per

tonnellata di materiale triturato;

• pellettizzazione: 60 kWh per

tonnellata di pellet prodotto;

• raffreddamento: 5 kWh per

tonnellata di pellet raffreddato,

con l’originale strutturazione della prima

voce, mette in giusta evidenza la

variabilissima e incisiva incidenza della

fase di essiccazione.

Non facili da interpretare sono invece le

magre 25 righe (su 82 pagine) che il

Rapporto UMBERA (2000) dedica

all’argomento, delle quali qui si riportano i

tre punti conclusivi, che sono i seguenti.

• La richiesta energetica per la

pellettizzazione (includendo il

condizionamento) varia da 80 a 130

kWh/t. Lo specifico ammontare dipende

da diversi fattori di produzione

(lubrificanti, vaglio, frantumazione,

matrici, ecc.).

• Una tonnellata di legno secco (dry)

contiene l’equivalente energetico di

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1.000 kWh-forza (kWh-power) oppure di

4.500 kWh-calore (kWh-heat). • Basata su questo rapporto e sulle

indicazioni dei consumi dichiarate dai

produttori54, per la quantità di energia

(espressa in forma termica) richiesta per

la pellettizzazione dovrebbe valere che:

o un corrispondente dell’ 8 a 13% del

contenuto energetico del pellet è

necessario per pellettizzare

materiale secco;

o un corrispondente del 10 a 25% del

contenuto energetico del pellet occorre per la pellettizzazione di

materiale umido (wet), quale

segatura, includendo

l’essiccazione;

o un corrispondente del 18 a 35% del

contenuto energetico del pellet dovrebbe essere richiesto per il

processo di pellettizzazione di

cippato (verosimilmente fresco

n.d.r.), includendo l’essiccazione e

la frammentazione.

Nel loro complesso i valori superiori di

questa tripletta di range di consumi

paiono piuttosto elevati, ma vengono qui

doverosamente riportati anche in

considerazione dello staff di specialisti che

ha concorso alla redazione del Rapporto

UMBERA.

54 A proposito di questi valori dichiarati (che qui non si riportano nel dettaglio), il rapporto fa notare che dal punto di vista della fisica non è lecito che kWh-power (per il macchinario della pellettizzazione) vengono mescolati (is mixed up) con kWh-heat (del contenuto energetico del legno).

Comunque casi di consumi spaventosi

come l’ultimo riportato – nei quali il pellet prodotto verrebbe a valere

energeticamente meno del triplo

dell’energia impiegata nel processo di

fabbricazione – sembrano da ritenere

veramente eccezionali e dovrebbero poter

avvenire solamente se

contemporaneamente si verificassero:

• la necessità tecnica o la convenienza

economica di impiegare materiale fresco

molto grossolano e con elevatissimo

grado di umidità;

• l’impiego di un’onerosissima tecnologia

di essiccazione che si avvalga di calore

prodotto da energia elettrica di

derivazione fossile.

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Contenuto idrico del legno umido (uu%) 60 50 40 30 20

Contenuto idrico del legno essiccato (uu%) 13 13 13 13 13

Acqua da sottrarre a 1 kg di legno umido (kg) 0,47 0,37 0,27 0,17 0,07

Energia di evaporazione necessaria (Wh/kg.l.u.) 319 251 183 115 47

Contenuto energetico del legno umido (Wh/kg.l.u.) 1649 2231 2812 3394 3976

Quantità di legno umido occorrente per l’essiccaz. (kg) 0,228 0,132 0,077 0,040 0,014

Quantità percent. aggiuntiva di l.u. occorrente (%) 22,8 13,2 7,7 4,0 1,34 Quantità di pellet occorr. per essiccare 1 kg di l.u. (kg) 0,080 0,063 0,046 0,029 0,012

Quantità di olio comb. occorrente per ess. 1 kg l.u. (kg) 0,033 0,026 0,019 0,012 0,005

Quantità di legno umido occ. per fabbr. 1 kg pellet (kg) 2,315 1,852 1,543 1323 1,157

Quantità di pellet occorrente. per 1 kg di pellet(*) (kg) 0,185 0,117 0,071 0,038 0,014

Quantità percentuale di pellet occorrente (%) 18,5 11,7 7,1 3,8 1,4

(*) Quantità di pellet occorrente per essiccare il legno umido necessario per la fabbricazione di 1 kg di pellet.

Tabella 4 - Costo energetico dell’essiccazione di 1 kg di legno umido fino a un contenuto idrico (uu) di

11-15% circa.

Per inserire un punto di riferimento in

questo abbastanza movimentato

panorama di letteratura, nella tabella 1

sono state calcolate le quantità di legno

umido, di pellet o di olio combustibile

occorrenti per produrre (con rendimento

termotecnico dell’85%) l’energia

necessaria per evaporare l’acqua in

eccesso nel legno umido. Pur trattandosi

di quantità teoriche che non tengono conto

di alcuna integrazione energetica e che

fanno riferimento ad un altrettanto teorico

processo di disidratazione per sola

somministrazione di calore, questi valori

possono essere di una certa utilità per

formasi un’idea sui consumi materiali e

energetici della fase dell’essiccazione del

materiale di partenza.

Quanto esposto nella tabella 4 riguarda

però solo il consumo energetico della fase

di processo relativa all’essiccazione del

legno, ma non anche l’intero costo

energetico nella filiera del pellet, dall’albero in bosco fino al consumatore.

Per addivenire a questo costo

complessivo bisogna perciò considerare

anche il consumo energetico delle altre

fasi del processo industriale e aggiungervi

il costo energetico (antecedente) del

materiale che viene pellettizzato

(attualmente costituito quasi sempre da

trucioli di piallatura o da segatura) e il

costo energetico (successivo) della

commercializzazione e dei trasporti fino al

consumatore. In altre parole, bisogna

eseguire una life cycle analysis (LCA) che

abbia per unità funzionale un’unità di peso

del pellet o anche una sua unità di

contenuto energetico.

Essendo la materia prima per la

fabbricazione del pellet un coprodotto di

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un prodotto principale oggi generalmente

costituito da un segato, piallato, tranciato o

sfogliato, nel contesto di una siffatta LCA

sorge anzitutto il problema dell’attribuzione

ad essa della parte di spettanza del costo

energetico dell’insieme prodotto-coprodotti

avvenuto fino al momento della “nascita”

del coprodotto. Sorge cioè un problema di

allocazione di input energetici pregressi a

proposito della quale il Working Group 1

(WG1) della COST Action E9 (Berg 2001)

suggerisce “che i flussi vengano allocati in

tutti i prodotti o servizi che hanno un

valore monetario”, e ritiene, per i prodotti

forestali, “as reasonable” una ripartizione

in base al peso55. Altrettanto vale per i

coprodotti prezzabili (cortecce, sciaveri,

refili, ecc.) che vengono impiegati per la

produzione di energia di processo.

Ai sensi dell’allocazione dei costi

energetici in relazione al peso, se nella

lavorazione di 1 tonnellata di tondame da

sega vengono prodotte anche 0,15 t di

perline grezze nella cui successiva

piallatura e profilatura vengono prodotti

20% di trucioli di pialla, a questi ultimi – se

possono essere venduti a un pellettificio –

va attribuito:

• il 15% del 78% del costo energetico

assommato della produzione

(boschiva) del legno, dell’abbattimento,

55 Non vengono però esclusi altri criteri di allocazione, quali il volume o il valore monetario. Prospettive e punti di vista per l’allocazione sono forniti dal WG III (Jungmeier et al., 2001)

allestimento e smacchio, del trasporto

in segheria, della scortecciatura e della

segagione56;

• il 20% del costo energetico

dell’essiccazione delle perline grezze

e della loro piallatura e profilatura;

• il 100% del costo del trasporto dei

piallacci dalla segheria al pellettificio57.

Se, invece, l’allocazione viene eseguita in

base ai prezzi di vendita, i termini

quantificativi del problema cambiano

completamente perché, per fare un

esempio, a parità di grado di umidità 1

tonnellata di segatura vale al massimo,

per legname da sega ordinario, 1/10 del

valore di 1 tonnellata di segato tombante

fresco.

Non di rado però il costo energetico della

materia prima – e, se del caso, anche di

una fonte di energia di processo – non

viene considerato in quanto

56 Nel prodotto 0,15 x 0,78 = 0,117 (= 11,7%) lo 0,15% rappresenta l’aliquota di perline grezze sul segato grezzo complessivo che, a sua volta, corrisponde allo 0,78 del tondo scortecciato. Il restante 22% è costituito da altri coprodotti prezzati (sciaveri, refili, troncature) soggetti ed allocazione. Nulla viene invece allocato alla corteccia che, non avendo prezzo, è un vero rifiuto. 57 Il criterio (ecologico) dell’attribuzione pro rata ponderale dei costi energetici pregressi è sorretto dal fatto che – nel caso illustrato – all’inizio della filiera del truciolo, cioè in bosco, i futuri trucioli di pialla sono indistinta parte dei tronchi che vengono esboscati. E rimangono, in seguito, indistinta parte dei tronchi trasportati, del legno dei tronchi scortecciati e delle perline grezze, prima e dopo l’essiccazione. Diventano specificamente esistenti solo all’atto della profilatura e piallatura delle perline essiccate, portandosi però addosso, pro rata,

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nell’allocazione dei costi di filiera quelli

antecedenti e di processo vengono tutti

ripartiti fra i prodotti industriali (tavolame e

perline piallate nel caso dell’esempio

fatto), lasciando così a costo energetico

nullo gli “scarti” industriali (i quali, nel caso

illustrato, sono i trucioli di pialla, la

segatura, le troncature, gli sciaveri e i refili

che tutti sono materialmente “caduti”, pro rata, nella produzione del tavolame grezzo

e delle perline sagomate e piallate). Su

questo argomento si tornerà ancora alla

fine del sottocapitolo successivo.

Per evitare inutili lungaggini e noiose

ripetizioni, opportune quantificazioni

esemplificative dei costi energetici della

fabbricazione del pellet in due linee di

processo alimentare con combustibili

diversi (fossili e biomassali) verranno

incluse nei calcoli del capitoletto che

segue. LE EMISSIONI DI CARBONIO NELLA PRODUZIONE DEL PELLET Nell’importante argomento delle emissioni

di carbonio nella produzione del pellet, il problema assume aspetti e dimensioni

(contabili) diversi a seconda del tipo di

energia impiegata (o impiegabile) nelle

varie fasi della filiera di prodotto che va

dall’approvvigionamento della materia

prima fino al prodotto finito insilato in

stabilimento.

tutti i costi energetici della loro passata esistenza

La distinzione dei vari tipi di energia

impiegati e delle fonti da cui provengono,

è di fondamentale importanza per il

bilancio del carbonio dell’atmosfera per i

motivi che ora verranno sinteticamente

richiamati.

Facendo riferimento alle tecnologie di

produzione più usuali e alla

pellettizzazione di segatura umida si può

constatare che generalmente viene (o

deve venire) impiegata:

1. energia termica per l’essiccazione

della segatura e per la produzione del

vapore per l’eventuale

condizionamento;

2. energia elettrica per le restanti fasi del

processo (triturazione, pellettizzazione,

raffreddamento e movimentazioni con

nastri trasportatori);

3. energia meccanica per i trasporti e le

movimentazioni su ruota.

A ciò poi si deve aggiungere che mentre

l’energia meccanica, almeno all’attualità, è

quasi sempre di derivazione fossile

(generalmente da gasolio), quella termica

e elettrica possono essere tanto di

derivazione fossile (da olio combustibile,

gas naturale o carbone) integrale o

parziale58, quanto di derivazione

dendromassale (da cortecce, segatura

umida o cippato) oppure, più

indistinta. 58 La derivazione fossile integrale si ha negli impianti aziendali, mentre quella parziale si ha nell’impiego di energia elettrica da rete alla cui produzione concorrono anche energie primarie non fossili (idroelettrica, eolica, nucleare, ecc.).

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genericamente, di derivazione biomassale.

L’energia di origine dendromassale come

tale59, a causa della rinnovabilità del legno,

può essere (contabilmente) considerata,

almeno in prima battuta, ad emissione

carbonica nulla. Questa circostanza dell’emissione zero ovviamente deve

essere intesa in un senso figurato (o

contabile) e non anche in quello materiale,

in quanto pure nella combustione della

dendromassa viene emessa CO2 (e, anzi,

per kWh prodotto, molta CO2); questa CO2 però è “recente” (cioè presa da poco “in

prestito” dall’atmosfera) e di conseguenza

si configura come innocua “partita di giro”

nel bilancio del carbonio dell’atmosfera60.

Le emissioni di CO2 da combustibili fossili

59 La specificazione “come tale” è da intendere nel senso di “senza considerazione dell’energia fossile consumata nella sua produzione biologica e tecnologica”. 60 In una accezione più ampia e teorizzata (= seconda battuta) questa fondamentale constatazione, in certi tipi di considerazioni, può però anche essere messa, almeno parzialmente, in discussione. Ciò in quanto – ipotizzando l’esistenza di un sistema mondiale nel quale sussista una certa richiesta di energia e una data disponibilità di biomassa per impiego energetico – la dendromassa impiegata per produrre energia di processo per la fabbricazione di pellet potrebbe “spendere” la sua utilità di surrogazione energetica anche in un altro luogo per un altro processo, oppure – se non venisse bruciata – potrebbe far aumentare la quantità di pellet prodotta. In concreto poi questa considerazione (del tipo di quelle del “costo opportunità” dell’economia) può venire anche allargata, mutatis mutandis, agli usi alternativi ai quali potrebbe venire destinata la dendromassa in oggetto. Così , ad esempio, il beneficio non sussisterebbe se venissero bruciati sciaveri o refili che potrebbero servire per la produzione di pannelli truciolari (con leganti amilacei) che a fine servizio venissero utilmente bruciati.

sono invece di natura “antica” (in quanto

consistono nella rimessa in circolazione di

carbonio assente dall’atmosfera da milioni

di anni) e pertanto diventano dannose e

squilibranti “partite di entrata” nel bilancio

del carbonio dell’atmosfera.

Nella fabbricazione del pellet, e in

particolare per la fase dell’essiccazione

della materia prima, si va sempre più

diffondendo la produzione di energia da

dendromassa, con evidenti vantaggi

ecologico-ambientali e spesso anche

economici. Così , se l’essiccazione della

segatura viene eseguita con energia

termica di origine dendromassale, essa,

pur tenendo conto anche dei consumi

accessori di energia fossile accennati nella

nota 52, diventa un segmento di processo

ad emissione molto ridotta di CO2 nociva.

Altrettanto vale per il segmento della

pellettizzazione se questo viene governato

con energia elettrica autoprodotta in un

impianto di generazione (o di

cogenerazione61) alimentato con corteccia

e/o segatura.

Del tutto diverso è invece il quadro

dell’emissione di CO2 se l’energia termica

per l’essiccazione è di diretta derivazione

fossile62 e l’energia elettrica per la

61 Facendo ricorso alla cogenerazione e impiegando l’energia termica risultante nell’essiccazione della segatura, le emissioni di CO2 nocive si riducono ancora sensibilmente. 62 Si dice “derivazione diretta”, cioè energia termica ricavata da combustione di vettori fossili, perché

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pellettizzazione viene da un impianto

termoelettrico alimentato da un

combustibile fossile. In questo caso infatti

tutta l’energia consumata nel processo

industriale dà luogo a emissione (nociva)

di CO2 antica63.

Per fare un confronto tra i due scenari

principali ora sommariamente abbozzati, si

può costruire un esempio illustrativo della

fabbricazione di pellet con segatura fresca

(us = 80%, corrispondente a uu = 44,4%),

basato sulle seguenti supposizioni e

parametrazioni generali e alternative:

• quantità di segatura fresca (SF)

occorrente per la fabbricazione

materiale di 1 tonnellata di pellet (P)

pari a 1,667 tonnellate64;

• costo energetico per la produzione di 1

tonnellata di pellet pari a 600 kWht per

l’essiccazione, 60 kWhe per la

pellettizzazione e 30 kWht per attività

accessorie;

• essiccazione della segatura fresca:

o con energia termica da olio

combustibile (OC), con potere

calorifico di 11,4 kWh/kg ed

ricavare energia termica da energia elettrica di qualsiasi origine sarebbe uno spreco persino in Norvegia o nel Canada. 63 Se invece l’energia elettrica è “da rete”, l’emissione di CO2 antica è minore nella misura in cui il mix energetico nazionale della corrente elettrica è alimentato da fonti rinnovabili o dal nucleare 64 Valore calcolato come rapporto tra il contenuto idrico della segatura fresca (80% sul peso anidro) e del pellet (8% sul peso anidro) ed eseguito come 1,8 : 1,08 = 1,667 tSF/tP.

emissione di carbonio pari a 0,96

kgC/kgOC(65), impiegato in

bruciatore con rendimento

termotecnico dell’85% o, in

alternativa,

o con energia termica da segatura

fresca (SF), con potere calorifico di

2,5 kWh/kgSF, impiegata in

bruciatore con rendimento

termotecnico dell’80%;

• rendimento della centrale elettrica “a

fossile” (alimentata da olio

combustibile con potere calorifico di

11,4 kWh/kg) pari a 33%;

• rendimento della centrale elettrica

aziendale a segatura uguale al 27%,

considerata non cogenerativa;

• emissione (pregressa) di carbonio

fossile nella produzione di 1 tonnellata

di segatura fresca – per produzione

forestale, trasporto in segheria (80

km), segagione e trasporto al

pellettificio (50 km) con allocazione in

ragione del peso – pari a 17 kgC/tSF66.

65 L’emissione di carbonio di 1 kg di olio combustibile è stata elevata dagli 0,86 kgC/kgOC concreti agli 0,96 kgC/kgOC contabili per tenere conto delle emissioni e perdite nel processo di produzione (emissioni per estrazione, trasporto, raffinazione, trasporto all’utenza finale e perdite materiali). Altrettanto vale anche per il gasolio impiegato per le sopra nominate attività accessorie. 66 L’incerto valore di 17 kgC/tSF è stato calcolato estrapolando i valori di alcuni moduli (produzione boschiva, trasporto e segagione) di LCA germaniche e considerando valori emessi da alcune realtà alpine italiane. L’ammontare relativamente alto del valore è dovuto al fatto che nei trasporti e nelle manipolazioni viene sempre movimentato una notevole massa di acqua e che nel secondo trasporto un autotreno con portata utile di 32 t e cassoni

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Sulla scorta di questi dati ipotizzati, nel

caso di impiego di energia da combustibile fossile per l’essiccazione

della segatura fresca (SF) e per la

produzione dell’energia elettrica di

processo (= procedimento OC), per la

fabbricazione di 1 tonnellata di pellet (P)

si può calcolare:

• impiego di segatura fresca (SF) per la

produzione materiale della tonnellata

di pellet 1.800 kgSF/tSLA : 1,08 tP/tSLA =

1667 kg SF/tP;

collegata (pregressa) emissione di

nociva CO2 da combustibili fossili

1.667 kgSF/tP x 0,017 kgC/kgSF x

3,667 = 103,9 kgCO2/tP(67);

• consumo di olio combustibile (OC) per

l’essiccazione

600 kWht/tP : 11,4 kWht/kgOC :

0,85 = 61,9 kgOC/tP;

conseguente emissione di nociva CO2

da combustibile fossile

61,9 kgOC/tP x 0,96 kgC/kgOC x

3,667 = 217,9 kgCO2/tP;

• consumo di OC per la produzione di

energia elettrica per la pellettizzazione

60 kWhe/tP : 11,4 kWht/kgOC :

0,33 kWhe/kWht = 15,9 kgOC/tP;

capaci di 85 mc ad ogni viaggio vengono trasportati solo 85 msr SF × [0,42 tDMA/m3A × (1,8 tDMF/tDMA : 1,12 m3F/m3A) × 0,25 m3/msr] = 14,3 tSF di legno di abete rosso con ρo = 0,42 g/cm3. 67 Il coefficiente 3,667 (= 44 : 12) esprime il rapporto tra i pesi molecolari di CO2 e C.

conseguente emissione di nociva CO2

da combustibile fossile

15,9 kgOC/tP x 0,96 kgC/kgOC x

3,667 = 56,0 kgCO2/tP;

• consumo di gasolio (G) per attività

accessorie68

30 kWh/tP : 11,6 kWh/kgG : 0,25 =

10,3 kgG/tP;

conseguente emissione nociva di CO2

da combustibile fossile

10,3 kgG/tP x 0.96 kgC/kgG x

3,667 = 36,3 kgCO2/tP;

• emissione complessiva di nociva CO2

antica (CO2a) da combustibile fossile

103,9 + 217,9 + 56,0 + 36,3 =

414,1 kgCO2 a/tP, frazionabile in:

310,2 kgCO2a/tP per consumo

energetico di processo, e

103,9 kgCO2a/tP per costo

energetico della segatura del

pellet.

Per il caso di impiego di energia termica ed elettrica autoprodotta con segatura fresca (= procedimento SF) il calcolo –

eseguito, per la segatura, con il criterio

dell’allocazione in ragione del peso –

diventa invece il seguente:

• impiego di segatura fresca (SF) per la

produzione materiale di pellet

68 Nelle attività accessorie, considerate con rendimento del 25%, sono ritenuti inclusi anche i costi carbonici della costruzione e manutenzione dello stabilimento nonché quelli del suo futuro smantellamento.

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1.800 kgSF/tSLA : 1,08 tP/tSLA =

1667 kg SF/tP;

collegata (pregressa) emissione di

nociva CO2 da combustibili fossili

1.667 kgSF/tP x 0,017 kgC/kgSF x

3,667 = 103,9 kgCO2/tP;

• consumo di segatura fresca (SF) per

l’essiccazione:

600 kWht/tP : 2,5 kWht/kgSF : 0,8 =

300,0 kgSF/tP

conseguente emissione attuale di

ininfluente CO2 da dendromassa

300,0 kgSF/tP x 0,28 kgC/kgSF x

3,667 = 308,0 kgCO2/tP(69);

e pregressa emissione di nociva CO2

fossile nella produzione della SF

300,0 kgSF/tP x 0,017 kgC/kgSF x

3,667 = 18,7 kgCO2/tP;

• consumo di SF per la produzione di

energia elettrica per la pellettizzazione

60 kWhe/tP : 2,5 kWht/kgSF : 0,27

kWhe/kWht = 88,9 kgSF/tP(70)

conseguente emissione attuale di

ininfluente CO2 da dendromassa

88,9 kgSF/tP x 0,28 kgC/kgSF x

3,667 = 91,3 kgCO2;

e pregressa emissione di nociva CO2

fossile nella produzione di SF

69 Il valore 0,28 kgC/kgSF è stato calcolato considerando che in 1 kg di segatura fresca (con uu = 44,4%) sono contenuti solo 0,556 kg di sostanza legnosa anidra, che contiene il 50% (in peso) di carbonio. 70 Si annota che nell’alternativa precedente con i 300,0 + 88,9 = 388,9 kg di segatura fresca ora impiegata come combustibile si sarebbero potuti alternativamente produrre 388,9 kgSF : 1,8 kgSF/kgDA x 1,08 kgP/kgDA = 233,3 kg di pellet.

88,9 kgSF/tP x 0,017 kgC/kgSF x

3,667 = 5,5 kgCO2/tP;

• consumo di gasolio (G) per attività

accessorie71

30 kWht/tP : 11,6 kWht/kgG : 0,25 =

10,3 kgG/tP;

conseguente emissione nociva di CO2

da combustibile fossile

10,3 kgG/tP x 0.96 kgC/kgG x

3,667 = 36,3 kgCO2/tP;

• emissione complessiva di ininfluente

CO2 da dendromassa

308,0 + 91,3 = 399,3 kgCO2

recente/tP;

• emissione complessiva di nociva CO2

antica (CO2a) da combustibile fossile

103,9 + 18,7 + 5,5 + 36,3 = 164,4

kgCO2 a/tP, frazionabile in:

36,3 kgCO2a/tP per consumo

energetico di processo da combustibili

fossili,

24,2 kgCO2a/tP per costo energetico

della segatura per uso energetico, e

103,9 kgCO2a/tP per costo

energetico della segatura del

pellet.

71 Vale quanto detto nella nota 55.

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Emissione di CO2 antica (kgCO2a/tP) CRITERIO DI CONSIDERAZIONE DELLA SEGATURA Per il pellet Per energia

da OC Per energia da SF Totale

Con costo carbonico pregresso

Procedim. OC con alloc. per peso 103,9 310,2 414,1 Procedim. SF con alloc. per peso 103,9 36,3 24,2 164,4

Procedim. OC con alloc. per valore 22,0 310,2 332,2 Procedim. SF con alloc. per valore 22,0 36,3 5,1 63,4 Senza costo carbonico pregresso

Processo OC 310,2 310,2 Processo SF 36,3 36,3

Nota Gli acronimi impiegati stanno per: olio combustibile (OC) e segatura fresca (SF).

Tabella 5 - Emissione di CO2 antica per la fabbricazione di 1 tonnellata di pellet.

Con i risultati finali di queste due serie di

calcoli sommari si è costruita la tabella 5

dalla quale emerge anzitutto l’incidenza

fondamentale del criterio di allocazione del

costo carbonico pregresso della segatura

fresca sia per quanto riguarda il suo ruolo,

sempre esistente, di materia prima del

pellet, sia per quanto consegue al suo

impiego quale fonte energetica per le

principali fasi del processo di produzione.

Per rendere evidente la grande influenza

del criterio di allocazione del costo

carbonico della segatura fresca sul totale

(contabile) delle emissioni di CO2 antica,

nel primo blocco di valori della tabella 5,

dopo i costi calcolati con le allocazioni

riferite al peso, si sono inseriti (in carattere

corsivo) anche quelli risultanti da

un’allocazione del costo carbonico della

SF in ragione del valore72. I cali dei costi

72 Per questa allocazione si è ammesso che il prezzo della segatura fresca possa essere di 1/10 del prezzo del segato tombante grezzo; si è pure tenuto conto del fatto che nel secondo trasporto (i 50 km dalla segheria al pellettificio) la segatura è già prodotto e quindi ha allocazione 100%. Ciò considerato il

carbonici risultanti da questa allocazione

in ragione del valore, che incidono

soprattutto sul costo carbonico della

segatura da pellettizzare, sono notevoli e

precisamente – 20% per il procedimento

OC e – 61% per il procedimento SF.

Per il blocco “Senza costo carbonico

pregresso” (= nessuna allocazione di input pregressi al sottoprodotto segatura fresca

considerato scarto senza valore) è stato

cambiato lo scenario di filiera, che diventa

“pellettizzazione in segheria” e, perciò,

considera solo la “produzione” della

segatura e non anche il suo successivo

trasporto al pellettificio, il cui costo

carbonico non sarebbe stato in alcun

modo eludibile.

Non si è invece presa in esame l’ipotesi

dell’impiego di materiale secco (trucioli di

pialla anziché segatura fresca), perché nel

criterio dell’allocazione in ragione del peso

si sarebbe trattato solo di trasferimento ad

costo carbonico della segatura fresca franco pellettificio ammonta a circa 3,6 kgC/tSF.

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altra partita da un medesimo costo

carbonico. Infatti essiccare le perline

grezze fresche (dalle quali poi verranno i

piallacci) costa, per unità di peso fresco,

grosso modo la stessa quantità di energia

che l’essiccazione della segatura fresca.

LE EMISSIONI DI CARBONIO NELL’IMPIEGO DEL PELLET E LE CONCOMITANTI EVITATE EMISSIONI DI CARBONIO ANTICO Anche le emissioni di carbonio che

avvengono nell’impiego di pellet per uso

combustibile sono di due tipi, e cioè: 1. anidride carbonica di origine

biomassale emessa nella

combustione del pellet che,

ammontando a (1 kgDA : 1,08) kgP x

0,5 kgC/kgDA x 3,667 = 1,7 kg

CO2/kgP, costituisce la stragrande

maggioranza delle emissioni di CO2 , e che – nelle condizioni di equilibrio (o

sovraequilibrio73) assestamentale qui

sempre considerate – non da luogo ad aumento dell’effetto serra;

2. anidride carbonica di origine fossile emessa nella

commercializzazione del pellet74 e

73 Per “equilibrio sovrassestamentale” si intende la condizione di gestione boschiva in cui l’asportazione di carbonio con le utilizzazioni è inferiore alla produzione ecosistemica netta. E’, in concreto, quanto oggi avviene in quasi tutte le aree forestali europee. 74 Per evitare doppie imposizioni qui non vengono più considerati i costi carbonici della produzione del pellet (delle quali si è detto al capitolo precedente) ma solo quelle che avvengono fra l’uscita dal pellettificio e l’impiego.

nella gestione del bruciatore75, che

costituisce una quantità esigua rispetto alla precedente, ma contribuisce all’aumento dell’effetto serra.

In concreto le emissioni di CO2 antica per i

trasporti (dal produttore al distributore e da

questo fino al consumatore), nel caso di

consegne sufficientemente ben oganizzate

e di un percorso medio andata+ritorno di

120 km, non dovrebbero superare lo 0,3%

delle emissioni di CO2 recente della

combustione del pellet trasportato.

Tuttavia, nel caso di acquisto in sacchi al

supermercato e allocazione del consumo

di carburante dell’autovettura secondo il

peso, il rapporto CO2a/CO2r anche

superare il 5%.

Se, come pare lecito fare, si presume che

alla produzione di energia termica alla

quale viene fatto riferimento si debba

comunque in qualche maniera provvedere,

nel caso in cui il combustibile che viene

sostituito sia di origine fossile (gas

naturale, olio combustibile, carbone o

lignite), l’impiego del pellet dà luogo al cosiddetto effetto di surrogazione energetica (energy substitution, Energiesubstitution), ovvero a produzione

75 Da un certificato di prova di una caldaia austriaca a pellet della potenza nominale di 25 kW risulta che la richiesta di energia elettrica di esercizio (per motori e dispositivi di accensione) ammonta a circa l’1% della potenza nominale. Più elevato è generalmente il consumo di energia da carburanti fossili nel trasporto del pellet, che può essere anche molto lungo (in Campania viene commercializzato pellet prodotto in Latvia).

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di energia termica con emissione di CO2

neutrale (nei riguardi del contenuto di

carbonio dall’atmosfera) invece che di CO2

aggiuntiva, cioè nociva. Questa

sostituzione energetica dà luogo all’importante effetto dell’evitato consumo di energia fossile, ovvero, in

altri termini, all’evitata emissione di carbonio antico (avoided emission, vermiedene Emission).

Seguendo questo ragionamento si può

anzitutto constatare che nella produzione

di energia termica con combustibili “pronti

per l’uso nel luogo dell’impiego”76, a parità

di rendimento termotecnico:

• 1 chilogrammo di pellet sarà in grado

di sostituire il consumo,

rispettivamente, di 0,35 kg di gas

naturale, di 0,41 kg di olio combustibile

e di 0,58 kg di antracite77;

• 1 chilowattora prodotto con pellet evita

l’immissione in atmosfera ,

rispettivamente:

di 0,21 kg di CO2 antica, se viene

sostituito gas naturale;

di 0,28 kg di CO2 antica, se viene

sostituito olio combustibile;

di 0,41 kg di CO2 antica, se viene

sostituita antracite.

76 I valori che seguono sono stati calcolati sulle seguenti basi: pellet 4,7 kWh/kg e 0,46 kgC/kg; gas naturale 13,4 kWh/kg, 0,72 kg/m3 e 0,75 kgC/kg; olio combustibile 11,4 kWh/kg, 0,92 kg/m3 e 0,86 kgC/kg; antracite 8,1 kWh/kg e 0,91 kgC/kg. 77 Argomentando in termini di m3 per il gas naturale e di litri per l’olio combustibile, le quantità sostituite diventano 0,49 m3GN/kgP e 0,45 litriG/kgP.

Questi valori – calcolati, come sottolineato,

per “combustibili pronti per l’uso nel luogo

di impiego” – delineano però un quadro

distorto dell’evitato consumo di energia

fossile e della conseguente evitata

emissione di carbonio antico, perché non

considerano le emissioni antecedenti di

carbonio antico che avvengono lungo le

rispettive filiere di produzione (dal luogo di

origine al luogo dell’impiego), delle quali si

dirà subito appresso.

Per addivenire a risultati soddisfacenti e

sostenibili dal punto di vista ecologico-

ambientale è perciò necessario eseguire

analisi di ciclo di vita (“dalla culla alla

tomba”) per le diverse filiere di produzione

del pellet (con tutte le necessarie

ramificazioni a monte e computazioni a

valle) e per i vari combustibili di confronto.

Si tratta, nella fattispecie, di LCA

particolari nelle quali, come dianzi detto,

nella fase di inventario, non vengono

considerate le emissioni di CO2

biomassale. Per quanto riguarda invece le

emissioni di CO2 antica è richiesta

attenzione e rigore affinché, nell’ambito di

ragionevoli limiti di considerazione, non

venga trascurata alcuna emissione (o

perdita materiale) che si verifica, per il

combustibile considerato, a partire dalla

produzione della forma originaria

(estrazione dai giacimenti per i materiali

fossili e coltivazione boschiva per la

dendromassa) nel luogo di origine fino ad

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arrivare fino all’impiego nella forma finale

(gas naturale rettificato, olio combustibile

BTZ, gasolio, lubrificanti, koke e pellet), conteggiando ovviamente anche tutti i

costi carbonici delle trasformazioni

assieme a quelli delle macchine e degli

impianti in esse operanti, dalla loro

costruzione fino al loro futuro

smantellamento a fine uso.

Siffatte LCA ovviamente possono essere

eseguite solo da istituti specializzati (o con

programmi da essi predisposti) che nelle

loro banche dati hanno archiviato

numerosi moduli (costo carbonico di 1 kg

di trattore, di 1 t/km di trasporto con

autotreno, ferrovia o nave, perdite di

carbonio per guasti, incidenti,

fiaccolamenti, lavaggi di cisterne, ecc.)

che, opportunamente selezionati e

assemblati, permettono di utilizzare

risultanze calcolate in precedenti analisi.

In questo senso, a puro titolo di esempio

non generalizzabile e probatorio, si

abbozzeranno ora alcuni rudimenti di LCA

allo scopo di illustrare anche

numericamente qualche caso di

surrogazione energetica e di evitata

emissione di CO2 antica risultante

dall’impiego del pellet. Per queste analisi, per i combustibili fossili

“pronti per l’uso nel luogo dell’impiego”, ci

si avvarrà dei seguenti costi carbonici

pregressi medi: 10% per il gas naturale,

12% per l’olio combustibile (già

considerato, come 0,86 x 1,12 = 0,96

kgC/kgOC, nei calcoli del capitoletto

precedente) e 14% per il carbone. Per la

ARGOMENTO P.SF P.0C Gas n. Olio c. CarbonePotere calorifico kWh/kg 4,7 4,7 13,4 11,4 8,1Contenuto di carobnio kgC/kg 0,46 0,46 0,75 0,86 0,91Contenuto di carbonio kgC/kWh 0,098 0,098 0,056 0,075 0,112Equivalenza energetica di 1 kgP kg/kg 1 1 0,351 0,412 0,58Emissione di CO2 antica kgCO2a/kg 0,212 0,462 3,025 3,532 3,8041 kg P.SF evita emissioni di CO2a kgCO2A/kg 0,25 2,813 3,32 3,592Idem in percentuale % 54,1 93 94 94,41 kg P.OC evita emissione di CO2a kgCO2A/kg N.C. 2,563 3,07 3,342Idem in percentuale % N.C. 84,7 86,2 87,9Emissione di CO2 antica kgCO2a/kWh 0,045 0,098 0,226 0,31 0,471 kWh P.SF evita emiss. di CO2a kgCO2a/kWh 0,053 0,181 0,265 0,425Idem in percentuale % 54,1 80,1 85,5 90,41 kWh P.OC evita emiss. di CO2a kgCO2a/kWh N.C. 0,128 0,212 0,372Idem in percentuale % N.C. 56,6 68,4 79,1

NOTA per le sigle: P.SF = pellet fabbricato con energia da segatura fresca con us = 80%; P.OC pellet fabbricato con energia da olio combustibile; CO2a = anidride carbonica antica. Costi carbonici della segatura fresca allocati in ragione del peso. Nel 5° e 6° rigo per i combustibili fossili sono state considerate le seguenti emissioni pregresse: gas naturale + 10%, olio combustibile + 12% e antracite + 14%. Nella penultima e ultima riga lo N.C. significa “non calcolato”, perché un combustibile più emittente di un altro tecnicamente non può evitare emissioni rispetto a quest’ultimo Tabella 6. Valori di base, emissione di CO2 antica effettiva e evitata con l’impiego di pellet prodotto con i due procedimenti abbozzati nel capitolo precedente (per l’allocazione in ragione del peso) e riassunti nella tabella 5.

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segatura fresca impiegata come fonte

energetica nel processo di fabbricazione

del pellet, nel caso specifico ipotizzato

nell’esempio del capitoletto precedente e

dell’allocazione del costo carbonico con

criterio ponderale, si è considerato un

costo energetico (di approvvigionamento e

produzione) pari a 0,017 kgC/kgSF,

mentre per il pellet consegnato al

consumatore si è ammesso un costo

carbonico pari a 0,126 kgC/kgP per il

procedimento OC ed a 0,058 kgC/kgP per

il procedimento SF78.

Riprendendo i valori della tabella 5

integrati da quelli appena evidenziati e

aggiungendovi il potere calorifico e il

contenuto di carbonio dei combustibili

considerati si è composta la tabella 6 dalla

quale emergono i valori del potere di

surrogazione energetica (=equivalenze

energetiche) nonché quelli assoluti e

percentuali dell’emissione di carbonio

antico che viene evitata quando il pellet fabbricato secondo le due alternative

energetiche (OC e SF) viene bruciato, con

identico rendimento, in sostituzione dei tre

principali combustibili fossili.

Dalla tabella 6, nella quale le variabili

indipendenti sono la fonte energetica del

processo di produzione del pellet

78 Questi ultimi due valori sono stati calcolati a partire da quelli della tabella 5 (procedimenti OC e SF con allocazione in ragione del peso) ammettendo per la commercializzazione (soprattutto trasporti) un costo carbonico pari a 0,013 kgC/kgP.

(procedimento SF e procedimento OC) e i

parametri di riferimento delle emissioni di

CO2 antica (peso o contenuto energetico

del combustibile), e l’allocazione del costo

energetico è stata fatta in relazione al

peso, si può agevolmente rilevare che:

• le percentuali di evitata emissione di

CO2 antica riferite al contenuto

energetico (kgCO2a/kWh) sono

sempre inferiori a quelle riferite al peso

(kgCO2a/kg);

• nel riferimento al contenuto energetico,

nell’ambito del pellet, l’emissione di

CO2 antica cala del 54% nel passaggio

del procedimento OC al procedimento

SF;

• sempre con lo stesso riferiemento, per

i combustibili fossili, le diminuzioni

relative delle emissioni di CO2 antica

realizzata con l’impiego sostitutivo del pellet sono:

o per il gas naturale: 56,6% con il P.OC

e 80,1% con il P.SF; o per l’olio combustibile: 68,4% con il P:OC

e 85,5% con il P.SF;

o per il carbone: 79,1% con il P:OC e 90,4%

con il P.SF.

Se invece l’allocazione dei costi carbonici

fino al momento della “comparsa”

materiale della segatura viene fatta in

base al valore, i “rendimenti ecologici”

(= evitata emissioni di CO2 antica)

migliorano di molto, come si può

agevolmente vedere dai valori della tabella

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6 bis costruita con i dati delle due righe in

corsivo della tabella 5 e la spesa

carbonica per la commercializzazione

uguale a 0,013 kgC/kgP (vedi nota 78).

Nella tabella 6 bis, costruita sulla base dei

costi carbonici della segatura fresca

allocati in ragione del valore,

• per tutti i valori non evidenziati in

grassetto valgono le osservazioni

dianzi fatte per la tabella 6;

• le quattro righe scritte in grassetto

evidenziano gli aumenti percentuali di

“efficacia evitante” derivati dal

cambiamento del criterio di allocazione

del costo carbonico della segatura

fresca.

Questi aumenti, comunque sempre

modesti, nel riferimento al contenuto

energetico (kgCO2a/kWh) spaziano tra il +

4,6% del pellet OC che sostituisce

carbone e il +13,3% del pellet OC che

sostituisce gas naturale. I valori

relativamente bassi di questi aumenti sono

dovuti al fatto che la riduzione del 90% del

costo carbonico della segatura viene

applicata solo per la “segatura virtuale”

(dell’albero in piedi fino alla sua

materializzazione nel momento della

segagione) e non anche al suo trasporto

dalla segheria al pellettificio, il quale – nel

riferimento al peso (vedi tabella 5 e nota

72) – si attribuisce un’aliquota di costo

carbonico che va dal 12,4% al

procedimento OC fino al 43,7% del

procedimento SF.

Infine, tornando nuovamente alla radice

del problema del costo carbonico della

segatura fresca si deve considerare che

essa, anche dove ha un valore monetario

ARGOMENTO P.SF P.0C Gas n. Olio c. CarboneEmissione di CO2 antica kgCO2a/kg 0,111 0,38 3,025 3,532 3,804

1 kg P.SF evita emiss. di CO2a kgCO2a/kg 0,269 2,914 3,421 3,693

Idem in percentuale % 70,8 96,3 96,9 97,1

Aumento rispetto al valore di tabella 6* % 7,5 3,6 3 2,8

1 kg P.OC evita emiss. di CO2a kgCO2a/kg 2,645 3,152 3,424

Idem in percentuale % 87,4 89,2 90

Aumento rispetto al valore di tabella 6* % 3,2 2,7 2,5

Emissione di CO2 antica kgCO2a/kWh 0,23 0,081 0,226 0,31 0,47

1 kWh P.SF evita emiss. di CO2a kgCO2a/kWh 0,058 0,203 0,287 0,447

Idem in percentuale % 71,6 89,8 92,6 95,1

Aumento rispetto al valore di tabella 6* % 9,4 12,2 8,3 5,2

1 kWh P.OC evita emiss. di CO2a kgCO2a/kWh N.C. 0,145 0,229 0,389

Idem in percentuale % N.C. 71,4 79,7 87

Aumento rispetto al valore di tabella 6* % 13,3 8 4,6

* Riga aggiunta per evidenziare la percentuale dell’aumento percentuale dell’evitata emissione di CO2 antica.Tabella 6 bis. Variazione delle ultime 6 righe della tabella 6 (in carattere normale) adottando per la segatura fresca un costo carbonico pregresso allocato in relazione al valore.

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per impieghi non energetici, è un

coprodotto forzoso, perché non si possono

produrre tavole, perline, travi lamellari,

casseri, ecc. senza subire l’onere

(economico e carbonico) del trasporto in

segheria del legno che diventa segatura

(fresca per giunta) solo al momento della

segagione. Seguendo questa linea di

pensiero si tornerebbe alla dianzi scartata

ipotesi contabile del costo carbonico nullo

della segatura.

Impostando i calcoli su questa ipotesi di

contabilizzazione e rifacendosi ai valori di

emissione delle ultime due righe di tabella

5, la questione delle emissioni di CO2

antica cambierebbe radicalmente e le

percentuali diverrebbero:

• per il processo OC, che risente meno

del cambiamento dell’impostazione del

calcolo, la quota di evitata emissione

risulterebbe: 88,2% per il gas naturale,

89,9% per l’olio combustibile e 90,6%

per il carbone;

• per il processo SF salirebbero a valori

veramente impressionanti e cioè:

97,2% per il gas naturale, 97,6% per

l’olio combustibile e 97,8% per il

carbonio;

• il pellet SF eviterebbe l’88,2% delle

emissioni di CO2 antica causate

dall’impiego di pellet OC.

A proposito di questa ipotesi di costo

carbonico nullo nell’impiego di un

sottoprodotto, o di uno scarto o residuo, si

deve ad ogni modo sottolineare che essa

può essere considerata esclusivamente se

l’impiego o la trasformazione avvengono

nel “luogo di nascita” e non altrove. Così ,

nel caso della produzione di pellet potrebbe essere considerato solo per

produzioni in filiera breve nell’ambito di

segherie, stabilimenti di produzione di travi

lamellari o tavolati per armature, fabbriche

di compensati o sfogliati, mobilifici o

falegnamerie, ecc. Non potrebbero invece

in nessun caso venire applicate all’impiego

di residui di lavorazione boschiva che,

materialmente separati dal prodotto

principale, richiedono energia fossile per

venire raccolti e trasportati fino al

pellettificio. Altrettanto vale per tutti i

cascami delle industrie o attività di prima e

seconda lavorazione del legno che

vengono pellettizzati extramoenia.

Uscendo dall’intrico della contabilità

carbonica nel quale spesso trovano

impiego anche convenzioni più o meno di

comodo, è opportuno evidenziare che

l’utilità carbonico-atmosferica della

produzione di pellet va sempre

considerata nell’ambito delle alternative

tecniche e/o economiche del materiale di

partenza. Così sarà oltremodo utile

pellettizzare segatura che altrimenti

finirebbe in discarica (dove a lungo andare

produrrebbe pure metano che potrebbe

anche non venire energeticamente

recuperato o almeno fiaccolato) o

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verrebbe riversata in un fiume. Altrettanto

vale quando sussistono grandi distanze tra

il luogo della formazione della materia

prima e il luogo dell’impiego del pellet. Energeticamente e carbonicamente dal

Canada conviene più portare in Europa

pellet che non cippato, mentre per la

centrale di teleriscaldamento di San

Pancrazio in Valle d’Ultimo sarebbe

sciocco o dannoso produrre pellet (dal

cippato che attualmente viene impiegato)

per poi bruciarlo in loco.

L’utilità non sussisterebbe invece se

l’alternativa per la segatura (e anche per

scarti più grossolani) fosse la produzione

di pannelli truciolari che a fine impiego

venissero indirizzati a produzione

energetica. Lo stesso vale se con uno

scarto legnoso pellettizzabile viene

fabbricato, con risparmio energetico, un

manufatto di legno che poi, a fine carriera,

viene utilmente bruciato. LE EMISSIONI INQUINANTI NELLA COMBUSTIONE DEL PELLET Questo argomento, ampiamente parallelo

a quello riguardante la combustione del

legno, è di fondamentale importanza non

solo per la salute dell’uomo, delle acque e

dei suoli, ma anche per le prospettive di

sviluppo di gran parte del settore

dell’“energia da dendromassa”. Ciò in

quanto il legno, per poter mantenere e

aumentare il suo ruolo di rinnovabile di

massa 79, in diversi Paesi e ambienti, deve

ancora combattere contro la sua cattiva

immagine, che lo vuole vettore energetico

arcaico, povero e sporco, dovuta – non a

torto – agli ancora molto diffusi combustori

di vecchia data e tecnologia, soprattutto

caminetti, stufe e cucine economiche80.

Inoltre è da sfatare anche la fuorviante

leggenda che il legno per energia

provenga da criminosi “disboscamenti”81.

L’argomento, che non riguarda solo il

pellet ma anche gli altri combustibili

legnosi (soprattutto “legna da stufa” e

cippato) e le altre biomassa solide (piante

erbacee non food e sottoprodotti

dell’agricoltura e delle industrie

agroalimentari), è delicato e non ammette

facili e semplici generalizzazioni, in quanto

79 In proposito, rifacendosi a quanto riportato dal Renouwable Energy Journal (2002), si può osservare che nel 2000 nella Comunità Europea il consumo di energia da biomassa (quasi 50 milioni di tonnellate di equivalente di petrolio) è stato di circa 22 volte superiore a quello dell’insieme di eolico, solare termico e fotovoltaico. Per l’intero pianeta, invece, Hall e Scrase (1998) hanno calcolato che il 12-13% dell’energia consumata è di origine biomassale, mentre – sempre tra le rinnovabili di massa – l’idroelettrico ne produce solo circa la metà. 80 In proposito Castellati et al. (2002°) scrivono: “E’ convinzione comune che la combustione della legna sia molto inquinante; questo è vero solo per le vecchie caldaie tradizionali, dove la combustione non è ottimizzata ..... Questo non vale per le moderne caldaie ad alta tecnologia, progettate per ottenere una combustine quasi perfetta della legna e con emissioni comparabili a quella delle caldaie a combustibile convenzionale (gasolio e gas naturale n.d.r.)”. 81 In proposito si può anzi segnalare che in occasione dei numerosi incendi boschivi di questa estate, quale misura preventiva è stata indicata una “maggiore cura dei boschi” che avrebbe come

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le emissioni inquinanti dipendono, nei

singoli casi concreti, dall’effetto congiunto

della composizione del combustibile, delle

tecnologie di combustione impiegate ai

diversi livelli di potenza e dalla

manutenzione e gestione degli apparati e

impianti.

Passando da queste osservazioni generali

allo specifico della combustione del pellet e iniziando dalle caratteristiche del

materiale di partenza, conviene anzitutto

osservare che:

• il pellet di legno, normative ed

eventuali divieti a parte, può venire

fabbricato con “materie prime” molto

diverse che vanno dal legno vergine

(di bosco, di campagna o di industria)

e dai “residui di legno chimicamente

trattato” (che comprendono anche gli

sfridi di vari tipi di pannelli) fino al

“legno usato” che può essere

abbastanza “innocente” (come nel

caso dei pallet usa e getta) o molto

inquinato (ad esempio dal recupero di

legno da impiego all’aperto trattato con

preservanti clorurati, oppure dalla

cippatura di legno di demolizione82);

• il “legno vergine” delle diverse specie

legnose, oltre alle componenti di

logico corollario una maggiore disponibilità, nell’extrabosco, di legno da industria e da energia. 82 Come vere e proprie bombe ecologiche a orologeria si configurano poi – almeno per quanto riguarda un impiego combustibile non idoneamente predisposto – diversi tipi di pannelli truciolari

massa (cellulosa, emicellulosa e

lignina), contiene (o può contenere)

componenti minori (resine, cere,

sostanze oleose, tanniche o

zuccherine, latici, gomme ecc.) che

variano moltissimo, in quantità e

qualità, tra le diverse specie e anche, a

seconda delle condizioni di crescita,

nell’ambito della stessa specie83;

• altrettanto vale, mutatis mutandis, per

le cortecce che, rispetto al legno, sono

molto più ricche di ceneri.

Inoltre bisogna tenere presente che la

composizione del pellet non è identica a

quella della dendromassa di partenza,

perché alle elevate temperature e

pressioni del processi di produzione

avvengono diverse reazioni che

modificano diversi assetti molecolari del

materiale processato. Perciò in futuri studi

sulla combustione sarà sempre opportuno

partire dall’analisi del pellet anziché da

quello della dendromassa e degli eventuali

fabbricati con legno da demolizione non accuratamente selezionato. 83In proposito, in relazione a certi inquinanti molto pericolosi, accurate indagini dell’EMPA – che si consiglia di leggere nell’originale al sito internet (http://www.empa.ch/plugin/template/*/5632) – hanno posto in evidenza che mentre nel cippato di bosco vengono trovate solo tracce di pentaclorofenolo, diverse altre categorie di materiale legnoso esaminate (specialmente scarti di falegnameria con elevata quantità di sfridi di pannelli truciolari, legno usato assortito e legno di demolizione) spesso contengono (o possono dare luogo a produzione di) significative quantità di PCF e alti livelli di I-TEQ (tossicoequivalente di diossina 2, 3, 7, 8, β).

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

additivi84

Passando all’impiego del pellet non

sembra necessario ricordare che la

combustione di combustibili compositi

(non solo legno, ma anche torba, lignite,

carbone, derivati commerciali del petrolio,

gas naturale, ecc.) è un fenomeno molto

complesso che risente moltissimo delle

condizioni nelle quali si svolge. In questo

senso per il pellet si può ricordare che:

• il contenuto idrico del combustibile,

che influisce sulle emissioni di CO e di

molte sostanze organiche, varia solo di

pochi punti percentuali;

• le tecnologie della combustione sono

sempre “moderne” (e in continuo

perfezionamento) e gli apparati o

impianti debbono essere certificati e/o

ispezionati a norma di legge85.

Tuttavia, in relazione alla quantità e alla

qualità degli inquinanti effettivamente

emessi, bisogna rammentare che esse

dipendono principalmente:

84Da un eccelente studio dell’ENET (www.energieforschung.ch) si può inverce rilevare che in un esame di 4 campioni di pellet svizzeri e austriaci il contenuto di zolfo, azoto, cloro, arsenico e 8 rilevanti metalli pesanti ha evidenziato oscillazionio spesso comprese tra il 40 e l’80% dei rispettivi valori medi e che questi ultimi (come pure tutti i valori singolari) rimangono al di sotto delle soglie di tolleranza della normativa tedesca DIN 51731 di percentuali comprese tra il – 50% per l’azoto e il – 95% per lo zolfo. Sotto alla soglia, per più del – 67%, sta anche il contenuto di EOX (alogeni organici estraibili). 85 Interessanti dati sui progressi della tecnologia di combustione nella riduzione degli inquinanti verranno riportati più avanti, subito dopo la tabella 7.

• dalla dimensione degli impianti, in

quanto è ovvio che una stufetta a

pellet da 1.500 €uro sarà, per caloria

utile erogata, più inquinante di un

impianto di riscaldamento centrale

dell’ultima generazione provvisto di

sonda lambda o di CO-sensore, il

quale a sua volta verrà surclassato dai

grandi impianti di teleriscaldamento a

pellet dotati di sofisticate depurazioni

dei fumi (che eliminano anche

tantissima parte del pericoloso

particolato) realizzati soprattutto in

Svezia;

• dalla specifica tecnologia della

combustione al cui continuo

perfezionamento lavorano – secondo

numerose varianti di processo e con

spesso ottimi risultati – molti istituti di

ricerca e numerose industrie;

• dalla gestione degli impianti, a

proposito della quale Jungmeier, Golja

e Spitzer (1999) hanno documentato

che essa, in genere e per tutti i

combustibili legnosi, tenendo conto di

tutti i possibili fattori, influisce – in

media – su più di metà del valore dei

coefficienti di emissione. Per il pellet, a

causa delle sue caratteristiche

standardizzate, l’influenza dei fattori

gestionali sarà sicuramente minore m a

certamente non trascurabile,

specialmente per alcuni inquinanti

organici.

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Fatte queste premesse si può passare alle

emissioni inquinanti che avvengono nella

combustione di pellet di legno vergine

inteso ai sensi della normativa austriaca e

segnalare anzitutto che le sostanze e i

composti da tenere d’occhio sono molto

numerosi come dimostrano accurati studi

del Ministero bavarese per il paesaggio e

l’ambiente (http://www.tec.agrar.tu-muenchen.de)

e dell’EMPA. Per la tutela della salute

umana infatti non sono importanti solo i

composti dello zolfo e dell’azoto (che

danno luogo agli spesso segnalati SO2 e

NOx o ai loro equivalenti) e il sempre

presente monossido di carbonio, ma

anche e piuttosto elementi contenuti (nel

legno vergine) solo in tracce (come metalli

pesanti, alogeni e arsenico), nonché

anche tanti composti organici delle diverse

categorie86.

Purtroppo in letteratura le notizie

specifiche sugli inquinanti emessi da

86 Non si può qui entrare nel complesso mondo degli HxCy, NMVOC, EOX, PCDD/F, PAC, PBC, DDT, HBC, PCP, ecc. che richiede un approccio diverso e molto più complesso di quello seguito in questo articolo. In proposito, solo per fare un esempio, si può segnalare che per i soli particolari problemi “Combustibili biogeni solidi – proprietà di rilevanza ambientale e possibilità di influenzamento”, “Prove di combustione con combustibili biogeni “al naturale” in un piccolo impianto” e “Concentrazione di diossine e PAC nei fumi e nelle ceneri di impianti a legna”, il solo sopracitato Ministero, per tramite dell’ Istituto bavarese per lo Sviluppo del Territorio e i problemi ambientali ha prodotto, tra l’altro, tre volumi (nr. 154, 156 e 142 della serie “Ambiente e Sviluppo” con complessivamente 450 pagine redatte da specialisti come T. Böhm, T. Launhardt, H. Hartmann, R. Hurm, H. Link, V. Schmid e A. Strehler.

impianti alimentati a pellet sono ancora

piuttosto scarse e quasi sempre riferite a

categorie di composti (vedi nota 86)

invece che a singole sostanze. Perciò a

tali notizie si faranno precedere altre che

sono riferite a inquinanti prodotti da

impianti alimentati con legno. In questo

sensi si possono ricordare:

• ancora una volta il citato studio

dell’EMPA dal quale, tra molti

interessantissimi riscontri, emerge:

o che le emissioni di metalli pesanti e

diossine della combustione di

legno vergine stanno sotto i limiti di

legge previsti per gli inceneritori di

RSU, mentre per legni contaminati

tali limiti possono venire superati

anche di oltre 50 volte (come si è

verificato in un caso di scarti di

falegnameria con elevato

contenuto di sfridi e polveri da

pannelli truciolari)87;

o che i metalli pesanti presenti nel

combustibile (soprattutto nella

corteccia, che nel pellet a norma

però non è contenuta) si riversano

in misura molto diversa nelle ceneri

(da 9 a 82%), nelle incrostazioni

(da 2 a 11%) e nei fumi (dal 14 al

90%);

87 Questi pochi dati estremi qui riportati fanno comprendere perché le normative sul pellet di molti Paesi, Austria in testa, insistono tanto sull’impiego di legno vergine.

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

• lo studio condotto da Thanner e Moche

per conto del Ministero austriaco per

l’Ambiente del quale risulta che:

o in Austria circa un terzo delle

diossine o dei furani emessi

proviene dal riscaldamento

domestico;

o queste emissioni, come pure quelle

di bifenili clorurati e di aromatici

policiclici, provengono

principalmente dalla combustione

di carbone e coke nelle stufe e nei

piccoli impianti;

o rispetto a questi due combustibili il

legno è un emettitore molto

piccolo88.

Tornando dal particolare al generale e per

porre il problema nella sua giusta cornice

di tecnica e politica ambientale, si ritiene

opportuno aggiungere un brano conclusivo

del volume “Energia per riscaldamento da

olio combustibile, gas naturale o legno?”

edito dall’Ente Federale svizzero per

l’Ambiente, il bosco e il paesaggio nella

cui sintesi (pagina 127) si legge:

“Al quesito circa il sistema di

riscaldamento di minore impatto

ambientale non può venire data risposta,

senza rispondere alle domande:

• se e come sono da scontare danni

che si verificheranno nel futuro, e

88 Di questi due importanti studi si dirà meglio alla fine di questo capitoletto.

• se e come sono da considerare

danni che si manifestano in altri

Cantoni, in altri Paesi europei e in

altri continenti.

La domanda, quale vettore energetico è di

minore impatto ambientale non può

trovare risposta sulla base di sole

informazioni ricavate dalle scienze

naturali. Risposta ai quesiti sopra formulati

richiedono giudizi di merito (Werturteile)

che non possono e non debbono venire

decise dallo studioso di scienze naturali.

Qui i giudizi di merito sono da un lato

richiesti a coloro che rilasciano le leggi

sull’ambiente e le relative direttive

esecutive. Dall’altra parte giudizi di merito

sono anche richiesti dai decisori che

debbono decidere per un dato sistema di

riscaldamento nel contesto pianificatorio.”

Passando allo specifico delle emissioni da

pellet, anche in confronto con quelle di altri

combustibili, si può iniziare con

un’interessante studio di Padinger e

Spitzer (2001), che ha preso in esame una

selezione di 15 “rapporti di prova”

(Prüfbericht) di impianti ad alimentazione

automatica con pellet con potenza

nominale fino a 50 kW, (tutti di

fabbricazione austriaca), eseguiti

dall’Istituto Federale di Wieselburg in

Austria. Dall’analisi di questi rapporti sono

risultati i seguenti valori estremi e medi di

emissioni nocive:

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

• per l’esercizio a massima potenza

(nominale): particolato (Staub) 5-22

mg/MJ (60)89, CO 9-218 mg/MJ (500),

Cx Hy 1-3 mg/MJ (40) e NOx 52-101

mg/MJ (150); i valori medi sono invece

risultati, rispettivamente e nell’ordine,

pari a 10,5, 72, 1,5 e 76 mg/MJ;

• per l’esercizio ridotto al 30% della

potenza nominale: CO 65-557

mg/MJ (750) e CxHy 1-11 mg/MJ (40); i

valori medi sono risultati invece uguali

a 204 e 3,8.

Facendo invece riferimento al contenuto di

inquinanti di un metro cubo (normale, con

13% O2) di “fumo”, i due studiosi austriaci,

nelle medesime 15 prove, hanno invece

riscontrato:

• per l’esercizio al livello di massima

potenza (nominale): particolato 8-34

mg/Nm3; CO 14-334 mg/Nm3; Cx Hy 1-

4 mg/Nm3 e NOx 76-137 mg/Nm3; con

valori medi, rispettivamente, di 16,3,

110, 2,1 e 105 mg/Nm3;

• per l’esercizio al 30% della potenza

nominale: CO 99-857 mg/Nm3 e CxHy

1-17 mg/Nm3, con valori medi di 312 e

5,2 mg/Nm3 (90).

89 I numeri fra parentesi indicano i limiti stabiliti dal Governo Regionale della Stiria per impianti a biomassa con alimentazione automatica di potenza compresa tra 4 e 400 kW. In Italia, in base al DPCM 8 marzo 2002, per potenze comprese tra 15 e 150 kWh, è previsto solo un limite il particolato [polveri totali <200mg/n m3 (O 11%)]. Per potenze comprese tra 150 kW e 3 MW sono stabiliti i seguenti limiti: polveri totali 100 mg/n m3, CO 350 mg/n m3, NOx 500 mg/n m3 e S0x 200 ng/n m3. 90 Nei riguardi delle unità di misura si deve osservare che i valori riportati dai diversi Autori non sono facilmente confrontabili per i non addetti ai lavori, in quanto spesso

A conclusione del loro commento positivo

di questi valori, gli Autori aggiungono che

“I migliori fra i valori delle analisi indicano

esemplarmente il possibile potenziale di

sviluppo”91.

Se si confrontano le distribuzioni dei valori

di emissioni segnalati da Padinger e

Spitzer con quelle relative alla

composizione dal pellet riportate

dall’ENET, si può notare che:

• la dispersione dei primi è maggiore,

verosimilmente a causa delle

specifiche condizioni di combustione

nei singoli apparati;

• i valori sono sempre notevolmente

inferiori ai limiti di legge anche per i

risultati peggiori;

• il gruppo di inquinanti meno discosto

dal limite di norma è quello degli NOx

che sono sempre un po’ l’handicap dei

combustibili biogeni rispetto a quelli

fossili, esclusa la lignite.

sono espressi in vario modo come, ad esempio: ppm nel fumo umido o anidro, mg per m3 normalizzato con variabile riferimento di ossigeno (per il CTI: mg/Nm3, fumo anidro, O2 @ 10%), mg/MJ, ecc. Una lodevole eccezione in merito è stata riscontrata in un rapporto di prova del TÜV di Monaco che, tra moltissimi altri dati, riporta, per i fumi, la percentuale di CO2 , le ppm, il contenuto di CO, NOx, CxHy (nel fumo anidro e umido), nonché i valori riferiti al Nm3O2 @13%, Nm3O2 @ 10% ed a MJ. 91 Per quanto riguarda le grandi differenze fra i valori estremi rilevati, dall’analisi di alcuni certificati di prova originali che sono stati potuti visionare per gentile concessione dell’Istituto di Wieselburg pare che queste differenze siano massime per il CO (che dipende molto dalla quantità di aria immessa) e minore per lo SO2 e lo NOx (che dipendono più fortemente dal contenuto di zolfo e di azoto del pellet).

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

Una simile, più limitata indagine è stata

eseguita per 5 impianti di

riscaldamento centrale a pellet di

case singole o a schiera (potenze da

15 a 55 kW) in Svizzera. Di questa

ricerca Gmür (2000) riporta i seguenti

valori: temperatura nei fumi (Abgas) da

84 a 212 °C, ossidi di azoto (come

NO2N) da 104 a 315 mg/m3, monossido

di carbonio (come CON) da 71 a 1115

mg/m3 (media 414) e ossigeno nei fumi

(come O2) da 7,3 a 16%92. Più ampia

è invece la gamma dei valori riportati in

un interessante poster, senza data,

della Regionalenergie Steiermark e

dell’Associazione Boschiva della Stiria

composto in base a numerose prove di

certificazione di Istituti austriaci e

92 Nel suo breve articolo l’Autore ricorda che in Svizzera vengono attualmente prodotti circa 275.000 m3 di “legno in segatura” che basterebbero per produrre il pellet (circa 180.000 tonnellate) sufficiente per scaldare più di 50.000 case unifamiliari, e mette in evidenza che le caldaie a pellet non sono delle Dreckschleudern (tipica espressione tedesca, letteralmente “fionde di sporcizia”, spesso impiegata in relazione a tradizionali impianti e legna). A ciò aggiunge anche che “in quartieri di villette, i riscaldamenti a pellet sono spesso – nel contesto dell’impiego di energia autoctona da legno nazionale e

germanici, nel quale – sempre per

riscaldamenti centrali – vengono

evidenziate anche le emissioni di

impianti alimentati con altri

combustibili. Raccolte nella tabella 7,

queste emissioni offrono un buon

quadro comparativo nel quale

meravigliano un po’ i bassi valori

riportati per il monossido di carbonio93.

Nel vedere le sopra riportate differenze,

per la legna da ardere, tra gli impianti di

nuova tecnologia e del Durchbrandkessel di quella vecchia, torna alla mente

un’indagine del 1999 di Jungmeier, Golja,

e Spitzer dedicata ai progressi dei

combustori a legno e derivati. Da questo

ampio studio, basato sull’esame di 180

impianti, si possono sinteticamente

estrarre i seguenti dati più significativi:

• dal periodo 1980/88 al periodo

1996/98:

CO2 neutrale – una soluzione migliore di un teleriscaldamento con cippato”. 93 Lo zero assoluto di emissioni di CO2 antica riportato per tutti i dendrocombustibili verosimilmente non considera il costo carbonico del loro approntamento.

SO2 NO HxCy CO Partic. CO2aPellet 10 55 1 9 6 0Cippato 10 92 2 17 9 0Legna nuova tecnol. 10 74 8 158 18 0Legna vecchia tecnol. 10 50 1.000 6.000 70 0Coke 340 70 10 4.500 80 104.000Gas naturale 0 3 0 5 0 52.000Olio combustibile 47 25 1 5 1 78.000Tabella 7. Emissioni inquinanti di riscaldamenti centrali alimentati da combustibili diversi. Valori in mg/MJ.

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o per il valore mediano94 delle

emissioni di CO di impianti a legna

o cippato per vari livelli di esercizio

sono state riscontrate diminuzioni

che vanno dal 90 fino al 97%;

o diminuzioni quasi identiche (dall’89

al 99%), ma più incerte a causa

dell’esiguo numero di osservazioni

nel biennio 1980/88, sono state

osservate per le emissioni di

carbonio organico, sempre ancora

per legna e cippato;

o praticamente immutato (a un livello

medio di 88-89 mg/MJ) sono

rimaste le immissioni di NOx,

almeno nell’esercizio a livello di

potenza nominale;

o altrettanto vale, al livello medio di

20 mg/MJ, per il particolato;

• per il più breve periodo dal 1993/95 al

1996/98, cioè nell’arco di tempo medio

di soli 3 anni,

o i valori della mediana delle

emissioni da apparecchiature a

pellet (spesso di potenza inferiore

o uguale a 15 kW) sono scesi dell’

81% per il CO e del 98% per i

composti organici, mentre le

emissioni di NOx (dipendenti

soprattutto dal contenuto di azoto

94 In proposito si annota che, data la generalmente molto notevole assimetria delle distribuzioni dei dati rilevati, il valore della mediana può spesso discostarsi molto da quello della media.

del combustibile95) sono rimaste

ferme attorno a 87 mg/MJ;

o la mediana delle emissioni di

particolato, uguale a 16 mg/MJ, è

risultata solo di poco inferiore a

quella della legna (18 mg/MJ) e del

cippato (22 mg/MJ), mantenendosi

però a livello del 25-30%

dell’emissione massima ammessa

dalla legge regionale;

• per gli impianti a pellet il rendimento

termotecnico (Wirkungsgrad) alla

certificazione è, in media (87%),

uguale tanto per l’esercizio a massima

che a media potenza96. Valori e

comportamenti molto simili sono stati

riscontrati anche per i riscaldamenti a

legna e cippato.

Anche nel Rapporto UMBERA si legge

che stufe a pellet (chimney stove) con

alimentazione automatica producono, fra

tutti i sistemi testati97, emissioni meno

inquinanti di quelle delle stufe tradizionali.

Viene poi anche aggiunto, più in generale,

che fra i combustibili legnosi il pellet ha

95 In proposito si annota che tra le varie biomasse il legno è quella a minore contenuto di azoto e che con le tecniche della Low-NOx combustion (nelle quali gioca un importante ruolo la diminuzione del flusso di aria primaria), i sopra riportati valori potranno essere notevolmente ridotti, abbassando così anche le emissioni di NOx sotto alla metà del livello massimo consentito. 96 All’attualità i rendimenti di molti impianti e stufe hanno superato il fatidico muro del 90%. 97 Non è però specificato se i “sistemi testati” sono veramente tutti (cioè anche comprensivi, per esempio, di quelli a GPL) oppure solo quelli a legna o cippato.

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dato sempre i migliori risultati nelle prove

di combustione, e che in genere le

emissioni di particolato (dust) e di ossido

di carbonio si mantengono attorno al 10-

25% di quelle ammesse dalla legge.

Da studi di Hartmann, Launhard e Schmid

(1998), sommariamente citati nel

medesimo Rapporto, in un confronto tra

impianti a pellet a caricamento automatico

della potenza di 15 kW e impianti a

cippato (anch’essi a caricamento

automatico) delle classi di potenza di 40-

70 e 70-100 KW, emerge che:

• le emissioni di particolato sono

mediamente risultate, nell’ordine di

confronto sopra riportato, pari a 16, 49

e 57 mg/Nm3, con evidentissimo

vantaggio per il pellet; • le emissioni di NOx, sempre nello

stesso ordine, sono risultate in media

uguali a 114, 131 e 145 mg/Nm3, con

vantaggio molto meno marcato per il

pellet • le emissioni di CO, con 97 mg/Nm3 per

il pellet, sono risultate minori di quelle

relative al cippato in impianti della

classe 40-70 kW (154 mg/Nm3), ma un

po’ maggiori di quelle riscontrate negli

impianti a cippato della classe 70-100

kW (84 mg/Nm3).

Sempre secondo lo stesso studio, in un

confronto fra i medesimi piccoli impianti a

pellet a caricamento automatico della

potenza di 15 kW e due tipi di

apparecchiature a legna (log wood) a

caricamento manuale della classe di

potenza 20-50 kW – funzionanti

rispettivamente con boiler temperature control e sonda lambda – è risultano che:

• per le emissioni di particolato gli

impianti a pellet (con 16 mg/Nm3) sono

stati meno inquinanti di quelle degli

altri due tipi che hanno emesso,

rispettivamente e nell’ordine, 26 e 35

mg/Nm3;

• per le emissioni di NOx il vantaggio dei

bruciatori a pellet (con 114 mg/Nm3) è

risultato meno pronunciato rispetto agli

altri due, che hanno emesso 161 e 150

mg/Nm3;

• per le emissioni di CO invece il

vantaggio del pellet (con 97 mg/Nm3) è

particolarmente elevato nei riguardi

della legna bruciata con boiler temperature control (359 mg/Nm3 in

media, con una punta eccezionale di

oltre 650), e notevole rispetto agli

impianti con afflussi di aria regolati con

sonda lambda (media di 240 mg/Nm3,

con una punta massima di oltre 500).

Nell’analisi dei dati riportati da Hartmann,

Launhardt e Schmid pare confermata la

circostanza più volte accennata che le

emissioni di NOx risultano poco diverse

per i vari sistemi bruciatore-combustibile e

perciò, nel loro ammontare generale

medio, paiono condizionati principalmente

dal contenuto di azoto del legno (nel caso

del pellet) e del combustibile negli altri

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casi98. Altrettanto dovrebbe valere per lo

SO2. Contrariamente a ciò le molto più

diverse emissioni di CO risultano

palesemente riconducibili alle tecnologie di

combustione e alla conduzione degli

impianti.

Rakos (2002), invece, riferisce di uno

studio comparato di LCA per il

riscaldamento di un edificio pubblico di

Vienna (con carico calorico di 400 kW) da

effettuare, rispettivamente, con olio

combustibile, gas naturale e pellet. Da

questa accurata analisi eseguita

dall’Agenzia austriaca per l’utilizzazione

dell’energia (E.V.A.) con l’ausilio della

variante “Austria 4.01” della notissima

banca dati del germanico GEMIS,

nonostante che per il pellet sia previsto un

trasporto per 300 km con autotreno,

emerge che le emissioni – purtroppo,

riportate nell’esposizione sintetizzata, solo

per CO, SO2 e particolato – risultano

decrescenti:

• per il monossido di carbonio: dal gas

all’olio combustibile e al pellet; • per l’anidride solforosa: dall’olio

combustibile al pellet e al gas;

98 Nel loro studio sugli impianti moderni di combustione, Schneider et al. (2001) illustrano che la concentrazione degli NOx derivati dall’azoto contenuto nel legno aumentano con la temperatura del forno e che, a partire da circa 1.500 °C, una certa (crescente) quantità di NOx si forma anche dall’azoto dell’aria, dando luogo al cosiddetto “NOx termico”.

• per il particolato: dal pellet all’olio

combustibile e al gas99.

Un argomento importante, generalmente

trattato a parte, è quello relativo ad alcuni

inquinanti minori molto pericolosi per

l’uomo come le emissioni e deposizioni di

idrocarburi aromatici policiclici (PAK),

biofenili policlorurati (PCB) nonché delle

forme policlorate delle dibenzo-p-diossine

e dei dibenzofurani (PCDD/F) che, come

per tutti i combustibili organici, avvengono

anche nella combustione del pellet. Si tratta di questioni molto complesse,

come dimostrano gli accurati studi

bavaresi di Launhand et al (1998),

Hartmann et al (2000), Launhard et al (2000) e della svizzera EMPA, dai quali si

può rilevare, che i singoli composti dei tre

gruppi hanno tossicità molto diverse e

chimismi molto differenti che vanno dalla

conservazione del composto presente nel

legno, alla formazione da precursori e alle

sintesi ex novo, specie per i PCDD/F.

Inoltre possono essere contenuti sia nel

particolato dei fumi quanto nella fuliggine

dei camini e nelle ceneri del forno, in

concentrazioni estremamente variabili.

Trattandosi di studi molto specialistici

spesso difficili da comparare a causa

dell’impiego di unità di misura differenti,

qui verranno riportati solo alcuni estratti di

tre di essi.

99 Informazioni più dettagliate su questo studio si possono trovare in lingua italiana in Castellazzi et al. 2002a e 2002b oppure sul sito www.bioheat.info .

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Così dal riassunto (pag. 120) dall’ampio e

molto documentato studio di Launhardt et al. (1998) si riprendono testualmente le

seguenti parti.

“I risultati delle prove di combustione di

legno vergine mostrano che l’ammontare

delle emissioni di PAK – come prodotto di

una combustione incompleta – sono

fortemente influenzati dalla tecnologia

(Verbrennungsqualität) degli impianti. La

larga gamma delle varianti sperimentali

eseguite diede perciò luogo ad un’elevata

variabilità delle emissioni di PAK in un campo compreso tra 70 e 8.500 µg/Nm3,

riferito a 13 vol.% O2 (valori di somma

secondo la metodologia dell’EPA).

Un’emissione ancora più elevata di PAK

venne determinata nella combustione di

legno umido (uu > 25%).”

“Contrariamente a quanto visto per i PAK,

le emissioni si PCDD/F risultarono in un

campo più ristretto e a un livello molto

basso (auf sehr niedrigem Niveau), con

valori compresi tra 2 e 26 pg TE/Nm3. La

limitazione di 80 pg TE/Nm3 con 13

vol.%O2 della disposizione federale per la

protezione degli inquinamenti (17.

BImSchV), che (però, n.d.t.) non ha

validità per la combustione di materiali

legnosi lasciati al naturale, e perciò può

venire vista solo come valore di

orientamento, viene con ciò nettamente

(deutlich) sottopassata in tutti i casi.”.

“Il carico di PCDD/F dei residui della

combustione, specialmente delle ceneri

nella camera di combustione (Feuerraum)

dimostrò una forte dipendenza dal tipo di

combustione. Mentre la concentrazione di

PCDD/F nella frazione fine delle ceneri

della camera di combustione rimaneva

inferiore a 20 ngTE/kg per la legna

(stagionata, n.d.t.) di faggio, per quella di

conifera risultò 18 volte più elevata. In

base al decorso delle temperature

misurate nell’area (Bereich) del forno di

combustione poté venire evidenziato che

questi PCDD/F vengono formati nel

contenuto di una de novo sintesi. Questa

neoformazione avviene principalmente

nella definitiva fase di raffreddamento

(Auskühlungsphase) che di regola si

verifica solo dopo più periodi di

combustione (Abbrandperioden).”

“Una elaborazione quantitativa dei

contenuti di PAK e PCDD/F rese possibile

un’analisi input/output delle quantità di

PAK e PCDD/F introdotte con il

combustibile e contenute nell’output complessivo (gas e ceneri).

Per i PAK l’output complessivo è in linea di

COMBUSTIBILEcenere fumo totale cenere fumo totale

Brichette A 840 570 1410 35 820 855Brichette B 190 570 760 180 1200 1380Legna paragonabile 170 1400 1570 1400 530 1930Nota: Cenere = frazione fine della cenere del forno di combustione (Feuerraumasche, Feinfraktion). Fumo (Abgas) comprensivo della porzione volatile e di quella legata al particolato. Tabella 8 - Quantità di PAK e PCDD/F misurati nella cenere del forno di combustione e nei fumi interni ed esterni. Valori di Launhardt (1998), tab. 42 e 43.

PAC (ì g/kg s.s.) PCDD/F (ng/kg s.s.)

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principio più caricato che non il

combustibile; i combustori

(Feuerungsanlagen) esaminati

costituiscono perciò un source di PAK.

La largamente maggiore quota dell’autput complessivo era allocata nei fumi (Abgas)

più in forma gassosa che non legata al

particolato.”

“Per i flussi di massa dei PCDD/F l’analisi

input/output evidenziò una riduzione della

quantità dei PCDD/F nel corso della

combustione della legna di faggio.

Contrariamente a quanto avviene per i

PAK, la combustione (nel caso della legna

di faggio, n.d.t.) si configura come sink di

PCDD/F100. Inoltre il valore relativo del

contenuto di PCDD/F dei fumi, rispetto al

residuo totale, era nettamente minore”.

Passando ai granulati (vennero anche

impiegati due fabbricati di brichette bruciati

in stufe di maiolica ottimizzate), si possono

riportare i valori riuniti nella tabella 8,

avvertendo che essi non sono estensibili

100 Questa caratteristica vale però solo per la legna di faggio (input/output = 0,67), mentre, come dimostra la figura 50 non vale per la legna di conifere (input/output) = 6,75) per la quale il 90% dei PCCD/F si ritrovano nella cenere del forno di combustione. Per la legna di faggio, invece, vi trova allocazione solo circa il 25%.

sic et sempliciter al pellet. Una

sperimentazione condotta da Thanner e

Moche (2001) per il Ministero austriaco

per l’ambiente, eseguita con un numero di

prove variabile da 2 a 8 in 3 stufe (vecchio

tipo di ghisa per coke, vecchio

termocamino di ghisa a portoncino

trasparente e moderno multicombustore)

alimentate con legno, carbone e coke, ha

portato ai risultati sinteticamente riassunti

nella tabella 9.

Nel riassunto delle monografie pubblicate

dal Ministero i passi più salienti, oltre ai tre

già riportati all’inizio del capitolo, sono i

seguenti:

• ogni singola prova comprendeva un

ciclo di combustione completo

dall’accensione fino al termine della

combustione (Ausklingen der Verbrennung);

• dei PCDD/F e PCB risultanti dalla

combustione, più del 9% si trova nelle

emissioni; il resto permane

prevalentemente nella fuliggine del

camino e in una piccolissima parte

nella cenere della camera di

combustione;

PAH PCB PCDD/FÓ EPA PAK4 UN-ECEWHO-TEQ Ó Ball I-TEQmg/GJ mg/GJ ng/MJ ng/MJ ng/MJ

Legno 917,5 29 0,01 65,2 0,27Carbone 1188,6 67,1 0,51 64 8,8Coke 350 13,4 0,06 81,1 1,53Note. Il PAH inglese è il PAK tedesco. Ó Ball. sta per Ó Ballschmiter.

COMBUSTIBILE

Tabella 9. Fattori specifici di emissione per PAH, PCB e PCCD/F in stufe alimentate con legno, carbone e coke. Valori delle mediane calcolate da Thanner e Moche (2001), tab. 2.

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

• le emissioni medie di PCDD/F per il

carbone e il coke (7,74 e 1,47 ng I-

TEQ/MJ) stanno ad un livello 10

volte superiore a quello conosciuto

dalla letteratura; quelli per il legno

(0,32 ng I-TEQ/MJ) invece

corrispondono;

• le emissioni medie di PAH dalla

combustione di legno sono risultate

chiaramente inferiori a quelle attendibili

dai valori riportati in letteratura;

• la variabilità delle emissioni da prova a

prova è elevatissima101;

• già uno studio precedente dello stesso

Ministero aveva evidenziato che le

emissioni di un bruciatore a legna si

mantenevano chiaramente sotto al

limite dei 0,1 ng TEQ/Nm3.

Molto importante e interessante in

proposito è pure il rigoroso studio

dell’EMPA con i cui risultati sono state

composte le tabelle 10 e 11. Scopo della

101 Viene citato anche un altro studio su stufe alimentate con legno nel quale vennero trovate

ricerca era studiare come i carichi

inquinanti dei combustibili si

ripercuotevano sulle ceneri e i fumi. Per

quanto riguarda invece il combustibile

vennero prese in esame il legno vergine

(nella fattispecie di cippato di bosco) 3

assortimenti “tipici” di Restholz) (residui

legnosi delle industrie e dei cantieri) e 5

assortimenti di Altholz (legno usato),

categorie distinte nella normativa svizzera

per la purezza dell’aria.

Nella tabella 10 non meraviglia che le

emissioni di diossina del cippato di bosco

si mantenessero sotto al limite dei 0,1 ng

I-TEQ/m3 (11 vol.%O2) adottato da diversi

Paesi europei per gli inceneritori di RSU.

Meravigliano invece, dando un segnale

importante anche in relazione ai materiali

concentrazioni di emissioni variabili da 0,09 a 9,0 ng I-TEQ/Nm3.

COMBUSTIBILE Diossina m. pesanti PB + ZnCippato di bosco S S SRL dell’edilizia (assortiti in caniere) x15 S x4RL di falegname (pochi pann. truciolari) x9 S SRL di falegname (molti pann. truciolari) x64 S SLU (imballaggi a RL dell’edilizia) (1) x1 S SPellets monouso senza piedini grigi (1) S S STravature da demolizioni (1) x15 S x2LV assortito (1) x8 x5 x16Legno di demolizione x30 S S Note RL = residui legnosi “tipici”. LU = legno usato. LV = legno vecchio. (1) Bruciato in impianto per scarti legnosi. (2) Bruciato in impianto per legno vecchio.

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AULAMAGNA_n°3 - periodico di Scienze Forestali

da escludere nella fabbricazione dei

pressati di legno, le elevatissime emissioni

legate alla presenza di scarti di pannelli

truciolari e, più ancora, quella della

travatura da demolizione. In base a questi

risultati sperimentali verrebbe a vacillare il

tabu del “senza corteccia” per il pellet, mentre viene rafforzata la difesa del “legno

vergine” (solo sottoposto a lavorazioni

meccaniche), magari da allargare – previa

ulteriori sperimentazioni – al concetto di

dendromassa vergine (legno + corteccia).

Contrariamente ai due studi citati in

precedenza, quello dell’ENPA si occupa

ampiamente anche del contenuto di

metalli pesanti, arsenico e cloro degli

assortimenti legnosi esaminati e del loro

trasferimento nelle varie categorie di

emittenza (ceneri della camera di

combustione, cenere nel ciclone, fumi

comprensivi degli inquinanti legai al

particolato fine) nel decorso della combustione.

Arrivati così alla fine dell’argomento degli

inquinanti minori ad elevata tossicità risultanti,

con diverse allocazioni, dalla combustione di

legno vergine e variamente contaminato, si

deve chiaramente far notare che quanto

detto in proposito è solo un grossolano

evidenziamento di alcuni dati ritenuti

importanti.

Per chi è interessato al problema si consiglia

perciò vivamente di leggere nell’originale le

tre ricerche citate di cui 2 sono scaricabili

da internet (vedi bibliografia) mentre il

terzo, che contiene

anche oltre a 50 voci bibliografiche

specialmente sui PAK e PCDD/F, può venire

richiesto alla Bayerische Landesanstalt für

Landtechnik, Vöttinger Strasse 36. D – 85354

Freising.

Cippato di bosco

Scarti legnosi

Legno vecchio

Cenere c.c.

Cenere ciclone

Fumo

mg/kg mg/kg mg/kg % %%

Arsenico <1 <0,5-1 <0,5-22 61 4 36Piombo <0,1-4,7 0,2-390 3-18500 27 6 67Cadmio <0,05-0,3 <0,1-0,63 <1-24 39 11 51Cromo <0,2-2,4 <0,2-580 <1,7-3100 81 5 14Rame <1-5,1 0,9-60 <1-900 82 3 16Nikel <1-1,3 <1-150 <1-39 77 4 19Mercurio <1 <1 <1 9 2 90Zinco 3,4-28 1,4-1300 15-18500 33 6 61Cloro <400 <100-

2700068-4500 38 15 47

Elemento

Nota c.c. = camera di combustione. Nel fumo compresa la porzione gassosa e quella legata al particolato.Tabella 11 - Contenuti di metalli pesanti di assortimenti legnosi e ripartizione media nei residui della combustione . Da EMPA, tabelle 1 e 3.

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ACRONIMI IMPIEGATI NEL TESTO

AIEL Associazione Italiana Energia dal

Legno

BTZ (olio combustibile con ) basso

tenore di zolfo

C Gasolio

C.T.I. Comitato Termotecnico Italiano

CEE Comunità Economica Europea

CHP Combinate heating plant

CO2a Anidride carbonica (antica) da

combustibile fossile

CO2r Anidride carbonica (recente) da

biomasse

DMA Dendromassa anidra

EOX Composti alogenati estraibili

EPA Environmental Protection Agency

G Gasolio

G.P.L. Gas di petrolio liquefatto

HP Holzpellets

IEA International Energy Agency

ITEBE Istituto tecnico europeo per il

legno-energia

LA Legno anidro

LCA Analisi del ciclo di vita

LU Legno usato

LV Legno vecchio

Msa metro stero accatastato

Msi metro stero impilato

msr metro stero alla rinfusa

mst metro stero

NMVOC Composti organici volatili non

metano

NRW Renania Settentrionale e Vestfalia

OC Olio combustibile

P Pellet

p.c.i. Potere calorifico inferiore

P.OC Pellet prodotto con energia da

combustibili fossili

p.p. Punto percentuale

P.SF Pellet prodotto con energia da

segatura fresca

PAK Composti aromatici policiclici

(anche PAC)

(anche PAC)

PCB Bifenili policiclici (anche PBC)

PCDD Diossine

PCDF Furani

ppm parte per milione

RL Residui di legno

RP Rindepellets

RSU Rifiuti solidi urbani

SF Segatura fresca

SLA Sostanza legnosa anidra

TOC Carbonio organico totale

TÜV Ente germanico per i controlli tecnici

uu Umidità riferita allo stato umido

us Umidità riferita allo stato secco

ρ Massa volumica

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RIASSUNTO Nella sempre più numerosa famiglia dei combustibili legnosi o derivati dal legno si è recentemente affermato con autorevolezza il pellet di legno. Fratello dei più noti tronchetti pressati per caminetti, questo relativamente nuovo prodotto è anch’esso un pressato di minuscoli frammenti di legno che si distingue soprattutto per le piccole dimensioni dei corti cilindretti in cui viene sagomato. Il grande interesse che sta suscitando il pellet – consumo nazionale stimato attorno alle 150-180 mila tonnellate annue – risiede nel fatto che esso permette un elevato grado di automazione degli apparecchi e/o impianti di riscaldamento, che ne avvicina le modalità d’impiego a quelli alimentati da olio combustibile, kerosene, GPL e – per il solo esercizio – persino a quelli a gas naturale. Questa proprietà del pellet è dovuta alla particolare forma, dimensione e omogeneità dei suoi minuscoli elementi, che possono venire convogliati al forno di combustione per mezzo di semplici coclee, con tutti i conseguenti vantaggi in fatto di regolazione automatica, dosatura e alimentazione continua. Nella prima parte dello studio vengono descritti brevemente:

• il processo di fabbricazione (sostanzialmente un’estrusione ad elevata pressione di un particolato di legno opportunamente frammentato, essiccato e condizionato);

• la materia prima impiegata (oggi generalmente segatura e trucioli di pialla, cioè scarti o coprodotti dell’industria di prima lavorazione del legno);

• le caratteristiche merceologiche del prodotto. A proposito di queste ultime vengono riportate le normative di prodotto esistenti in diversi Paesi (che generalmente vogliono il pellet fabbricato con legno “vergine”, privo o quasi di corteccia), le quali impongono standard dimensionali, valori minimi di potere calorifico e densità sterica nonché valori massimi di contenuto di umidità, di ceneri, di alcuni elementi o composti chimici e degli eventuali termoagglutinanti. Segue una rassegna sui potenziali produttivi, sulle produzioni effettive, sui consumi e sull’export/import nei diversi Paesi, che vede in testa la Svezia e gli Stati Uniti (con produzioni che per la prima oggi dovrebbero essere arrivate a 1 milione di tonnellate all’anno); seguono la Danimarca (anche discreta importatrice ancorché produttrice di pellet di paglia) e l’Austria in cui è anche molto attivo il settore della produzione e dello sviluppo di stufe e caldaie a pellet. In notevole espansione sembrano pure la produzione e il consumo in Italia, mentre rimangono ancora marginali i quantitativi fabbricati in Francia e in Germania. Chiudono la prima parte alcune considerazioni e quantificazioni sul costo del riscaldamento con pellet, confrontato con quello relativo ai principali combustibili concorrenti (gasolio, gas naturale, GPL e cippato di legno). La seconda parte dello studio è dedicata ai bilanci energetici e carbonici nella produzione e nell’impiego del pellet.

Per la produzione viene discusso, e numericamente esemplificato il delicato problema dell’allocazione (ai sensi di un life cycle assesment) dei costi energetici e carbonici del materiale che viene pellettizzato, nonché quello dell’impiego, nel processo di fabbricazione, di vettori energetici non rinnovabili (specialmente olio combustibile) o rinnovabili (scarti industriali di legno o di cortecce). Indipendentemente dalla scelta, anche soggettiva, relativa all’allocazione dei costi energetici e carbonici della materia prima della pellettizzazione, risulta chiaro che il consumo di energia e le emissioni di carbonio di origine fossile che concretamente avvengono nei segmenti di filiera che precedono la pellettizzazione non sono trascurabili e risultano comunque superiori a quelli dell’impiego della legna da ardere e del cippato di legno. Notevole può essere anche il consumo energetico dell’essiccazione del materiale specie se viene impiegata segatura fresca, mentre, lo stesso materiale, è generalmente poco elevato il dispendio energetico della triturazione. Per le fasi di filiera che seguono la produzione, per le quali non sussistono problemi di allocazione dei costi energetici e carbonici, vengono segnalati principalmente i consumi di carburante nei trasporti e viene messa in giusto risalto la “neutralità carbonica”, nei confronti dell’atmosfera, della combustione del pellet “pronto per l’uso nel luogo di impiego”. Viene cioè ribadito che, bruciando pellet, viene evitato il consumo di combustibili fossili in una misura variabile con il loro potere calorifico. Per l’olio combustibile, ad esempio, risulta che l’evitato consumo ammonta a circa un chilogrammo per ogni 2,5 kg di pellet infornato (ovvero un evitato consumo di circa 23 kg di olio combustibile per ogni Gigajoule di calore lordo sviluppato, il che corrisponde ad un’evitata emissione di circa 80 kg di CO2 di origine fossile). Un ultimo capitolo viene dedicato alle emissioni inquinanti nella combustione del pellet che, in generale, risultano abbastanza contenute se nella fabbricazione viene impiegato legno “vergine” privo di contaminanti (che invece sono presenti nel “legno usato” e in molti scarti delle industrie di seconda lavorazione del legno). Premesso che queste emissioni si mantengono comunque sempre a livelli inferiori ai limiti di legge, è stato rilevato che, specie nei piccoli combustori, il punto debole del riscaldamento con pellet pare essere individuabile nelle polveri (particolarmente nei confronti con il gas naturale), mentre quello di forza si riscontra per il monossido di carbonio. Per l’anidride solforosa, le emissioni da pellet risultano invece intermedie tra il gas naturale e l’olio combustibile, mentre per gli ossidi di azoto vi è un certo pareggio con il gasolio, a un livello notevolmente superiore a quello del gas.

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SUMMARY In the ever growing family of wood fuels or fuels derived from wood, wood pellets have recently asserted themselves authoritatively. Related to the better-known compressed firelogs for fireplaces, this relatively new product is also compressed, is made of tiny wood fragments and is recognizable above all for the reduced size of its short cylindrical mould. The great interest being aroused by pellets – national consumption is estimated at around 150-180 thousand tons per year – lies in the high degree of automation they allow in heating equipment and/or plants, allowing their modalities of use to approach those fired by fuel oil, kerosene, LPG and – only in terms of operation – to natural gas. This property of the pellet is due to its particular shape, size and the uniform nature of its tiny elements, that can be channelled into the oven by means of simple Archimedean screws, with all the resulting advantages in terms of automatic regulation, dosage and uninterrupted feeding. In the first part of the study the following is briefly described:

• the manufacturing process (essentially the extrusion of a suitably fragmented, dried and conditioned wood particulate under high pressure);

• the raw material used (today generally sawdust and wood shavings, i.e. rejects or by-products from the wood working industry);

• product characteristics. With regard to the latter, the product regulations in various countries are shown (generally requiring pellets made using “virgin” wood with no or little bark). These regulations impose size standards, minimum heating power values and steric density as well as maximum content values for humidity, ash, some chemical elements or compounds and any thermal adhesives. Below is a review of manufacturing potentials, actual production, consumption and imports/exports in the various countries. Sweden and the United States lead (with production that should by now have reached 1 million tons per year), followed by Denmark (also a discreet importer as well as manufacturer of straw pellets) and Austria where the production and development sector of pellet-fired stoves and boilers is very active. Production and consumption in Italy also seems to be in considerable expansion, while quantities manufactured in France and Germany are still marginal. The first section ends with some considerations and quantifications on the cost of pellet heating compared to its main fuel competitors (gas oil, natural gas, LPG and woodchips). The second section of the study is devoted to energy and carbon results in the production and use of pellets. With regard to production, the delicate problem of allocation (in terms of a life cycle assessment) of energy and carbon costs of the pelletized material is discussed and numerically exemplified, as well as the problem of

using non renewable (especially fuel oil) and renewable (industrial wood or bark rejects) energy vectors in the manufacturing process. Apart from the (also subjective) choice concerning the allocation of energy and carbon costs of the raw material used in pelletization, it is clear that energy consumption and carbon emissions of fossil origin that actually take place in the areas of the sector that precede pelletization are not negligible and are greater than those found in the use of firewood and woodchips. Energy consumption in the material drying process can also be considerable, especially if fresh sawdust is used, while the same material wastes little energy in the chopping process. In the stages of the sector that follow production, in which no problems of energy and carbon cost allocation subsist, fuel consumption for transport is the main issue and the “carbon neutrality” of burning pellets (“ready to use in place of use”) with regard to the atmosphere is appropriately highlighted. In other words we have confirmation that the burning of pellets reduces the consumption of fossil fuels to an extent that varies according to their heating power. With fuel oil, for example, avoided consumption amounts to about one kilogram for every 2.5kg of pellets put into the oven (i.e. an avoided consumption of about 23kg of fuel oil for every gross gigajoule of heat developed, which corresponds to avoided emissions of about 80kg of CO2 of fossil origin). A final chapter is devoted to pollution emissions in the combustion of pellets that are generally quite limited if “virgin” wood devoid of contaminants is used in their manufacturing (contaminants are present in “used wood” and in many rejects from ulterior wood working industries). Granted, however, that these emissions are always below legal limits, it has been observed that pellet heating’s weak point, particularly in small combustors, would appear to be identifiable in dusts (particularly when compared to natural gas), while its strong point concerns carbon monoxide. With regard to sulphurous anhydride, emissions from pellets are between those from natural gas and fuel oil, while for nitrogen oxides they are more or less equal to gas oil, at a level considerably higher than those of gas.

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ZUSAMMENFASSUNG In der immer zahlreicheren Familie der aus Holz gewonnenen Brennstoffe haben sich letzthin die Holzpellets gut behauptet. Als Brüder der älteren und bekannteren Holzbriketts, bestehen auch sie aus gepressten kleinen Holzteilchen und unterscheiden sich von diesen aufgrund geringerer Abmessungen der kurzen Zylinder in denen sie ausgeformt werden. Das große Interesse welches die Pellets erwecken – geschätzter inländischer Verbrauch ungefähr 150-180 Tausend Tonnen jährlich – liegt in der Tatsache, dass sie einen hohen Grad der Automatisierung von Heizapparaten und Anlagen erlauben, welcher jenem der mit Heizöl, Kerosin und Flüssiggas befeuerten Geräte fast gleichkommt. Diese Eigenschaft der Pellets beruht auf Form, Abmessung, Homogenität und Rieselfähigkeit der kleinen Elemente, welche mittels einfacher Transportschnecken der Brennkammer zugeführt werden können, mit allen daraus erwachsenden Vorteilen für die automatische Regulierung, Dosierung und Beschickung. Im ersten Teil werden kurz beschrieben: Die Erzeugung (im wesentlichen eine Durchlaufpressung eines zermahlenen, getrockneten und kondizionierten Holzpartikulates unter hohem Druck), der verwendete Rohstoff (heute hauptsächlich Säge- und Hobelspäne, d.h. Abfälle oder Beiprodukte der mechanischen Holzbearbeitung) und die wesentlichen Eigenschaften des Produktes. In Bezug auf diesen letzten Punkt werden die Produktnormen verschiedener Länder beschrieben, welche sich auf das Ausgangsmaterial (naturbelassenes rindenloses Holz), die Dimensionen der Presslinge und das Mindestmaß des Heizwertes beziehen, ebenso wie auf den Höchstgehalt an Feuchtigkeit, Asche, Elemente und chemischer Verbindungen sowie eventuell beigemischter Bindemittel. Darauf folgt eine Übersicht der Produktionspotenziale, der tatsächlichen Produktion, des Verbrauches und der Export/Importmengen, welche sich an erster Stelle auf Schweden (dessen Produktion heute auf 1 Million Tonnen im Jahr angestiegen sein dürfte) und die Vereinigten Staaten bezieht. Darauf folgen Finnland (dessen große Erzeuger auch in Schweden und Estland produzieren), Dänemark (auch namhafter Importeur von Holzpellets und Erzeuger von Strohpellets) und Österreich, wo auch die Produktion und Entwicklung von Pelletöfen und -kesseln sehr entwickelt ist. In beträchtlicher Expansion ist ebenfalls die Erzeugung in Italien, während die Produktionsmengen in Frankreich und Deutschland noch gering scheinen. Als Abschluss des ersten Teiles folgen einige knappe Ausführungen, Betrachtungen und Quantifizierungen der Kosten der Pelletheizung im Vergleich mit jenen der wichtigsten konkurrierenden Brennstoffe (Heizöl, Erdgas, Flüssiggas und Holzhackschnitzel). Der zweite Teil der Studie ist den Energie– und Kohlenstoffbilanzen der Produktion und der Verwendung von Pellets gewidmet. Für die Erzeugung wird im Sinne einer sehr vereinfachten Ökobilanz (life cycle assessment) das delikate Problem der Allokation der Energie- und Kohlenstoffbürden des verwendeten Rohmaterials angegangen, ebenso wie jenes der Verwendung von nicht erneuerbaren und erneuerbaren Energieträgern im

Produktionsprozess (im wesentlichen Heizöl einerseits und Sägspäne anderseits). Unabhängig von der (auch subjektiven) Wahl der Allokationskriterien der Energie- und Kohlenstofflasten des Rohmaterials ergibt sich klar, dass der Energieverbrauch und die Emissionen von fossilem Kohlenstoff in den verschiedenen Segmenten der Produktionskette des Rohmaterials nicht unbeträchtlich sind und weit über denen des Brennholzes und der Hackschnitzel liegen. Erheblich kann auch der Energieverbrauch der Trocknung sein, besonders wenn frische Sägespäne verwendet werden. Gering ist hingegen der Energieaufwand der Vermahlung bei diesem Rohmaterial. Für die Abschnitte, die in der Gesamtkette der Produktion der Pellets nachfolgen und keine Allokationsprobleme der Energie- und Kohlenstofflasten hervorrufen, wird hauptsächlich der Treibstoffverbrauch der Endanlieferung betrachtet und die Kohlenstoffneutralität der Verbrennung der Pellets gegenüber der Atmosphäre angemessen gewürdigt. Es wird also unterstrichen, dass mit der Verwendung von Pellets ein gewisser Verbrauch von fossilen Brennstoffen vermieden wird, welcher von deren Heizwert und Kohlenstoffgehalt abhängig ist. Für Heizöl ergibt sich zum Beispiel, dass der vermiedene Verbrauch ungefähr 1 Kilogramm pro 2,5 kg verheizten Pellets beträgt. Ein vermiedener Verbrauch von rund 25 kg Heizöl für jedes Gigajoule erzeugter Bruttowärme entspricht einer vermiedenen Emission von rund 80 kg fossilgeborenem CO2. Das letzte Kapitel ist den Schadstoffemissionen bei der Pelletverbrennung gewidmet, welche im allgemeinen ziemlich gering sind, wenn bei der Erzeugung der Presslinge naturblassenes Holz verwendet wird. Die schädlichen Emissionen könnten hingegen beträchtlich sein, wenn Restholz, Altholz oder sogar problematische Holzabfälle pelletiert würden. Vorausgesetzt, dass bei normgerechten Pellets diese Schadstoffemissionen immer unter den gesetzlich vorgesehenen Maximalwerten bleiben, wurde festgestellt, dass besonders bei kleinen Apparaten oder Anlagen der Schwachpunkt der Pelletheizung (besonders gegenüber jener mit Naturgas) bei den Staubemissionen zu liegen scheint, während ihre Stärke bei den geringen Emissionen von Kohlenmonoxid zu finden ist. Für Schwefeldioxid scheinen die Emissionen zwischen denen von Heizöl und Naturgas zu liegen, während sich für die Stickstoffoxide eine gewisse Gleichheit mit dem Heizöl ergibt, allerdings auf einem wesentlich höheren Niveau wie jenes des Erdgases.

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all’anno di pubblicazione (es. Bianchi, 1990). Se gli autori di un testo da citare sono due devono essere segnalati entrambi (es. Bianchi e Rossi 1990), se invece sono più di due si deve segnalare solo il primo autore seguito da “et al.”(es. Bianchi et al. 1990). I testi in bibliografia devono essere solo quelli citati nel testo, inseriti a fine lavoro e impostati come gli esempi seguenti:

Caso A) Bianchi P., Rossi M., 1996 - Le foreste appenniniche. Edizioni Alpe, 160 pp.

Caso B) Bianchi P., Rossi M., 2000 - I boschi del Caucaso. Boschi del mondo, anno 10 (3): 25-34.

Caso C) Bianchi P., Rossi M., 2000 - I boschi del Caucaso. 20-30. In: Verdi F. (a cura di), Il mondo dei boschi, anno 10 (3). Parole chiave: devono essere al singolare (a parte eccezioni o convenzioni linguistiche) e devono comprendere almeno:

la principale disciplina a cui si riferisce il lavoro (es. Selvicoltura);

la regione geografica in cui è stato svolto il lavoro e la nazione (solo se ci si riferisce a nazioni diverse dall’Italia);

il nome volgare e quello scientifico delle specie citate all’interno del lavoro. Le parole chiave dovranno essere presentate in Italiano, in Inglese e in qualsiasi altra lingua sia stata adottata per la versione integrale o per i riassunti. I contributi devono essere inviati alla Redazione tramite posta elettronica: [email protected] . In caso il file superi i 20 MB si consiglia di spedire il materiale per posta su cd-rom. Per informazioni non contenute in queste istruzioni si suggerisce di contattare la Compagnia delle Foreste.