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Maurice Porot

Professore onorario di Clinica psichiatrica e di Psicologia medica presso la Facoltà di Medicina di

Clermont-Ferrand

IL BAMBINO DI

SOSTITUZIONE

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PRIMA PARTE

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Prefazione

Una giovane coppia desidera ardentemente un bambino. Finalmentegiunge una gravidanza, seguita da un parto che porta la gioia nella famiglia.Questo bambino tanto desiderato muore in tenera età qualche tempo dopo lasua nascita, lasciando un posto vuoto e un dolore tanto più crudele quantopiù il bambino era stato atteso. L'"elaborazione del lutto" è molto difficile,anzi impossibile da affrontare. Per 'colmare' questo dolore, generare un altrobambino sembra l'unica soluzione.

Costui sarà un bambino di sostituzione.Noi, insieme ad altri autori, abbiamo adottato questo termine in

preferenza a quelli di bambino di sostituzione (substitution), bambino-ostaggio, bambino-illusione, sostituto di bambino, ecc. Secondo il PetitRobert, "sostituire è far fare a un'altra cosa il ruolo della prima", il checorrisponde bene allo status del bambino di sostituzione.

Il ruolo assegnato a questo personaggio non è innocente, non èneutro, come si potrebbe credere. Dalla nascita, dato che deve sostituire ilprimogenito morto in tenera età - e del quale porta in genere il nome - egli ècondannato a un non-essere: non gli è permesso di avere una identitàpropria.

Da una dozzina di anni lo studio delle biografie di personaggi celebrici ha permesso di constatare che questa situazione di bambino di sostituzionenon era senza rischi e che, se qualche pubblicazione era apparsasporadicamente, finora non era stato condotto nessuno studio complessivo.

Tentando di definire, se non un prototipo, almeno i tratti comuni deibambini di sostituzione, siamo arrivati alla conclusione che questa situazioneera, di fatto - e all'insaputa dell'interessato e del suo entourage - un handicapnella vita per tre ragioni principali: il sostituto nasce in una atmosfera didolore non risolto; identificato con il defunto, di cui gli viene assegnato ilposto, egli non ha il diritto di essere se stesso; infine pesa su di lui un sensodi colpa del tutto paradossale.

Questi tre handicap di partenza non saranno privi di conseguenzenello sviluppo della personalità dei bambini di sostituzione. Alcuni sembranouscire bene dai rischi incorsi. Altri, nel loro legittimo desiderio di esistere perse stessi, di essere qualcuno, saranno portati, inconsciamente, a uscire dallenorme sociali, poiché è sempre l'altro che si vede attraverso di loro, in una

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parola a farsi notare per distinguersi dal piccolo morto, sempre troppo vivo. Due strade si aprono davanti a loro: la "genialità" o la "follia", senza

che l’una escluda l’altra. La "follia" va dall'instabilità psichica e sociale allenevrosi più o meno strutturate, fino a disturbi seri che impongono ilricovero.

Più felici sono coloro che hanno potuto sublimare i loro problemi inuna sfera creatrice di valori, nella letteratura, nella musica, nella pittura, nellascultura, ma anche in molti altri modi.

L'analisi di questi osservazioni e la sintesi che abbiamo tentato di farepermettono di comprendere meglio alcuni comportamenti altrimentiinspiegabili. Ma esse implicano anche delle conclusioni pratiche sullacondotta da tenere a monte, opponendosi a degli atteggiamenti stabiliti,come ad esempio l'incoraggiamento a mettere al mondo un nuovo bambinoper consolare una madre inconsolabile, senza tenere conto del fatto che unbambino esiste per se stesso, non è un oggetto interscambiabile e ha il dirittodi svilupparsi secondo la propria natura.

Questo concetto di bambino di sostituzione ci è sembratosufficientemente nuovo, in ogni caso non riconoscuto, per giustificare lariunione e la sintesi di cui questo libro è il frutto.

Esso riunisce una ventina di biografie di personalità celebri, unadozzina di osservazioni cliniche pubblicate anteriormente e una decina di casiinediti.

Talvolta si rimprovera ai biografi di avventurarsi sul terreno dellavita privata di grandi uomini, perfino di studiare le loro patologie.Certamente Proust ha ragione: l'artista creatore non potrebbe essere ridottoall'uomo comune e innalzato a un ordine superiore. Ma esplorare un aspettodella personalità non è fare opera riduttiva. Questa personalità supera dimolto l'handicap di cui essa è la vittima innocente. E' perché il nostro lavoroci è parso trovare la sua legittimazione nella non conoscenza generale deiproblemi che noi lo presentiamo.

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Capitolo I

Biografie

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A. GLI ANTENATI...

IL PRIMO DI TUTTI: SETH

Se si fa riferimento alla Bibbia, noi saremmo tutti bambini disostituzione o, più esattamente, i discendenti di un bambino di sostituzione.

In effetti, il libro della Genesi (GN 4,25) ci informa che Adamoconobbe ancora una volta Eva, fuori dall'Eden, dopo la morte di Abeleucciso da suo fratello Caino. "Ella ebbe un figlio concepito al posto di Abele,poiché Caino l'ha ucciso". Questo figlio fu chiamato Seth e fu il primo ditutti i bambini di sostituzione.

Noè era, alla nona generazione, il discendente di Seth. Dopo ildiluvio che fece scomparire tutti gli esseri viventi dalla superficie della terra,esseri umani compresi - ad eccezione di Noè e della sua famiglia, al riparonell'arca - sono i discendenti di Noè, i suoi tre figli Sem, Cam e Jafet cheripopoleranno la terra.

E' in questo modo noi saremmo tutti i discendenti di un bambino disostituzione.

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VINCENT VAN GOGHO

I TRE VINCENT

Si conoscono bene i complessi legami che unirono Vincent VanGogh a suo fratello minore Théo. Si sa anche che egli ebbe un fratellomaggiore, nato morto il 30 marzo 1852, chiamato allo stesso modo Vincente che il futuro pittore, Vincent II, nacque il 30 marzo 1853, un anno, stessogiorno, dopo la nascita e la morte di questo fratello maggiore. Fu alloraiscritto allo stato civile con lo stesso numero, il 29, di suo fratello morto(Urban).

Non ci sono meno di cinque Vincent tra gli antenati prossimi delpittore. Si trattava, dunque, di una tradizione corrente, quella di dare lostesso nome ai neonati dopo i loro fratelli maggiori morti. "Se questaabitudine risponde allora a una buona intenzione, consolante per i genitori,essa si carica anche di un significato magico destinato a scongiurare possibilimalefici e ad assicurare la protezione del "piccolo angelo salito in cielo".Vincent comincia a patire, di fatto, la presenza ossessiva della tomba di suofratello nel cimitero vicino alla canonica. Questo non condiziona tutti idrammi della sua vita, ma questa lapide funeraria, triste pietra in un cupogiardino, ha dato corpo a molti fantasmi che l'hanno abitato, riguardo allasua famiglia e a sua madre in particolare (Didier Porot).

Quest'ultima, più anziana di suo marito, è descritta come sottomessa,rispettosa, ma soggetta a collere che mal nascondono la sua ostilità versosuo marito. Costui, pastore calvinista, non brilla gran che per la suacomprensione. Compensa la sua mancanza di carattere con una rigiditàd'animo che preclude ogni relazione affettiva che non sia superficiale.

Da questa coppia nascono quattro figli e tre figlie, tra i quali ilpiccolo morto e il fratello Théo. Dalle circa 650 lettere che Vincent gliindirizzerà dal 1872 al 1890 traspare il dolore di essere il "doppione", anzi lo"zombie" di questo Vincent I. Viviane Forrester ricorda che ogni domenica,da bambino, Vincent II passava davanti alla sua tomba andando ad ascoltaresuo padre, pastore, predicare nella piccola chiesa di Zundent, al centro delcimitero, questa tomba dove era scritto il suo stesso nome, la data della sua

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nascita e già quella di una morte: "Vincent Vam Gogh, 30 marzo 1852.Lasciate che i piccoli vengano a me (Luc, 18,16)".

Il leit-motiv delle sue meditazioni di allora era: "Chi mi libererà daquesta morte?" o "Chi mi libererà dal cadavere di questo morto?". Suo padrericopiava per lui questo estratto di un poema:

"Chi ci libererà pienamente, per sempre, dal corpo di questo morto, sotto il giogo tutto piegato".

L'autore sopracitato fa notare che, malgrado ciò, nellacorrispondenza di Vincent II l'esistenza così furtiva ma così pesante delprimo Vincent non è esplicitamente evocata nemmeno una volta. Egli habisogno di non vedere la realtà, di tenere a distanza questo cadavere, l'altrose stesso che gli impedisce di essere. Quando tentò di predicare nelBorinage, attirato da "quelli che lavorano nelle tenebre, le viscere dellaterra", era il fascino per l'altro se stesso, quello che viveva nel regno deimorti? In una lettera a Théo cerca di scherzare sulla "balordaggine di fare ilcadavere prima di avere acquisito il diritto a questo titolo per decessolegale".

Vincent II aveva, infatti, bisogno di interporre una barriera tra sé e ilpiccolo morto, incapace di sopportare il "senso di colpa e i rimorsiindiscutibili di cui soffrirà tutta la vita" (V. Forrester). La prima di questebarriere fu il pittore Monticelli di cui diceva verso il 1887: "Cercheremo diprovare alle buone persone che Monticelli non è morto afflosciato sui tavolidel caffé della Canebière, ma che il piccolo uomo vive ancora". Aveva allorala sola pretesa di "continuare il bisogno" di questo pittore. Guarderà a lungoa questa ambizione poiché, tra due ricoveri, dopo l'episodio dell'orecchiotagliato, scrive a Théo: "Ascoltate, lasciatemi continuare tranquillamente ilmio lavoro, anche se è quello di un pazzo, parola mia tanto peggio... Iocerco da mattina a sera di provare che, veramente, siamo sulle tracce diMonticelli...".

La sua passione per suo fratello Théo, di quattro anni più giovane, eil suo attaccamento morboso possono, senz’altro, spiegarsi naturalmente conlo stato di solitudine e di miseria in cui si trovava. Ma come suggerisceancora V. Forrester, questa "osmosi, questa fusione dei due fratelli, maanche i loro antagonismi equivoci, l'ambivalenza dei loro scambi persistenti,febbrili, la loro reciproca passione, generosa e vampiresca, inalterabile esempre minacciata, si potrebbe forse collegare, tra l'altro, al bisogno cheognuno di loro, ma soprattutto Vincent, aveva di uno schermo viventecontro il piccolo morto, il piccolo "spettro" così minaccioso, cosìaffascinante e pertanto tenuto segreto". E Vincent scrive: "E' gradevolesentire che si ha ancora un fratello sulla terra ed è vivo".

Questo fratello morto, di cui "egli pensa di essere, nel migliore deicasi, il sostituto, nel peggiore l'omicida" (V. Forrester), lo sente solidale alpunto di dubitare della sua propria esistenza, almeno mentre dipinge. Se perlui Cézanne non era che un fumista e Degas si disperava, per contro, quandoAurier, critico d'arte, pubblica il primo articolo di elogio che si sia scritto sudi lui, egli protesta, senza falsa umiltà, che "l'articolo sarebbe stato più giustose, prima di parlare di me, voi aveste reso giustizia a Gaugin e a Monticelli".Ed egli stesso sottolinea: "Poiché la parte che me ne torna o tornerà, durerà,ve lo assicuro, molto secondaria". Sempre questo tema (o questo senso dicolpa?) di usurpare un posto nel mondo dei vivi, a causa di questo non-

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essere al quale l'hanno condannato le condizioni della sua nascita. Ancoraquesta consapevolezza di essere, per sempre e nel migliore dei casi, ilsecondo.

Tutto si riattivera, la piaga si riaprirà quando Théo, pieno di buoneintenzioni, chiamerà suo figlio Vincent-Wilhelm! D'altra parte si sapeva cheil fidanzamento e poi il matrimonio di Théo con Jo Bonger fu vissuto comeun tradimento imperdonabile. E Théo commetterà la gaffe scrivendo in unalettera a Vincent: "Chissà se mio figlio non sarà qualcuno?". Toccante vanitàdi un giovane padre, certamente, ma che viene di nuovo a confermare cheVincent, quando diviene psicotico non è più qualcuno, se mai lo era stato.

Vincent tratterà allora questo nuovo inopportuno, questo nuovo"doppio" come "compagno forzato". Aggiunge: "In effetti io non sono, io,buono che per qualche cosa di intermedio e di secondario e modesto.

Prendiamo ancora da V. Forrester questo eccellente riassunto deldramma di Vincent Van Gogh. "Terrore di essere il sopravvissuto, terrore dimostrarsi, d'essere in vista da solo. Il senso di colpa, i rimorsi insistenti di cuisoffrirà tutta la vita, ma in particolare verso la fine, quando appariranno lecrisi in cui non riuscirà "a difendersi" lui non saprà da che cosa, locorrodono. Ma anche il senso di una sofferenza indicibile, incomprensibileper lui quando, come all'inizio della sua vita, prima di recarsi nel Borinage, sisente a sua volta diventato la sostituzione del primo Vincent, morto,sotterrato. Egli scrive: "Ma gli uomini sono spesso nell'impossibilità di farenulla, prigionieri di non so qual gabbia orribile, orribile, molto orribile. Nonsi riuscirebbe mai a dire quello che ci racchiude, quello che ci tiene murati,quello che sembra sotterrarci, ma si sente tuttavia, non so quali sbarre, qualiinferriate, dei muri". Quelli che troverà anni più tardi all'ospizio di Arles, poiall'Asilo di Saint-Rémy, come se gli fossero stati da tempo, da molto tempo,promessi".

Nagera, citato da Sabbatini, ha accuratamente studiato gli effettidell'assenza/presenza di questo fratello morto su Van Gogh. Scrive: "Ilfratello, essendo nato morto, in realtà non ebbe mai una sua identità, maproprio per questa stessa ragione, un'identità ideale fu creata nella vita dafantasma dei suoi genitori. Sarebbe stato il bambino perfetto, il condensatodi ogni virtù, attitudine e bontà. Avrebbe fatto tutto bene, in particolare làdove Vincent aveva fallito, l'altro, il Vincent morto, sarebbe riuscito. Questogrado estremo di idealizzazione di un bambino morto... spiega il livelloelevato degli ideali di sé che si era fissato, il terrore del fallimento... come lapaura della riuscita... Non poteva certo che fallire nel confrontarsi con idealidi sé tanto elevati. Un altro aspetto importante di questi conflitti era ilterrore inconscio di rivaleggiare con il Vincent morto e idealizzato.Inconsciamente doveva sentire che la sua riuscita era un attacco allamemoria del morto, un tentativo di prendere il suo posto nell'affetto deigenitori. Tali fantasmi sono fortemente conflittuali perché...i fratelli e lesorelle di un bambino deceduto si sentono in un certo modo responsabilidella sua morte... Inoltre, sembra possibile che in tali circostanze Vincent siaarrivato ad associare la morte e la riuscita. Affinché si riconoscesse che egliaveva le stesse qualità di suo fratello o lo stesso svantaggio, era necessarioche egli fosse morto come lui. E alla fine, infatti, Van Gogh si suicida, pochimesi dopo la nascita di un altro Vincent, il figlio di suo fratello Théo".

Benezech e Addad hanno a loro volta, nel 1984, attirato l'attenzionesulla sventura di Vincent Van Gogh, questo "stimmatizzato dalla società",come essi lo definiscono, di essere stato un bambino di sostituzione:

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"L'artista fece il suo ingresso nel mondo con una identità che non gliapparteneva, perché nelle speranze dei suoi genitori si sostituiva a suofratello defunto. Sembra evidente che il suo destino è stato oscurato daquesto primo Vincent. Si conosce il problema che la sostituzione di unbambino ad un altro prematuramente scomparso solleva. I genitori hannol'abitudine di imporre al bambino nato per secondo l'immagine idealizzatache essi hanno del primo. Confrontato a un ideale di perfezione inaccessibile,colui che sopravvive non potrà che deludere. L'ansietà dei genitori chetemono di perdere anche il loro secondo figlio, crea, inoltre, in quest'ultimouna grande sensazione di vulnerabilità, verosimilmente aggravata a sua voltadall'apparizione di un senso di colpa fratricida".

Vincent scrive: "Théo, mio vecchio Théo, se cio poteva un giornocapitarmi, se questa sfortuna estrema che posa su tutto quello che hointrapreso e che mi è riuscito così male, questo torrente di rimproveri cheho inteso o sentito, se tutto questo poteva un giorno essermi tolto (...). C'eranella tua lettera una frase che mi ha agitato: "Vorrei abbandonare tutto. Iosono la causa di tutto, non faccio che danni agli altri". Questo proposito miha vivamente agitato, poiché questo stesso sentimento, esattamente lostesso, né più né meno, lo provo anche nella mia coscienza (...) Io sono fatto[capitato] male nella vita".

Didier Porot nel suo libro Van Gogh o l'Olandese volante, apparsonel 1989, riprende le osservazioni fatte da V. Forrester riguardo l'attrazionedi Vincent per tutto ciò che è sotto terra e vi aggiunge degli sviluppi originalia partire dalla sua opera pittorica.

Per tutta la durata della sua vita e del suo lavoro Vincent ha provatofascino per la regione dove si trovava suo fratello primogenito, questo regnosotto terra che, come una canna, segnalava una piccola tomba incontrataogni giorno della sua infanzia.

Il suo soggiorno nel Borinage eccita la sua curiosità del mondosotterraneo. Egli prova a scendere nella miniera dove vanno, secondo la suastessa espressione, "questi sepolti vivi", i lavoratori del carbone, tra i quali cisono anche dei bambini.

E' anche affascinato dai cadaveri che gli è dato vedere. In Olandacontempla quello di un ragazzo affogato, forzando la porta della casa in cui èstato portato, poi lo descrive a lungo, in termini estetici.

Prova una grande attrazione per i cimiteri, ne fa meta di passeggiate,e ne parla come di luoghi vivi. Ad Amsterdam, uno dei suoi ambientipreferiti è quello dell'Est dove raccoglie dei bucaneve che offre a Mendès daCosta, suo professore di lingue antiche.

Venuto a Parigi si reca a Père Lachaise: "Ci ho visto le tombe dimarmo per le quali ho un rispetto indescrivibile ma ho lo stesso rispetto perla tomba più umile della mezzana di Béranger".

Tempo dopo, in modo apparentemente contraddittorio, scrive: "Sidirà che è ben tragico che un pittore renda l'anima in un ospedale e poi siagettato, con le meretrici, nella fossa comune".

Infatti, simpatizzando con queste donne emarginate e identificandosicon loro, non significa forse, nella prima citazione, che egli dovrebbe contarequanto il primo Vincent e, nella seconda, non parla forse della tragedia diessere un surrogato escluso?

Questi cimitero figurano spesso nella sua opera pittorica. Così è neLa fossa comune, Il cimitero dei giudei, Il cimitero di Saint-Maries, GliAlyscamps.

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Sono presenti, ma mascherati, anche nella struttura di certi paesaggi,dove si schierano specie di campi funerari, come è il caso in La mietitura,Campi di fiori in Olanda e La Crau vista da Montmajour.

Il suo interesse si sposta anche verso i dettagli che evocano ilsottosuolo quando rappresenta quelli che scavano o lavorano la terra, comein I selciatori, Le strade di Montmartre. In particolare, al primo piano dellaMaison Jaune, figura una trincea in una prospettiva che esagera quest'ultimae fa vedere da vicino sia il sottosuolo che il focolare, così come a Zundent sitrovavano vicini sia il cimitero che la canonica".

Didier Porot fa un osservazione particolarmente originale a propositodel famoso quadro di Vincent Van Gogh I mangiatori di patate, circa uncurioso personaggio sul quale nessuno, sembra, aveva ancora attiratol'attenzione. Questo quadro è la sua prima opera importante, quella in cui sirivela la sua capacità. "Questo quadro sintetizza le relazioni interpersonalidei Van Gogh, il problema posto dal primogenito morto e le sueconseguenze psicologiche sulla famiglia.

Dapprima il soggetto è la patata, questo cibo di origine sotterranearappresentato al centro del tavolo e della tela, e quest'ultima è dipinta con icolori che Vincent vuole siano quelli di una "patata polverosa", il quadroraffigurante un gruppo che si può supporre familiare.

Una donna che versa una bevanda si trova a distanza dagli altri,isolata, con la testa malinconicamente abbassata. Potrebbe trattarsi di Moë (ècosì che egli chiamava sua madre).

A sinistra un uomo giovane, la cui sedia porta scritto "Vincent",guarda fissamente in direzione della prima, come per attirare la suaattenzione.

Accanto a lui, squadrandolo, si trova una giovane donna che puòessere Wil, la sorella con cui Vincent ha avuto più relazioni, ma che puòanche essere Margot, quella che gli ha recentemente manifestato un interesseamoroso.

Questa giovane coppia si oppone a quella che formano i duepersonaggi a destra, la donna più anziana già presentata e un uomo, figura dipadre, che gli chiede da bere.

Soprattutto, in primo piano, un personaggio misterioso,apparentemente infantile, sembra come un buco nel quadro. Visto di schiena,cupo ma rischiarato di luce, non partecipa al pasto che con la sua presenza,una sorta di nero fantasma del fratello morto.

Altrove, su uno schizzo, è verso questa sorta di 'colui che torna' chesi porta lo sguardo dell'uomo giovane.

Il fratello maggiore morto avrà sempre questa figura, ossessioneràsuo fratello minore psicologicamente e quest'ultimo crederà di vederlomanifestarsi. Per esempio, quando vede il ritratto del pittore Bruyas fatto daDelacroix, al museo di Montpellier, trova una rassomiglianza fra Théo, sestesso e il pittore rappresentato e dice che questa figura gli ricorda il poemadi Musset:

"Ovunque ho toccato terraSulla mia strada è venuto a sedersiUno sciagurato vestito di neroChe mi assomiglia come un fratello".

Bruyas è rosso, come i fratelli Van Gogh, ma la somiglianza si ferma

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lì. Vincent crede pertanto di veder risorgere quello che avrebbe potutoessere il fratello e che non ha vissuto, diventato adulto e pittore...".

Nel 1889, realizza una Pietà. Una madonna si china sul figlio morto.Daltronde il suo atteggiamento è abbastanza ambiguo, affettuoso oriluttante: le braccia aperte, senza contatto col proprio figlio, essa ha l'aria dilasciarlo cadere quanto di mostrarlo. "Se la tradizione vuole che ella abbia ilvolto di sorella Epifania, non è da meno una figura materna. In particolare èil proprio volto che il pittore dà al Cristo, realizzando così un autoritrattosupplementare. Identificandosi con Gesù e prendendo su di sé le sofferenzedel mondo, che del resto spesso si infligge, Vincent si ritiene la causa deldolore e della sollecitudine di sua madre e si trova "riconosciuto" da lei.

Se la morte viene così annunciata, essa è nello stesso tempo, dato cheè quella di Cristo, la promessa di una resurrezione.

Quest'ultima è rappresentata, a sua volta, nel 1890, nella forma diquella di Lazzaro. Vincent si mette di nuovo in scena nelle sembianze delmiracolato. Un'altra esistenza si apre a lui come a quest'ultimo.

Tra sua madre e lui, nato e morto prima di lui, concepito e perso dalei, c'è il primo Vincent. Gli atteggiamenti che condizionano le buonerelazioni tra la madre e il bambino non hanno potuto arrivare che tardi, unavolta messo da parte il dolore per il primogenito. Il suo fantasma diventa ilmalinteso che governerà sempre i loro rapporti. Ciò frenerà Vincent nellasua vera via e lo farà agire in rapporto a sua madre malata e a suo fratellodefunto".

Restano da precisare le relazioni che hanno potuto avere i disturbipsichici di Vincent Van Gogh con il fatto di essere stato un bambino disostituzione.

La sua 'malattia' è stata oggetto di numerosi studi medici, benriassunti nel libro di Didier Porot. Il primo ad aver portato una diagnosi fu ilDr. F. Rey, internista all'ospedale di Arles quando Vincent vi entrò. Egliparla di una "sorta di epilessia caratterizzata da allucinazioni e da episodi diagitazione confusionale, le cui crisi erano favorite da eccessi alcoolici". Nonsi può che rendere omaggio a questo collega che, con i mezzi dell'epoca, haformulato la diagnosi generalmente accettata oggi. Secondo H. Gastaut, cheè un'autorità in materia, Vincent Van Gogh soffriva di una epilessiatemporale, verosimilmente del lobo destro. F. Minkowska avevaanalogamente argomentato in tale senso. Le altre ipotesi avanzate sonomolto meno credibili e non possiamo discuterle qui. Ciò che si può affermareè che Van Gogh non è stato "pazzo" nel senso popolare o psichiatrico deltermine.

Ciò che sembra più interessante sono le sue affermazioni: "Io lottocon tutta la mia energia per dominare il mio lavoro, dicendomi che, se ciriesco, questo sarà il miglior parafulmine per la malattia (...). Non c'èrimedio, o se c'è, è di lavorare con passione". Questo sembra confermare cheil bambino di sostituzione candidato alla "follia" ha una scappatoia, la"genialità", ma la genialità rivelata dal lavoro. Come dice S. Ongenae: "Ognifenomeno creativo è un processo di riparazione".

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SALVADOR DALI'O

I GEMELLI

Appassionato di Salvador Dalì, C. Chamoula gli dedica la propria tesidottorato, nella quale rileva un errore certamente significativo nella biografiadi questo pittore. Dalì, in La vita segreta di Salvador Dalì, sostiene di avereavuto un fratello maggiore chiamato anch'egli Salvador. Secondo Dalì,costui sarebbe morto all'età di sette anni, giusto tre anno prima della proprianascita. Ora, facendo ricerche nei registri del municipio di Figueras,Chamoula ha scoperto che questo fratello maggiore non è morto all'età disette anni, ma di venti, un mese e venti giorni, e non tre anni, ma esattamentenove mesi e dieci giorni prima della nascita di suo fratello minore, il pittore.Al limite si può supporre che quest'ultimo è stato concepito lo stesso giornodella morte di suo fratello maggiore. Il suo stato di bambino di sostituzionesembra dunque ben consolidato e lo si ritrova in filigrana nella vita enell'opera di questo artista.

Già prima di Chamuola, P. Roumegere, un altro ammiratore di Dalì,aveva suggerito che il fratello morto di Dalì era in effetti il suo doppio,doppio fantomatico che aveva creato una sorta di schizofrenia nellapersonalità del pittore, nella sua immagine del corpo, anzi nel suo schemacorporeo. Questo doppio sarebbe divenuto "quel doppio mitico che ha tantorapito Dalì: l'incarnazione in Salvador Dalì e sua moglie Gala del mito deidioscuri" dei gemelli Castore e Polluce (o Polluce e Elena, secondo leversioni), gemelli cosmici. Ricordiamo che questa coppia proveniva da unsolo uovo, generato dall'unione di Leda con Zeus trasformato in cigno.Questo uovo è rappresentato in molteplici esemplari di grande taglia nelteatro di Figueras dove ha sede il museo Dalì.

Le sue eccentricità, secondo lui, avrebbero perseguito il medesimoscopo: "Grazie a questo gioco costante di uccidere per mezzo delle mieeccentricità la memoria di questo fratello morto, ho realizzato il mito sublimedi Castore e Polluce, un fratello morto e un altro immortale" ( in tuttamodestia...). E siccome non è mai in debito di immaginazione, aggiunge,invocando Darwin, che suo fratello non aveva potuto sopravvivere perché

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troppo debole, rendendo così possibile lo sbocciare del suo successore, luistesso.

Il padre dei due Salvador, I e II, si chiamava anch'egli Salvador. PerChamoula, la madre dei due Salvador-figli ha dovuto vivere la morte delprimo in modo straziante e la gravidanza di Salvador II che sopraggiunse -volontariamente o no -, immediatamente dopo il decesso avrebbe bloccato(egli dice "trattenuto") il suo lutto in piena gestazione, lutto animato da unsenso di colpa inconscio, date le circostanze in cui il futuro pittore fuconcepito. Secondo Fereneczi, molte persone presentano, poco dopo unlutto, un aumento dei bisogni sessuali, che portano, dopo una morte, alconcepimento di un bambino. Egli cita Torok che constata che tutti quelliche confessano di avere vissuto un tale aumento di libidine lo fanno convergogna.

La madre di Dalì ne avrebbe trasmesso gli effetti patogeni a suofiglio, che scrive:

"Ho vissuto la mia morte, prima di vivere la mia vita. All'età di sette annimio fratello è morto di meningite, tre anni prima che io nascessi (ciò è inesatto). Ciòha scosso mia madre nelle profondità del suo essere. La precocità, il genio, lagrazia, la bellezza di questo fratello erano la sua delizia: la sua scomparsa fu unoshock terribile. Ella non doveva più riaversi. La disperazione dei miei genitori nonfu placata che dalla mia nascita, ma la loro sciagura continuava a penetrare ognicellula del loro corpo. Nelle viscere di mia madre io potevo già sentire la loro"angst" (?). Il mio feto nuotava in una placenta infernale (sic). La loro angoscia nonmi lasciò mai... Io ho vissuto profondamente il persistere della presenza di miofratello come un un trauma permanente - una specie di alienazione dell'affetto - e ilsenso di essere vinto. Tutte le eccentricità che io commetto, tutte le mie incoerenze,sono la costante tragica della mia vita. Io voglio dimostrare a me stesso che nonsono il fratello morto, ma quello vivente. Come nel mito di Castore e Polluce:uccidendo mio fratello, conquisto per me l'immortalità".

Chamoula prosegue supponendo che la libido traumatizzata dellamadre di Dalì, con il suo amore non sazio e il suo lutto abbreviato, è statainvestita massicciamente su Salvador II che l'ha vissuta come un amoreviolento, mortale, un "corpo estraneo interno" (J. Laplanche) traumatizzante.Salvador II avrebbe sempre tentato di riunire questo "corpo estraneointerno" irrazionale, persecutorio, al resto della sua vita cosciente e critica.Da cui il suo "metodo paranoico-critico" così spesso affermato.

Nel 1929 Salvador II, pittore ormai conosciuto nel mondo intero,rompe con il padre. Si dice anche che era stato cacciato da lui quando questiaveva scoperto le relazioni incestuose tra lui e sua sorella, la giovane ragazzasempre dipinta di schiena nei suoi primi quadri. Che si tratti del rifiuto delpadre o del rifiuto verso il padre (che si chiama anch'egli Salvador) il pittoresi libera simbolicamente del primo nome del fratello maggiore, così pesanteda portare. Ora, questo salvador I aveva un altro nome: Galo. Incontrandonello stesso anno Gala (doppio femminile di Galo, come ha fatto notare J.Laplanche), si libera ancor più completamente rifiutando il secondo nome,attraverso una trasmutazione al femminile. E Gala diventerà "GalaSalvadora"... L'investimento massiccio e liberatorio è attestato dal nostropittore, che afferma: "Io amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più diPicasso e anche più del denaro". Si apprezzerà la progressione. Al super-ioparentale inibitore si sostituisce il surrealismo, istanza liberatrice delle suepulsioni.

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L'orientamento verso la produzione artistica gli avrà forse eviti dicadere nella follia e ciò chiarisce senza dubbio il suo celebre capriccio: "Lasola differenza che c'è tra un pazzo e me, è che io non sono pazzo...".

Guyotat pensa, con ragione, che se si facesse una diagnosipsichiatrica, ne uscirebbe un tipo di ipomania cronica, cosa che non èsufficiente - egli sostiene - a qualificare il genio creativo di questo pittore.

Questo autore segnala che Dalì, che è sempre stato affascinatodall'Angelus di Meillet, ha provato a ritrovare, con i raggi x, la forma di unbambino morto sepolto ai piedi dell'uomo e della donna nel famoso quadro,esempio tipico di un gesto guidato dal fascino dell'incontro tra immaginario ereale, ma anche dall'ossessione di questo fratello morto e sepolto.

Dalì ha sempre rifiutato di avere dei figli: "Gli embrioni mi fannoorrore, il loro aspetto fetale mi mette in difficoltà, fino all'angoscia. Io nonpotrei mai, come tutti i geni, che generare un cretino". E Guyotat suggerisceche il bambino reale lo avrebbe privato del suo doppio, che egli proietta suGala.

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LUDWIG VAN BEETHOVENO

I MALINTESI

Ciò che tutti conoscono di Beethoven è la sua sordità e il suo voltoleonino: un po' poco per 'valutare' un personaggio eccezionale come lui. Isuoi contemporanei ne hanno fatto ritratti più dettagliati, in generale pocolusinghieri, che insistono sulla sua bruttezza, la sua capigliatura, la suanegligenza corporale, la sua goffaggine, il suo disordine, la sua incapacità dicontare, anche in modo elementare, e la sua credulità.

Lo studio degli antenati e della famiglia di Beethoven rivela trecaratteristiche: la mobilità nello spazio, la presenza di musicisti in ognigenerazione e un legame particolare con l'alcool, sia come venditori, siacome consumatori, sia ambedue.

Suo padre, che lo avviò molto presto al pianoforte, era un alcolizzatoviloento, autoritario e tirannico, la cui morte fu salutata dal Principe Elettoredi Colonia (di cui egli era il musicista titolare) in questi termini: "I guadagnisulle bevande hanno subito una diminuzione... a causa della morte diBeethoven".

Sua madre, persona discreta, dimessa, tubercolotica, senza dubbiotriste, non gli diede - e a ragione - una brillante immagine della vitaconiugale. Ne fu amato? In ogni caso lui l'amò profondamente.

Un fatto sembra avere, con la carenza dell'autorità familiare, pesatoinconsciamente su di lui: Ludwig era un bambino di sostituzione. Un po' piùdi un anno prima della sua nascita era venuto al mondo un fratello maggioremorto all'età di quattro giorni: si chiamava Ludwig anche lui. Ereditando ilsuo nome, egli eredita anche una primogenitura che rivendicaininterrottamente a oltranza per tutta la vita. Oggi noi pensiamo che questaeredità ebbe conseguenze ancora più importanti.

Si sa che egli ebbe, oltre a questo fratello più grande, altri tre fratellie due sorelle, di cui due solamente sopravvissero, i suoi fratelli Kaspar-Karle Nikolas-Johann, i due che lo seguirono immediatamente in questa famiglia,dove nacquero sette bambini in diciassette anni, cosa affatto anormale aquell'epoca, d'altra parte non più importante della mortalità infantile, in una

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situazione in cui il padre morì alcolizzato a la madre tubercolotica.Orfano di madre a 17 anni e di padre a 22 anni, Ludwig II, "auto-

autorizzandosi" (come avrebbe detto Lacan) si reputò capofamiglia e dallamorte del padre pretese di comandare i fratelli più giovani di 18 e 16 anni.Aveva finalmente da un ruolo da ricoprire, una identità sociale.

Infine, è nell'Inno alla gioia di Goethe, di cui fece il superbo corofinale della sua Nona Sinfonia, che egli raggiunse forse questa fratellanzaideale, perseguita a lungo: "Fratelli miei, cessate i vostri lamenti, solol'allegria deve unire le nostre anime: la gioia deve regnare su di noi! Gioia!etc.".

Tre problemi dominano la vita di Ludwig Van Beethoven: la sordità,l'alcolismo e i suoi rapporti con le donne.

Essere sordo, per un musicista, sembrava essere la peggiore cosa chepotesse capitare: è almeno l'opinione corrente; nei fatti è contestabile. Qualefu la ripercussione della sordità, apparsa in età matura in Ludwig VanBeethoven, sulla sua personalità e sulla sua opera? Per quanto riguarda laprima, è certo che essa non poté che contribuire, isolandolo dal mondo, ainasprire, ad accentuare le reazioni sfavorevoli di questo sradicato vivo. Maegli non si è mai rammaricato che essa abbia avuto un'influenza sulla suacreatività. Infatti, l'artista crea nella sua mente, sente cantare in sé ciò che poiscrive e solo allora lo verifica sullo strumento. Al limite, alcuni si sonodomandati se questa sordità non abbia favorito, al contrario, il creatore asvantaggio dell'esecutore.

Che Beethoven abbia abusato dell'alcool, in particolare del vino, ogginon è certo un mistero. Il referto d'autopsia che descrive un fegato tipico dicirrosi di Laënnec convalida questa ipotesi. La questione veramenteimportante è sapere perché Beethoven beveva: bisogno di superare i propriproblemi familiari - soprattutto il disagio dovuto al suo stato di bambino disostituzione che gli impediva di essere se stesso - desiderio di rassicurazionesociale, o per superare le difficoltà che ha sempre avuto con le donne? Nonsi può dire.

Il terzo problema di Beethoven è quello dei suoi rapporti con ledonne. Quelle che ebbero un ruolo nella sua vita sono di tre tipi: quelle chegli sono servite da madre, quelle che ha amato o che lo hanno amato e infinequelle che ha odiato.

Beethoven era attaccato a sua madre. Alla sua morte avevadiciassette anni. Né il suo misero focolare, né le opinioni che ella esternavasul matrimonio hanno potuto incorragiare il giovane Beethoven a farsirealmente una famiglia, nonstante il suo convinto desiderio. Molto prestotrovò delle 'madri di sostituzione', dapprima a Bonn nella persona di HélèneVon Breuning, madre di famiglia intelligente e calorosa, poi a Vienna inquella della principessa Cristina Lichnowsky, presso la quale alloggiò e chelo proteggerà fino all'irritazione; infine fu la volta della contessa MarieErdödy, "la cattivante e conturbante sirena malata", come la chiama RomainRolland, più spesso obbligata a stare a letto che a zoppicare coi piedi sempregonfi. Gli screzi e le riconciliazioni caratterizzarono le relazioni con questetre madri, come con l'ultima di loro, Nanette Streicher, eccellente pianista ebrava governante della casa particolarmente disordinata di questo celibe,incapace di vivere normalmente.

Beethoven non riuscì mai ad accostarsi serenamente alle donne e

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all'amore. La sua vita sessuale, intesa in senso ampio, fu una successione dimalintesi nella misura in cui egli non seppe mai considerare una donna comeun'altra persona, ma solo come un oggetto da possedere o rifiutare. Tutte lesuse relazioni con le donne portano il marchio di uno squilibrio e di unadisarmonia: egli non va molto lontano per realizzare i suoi voti, o va troppolontano, per farli fallire. Le donne gli fanno paura. Aveva l'abitudine - fattorimarcabile - di legarsi sia con l'entourage maschile immediato delle donneamate, fratello o marito, sia con esse stesse. Questa "passionedell'inaccessibile" (M. Salomon) traspariva dalla sua vita amorosa,personificata da questa "Benamata lontana" che egli canta, ideale proprioperché inaccessibile.

Tuttavia la sua seduzione era reale e il suo cuore non fu mai inattivo.Ma nessuno sa se questi amori terminavano in una realizzazione sessuale. Suquesto argomento egli era di un pudore assoluto. Se si mostrava sprezzanteo aggressivo, era per un meccanismo di difesa contro il nemico: le donne.Ricordiamo tra i suoi più famosi amori, Lorchen von Breuning a Bonn, cheaveva diciassette anni, le due sorelle Brunswich a Vienna, Thérèse, saggia,riservata, pia, raggiante bontà, e la più giovane Joséphine, detta "Pepi", piùfragile, che occuparono indiscutibilmente un posto negli amori di Beethoven,così come la loro cugina germana, Giuletta Guicciardi, piccola moretta,spiritosa e civettuola, sapendo di piacere. Probabilmente Ludwig fu piùattaccato a "Pepi", anche dopo il matrimonio di lei con il conte Deym e lasua vedovanza.

Il cuore di Ludwig non restava mai vuoto: i suoi ultimi amori nefanno fede, che si trattasse di Teresa Malfatti e soprattutto di BettinaBrentano, molto discussa dai biografi del musicista, che seppe mirabilmentelegare e far danzare quell'orso di Beethoven.

Nessuno sa ne mai saprà il numero di coloro che l'hanno amato insilenzio, senza essere contraccambiate e senza speranza. Tra queste si devecitare la piccola Fanny Giannastasio, il cui diario di adolescente semplice epudica ci ha lasciato dei ricordi toccanti.

Tutti conoscono la famosa lettera all' "Amata Immortale", oggetto diinterminabili malintesi, "enigma spossante a forza di essere insolubile" (J. eB. Massin).

L'identità della destinataria, che non ricevette mai tale lettera, datoche la si ritrovò in una cassetta segreta dell'ufficio di Beethoven dopo la suamorte, varia secondo gli autori.

Per vent'anni l'astio portato da Beethoven alle sue due cognateresterà implacabile e feroce. Esse sono incolpate di ogni vizio, persino dicrimini (non erano perfette), ma il crimine più grave era stato di aver sposatoi suoi due fratelli, che egli considerava come un suo bene, se non propriocome suoi schiavi. Il processo intentato per togliere la custodia del proprionipote Karl alla legittima madre Johanna, che Ludwig battezzava "reginadella notte", riempiranno diversi volumi. Thérèse, sposa di Johann, il menosimpatico dei fratelli Beethoven, era soprannominata da Ludwig la"donnaccia", fatto che testimonia la stima nella quale la teneva.

Sballottato tra la propria madre e lo zio, messo in collegio, il nipoteKarl, che Ludwig voleva considerare come un proprio figlio, da solo, finì pertentare il suicidio, fallito, ma tale da uscire per il rotto della cuffia daquell'atroce gioco.

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Condannato a 'non-essere' come tutti i bambini di sostituzione,Beethoven sperava probabilmente di realizzarsi nella persona di questonipote, che avrebbe avuto tuttosolo per sé.

Ludwig Van Beethoven, psicologicamente parlando, era normale ono? La domanda, posta così, è insolubile. Beethoven non fu "pazzo", nelsenso comune del termine. Ma il suo carattere e il suo comportamentostupirono sempre (ed è un eufemismo) i suoi contemporanei e i suoi biografi.Il documento detto Testamento di Heiligenstadt fornisce su questo puntoelementi di stima di primaria importanza. Bisogna leggerlo. Vi si constatasubito che, destinato ai suoi due fratelli, egli dimentica - fatto altamentesimbolico - per tre volte di nominare suo fratello Johann, lasciando unospazio bianco al posto del suo nome. Lo stile cupo, disperato, enfatico,romantico, le idee di suicidio, i sentimenti di solitudine e di rivolta aggressivasono eloquenti e traducono una "sensitività" manifesta.

Beethoven - è il nostro punto di vista - era un "sensitivo" nel sensointeso dallo psichiatra tedesco Kretschmer. Con questo termine, comesintetizza Jean Sutter, Kretschmer designa soggetti vulnerabili, sensibili,dipendenti, scrupolosi, poco rassicurati nella loro sessualità. Tali sono infondo a se stessi, ma sembrano capire che questi tratti li destinano a impresedi dominio proprie degli individui più coraggiosi; così si sforzano dimostrarsi sicuri di se stessi, energici, intrattabili: la loro psicologia (e questoappare bene nella loro mimica o maschera imperiosa) è marcata da unacostante tendenza alla compensazione.

Dal 1915 un altro psichiatra tedesco, Krappelin, aveva a sua voltadescritto le reazioni psicopatologiche alla sordità progressiva, che portano aquella che egli ha chiamato la "paranoia dei sordi", che assomiglia molto allaparanoia sensitiva di Kretschmer. La descrizione che egli ne fa è del tuttosovrapponibile a quello che si sa del carattere di Beethoven.

Questo squilibrio profondo e permanente del musicista si puòspiegare con molteplici ragioni, come abbiamo visto. Ma da subito egli soffrìdell'handicap rappresentato dal fatto di essere un bambino di sostituzione,cercando in continuazione di affermare una identità mal stabilita, quasiinesistente, attraverso difficoltà innumerevoli per instaurare legami normalisia con se stesso che con il proprio entourage.

Un piccolo avvenimento, infine, sembra confermare questo punto divista. Maynard Solomon fa notare che Ludwig Van Beethoven non ha maiconosciuto la propria età esatta o piuttosto non l'ha voluta conoscere. Egliha creduto per molto tempo di essere nato nel dicembre 1772 e non neldicembre 1770. Molti dei suoi migliori amici gli hanno presentato copie delsuo estratto di battesimo ed egli ogni volta ne contestava la validità: erapersuaso che si trattasse di quello di suo fratello maggiore Ludwig-Maria. Il2 maggio 1810 scrive a Wegeler per chiedergli di inviargli un estratto dibattesimo "corretto". "Ma bisogna fare attenzione a una cosa: c'è stato unfratello nato prima di me [è lui che lo sottolinea] che si chiamava anch'egliLudwig, con in più Maria, ma che è morto. Per stabilire la mia vera etàbisogna trovare quello (...). Io ho avuto un libretto di famiglia, ma è andatoperso, il Cielo sa come. Dunque non ti scoraggiare se ti raccomando moltocalorosamente questo problema e cerca di scoprire Ludwig-Maria e ilLudwig di adesso, venuto dopo di lui".

Egli ricevette questo certificato, documento timbrato dal sindaco diBonn, che dava come data di battesimo il 17 dicembre 1770. Lo rifiuta e

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scrive sul retro. "1772. Sembra che il battesimo non sia corretto, poiché c'eraun altro Ludwig prima di me".

Questo bisogno costante, irresistibile, di contestare la propria data dinascita per ritardarla e per mettere la distanza più grande possibile tra sè equel fratello maggiore morto piccolo, non può essere senza significato. Eglivuole staccarsene, respingerlo, forse per essere più sicuro di avere unapropria identità e per non accontentarsi di non essere che un semplice"doppio" condannato a un non-essere. "Era nel suo fantasma il "falso" figlioche non poteva mai prendere il posto del fratello morto", scrive M.Solomon, che ne dà la nostra stessa interpretazione: secondo questo autore,il fratello morto rappresenterebbe, nel "romanzo familiare", il bambinolegittimo e felice e il povero figlio cadetto l'illegittimo e il sofferente.

In altri termini, perché il secondo potesse essere, il primo Ludwignon avrebbe mai dovuto esistere.

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CHATEAUBRIANDO

I QUATTRO RENE'

René-Auguste de Chateaubriand, conte di Combourg, padre delloscrittore, fece fare a sua moglie dieci figli in quattordici anni, quattro deiquali morirono nella culla, e due, da adulti, furono ghigliottinati.

Quest'uomo, che aveva fatto fortuna con la pesca, la corsa e iltrasporto, aveva il desiderio ossessivo di assicurarsi la trasmissione delproprio cognome, del proprio titolo e dei propri beni. Era un uomo severo esenza pietà, al punto che il suo corpo, inumato nella chiesa parrocchiale diCombourg, fu dissotterrato e bruciato sulla piazza pubblica dai cittadiniall'inizio della rivoluzione.

A partire dal 1754, un anno dopo il suo matrimonio, venne al mondouna figlia e morì nella culla. Stessa sorte capitò a un figlio, molto atteso,Geoffroy-René-Marie, nel 1758. L'anno seguente fu più fortunato, perchénel 1959 veniva al mondo Jean-Baptiste-Auguste che diventava ilprimogenito dei maschi (morì ghigliottinato a 35 anni). A questo futurocapofamiglia, il padre, René-Auguste, doveva riservare la sua predilezione ela sua generosità, secondo il duca di Castries.

Fu solo il 4 settembre 1768, dieci anni dopo la nascita del primoRené morto nella culla, che un secondo erede maschio venne a soddisfare levoglie del conte René-Auguste. Fu chiamato Francois-René. Egli doveva, inseguito, rendere celebre il nome dei Chateaubriand come scrittore e uomopolitico.

Si sarà notato che il padre, il primogenito dei ragazzi, morto in teneraetà, e lo scrittore portano tutti e tre lo stesso nome, René (re-natus = nato dinuovo). Era questa una tradizione familiare o il desiderio paterno di unarinascita simbolica? Non si può fare a meno di accostare questi due Renéseparati da dieci anni, ma che sembrano avere proprio un'unica identitàalmeno nel desiderio del padre. E se ne dovette parlare in famiglia, perchénon è senza ragione che Francois-René scrisse nelle sue Memoriedall'oltretomba: "Non c'è giorno che, ritornando a ciò che sono stato, nonriveda nel pensiero la roccia sulla quale son nato, la camera dove mia madre

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mi infliggeva la vita, la tempesta il cui rumore cullò il mio primo sonno, ilfratello sfortunato che mi donò il nome che ho quasi sempre trascinatonell'infelicità. Il Cielo sembrò riunire queste diverse circostanze per metterenella mia culla un'immagine del mio destino". Questo fece dire a JulesLamaitre che Chateaubriand nacque senza nessuna semplicità...

Ciò che sembrava ancora più significativo è che Francois-René deChateaubriand, coscientemente o no, ha sempre rifutato il nome di René e ha'creduto' di chiamarsi Francois-Auguste a tal punto da sposarsi con questonome. Inoltre, tutte le opere di Chateaubriand portano i nomi di Frabcois-Auguste, dal Saggio sulle rivoluzioni del 1791 fino al momento in cuiChateaubriand sostituirà i suoi nomi con il suo titolo di conte. Colui che ogginoi chiamiamo René non ha mai firmato le sue opere con questo nome.

Chateaubriand aveva fatto erigere a Roma, sulla tomba della suaamica Paolina de Beaumont, un monumento funerario con questa dedica:"F.-A. de Chateaubriand ha eretto questo monumento alla sua memoria". Ela stessa Paolina de Beaumont, nel proprio testamento, ha dichiarato dilasciare "tutti i miei libri a Francois-Auguste de Chateaubriand".Riassumendo, Chateaubriand ha sempre rifiutato di portare il nome delfratello precedente, morto piccolo, tanto davanti allo stato civile quanto daautore, come per liberare la propria personalità da quella di questo fratellomorto al quale si era voluto identificarlo.

Rifiutando il nome René, Chateaubriand rifiuta quello di un padretirannico, senza calore, meschino oggetto di identificazione (come il filosofoPaul-Michel Foucault rifiuta il nome di Paul, che era di suo padre, perconservare solo quello di Michel). O forse rifiutò anche di essereidentificato, confuso, con questo fratello maggiore morto piccolo, di cui egliera considerato il sostituto nel progetto familiare paterno?

Il padre di Chateaubriand si chiamava René-Auguste. Ora è il solonome Renè che fu rifiutato dallo scrittore, durante la sua vita, il qualeassunse però il secondo nome Auguste. E' dunque il piccolo fratello mortoche rifiuta, quello "che mi ha dato un nome che ho quasi sempre trascinatonell'infelicità".

A. Rouault de la Vigne (comunicazione personale) non pensa che ilnome René fu abbandonato per le ragioni che proponiamo. Secondo lui, dalmomento che il fratello primogenito Jean-Baptiste era stato ghigliottinato,Chateaubriand, considerandosi il capofamiglia (e diventandolo di fatto dopola morte del padre nel 1786), prese il cognome di questo padre Auguste,lasciando cadere quello di René che aveva per lui una connotazione didolore, ad un punto tale che prendere il nome del padre, capofamiglia,permetteva di stabilire un certo standing per gli affari e per il suo orgoglio.

Questa tesi sembra difficile da sostenere, perché Chateaubriand nonha mai firmato un'opera con il nome René. Ora il suo primo lavoro Saggiosulle rivoluzioni è apparso nel 1791 senza il nome René, quando il fratellomaggiore non fu ghigliottinato che due anni più tardi, nel 1793.

Ma c'è un quarto René in questa famiglia!E' l'eroe della celebre trama che ha per titolo questo solo nome, eroe

che si trova altrove anche in altre trame ambientate in America, in particolarei Natchez.

Il tema della storia è una passione incestuosa tra l'eroe e sua sorellaAmélie, che la eviterà entrando in convento. Si sa anche che il nostro autoreaveva per sua sorella Lucile, più grande di lui di quattro anni, una amiciziaappassionata e che si era indignato quando se ne sospettò la purezza.

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Sainte-Beuve e dopo di lui M. Regard affermano che è in se stessoche l'autore si è immedesimato per scoprire i tratti principali del suopersonaggio. I riscontri abbondano. Ma il destino dell'autore si distinguerà inseguito dal René creato.

Bisogna vedere in questa sfaldatura un mezzo per liberarsi dal pesoinsopportabile di questo fratello morto piccolo, di cui aveva ereditato ilnome, proiettandolo nell'immaginario?

Questa situazione di fratello maggiore è a sua volta rinnegata dalloscrittore e rivendicata dall'eroe, che dice: "Avevo un fratello che mio padrebenedisse perché vedeva in lui il figlio primogenito". Nello stesso passaggiodice: "Venendo al mondo io sono costato la vita di mia madre: sono statoestratto dal suo seno col ferro". Ora, la madre dello scrittore sopravvisse 29anni al parto di quest'ultimo.

Secondo M. Regard, il "René" di Chateaubriand è il libro dellaconstatazione e del rifiuto. D'altronde le prime note furono abbozzate amatita durante il suo esilio londinese nel 1793, quando aveva 25 anni, l'annoin cui suo fratello, primogenito di fatto, se non il primo nato, fughigliottinato.

I discorsi disincantati e tragici di colui che chiama "temporalidesiderati" (ripreso dal Cantico dei Cantici), che dice "abitare con un cuorepieno un mondo vuoto e, senza avere usato niente, essere disingannato ditutto" rilevano certamente più un lirismo romantico proprio dell'epoca cheun problema psicologico legato allo stato familiare specifico.

Comunque sia, questo atteggiamento ambiguo verso questo titolo diprimogenito, rifiutato e al tempo stesso rivendicato, questa "morte dellamadre" (che scarica sul medico che ha usato i ferri) questo attaccamentoquasi incestuoso a sua sorella meriterebbero, forse, un'analisi psicologica piùa fondo ma anche più azzardata: nopi lasciamo ad altri il compito di andareoltre.

Tutta la vita di scrittore e di uomo politico di Chateaubriand è là peraffermare che il suo genio l'ha portato a trionfare, senza dubbio, per mezzodi una proiezione letteraria liberatoria, su un handicap di partenza pesante dareggere.

"Rompere con le cose reali, non è niente: ma con i ricordi..." finiràcon lo scrivere nel suo ultimo lavoro, La vita di Rancé.

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CAMILLE CLAUDELO

IL RAGAZZO DOPPIAMENTE MANCATO

La celebrità di suo fratello Paul ha lasciato a lungo nell'ombraCamille Claudel, la cui opera scultoria merita di meglio dell'oblio relativo nelquale è caduta. Un film ed alcuni libri le sono stati dedicati negli anni '80 ehanno permesso di rendere caduca l'osservazione che faceva CharlesMaurice nel 1907 secondo la quale il talento di Camille Claudel è una gloriae una vergogna del nostro paese.

La morte non ha permesso a Jacques Cassar di completare una tesimolto documentata, la cui parte essenziale è stata pubblicata postuma, e che,di tutti i lavori apparsi, è quella che porta le infomazioni più precise suquesta artista, che trascorse gli ultimi trenta anni della sua vita in ospedalepsichiatrico, dopo avere amato appassionatamente lo scultore Rodin, chenon ricambiò questo amore assoluto e senza confini, dopo avere lavorato,anche con passione, per trasferire nella scultura la visione del mondo che ellaportava in sé.

Suo padre, conservatore di ipoteche alla Fère-en-Tardenois, avevadiciotto anni più della moglie: "Specie di montanaro nervoso, collerico,irascibile, lunatico, immaginativo all'estremo, ironico, amaro", scrive di lui ilfiglio Paul. Ebbe sempre per sua figlia Camille una indulgenza che sua madrenon aveva. Questa, orfana a tre anni, privata presto dell'affetto materno,condusse una vita piena di tristezza e conobbe poche gioie.

Da questa coppia nacque, diciotto mesi dopo il matrimonio, il 1agosto 1863, un figlio, Charles-Henri, che morì quindici giorni più tardi,diciassette mesi prima della nascita di Camille, l'8 dicembre 1864. La vitafamiliare non era serena e scene violente avevano accompagnato la nuovagravidanza. E per di più fu una figlia e non un maschio!... La delusionematerna fu immensa. La madre di Camille non le perdonò mai di non esserestata il maschio che sperava, di non aver sostituito il piccolo Charles-Henri. Isuoi rapporti con la madre furono sempre più cattivi. Questa non l'accettòmai, chiamandola ripetutamente "l'usurpatrice", trattandola da "donnaccia",da "diavolo incarnato".

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Si osserverà che Camille ricevette un nome ambiguo, sia maschile chefemminile, che non si ritrova in alcuno degli ascendenti. Suo fratello Pauld'altra parte darà questo nome a un personaggio maschile, Camille le Maure,in Scarpa di raso.

Da questa coppia nascono ancora due figli: Louise nel 1866 e Paulnel 1868, che renderà illustre il nome dei Claudel nella carriera e nellaletteratura.

Camille, 'ragazzo mancato' per nascita, si comporterà tutta la vita da'ragazzo mancato' nel senso corrente del termine.

A quel tempo una ragazza seria non poteva quasi contemplare unacarriera diversa dal matrimonio. Presa, fin dall'infanzia, dal demone dellacultura, ella vi consacra la propria vita, tutta la propria vita, in disprezzo aipropri interessi personali, alle convenzioni sociali, alla morale dell'epoca.

Questa passione per la scultura doveva portarla ad incontrare Rodin,scultore già celebre, che avrebbe "di primo acchito riconosciuto i doni (?)eclatanti della giovane artista, la cui immagine, i magnifici occhi blu intenso,lo sguardo luminoso, catturarono presto il suo cuore d'uomo". Divenne suaallieva "perché lei è artista e perché egli è veramente il solo scultore chefaccia dell'arte" (C. Claudel). Egli amò in lei sia l'artista che la donna. La suapassione per lei fu totale ed esigente.

Il loro relazione fu burrascosa, dato che Rodin proseguiva unavecchia relazione con Rosa Beuret alla quale lo univano dei legami "piùdomestici che sentimentali". Presto Camille va ad abitare da sola in fondo adun umile cortile, lungofiume Bourbon, in quello che rappresenta anche il suoatelier e diventerà più tardi la sua stamberga. Col passare degli anni, ella silibererà dell'influenza di Rodin. Ci si è potuti interrogare se egli non abbiautilizzato il talento di Camille a proprio vantaggio (faccenda del "volo" di LaClotho). Un giorno egli dirà: "Io le ho mostrato dove trovare l'oro, ma l'oroche lei trova è proprio dentro sé".

La fama di Camille aumenta, ma la sua personalità diviene sempre piùscossa e le sue relazioni già molto distese con Rodin si trasformano inmanifestazioni di ostilità e di rancore, in parte giustificate, prima che sisviluppino un comportamento e dei disturbi mentali che allarmeranno i suoivicini e porteranno il suo entourage a farla internare il 10 marzo 1913 pressol'Asile de Ville-Evrard. Aveva 48 anni. Il ritornello abituale sul "sequestroarbitrario" fu condotto per mezzo di una campagna di stampa di "L'Avveniredell'Aisne" contro la famiglia Claudel e principalmente contro suo fratelloPaul. Il 9 settembre 1914, a causa della guerra, Camille viene trasferitapresso l'Asile de Montdevergues, a Montfavet, nella Vaucluse, dove moriràil 19 ottobre 1943, dopo essere stata internata per quasi trentanni.

Si è molto discusso circa la "follia" di Camille Claudel. F. Lhermitte eJ.-F. Allilaire, si basano su documenti conservati negli ospedali psichiatrici ehanno fatto nel 1984 una messa a punto che può essere considerata comedefinitiva. Secondo questi autori "la realtà dei disturbi mentali di Camilleappariva in piena luce dall'inizio alla fine. Ciò non leva niente alla suastupenda figura di donna e di artista". Camille Claudel fu colpita da undelirio paranoico persecutorio determinato da false interpretazioni.

Numerosi tentativi di spiegazione sono stati avanzati per cercare dichiarire la sua vita tormentata, il suo genio e il suo fallimento finale. J.Cassar fa pesare il ruolo della mancanza di soldi che costituì la suapreoccupazione quotidiana e costante durante la sua vita, della mancanza delpiù elementare conforto, della scarsità degli insegnamenti ricevuti, del

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carattere penoso del proprio mestiere di scultore, della sua coscienzaprofessionale esasperata fino all'eroismo, del tipo di relazioni col suoentourage (Rodin in particolare) e soprattutto coi suoi familiari.

Le relazioni con suo padre non furono sempre facili, ma li univa unatenerezza segreta. Sua sorella Louise e suo fratello Paul hanno saputocomprenderla, aiutarla materialmente e moralmente fino ai suoi ultimi giorni.Il suo grido: "Mio piccolo Paul! Mio piccolo Paul!" lanciato all'ultima visitadi costui, quando la demenza aveva già preso il posto del delirio, la dicelunga sul loro attaccamento reciproco.

Ma sono le sue relazioni con la madre che sembrano essere statedeterminanti. Concepita - l'abbiamo detto - per sostiituire il piccolo Charles-Henri, fu male accettata. Anne Delbée che, in Una donna, ha scritto una vitamolto romanzata di Camille Claudel, fa dire alla vecchia domestica Victoire:"Lei [la madre] aveva vissuto all'ombra di suo padre, il medico. La propriamadre era morta giovane. E soprattutto c'era stato il dramma di Charles-Henri (...). Spesso si è rimproverato a questa bambina di avere usurpato ilposto del primogenito. Usurpatrice la chiama sua madre quando è incollera".

"Povera Camille, tu non ci sei veramente per nulla. Egli non eravitale. Quindici giorni appena. Tua madre credette di impazzire. Tuo padrese ne andava tutto solo, al cadere della notte. Camminava ore perdimenticare, come se portasse la morte dentro sé. Tua madre gliene voleva.Sai, da noi, succede spesso. Un primo nato, non è sempre una riuscita...Allora hanno cominciato a litigare. Tua madre aveva paura. Tuo padrediventava violento. Poi sei nata tu, magnifica, selvaggia, forte! Tuo padre erapazzo di gioia e ti mostrava a tutti. Tua madre voleva un figlio. Non volevariconoscerti. Tuo zio, il curato, ha fatto suonare le campane. E din e don,Camille Rosalie - una rosa è nata - io ti guardavo...".

"Tua madre ha volto la testa e non ha più detto niente per qualcheora. Piangeva, ecco tutto. Non ringraziò nemmeno il buon Dio. Si ebbe adire che ella ti consacrava al Diavolo".

Condannata già a non essere se stessa, a un non esistere a causa dellasua situazione di bambina di sostituzione, Camille dovette oltretutto subire ilrancore e talvolta l'odio che sua madre le porterà per tutta la vita. Ella nonpuò sopportare questa figlia, nata prima della fine del suo "lutto", "ragazzomancato" doppiamente, dalla sua nascita e per la sua successiva condotta.

Alla morte della loro madre, Paul scrive nel suo giornale: "Come hapotuto questa donna, il cui carattere fu soprattutto la modestia e lasemplicità, avere due figli come mia sorella Camille e me?" (autocritica oautogratificazione?). Era anche "una donna iperattiva, con un senso deldovere spinto all'eccesso", disse Camille. Si comprende come quest'ultima, ilcui comportamento era tutto l'opposto di quello di sua madre, si sia sempresentita a disagio di fronte a questa donna dalla morale intransigente e chenon l'amava. In una lettera ella mette Paul a parte di un progetto, rimastoallo stato di disegno, che intitola L'errore: una ragazza si accovaccia su unbanco, piange; i suoi genitori la guardano stupiti. Bisogna vederci un sensopiù o meno cosciente di colpa? Già nel 1881 Alfred Boucher fa notare che isuoi primi tentativi erano legati, scavati di un nero profondo. Camille, a piùriprese, ha rovinato le opere che aveva realizzato: insoddisfazione, auto-punizione, auto-distruzione? Chi potrà dirlo?

Questa madre perfetta era senza calore: "Nostra madre non ciabbraccia mai", scrive Paul, e anche il suo piccolo figlio Henri dirà: "Non

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andiamo mai a trovarla senza una piccola apprensione. Non sprecava deltempo per abbracciarci e vezzeggiarci".

A tanta freddezza, se non di più, Camille risponderà con una ricercadisperata dell'affetto che non aveva mai ricevuto da sua madre. Alla fine del1938 (aveva 74 anni) sempre ricoverata, scrive ancora a Paul: "In questomomento di festa, penso sempre alla nostra cara mamma. Non l'ho mairivista dal giorno in cui voi avete preso la funesta decisione di mandarminell'ospedale per matti! Penso al bel ritratto che le avete fatto, nell'ombra delnostro bel giardino. I grandi occhi in cui si leggeva un dolore segreto, lospirito di rassegnazione che regnava su tutta la figura, le sue mani contrattesulle ginocchia nell'abnegazione completa: tutto indicava la modestia, ildovere spinto all'eccesso. Era la nostra povera madre". Aggiunge: "Non hopiù rivisto il ritratto (non più di lei!). Se mai tu ne senta parlare, me lo dirai.Non penso che quell'odioso personaggio [Rodin] di cui spesso ti parlo abbial'audacia di attribuirselo come le mie altre opere. Sarebbe troppo, il ritrattodi mia madre!" Secondo la tradizione, è il modello stesso che l'avrebbedistrutta.

Il suo delirio di persecuzione la portò d'altronde, alla morte di suamadre, ad affermare che questa era stata avvelenata.

Pertanto, fin dall'inizio, Camille aveva fatto inconsciamente tutto ciòche aveva potuto per conformarsi al desiderio segreto di sua madre, essereun ragazzo, fiera di essere più forte di tutti i ragazzi del villaggio, scegliendoun mestiere maschile, quello di scultore, rifiutando le altre manifestazioni difemminilità nel modo di vestire, nell'atteggiamento, truccata male, vestitamale, sempre imbrattata dell'argilla che impastava, ma soprattuttoconducendo la vita libera di un giovane uomo dell'epoca, avendo unarelazione con Rodin, che ella nascose per tutto il tempo che poté. Questacondotta sembrava essere stata più una costrizione ineluttabile che una sceltadeliberata o una provocazione.

Non è certo che la madre conoscesse i reali rapporti che la univano aRodin. Ma ella reagì a tutto questo comportamento con indignazione,asserendo che sua figlia aveva occhi da folle e che l'avrebbe fatta rinchiudere.Una madre conosce subito e in modo intuitivo l'avvenire dei propri figli.

E dunque furono Louise e Paul che dovettero rassegnarsi pernecessità a fare internare Camille e a provvedere ai suoi bisogni per quasitrentanni.

Questa madre resterà per tutta la vita ostile a un riavvicinamento allafiglia: non andò mai a trovarla a Montdevergues e si oppose a ognitrasferimento quando si trattò di ricoverarla a Ville-Evrard dopo la primaguerra mondiale, come gli altri ospiti. "Ho tanta pena quanta se ne può averea saperla messa male, ma non posso fare niente più di ciò che ho fatto; e sela si rilascia, sarà tutta la famiglia a soffrire anziché lei sola" scrisse a Paul.Ella fa di sua figlia un cupo ritratto al direttore dell'Asile e conclude:"Dopotutto ha tutti i vizi, non la voglio rivedere, ci ha fatto troppo male".

Condannata a non esistere a causa delle circostanze del suoconcepimento e della sua nascita, condannata e rifiutata, se non addiritturaodiata, da sua madre per non essere stata il maschio che lei sperava, Camilleaveva, come molti bambini di sostituzione, due possibili destini: l'arte o lafollia. Trovò la sua strada nella prima, dove riuscì in parte, ma finì per caderenella seconda.

Si può pensare che il suo delirio di persecuzione fosse dovuto allasua situazione di bambino di sostituzione? In altri termini, la sua vita avrebbe

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avuto un altro corso se non avesse dovuto assumere questo ruolo? Nessunolo può dire. Il suo carattere e la sua condotta possono in gran parte spiegarsicosì, ma un delirio così strutturato e così duraturo richiede cause molteplici.Il suo "duplice" legame (Lhermitte e Allilaire) con Rodin l'ha profondamenteferita. Il fallimento della sua vita femminile l'ha sicuramente condotta ad unsuicidio sul piano artistico. Si può porre la domanda anche al contrario: lastruttura paranoica della sua personalità non ha condizionato i suoifallimenti, dal momento che tutto il suo essere si coagulava in una psicosidefinitiva?

Paul Claudel possedeva lo spirito della famiglia. Aveva intenzione,dopo la loro morte, di riunire tutti i parenti prossimi a Branges dove abitava.Due suoi parenti, sua sorella Louise e anche il piccolo Charles-Henri, di cuifece riesumare i resti, e lui stesso, riposano oggi nella tomba di famiglia deiClaudel. Quando volle, allo stesso modo, deporre i resti mortali di Camille,ricevette dall'ufficio del cimitero del municipio di Avignone una lettera chediceva che "la zona del cimitero riservata all'ospedale di Montfavet era stataripresa per le necessità di servizio, poiché le informazioni relative la famigliadella defunta non erano state fornite al servizio del cimitero".

E' così che l'infelice Camille, condannata come bambina disostituzione a non essere se stessa in vita, esclusa dall'esistenza da suamadre, fu perseguitata da questa maledizione al di là della tomba e non fumai integrata, fosse questo in una cripta mortuaria, nella famiglia da cui eranata. Questo doppio non essere è straordinario.

Ma l'artista sopravvisse. Principalmente la sua opera. Ma anche comefa notare J. Cassar perché fu inaugurata una targa commemorativa il 28settembre 1968 nel cimitero di Villeneuve-sur-Fère dove era nata, con lasemplice iscrizione:

Camille Claudel 1864-1943

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STENDHALO

L'UOMO CON GLI PSEUDONIMI

Stendhal, piccola città tedesca del Brandeburgo, fu scelta, non si saquasi perché, come pseudonimo letterario da Henri Beyle. Starobinskj nel1951 gliene attribuisce un altro centinaio e E. Wilson Jr duecentocinquanta.Quest'ultimo autore ha fatto, nel 1988, un eccellente studio dal titoloStendhal, bambino di sostituzione dal quale abbiamo preso numerosielementi utilizzati in questo capitolo.

Breve studio psico-pato-biografico.

Henri Beyle apparteneva a una famiglia delfinatese di Grenoble. Ilprimo figlio di Chérubin Beyle e della sua sposa, nata Henriette Gagnon,Marie-Henri, nacque il 16 gennaio 1782 e morì all'età di quattro giorni. Ilsecondo che doveva divenire famoso nella letteratura sotto lo pseudonimo diStendhal, nacque il 23 gennaio 1783, giusto un anno più tardi, e ricevette ilmedesimo nome di Marie-Henri. Concepito circa tre mesi dopo la morte delfratello maggiore e avendo ricevuto lo stesso nome, è molto probabile che fumesso al mondo per sostituire il piccolo morto. Sua madre morì quando egliaveva sette anni.

Il suo Edipo è ben strutturato: "Io volevo coprire mia madre di bacie che non ci fossero vestiti (?) (...) Io le rendevo i suoi baci con tale impetoche ella era come obbligata ad andarsene. Odiavo mio padre quando venivaad interrompere i nostri baci". Aveva poca stima per quest'ultimo (che eglisoprannominava il "bastardo" e morì in rovina) al quale chiedeva spessosoldi, aggiungendo cinicamente: "Mi ha piantato, bisogna che mio padre miinnaffi".

Condusse una vita da dandy, conversatore brillante, frequentatore diteatri e salotti, in Francia e all'estero, spesso innamorato con o senzasuccesso.

Egli scrisse poco fino alla quarantina e l'essenza della sua opera

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(Armance, Le Rouge et le Noir, Lucien Leuwen, La vie d'Henry Brulard, LaChartreuse de Parme) è stata scritta in un periodo di una decina di anni tra i44 e i 55 anni.

Sembra aver avuto un periodo di depressione seguito da uno diesaltazione (accesso a doppia forma?) poco prima dei 50 anni. Inizia LucienLeuwen e non lo termina. Comincia La vie d'Henry Brulard nell'ottobre1832 senza esito migliore e ne abbandona la redazione per quasi tre anni,come se fosse incapace di proseguire. Bruscamente la riprende nel novembre1835 e la scrive di getto in quattro mesi (tre volumi). Egli scrive: "Le ideegaloppano, se non le scrivo, le perdo". "Ma mi lascio trasportare, mi lasciotravolgere". Note marginali tentano di non perdere nulla di queste accelerateassociazioni di idee. Dei disegni affrettati, piantine, diagrammi, schizziriempiono il testo. Scrive in Henry Brulard: "Dalla fine di maggio fino almese di ottobre o novembre che io fui tenuto sotto luogotenenza (...)trovavo cinque o sei mesi di fortuna celeste e completa". Quest'ultimocomportamento che si potrebbe definire ipomaniacale (euforia, ipermnesia,graforrea, scarabocchi, ecc.) sembra fermarsi bruscamente. Nell'ultimo testocitato qui sopra, Stendhal aggiunge una nota: "Il 26 marzo 1836 alle dieci emezzo, lettera molto graziosa per gekon (commiato). Dopo questo grandecorrere dei miei pensieri, non lavoro più". In effetti La vie d'Henry Brulardtaglia corto, senza ragione apparente.

La controreazione era stata efficace, perché fu allora che intrapreseLa Chartreuse de Parme.

Molti critici hanno notato che La vie d'Henry Brulard (con una -y inpiù) è un'autobiografia che gli è servita come autoanalisi (André, Crouet,Didier e Wison).

Si è parlato di "sindrome di Stendhal". B. Waysfeld la definì comeuna intensa emozione che si prova davanti a opere magistrali, emozione chetrova eco nella storia personale e familiare del soggetto, in particolare nellasua dimensione spirituale e religiosa e che si manifesta essenzialmente condisturbi di andatura timica e/o psicotica, che abitualmente regredisce inqualche giorno. Stendhal avrebbe presentato tale sindrome visitando Firenze.

Stendhal e i bambini morti.

E. Wilson Jr. fa un studio in profondità, di natura psicoanalitica, perspiegare l'attitudine di Stendhal verso i bambini, ma insiste poco su ciò che anoi sembra essenziale nella situazione dei bambini di sostituzione (di cui egliparla): egli non aveva diritto di esistere in maniera autonoma, eracondannato a un non essere; doveva essere il piccolo morto, perché era nelleaspettative dei suoi genitori. In Le Rouge et le Noir, Madame de Rénal,sconvolta dalla malattia del figlio illegittimo che ha avuto da Julien Sorel, èpronta a confessare a suo marito la sua relazione, nella speranza che il cielole perdonerà il suo amore colpevole e salverà la vita del suo bambino.Questo tema del bambino ritornerà alla fine del romanzo quando Julien vieneghigliottinato, e l'aristocratica Mathilde, incinta per opera sua, va al suofunerale, "all'insaputa di tutti, sola nella sua carrozza drappeggiata, portandosulle ginocchia la testa dell'uomo che aveva tanto amato", in una curiosamescolanza dei temi della morte e della nascita a venire di un bambino.

E' il destino di Sandrino in La Chartreuse de Parme che a Wilsonsembrerà il più significativo. Sandrino è il figlio nato dalla relazione

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adulterina di Fabrice e Clélia dopo il matrimonio di quest'ultima. La morte diSandrino tuttavia è raccontata in poche righe: la coppia aveva fatto ilprogetto di togliere di mezzo il bambino e dire che era morto. Infatti inbambino si ammalò quando fu allontanato e morì. Clélia morì di dolore pocodopo e Fabrice entra nel convento che darà il nome al romanzo. Stendhal dàpoche spiegazioni sul significato di questa morte, così importante per ildestino di Clélia e Fabrice. Scrive a Balzac, nell'ottobre 1840: "Io ho scrittoLa Chartreuse pensando alla morte di Sandrino che mi aveva profondamentetoccato". Stendhal accusa il suo editore di averlo privato dello spazionecessario per parlarne più a lungo.

Scrive nel suo Journal il 17 gennaio 1813 parlando della contessaDaru di cui era stato innamorato, che il suo recente dolore, la morte di suofiglio, l'aveva molto cambiato. Infatti, il bambino stava bene...

La morte di una bambina sembra averlo scosso in manieraparticolare: quella di Bathilde Curial a 14 anni. Era la figlia di una delle sueamanti. Questo nome (in differenti ortografie) si trova in Le Rouge et leNoir, in Lucien Leuwen, in Armance. E' simile a quello di Mathilde in LeRouge et le Noir. La morte di questa piccola bambina, secondo Michel,sembra avergli recato molto dolore. Wilson ritiene che si tratti dellapresenza, in lui, incosciente e penetrante, di quel piccolo fratello mortoprima di lui.

In La vie d'Henry Brulard racconta che sua madre è morta dandoalla luce un bambino nato morto. Ciò è falso, perché allora non era incinta.Questo se stesso che dice "nato-morto" non sarebbe che il fantasma delpiccolo morto che l'aveva preceduto. Ciò potrebbe ben essere un modo didistruggere "magicamente" il fantasma di questo primogenito che pesava sudi lui.

Alla ricerca di un'identità attraverso gli pseudonimi.

Il tema dell'identità è presente in tutta l'opera di Stendhal. Secondonoi c'è il problema essenziale del bambino di sostituzione: essi non hanno ildiritto ad una propria identità perché devono rivestire, che gli piaccia omeno, il ruolo di colui che sono chiamati a sostituire.

In La vie d'Henry Brulard Stendhal pone le domande: "Chi sono io?Chi sono stato? Chi sono io?" per concludere: "Sono sempre stato quelloche sono".

Secondo Wilson, Stendhal ha cercato per tutta la sua vita uncompromesso con il suo doppio, il bambino morto di cui portava il nome,per poter accedere ad una vita autonoma e personale. Liberato da questofantasma dopo la violenta crisi di cui abbiamo parlato, divenne capace diproseguire per creare un bambino a se stesso, Fabrice, della Chartreuse deParme.

Essere bambini di sostituzione, è già ricevere uno pseudonimo, datoche vi viene attribuito il nome di un altro. Non si ha il diritto di essere ciòche si è, perché bisogna essere il predecessore.

Lo pseudonimo, il nome di sostituzione, è scelto liberamente evolontariamente da colui che non vuole rivelare il suo vero nome, per diversimotivi. In ogni caso egli afferma la sua volontà di essere qualcuno per sestesso, di 'autocrearsi' in qualche modo. Si capisce come questa sia unatentazione per il bambino di sostituzione.

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Paul Valery, parlando degli pseudonimi, dice che "Stendhal congiuracon Stendhal sotto vari nomi - [129 pseudonimi contati da Léautaud ....) -, avolte contro Stendhal, sempre contro gli sciocchi, gli importanti e gliinsensibili".

J. Starobinski, in un lungo articolo intitolato Lo pseudonimoStendhal (1951), analizza tutti i significati e gli aspetti di quello che puòessere uno pseudonimo e tenta di spiegare perché Stendhal ne ha fatto untale uso: precauzioni politiche (César Bombet), desiderio di piacere(Dominique, Salviati), di ridicolizzare i 'borghesi' (Cetonnet, Chamier, ilbarone di Cutendre, William Crocodile), pseudonimi di fuga per sottrarsi agliimportuni. J. Bedier ne ha contati 24, tra il 1811 e il 1825 (quindi prima dellastesura dei suoi lavori più importanti). Tra quelli che si è attribuito c'è Belle,fatto che non manca di sembrare spiritoso, poiché si sa che Stendhal (HenryBeyle) si è preoccupato tutta la vita per la sua bruttezza.

Psudonimi ne attribuisce anche ai suoi amici, che a volte li adottano.La lista è lunga, senza contare i personaggi dei suoi romanzi che sono luistesso, in molti casi. Secondo Starobinski, si adotta uno pseudonimo primadi tutto per sottrarsi agli altri.

Questa patetica ricerca di un'identità attraverso gli pseudonimi, ipersonaggi lettterari, è stata infine coronata dal successo. Henry Beyle, dettoStendhal (Henry comunque...) ha finito per ottenere un gloria ardentementedesiderata, e per raggiungere l'immortalità e la riconscenza degli "happyfew".

E' la giustissima conclusione di E. Wilson jr.

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J.-J. GRANDVILLEO

L'OSSESSIONE DELLA MORTE

J. J. Grandville, Gerardo il suo vero nome, fu un disegnatore ecaricariturista francese, nato a Nancy nel 1803 e morto a Parigi nel 1847.Molto celebre nella prima metà del XIX secolo, oggi è un po' dimenticato.La sua specialità era di dare a personaggi famosi aspetti di animali, ma anchedi dare sembianze umane ad animali, con un talento che non aveva ugualiche la sua ferocia. Baudelaire, parlando di lui, ritenenva che "un filosofo e unmedico avrebbero dovuto fare un buon studio psicologico e fisiologico suGrandville".

Tale studio è stato fatto nel 1987 da Anne Bouyout nella sua tesi dimedicina sostenuta a Nancy, città natale di Grandville. In particolare leiscrive: "La sera del 15 settembre 1803 nasceva il quarto figlio di Jean-Baptiste Gerard, di mestiere pittore di miniature. Quando nacque JeanIgnace Isidore, la famiglia Gerard aveva già due figli: Nicolas Ferdinand,otto anni e Hyppolite, sei anni. Un terzo figlio, Adolphe, era morto all'età dicinque anni nel mese di luglio di quello stesso anno (due mesi prima dellanascita del nostro personaggio). Questa perdita turbò crudelmente il cuore disua madre, che riversò sul nascituro la parte di affetto che sarebbe stata diquello morto: da allora, ella volle che Jean Ignace Isidore fosse chiamato inseguito con il nome di Adolphe, a ricordo del figlio defunto. Nacquero inseguito due sorelle, Eulalie e Louise.

Il pseudo-Adolphe, dato che questo era il suo nome usuale (nomeche Grandville utilizza più tardi per firmare la posta indirizzata alla suafamiglia) crebbe in un ambiente artistico: i nonni paterni del giovane eranostati a suo tempo commedianti di talento molto graditi al re Stanislao. Deiloro tre figli uno solo continuerà con il teatro ed entrò nella CommediaFrancese. Gli altri due diventeranno pittore e miniaturista. Il prediletto, perdistinguersi dal fratello maggiore, firmava aggiungendo al nome proprio dibattesimo, il nome di scena del padre: Grandville, che riprese e renderàillustre il disegnatore, facendolo precedere dalle iniziali J.J. (perchè questeiniziali?) come se tentasse di essere totalmente differente da quello che aveva

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sostituito.Una delle sue biografe, Laure Garcin scrive di lui: "Ultimo di una

famiglia di sei bambini (non esatto), Grandville rimpiazzò nel 1803, neldesiderio dei suoi genitori, un bambino che avevano appena perso; gli si dàlo stesso nome di questo bambino per qualche mese (non esatto). Quindiabbastanza indecisa gli sembrò all'inizio la sua identità."

Suo padre era un minaturista, sembra, abbastanza mediocre. Se nonsi sa nulla di preciso di sua madre, sembra, sempre secondo Laura Garcin,che il nostro personaggio abbia avuto con lei seri problemi, come testimoniaun disegno isolato che lei ha ritrovato, rappresentante una donna con unbecco da cicogna aperto (la cui parte inferiore è rotta) che va contro ventotirandosi dietro un bambino piccolo che manifestamente non la vuoleseguire.

Sposa nel 1833 un cugina dalla quale ebbe tre figli. Era una donnadura, volgare, che non tollerava della sua produzione che ciò che poteva farbollire la marmitta (portare un guadagno?). Egli doveva nascondere i suoidisegni perché lei li strappava e ne faceva bigodini per i suoi capelli:"Madame Grandville ha dei bigodini come non ne hanno le regine", si diceva.

Prima di morire (nel 1843) lei gli indicherà chi doveva sposare e conla quale sembra essere stato più felice. I tre figli di primo letto morirono tuttiall'età di quattro anni.

Il suo editore, Herzel, ha scritto che "morì folle per gli sforzi disovraeccitazione di questo lavoro nello straordinario", fatto che vienesmentito dalle sue ultime lettere, di una grande lucidità. In realtà, delirò pertre giorni prima di morire in seguito ad una angina acuta: l'angoscia chetrasmettono certi suoi comportamenti o caricature si pone su un pianodiverso da quello della follia.

La sua opera di caricaturista è ben conosciuta. Collabora a giornalisatirici come il "Charivari". Si attira numerose ostilità a causadell'intransigenza e della ferocia della sua matita: riuscì nella prova di forzadi essere messo in quarantena sia dai mezzi reazionari che dai mezziromantici. E' nella solitudine più completa che costruisce le sue opere. Agliuomini dava teste di animali e agli animali comportamenti da uomini, ingenere nelle sue opere più conosciute, Scene di vita pubblica e privata deglianimali. Inventò, ad esempio, due animali strani: l'elegante Misocampo e ilterrificante Volvoce. Non si scorderà mai che egli ha illustrato le fiabe di LaFontaine come numerose altre opere, quali Robinson Crusoe, I viaggi diGulliver, Don Chisciotte etc.

Ma sono le sue caricature politiche, apparse nei giornali diopposizione, che ebbero grande risonanza e gli crearono molti nemici.Spirito intransigente, egli non sopportava quelli che definiva i borghesi (eche simbolizzava con un berretto di cotone), le loro ambizioni, la lorocrudeltà, il loro cinismo, la loro brama di onori che egli denunciava con unamatita vigorosa e senza pietà.

Però sono altri disegni ripartiti in più di dieci lavori ad essere piùinteressanti dal punto di vista psicologico. Molti autori fanno notare che essiassomigliano molto ai quadri di Jérôme Bosh e di Brueghel, con personaggispesso lillipuziani, in situazioni bizzarre, con strani attributi. I suoi disegnisono composti, si leggono spesso dall'alto in basso e rappresentano, se sipuò dire, una vera animazione immobile. Laure Garcin (che ha fattoanimazione al cinema fotogramma per fotogramma) lo qualifica come"rivoluzionario dell'arte del movimento". "Niente è realistico, ma tutto è

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figurato. Si potrebbe qualificare la sua arte come onirica, forse non nel sensodi una trascrizione pura e semplice di un sogno notturno, con le suerimozioni, le sue condensazioni, etc., ma piuttosto di "sogno in stato diveglia controllato" di R. Desoille che ha per finalità l'esplorazione el'intervento psicologico, dove il terapeuta aiuta a sviluppare uno scenarioquasi onirico in un soggetto rimasto cosciente".

In questo mondo onirico, tutto è perpetuo cambiamento:"Trasformazioni, visioni, incarnazioni, metamorfosi, litomorfosi,metempsicosi, apoteosi e altre cose" è il sottotitolo dato da Grandville a Unaltro mondo (1844) "Nessun oggetto è realmente ciò che è, tutto puòdiventare non importa cosa. Non è la situazione che cambia, è in lui stessoche si trasforma e, cambiandosi, diventa al contrario fonte di creazione" (L.Garcin). Si comprende perché i surrealisti abbiano dovuto annetterlo.

Baudelaire, che vedeva in lui uno "spirito cagionevolmenteletterario", diceva che "quest'uomo, con coraggio sovrumano, ha passato lasua vita a rifare la creazione. Egli la prendeva nelle sue mani, la torceva, lariarrangiava, la spiegava, la commentava, e la natura si trasformava inapocalisse". Diceva che la sua opera gli procurava un certo malessere, lo"atterriva".

Le immagini dicono molto più delle parole. Alcuni temi, alcunisimboli tornano con una particolare frequenza: il cavallo alato, il serpente, irovi e le spine, soprattutto la morte e i suoi attributi quali lo scheletro, ilsalice piangente, le maschere serene che svelano un viso scarno, etc. Unaserie di litografie dedicate alla morte apparse nel 1830 (non ha che 27 anni!)si intitola: Viaggio per l'eternità. Rivista generale degli omnibus accelerati,partenza in ogni ora e punto del globo. Ci si può domandare cosanascondesse questa ossessione perpetua. Era il peso di quel piccolo mortoche gli aveva impedito di essere se stesso, destino dal quale cerca di fuggireaffermandosi con la sua arte?

L. Garcin trova curiosa l'ostinazione con la quale vuole annunciare ladata della propria morte in alcune sue composizione o dei suoi discorsi."Credetemi, lo so, prestò andrò a studiare tra le stelle" scrive nello stessoanno della sua morte. E, dodici giorni prima di questa (che fu molto rapida esenza preavviso) "Io ho ancora qualche giorno da dedicarvi ... Addio", scriveper il suo editore. In Fiori animati (1847) si trova un disegno intitolatoRitorno dei fiori. In basso sotto questa composizione, su un tappeto, èscritto "1847" (anno della sua morte), come pure le sue iniziali e quelle delsuo amico Taxile Delord (che morirà invece nel 1877). Su questo tappetoriposano un potatoio a forbice rotto e riparato e un rastrello in cui L. Garcinvede gli strumenti distruttivi della vita.

Il disegno più suggestivo - almeno in ciò che concerne il motivo delnostro studio - porta il titolo La felicità si fa con i sogni e fu eseguito nel1842 per illustrare un racconto di P.-J.-Sthal (nome d'arte del suo editoreHetzel): Il settimo cielo. In questa incisione si vede un individuo seduto sulbordo di una rupe, gambe penzoloni e incrociate così come le mani sulleginocchia. E' vestito un po' come un moschettiere, con una grande cappa,stivali mosci, coperto da un cappello di paglia con bordi larghi sotto il qualespariscono completamente sia il viso che la testa. Sembra accasciato aguardare ai suoi piedi una specie di piccolo dolmen, la cui tavola superioresopporta una croce di pietra tagliata grossolanamente. Accanto a questa'tomba' fuoriesce un albero piccolo ma robusto e fronzuto. Dietro ilpersonaggio, un salice piangente, l'albero dei cimiteri. In primo piano la

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sponda di un corso d'acqua, nel quale è piantato, quasi in rapportosimmetrico col primo, un altro arbusto, ma tutto secco. In ogni angolo deicuriosi disegni, portatori probabilmente di un certo simbolismo. "Là, notte eil giorno, egli sognava", dice la didascalia. A chi? Forse al piccolo bambinomorto che simbolizza il dolmen-tomba sormontato da un croce, che gliimpedisce di essere se stesso; cioè di avere una testa, una faccia checaratterizzi la persona, l'essere nel proprio carattere unico, insostituibile. Ilpiccolo morto nella sua tomba è l'unico vivente, dato che emerge un piccoloalbero pieno di vita; di fronte, nell'acqua (tema che torna spesso inGrandville e che L. Garcin ritiene simbolizzi la madre) un arbusto secco.Simbolizza anch'esso il figlio minore, colui che sostituisce, che dovevadivenire J.-J. Grandville, quello che la madre ha "designato" per sostituire ilpiccolo morto?

In una delle sue ultime opere, Crimine ed espiazione (1847),particolarmente strana, L. Garcin vede 'chiaramente' il mito della ri-nascita:"Grandville è sulla soglia della liberazione, ma essa non si compirà in questomondo, non può essere donata che con la morte".

Questa rivolta permanente contro la società, questa ossessione delcambiamento perpetuo degli esseri e delle cose, della trasformazione di tuttoin tutto, traduce perlomeno un malessere, una difficoltà ad inserirsi in unarealtà che non è fatta per lui, perché egli è destinato a non esistere per sestesso in quanto deve sostituire il fratello morto prima di lui.

E' lui stesso che, molto prima della sua morte, ha proposto il suoepitaffio: "Qui giace J.-J. Grandville. Animò e tutto fece vivere, parlare ocamminare. Lui solo non seppe fare il suo cammino".

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RAINER MARIA RILKEO

LA RI-NASCITA

La madre di Rainer Maria Rilke, per il quarantasettesimo compleannodi suo figlio, rammenta la sua nascita a Praga (4 dicembre 1875) in terminilirici, passionali: "Papà ed io ti abbiamo benedetto, abbracciato, - la nostragioia radiosa sussurrava ringraziamenti a Gesù e a Maria. Il nostro caro bebèera piccolo e fragile ma meravigliosamente proporzionato, e quando, almattino, fu messo nella sua culla, gli si diede una piccola croce,- così Gesùfu il suo primo regalo... Poi sfortunatamente vennero altri guai piccoli egrandi -, ma quando mi inginocchiavo alla tua culla, - il mio cuore scoppiavadi gioia, l'adorabile bebè era il nostro bene supremo!".

Il bebè era nato prematuramente (a sette mesi) e fu battezzatoesattamente così: René-Karl-Wilhelm-Johann-Josef-Maria. Renè e nonRainer. Questo "ri-nato" era probabilmente intenzionale nello proposito dicolmare un dolore completamente superato, perché l'anno precedente igenitori avevano perso, all'età di qualche settimana, il loro primo figlio, unapiccola bambina.

René resterà figlio unico.Il padre, secondo i biografi del poeta, era un uomo deluso dalla vita;

aveva sognato di essere ufficiale, ma aveva dovuto, per ragioni di salute,accontentarsi di un posto di ispettore delle ferrovie e, grazie ad unaomonimia, pretendeva di discendere da una vecchia nobiltà della Carinzia(N.B.: della Carinzia, regione austriaca).

La madre, figlia di nobili di Praga, immigrati dall'Alsazia, è presentatacome bigotta, con pretese mondane e dedita a scrivere d'occasione.

La vita familiare non era serena e gli sposi si separarono quandoRené aveva solo nove anni. Quando ne ebbe undici, per separarlo da unamadre che si riteneva lo vezzeggiasse troppo, suo padre lo mandò alla scuolamilitare dei cadetti di St. Polten, che lasciò all'età di sedici anni e di cuiserberà un ricordo orribile, probabilmente deformato - si pensa - dalla suapersonalità ipersensibile e facilmente ansiosa.

La madre del poeta riversò su questo figlio tutto il suo affetto reso

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disponibile dalla morte della piccola bambina, fatto che sembra non esseresempre stato accolto senza impazienza. In effetti Rilke scrive nelle molteautobiografie Cahiers de Malte Lauridis Brigge: "Ci ricordiamo che ci fu untempo in cui mamma desiderava che io fossi una bambina e non un questobambino che, mio Dio, sì, bisognava che io lo fossi. L'avevo intuito, non sopiù come, e avevo avuto il pensiero di bussare qualche volta, il pomeriggio,alla porta della mamma. Quando chiedeva chi fosse, io ero felice dirispondere da fuori: "Sophie" (quello che era il nome della mamma e dellapiccola morta) con una vocina che io assottigliavo così bene che misolleticava la gola. E quando poi entravo (col mio piccolo vestito con lemaniche rialzate che sembrava quasi un 'déshabillé' da ragazzina) ero proprioSophie, la piccola Sophie di mamma che si occupava della casa e alla qualesua madre doveva fare le trecce perché non ci fosse confusione con il cattivoMalte, se mai ritornava." Scrisse anche: "Fino a quando andai a scuola, fuivestito come una bambina."

Annoterà più tardi, a trentuno anni: "Mi a madre è venuta a Roma esi trova ancora qui. Non la vedo che raramente, ma - tu lo sai - ogni incontrocon lei è una specie di ricaduta. Quando devo vedere questa donna smarrita,irreale, senza legami con nulla, e che non può invecchiare, comprendoperché, bambino, ho già desiderato sfuggirle; temo, nella parte più intima dime, che dopo anni di partenze e arrivi, io non sia mai abbastanza lontano dalei, che ci sia ancora in me una parte dei comportamenti che sono la metà deisuoi gesti intristiti, pezzi di ricordi che ella porta con sé, frantumati. Alloraho orrore della sua pietà distratta, della sua fede testarda, tutta vuota comeun vestito, spettrale, spaventoso. E che io sia nondimeno suo figlio: che inquesta parete dilavata, senza rapporto con niente, qualche porta nascosta,appena visibile, sia stato il mio accesso al mondo - (supposto che simileporta possa mai fare accedere al mondo)"...

Inoltre: "... Una figura così vaga, per la quale, ancor oggi, nel cuoreprovato, non può formarsi il minimo sentimento reale".

In una lettera ad una sua amica, Ellen Key, fa sentire la sua nostalgiadi non avere avuto una madre secondo i propri desideri: "Voi vi sieteimmaginata mia madre, in una delle vostre buone lettere, come una donnabella e nobile le cui mani portano dei fiori al suo bambino: quante volte hosognato una madre che fosse grandezza, bontà, carità... ce ne devono esserestate di tali nella mia famiglia, perché a volte sento un po' della loro presenzaposata su di me come la luce di una stella lontana, come uno sguardooscuro. Allora vi ho scritto come avrei fatto ad una madre, o a una sorellapiù grande che ne sa più di me sulla vita e sugli uomini."

Egli parla di sua madre anche con tono lirico: "...sei tu, sei la luceintorno agli oggetti familiari ed intimi che ci sono, senza sensi reconditi,buoni, semplici, certi. E quando qualcosa si muove nel muro o fa un passosul pavimento, tu sorridi semplicemente, sorridi, sorridi, trasparente su unfondo chiaro, al viso angosciato che ti scruta come se tu fossi nel segreto diogni suo suono soffocato, in accordo con esso e di concerto. Un potereeguaglia il tuo potere nel regno della terra...?"

Questa ambivalenza è abbastanza caratteristica dei bambini che hannoavuto una madre superprotettiva. Oggi si conosce bene il ruolo nefasto ditali madri sullo sviluppo affettivo del loro bambino, che esse impediscono,involontariamente, di accedere all'autonomia adulta. Il loro amore èprigionia, contrariamente all'amore di una madre normale, che si dona pervocazione. Una tale madre attende dal proprio figlio compensazioni alle

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proprie insoddisfazioni affettive profonde, si aspetta una totalesottomissione, in una parola si sostituisce a lui. Questo "maternalismo"(Mauco) non è senza conseguenze. Incollati alla loro madre, questi bambini,anche se riusciranno brillantemente nella vita, resteranno dei veri impotentidal punto di vista affettivo e anche sessuale (non fu il caso di Rilke, se sicrede a certe sue amanti).

Il suo caso è aggravato dal fatto che fu un figlio unico e, soprattutto,un bambino di sostituzione. Questi bambini non hanno diritto di esistere perse stessi, sono condannati a non essere, destino al quale gli è molto difficilesfuggire, se non attraverso la genialità e/o la follia o ambedue.

Qui sulla genialità non c'è alcun dubbio e il meno che si possa diresulla personalità di Rainer Maria Rilke è che non fu particolarmenteequilibrata.

Ciò non impedisce affatto di considerarlo [con Goethe] come il piùgrande poeta di lingua tedesca del XX secolo. Si può essere un autenticogenio e presentare un reale squilibrio psichico, ma questo non èindispensabile: Paul Valery e Saint-John Perse, per citare solo due poeti didifficile approccio, come è Rilke, ebbero una vita equilibrata e normale.

Non fu il caso di Rilke. Tutti i suoi contemporanei, i suoi biografihanno fatto notare fino a che punto egli fosse un vero e proprio esiliato nellasua vita: non ebbe mai un indirizzo fisso, rapporti sereni e duraturi, benimateriali, risorse e impieghi regolari. I suoi biografi hanno enumeratominuziosamente, tra gli altri, i luoghi dove è vissuto e i suoi amici.

Da Praga, dove nacque, a Rarogne, nel Vallese, dove riposa in unapiccola tomba commovente per la sua semplicità, dopo essere morto dileucemia nel 1927 nel sanatorio svizzero di Val-Mont, egli vagabondò senzasosta, seguendo gli impulsi e gli inviti amichevoli o affettuosi, che glivenivano fatti o che egli sollecitava: Monaco, Venezia, Vienna e molte altrecittà tedesche, italiane e austro-ungariche, la Spagna, la Russia, l'Africa delNord, l'Egitto, i paesi Scandinavi, il Belgio, la Francia e soprattutto Parigi,dove fu segretario di Rodin (col quale si azzuffò e si riconciliò) furonoalcune delle tappe di questo vero vagabondo della poesia.

Duino, un vecchio castello romantico sull'Adriatico, va ricordato inmodo particolare. Vi scrisse le sue celebri Elegie di Duino durante uno deisuoi numerosi soggiorni, dove vi fu invitato dalla Principessa Von Thurn undTaxis-Hohenlohe, che fu per lungo tempo la sua attenta 'ninfa egeria', dopoche Lou Andreas-Salomè l'ebbe fatto 'rinascere a se stesso'.

La sua storia sentimentale, nel senso più ampio della parola, fu assaicaotica. Numerose donne incrociarono la sua vita. Se ne contano una decinache hanno avuto una certa importanza; bisogna citare soprattutto LouAndreas-Salomè, Baladine Klossowski, la Principessa Marie Von Thurn undTaxis-Hohenlohe.

Incontrò la prima all'età di ventidue anni; lei ne aveva trentasei, cioèquattordici più di lui: egli trovò in lei una madre, una sorella maggiore eun'amante. Lou Andreas-Salomè aveva una forte personalità. Femministaante litteram, di costumi molto indipendenti per la sua epoca, eraconquistatrice, seduttrice, traeva piacere ad "accendere" gli uomini(soprattutto Nietzsche) per poi sottrarsi il più delle volte all'ultimo momento.Ciò avvenne con suo marito, più anziano di lei, con il quale visse a lungo,senza mai appartenergli.

Lou non fu solo l'amante e, in seguito, l'amica e la confidente diRilke. Fu per lui anche una madre di sostituzione e gli permise di diventare

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se stesso. All'inizio della loro relazione avviene un fatto significativo. Baptiste

René - e questo nome compare tale e quale sulle sue prime opere stampate -decise, su suggerimento di Lou, di germanizzare il suo nome Renè in quellodi Rainer, con il quale è generalmente conosciuto. Cambiò ancheradicalmente e definitivamente la sua scrittura, che divennestraordinariamente simile a quella di Lou. Per tutta la vita resteràprofondamente legato a questa amica materna, a colei che lo aveva aiutato atrasformarsi, a nascere una seconda volta, ad essere se stesso, ad esisterefinalmente. Nel 1911, dopo il completamento dei Cahiers de Malte LauridisBrigge, depresso, medita di farsi psicanalizzare, ma Lou, che conoscevabene Freud, lo dissuade. Le scrive: "Addio, cara Lou, Dio lo sa, la tua animaera veramente la porta attraverso la quale solamente accedevo all'aria aperta:e adesso mi capita ancora di tornare di tanto in tanto e di mettermi contro ilmontante della porta dove una volta noi abbiamo segnato i gradi della miacrescita. Lasciami questa cara abitudine, ed amami...".

P. Jaccolter, presso il quale abbiamo trovato la maggior parte dellecitazioni precedenti, fa notare con molta precisione che Rilke aveva giàutilizzato la metafora della porta parlando della sua nascita reale, biologica,come abbiamo visto prima. Ne parla di nuovo come se si trattasse realmentedi una nuova nascita: non era nessuno venendo al mondo, perché non erache "Re-né", il sostituto della piccola sorella defunta, ed è solo con Lou cheaccede ad una identità autentica, diventando "Rainer" grazie a colei che gliha permesso finalmente di essere "qualcuno che non fosse che me", comedice Renè Feret.

La maggioranza delle donne che hanno avuto un ruolo nella sua vitaerano molto più anziane di lui.

Intanto, durante la sua vita, Rilke dimostrerà di avere una preferenzamolto viva per le giovani donne e le ragazzine. A 25 anni sposa ClareWesthoff. Ella aveva due anni meno di lui. Ebbe da lei, dieci mesi dopo ilmatrimonio, una figlia, Ruth, ma si separò da Clare dopo due anni di vitacomune, senza tuttavia, come con le altre donne, cessare di avere con leirapporti amichevoli.

Si può (o si deve) fare una diagnosi relativa alla sua personalità? Un poeta è etimologicamente un creatore e non potrebbe essere

giudicato alla stregua delle altre esseri umani. Con questa riserva, è probabileche oggi lo si classificherebbe tra i "personaggi limite", "i border-line".

Questi soggetti, che non rivelano né psicosi né nevrosi, hanno unaspeciale personalità, mal strutturata, per ragioni che risalgono molto indietronella prima infanzia. E' un pesante handicap quello di essere un bambino disostituzione e pensiamo che là sia la chiave di questo personaggio: questiborder-line sono soggetti instabili su tutti i piani: professionale, sociale,sentimentale, affettivo; i loro legami personali sono superficiali e poco solidi,essi mancano di spirito critico e di senso della realtà obiettiva. "Le lororelazioni interpersonali sono intense ma instabili, rivolte alla manipolazionedegli altri prima idealizzati, poi disvalorizzati, ma sempre utilizzati a finipersonali. Hanno un sentimento fragile della loro identità, caratterizzatodalla variabilità dell'immagine di sé, l'incostanza dei progetti e lo sviluppodella loro carriera, l'intolleranza della solitudine, l'instabilità dell'umore,l'ansietà etc..." (Plénat).

A. Couvez ci dice che, per superare l'affermazione insostenibile deigenitori che hanno detto al bambino prima della sua nascita "Tu sei il morto"

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bisogna, per essere se stessi, "Uccidere il morto". E' questo che ha volutodire il ramingo Rilke quando scrive: "Uccidere è una forma del nostro dolorevagabondo"?

Ed è Rilke stesso che infine ci dice chi è: "Dove io creo, io sonovero".

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HERMANN HESSEO

IL SOSTITUTO A RIPETIZIONE

La situazione di questo scrittore è abbastanza particolare: autenticobambino di sostituzione di un fratello maggiore morto in tenera età eavendone preso lo stesso nome, nella sua prima infanzia dovette sostenere dinuovo il peso di questa sostituzione, per due fratelli minori morti in teneraetà.

Oggi si conosce poco, soprattutto in Francia, Hermann Hesse, chenel 1946 ricevette il Premio Nobel per la letteratura e che ha conosciutotirature fino a milioni di copie. Scrittore tedesco naturalizzato svizzero, isuoi numerosi scritti testimoniano di un'anima tormentata durante la sua vitada problemi spirituali. Problemi della solitudine della vita parigina che lospingono a ritornare nella sua campagna svizzera, solitudine dell'uomotristemente sposato. Queste sventure lo porteranno a cercare una evasionesul piano spirituale e letterario, di cui si trovano i tentativi nei suoi romanzicome nella sua vita: avendo soggiornato nelle Indie, in Oriente, buonconoscitore delle filosofie e delle religioni di questi paesi, pacifista e liberale,credeva di trovare la risposta alle domande che si poneva nella psicanalisi,soprattutto junghiana, da cui si attendeva la soluzione delle contraddizioniumane. Continuò fino alla fine della sua vita questa ricerca spirituale "allaricerca di una unità nascosta dell'universo e dello spirito umano". "Ilparadiso non è riconosciuto come tale in quanto se ne è stati cacciati", scrivein Lecture Minute.

L'autoesplorazione, divenuto un aspetto essenziale del suo lavoro dicreazione, fece prendere coscienza ad Hesse che tutte i suoi primi inizi glisfuggivano a causa di una amnesia totale degli anni cruciali della sua primainfanzia. Egli riscoprì un avvenimento accaduto alla fine del suo terzo anno,ma riconobbe che gli dispiaceva "la vita ricca e misteriosa che aveva dovutoprecederlo, dato che non posso ricordarmi una sola ora di questa vita". D.Farrell, in un lavoro apparso nel 1987, si è preoccupato di colmare questalacuna.

Non manca documentazione su Hermann Hesse. Oltre ai suoi

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racconti e romanzi, fortemente autobiografici, si è potuto raccogliere 35000lettere e carte di suo pugno. Ma sull'argomento che ci interessa, la principalefonte di documentazione è la pubblicazione, da parte di sua sorella AngelaGundert, nel 1934, di una parte del diario e dei taccuini in cui la madre diHermann segnava di giorno in giorno i piccoli avvenimenti familiari.

Senza voler negare, ma al contrario, la parte di genio propriadell'autore nella sua opera, Farrell fa notare che l'unico posto di Hermannnella sua famiglia era stato preparato da prima della sua nascita ereditando ilnome Hermann, portato dai suoi due nonni e da un bambino morto, nato dalprimo matrimonio di sua madre. Egli era anche il primo figlio di suo padre(secondo marito di sua madre). "Grandi speranze erano state riposte inquesto bambino, che, per contro, venne a questo mondo preparato per luiimpegnato in una lotta appassionata con la vita".

In effetti il primo figlio di Johannes e Marie Hesse, nato il 2 luglio1877 nella Foresta Nera, ricevette il nome di Hermann, portato dai suoi duenonni, forti personalità che pesavano su ciascuna delle due famiglie.Entrambi "pietisti", cioè appartenenti ad una setta luterana che metteval'accento sulla necessità di una pietà personale, più che su una strettaortodossia dottrinale, essi si occupavano della Società Missionaria di Bâle.

Il nonno materno, Hermann Gundert, era stato missionario nelleIndie. Johannes Hesse era suo assistente ed è così che conobbe sua figliaMarie, di cinque anni maggiore. Ella era vedova di un missionario dal qualeaveva avuto tre figli, dei quali però gliene restavano solo due vivi, dato che ilprimogenito Hermann era morto prematuramente.

Un anno dopo il suo nuovo matrimonio con Johannes Hesse, ellaebbe una figlia, Adele, poi, due anni dopo, un bambino, al quale diede ilnome di Hermann, quello del primogenito (morto) di primo letto.Indiscutibilmente il nostro autore era un bambino di sostituzione. Siapprende dalle sue lettere che sua madre non aveva mai dimenticato il primoe ne aveva idealizzato il ricordo. Ella aveva dato al suo secondo maritol'anello del primo, come se un marito potesse sostituire l'altro, e un figliosostituire un figlio morto. Nella sua adolescenza ella aveva soffertonumerose separazioni affettive, fatto che può spiegare forse una certatendenza a imporre l'immagine idealizzata di quello che aveva perduto allapersona del suo secondo Hermann.

Nel suo diario ella si dice minacciata e piena di paure prima dellanascita del secondo Hermann. Tuttavia Maria si dice felice. Ma a partiredalla nascita ella si ammala e si diagnostica una 'febbre gastrica' (dolori,febbre, vomito) che la obbliga, nel giro di un mese, a smettere di allattare alseno il suo bebè, del quale malgrado tutto si occupa con molta coscienza. Ilbambino dal canto suo si mette a vomitare. Si teme per la vita della mammae del bambino. Tutti e due guariscono e Maria scrive: "Il buon Dio ce l'hadonato una seconda volta".

Un anno dopo la nascita di Hermann, Maria partorisce nel luglio1878 un secondo figlio, Paul, che non cancella ancora il ricordo del primoHermann: una settimana dopo il battesimo di Paul, ella scrive: "Dieci anni orsono, a Hayderabad, abbiamo sepolto il nostro caro bambino! Spessoimmagino ciò che sarebbe oggi Hermann. Un giorno lo reincontrerò cosìcome suo padre".

Paul cresceva bene, ma sei mesi più tardi è colpito da unapneumopatia acuta. Maria, malgrado la sua pietosa rassegnazione, ne fuprofondamente colpita e presentò uno stato depressivo per due mesi, nel

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corso dei quali Hermann si ruppe un braccio sfuggendo dalle braccia dellasua nutrice, fatto che lo fece definire dalla madre "ragazzo incredibilmentetemerario e vivace".

Hermann era stato il più giovane in famiglia solo per un anno, finoalla nascita di Paul. Bruscamente aveva terminato di essere il bebè e percinque mesi aveva dovuto fare buon viso a questa situazione e accettarel'arrivo di questo intruso. La partenza e il ritorno di sua madre, depressa,riposatasi per dieci giorni, sembra aver prodotto, secondo Farrell, reazioniaffettive violente nel piccolo Hermann.

Una terza bambina, Gertrud, nacque nel luglio 1880 quandoHermann aveva due anni, ma morì nove mesi dopo allo stesso modo di Paul.Hermann non sembra essersi particolarmente addolorato, ammirando i fiori ele ghirlande poste sul letto del bebè, saltando "verso il piccolo Angelo" egridando "quest'anno desidero balzare verso il nostro caro salvatore".Aggiunge più tardi: "Ho ricevuto tanti piccoli baci! Sarai divenuta nostracara piccola bebè Gertrud?"

Già figlio di sostituzione del primo Hermann, nato dal primomatrimonio di sua madre, diviene in seguito bambino di sostituzione di duepiccoli nati di secondo letto e morti entrambi prematuramente, fatto checonferma i suoi ricordi relativi alle visite nel corso delle quali i suoi genitorilo conducevano al cimitero sulla tomba dei due piccoli morti.

La vita della famiglia Hesse riprese un corso in apparenza normale.Tuttavia quando Hermann aveva tre anni e mezzo sua sorella maggioreAdele gli tolse un chiodo dalla bocca gridando: "Tu vuoi morire! Haipensato che io non voglio diventare "il più piccolo" con tutti gli altri piccolirealmente morti?". Ed Hermann le rispose: "Va bene! Se muoio e vado inuna piccola tomba, non porterò via che due libri di immagini".

Un'altra figlia, Marulla, nacque otto mesi più tardi ed Hermann, cheaveva tre anni e mezzo, ricorda l'avvenimento: "Tutte le cure e l'amore dellafamiglia convergevano su questa sorella e io me ne stavo seduto, solo eabbattuto, vicino ad una scura finestra".

La famiglia ricevette un incarico a Bâle. Un giorno si interra un topoed Hermann fa un grande buco tutto intorno "per tutti i topi che potremointrappolare"; poi vi si adagia tranquillamente. Secondo Farrell questa eraun'altra rinascita, un'altra prova per superare il problema della morte.

Tutte le informazioni utilizzate qui sopra sono estratte, l'abbiamodetto, dal diario della madre di Hermann, Marie, che registra fedelmente leparole del proprio figlio, ammirata per l'intelligenza, la vivacità, lo spirito delpiccolo ragazzo che ella trovava differente dagli altri. Ma egli la provocavaanche e la faceva adirare al punto che ella temeva per il proprio futuro.L'energia di Hermann si manifestava nella "creazione e la lotta". Gravato dicolpa per la morte dei suoi due fratelli più piccoli, che egli credeva di averecausato magicamente, Hermann, per questo fatto, rientra nella categoria diquelli che presentano una sindrome di colpevolezza tipica di chi sopravvive,dice Farrell.

Per il suo quinto compleanno furono invitati dei piccoli amici con iquali si conversò riguardo i loro rispettivi nomi. Sua madre riferisce che eglidichiarò "che non amava il suo nome e che avremmo dovuto chiamarlo"Seth": Seth era un nome molto bello, dal momento che Adamo ed Evaavevano così chiamato il loro buon bambino, che gli era stato inviato perconsolarli della morte del loro Abele e del loro malvagio Caino".

A quel tempo Marie era nuovamente incinta e vicina al termine.

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Hermann cadde malato poco dopo la nascita e volle essere nutrito con ilbiberon "come un bebè" che era appena nato - manifestazione evidente diregressione in un bambino di cinque anni. Il bambino fu chiamato Johannescome il padre.

A sei anni e mezzo fu messo in collegio a causa del suo carattere,tornando a casa dai suoi genitori solo la domenica.

Divenuto adolescente, ebbe una depressione e sfiorò, si è detto, lapsicosi e il suicidio. Trovò finalmente una rinascita nella sua immaginazionecreatrice, nella costruzione di un'altra identità come scrittore, fatto che glipermetteva di inventare un mondo privato nel quale poteva trasporre "larealtà autodicentesi" (come egli amava chiamarla) fino a quando voleva. Trale capacità che credeva di avere, c'era quella di "resuscitare i morti".Secondo Farrell, benché Hermann non abbia certamente potuto averecoscienza degli avvenimenti all'età di diciotto mesi, nel suo libro A dreamsequence, egli racconta un sogno che stranamente sembra risalire a una etàcosì precoce che si può dubitare che tale avvenimento sia stato registrato.Secondo Farrell, che cita Lichtenberg, rimozione e simbolismo entrano inazione prima dell'apparizione del linguaggio In base alla sua esperienzaclinica, avvenimenti precoci della vita possono a volte essere rammentati eraccolti in un pettegolezzo tenuto dagli adulti. Anche Freud ha ricordatonella sua autoanalisi, le risonanze profonde sulla sua personalità di un traumadell'infanzia: la morte di un giovane fratello quando egli aveva diciotto mesi.

"Infatti, i ricordi di Hermann sembrano chiaramente riflettere l'odiodel piccolo bambino per il nuovo nato, l'emergere di pulsioni di morte, quindiil capovolgimento di questo desiderio di uccidere in un atto creativo. Larabbia gelosa del bambino, l'eliminazione del rivale restano incompiuti (e quiil rivale era già il primo Hermann che non aveva conosciuto, ma del qualeaveva dovuto, con il nome, indossare la personalità). Al posto di un morto ènato un bambino, l'omicida in potenza diventa creatore".

Farrell conclude: "Durante la sua vita, in un processo continuo,l'uomo crea l'arte e l'arte crea l'uomo. Pertanto mi pare lecito pensare che laforza e la direzione della spinta creatrice di Hermann (forse essa stessa unasignificazione essenziale della sua vita e della sua opera) provengono da unseme già piantato nel suolo mosso e fertile di questa infanzia dimenticata".

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HANS HENRY JAHNNO

"IO SONO SENZA NOME PERCHE' SONO TE"

Hans Henry Jahnn, romanziere e drammaturgo tedesco nato alla finedell'ultimo secolo, nel 1894, e morto nel 1959, è poco conosciuto in Francia.Fu anche fabbricante di organi, organista e musicografo. I suoi romanzi,dallo stile sobrio, sviluppano temi di grande violenza, attraverso i quali egliesprime aspirazioni cristiane. Figlio di un costruttore di navi, temeva suopadre, ma era molto vicino a sua madre.

Elsbeth Wolffheim gli ha dedicato nel 1986 un lavoro a proposito delsuo Storia di una coppia di gemelli apparso nel suo romanzo Perudya. Noici siamo riferiti a lei nel corso di questo studio, che comincia così: "C'era unavolta una madre che aveva due metà di figlio, l'una vivente, l'altra morta."

Ella sottolinea l'attrazione di Jahnn per il tema del "doppio". Lo siincontra spesso nei suoi scritti sotto aspetti differenti: metà-fratelli, gemelli,amici. Il loro punto in comune è che tutti questi personaggi si sonoprofondamente impegnati ad amarsi e a morire l'uno per l'altro. Un amico diJahnn, Muschg, ha pubblicato (ma basandosi sulla memoria) delleConversazioni che egli ebbe con lui. Ci scrive soprattutto dei discorsi cheavrebbe tenuto nel 1913 all'età di 37 anni (a quel tempo Jahnn scappava dallaGermania per rifugiarsi a Zurigo).

"Mio fratello morì due o tre anni prima della mia nascita. Mia madremi parlava spesso di lui, perché era il suo favorito. Da piccolo era sempremalato e morì a quattro o cinque anni. Mia madre fu inconsolabile e il suodolore non finì che quando fu certa di aspettare un altro bambino. Tutti isuoi figli precedenti erano stati maschi, per questo ella era certa che ilsuccessivo sarebbe stata una femmina. Per tale ragione la mia nascita leportò grande disappunto. Mi si diede lo stesso nome del bambino morto:Hans-Henny (Henny è un nome femminile). In ogni caso io non corrisposialle aspettative di mia madre e questo perchè la mia nascita non riuscì aplacare la sua amarezza".

Si rilevano delle inesattezze nei resoconti di Muschg. In particolare ilfratello più grande morì un anno prima della nascita di Hans Henry (e non

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due o tre) e non morì a quattro o cinque anni, ma esattamente a due anni edue mesi. Si ritrovano qui le stesse distorsioni cronologiche che abbiamosottolineato in Salvador Dalì e in Ludwig Van Beethoven.

D'altra parte il nome del piccolo fratello morto era Robert-Gustav enon Hans, ancora meno Henny. Questa trasformazione traduce, secondo E.Wolffheim, il fantasma di una fratellanza gemellare. Jahnn sognava didiventare il fratello ideale grazie ad una duplicazione, processoevidentemente destinato allo scacco nella realtà. Non c'è dubbio che egliconoscesse almeno uno dei veri nomi di questo fratello, dato che lo diede alprotagonista Gustav Anias Horu della sua trilogia epica Fiume senzasponde.

Inoltre, dei tre nomi "Hans Henry Jahnn" solo il primo è conforme aidocumenti di stato civile. L'ultimo, Jahnn, ha solo una "n" sullo stessodocumento ed il secondo è Henry: sarebbe stato lo stesso Henry all'età didiciotto anni che avrebbe trasformato Henry (nome maschile) in Henny(nome femminile): pertanto Jahnn attribuisce questo a sua madre che cosìavrebbe trovato motivo di consolazione per non aver dato alla luce unafiglia. "Lei mi amava" disse, "ma solamente come una sostituzione".

Si può supporre che Jahnn si creò un personaggio allo stesso tempomaschile e femminile, in una ambiguità sessuale che tenterà di realizzare nonsolo attraverso la manipolazione dei nomi, ma anche nelle sue relazionisessuali, come si vedrà più avanti.

Jahnn ha dovuto patire una perdita e una diminuzione della propriaidentità a causa del disappunto materno, che si aggiunge ad un non essereimposto da tutte le situazioni di bambino di sostituzione. Si consideravacome insufficiente in rapporto a suo fratello morto.

Per Jahnn l'obbligo di ricreare l'esistenza di un'altra persona fucertamente traumatico. In un passaggio del suo diario scriveva nel dicembre1915: "Mi capitava spesso di andare con mia madre la vigilia delle vacanze,al vecchio cimitero dove era sepolto mio fratello, questo fratello nato primadi me e che aveva il mio stesso nome (...). Mia madre diventava sempre cosìsilenziosa che io osavo appena respirare. Il mio sangue circolava in me e iosapevo che non era il mio sangue, che niente era mio, che tutto appartenevaa colui che era sepolto (...). Avevo la convinzione di contenere la sua anima,l'anima di uno straniero che, in quel momento, si accostava al proprio corpoe si sforzava di uscire da me per entrare nella tomba, diritto nella tomba (...).Conobbi allora il segreto del mio concepimento: avevo presupposto di esserecome lui e la sua anima radiosa era stata presa in trappola da questo corpopesante, disgustoso, distrutto. Pensavo che non sarei mai stato capace dirivaleggiare con le sue realizzazioni". Si pensa a Vincent Van Gogh, chepassava tutte le domeniche davanti alla lapide del cimitero dove era scritto"Qui giace Vincent Van Gogh, morto il 30 marzo 1832", esattamente unanno prima della sua nascita.

La preferenza di Jahnn per l'intercambiabilità di certi personaggi, cosìcome per le personalità schizoidi, che si incontrano in tutti i suoi scritti, ha lesue radici in questo trauma infantile. Il suo senso di esserecontemporaneamente morto e vivo, che la sua anima apparteneva a suofratello e aspirava ad essere sepolto nella tomba fraterna, rivela la fragilitàdella propria identità, che va ben oltre l'inevitabile senso di colpa del fratelloche sopravvive, dice E. Wolffheim. Non era che tutt'uno con il fratellomorto.

Ma questo desiderio era affrontato con volontà elementare,

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sopravvivere: ormai non c'era altra scelta che realizzare nella sua operal'identificazione desiderata con il sé del morto attraverso una sublimazioneche qui sarà letteraria.

Il compimento del processo di identificazione con l'altro "gemello"sembra possibile solo con l'auto-sacrificio. Un esempio di questo pensieroossessionante si trova in Fiume senza rive, dove il protagonista, GustavAnias Horn, descrive il suo rapporto con l'omicida, Alfred Tutein: "Noieravamo posseduti dal desiderio di essere identici, incatenati l'uno all'altro -era impossibile essere più uniti. Essere "gemelli", essere intimitanto quantoveri gemelli era uno scopo valido. Ahimé, noi eravamo giovani, abbastanzagiovani per essere più che pronti a sacrificare noi stessi per l'altro. In qualcheprofondità oscura ed antica del nostro essere noi, esseri umani, aspiriamo asottometterci ad un annullamento e proclamiamo che questo atto ègiustificato (...) a causa del sacrificio".

Nella vita reale, intanto, i tentativi di Jahnn di realizzare unaidentificazione con un gemello si rivelarono forzatamente vani. Tutto ciò chepoté fare - magra compensazione - fu di sacrificare il suo nome al fratellomorto, cioè di rinunciarvi. Da lì l'affermazione, nel suo diario, nel 1913, checontiene il primo nome "errato" del fratello di Jahnn: "Sono anche andato alcimitero dove sono stato molto afflitto; ho pregato tranquillamente e provatoemozioni che non so spiegare. Capii che non sarebbe quello il luogo del mioriposo, perché un altro Hans Jahnn vi riposa già. Potrebbe essere mia perchéla pietra tombale porta solamente: "Qui riposa Hans Jahnn". Potrei essere io,ma è mio fratello. Riposa in pace, fratello mio. Tutti mi malediranno, ma nonpuoi tu benedirmi? Io sono senza nome perché sono te".

Quest'ultima frase è particolarmente significativa: Hans Jahnn nonpuò esistere in doppio. L'uomo in piedi davanti alla tomba, che si presumeporti lo stesso nome, è in realtà il "tu" morto di suo fratello. Jahnn considerache la sua esistenza è valida solo perché, nei suoi fantasmi, è capace dicompiere il processo di identificazione con suo fratello proiettando nel suolavoro letterario i suoi desideri repressi.

E' precisamente questa convinzione che si ritrova con evidenza nelleopere epiche e drammatiche di Jahnn. Se è vero, come egli dice in qualchescritto, che "tutte le grandi opere di cui noi possiamo essere fieri sono larealizzazione dei nostri sogni di giovinezza", bisogna considerare i suoiscritti sotto questa luce speciale. I suoi principali personaggi sonocontrassegnati dal suo ardente desiderio di unità con la morte e ladecomposizione. Questo è vero per i primi lavori, come per Gustav AriasHorn e Alfred Tutein, figure centrali dei lavori più importanti di Jahnn.Questa preoccupazione ossessiva di imbalsamare il corpo deve essereconsiderata non solo come un'attenzione speciale per l'amico morto, maanche come destinata al proprio corpo.

Questa interpretazione spiega la fissazione di Jahnn sulle relazionigemellari e il desiderio di una morte comune. E così che il suo eroe, GustavArias Horn, confessa ad un certo momento che, nella sua infanzia, il ventreprominente delle donne incinte gli ricordava sempre le pietre tombali: "Aquel tempo conoscevo già il segreto del mio concepimento: che dovevoessere quello che ero stato".

Ormai Jahnn vissuto [?] come sostituto di suo fratello, ma, nellostesso tempo, con sé e con l'anima di suo fratello dentro di sé, nel desideriodi invertire il processo della nascita e della morte.

Questa realizzazione in un'opera letteraria non fu sufficiente e questo

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handicap di bambino di sostituzione si fece sentire fin dai suoi primi anni.Scrisse che "l'avvenimento più importante della sua vita" fu la relazioneamorosa, passionale, che stabilì con Gottfried Harms che chiamava il suo"Friedel". Voleva che il suo amico lo chiamasse con il nome femminilizzato:Henny. Nel suo diario scrive nel 1913: "Tic-tac fa l'orologio, raccontandomialcune notti meravigliose... Tic-tac: mi parla del mio Friedel che senz'altrosta giustamente pensando alla sua Henny, sospirando di poter essere conlei".

Insomma, Jahnn pensava di fuggire la sua assenza di identità,adottando un atteggiamento femminile verso l'amico ed eliminando l'Hansmorto nelle sue relazioni. Inoltre realizzava così il desiderio deluso di suamadre di non aver avuto figlie.

"La discrezione mi impedisce di fornire dettagli su quello che furonoqueste relazioni" disse E. Wolffheim. Jahnn stesso la commenta coninsistenza nei suoi diari, ma al tempo stesso si esprime in uno stileaccuratamente scelto, casto dal punto di vista sessuale. Per esempio: "Lanotte scorsa ho abbracciato il corpo del mio Friedel e ho pensato al rossosangue che scorreva nelle sue vene. Ma due mani toccavano il suo corpo,come se io fossi incapace di afferrare che era il mio Friedel che era stesoaccanto a me, che il suo corpo e l'anima che lo conteneva erano miei".

Questa relazione con Harms rese temporaneamente possibile un certogrado di equilibrio per la fragile identità di Jahnn, ma egli persistette fino allafine nella sua convinzione che solo la morte avrebbe permesso unaindissolubile unità tra i due amici.

Questo legame nel frattempo non gli porterà la pace: "La pace",scrive Jahnn nel suo diario (22 novembre 1914) non potrà trovarla "chequando verrà eretta, da qualche parte, una tomba, per cui saprò chenell'avvenire essa ci accoglierà entrambi, dormienti, assieme". Questodesiderio di una tomba comune è senza alcun dubbio legato al ricordo dellatomba di suo fratello. Questo volere fu realizzato: le tombe dei due amicisono l'una accanto all'altra nella Nienstedtener, cimitero di Hambourg:l'ideazione di questa tomba è opera di Jahnn, elaborata da lui all'epoca dellamorte di Gottfried Harms nel 1931.

Jahnn non poté mai sfuggire al doppio ruolo imposto da sua madre:sostituire un bambino morto un anno prima della sua nascita ed essere unafiglia. Egli si sentiva "l'altro" al punto di credere che il suo sangue non era ilsuo, che la sua stessa anima era quella dell'altro, che il suo nome non gliapparteneva, erano quelli del piccolo morto.

Anche la sua identità sessuale era poco sicura: cambiare unaconsonante per fare di un ragazzo, Henry, una ragazza, Henny, era puerile,ma qui noi siamo nel campo dell'inconscio, dove la logica non trova posto. Ilsuo amore appassionato per un ragazzo accanto al quale volle essereinterrato e al quale sopravvisse quasi venti anni rappresenta un tentativodisperato ed commovente di essere in una volta, differente dal fratellomaggiore morto e al tempo stesso conforme al doppio desiderio materno,che aveva, concependolo poco dopo la morte del piccolo fratello, creduto dipoter sfuggire all'indispensabile elaborazione del dolore.

La sua opera, poco conosciuta in Francia, gli assicurerà nello stessotempo un diritto di esistere che gli era stato rifiutato alla nascita.

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JAMES BARRIEO

IL RAGAZZINO CHE NON VOLEVA CRESCERE

Il bambino di sostituzione, nella maggior parte dei casi, nasce dopo lamorte del bambino che lo precede. Ma a volte c'è un altro membro dellafamiglia, nato sempre dopo il defunto che viene designato (o si designa luistesso) per sostituire lo scomparso. E' un bambino 'sostituente'. In questocaso, le difficoltà che sono destino del bambino di sostituzione, che sipotrebbero chiamare "classiche", sono le sue.

Questo fu il caso di James Mattew Barrie, scrittore inglese.Peter Pan, o il piccolo fanciullo che non voleva crescere è il titolo di

uno dei suoi lavori che ha conosciuto la celebrità. E' anche il titolo cheAlison Lurie dà al capitolo che dedica a James Barrie nel suo libro diracconti per bambini. E' anche quello che riprende il suo biografo F. Riviere.

James Barrie, autore della fine del XIX secolo e di inizio del XXsecolo, ha scritto numerosi romanzi ed opere teatrali più o menoautobiografici e in particolare il suo Peter Pan, apparso nel 1904, al quale unfilm di Walt Disney ha dato popolarità mondiale. All'origine si trattava di una"pantomima", come la definivano gli inglesi, che noi chiameremo piùvolentieri "fiaba", che ha conosciuto un successo immenso e duraturo: più didiecimila rappresentazioni nella sola Inghilterra dal 1904 al 1954. Fuall'origine di un racconto recentemente ristampato in francese nel suo testointegrale. E' un racconto affascinante, bizzarro, molto poetico, pieno di unumorismo corrosivo [?], molto britannico, che conduce da un'epoca all'altra,con una piroetta, il lettore alla realtà. "Lontano dall'essere", come osserva A.Lurie, "un racconto di fate superficiale, sciropposo e di una sciocchezzainsopportabile esso è molto più completo e sovversivo di quanto non sicreda". James Barrie sapeva benissimo, per ragioni personali e dolorose, ciòche poteva essere un ragazzo che non è diventato grande.

L'esistenza di James Barrie, che tutti chiamavano Jamie (pronunciareJimmy) è senza storia fino all'età di sei anni.

Nato in una famiglia scozzese molto modesta, è l'ottavo di dieci figli,dei quali due morti in tenera età. David, il quarto, più grande di lui di otto

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anni, è un ragazzo brillante, il preferito di sua madre. Alla vigilia dei suoiquattordici anni muore vittima di un incidente sul ghiaccio, in presenza diJamie, facendo cadere la sua famiglia nella disperazione. "A partire da questominuto, conoscevo mia madre per sempre" scrive. Questa, inconsolabile, simette a letto e ci resterà un anno, rifiutandosi di mangiare e di parlare, neiprimi tempi.

Nel suo libro Margaret Ogilvy (il nome di sua madre) ha riportatocosì l'avvenimento cruciale della sua vita: "Mia sorella Jane Ann, alloraventenne, venne da me una sera, il viso ansioso e torcendosi le mani, perordinarmi di andare a trovare mia madre e ricordarle che ella aveva ancoraun bambino. Ci andai tutto commosso, ma era buio nella camera e quandosentii la porta richiudersi senza che alcun suono giungesse dal letto, ebbipaura e me ne stetti quieto. Senza dubbio respirai forte, e forse mi sonomesso a piangere perché, nel giro di un momento, una voce distratta che,fino a quel giorno, non lo era mai stata, disse:

-Sei tu?Il tono dovette ferirmi, perché non risposi. La voce riprese con

inquietudine:-Sei tu?Credetti che parlava al morto e risposi con una piccola voce solitaria:-Non, non è lui, sono soltantoio.Allora sentii un singhiozzo e mia madre si girò nel suo letto, e benché

fosse buio, io seppi che mi tendeva le braccia".E F. Riviere continua il racconto: "Quella notte, Jamie resta per ore

seduto vicino a sua madre a tentare di farle dimenticare l'altro."Era il miomodo di giocare al dottore".

Spesso, il bambino ricorrerà a questo ruolo singolare presso colei cheegli vorrebbe veder ridere e riprendere il buon umore. Spesso, Jane Ann loobbliga a ritornare a dormire, ma la camera di Margaret Ogilvy è, in quelmomento, al centro del mondo per Jamie, che diventa affetto da insonnia e loresterà, più o meno, per tutta la sua esistenza.

Margaret sarà ormai la preda di tutte le malattie, emblema di questamaledizione, che copre di vergogna coloro che sopravvivono all'orribileincidente di David. Jamie è l'oggetto di tutti i sospetti, ma sopporta senzaribellione apparente questa spaventevole colpevolezza.

Nei mesi che seguirono, Jamie passerà la maggior parte delle suegiornate al capezzale di sua madre, a tentare di consolarla e di ridarle il gustodella vita. Egli concepisce un "desiderio intenso" di prendere il posto diquesto fratello morto, "di diventare così simile a lui che persino sua madrenon vedrebbe la differenza". Le promette di diventare celebre anche lui, diessere per lei un motivo di orgoglio, come sarebbe stato David, se fossevissuto. Ci riuscì, senza tuttavia sostituire David nel cuore di sua madre.L'atmosfera morbida nella quale ella lo costringeva a vivere non fu, certo,senza influenza nelle sue evasioni nei sogni, dove egli riuscì bene.

In "Margaret Ogilvy", scritto subito dopo la morte di sua madre,Barrie esprime l'opinione che "tutto quanto accade dopo l'età di dodici anninon ha grande importanza".

"Il voto di Jamie si è realizzato, quasi come in un racconto di fate. E'diventato celebre e dal comportamento strano, terribile, si è sostituito aDavid bambino: Barrie è invecchiato, certamente, senza mai essere del tuttoadulto. E' rimasto per il resto della sua vita (è morto a 78 anni) un giovaneragazzo molto brillante, impubere, attaccato appassionatamente a sua madre,

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che amava più di tutti i giochi e i racconti per i bambini" (A. Lurie). Comedice, in modo grazioso, F. Riviere "ha vissuto tutta la vita con l'ombra delpiccolo Jamie cucito al personaggio di Barrie":

La somiglianza era più che psicologica. Barrie aveva anche il fisico diun piccolo ragazzo: molto smilzo e giovanile, non misurava più di un metroe cinquanta e aveva una piccola voce sottile. Sulla foto scattata all'età diventi o trent'anni, ha l'aria di un monello di tredici anni travestito con falsibaffi: e benché avesse volentieri la compagnia [?] di graziose donne, eraapparentemente incapace di amore fisico. Il suo matrimonio, a trentaquattroanni, con una giovane attrice che aveva una parte nel suo primo lavoroteatrale di successo, senza dubbio non è mai stato consumato.

A. Lurie solleva il problema di sapere se questo infantilismopsicologico e affettivo-sessuale è di origine ormonale o forse di originepsichica come se, alla maniera di Peter Pan, il piccolo Jamie aveva deciso dinon crescere. Si parlerebbe oggi di "nanismo psico-sociale". A. Lurieaggiunge: "Sul piano intellettuale, nondimeno, il giovane James Barry èlargamente all'altezza". Lo proverà in seguito con la sua brillante riuscitaletteraria. Come lui stesso scrive, "la gelata notturna può fermare la crescitadi un fiore senza impedirgli di fiorire" (Mary Rose).

Durante la sua vita, James Barrie si occuperà di bambini: da subitodei suoi fratelli e sorelle e più tardi, divenuto ricco, celebre e riconosciuto,dei cinque figli della coppia Llewellyn-Davies, dopo la morte dei lorogenitori. E' con loro che aveva creato progressivamente, nei giardini diKensington, dei giochi per bambini e il personaggio di Peter Pan che dovevarenderlo famoso. Si affezionò ad essi, li "sedusse" secondo F. Riviere, cheaggiunge: "Barrie non ha occhi che per Michael, il quarto tra loro (...). Unaspecie di sortilegio reciproco caratterizza le loro relazioni".

La morte di questo per annegamento con un amico lo spingerà in undolore profondo, tormentato, passionale e duraturo. Questa morteaccidentale (o per suicidio?) aveva risvegliato il ricordo di quella di David?Michael era diventato un omosessuale accertato e Jamie aveva per luiun'attrazione che non era solo quella di un fratello maggiore? Le suerelazioni con le donne, numerose, sono sempre rimaste platoniche, anche conla sua sposa, ma nulla permette, nella sua vita, di pensare che, se ha avutotendenze omosessuali, esse si siano mai concretizzate nella realtà.

Numerosi autori hanno visto in Peter Pan, il ritratto Barrie, amicoideale e organizzatore di giochi per bambini. "Ma è anche ciò che Barrie nonpoteva essere, un bambino autentico. Altri hanno identificato Peter Pan conil fratello dell'autore, David, che, morto durante l'infanzia, non può in effettiinvecchiare e vive sotto terra in compagnia dei Ragazzi Perduti, in quello cheforse è il paese dei morti" (A. Lurie).

"Me ne sono fuggito il giorno della mia nascita" dice Peter. "Hosentito i miei genitori parlare di ciò che mi aspettava quando sarei statouomo. Non voglio diventare uomo. Voglio restare un ragazzino edivertirmi."

E James Barrie aggiunge inoltre che Peter Pan è meno fauno chebambino letteralmente fuggito dalla civiltà e dalle sue contingenze.

Peter Pan abita il "Never-Never-Land", il paese del Gran Mai (che siè tradotto da "l'Isola dei Bambini Perduti o l'Isola Immaginaria") e comandala banda dei "Ragazzi Perduti". Sono dei ragazzini caduti dalla lorocarrozzina mentre la loro bambinaia era voltata di spalle. A. Lurie fa notareche quando muore uno dei nostri parenti, si dice comunemente, per

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eufemismo, che lo si è "perduto".Questi ragazzi vivono sotto terra - come il fratello maggiore David

nella realtà - in una sorta di tomba confortevole e morbida. Sono in lotta coni Pellerossa, ma anche con i Pirati, guidati dall'irriducibile Capitan Uncinoche non crede né a Dio, né al Diavolo, ma solo al Coccodrillo che lo segueinstancabilmente "incarnando con superbia lo spauracchio del rimorsoinfantile" (Riviere).

In questo racconto il ruolo delle donne e soprattutto delle mamme èambivalente: ce n'è bisogno, ma ci avvelenano l'esistenza, il che tende adimostrare che il rapporto di James Barrie con la propria madreinconsolabile non fu né semplice, né facile quando volle sostenere il ruolo dibambino di sostituzione.

In Les Gentils Garçons, scritto a 25 anni, di un umore stridente, eglidice che "i ragazzi gentili sono gentili in ogni circostanza (segue ladescrizione del loro comportamento) ma non si sa mai: forse un giorno sitoglierà il suo costume di velluto e domanderà di farsi tagliare i capelli. Nonè forse sua madre interamente responsabile di tutto ciò?"

Sua madre fu la sola donna che abbia veramente contato nella suavita. Margaret Ogilvy (il nome di sua madre) è un racconto autobiograficoattraverso il quale si può comprendere la complessità delle relazioni traquesti due esseri così strani, sia l'uno che l'altro. Il suo lavoro Mary Rose haper tema centrale la morte; il personaggio principale è una madre-fantasma,giovane e bella per l'eternità, che ritorna a frequentare il figlio di venti anni.

Se Jamie ha persistito tutta la vita nella ricerca di un amore maternoinaccessibile, non fu ricambiato: due ore prima di morire sua madremormorò a più riprese: "David, sei tu David?", questo fratello maggiore cheegli cercò invano di sostituire, di allontanare dal cuore di sua madre.

Nell'Isola dei Ragazzi Perduti, come il suo nome indica, non c'è alcunpersonaggio femminile. Il solo che potrebbe esserlo è la fata Clochette-laRétaneuse [Campanellino] (perché ripara anche i grossi orologi), minuscola,saltellante, dispettosa e invidiosa. E' una aiutante indispensabile di Peter Panche non si fida e la tiene bene sul palmo della mano. Come tutte le fate è natadal primo riso di un neonato: d'altra parte è per questo che ci sarannosempre fate, fintanto che ci saranno fanciulli.

All'inizio del racconto compare Wendy Darling, ragazzina che si volavia con i suoi due fratelli, al seguito di Peter Pan, verso il paese dei RagazziPerduti. "a giovane mamma che vola - è letteralmente il caso - in soccorsodei Ragazzi Perduti, per raccontargli storie che permettano loro diaddormentarsi" (F. Riviere).

Peter, di fatto, si innamora di lei. Ella diventa la "madre" di tuttoquesto piccolo mondo, Peter compreso. E' accettata in questo ruolo, ma ilsuo compito si limita a dare medicine ai Ragazzi Perduti, a fare vita incomune e a coprirli con le coperte a letto, con una autorità e una fermezzache nessuno avrebbe idea di contestare.

Più tardi, Wendy, nella quale, nel racconto, sembrano condensarsi lamadre inconsolabile di James Barrie e sua sorella Jane-Ann che aveva presoil suo posto in famiglia al tempo del suo interminabile dolore, si sposerà,avrà una figlia, che a sua volta ne avrà una, e così via. E tutte queste figlieandranno a loro volta al Paese dei Ragazzi Perduti (per fare la pulizie diprimavera). "Esse vi racconteranno storie di cui Peter Pan è l'eroe e che egliascolta appassionatamente (...). E le cose continueranno così, per tutto iltempo che i ragazzi saranno allegri, innocenti e senza cuore". E' su queste

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parole che si conclude il racconto.Le madri vi sono giudicate severamente."Peter Pan non solo non aveva una mamma, ma diceva di non

desiderare neppure di averne alcuna." A suo avviso si sopravvalutaval'importanza di queste creature" dice il racconto.

Non è che in assenza di Peter i Ragazzi Perduti si arrischino a parlaredi madre, "poiché Peter Pan aveva bandito dalla conversazione questo tema,secondo lui, stupido".

Malgrado ciò, fa eccezione per Wendy, la ragazzina che egli portaper divenire la madre dei Ragazzi Perduti. Una freccia tirata contro di lei dauno di costoro al momento del suo arrivo la lasciò per morta. In realtà,questa freccia è stata fermata, come per miracolo, dal "bacio" che Peter Panle aveva dato in precedenza. Ignorando in senso di questa parola quando leigli aveva detto "Dammi un bacio ", gli aveva "messo una ghianda inmano"(sic), cioè uno dei bottoni del suo vestito. Questo episodio ha un forterichiamo edipico.

"In quel momento, tutti si inginocchiarono e tesero verso lei lebraccia: "-Oh! Signora Wendy, dissero, siate la madre di noi tutti: -Devoaccettare? domanda Wendy, raggiante. È terribilmente seducente, sicuro, maio sono solo una ragazzina, lo vedete, manco di esperienza. -Ciò non haalcuna importanza, dice Peter, come se fosse il solo a conoscere a fondoquesto problema, di cui in realtà ignorava tutto. Ciò di cui abbiamo bisogno,è una persona che abbia l'aria materna".

La madre protegge, ma non sembra quasi dare affetto. Peter Panconfessa: "Tempo fa, pensavo, anch'io, che mia madre lasciasse la finestraaperta per me. Restavo dunque lontano per lune e lune. Ma quando ritornai,c'erano sbarre alle finestre, perché mamma mi aveva completamentedimenticato, e un altro piccolo fanciullo dormiva nel mio letto".

"E i Ragazzi Perduti sapevano, nel fondo di quello che si puòchiamare il loro cuore, che ci si può scambiare la mamma molto bene e chesono solo le mamme che credono la cosa impossibile".

E il racconto continua con il ritorno dei ragazzi Darling dai lorogenitori: "Non si avrebbe potuto sognare un quadro più bello, ma non c'eranessuno a vederlo, se non un ragazzo sconosciuto che guardava dietro lafinestra. Gli capitava di conoscere felicità inaudite, vietate agli altri bambini,ma che in quel momento, egli guardava attraverso il vetro, la sola gioia chegli era, per sempre, negata."

Un episodio posto all'inizio del racconto merita di essere citato:quello dell'ombra perduta e ritrovata. Peter Pan è costretto a fuggirerapidamente dalla camera dei bambini dove viene una prima volta: la suaombra si impiglia nella finestra che si chiude su di lui. Che fare? La madre,dopo aver riflettuto, arrotola l'ombra e la sistema in un cassetto.

Quando Peter Pan ritorna, la fata Clochette, che aveva visto tutto, gliindica dove poteva trovarla. Egli ne fu così contento che richiuse il cassettolasciando dentro Clochette. "Nel suo pensiero, se è questo che pensa - fattodi cui dubito - lui e la sua ombra avrebbero dovuto presto risaldarsi comedue gocce d'acqua si uniscono l'una all'altra. Allora, con suo grandespavento, l'ombra non volle riprendere il suo posto. Provò a incollarla condel sapone, invano. Si sciolse in lacrime".

E allora che fa la conoscenza di Wendy. " Ella non puoi trattenersidal sorridere vedendo che aveva provato a incollarla con del sapone. Tuttiuguali questi ragazzi!". "Bisogna ricucirla" ella dice, "con un filo di

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condiscendenza ". Ella cercò allora di riaccomodare l'ombra ai piedi di Peter.Presto l'ombra tenne correttamente, ma era un po' sgualcita. E Peteresclamò: "Come sono furbo", persuaso di aver fatto il lavoro tutto da solo.

Harry M.Geduld (citato da A. Lurie che trova questo punto moltopertinente, se non convincente) vede il simbolo del desiderio della madre diunire David, suo figlio morto, a James, suo figlio vivo. Secondo noi, piùesattamente evidenzia che James aveva provato a prendere il ruolo di Davide aveva fallito. Solo il desiderio della madre poteva dare l'apparenza di unsuccesso.

A 62 anni, scrive nel suo quaderno di appunti: "E' come se tantotempo dopo aver scritto Peter Pan, ne avessi, infine, compreso il verosignificato. Tentativo disperato di diventare grande, ma io non ci arrivomai".

E la sua ultima opera, scritta un anno prima della sua morte, sichiama Il ragazzo David.

Si può definire "orfana di suo figlio " questa mamma di James Barriechiusa in un dolore interminabile, e forse impossibile, per il suo figlioprimogenito, nel quale tentò inserirsi all'età di sei anni, un piccolo sostitutotravestito di buone intenzioni? Vano tentativo di innesto che lo blocca in unainfanzia perpetua, sempre alla ricerca di una mamma che fosse altra cosa dauna madre convenzionale e senza tenerezza. Le sue osservazioni ironiche ocondiscendenti hanno molto spesso il marchio di un'attesa sempre delusa e diun amore mai soddisfatto.

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B. ... E I MODERNI

DIDIER ANZIEUO

IL CASO "AMATA" DI J.LACAN

Jacques Lacan, nel 1932, nella sua tesi inaugurale riferiscel'osservazione di un'ammalata che egli chiama "Amata", ricoverata nel 1931per delirio cronico di tipo passionale. Ella aveva tentato di accoltellareun'attrice, a quei tempi celebre, Huguette Duflos. Rimase all'ospedale diSant'Anna dov'è assunse le funzioni di bibliotecario dal 1931 al 1941 o 1943.Morì nel 1981 senza ricadute deliranti, senza atti di violenza durante 50 anni,ma con un carattere perlomeno difficile.

Nel 1986 si apprende che questa "Aimeé " si chiamava in realtàMargherite Anzieu ed era la madre di Didier Anzieu, psicologo epsicoanalista conosciuto. E' lui che fa questa rivelazione durante alcuneconversazioni con G. Barrat che sono state oggetto di un'opera intitolata:Una pelle per i pensieri.

Didier Anzieu (nato l'8 luglio 1923) precisa così la sua situazionefamiliare: "La mia venuta al mondo è stata preceduta da quella di unasorellina1 (...) Per me, questa sorella è rimasta definitivamente piccola,perché è morta alla nascita. Voi avevate dunque ragione a chiamarmi "figliounico" piuttosto che " bambino unico". Di fatto io non l'ho conosciuta ed hovissuto come bambino unico. Ma dentro di me non era proprio così. Questasorella scomparsa, che aveva segnato il loro primo fallimento, è rimasta alungo presente nei pensieri e nelle parole dei miei genitori. Io ero il secondo,che bisognava quindi sorvegliare e curare, per preservarlo dal destino cattivoche aveva colpito la primogenita. Io ho subito il loro timore della ripetizione.Bisognava soprattutto che io sopravvivessi, perché i miei genitori fosserodiscolpati. Ma la mia sopravvivenza era ai loro occhi aleatoria. La minimaindigestione, la più piccola corrente d'aria mi minacciavano. Ciò mi mettevain una situazione difficile, molto particolare. Dovevo sostituire una morta.Ora, non mi si lasciava vivere sufficientemente. Questa non era veramente

1 Questa piccola bambina, nata morta nel marzo 1921, non fu registrata sullo Stato di famiglia e non aveva nome(comunicazione personale)

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una situazione è paradossale. Diciamo piuttosto una situazione ambigua".Ciò che va notato in modo particolare e che la madre di Didier

Anzieu, quarta tra i fratelli era lei stessa una "bambina di sostituzione"! Tresorelle erano nate prima di lei, e "un giorno di festa, per andare a messa,Marguerite, la più giovane delle tre figlie, era stata vestita con una abito diorganza. La si è lasciata un momento in custodia alla più grande, quella chesarà la mia madrina. La piccola era vestita in modo leggero, faceva freddo, siè accostata al fuoco... ed è morta bruciata viva. Fu uno shock è atroce per isuoi genitori, per la sue sorelle. Mia madre fu allora concepita per sostituirela defunta. E dato che nacque ancora una bambina, le fu stato dato lo stessonome, Marguerite. Una specie di morta vivente... Non è per caso che miamadre ha trascorso la sua vita a moltiplicare i modi per sfuggire alle fiammedell'inferno. Questo si chiama subire il proprio destino, un destino tragico.Mia madre non me ne ha parlato chiaramente che una volta sola. Ma io losapevo dalla storia familiare. La sua depressione deriva, penso, da questoruolo che non si può controllare. Ella l'aveva differito dopo la nascita dellasua piccola figlia morta, implacabile ripetizione del destino. E la mia nascita,riuscita, ha riattivato la minaccia insopportabile...".

Aggiungiamo che Aimeé dovette sopportare la presenza in casa diuna delle sue sorelle, sempre più invadente. Questa sorella Elisa avevasposato uno zio materno ed era lei stessa delirante. È dalla sua vedovanzache venne a intrufolarsi in casa della sorella. Ed essendo deprivataprogressivamente del proprio marito e del proprio figlio "mia madre perse imezzi per difendersi contro la propria patologia latente " (D.Anzieu).

Si noterà che D.Anzieu è nato nel 1923 e che il gesto omicida di suamadre avviene nel 1931, cioè otto anni dopo. Nel suo delirio, "Aimeé "immaginava il rapimento di un bambino. Vedeva suo figlio "annegato,ucciso, portato via dalla Guépéou, immaginava complotti, delle persecutriciche venivano a deriderla" (Bolzinger).

J.Allouch, in un grosso volume pubblicato nel 1980, ha portatolontano l'analisi del caso Aimeé così come l'atteggiamento e il ruolo diJacques Lacan in questa storia. Questa opera completa, con Didier Anzieuche ne ha scritto la postfazione, i problemi di filiazione di quest'ultimo.

Secondo Allouch, volendo uccidere l'attrice, Marguerite volevauccidere se stessa. E questo passaggio all'azione ha guarito il delirio, che èstato come "sgonfiato", con sorpresa dell'entourage.

Ma si apprende anche che la madre di Marguerite, Jeanne, eraanch'essa delirante e che esisteva una reale delirio oscillante tra la madre e lafiglia, poiché il ritorno alla normalità dell'una, faceva esplodere quellodell'altra.

Da questa doppia e notevole situazione di bambino di sostituzione,"al quadrato" si potrebbe dire, così finemente analizzata dalla vittima stessa,si possono ricavare tre cose.

Subito, il fatto che non avendo potuto, come altri personaggi cheabbiamo studiato, sfuggire mediante la genialità creativa al rischio dellafollia, "Aimeé ", autentica " bambina di sostituzione" è precipitata in unapsicosi delirante di tipo paranoico-sensitivo, del resto abbastanza particolare:si sarebbe sviluppata senza manifestazioni nei dieci anni precedenti l'attentatodel 1931, ma sarebbe scomparsa al termine dei venti giorni nella prigione diSaint-Lazare, addirittura prima dell'internamento a Sant'Anna per nonriapparire più sotto forma delirante fino alla sua morte nel 1981, il cheinduce Bolzinger a parlare di "delirio senza psicosi".

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Si può constatare, anche qui, questo paradossale senso di colpa delbambino di sostituzione, che abbiamo sottolineato in un gran numero di casi.J. Lacan parla in effetti, a proposito di Aimeé, di paranoia da auto-punizionee di senso di colpa. Egli precisa anche: "Di fronte all'enigma che un similedelirio pone, non ci si può trattenere dal ripetere all'ammalata la stessadomanda, apparentemente vana: "Perché - le si domanda un giorno per lacentesima volta, in nostra presenza - ma perché credete che vostro figlio siaminacciato?" Impulsivamente ella risponde: " Per castigarmi ". "Ma di checosa?" Qui esita: "Perché non ho compiuto la mia missione..." Ma un istantedopo: "Perché i miei nemici si sentivano minacciati dalla mia missione..."Nonostante il loro carattere contraddittorio, ella mantiene il valore di questedue spiegazioni.

Infine, il caso di Didier Anzieu prova che se esistono i rischi e glihandicaps, essi non sono ineluttabili. Le due psicoanalisi subite da questomedico l'hanno certamente aiutato a sciogliere una situazione che, altrimenti,avrebbe potuto diventare drammatica.

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RENE' FERETO

"IO NON NASCO"

Nel 1989, René Feret, cineasta, produce un film intitolato Battesimo,film molto autobiografico, perché l'autore riconosce che tutto é partito dauna foto di famiglia, quella di un fratello morto accidentalmente a quattroanni, sei anni prima della sua nascita. La prefazione di un libro apparso nel1990, intitolato allo stesso modo Battesimo, tratto dal soggetto del film,comincia così: "Una immagine immobile ha ossessionato la mia infanzia: è lafotografia in bianco e nero di un bambino di quattro anni al quale mia madremi faceva assomigliare e del quale porto il nome. Mio fratello è morto in unincidente nel 1939, qualche anno prima della mia nascita".

La genealogia dell'autore merita di essere precisata: i suoi bisnonnipaterni ebbero un primo figlio chiamato René che morì piccolo; un secondo,anch'egli René, subì la medesima sorte; vennero in seguito due figlie laminore delle quali (nonna materna) si sposò e diede il nome di Renè a suofiglio; questi, sposato a sua volta (padre della autore) battezzò René il primofiglio che ebbe e che perì accidentalmente all'età di quattro anni; il secondo sichiamerà Bernardo, ma il terzo, il cineasta, si chiamerà ancora René.L'abbondanza dei lutti e il susseguirsi di questi bambini di sostituzioneattraverso quattro generazioni, almeno, è qui particolarmente eloquente. Esono tutti dei re-nés [ri-nati]...

Questa condizione di sostituto ha pesato gravemente su tutta la vitadel cineasta, che ci ha volentieri indicato un testo che ha intitolato Il filminteriore, redatto all'età di 33 anni, nel 1978 nel corso di una crisipsicologica intensa, innescata della nascita di un figlio (che non ha chiamatoRené!). Questo testo curioso, lungo più di una sessantina di pagine,testimonia di una crisi di identità di rara violenza. Ne aveva già avuta una a22 anni, dieci anni prima, le cui conseguenze furono gravi. Attraverso pezzidi frasi troncate, brevi interiezioni, senza maiuscole e senza punteggiatura,utilizzando le esclamazioni, le allitterazioni, i giochi di parole conmescolanza di versi e di prosa, attraverso fuga di idee (alla maniera di undiscorso maniaco), egli tenta, apparentemente invano, di mettersi in

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relazione con questo nuovo figlio, con la sua donna, con un suo padre e consua madre, con suo fratello Bernardo e soprattutto con se stesso.

"Io non nasco", dice ad un certo punto, traducendo con questo giocodi parole che alla sua nascita, egli non ha niente, neppure il diritto di esisterea causa della morte del piccolo fratello di cui deve prendere il posto. Allostesso modo, A.Convez aveva intitolato le sue memorie Uccidere il morto,indicando con questo che all'ingiunzione dei genitori "Tu sei il morto", non sipoteva rispondere che "uccidendo" il fantasma del piccolo morto.

Vi si trovano dei passaggi molto significativi (N.B. Abbiamo indicatocon il segno: / i salti di riga del testo originale):

"Bisognava ritrovare questo fratello scomparso; morto di incidenteprima della mia nascita / morto / di cui porto il nome / ma che non è me / chenon esiste / più / ora me io vivo / io esisto / io voglio essere felice / malgradolui / perché lui dal momento che non c'è? / è lui o io / è assurdo perché eglinon esiste / sono io / (felice) / io sono (felice) / la mia nascita é legata allasua morte / io mi chiamo re-né / come lui (qua) / e come mio padre / io nondovevo essere io / io dovevo essere una bambina / essendo ragazzo io ero lui/ (...) è rené ritornato dal cielo / io sono rené / sono nato rené / (...) ho pauradi essere lui / ho paura di essere io / (...) è una vecchia paura: mi diventaamica/ è come un'ombra sulla mia infanzia / parte di me / io sono gemello /doppiamente doppio / il mio io è ovunque / talmente paura di non esistere /mi metto dappertutto / mi disperdo / compaio e sparisco / (...) esisto nellosguardo degli altri ".

"Bisognava che fossi morto per nascere / mia madre amava il ricordodi un morto in me (mio fratello in fotografia) / bisognava scomparire peressere amato?/".

"L'immagine del fratello appare in mio figlio / (...) io comprendoperché ho scelto la follia dieci anni or sono / sono folle di gioia dicomprendere oggi / (...) immaginare per esistere / inventare l'esistenza / (ilteatro, il cinema, ecc.) / inventarsi un'esistenza / comparire / immaginarsi percomparire / immaginarsi per provare ad essere".

"Divento folle di non sapere / è morto? morto / non è la / si prega sudi lui / sul suo nome e cognome / i miei quelli di papà / egli è assente / rené /ucciso / incidentato / annegato / bruciato / distrutto / annientato / egli appare/ egli scompare / non esiste / non ne posso più / non capisco niente /soffoco".

"Non sono quello che si aspettava da me / non mi si attendeva / quinon dovevo essere io / qui non è stato mio / questo non è stato lui /Bernardo ha detto che c'era rené / rené ritornava / io sono colui che torna /sono fantasma / Bernardo ha mentito / sì è mentito a Bernardo / sì è detto "siè rené" / ma rené esisteva già / era esistito / esisteva più di prima / molto piùdi me / impossibile essere io / io sono come un dio vivente a cui si preferiscela tomba".

"Sono nato morto / o morto-nato / avevo paura della morte / avevopaura della vita / vivere è morire / vivere la propria morte / non sono nato diieri / sono nato di domani /".

Si è detto che Vincent Van Gogh ogni domenica nella propriainfanzia doveva passare davanti alla tomba del primo Vincent che egli avevasostituito, dove il suo nome era scritto assieme alla data della propria morte.René Feret, in questo lungo scritto, parla anche "dell'immagine della tomba /René Feret scritto sopra".

E conclude: "L'arte è vivente, anch'io" mostrando ancora una volta

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che spesso, per i bambini di sostituzione, non c'è altra via d'uscita che l'artecreatrice o la follia.

Il film Battesimo del quale abbiamo parlato sopra descrive la vita diuna povera famiglia nel Nord della Francia, dal 1935 al 1965, vita piena dibanalità, con le sue piccole gioie, i suoi litigi, i suoi fallimenti, le suecerimonie: battesimi, matrimoni, funerali. Il sottotitolo è preciso: "Nascita diuna famiglia".

Interrogato sul senso che egli dà al suo film, Battesimo, risponde che,per lui, è un film su una seconda nascita. Ora la dottrina cristiana chiama"re-natus" il bambino che, dopo la sua nascita biologica, nasce una secondavolta, alla vita spirituale, con il battesimo.

L'autore del film dice di essersi identificato in questo secondo Remì(pseudonimo trasparente di René), reincarnazione (per la madre) del primo,"ridisceso dal Cielo", al quale la madre fa dei riccioli affinché assomigli alprimo, la cui fotografia troneggia in permanenza sul pianoforte. A forza diaver dovuto ricoprire il ruolo di un altro nella sua infanzia, questo "bambinodi sostituzione" abbraccia in maniera del tutto naturale una carriera di attore(come fu il caso del cineasta) e, sulla scena, davanti a sua madre che asciugale lacrime, recita un poema di sua composizione che merita di essere citato:

Il giorno che giunsi quaggiùInvece di nascere mi toccò rinascere.

Non chiedetemi perchéMia madre quando nasco si imbrogliaConfondendo un altro con meChe ella ebbe la gioia di riconoscere.

Sebbene per me la mia infanzia Fu di fatto una vera tempesta,Quando mia madre mi chiamava, me,C'era un altro nella sua testa.

Quest'altro che ella ebbe prima di me,Che visse solo per qualche festa,Che lei amava tanto, molto più di me,E che rivede in tutto il mio essere.

Venendo dal profondo del mio essereIl mio grido sarà fino alla morte:"Oh, conoscere la carezza di essereQualcuno che non sia altri che me...!"

D'altra parte il cineasta ha dichiarato a un giornalista: "Per me,Battesimo è un modo di ricreare la mia vita e, al tempo stesso, di tentare difinirla con questo problema, se mai finirà: con questo film, evito unapsicanalisi".

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MARIE CARDINALO

IL BAMBINO DI SOSTITUZIONE NON DESIDERATO

Capita a volte che un bambino non desiderato sia costretto adricoprire il ruolo di bambino di sostituzione e si indovina facilmente che, neigenitori, si mescoleranno sentimenti spesso ambigui, negativi, di rifiuto, maanche positivi nel desiderio di assimilare, bene o male, questo nuovo venutoin sostituzione con il piccolo morto.

Questa situazione è descritta abbastanza bene nel romanzo di MarieCardinal Le parole per dirlo, in apparenza molto autobiografico. Il padre,tubercolotico, sposa una donna uscita da un ambiente borghese moltoclassico, con principi sociali, morali e religiosi molto rigidi. Una primapiccola figlia, Odette, nasce da questa unione, ma muore undici mesi dopo lanascita. In seguito, due o tre anni dopo la sua morte, nasce un bambino ecinque anni dopo quest'ultimo (cioè 7-8 anni dopo la prima sorella) unaseconda figlia - l'autrice - quando i suoi genitori erano sul punto didivorziare, il che fu per la madre di grande umiliazione. La nuova venuta fubattezzata: Simone (nome della madrina), Odette (come la piccolaprimogenita morta), Maria e Teresa. La si chiamò sempre Moussia,diminutivo di Maria, che l'autrice adotta nelle sue opere.

Diversi passaggi del libro rievocano una madre inconsolabile per laperdita della sua prima figlia.

" Spesso mi capitava di sentire mia madre piagnucolare in camera.Attraverso la sua porta passavano piccoli rumori di carta di seta spiegazzata,mescolati a un leggero tirar su con il naso e a volte un debole lamento: "Ah!Mio Dio, mio Dio". Sapevo che tirava fuori sul letto le reliquie della miasorella morta: scarpine, ciocche di capelli, abitini da bebè.

Al cimitero, la grande lastra di marmo senza niente, giusto un nomein alto e a sinistra, quello della bambina e due date: la nascita e la morte (trale due c'erano stati undici mesi di vita), ella si inginocchiava, passava la manosulla pietra come per una carezza e piangeva. Lei le parlava (...)".

All'inizio le visite al cimitero erano quotidiane. Sedici o diciassetteanni più tardi ella non aveva più bisogno di venire così spesso, "perché poco

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a poco la sua piccola morta aveva di nuovo germogliato in lei e ci viveva persempre. Ella ne resterà incinta fino alla morte".

Accusa suo marito, tubercolotico, di aver contaminato e ucciso la suabambina: "Dalla morte di tua sorella, tuo padre mi faceva orrore. Ero moltogiovane, appena 20 anni, non avevo mai visto un cadavere. Quando ho vistoil mio bebè così, in quello stato, la mia piccola bambina così bella, di cui erocosì fiera, fu terribile. Alla partenza (da Algeri per Luchon) - essi sapevanotutti i due, tuo padre e il medico, che la piccola era perduta. Il dottore nonmi aveva detto che la malattia di cui soffriva che era di origine tubercolare.Non mi aveva mai detto che tuo padre era tubercolotico. Io non lo sapevo.Tuo padre non me l'ha mai detto. Se l'avessi saputo, avrei potuto farequalcosa, proteggerla, lei vivrebbe ancora. È lui che l'ha uccisa. (...) Allora ioho perso la testa davanti alla mia figlia che non viveva più, in questo albergosconosciuto, in questo paese detestabile. Senza famiglia, senza amici, senzasole! Sono diventata pazza. Aveva avuto ragione di tenermi lontana, perché,se fosse stato là, se l'avessi avuto sotto le mie mani, l'avrei ucciso! (...)"Mamma, voi non dovete farvi del male." Il suo sguardo non è cambiato,non si è mosso, neppure quando ella ha mormorato: ah! tu non sai, non l'haiconosciuta, era una bambina eccezionale".

Obbligata, molti anni più tardi, ad accettare questa figlia nondesiderata (l'autrice), concepita da un marito odiato, volle imporle "il ruoloche le era stato assegnato nella Società dalla mia famiglia". "Che almeno ella- (sua madre) - facesse di questa figlia che aveva messo al mondo, questafiglia così differente dall'altra, la prima, la meravigliosa, quella che era morta,qualche cosa di eccezionale. Bisognava che questa bambina (...) dato chenon aveva saputo morire per piacerle, divenisse quello che lei non erariuscita a divenire: una santa, una eroina, qualcosa di differente dagli altri".

Ancora bambina, in occasione di una angina, la cura con competenzae altrettanta dedizione: "Intanto dormi, mia piccola cara figliola". Mi parlavacome io l'avevo udita parlare con la sua bambina nella tomba, al cimitero. Lasua voce e le sue mani di mi accarezzavano".

"Infatti," commenta l'autrice, "come le fate mettono doni nelle culledei neonati principeschi, mia madre mi aveva concesso, alla mia nascita, lamorte e la follia".

Il romanzo, in effetti, è il racconto di una psicanalisi intrapresadall'eroina divenuta adulta, sposata e madre di famiglia, per liberarsi da unanevrosi di forte angoscia, quasi invalidante, con manifestazioni parossistichee disturbi somatici, in particolare delle gravi metrorragie contro cui itrattamenti medici non avevano potuto nulla. Solo la psicoanalisi, seguita alungo, per sette anni, la libererà da tutti i suoi disturbi. Ma, fino al quartoanno di trattamento, Marie Cardinal precisa che "per ciò che era delcadavere tra me e mia madre, non avevo spiegazioni da dare né al dottore (lopsicanalista) né a me stessa. Non ne cercavo".

L'autrice mette in relazione l'insieme di questi disturbi che, secondolei, la portarono alle soglie della follia, al comportamento di sua madre versodi lei, che aveva tentato e riuscito, al prezzo dei disturbi ricordati qui sopra,a farla entrare nel suo sistema sociale borghese, come avrebbe fatto con laprima figlia.

In molte occasioni la madre le lascia intendere quando rimpiangeva lasorellina primogenita morta piccola e quanto avrebbe voluto che quella natain seguito la sostituisse e le somigliasse.

Nel corso di una forte crisi di angoscia, viene curata con attenzione

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da sua madre: "Si sarebbe detto che faceva la mia conoscenza e che nellostesso tempo mi riconoscesse (...). In questa calorosa attenzione, questaconnivenza, questa intimità che mi dava in quelle notti, ho compreso che miaveva concesso la morte alla mia nascita, che era la morte ciò che voleva cheio le rendessi, che il legame tra noi, questo legame tanto cercato, era lamorte. Questo mi faceva orrore".

Sul punto di morire, sua madre le parla ancora "della sua amatabambina, che assomigliava a quest'uomo (suo marito)". "Continuava araccontare la malattia di suo marito, la morte della sua primogenita (...). Lasua vita si era fermata alla nascita di sua figlia, nel 1924. Aveva 23 anni. Ionon ne facevo parte".

Si potrebbe contestare a Marie Cardinal la condizione di bambina disostituzione, dato che non è stata concepita per sostituire una sorellina mortaprima di lei e disperatamente rimpianta. Ella me porta il nome, ma comeseconda posizione. Tra queste due figlie era nato un maschio al qualel'autrice accenna appena. La seconda figlia nasce tra i sette e gli otto annidopo la prima.

Tuttavia, a nostro avviso, questo soggetto merita di essereconsiderato come un caso di bambino di sostituzione, "di secondaintenzione", si potrebbe dire. Furiosa e umiliata di aver concepito questafiglia quando le procedure di divorzio erano già avviate, la madre, cattolicapraticante, non poteva considerare la possibilità di un aborto, ma ellamoltiplicò le corse a cavallo e in bicicletta per cercare, invano, di aiutare lanatura ad ottenere questo risultato. Erede, dalla sua nascita, dal suo stessoconcepimento, dell'odio contro suo padre, l'eroina fu, poco a poco, sostituitaalla piccola morta nel desiderio della madre di far entrare, questo di forza,sua figlia nel modello borghese che rappresentava il suo ideale sociale, comeavrebbe naturalmente fatto con la prima figlia. In altri termini, e perschematizzare: "Tu sei lì, malgrado me, prenderai il posto di tua sorellamaggiore, persino tuo malgrado". Infatti fu così, annullando in apparenzauna personalità che aveva un solo desiderio: conformarsi alla richiestamaterna. Ma questa costrizione trasformò le pulsioni profonde in sintomipsichici e fisici, l'angoscia e le metrorragie.

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LOUIS ALTHUSSERO

"LUIS E LUI"

Il bambino di sostituzione non sempre sostituisce un primogenitomolto in tenera età. Costui può essere un adolescente (caso di A. e B. Cain),può essere un giovanotto venerato per il suo eroismo (caso di Marcella).

La storia di Louis Althusser, il filosofo, può essere rapportato aquest'ultimo caso. R. Maggioni gli ha dedicato un articolo "L'infernod'Althusser" nel giornale "Liberation" (21 aprile 1992). Le fonti cui attingesono: l'autobiografia del filosofo L'avvenire dura a lungo e la biografia chegli dedica Jean Moulier-Boutang.

Al tempo della prima guerra mondiale, dice Maggioni, insisteva unaltro Louis Althusser. Era bello, giovane, brillante, stava per entrare allaScuola Normale di Saint-Claude. Amava una ragazza di sedici anni che loricambiava. Ma il fidanzato dovette partire per la guerra (come aviatore) e laguerra nel cielo lo uccise. "La giovane non ne seppe nulla fino al giorno incui fratello del fidanzato che era in artiglieria, in permesso per il lutto, sipresentò da lei. Le riferì la terribile notizia e, nello stesso tempo, le chiese disposarlo. Ella rispose "sì". Il marito Charles Althusser era vigoroso,sanguigno e sputa fuoco, amava il vino, le carni sanguinanti e il sesso delledonne. La moglie, Lucienne, era casta, riservata, il suo corpo era chiuso eaveva paura delle correnti d'aria, dei microbi, dei voli e degli stupri. Il figlioche ebbe da Charles, Lucienne lo chiamò Louis. Come il bell'aviatore che ellacontinuava ad amare. "Louis", dice Althusser, "un nome che da tempoimmemorabile io ho letteralmente in orrore. Lo trovavo troppo corto, di unasola vocale, e l'ultima, la "i", finiva in un acuto che mi feriva (...). Senzadubbio esso diceva un po' troppo al posto mio: sì, e io mi rivoltavo controquesto "sì" che era il "sì" al desiderio di mia madre, non al mio. E soprattuttodiceva: lui, questo prenome della terza persona che, suonando come ilrichiamo di un terzo anonimo, mi spogliarla di ogni mia personalità e facevaallusione a quest'uomo dietro la mia schiena. Lui, egli era Louis, lo zio chemia madre amava, non io".

Louis Althusser, entra dunque nella vita a ritroso. Gli toccherà

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invertire tutto per far sì che "il desiderio di sua madre" sia il suo. Nonavendo una esistenza autentica, avrà bisogno, per esistere, di farsi amare,avvalendosi di artifici di seduzione "verso coloro dai quali volevo essereamato".

Si sposa con Hélène Ruytman. Alcune opere consultate dal Maggioninon gli consentono di cogliere veramente il mistero della relazione tra loro."Più anziana di me, assai più ricca di esperienza e di vita, Hélène mi amavacome una madre il suo bambino, il suo bambino miracoloso, e nello stessotempo come un padre, un buon padre infine, poiché mi iniziava consemplicità al mondo reale, questo mondo infinito nel quale non avevo potutoentrare (salvo, e ancora per infrazione, in prigionia), ella mi iniziava anche,attraverso il desiderio che aveva di me, patetico, al mio ruolo e alla miavirilità di uomo. Anche lui la amava: "tesoro mio, amore mio, e mia gioiaincomparabile" perché lei era "la sua chance": "Io ero abbagliato dall'amoredi Hélène e il privilegio miracoloso di conoscerla, di amarla e di averla nellamia vita, tentavo di ricambiarlo alla mia maniera, intensamente e, se possodire, oblativamente, come se l'avessi fatto per mia madre. Per me, mia madrenon poteva essere che una martire, la martire di mio padre, una piaga aperta,ma vivente".

Si sa che Louis Althusser si doleva di non aver mai potuto trovare ilproprio equilibrio, il suo posto nella vita. Fu soggetto a numerose crisi di"depressione". Nel corso di una di queste, nel 1980, all'età di 62 anni,strangolò sua moglie. Una perizia psichiatrica concluse per l'irresponsabilitàdovuta ad una crisi di melanconia acuta aggravata da uno stato confusionale,con amnesie post-critiche.

M. Benezech e P. Lacoste in un tentativo di interpretazionepsicoanalitica di questo gesto, ricordano che fu un bambino di sostituzionedell'uomo morto (suo zio), precisano che egli entrò alla Scuola NormaleSuperiore come avrebbe dovuto fare suo zio Louis e aggiungono cheadotterà per tutta la vita degli artifici di identificazione, di seduzione, diimpostura, diventando, a suo parere, un personaggio fittizio,fondamentalmente non autentico, sfruttando gli altri in relazioniinterpersonali a fini egocentrici.

Lotterà tutta la sua vita contro una profonda angoscia esistenziale,con sintomi di fobia ed ipocondria e, a partire dal 1947 (all'età di 29 anni),con episodi depressivi gravi e ricorrenti con idee suicide che richiedononumerosi ricoveri in ospedali pubblici o privati. In due casi, fu necessariotrattarlo con sismoterapia. Gli accessi depressivi precedevano o seguivanoaccessi ipomaniacali o francamente maniacali talvolta con manifestazioniconfusionali.

Riassumendo: nascita nel contesto di un lutto non terminato e cheegli ha avuto come ruolo di colmare, impossibilità di essere se stesso econdannato a un non-essere, senso di colpa ingiustificato (accessimelanconici), si trovano proprio la, in Louis Althusser, i principali handicapsdei bambini di sostituzione.

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QUALCUN ALTRO...

Nel corso delle nostre ricerche, siamo venuti a conoscenza di alcunicasi sui quali le nostre informazioni sono troppo succinte per poterne fareun'analisi dettagliata. Ne citiamo solamente alcuni nella speranza che altriricercatori possano andare oltre con i loro studi.

Anna O., il caso è riferito da Breuer, sarebbe, secondo Pollock, labambina di sostituzione di una sorella morta giovane. Questo autore mettel'accento sul ruolo dell'idealizzazione il bambino morto da parte dei genitoritogliendo al sostituto ogni possibilità di confronto con la realtà.

Poul Bjerre (1876-1964) iniziatore della psicanalisi in Svezia eprimo mediatore di Freud, scrittore prolifico, scrive: "Appena un anno dopola perdita di una terza piccola figlia nata morta, rimessasi in modoinsufficiente da una epidemia di vaiolo che aveva infierito a Goteborg, miamadre mi diede alla luce in condizioni drammatiche che spiegano la miapredisposizione a forti emicranie invalidanti e ripetitive e agli abbattimenti iperiodici contro i quali ho dovuto lottare per tutta alla vita... Ci vedo lasorgente e l'origine dell'alternanza ritmica di Morte e Rinnovamento,fondamento concettuale sia della mia professione medica chedell'elaborazione scientifica e filosofica di questa pratica". (A. de laPaillonne-Lidbom e J. Chazaud).

Heinrich Schliemann sarebbe, secondo Niederland, un bambino disostituzione. Questo autore attribuisce un ruolo considerevole alla ricerca diquesto fratello morto nella carriera di questo pioniere dell'archeologia, chescoprì, tra l'altro, la posizione di Troia, ma i cui metodi furono moltodiscussi.

Kemal Atatürk, secondo Volkan e Itzkowitz, autori di una biografiadi questo grande riformatore, avrebbe sviluppato, in quanto bambino disostituzione, una organizzazione narcisistica della sua personalità e dei suoifantasmi di immortalità.

Hortense de Beauhornais, figlia di Joséphine e d'Alexandre, fu data inmoglie, contro la propria volontà, da Napoleone I, suo patrigno, a suofratello Louis. Ebbe tre figli: Napoléon-Charles nel 1802 e Napoléon-Louisnel 1804 che morirono ambedue in tenera età. L'ultimo, nato nel 1808, ilsolo sopravvissuto, fu chiamato Charles-Louis-Napoléon, nomi dei suoi due

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predecessori, che egli eliminerà quando salirà al trono sotto il nome diNapoleone III.

Marie-Françoise-Thérèse Martin, più conosciuta come Santa Teresadi Lisieux, era la nona di nove figli, dei quali due maschi morti a 5 e 9 mesi.Dei sette figli, cinque presero gli ordini, tra cui Teresa. Ella nacque due annie due mesi dopo la morte, all'età di due mesi, dell'ottava bambina, chiamataMarie-Mélanie-Thérèse. Tutti i nomi dei nove bambini erano preceduti daquello di Marie. Si conoscono quante discussioni appassionate hannosollevato alcune sue difficoltà, secondo alcuni nevrotiche, fatto che nonsembrava, a priori, incompatibile con una autentica santità.

Abbiamo potuto verificare che Serge Gainsbourg, così come è statoaffermato, era un bambino di sostituzione. L'adozione di uno pseudonimo (ilsuo nome reale è Lucien Ginsburg), la creazione di un doppio che eglichiama Gainsbarre che lo accompagna come un fratello, il suo desideriopermanente di distruggere tutto: tutta la sua opera elaborata in 15 anni,dipinge i tabù sociali e anche il suo personaggio caratteristico, di solito acausa dell'alcol e del tabacco, lascia perlomeno pensare che egli "stava maledentro la sua pelle". Bisogna vedere in questa vita, di cui egli voleva fare unoscandalo permanente il desiderio sempre perseguito di distruggere unpersonaggio - che egli presenta in modo ripugnante con un contegnonegligente e con la barba di tre giorni - che gli si attacca alla pelle, ed il cuinon arriverà a spogliarsi completamente, come una tunica di Nesso.

In un'intervista Michel Piccoli precisa che, tra i suoi maestri, ebbe isuoi genitori. "Ma questo io non l'ho compreso che molto più tardi:sembravano così poco contenti di me... Io sono nato solo perché mio fratellomaggiore era morto; sono un figlio di "sostituzione". "L'ho senza altro capitomolto presto; io ero riservato, muto, silenzioso. Siccome anche loro siparlavano poco, noi formavamo uno strano trio; tanto più doloroso inquanto mia madre dichiarava di restare a casa solo per me e mi opprimevacon questa terribile responsabilità". Nato in questo contesto di lutto nonrisolto, Piccoli ha provato a fuggire al suo non-essere, di realizzarsi, diessere finalmente qualcuno attraverso la carriera di attore.

Salomone fu concepito per consolare Betsabea della perdita di suofiglio: "Davide consolò la sua donna Betsabea. Andò verso di lei e giacquecon lei. Ella partorì un figlio e Davide gli diede il nome di Salomone. IlSignore lo amò e inviò a dire tramite il profeta Natan. E gli diede il nomeYedidya - cioè: Amato dal Signore - a causa del Signore". (2. Sam. 12, 24).

Si conosce in modo insufficiente la storia di Sabina Spielrein, cheebbe nondimeno un ruolo importante negli esordi della storia dellapsicanalisi. Questa giovane ucraina, in seguito alla morte di una sorella moltogiovane, presentò disturbi psichici chiamati, secondo gli autori, depressionenervosa, isteria, schizofrenia paranoide. Suo padre la mandò in Svizzera, aZurigo da Bleuler che la affidò ad un giovane psichiatra che si interessavaalla psicoanalisi: C. G. Jung. Tra loro nacque un grande amore,

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appassionato, condiviso e irrealizzabile (Jung era sposato). Ciò fu l'originedel dissidio tra Freud e Jung. Sabina fece, in seguito, un matrimonio diinteresse e chiamò la sua prima figlia Renata, in ricordo della piccola sorellamorta.

B. Marbeau - Cleirens segnala, nel suo libro Il nome del bambinomorto che il Presidente D. Schreber era anch'egli un bambino di sostituzione.

Il drammaturgo americano David O'Neill era un autentico bambinodi sostituzione. Dopo un soggiorno in sanatorio, si mise a scrivere operesempre più autobiografiche. In una delle ultime A Long Day's Journey intoNight, dove la madre è morfinomane, il padre, i figli e anche il servitore sonoalcolizzati, egli racconta con grande precisione la propria storia di bambinodi sostituzione.2

2 Vedere l'allegato a p. 239 (?)

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Capitolo II

Il bambino di sostituzionenella letteratura medica

Non abbiamo trovato, nella letteratura medica, studi risalenti oltre il1964. Quelli che abbiamo utilizzato sono apparsi dopo questa data.

Li abbiamo classificati in ordine cronologico.La maggior parte di questi è in lingua inglese. Non li abbiamo tradotti

alla lettera, perché a volte sono molto lunghi. Li abbiamo riassunti tentandodi estrarre l'essenziale e di evitare le ripetizioni, di coglierne l'essenza senzaesitare, tuttavia, a fare citazioni testuali più o meno lunghe.

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SEI SOSTITUTI IN CERCA D'IDENTITA'

E' Ad Albert C. Cain e Barbara S. Cain (USA) che si deve, sembra, ilprimo importante lavoro sui bambini di sostituzione. Esso è apparso nel1964 sotto il titolo On replacing a child.

Non si tratta di osservazioni isolate e dettagliate, ma di un insieme disei osservazioni analizzate globalmente. Questo lavoro si articola in treparti: l'atmosfera familiare, dove questi bambini sono diventati grandi, isintomi che hanno presentato e l'eventuale profilassi delle conseguenzelegate alla situazione di bambino di sostituzione (che saranno studiati nellaseconda parte di questo lavoro). E' molto liberamente che abbiamo riassuntoquesto testo.

L'atmosfera familiare

Questi sei bambini di sostituzione, quattro maschi e due femmine,dell'età dai sette ai dodici anni, furono esaminati nel quadro di unaconsultazione psichiatrica per ragioni che vanno dai disturbi mentali leggerialle psicosi (due casi). I bambini che questi dovevano sostituire erano mortinel periodo della preadolescenza, morti tragicamente di malattia o diincidente: tumori maligni, incidenti d'auto, soffocamento con un pezzo dipane. Il dolore dei genitori fu profondo. L'uno dei due o talvolta entrambinon poterono metabolizzare normalmente il lutto e l'ansietà intensa che loaccompagnava; le ragioni di questa impossibilità sono sconosciute, perché igenitori, specialmente le madri, sono state viste brevemente e tutte almenosetta o otto anni dopo la morte del loro bambino.

Due punti sembrano dover essere fissati.Dapprima la personalità delle madri, cambiata dal senso di colpa,

generalmente depressive, compulsive o fobiche: esse avevano subito unnumero straordinario di persita familiari nella loro infanzia. Molto primadella perdita del loro bambino, erano conosciute per aver presentato fobiemultiple e sporadiche depressioni. Due di queste madri eranosufficientemente perturbate da essere considerate al limite della psicosi.

In secondo luogo, bisogna notare l'interesse narcisistico del bambinomorto da parte dei genitori. Questi bambini erano idealizzati all'eccesso: lenotizie ottenute da fonti meno implicate affettivamente, risulta che erano

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veramente molto "riusciti". Sulle loro fragili spalle erano venute a pesaredelle pesanti identificazioni dei genitori, sogni, progetti, per non incontrarealla fine che la disfatta umiliante ed irreversibile della morte.

L'intensità delle reazioni dei genitori era importante e permanente:idee di suicidio, desideri espressi da " sarebbe stato meglio che morissimotutti", amara autoaccusa, dolore inconsolabile, recriminazioni, profondatristezza, abbandono delle amicizie in favore dei ricordi, e l'impossibilitàassoluta di staccarsi dall'immagine del bambino morto. Inoltre, fu propostauna cattiva soluzione (in tre casi dal medico di famiglia): per "cambiarsi leidee", per "ritrovare una ragione di vivere", la madre decise di avere un altrobambino, "al posto del bambino morto", in cinque casi su sei, poichésembrava evidente che gli altri bambini della famiglia non potevano esseredei sostituti. Questa decisione fu presa coscientemente, ma non senzaesitazioni e conflitti. Questo tentativo fu dominato interamente dall'immaginee dal ricordo del bambino morto. Un caso particolarmente dimostrativo èquello dei genitori che si rivolgono ad un'agenzia per adottare, per richiedereun bambino di otto anni, piccolo, biondo, con gli occhi blu, per sostituire ilpiccolo morto che aveva otto anni, era piccolo, biondo e aveva gli occhi blu.

Il nuovo bambino, il sostituto, nasce così in un mondo di lutto, unmondo centrato sul passato e che letteralmente adora l'immagine del morto.Tutti questi genitori, salvo una coppia, avevano da tempo abbandonato l'ideadi avere un altro figlio, fino a quando la domanda si pone a partire dallamorte del loro bambino. Cinque di queste coppie erano sulla quarantina e,per gli autori, non avevano l'energia, la duttilità e la pazienza necessarie perricominciare con un nuovo bambino e anche per integrare la loro famiglia.Non potevano dare niente a questo nuovo venuto in questa famiglia doveregnano la tristezza e la nostalgia.

C'è ancora di peggio: visite periodiche (in due casi quotidiane) allatomba; un domicilio scelto in prossimità del cimitero; un cambiamento dicittà, rifiutato perché "quello lo lasceremmo solo"; costanti discussioni sullamanutenzione della tomba; notti piene di lacrime della madre quando unricordo particolarmente sentito è stato evocato; un padre che resta ore interein una stanza buia davanti alla fotografia appena visibile del bambino morto.Il bambino morto viveva in una maniera concreta e quotidiana: le sue fotoriempivano la casa; in due casi, la camera del bambino era trasformata incappella; ogni angolo della città rievocava ciò che il bambino ci aveva fatto;ogni ripetizione di un avvenimento ricordava il modo come lo si eratrascorso insieme.

Dieci anni, undici anni più tardi, i genitori parlavano e riparlavano delbambino morto. Molti di loro se ne scusavano, dicendo che sapevano beneche non avrebbero dovuto continuare a parlarne, che sapevano (questo furipetuto spesso) che questo non era un bene per gli altri membri dellafamiglia, ma che non potevano assolutamente farne a meno. I professorisegnalavano che "essi non parlano di nient'altro che della figlia morta" o che"la madre sembra effettivamente dilettarsi nel parlare del bambino morto".La vita dei genitori sembra fermarsi in un pianto costante: "se solamentequesto non fosse successo..." non potevano andare la di là di questolamento.

Questi genitori imposero senza misure l'identità del bambino morto aquello che veniva e, inconsciamente, identificavano i due.

Lapsus frequenti facevano dare al nuovo venuto il nome di quellomorto, per esempio chiamandolo per andare a tavola, per chiedergli come

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andavano la cose a scuola o abbracciandolo quando si coricava.Essi comparavano in continuazione i due bambini nella loro

apparenza, attitudini, mimica, modo di camminare e parlare. La speranza deigenitori, la loro attesa, le domanda di riuscita verso il sostituto eranochiaramente ispirate dalle "imprese" del bambino morto, o più esattamentedalla sua immagine idealizzata e non reale. Questi bambini morti erano, adire dei loro genitori, intelligenti, "i più amati della loro classe", amici ditutti, belli, sensibili, capibanda, vivaci ed abili, senza problemi, favoriti daivicini, sempre gioiosi, affettuosi, obbedienti, in una parola: bambini ideali,perfetti, angelici. Davanti a tutte queste lodi, alcuni dei bambini disostituzione furono turbati dal desiderio di sapere perché Dio aveva preso illoro fratello se era tanto gentile; e i genitori (che avevano protestato controla stessa ingiustizia) erano molto impacciati nel rispondere loro.

Il nuovo venuto entra in competizione con queste immaginideformate dei bambini morti, che non avevano e non avrebbero potutovivere nella realtà. L'impresa era senza speranza ed essi lo compreseropresto. Questa attesa dei genitori era del resto uguale quando il nuovo natoera di sesso opposto. Questa constatazione contraddice formalmente leaffermazioni delle agenzie di adozione che vedono bene i rischi cheincorrono con questi genitori, che pensano di neutralizzarli proponendo unbambino di sesso o di età differente.

Questi paragoni tra i due bambini erano costanti, sia impliciti cheespliciti, spesso davanti al nuovo venuto e quasi sempre in suo sfavore. Leosservazioni come "Billy, lui avrebbe..." erano frequenti. Nel migliore deicasi, oppure gli si diceva "tu sei molto gentile, ma..." e i paragoni e irimproveri in rapporto al bambino morto venivano subito dopo. Le riuscitedel nuovo bambino avevano poca speranza di ottenere elogi oincoraggiamenti da parte dei genitori, piuttosto un sorriso dolce-amaro e deisospiri: "E' sotto ogni punto di vista l'altro".

Un altro modo di fare delle madri, di solito ansiose, ma a voltefobiche, si riferiva alla malattia e agli incidenti. Erano ossessionate dallapaura di vedere morire questo nuovo bambino. Il minimo bernoccolo, febbreo tosse, un ritardo di dieci minuti, lo stridio assordante dei freni per le stradegeneravano un momentaneo terrore. Le paure fobiche si spingevano oltre ilbambino morto e generavano una superprotezione costante accompagnatada numerosi divieti. Giocare con fiammiferi, salire sugli alberi, attraversare lestrade, starnutire, cadere dovevano generare disastri. Erano permesse pochee tutte intensamente sorvegliate, A volte, questo arrivava fino all'ispezioneripetuta del minimo disturbo, di ogni contusione, di ogni dolore e a un esamedettagliato delle attività della giornata per segnalare i punti pericolosi.

I divieti erano sottolineati da avvertimenti, incentrati sulla morte, suquello che potrebbe accadere e su ricordi lugubri di ciò che era accaduto.

Capitava che la madre aggiungesse una minaccia appena ventilata,dicendo che se capitava qualcosa a questo nuovo bambino, si sarebbe uccisa.Ricompense e punizioni venivano enunciate, lasciando cadere il dubbio circala possibilità per il bambino di raggiungere il fratello in Cielo.

In due madri c'era un fantasma particolare. Pensavano,inconsciamente, che il sostituto fosse in qualche modo "responsabile" dellamorte dell'altro. Gli autori pensano che questo processo inconscio possaessere formulato così: "Questo nuovo bambino vive al posto del nostrobambino morto. Ha preso il suo posto. Questo bambino no è il nostrobambino morto. Avrebbe potuto essere un suo errore, dunque è errore suo

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se il bambino è morto. Non è giusto che possa vivere e che l'altro sia morto.E' responsabile di tutto ciò. E' tutta colpa sua... In questo modo l'ostilità e irimproveri che accompagnano il lutto dei genitori si proiettanoinconsciamente sullo stessi bambino di sostituzione.

In questa descrizione dell'atmosfera familiare, si tratta talvolta deidue genitori, ma più spesso della sola madre. Poche notizie, in effetti, sonostate raccolte sui padri. In tre dei sei casi, era indicato come non implicato,non partecipe, passivo, tenendosi semplicemente a lato della madre e dei suoicomportamenti anormali. Pertanto, questi padri sembrano essere statiimplicati con le loro spose nel lutto perturbato e nella distorsioneconseguente dell'educazione del bambino di sostituzione.

Tale è l'atmosfera nella quale questi bambini sono stati e divenutigrandi non senza problemi. Ma gli autori fanno notare che bisognaobbiettivamente essere prudenti nell'attribuire a circostanze particolari dellaloro nascita disturbi che potrebbero presentare: alcuni sono direttamenteattribuibili all'atmosfera familiare qui sopra descritta, ma altri sono in direttorapporto con il loro stato di bambino di sostituzione. Inoltre, descrivere iloro disturbi non significa che non avevano d'altra parte anche uncomportamento normale e adatto.

Le ripercussioni psicologiche

Questi bambini erano, come ci si poteva attendere, pieni di fobie e diansie diffuse. Qualche minuto trascorso con il bambino o i suoi genitori,metteva a nudo una lista di suoi oggetti fobici. Per esempio, George avevapaura di utilizzare un dittafono, sobbalzava quando suonava l'interfono,rifiutava alcune caramelle "perché potevano rimanere attaccate in gola",tutto ciò detto con occhi sbarrati. Si fissavano sulle conseguenze che unamalattia banale aveva causato nel loro entourage. I timori erano incentratisulla morte, contenevano fantasie tipiche di abbandono, di castrazione, dipena del taglione. Essi si riferivano anche, molto precisamente, alla morte delfratello e a una identificazione con lui. Le paure più importanti, quelle dellamalattia e delle mutilazioni corporali, sembravano la diretta conseguenzadella pesante vigilanza dei genitori, tutto ciò sulla base di ostilità-dipendenzae di mutua ambivalenza madre-figlio. In quattro casi il bambino era legatomolto intimamente alla madre, essendo il modo troppo pericoloso perché ilbambino potesse muovercisi liberamente ed esplorarlo; bisognava cherestasse vicino alla madre, "altrimenti succede qualcosa".

Il risultato di questo rigido regime di "unione" alla madre, disuperprotezione, di restrizioni, di avvertimenti sfibranti era ciò che ci sipoteva aspettare: bambini rimasti infantili, immaturi, chiusi in casa, passivi,molto dipendenti. Tutti avevano la convinzione di essere insufficienti,vulnerabili, di vivere in un mondo di pericoli costanti e imprevedibili.

Presentavano sintomi di somatizzazione diversi, ma soprattutto diconversione isterica che riproduceva quelle cose di cui era stato vittima ilbambino morto: per esempio, il fratello di quello che si era soffocato con unpezzo di pane aveva la gola chiusa in permanenza: un dolore brachialetormentava la figlia il cui fratello era morto di leucemia dopo aver sentitodolori in quel braccio. Questi due bambini, arrivati all'età in cui il loropredecessore era morto, chiedevano solennemente di non avere piùcompleanni: la loro identificazione aveva raggiunto un grado tale che essi

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erano convinti che sarebbero morti alla stessa età. Tutti erano convinti diessere "nati per non diventare mai grandi". L'affermazione che "le personenon muoiono prima di essere vecchie" sembrava loro assurda eargomentavano la loro diffidenza verso ogni sforzo di sostegno. Interrogatisu ciò che contavano di fare quando sarebbero diventati grandi, un ragazzorispose semplicemente: "Muoio. Nessun diventa vecchio".

Le preoccupazioni morbose erano diffuse. Un ragazzo, nel corso diuna piacevole festa, annunciò a suo padre: "Qualcuno qui presente non cisarà domani; potrebbe morire". Superando, quasi, i loro genitori in questocampo, essi erano particolarmente interessati ai cimiteri, le case funerarie, ifilm di uragani devastanti, le tombe di animali del vicinato; quelle degli amicie della famiglia; dei parenti lontani etc. Questi avvenimenti davano loro laprova che la morte ruotava intorno a loro e che i medici erano impotenti difronte ad essa.

Non avevano che idee deformate relative ai rapporti tra processimorbosi e la morte. Così quel ragazzo, il cui ragazzo era morto "di unagrave malattia infettiva" mal riconosciuta, di fronte alle cui domandeincessanti i genitori avevano risposto che si trattava di qualcosa "come unospeciale raffreddore molto cattivo", e trasse la conclusione che tutti iraffreddori potevano condurre rapidamente alla morte. O, ancora, quellabambina che interpretò nel modo seguente il tumore maligno che avevacolpito suo fratello: "Ha ricevuto un colpo sulla gamba, è stata tagliata, manon è servito a niente"; ella viveva nel terrore di contusioni quotidiane, le suepaure erano accresciute da esami regolari e scrupolosi della madre. La morteaspettava al varco questi bambini, nascosti dietro cause assai banali.

Questi bambini avevano, in evidenza, problemi di identità. Avevanol'impressione di poter appena respirare, in quanto individui concaratteristiche proprie, identità propria. I genitori li costringevano a esseresimili ai loro predecessori morti, lasciando loro intendere che non avrebberomai potuto essere accettati come lui perché non avrebbero mai potuto esserecome lui. Schiacciati da una conoscenza incredibilmente dettagliata delfratello morto e da paragoni costanti e di identificazioni imposte,domandavano a se stessi, ma anche ai loro genitori: "Parlo come lui? Sonosvelto come lui? Che avrebbe fatto?" Erano irrimediabilmente convinti chenon avrebbero mai saputo misurarsi con lui: avevano "interiorizzato" laconvinzione dei loro genitori, anche se questo era spiacevole e il ricordo delbambino morto trascinava spesso dalla parte del sostituto un paragone chegli era sfavorevole. C'erano stati tentativi timidi di rifiutare e rigettare leidentificazioni, ma questi erano votati all'insuccesso. Tentativi di rifiuto,sotto forma di rappresaglie, per insuccessi scolastici, di solito hanno finitoper deludere sempre più i genitori creando così un circolo vizioso. Questiparagoni incessanti con un rivale morto invincibile avevano come solorisultato di provocare una irritazione e un senso di colpa inconfessabile. Glisi domandava non solo di affliggersi, ma anche di congiungersiall'idealizzazione di colui con cui lo si metteva in competizione.

In ogni modo l'immagine del bambino morto proiettava la sua ombrasul suo sostituto. Niente testimonia circa l'obbligo nel quale il sostituto eracostretto a vivere con il morto di queste frasi: "Io ho due fratelli", (uno traloro, ben inteso, morto da lungo tempo). E ancora: "Mia sorella ha 22 anni(era morta 12 anni prima all'età di 11 anni).

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SUSIE O LA GEMELLA DI SOSTITUZIONE

Poznanski è il primo ad avere pubblicato nel 1972, una completaosservazione sul bambino di sostituzione. A.C. Cain e B.S. Cain avevanopubblicato solo dei commenti su sei casi di sostituzione di pre-adolescenti.Poznaski pensa che se non ha trovato casi analoghi in letteratura è perchél'attenzione fino ad allora non era stata fissata su questa situazioneparticolare.

Più che un caso patologico, la storia di Susie dipinge un luogofamiliare e le reazioni psicologiche dell'intervistata alla situazione di bambinodi sostituzione. Inoltre, l'interesse di questo caso risiede ugualmente nelruolo che gioca, nella famiglia, la "reazione compleanno" della morte delbambino che, qui, intensifica il disagio del bambino di sostituzione.

Susie, una ragazza di 15 anni, è ospedalizzata in pediatria e da lìinviata in psichiatria per "depressione leggera". I medici erano inquietiperché due anni prima era stata ricoverata per una "super dose di pillole",verosimilmente un tentativo di suicidio.

La sua curiosa storia fu ricostruita nel corso di numerose sedutepsichiatriche, perché la famiglia aveva, fino ad allora, preferito tenere ilsegreto. Undici mesi prima della nascita di Susie, il padre, un mattino,condusse in chiesa sua moglie, le loro due gemelle, Bettie e Barbie, di 15anni, e il loro fratello Johnny, dieci anni. Secondo una saga familiare benconsolidata (che ha subito, senza dubbio, cambiamenti nel corso degli anni).Bettie picchiettava la spalla di suo padre mentre guidava e annunciò chemoriva, ma che egli non doveva tormentarsi, perché Dio avrebbe donatoun'altra figlia alla famiglia. Alcuni minuti più tardi avvenne un incidente eBettie fu uccisa sul colpo. Gli altri membri della famiglia furono feritigravemente, ma guarirono, ad eccezione di Barbie, la gemella sopravvissuta,vittima di importanti lesioni cerebrali, che imposero il suo ricovero in unistituto specializzato perché ella non aveva più, secondo la famiglia, che lopsichismo di un bambino di cinque anni.

Susie fu concepita due mesi dopo l'incidente, con la deliberataintenzione di riparare la perdita subita dalla famiglia. Dopo la sua nascita, ilpadre volle chiamare la nuova venuta Bettie, ma la madre si oppose e

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finalmente si accordarono su Susie (si noterà la desinenza "ie" dei tre nomi,quelli delle gemelle e della sostituta). La madre in seguito ebbe ancora dueaborti e rinunciò ad avere altri figli. E' così che, secondo la famiglia, lapredizione di Bettie si avvera.

Il padre adorava Susie e durante la sua crescita aveva sempre paurache le capitasse qualcosa. Si lamentava costantemente dei rischi corsi daSusie, in qualsiasi momento. Susie diceva che suo padre poteva sempre direil fastidio che lei poteva subire, portando come esempio un incidentesopraggiunto quando, frequentando la quinta elementare, volle andare a ungita in campagna organizzata dalla scuola per la fienagione. Il padre obiettòche era pericoloso, ma Susie insistette e fu finalmente autorizzata aparteciparvi. Susie durante la fienagione commentò l'evento con un tonorassegnato. Al ritorno, su una strada abitualmente deserta, una macchinaentrò in collisione con il carro del fieno e Susie fu leggermente ferita ad unagamba. Si può supporre, dice l'autore, che in quell'incidente Susie avevaaccettato e anticipato la realizzazione delle paure paterne e persino arrivare apensare che, in altre situazioni, ella poteva inconsciamente provocare la lorosopravvenuta.

Susie si ricorda intensamente, ogni 15 agosto, data dell'anniversariodell'incidente. In quel giorno, ogni anno, è vietato a Susie uscire di casa pertimore che capiti qualcosa. Il padre non esce in macchina, trema alla solaidea di guidare e anche a sentire parlare di macchina. Susie si ricorda di ogni15 agosto come di un giorno durante il quale l'atmosfera in casa è solenne e idue genitori lugubri. Suo padre, spesso, "entra in angoscia", e la chiamaBettie. Curiosamente, Susie si è rassegnata ad essere chiamata Bettie nelgiorno-anniversario dell'incidente e non considera più il lapsus paetrno comeinsolito. Questo rito del 15 agosto si è ripetuto regolarmente per così tantotempo che Susie non si ricorda, anche se l'intensità è diminuita nel tempo.

La preadolescenza di Susie fu influenzata da due avvenimenti. Suamadre riprese il lavoro e poco dopo suo padre ebbe diverse crisi cardiache:in due di questa crisi Susie era da sola con suo padre semicosciente: siprecipitò dai vicini che chiamarono la polizia. Nel ricordo di Susie un ritardodi qualche minuto tra la scoperta di suo padre incosciente e il suo invioall'ospedale avrebbe causato la morte.

Susie non è mai stata capace di esaminare la sua paura di crisicardiache paterne nei seguenti termini: "Sarò forse io responsabile della suamorte?", ma queste paure sembrano non essere conosciute, come il padrenon avrebbe mai ammesso la sua paura di aver ucciso Bettie; potevasolamente dire "Soffro ogni volta che vedo un incidente d'auto o un bambinoritardato".

Benché Susie appartenesse ad una ambiente non delinquente, tre deisuoi quattro flirt hanno avuto a che fare con la polizia. L'ultimo anno uno diquesti, Jim (lei lo chiamava lo "schizofrenico") è diventato suo innamorato;appariva in momenti e luoghi inattesi dicendole: "Ti amo, ma ti vogliouccidere". Susie ne fu turbata e ne parlò al suo consigliere pedagogico chechiamò la polizia. Un mese più tardi, allorché Susie era sola in casa, Jimsuonò alla porta posteriore e, quando Susie rispose, aprì con un fucile inmano. Susie poté salvarsi scappando dalla porta anteriore.

Secondo Poznaski, i genitori non si rimiserono mai dalla morte diBettie. Si accontentarono di sostituire la bambina perduta e Susie fuautomaticamente gratificata di un passato che non era il suo, ereditandoanche tutte le qualità attribuite alla bambina morta, e di tutte le speranze

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riposte in lei. L'intendimento di questa idealizzazione si rivela nella sagafamiliare: ci si ricorda di Bettie come di un profeta del bene e del male dellafamiglia, evocata in termini vibranti in ogni momento, a volte da Susie, avolte dai genitori. Il padre voleva che il suo atteggiamento fosse perfettoperché non sostituiva solo Bettie, ma anche una versione vivente dellabambina che suo padre sperava. Come per molti bambini di sostituzione, ilsuo rendimento scolastico era mediocre perché è impossibile rivaleggiare conun bambino idealizzato. L'idealizzazione, in questa famiglia, serve da difesapsicologica per allontanare i sentimenti di collera verso questo morto che l'haabbandonata e addolorata. E' una reazione normale, ma è ancheestremamente pesante da portare per il bambino di sostituzione.

Le depressioni di Susie, il suo tentativo di suicidio, i suoi incubi dimorte e di agonia, i suoi legami con un flirt che tenta di ucciderla, presiindividualmente, sono sopradeterminati, ma insieme suggeriscono l'esistenzadi un pericolo permanente della morte, come se Susie anticipasse la suamorte improvvisa, conseguenza naturale del fatto di sostituire Bettie.

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I BAMBINI DI SOSTITUZIONE ANTICIPATI

Nicole Alby, nel 1974, ha riportato casi particolari di bambini disostituzione. Sono concepiti quando uno tra i fratelli, ancora vivente, èminacciato gravemente da una ricaduta in un processo leucemico, come se sivolesse sostituirlo anticipatamente. Queste sono delle vere "parate diricaduta".

Questo autore sottolinea come sono difficili la raccolta el'utilizzazione di tali osservazioni. Tramite gli infermieri, ha potuto mettereinsieme una quindicina di casi di gravidanza avvenuti in queste condizioni,ma con dati obiettivi molto insufficienti, perché i dossier di queste donneincinte, durante la malattia del loro figlio, non comportano alcun riferimentoad una possibile sostituzione. I padri, più spesso delle madri, hanno fattoriflessioni del tipo: "Avremo un altro piccolo figlio per sostituire l'angelosalito in cielo".

Otto altre gravidanze hanno potuto essere studiate con maggioreprecisione: cinque erano iniziate proprio al momento della ricaduta delbambino malato; due non coincidevano ed una non ha potuto essere datata.Oltre questi otto casi, tre altre gravidanza sono cominciate più di un annodopo la morte del piccolo malato.

In cinque casi ritrovati, comportanti una osservazione dettagliata, lacoincidenza tra la minaccia legata alla ricaduta e l'inizio della gravidanza èmolto precisa. Una madre ha atteso la certezza di essere incinta per fareconstatare una ricaduta che ella aveva temuto a partire da segni clinici, ma dicui aveva differito la conferma biologica. Alcune osservazioni delleinfermiere, "poverino, è già sostituito", mostrano che l'entourage intende inquesto modo queste gravidanze.

Si può verificare un certo sollievo, almeno in apparenza: l'attesavenuta di un nuovo bambino consola in anticipo per la prevista morte di unaltro. Ma il lutto non è affatto terminato. D'altra parte il bambino sostituitoin anticipo è un bambino malato, ma ancora vivo e la gravidanza della madreè sentita come un abbandono verso di lui, abbandono riflesso all'équipe checura: "Il bambino che sta morendo minaccia la funzione terapeutica come lafunzione materna".

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Manifestazioni di sgomento appaiono come conseguenti, ma non cisono mai stati da parte delle famiglie dei rifiuti di seguire le proposteterapeutiche per quello che sopravvive. Intanto il bambino di sostituzionepuò avere soltanto un ruolo in cui ciascuno sa che è almeno equivoco.

Nicole Alby pubblica tre osservazioni che le sembrano caratteristichee che qui riassumiamo.

Mme K. Apprende, quando è incinta di cinque mesi, che suo figlio ditre anni è affetto da leucemia acuta. È molto ansiosa e teme di mettere almondo un "bambino leucemico o anormale" e l'ambiente familiare,abbastanza ottuso, non le è di alcun sostegno. Dopo avere partorito unbambino normale, rientra presto a casa per accudire il figlio primogenito chebeneficia di una remissione che durerà due anni; in quel momento, a giugno,sopraggiunge un aggravamento con forma meningica che genera una nuovacrisi di angoscia: in agosto Mme K. È di nuovo incinta di due mesi (ilconcepimento è, dunque, avvenuto al momento della ricaduta) e chiede diabortire perché - dice - "per ragioni psicologiche non potrà sopportarequesta gravidanza". L'aborto è rifiutato. Rivista in novembre (incinta di seimesi), ella sempre angosciata dall'idea di avere un altro bambino leucemico.La gravidanza è accettata, ma pensa che costituisca un pregiudizio per ilbambino malato, che lei ha tradito. Parla del bambino che deve nascere alpassato: "Povero bébé, è triste, ma io me ne vado, se ne occuperanno glialtri, è triste per lui".

Poco prima del parto, il piccolo malato peggiora nuovamente, il chedetermina una violenta aggressività della madre che lo fa ricoverare in unaltro ospedale. Aveva pertanto ripreso le cure che gli dava subito dopo averpartorito un figlio normale.

Mme N. ha due bambini, un maschio, il primogenito, e una figlia didue anni, alla quale si diagnostica una leucemia acuta in gennaio. La madre èin conflitto con il marito per la malattia: egli le rimprovera le rimprovera lecure dolorose, il suo comportamento. E' il suo modo di reagire alle minacceche pesano sulla figlia. La bambina è curata, ma in giugno ha una ricaduta.Sua madre la fa visitare di nuovo dopo due mesi: è incinta di due mesi emezzo e lo manifesta in maniera evidente. Dice che la piccola malata è"insopportabile (ha in effetti un comportamento turbolento) e dice davanti alei che la ascolta: "Partorisco in gennaio, spero che tu sarai ancora qua, manon è certo". Nuova ricaduta in settembre; in dicembre sembrava più distesa.Disse di non aver preparato nulla per il bambino che doveva nascere: "Nonho tempo, è tutto per lei (la piccola malata)". La piccola malata è calma, maripiegata su se stessa. La madre dà l'impressione di vivere il momentopresente e di annullare la sua ansietà dovuta all'agitazione. Finì per partorireun figlio di cui l'infermiere disse: "Lei che voleva una figlia, si può dire chequello sarà poco amato". La bambina malato ha un aggravamento subitodopo il parto e la madre viene a riprenderla.

Il marito di Mme C. è infermo e suo figlio primogenito è affetto dauna malattia congenita. Sua figlia, a due anni, è ospedalizzata per unaleucemia acuta. Mme C., incinta, partorisce poco dopo un bambino cheavrebbe un "cromosoma in più" (senza altra precisazione). Ella chiedeconsigli perché la figlia, la piccola malata, "è insopportabile; se non eramalata, giorni fa l'avrei ammazzata; mi occupo di lei e lei non è mai

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contenta".Dopo essersi lamentata dei medici e dei loro errori, dice di non volere

più bambini, sopporta male la pillola e rimane incinta un'altra volta; al quintomese, chiede di abortire, ma le viene rifiutato. La figlia malata ha unaricaduta una settimana prima di questo consulto. Partorisce una figlianormale e, su sua richiesta, si fa cucire le tube.

Nicole Alby fa notare che queste tre madri, quando parlano dei lorobambini malati, dicono "insopportabile" (la parola può essere intesa in tutti isensi…) nel momento in cui esse apprendono della sua ricaduta e conosconola nuova gravidanza; questa autrice pensa che il bambino le minacci della suamorte e annunci l'abbandono: l'aggressività materna serve a reprimerel'angoscia suscitata dall' "aggressione" che esse subiscono e che raggiunge unlivello difficilmente sopportabile.

Queste gravidanze, per loro, sono da considerare differenti da quelleche giungono al tempo delle remissioni o molto tempo dopo la morte di unbambino. Ella le qualifica come gravidanze "incidentali" nel senso antico deltermine, cioè comandate da una forza esterna a chi la subisce: la nozione di"sostituzione" non interviene che in un secondo tempo, è unarazionalizzazione, un vanto, un tentativo di riparazione immediata di un luttoanticipato.

L'ambivalenza e il senso di colpa segnano il comportamento di questemadri. Anche il bambino nell'utero è caricato di aggressività verso il bambinomalato. Mme K. Parla di "pregiudizio".

Per alcune madri, schiacciate dalla morte attesa del loro bambino, è,senza dubbio, il solo modo di proteggersi contro una grave depressione cheavrebbe impedito loro di svolgere le cure al bambino malato.

Qui i padri hanno un ruolo modesto, ma sono tutti profondamentecolpiti, ed è possibile che, tenuti un po' discosti dalle madri, una gravidanzasia per loro un modo di "fare qualcosa", di dare un "sostituto" alla madre chesta perdendo un figlio, se si dà ascolto ai racconti degli infermieri.

Il ruolo riparatore della gravidanza assicura ai genitori che nonsaranno privati di altri figli e che questi saranno ben in salute. Da tempo sipone una domanda: "La malattia di nostro figlio è ereditaria? Contagiosa? Sipuò prendere in considerazione una nuova gravidanza?". Questo desiderioevoca certe domande di adozione destinate a negare la sterilità della coppia:una famiglia ha adottato un bambino vietnamita immediatamente dopo laricaduta del loro bambino leucemico.

Una volta certe di essere incinte, la madre si "riaccosta" al bambinomalato e "dimentica" il bambino che ha in grembo. Esso diventa un rivale delbambino malato e nello stesso tempo oggetto di pietà, perché non puòcolmare il vuoto, né essere amato per se stesso.

Quando le madri partoriscono spesso trascurano il nuovo venuto abeneficio del bambino malato. Si ha l'impressione che di volta in volta i duebambini siano confusi e separati. H.H Jahnn, del quale abbiamo visto lastoria in quanto bambino di sostituzione, comincia così uno dei suoiracconti: "C'era una volta una madre che aveva un figlio in due metà, unaviva e l'altra morta". "Diventare colui che sostituisce, sarebbe già averediritto a una certa esistenza" dice Nicole Alby.

Il bambino di sostituzione non crea lutto, nella misura in cuisostituisce il morto. Il bambino di sostituzione ha il diritto, indispensabile perla strutturazione della sua futura personalità, di esistere per se stesso.

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In seguito, N. Alby ha proseguito con E. Gluckman i suoi studi sucasi abbastanza simili ai "bambini-rimedio", quelli di bambini concepiti "pertrapianto del cordone": il sangue del cordone ombelicale prelevato allanascita contiene numerose cellule-madri e può sostituire il trapianto dimidollo osseo in bambini colpiti dalla malattia di Fanconi (aplasia midollareprogressiva, malattia mortale senza trapianto di midollo osseo). Alcunigenitori possono allora concepire un bambino che, si spera, nasca sano, conlo scopo di ottenere queste preziose cellule che salveranno il fratellocondannato. Tutti i problemi relativi al bambino unicamente "oggetto utile"verranno posti qui.

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UCCIDERE IL MORTO

Con un gioco di parole molto lacaniano, A. Couvez, in una memoriapsichiatrica scritta nel 1979, ritiene che per esistere per se stesso un bambinodi sostituzione deve "uccidere il morto", cioè eliminare l'obbligo imposto daisuoi genitori dal tempo della sua nascita: "tu sei il morto".

Egli riferisce quattro lunghe osservazioni di bambini di sostituzioneche egli analizzò in uno spirito psicanalitico con molta acutezza.

Abbiamo creduto di poterli riassumere qui tentando di non deformaretroppo le sue constatazioni e le riflessioni che ne trae. Per fare questoabbiamo citato il più possibile le sue frasi: tutto quello che, nelle osservazioniqui riportate, è tra virgolette, è scritto da lui (e di ciò che è del soggettodell'osservazione).

Frédéric o il bambino autistico

A dire il vero si potrebbe contestare a Frédéric il titolo di bambino disostituzione, stricto sensu, perché non si sa bene chi sostituisce.

Tutto risale alla morte del nonno materno. La madre, allora, caddenove anni prima della nascita di Frédéric, in un languido stato depressivo. Illutto di suo padre era stato molto difficile, perché fortemente colpevolizzato.Rimase incinta due anni dopo il suo matrimonio e, per la prima volta dalungo tempo, trovò uno slancio vitale, la salute, un certa gioia… Ma a tremesi, fece un aborto. Sorge un dubbio su ciò che avvenne allora: i medicinon le avrebbero parlato di Bambino, le avrebbero detto che era "sporca" ele si praticò un raschiamento; secondo loro non c'era bambino (----hydatiforme o embrione?).

Subito dopo fu concepito Frédéric. Ma sua madre non continuò aparlare che del primo che avrebbe dovuto nascere proprio quando sua sorellaebbe una bambina.

"Il bambino immaginario assicurava una restituzione efficace del sématerno; la sua perdita avrà gravi conseguenze. Il bambino di sostituzioneavrà un funzione protettiva nei riguardi della depressione nervosa materna

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(…) Frédéric è condannato all'identico. E' totalmente alienatodall'immaginario materno. Per sua madre egli è l'altro (…). La "perdita" eFrédéric sono irrimediabilmente confusi. Ella non aveva avuto che unbambino (…) Frédéric sembrava così condannato a vivere morto, a viveresenza desiderio, a vivere psicotico (…) Frédéric è l'ago della bilanciafamiliare che permette ai genitori di continuare a vivere".

Fatto curioso, da quando la moglie fu incinta, il padre smise ogniattività professionale e cadde in uno stato di apatia e di abulia profondo; suamoglie fu costretta ad occuparsi di lui come di un bambino: lo nutriva, lolavava, lo accompagnava tenendolo per mano. Questa regressione cesseràalla nascita di Frédéric. "Il padre aveva, insomma, assicurato l'interim".

E' la nonna materna che, per due anni, si fa carico di allevareFrédéric, che sembra svilupparsi normalmente. I genitori, giudicandolatroppo lassista, decidono di riprendere il loro figlio. In quindici giorni questoregredisce e cade in uno stato di autismo, presto accompagnato da unaipercinetica autistica di Kanner; è un vero vibrione, senza contatto con ilmondo esterno. I genitori sono senz'altro protesi verso Frédéric,superprotetto al massimo grado, soprattutto in occasione di una otite banaleresponsabile di disturbi del comportamento.

"Il bambino non è nato all'Altro, il suo universo è il tutto e il nulla.Tutto e indistinto. Niente è differenziato. L'animato e l'inanimato siconfondono. Frédéric passa davanti allo specchio senza vedercisi perché nonpuò scorgere l'immagine di una realtà che non coglie (…) Il contatto non èfuggito né cercato, non vuole parlare (…) Frédéric vive una morterelazionale totale".

Malgrado questo i genitori rifiutano energicamente per un anno disepararsi da Frédéric, il cui ricovero in un istituto specializzato sembraindispensabile. Ci si accorda, infine, per un seminternato in I.M.P.. Per treanni non si verifica alcun cambiamento nello stato di Frédéric, né nelladinamica familiare ossessiva. Per i suoi genitori Frédéric è divenuto unoggetto di studio, la madre annota tutto su un diario, moltiplica i consulti dispecialisti, i trattamenti rituali. Una nuova educatrice e l'allontanamentorelativo dei genitori permettono alla fine un leggero progresso: Frédéricprende la mano che gli si tende, ha uno sguardo verso l'altro. Tutto questo,la madre non lo può sopportare: ha una nuova depressione, ogni notte suonauna morte. Non può tollerare che si sia riusciti là dove lei ha fallito, masoprattutto che Frédéric si allontani dai suoi genitori.

"La costellazione familiare sembrava come un sistema chiuso, unavera fortezza in cui Frédéric serviva da cemento". E Couvez aggiunge:"Segnalandosi timidamente come soggetto, Frédéric abbozza un movimentoomicida verso il bambino morto di sua madre (…) Questa "morte (?)"ravviva nella madre l'esistenza del defunto che può evocare la storiadell'aborto e ritrovare quel lutto non compiuto che la venuta di Frédéricaveva permesso di evitare. Di nuovo, ella cerca un morto, immagina Frédéricaccidentato e, nella sua depressione, ella vivrà solo la morte.

Ahimé!, la lotta è troppo ineguale. La depressione materna è cosìviva al riguardo dei progressi ottenuti dal bambino, E' improbabile cheFrédéric possa ampliare l'intima frangia che lo differenzia dall'originale, di cuiegli non è che il calco".

Thérèse o l'ipocondriaca delirante

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Il caso di Thérèse è assai complesso ed esige, per essere compreso,una biografia familiare abbastanza precisa, che abbiamo ricostruito dopo lalunga osservazione riportata da Couvez, con interpretazioni assai acute eseducenti sulle quali non possiamo insistere troppo.

Thérèse è figlia unica di una modesta famiglia di immigrati polacchiche abitano nel Nord della Francia. Il padre è abbastanza stravagante, silascia piegare dalla figlia; la comunione con il padre sarà ulteriormenterinforzata quando, come lui, sarà operata di un'ernia al disco. Sua madre èabbastanza fredda e poco amorevole. "Ella non mi amava (…) Non amava ibambini".

A cinque anni Thérèse viene ricoverata per una meningite, cheguarisce senza lasciare tracce. Si sposa a 20 anni e a 23 anni ha un bambinoche muore all'età di due giorni. E' allora, allora solamente, che sua madre lerivela che lei ha avuto un primo figlio, un figlio chiamato bruno, prematuro,e morto parecchi anni prima della nascita di Thérèse, che non eraparticolarmente desiderata. Thérèse, ancora in maternità, entraimmediatamente in una crisi ipocondriaca

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CAPITOLO IIIOSSERVAZIONI INEDITE

UN COLPO DI SONDAGGIO RADIOFONICO

Crediamo interessante fare, qui, una stima di un " sondaggio" datoinvolontariamente nel pubblico, ciò che, lo precisiamo, non ha nulla a chevedere con un sondaggio.

L'emittente radiofonica France-Inter ha diffuso nel pomeriggio, in unun'ora di leggero ascolto, l'undici gennaio 1990, una trasmissione dedicata allibro del cineasta René Féret " Battesimo " apparso dopo l'uscita del filmavente lo stesso titolo.

Costui ci chiede di parteciparvi per parlare dei bambini disostituzione e noi citammo soprattutto Ludwig Van Beethoven e VincentVan Gogh.

Nei giorni che seguirono questa trasmissione, questa stazioneradiofonica ci trasmise 11 lettere personali che si dicevano tutte interessate alproblema dei figli di sostituzione, scritte da due uomini e nove donne.

Tre di queste chiedevano unicamente referenze bibliografiche.Un altro diceva di aver sofferto tutta la vita per essere stato un

bambino di sostituzione e basta.La quinta lettera proveniva da un delinquente, criminale e recidivo,

che scriveva dalla prigione dove aveva ascoltato la trasmissione radiofonica;diceva di essere nato dopo un bambino morto e di avere molto talento nellapittura. Aggiungeva: " Ho sempre come l'impressione che c'è una secondapersona in me e che di tanto in tanto mi mette dei bastoni nei neuroni ".L'espressione e pittoresca, ma le indicazioni sono molto insufficienti perché ilcaso possa essere trattenuto. Si noterà che egli non giunge a rendere lasituazione di bambino di sostituzione come responsabile dei suoi crimini.

Una sesta lettera che era di una madre che aveva solo " inteso parlaredella trasmissione ".

Racconta che dopo un bambino nato-morto " senza avere nome nèessere stato dichiarato in Municipio " ha avuto immediatamente dopo unaltro bambino. " Non ho mai pensato che sostituiva quello che avevoperduto, ma avevo sempre paura di lui, senza sapere perché ".

Dopo di lui sono nati altri due bambini. Verso il suo ventesimo anno,il primogenito è entrato in un processo schizofrenico a episodi multipli. Equesta madre pone la domanda: " Il nostro figlio ha creduto di sostituire ilbambino morto? " È evidente che non si può risponderle senza uno studioapprofondito.

Le altre cinque lettere, provenienti tutte da donne, sono piùinteressanti e più dettagliate. Le autrici di due di esse hanno chiesto nonsolamente di mantenere l'anonimato, ciò che che è comprensibile, ma anche ilsegreto, per timore di essere riconosciute da un eventuale lettore, desiderioche abbiamo rispettato.

Quindi qui non riportiamo che, col loro accordo e un poco riassunto,le auto-osservazioni delle ultime tre lettere nelle quali noi abbiamo cambiatoqualche dettaglio, cambiamento senza incidenza sulla storia, e dato nomifittizi, alla fine di preservare l'anonimato delle autrici di queste lettere. Nella

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misura del possibile, abbiamo ripreso gli stessi termini usati (sono tre donne)e rispettato il loro stile. Non si può che sottolineare, in queste tre lettere, laricerca permanente di una identità, il rifugio nella creatività artistica (poemi,romanzi, pittura, musica) e il timore di un disturbo mentale.

1. MARIE-JEANNE o la sorella in cielo

I due figli di Madeleine, Pierre (due anni) e Marie-Jeanne (3 mesi)muoiono in un grave incidente, contemporaneamente. Un terzo bambinonasce dieci mesi più tardi; è una figlia e la si chiama Marie-Jeanne come suasorella morta.

" I miei ricordi sono ancora molto chiari e posso dire che speravodurante la mia gravidanza di dare la nascita a un piccolo bambino. Ma lanascita di questa figlia non ci ha deluso nè mio marito, nè me (quando si èsubito un tale shoc, la presenza di un bambino bello e ben fatto vi colmainteramente).

La nostra prima parola è stata di ringraziare Dio e di darle il nome diMarie-Jeanne, non per sostituire la nostra prima figlia, ma perché questaintervenne " meglio, e oltre dove ella si trovava. Credetemi, se ho subito ungrande shoc psicologico con una perdita della memoria degli avvenimentiprecedenti, questa idea è rimasta interessa in me e scrivendo, la rivedo, 25anni dopo con molta forza.

Marie-Jeanne non ha mai vissuto da noi con fotografie di suo fratelloe di sua sorella, non è mai stata al cimitero (non potendo, io stessa,recarmici) perché l'idea che avevo, ancorata nella mia testa, (forse per venirlefuori e non sembrare folle) è che i nostri figli non erano in quel luogo, e chela vita non era stata loro tolta, ma si " trovava mutata ". Se mi ricordoesattamente, credo che ella è stata tanto più facilmente che non possiamofare paragoni con sua sorella che non aveva che tre mesi.

Molto raramente abbiamo dovuto parlarle dei nostri primi bambiniperché personalmente, non potevo; è forse un errore da parte mia, ma sonostata sostituita in ciò dai suoi nonni paterni e materni -moltodrammaticamente-a cui noi abbiamo ridato killer ruolo, rispettivamente dipadrino e madrina di sua sorella.

Un anno più tardi nasceva una sorella, cinque anni dopo un'altrasorella e, infine, dopo sette anni, un fratello.

Marie-Jeanne ha fatto studi letterari, ha insegnato, poi si è orientataverso il teatro ed il cinema, scrivendo anche romanzi e novelle. " E' ilbisogno di essere qualcun'altro? " Ha, ugualmente, senso di colpa moltoforte e soffre i moduli c'è estivo del male che possono farle suo fratello e suasorella. A momenti di grande gioia e momenti di pena eccessiva, si fa volerbene da tutti; si direbbe portata dalla grazia. Non ha saputo o voluto "tagliare il cordone ombelicale " ed è giornalmente che ci fa partecipe dellesue azioni positive o negative.

Onestamente, posso concludere scrivendo che è stata portata,allevata e amata in modo diverso da sua sorella e suo fratello attuali, nonsarà questo che per paura di tutto ciò che è negativo e per l'amore sublimeatto della nostra coppia per tutto ciò che è stato positivo.

Dimenticavo, da tre anni, si fa chiamare Maria. Suo padre ed io noncapiamo.

Dobbiamo fare uno sforzo più grande per riconoscerle questaidentità?

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Il tono generale di questa lettera mostra una comprensioneintelligente e spontanea del problema e soprattutto che la fede dei genitori hapermesso loro di " corto-circuitare " il lutto interrotto-con le sueconseguenze, a volte, tragiche dalla procreazione di un bambino disostituzione.

Tuttavia, il fatto di aver messo al mondo un nuovo bambino neigiorni, settimane o più, dopo il tragico d'eccesso dei due primogeniti traduceuna certa intenzionalità: il posto della scomparsa non è da prendere cheperché che esiste sempre infatti, ma in un'altra parte. Il dare e lo stesso nomealla nuova avvenuta non fa che trascorre qui la tradizione di mettere unbambino sotto la protezione del santo patrono.

Lasciare la realtà quotidiana per buttarsi in un'attività dovel'immaginario gioca un ruolo preponderante, cambiare il proprio nome,accorciarlo (ciò che i genitori mal sopportano) potrebbe bene, come lamadre venne presume, tradurre per Marie-Jeanne, questo desiderio di esserealla fine " qualcuno che non sia che me " come dice il cineasta Rénè Féret. A

2. CARLOTTA o l'interim

" I miei genitori hanno avuto, molto giovani, una figlia che non vissedue anni. Si chiamava Marie-Hélène. Mi ebbero un poco tempo dopo. Di lei,non conoscevo che una foto, e dai miei genitori, che era bella e robusta. Ionotai soprattutto una cosa: che mi assomigliava molto. Non ne parlavanospesso che io non so veramente ciò che, durante la mia infanzia, potevosentire.

Ma da sempre ho il senso di non arrivare a sapere chi sono e cosavoglio veramente.

Mi sono sposata giovane e qualche anno dopo ho divorziato. Non homai potuto decider mi ad imparare un mestiere che mi piacesse e, a forza diesitazioni, mi ritrovo con solo lavoro che non volevo fare: segretaria. Inoltre,da parecchi anni, incapace di restare nel medesimo posto, lavoro ad interim.

Ho lasciato gli uomini che ho amato, forse, per paura della felicità.Forse non mi sono mai data il diritto di essere felice?

Inoltre, vivo o un po' ai margini. Per me contano solo le mie attivitàcreatrici: poesie, musica, fotografia, relazioni affettive che ho con alcunepersone.

Da tre anni, in seguito ad una relazione sentimentale collaudata conun alcolizzato, o iniziato una psicoterapia di un anno che mi ha permesso diripartire col piede buono.

Quello che è avete detto durante quella trasmissione radiofonica harischiarato a giorno la mia esperienza. E tutto ciò che mettevo in conto dellamia posizione di primogenita (il senso di essere stata poco amata) forse nonera totalmente imputabile a ciò.

Una cosa mi ha particolarmente scosso, l'analogia tra " bambino disostituzione " e " interim ". In " interim " sono sempre una che sostituisce,come in quella pubblicità che amo poco sull'agente x dove si vede unasegretaria che aspetta un bebè si fa sostituire da un interinale che è il suososia.

Da un po', sono tentata di riprendere gli studi per apprendere unmestiere inerente alla psichiatria, perché voglio assolutamente cambiare

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lavoro. Questa scelta non è sicuramente dovuta al caso, credo che la follia mifaccia paura e mi affascini.

Di questa lettera, molto spontanea, bisogna ricordare soprattutto ilparagone originale tra il ruolo del lavoratore interinale e quello del bambinodi sostituzione, eterno " tappa buco " del vuoto lasciato dal primogenitoscomparso. Si nota anche l'insoddisfazione permanente, l'attrazione per la "follia " ella costante ricerca di una identità difficile da trovare, forse perchéfu rifiutata dall'inizio.

Il testo qui sopra è stato sottoposto all'interessata che vi ha apportatocorrezioni minime, ma ha aggiunto un complemento interessante diinformazione.

Come abbiamo detto sopra, abbiamo cambiato i nomi. E questa "Carlotta " scrive: " sono sorpresa per la vostra intuizione (NDLA: che non èun effetto del caso): il nome di Carlotta che avete usato per sostituire il mio(ancora una sostituzione) non è altro che il nome di mia nonna alla quale, avolte, mi identifico un poco, perché la ammiravo molto. Da tempo firmo imiei poemi e le mie fotografie con CH.D. (Che sono le iniziali del suo nomee cognome) ". Si ritrova qui, come in Stendhall, e qualche altro, questobisogno di pseudonimi. " Ho rinunciato all'ultimo momento a diventareinfermiera psichiatrica: la paura è stata più forte del fascino.

Intanto in un sogno che di riprendere i miei viaggi e girovagare perattingere materiale per la fotografia, fotografie in bianco e nero che sonodiventate la mia più grande passione ".

3. MARCELLA o la sostituzione dell'eroe

" Sono stata concepita dai miei genitori per sostituire il fratello di miopadre, morto il giorno della liberazione, all'età di 19 anni, eroe dellaresistenza, ucciso da una pallottola in testa. Sono nata due anni dopo la suamorte. Conosco tutti i dettagli col cuore, non avendo mai smesso, miopadre, di avvelenarmi l'esistenza con questo passato. Mi portava a vederefilm di guerra, avevo molta paura, mi rannicchiavo nella poltrona e chiudevogli occhi; il ritorno nella macchina del nonno era angoscioso al massimo:pensavo che saremmo stati assaliti per strada da qualcuno; non avevo chequattro anni. Ero sempre vestita da ragazzo, mutandine rigonfie i miei capellierano lunghi, pettinati a coda di cavallo.

Sul camino troneggiava la fotografia (immensa) di questo zio,intellettuale, faceva del teatro, era molto colto. Non ero lui, non potevoessere lui, tutti i miei tentativi erano infruttuosi. Quanti rimproveri ho avuto,colpi, ignobili punizioni, perché bisognava " uccidermi " e io horiorganizzato la mia resistenza e la mia operazione sopravvivenza.

In classe, ero un'allieva media; scrivevo bene, ma non con la scritturaaccurata e stilizzata di mio zio. Mi immergerlo nell'immensa cassa/Tesoroche conteneva i suoi libri, i suoi quaderni, le sue carte. Le cercavo, volevoimpegnarmene. Il mio primo giocattolo mi fu dato da mio padre: un bancocon attrezzi. Restaurato alla casa e voleva obbligarmi ad aiutarlo, costruendoattrezzi a mia dimensione. Artigiano, sapeva fare tutto. I giochi mi eranovietati e messi in soffitta, alcuni ci sono ancora. Ma qualunque cosa facessi,non ero all'altezza.

Ho sofferto e soffrono ancora per questo rifiuto. La nascita di mia

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sorella, se gli anni dopo la mia, non ha fatto che aggravare la situazione.Adolescente, andavo a rifugiarmi in solaio del vicino per respirare un po',riprendermi, esistere; oppure prendevo medicine, un po' di tutto quello chetrovavo, e ciò mi permetteva di dormire e avere pace. Per fuggire questoambiente, mi sono sposata molto giovane, ho avuto tre bambini, oggimaggiorenni, o divorziato nel giro di qualche anno, mi sono risposata enuovamente divorziata.

Sono rimasta ansiosa, scorticarta viva, spesso depressa. La creativitàmi aiuta molto: poemi, scritti, disegni, pittura. Ho aiutato molto gli altri inattività sociali dove avevo posti di responsabilità, in modo da avere, infine,una identità e di esistere davanti agli altri.

Anche i miei comportamenti mostravano l'ambiguità che vivevodentro di me. Un giorno ero in pantaloni e il giorno dopo in gonna. Avreidesiderato essere ragazzo, per anni, e mi sono rassegnata alle età ditrent'anni, quando mi sono resa conto che esistevo per me e per gli altri, ilche i acerbo. Ma la mia vita privata è sempre stata un fallimento. In me, sonoancorati i complessi di colpo al che di intelligenza. Psicoterapia e analisi lihanno diminuiti e mi hanno rassicurata.

O dimenticato di segnalarvi la mia fierezza verso i miei amici, quandomostravo, sulla targhetta del monumento ai morti, il nome di mio zio che eraanche il mio.

" Ho provato a dimenticare questi ricordi, ma... "

Si potrebbe discutere il posto di questo caso nella categoria deibambini di sostituzione: è concepita dopo la morte di un giovanotto, di sessoe nome differente, Marcella non possiede tutti requisiti. Ma A.Cain e B. Cainhanno anche pubblicato casi di bambini destinati a sostituire adolescenti. Fu,così, il caso di Louis Althusser.

In quanto al sesso che al numeri, abbiamo visto che non è unanecessità assoluta. Al contrario, Marcella è nata due anni dopo la morte diun giovane zio, eroe venerato dalla famiglia di unico personaggioapparentemente suscettibile di essere rimpiazzato nel gruppo familiare, ilsolo in grado dell'immaginario familiare, di " colmare " il lutto subito. I suoidesideri contraddittori di identificazione col morto e di esistenza personale,qui sono flagranti e Marcella sembra aver controllato bene il suo handicapiniziale.

JEAN-PIERRE o la suspicione illeggittima

Jean-Pierre, avendo preso conoscenza del lavoro che abbiamodedicato al bambino di sostituzione, ci scrive spontaneamente all'iniziodell'anno 1992 per dire che a quel punto si riconosceva miei personaggi dicui abbiamo pubblicato la biografia studiata sotto questa visuale. Fu l'iniziodi una corrispondenza nella quale è testimoni era una viva intelligenza, unacapacità di introspezione, una finezza e una lucidità nel'auto-analisi, del tuttoragguardevole. L'osservazione che segue è la sintesi di questo scambio dilettere, col suo accordo.

Il 14 agosto 1941, un primo Jean-Pierre nasce da un padre figliounico di un figlio unico. Gli si dà i nomi dei suoi due nonni paterni. Muorecinque giorni più tardi. Gli succedono due figlie, due e quattro anni più tardi.Sei anni dopo, esattamente il 14 agosto 1947, nasce un nuovo Jean-Pierre.

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È verso i sette-otto anni, sapendo già leggere sufficientemente, chescopre sulla pietra della tomba familiare " qui giace Jean-Pierre X... nato il14 agosto 1941 (proprio come Vincent Van Gogh) " Ho creduto che si eragià previsto il mio posto e mi sono stato sconvolto. Non ne ho compresol'importanza che verso i 30 anni, quando mi hanno posto il problema dellereazioni emotivi dell'oggi che e non potevo non far notare che non potevoraccontare la mia vita senza mettere in evidenza questo episodio, come unaneddoto divertente.

Più tardi, mia madre mi ha detto di essersi posta, alla mia nascita, ilproblema delle conseguenze psicologiche di questa ripetizione del nome eaver chiesto consiglio al pediatra che le avrebbe detto che mi sarei divenutopiù forte (francamente non lo ringrazio). Si no all'adolescenza, passo il miotempo a giocare solo " con mio fratello " e il mi stupisco un poco che i mieigenitori, che c'erano persone intelligenti, non ne abbiano mai sorriso ".

L'instabilitàDurante tutta la vita Jean-Pierre, oggi a 45 anni, sarà assegnato dal

sigillo dell'instabilità, di solito scolastica, geografica e familiare.Il suo curriculum scolastico e assai pittoresco: se ne parlerà oltre. I

suoi studi universitari, infatti nella città natale, gli permettono di contemplareun brillante avvenire. Si sposa a 22 anni, ha un primo figlio a 23 anni, unafiglia a 25 anni. La nascita del bambino è vissuta come molto sconvolgente.

A 26 anni, abbandona i suoi propositi di carriera professionale, suamoglie e i suoi figli e ricomincia la sua vita in una piccola cittadina distantecirca 40 chilometri da quella in cui era, finora, vissuto. Ci resterà dieci anniacquisendo di nuovo una situazione onorabile. Si risponda a 32 anni e daquesto secondo matrimonio non avrà figli.

Divorziato una seconda volta, cinque anni dopo, a 37 anni, e vanuovamente in un'altra cittadina dove, per una terza volta, si crea unasituazione molto soddisfacente sul piano professionale. Si sposa per unaterza volta a 42 anni; avrà allora, molto ravvicinati, un secondo figlio e unaseconda figlia. La nascita di questo secondo figlio della vissuta in modo piùdifficile da quella del primo. Scrivere: " la nascita dei miei due figli è statalaboriosa alla mia età, ciò che non è avvenuto con le mie due figlie ". Fanotare con un certo umore, che si è sposato in tre riprese con ragazze di 22anni, sempre gli anni in nove, per divorziare gli anni che terminano in quattro(almeno le prime due volte...) E aggiunge: " ogni volta provo ad essere unbuon marito, ma senza altro in un modo non convincente". È quello,senz'altro, un effetto della suspicione: come ci si può credere amato per sestesso quando sì è un bambino di sostituzione? Sì, io ho confidato in questoterzo matrimonio, l'ho abbordato dicendomi che, alla peggio, se non Pierointeressante per i miei soldi che la mia posizione, questo costituiva unelemento probante. E questa riflessione, che umilierebbe più di una persona,mi ha rassicurato molto ".

Da questa breve biografia, si può dedurre che, condannato a nonessere se stesso, a un non- essere, ha provato (invano, per fortuna) di fallire.Prima sul piano scolastico, finendo per riuscirci; nonna ha potuto mettereradici in modo durevole da nessuna parte; non ha potuto essere lo sposoatteso. E, e malgrado tutto ciò o con capacità intellettuali e professionalireali ed un evidente desiderio di avere una vita coniugale e familiare normale.

Gli diamo nuovamente la parola: " Ci ho messo anni e anni percomprendere che questa situazione di bambino di sostituzione non costituivache un aneddoto della mia infanzia. Intanto, non vorrei farne una scusa per i

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fallimenti della mia vita.E difficile, allora, trovare il posto esatto di questo problema nelle

vicende della vita.Al grado di riflessione cui sono giunto, penso che questo fattore

abbia avuto un ruolo maggiore nelle seguenti circostanze.Adolescenza e scolaritàHo avuto un'adolescenza che si può definire difficile. Termine, senza

dubbio, un poco esagerato, " a posteriori ". Nella mia famiglia, difficilesignificava che ero diventato un poltrone indisciplinato e criticone, quando ilsuccesso scolastico che era l'unico e insostituibile valore riconosciuto da miopadre. Manifestamente, non ero incline a nulla: ero in una famiglia agiata,con una coppia stabile, presente e identificata in una fratellanza senzaproblemi. Sono sempre stato un ragazzo piuttosto dotato; le mie sorelle tuttigli anni facevano il concorso generale, spesso con successo.

Ma io riuscivo ad acquisire la notorietà inversa, riuscendo ad essere,in due anni, ultimo in tutto, salvo nelle due materie che mi piacevano nellequali ero primo, essendo uno dei tre peggiori elementi più conosciuti di unliceo di cinquemila allievi.

Dopo la mia espulsione, il castigo è stato di mettermi in un istitutoreligioso molto severo con il le premio di eccellenza come condizione peruscire. In due anni, ho compiuto una doppia trasformazione: il premio dieccellenza e tutti i primi premi e anche l'espulsione per indisciplina. Dopo diciò sono stato un buon allievo e uno studente volenteroso.

A " posteriori " ciò prova che la mia capacità ad essere così notabilecome le mie sorelle, era ben reale. È lì che penso che il bambino disostituzione, abbia un ruolo.

Questo impulso a fare il " piccolo anatroccolo cattivo " ha senza altroradici di questo genere. Credo l'adolescenza un mezzo per digerirel'ambivalenza del bambino facendo una scelta attraverso una eliminazioneaggressiva. Penso che volevo eliminare il " primo Jean-Pierre ", il solo veroJean-Pierre X, quello destinato ad essere anche primo-della classe-come sidoveva essere nella famiglia X.

Era il modo di collocarmi come non primo (né di nascita, né diclasse).

A " posteriori ", o provato le mie capacità ad essere:sfortunatamente, la reazione di mio padre sentenziò che per essere amato ericonosciuto, bisognava essere primo, senza questo non c'era scampo. Nonmi sono mai rimesso. Da tempo, non ho mai amato essere primo. Nei mieistudi, nella competizione sportiva, sono sempre stato secondo, salvonecessità assoluta. E quando sono stato primo, non ho mai provatosoddisfazione. Anche con le donne, non ho mai conosciuto l'orgoglio virile,futile e intenso, che gli altri sembravano provare. Quando per " loro " sonostato un primo, o sempre avuto l'impressione di essere stato uno strumentopiù che un partner. Conoscete, forse, la canzone:

Adoro essere dietro con lui che è davanti Quello che è più grande Quello che è gigante Adoro essere dietro Preferisco essere discosto Sono l'anti-l'anti-l'antistar

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" L'anti-star " (antidivo) è proprio il soprannome che mi danno i mieiallievi.

La morte del padreA 24 anni, perdo mio padre per una lunga insufficienza renale

cronica. Sono stato molto presente e non ha cantato le mie lodi di figliomodello!

Il ricordo orribile che ne ho, è quello delle lunghe ore passate al suocapezzale, a cercare cose da raccontare mentre lui taceva. Credo chesperavo ardentemente che egli mi riconoscesse, ma è morto senza dire nienteed è lì l'orrore del ricordo. Al suo funerale, una stupida zia mi ha detto: "Ora sei il capo famiglia ". La mia reazione è stata spaventosa ed ho piantocome se non avessi mai pianto in vita mia. Nei mesi seguenti, ho fatto, comevaluto " a posteriori " una sindrome depressiva e una forza, a quei tempiincomprensibile, che mi ha portato a rinunciare alle mie legittime ambizioni,a lasciare la mia famiglia e la città, partire lontano, senza un soldo, con lacertezza che era, inspiegabilmente, il solo modo di " salvare la pelle ".

In breve, ritornava l'indisciplinato. (Nota a margine: Ho sbagliato ascrivere " indisciplinato " è tutto dire!)

Come sia, i genitori sono propri soldi a stampare l'identità di unessere all'inizio dell'adolescenza. In seguito no ho fatto di tutti i miei padroni(datori di lavoro?) Dei padri di sostituzione ed ho, ancora oggi, come unicoamico un uomo di ottant'anni che ha fatto da padrino a mio figlio, ultimonato. E anche la lunghezza di questa lettera prova che questo punto delproblema non è stato sistemato e non lo sarà mai pulito.

La nascita dei figliHo avuto un primo figlio a 23 anni, e ne sono stato molto contento, e

sono stato anormalmente attento accanto a lui. " A posteriori " in forseavevo paura che mi uccideva. Infatti, è mio padre che è morto l'annoseguente, poi, a 25 anni, ho avuto una figlia. Questo avvenimento difiliazione e triplice.... è stato spossante, ed è a quel punto che sono partito.L'ho fatto con la certezza, come ho già detto, che non avevo che questapossibilità per " salvare la pelle ", ma è una responsabilità che mi tormentaancora oggi, adesso che questi ragazzi sono degli adulti e mi manifestano illoro attaccamento. Al di fuori di questo problema morale, questa partenza fuin successo, perché, lontano da questo contenitore mascherato che è lafamiglia, ho potuto ritrovarmi.

Non saprei spiegare con precisione il fenomeno. Tutto ciò che sò èche era una domenica mattina di primavera. Mi sono trovato solo in unpiccolo studio. La mia finestra dava su un cortile polveroso limitato deldietro da una fabbrica di " bidet ". Due bambini sporchi giocavano atorturare modo sadico una cavalletta. Un vero Murillo dei tempi industriali!E in quel momento, ho sentito in me una quiete, una serenità che non avevomai conosciuto, come la fine di una lotta. Da quel giorno, le persone hannocominciato a cercare la mia compagnia, come fossi diventato centri in petto;non ne so di più, ma quel momento era l'avvento di un altro, unaconversione, nel senso proprio del termine.

Da allora, mi è difficile essere veramente felice, ma mi è ancora piùdifficile essere veramente triste. Se c'è una forza racchiusa nel bambino disostituzione, secondo me, è quella: se gli elementi valorizzanti sono sempremeno che per l'altro, perché c'è sempre il dubbio che fossero destinate a voi,allo stesso tempo le capacità per digerire i fallimenti sono immense perché inpartenza li si vive come momenti inesorabili ed espiatori. Ora, digerire i

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propri successi è una forza molto grande.A 33 anni, mi risposo. Il matrimonio è stato un rapido fallimento. " A

posteriori " so che è un fallimento che, in qualche modo, cercavo, senza altroper espiare il primo insuccesso. Da tempo, non mi è stato difficile espiare, emi sono sposato nuovamente a 42 anni. E ho avuto, nuovamente, due figli.

La nascita di questi ultimi due, 20 anni più tardi, è stata unaemozione infinitamente grande, più di quella dei primi. Era perchéero ...................... o perché erano secondi.

L'arrivo del secondo figlio è stato difficile. Una sensazione dispossatezza, una difficoltà ad attaccarmi, incubi nei quali gli facevo buchinella testa.

Tutto sì è placato quando ho capito che davo a questo bambinoprogetti di morte orditi contro di me, dato che era, anche lui, il secondo delprimo. Questa paura del figlio, ripetitiva, e senz'altro una costante delbambino di sostituzione.

Il sospetto illegittimoVoi sostenete che il bambino di sostituzione si crede colpevole di

morte involontaria, ed è in questo che questo senso di colpa è particolare: èuna morte " preterintenzionale " come dicono i giuristi. Una morte "preterintenzionale " immagina, di conseguenza, nessuna richiesta di fuggireal castigo imminente, anche isolandosi:

" L'occhio era nella tomba e guardava Caino "Essere bambino di sostituzione, e meno sentirsi in colpa di un

omicidio che sentirsi sospettato di omicidio. La differenza, forse, è tenue, maha la sua importanza, perché è la base della persecuzione. Si è nellasituazione di colui che è stato condannato per omicidio, poi riabilitato. Nonc'è mai una riabilitazione al 100%. Si sente sempre una suspicione nellosguardo degli altri, è diffamato da un processo immaginario avvenuto primadi se, ci si ribella, e questa ribellione è incomprensibile per l'entourage, e dalcosciente. Si cerca di cancellare questa macchia distruggendosi (depressione)o ritirandosi (isolamento).

Ma a chi se ne vuole? Ai propri primogeniti, certamente, a quelli chevi hanno condannato, o al minimo sospetto, anche prima di essere la perdifendersi. E si sogna di essere un altro, libero da questa tara, ed è la cherisiede il legame con la psicosi.

Se devo fare un paragone, questo non è che con i sopravvissuti diuna guerra o di una catastrofe, ma senza altro con il figli di grandi criminali,o di Hitler, se ne aveva, o di Stalin o di Gilles de Rais. Innocenti, certamente,ma con nomi difficili da portare. E anche cognomi. E' una " identità "difficile... ed ineluttabile.

Bisognerebbe studiare queste difficoltà di essere figli, perché èevidente che il primo responsabile non è la madre, ma il padre che dà ilcognome, soprattutto per un ragazzo.

I sei morti viventiSe si considera il criterio di " bambino di sostituzione " fin dalla

ricevimento delle osservazioni cliniche dei malati psichiatrici, è probabile chese ne troverà un numero sostanziale e che questo aspetto chiarirebbe alcuniaspetti della patologia mentale dei malati presi in cura.

J.-G. Veyrat ha collaborato a diverse parti di questo lavoro e ci haaiutato molto utilmente con le sue scoperte e riflessioni. Ci ha comunicato ilriassunto di sei osservazioni di bambini di sostituzione, può rotanti tutti lo

Page 95: Il bambino di sostituzione

stesso nome di un bambino morto (in quattro casi, dello stesso sesso, in due,di sesso opposto) particolarmente illustrativi.

1.Renelle, 31 anni,............, sposata, due figli, consulta per emicranieostinate, e iniziata è alla nascita del primogenito, e per una grande labilitàtimica e caratteriale, con idee ossessive di gelosia. La minima contrarietà, laminima frustrazione, sia professionale che familiare, è percepita come unrifiuto affettivo, e rimette in questione anche la sua esistenza. Ha già tentatodiversi suicidi gravi (ossido di carbonio, 3 Cl etilene, medicine diverse).

Preferisce parlare al presente, annegando nelle quotidiane, come glipsicosomatici, più vicina all'idea dell'operazione che dei meccanismi nevroticianalizzabili.

Sarà solo tre anni più cara lì che comincerà a parlarci della suainfanzia infelice, perché:

- suo padre non l'amava e la picchiava, minacciandola anche unavolta di " metterle le trippe al sole " perché frequentava un ragazzo, a 17anni, finendo per farle sposare un cugino, qualche anno dopo, che nonlasciava parlare;

- sua madre che aveva avuto nove figli, oltre a numerosi aborti, leavrebbe certamente " concesso tutto ", se avesse potuto;

- era il " soffri-dolore " di tutta la famiglia, di solito di sua sorella chele " affondava la testa nei suoi panni bagnati di urina ";

- e, soprattutto, e finì per raccontarci la storia dei nonni nella suafamiglia: sua madre aveva perso una figlia prima di lei, chiamata René; e lasua madrina che aveva voluto distinguerla, ha chiesto alla madre di nonchiamarla René, ma Renelle.

Ma c'è di più. La madre ha perso anche due gemelli prima di lei, ciòche non aveva stupito nessuno in famiglia, perché tutti bambini morivanoprima e dopo di lei, fino a quando qualcuno ebbe la felice idea di dare a unodi essi un nome femminile: e così che Renelle a un fratello che si chiamaFrancia ed è il solo che sia sopravvissuto. Tutta la famiglia trova questonormale e logico.