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HELIOS MAGAZINERivista bimestrale

di scienze, cultura e societàRegistrazione Tribunale di Reggio Cal. Nr. 3/96

Direttore ResponsabilePino Rotta

Direttore EditorialeGianni Ferrara

Comitato di redazione:Mimmo Codispoti, Cristina Marra, Katia Colica, Elisa Cutullè, Giorgio Neri,Salvatore RomeoCorrispondenti:Anita Seija Leijala, Tania Kostiuk, GiancarloCalciolari, Faiyz Barakat Almahasneh

Editore:Centro Studi Sociali Club AusoniaPresidente: Pino RottaVice Presidente: Roberto PirrelloSede legale: via Pio XI nr. 291 89132 Reggio Calabria (I)

Redazione:via Pio XI nr. 291 – 89132 Reggio Calabria (I)Tel. SMS 388 7927621partita IVA 01482330808Tipografia: Rosato (RC) tel. 0965.56046In copertina: Chair car, di Edward Hopper

In questo numero:

Editoriale - La casta invisibile (di Pino Rotta) pag. 2Società - Linguaggio banale e alterate relazioni(di Salvatore Romeo) pag. 3Società - Trasporti di “classe” (di Katia Colica) pag. 4Società - Psicologia del lavoro in tempo di crisi (di Valentina Arcidiaco) pag. 5Società - La bellezza della crisi… oltre la banalità (di Luisa Nucera) pag. 6Esteri - Intervista con l’ambasciatore di Bosnia ed Erzegovina in Ungheria Nikola Djukic(a cura di Tania Kostyuk da Budapest) pag. 7Pensiero – L’ipotesi di Daniel Kahneman (di Giancarlo Calciolari) pag. 8Pensiero - In direzione della sintonia. Habermas oltre l’astratto (di Gianfranco Cordì) pag. 10Pensiero - L’energia del “vuoto” di Bruno Arpaia e il giallo del bosone di Higgs(di Gianni Saul Ferrara) pag. 12Recensione - Lucio Saviani, Voci di confineIl limite e la scrittura (di Elisa Cutullè) pag. 13Recensione - Un Libro ci salverà, di Antonio Calabrò (di Letizia Cuzzola) pag. 14Recensione - “Una forma di vita” di Amélie Nothomb (di Cristina Marra) pag. 15Libertà di pensiero - Canto notturno (di Mimmo Codispoti) pag. 16

Fuori sommario:- Recensione – KAREZZE, Haiku e tankadi Saul Ferrara

- Recensione - Se baci la rivoluzione di Sonia Serravalli (Ibuc.it edizioni)

Sul sito web: http://www.heliosmag.it troverete tutti i numeri precedenti e le ricerche del Centro Studi Socialie-mail: [email protected]

Helios Magazine è edita dall’associazione socio-cultu-rale Club Ausonia (no-profit)Per sostenerci pubblica le tue inserzioni pubblicitarieo versa un contributo volontario sul Conto corrente nr. 193 - Banca Nazionale del Lavoro - intestato al Club AusoniaIBAN: IT81O 0100516300000000000193I contributi in testo e in immagini sono prestati volontariamente e a titolo gratuito.

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fatto non lo sono più dal 1990 (i principali riferimentinormativi sono la legge nr. 142 del 1990 e il decretolegislativo nr. 29 del 1993).Quelle stesse norme cheerano state pensate per separare l'indirizzo politico, dallagestione e dal controllo sulla gestione sono state di fattosvuotate e neutralizzate in fase di attuazione. Basta dareun'occhiata ai meccanismi ed agli organi di controllo digestione. In teoria questi ultimi dovrebbero essere"terzi" e possibilmente estranei all'organo amministrati-vo, di fatto invece, con il sistema delle nomine politicheo dei regolamenti, l'organo politico "nomina" i propricontrollori o, peggio ancora, si autovaluta, con buonapace dei principi di efficienza ed efficacia. I "controllo-ri" nominati e stipendiati dall'Amministrazione si guar-dano bene dal valutarenel merito i risultatid e l l ' o p e r a t odell'Amministrazione,pena la non riconferma.Per cui il controllo èesercitato sul pianopuramente formale, ilche significa che bastaavere "le carte a posto"per definire raggiuntigli obiettivi che la stes-sa Amministrazione sipone. E i nominati hannospesso legami di paren-tela con i vertici buro-cratici o politici. Ciòavviene, ad esempionegli Enti Locali, con i cosiddetti "Nuclei diValutazione" ma a livello delle AmministrazioniCentrali è ancora più sfacciato, queste fissano gli obiet-tivi all'inizio dell'anno, gli obiettivi vengono poi calatiagli organi territoriali che devono attuarli ed alla finedell'anno gli stessi responsabili dei livelli territoriali"valutano" il raggiungimento dei propri obiettivi (maisentito di obiettivi non raggiunti!) e trasmettono i risul-tati alle Amministrazioni centrali che si limitano a"prenderne atto", elargendo ovviamente benefit dimigliaia di euro ai singoli dirigenti. Ovviamente i benefit non sono solo economici maanche, anzi soprattutto, di carriera, incarichi, sedi piùprestigiose, ecc. Si può discostare da questo sistema il dirigente un pò più"diligente"? Certo, solo che nel migliore dei casi cirimette di tasca propria e quasi sempre viene emargina-to dalla "casta invisibile". n

Editoriale

La Casta invisibileDopo Tangentopoli la clientela si è spostata dai Partiti alle famiglie

di Pino Rotta

L'ondata di antipolitica, certo ampiamente giustifi-cata dalla mediocrità della classe politica naziona-le e locale, ha finito con l'oscurare, forse non

senza la complicità di giornali e TV che, soprattutto alivello territoriale, sono pienamente inseriti nel sistemadi caste e privilegi, ingigantirsi, spesso prevalendo, sullastessa politica, il potere dei vertici della burocrazia siastatale che locale. Un processo che inizialmente fu pen-sato per arginare lo strapotere della "politica" all'epocadi Tangentopoli, ma che finì col creare una "deresponsa-bilizzazione dei politici" ed un sistema di complicità trai vertici della burocrazia e i politici che si erano scrolla-ti di dosso il peso della "gestione". Una separazione difunzioni, pensata per ottimizzare la macchina ammini-strativa, che invece, almeno inizialmente, fu funzionalealla gestione clientelare di assunzioni e gestione diappalti pubblici, e con il tempo, proprio il basso livellodi competenza e credibilità del ceto politico, finisce conil far prevalere gli interessi di una piccola minoranza,spesso di tipo familistico, sulla stessa politica innestan-do una potente azione di autoriproduzione e tutela deiprivilegi che via via vengono accumulati e difesi. Oggisi sente parlare di "blocco dell'ascensore sociale" e l'at-tenzione della gente va, a buona ragione, agli ordini pro-fessionali ed ai gruppi dirigenti dei partiti e dei sindaca-ti ma non si è mai posta attenzione alla nomenclaturadella Pubblica Amministrazione. Eppure non sarebbeneanche difficile farlo, volendo... (ottimo lavoro quellodi Paolo Pollicheni nel libro Casta Calabra, Falco edito-re, molto dettagliato e documentato, forse un pò troppoindulgente con la Chiesa cattolica, sommariamente defi-nita come "in ritardo e distratta", dimenticando che pro-prio nel suo seno si è formata la classe dirigente, nonsolopolitica, sorprattutto al Sud e che non c'è indaginegiudiziaria, da Mani Pulite a Why Not, alle CriccheBalducci & C., che non portino a questa evidenza). Iposti più ambiti, in questi lunghi anni di crisi, sonodiventati naturalmente i vertici ma anche i sottovertici(le "liste d'attesa" sono ormai intasate) del contratto"pubblico". Esercito, Forze dell'Ordine, Ministeri, Dirigenza negliEnti Locali, negli Enti e Organi di Governo centrali elocali. Pochi infatti conoscono il meccanismo contrat-tuale della Pubblica Amministrazione, che non è affatto"pubblica". A tutti livelli dalla Presidenza dellaRepubblica alle ASL o ai piccoli Comuni (seppure condifferenti riferimenti giuridici), solo i Dirigenti godonodello status "pubblico" con un trattamento economico eprevidenziale mediamente otto volte superiore rispettoalla media dei "contratti" del resto dei dipendenti che"impropriamente" vengono definiti pubblici, ma che di

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Per un osservatore sufficientemente attento, algiorno d’oggi è possibile notare una evidentedifficoltà che caratterizza la comunicazione

italiana.Difficoltà che si evidenzia in maniera più eclatanteascoltando e guardando le programmazioni televisi-ve, un po’ meno, ma sempre presente, leggendogiornali e riviste, soprattutto quelle meno specializ-zate o di cosiddetto gossip (leggi vecchio e vitupe-rato pettegolezzo), ma in maniera più subdola e conconseguenze meno generali ma molto più pervasiveessa si manifesta a un livello più particolare eristretto, influenzando i rapporti interpersonali.Nell’ambito più generale, è spesso la diffusione dinotizie parziali o a volte addirittura inconsistenti maeccessivamente amplificate al fine di attirare l’ini-ziale interesse dell’ascoltatore, spesso attraversol’impiego di un linguaggio ambiguo e stereotipatoche si supponga agire in maniera pregnante sullaplatea dell’utenza, a creare confusione, distacco edisaffezione.Sì, perché un tale genere di informazione, a lungoandare, produce inevitabilmente una comunicazio-ne astratta, piatta, inflazionata, vuota di effettivicontenuti e lontana dalla vita quotidiana e dalle esi-genze di critica e di conoscenza presenti in ognipersona che “si interessa” a ciò che gli accade intor-no. La superficialità, la scorrettezza, l’eccessiva disin-voltura del linguaggio utilizzato in TV, specialmen-te nelle Reti commerciali, ma anche purtroppo inquelle nazionali, anche se motivato da una depreca-bile tendenza a diffondere “democraticamente” lateoria del parla come mangi, nasconde invece l’in-coerenza, l’incompetenza, l’ignoranza e i limiti diconduttori scelti non tanto per merito e preparazio-ne bensì in funzione di altre “conoscenze” estrema-mente meno “culturali” o delle loro attrattive esteti-che, come abbiamo avuto modo di apprezzareseguendo le vicende politiche di questi ultimitempi.Ma al di là della diffusione solo dell’ignoranza, delpressapochismo e della povertà di idee, con appiat-timento in basso del livello culturale della colletti-vità, questo genere di comunicazione produceanche, a mio parere, un’altra conseguenza.Quando ad una parola viene conferito un significa-to ampio, allargato e spesso lontano da quello chesostanzialmente ha sempre avuto e che tutti abbia-

mo imparato a conoscere, si corre il rischio che alungo andare essa si snaturi, perda il suo senso ori-ginario e corretto e ne assuma altri che entrano nellinguaggio comune, o meglio, corrente, perché di“comune” ha ben poco. Un aspetto particolare può essere, per esempio,quello che riguarda termini importanti e carichi diun valore intrinseco pregnante, il cui impiegoimproprio può causarne la banalizzazione, e render-li così generici e poco significativi, oppure la satu-razione e quindi distruggerli. Cerchiamo di pensare a tutte quelle parole che pos-siedono un notevole potere evocativo o suggestivoe che perciò colpiscono principalmente l’immagi-nario emozionale di una persona: alterarne il sensooriginario e autentico, specialmente se ciò avvieneunilateralmente,comporta proble-mi non indiffe-renti e ostacoliinvisibili, maprofondamentepercepibili, neirapporti interper-sonali. Se questo avvie-ne per molti ter-mini, occorrepoco acume percapire come neltempo, e in untempo estrema-mente acceleratoe contratto comeè quello cheviviamo nell’epoca della globalizzazione mediatica(vedi internet), è la lingua stessa che viene denatu-rata e sconvolta provocando comunicazioni incom-prensibili (specialmente in una società multietnicacome quella attuale), ambigua, vaga e fonte difraintendimenti e di aberrazioni.In una parola, tutto questo piuttosto che agire versouna democratizzazione della comunicazione, piut-tosto che procedere verso una facilitazione dei rap-porti umani, contribuisce ad aumentare una sorta diincomunicabilità che disorienta e rende più soli.Perché le immagini offerte da questo tipo di comu-nicazione portano al nulla o alla falsificazione dellarealtà, se non alla sua stessa rimozione. n

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Linguaggio banale e alterate relazioni

di Salvatore Romeo

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L’uso di un sistema della mobilità sostenibile,rispetto l'Oecd , oltre a mantiene le emissioni e lescorie entro i limiti che il pianeta può assorbire

“permette di far fronte alle necessità fondamentali diaccessibilità e sviluppo dei singoli individui, delle azien-de e delle società in modo compatibile con la salute del-l'uomo e dell'ambiente, e promuove l'equità all'internodella generazione presente e fra diverse generazioni”. Dicontro l’uso iniquo della distribuzione del sistema tra-sportistico sul territorio diventa, sempre di più, uno stru-mento di esclusione sociale. Con l’aumento dei pedaggiautostradali e dei carburanti (la benzina verde ha toccatonuovi prezzi da record) il sistema dei trasporti pubblici sibiforca diventando da un lato un ambito elitario e dall’al-tro un impianto fantasma che non propone alternativevalide a quello privato. Il nuovo spot pubblicitario delleFerrovie Trenitalia, ritirato dalla diffusione media intempi brevissimi, ha esemplificato in maniera coerenteall’andazzo del Paese l’approccio classista del servizioproposto: una prima classe riservata a viaggiatori mana-ger, con attori che rappresentano un mondo troppo distan-te per la maggior parte dei lavoratori di oggi. Gente con-centrata più che sul viaggio e la relativa destinazione suiservizi offerti, eccellenti, s’intende. Degni del sedile inpelle umana del Direttore Megagalattico di fantozzianamemoria. Servizi che vanno via via scemando fino adarrivare all’ultima classe offerta: la quarta definita “stan-dard”, rappresentata da una famiglia di migranti. La clas-se standard è recintata e chiusa in se stessa, e questo nonsolo nello spot. Trenitalia replica sommessamente:“Abbiamo rappresentato la nostra clientela multietnica”. Ma il movimento, ricordiamolo, è scambio, sviluppo,conoscenza. Già la “rivoluzione Keynesiana” applicata almondo dei trasporti recuperava il senso sociale del setto-re, non più visto come un problema di costi d’esercizio edi utilità dell’utente ma come fenomeno rilevante di unsettore economico che contribuisce al reddito e all’occu-pazione. Keynes racconta di un mondo di squilibri inar-restabili responsabilizzando gli Stati e nella TeoriaGenerale fondendo i concetti di Stato Etico di Hegel easpetti sociali del Marxismo. Tra i primi Keynesiani inItalia c’è senz’altro B. De Finetti, che parla della:“Reticenza di molti nell’abbandonare gli schemi di rife-rimento concorrenziali…(...) L’impostazione privatisticarischia di alterare le valutazioni che dovrebbero investiresenz’altro l’aspetto sociale (...) Abbandono dei requisitipropri del semplice capitalismo di pura

concorrenza...con la presa in considerazione di problemiriguardanti la dimensione pubblica e l’equilibrio socia-le”.I cittadini, quindi, sono sempre più relegati dentro il pro-prio ambiente, impossibilitati a creare relazioni comples-se e volti a un sacrificio d’immobilità che crea un vorticeinvirtuoso. Il trasporto pubblico, quindi, se non di “primaclasse” è destinato ai reietti, ai poveri, a coloro che nonpossono permettersi uno spostamento di “livello”. I sog-getti a rischio aumentano in maniera esponenziale com-plice la crisi economica: il reddito medio-basso costringead abitare in aree con rendite fondiarie minori e quindipoco servite dalle reti di trasporto. Si aggiunga l’isola-mento dalle aree di servizi e la conseguente necessità dipossedere un’autovettura privata sempre più difficile damantenere. È un caso che questo sistema sia sempre piùacclarato? È un caso, ancora, che oggi uno spostamentoabbia un costo economico così alto da lasciarci oggetti-vamente e metaforicamente immobili? Il recinto quindi simoltiplica in migliaia di piccoli recinti, all’interno deiquali si sviluppa, diconseguenza, unatteggiamento disil-luso e di timore per ildiverso che vienesoltanto percepito emalconosciuto. Unadimensione, perlo-più, facilmente con-trollabile se conditada iniezioni di xeno-fobia regolarmente dosate dai media. Le varie teorie com-plottistiche forse potrebbero prendere piede o forse no. Idati però restano incontrovertibili stabilendo una relazio-ne chiara tra periferie malfornite dal punto di vista tra-sportistico e disagio sociale. E il costo più alto si espande a macchia d’olio definendouna struttura di emarginazione sempre maggiore e daitratti sempre più inquietanti: il soggetto isolato non è piùil reietto, il disadattato. Ma attraverso le politiche che, volenti o nolenti, diventa-no d’esclusione, ogni cittadino che non è in grado di man-tenere per sé o la sua famiglia una rete di scambi e rela-zioni atta allo sviluppo è di per sé a rischio. Ritrovandosi dentro una scatola a tenuta stagna, in unostato di sicurezza, certo. Come se il rischio passasse dallaconoscenza. n

Trasporti di “classe”

di Katia Colica

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crisi, questo stato di incertezze interiori, di disagiopsico-emotivo, di alienazione.Il ruolo, allora, dello psicologo del lavoro è quello diaiutare il soggetto a rivalutare le proprie conoscenze,competenze, abilità, a riconoscere le proprie risorsealternative, a rimettersi in discussione, a riuscire asviluppare nuove tecniche di risoluzione dei problemiper vivere in una realtà certamente non facile, certa-mente non priva di incognite, ma pur sempre una real-tà dove l’ ”uomo”, la persona, dovrà necessariamenteriuscire a trovare in se stesso e negli altri le motiva-zioni per essere protagonista del suo “exsistere”nelmondo.Non ci rimane che citare un famoso aforisma di A.Einstein proprio sulla crisi : ”Non possiamo preten-dere che le cosecambino, se con-tinuiamo a fare lestesse cose. Lacrisi è la più gran-de benedizioneper le persone e lenazioni, perché lacrisi porta pro-gressi. La creati-vità nasce dal-l’angoscia comeil giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi chesorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chisupera la crisi supera sé stesso senza essere ‘supera-to’. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e diffi-coltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore aiproblemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisidell’incompetenza. L’ inconveniente delle persone e delle nazioni è lapigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senzacrisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routi-ne, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perchésenza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlaredi crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi èesaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tuttecon l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di nonvoler lottare per superarla.” n(*) psicologa

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Psicologia del lavoro in tempo di crisi

di Valentina Arcidiaco (*)

Potrebbe sembrare quantomeno inusuale che laPsicologia del lavoro si occupi anche degliaspetti organizzativo - economici del lavoro ma

solo se non si tiene conto del fatto che tutte le attivitàlavorative sono svolte in massima parte dal capitaleumano, cioè da tutti quei lavoratori che, in vari campie modi, fanno “girare” l’economia come affermavauno spot del Ministero dell’Economia nel marzo del2009.Ma l’economia, la produttività dipendono da moltifattori quali impegno, intelligenza dell’imprenditore,poter contare su un buon team motivato e gratificatoche, attraverso il lavoro persegua il raggiungimento diobiettivi funzionali al successo dell’impresa (di qual-siasi genere essa sia) ma, anche, alla realizzazionedelle proprie aspirazioni personali, economiche,sociali.Alla luce della situazione politica, economica e socia-le del nostro Paese, a causa di una crisi che ormai daparecchio tempo investe non solo l’Italia, non solol’Europa ma il mondo intero, ad esclusione di qualcherara isola felice, tutto quanto detto sopra si scontracon una realtà davvero preoccupante.Il lavoro, cioè quell’aspetto della vita dell’uomo cheè parte integrante della sua esistenza, è diventatocausa di ansia, agitazione,insoddisfazione di senso diprecarietà, di disillusione, di preoccupazione e quan-t’altro.I giovani, il loro futuro, le loro aspettative sono ine-sorabilmente legate a situazioni di emergenza, diinstabilità, senza alcuna prospettiva per l’avvenire.I meno giovani vedono svanire le loro certezze di unlavoro sicuro, di uno stipendio fisso, della speranza dipoter consegnare alle generazioni future una societàequa e solidale.Le prospettive di lavoro attuali sono caratterizzate daprecariato, contratti a termine o a progetto spessodequalificanti, mobilità, possibilità di licenziamentoanche per coloro che, dopo anni di studi, di concorsisuperati, di conquiste sindacali, si trovano a non esse-re più certi di nulla se non del fatto che, dall’oggi aldomani, si potrebbero trovare in cassa integrazione o,addirittura, senza quel lavoro per il quale hanno spesogran parte del loro tempo e delle loro energie.Ed è per questo che sempre più spesso molte personesi rivolgono allo psicologo per essere aiutate adaffrontare e cercare di superare questo periodo di

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Una realtà nella quale la bellezza deve assumere unaforma; deve prendere corpo per concretizzarsi; deveesplicitarsi e distinguersi nella banalità del quotidiano.Una bellezza che finisce per materializzarsi attraverso laframmentarietà soggettiva che offre maggiori possibilitàall’espressione individuale. Ma i prodotti nati dalla creatività individuale lascianodisorientati. Le forme d’arte non vengono interpretate più sulla basedi un canone consolidato e provocano sconcerto cheallontana dalla reale comunicazione. La stragrande maggioranza dell’arte, nella quale rientrasempre il concetto di bellezza, è immersa nel mondo

digitale e virtuale dove il senso del bello viene costrui-to, di volta in volta, sugli effetti dell’informatica. Ma la comunicazione che ne deriva è solo virtuale, affat-to reale e quindi poco coinvolgente. La bellezza, peressere tale, deve rispecchiare una realtà penetrata dallaverità, anche frammentata. Non sono isolati i casi di un vero culto dello smembra-mento, della dispersione e della perversione che mette inluce l’incomunicabilità basata su principi soggettivi evincolata all’autoaffermazione. Ma se la bellezza rappresenta la totalità del frammentoessa può racchiudere un significato più grande e profon-do. L’interiorità dell’artista creatore capace di interpre-tare la crisi, di superarla formalmente e di accettarla conautocritica. Una bellezza che non risolve, non acquieta né conforta. Una bellezza che si vive senza pretesa alcuna di addo-mesticarla. Una bellezza che passa attraverso la crisi e sovrasta, rap-portandosi all’altro, ogni banalità. n

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La bellezza della crisi... oltre la banalità

di Luisa Nucera

Perché parlare di bellezza in tempi di crisi? Che spa-zio occupa in un contesto sociale dominato dal-l’immagine nonostante tutto nessuno può negare

che esiste una bellezza nella musica, nella pittura o in unsemplice testo di letteratura? L’esigenza di valorizzarel’immagine è direttamente proporzionale all’interiorità,al benessere, all’idea speciale del bello che diventa ungradevole, uno stile di vita, un obiettivo importante,affascinante e misterioso. Ammalia l’immagine di una elegante presenza che cat-tura l’interesse e l’attenzione; bello è un dipinto cheevoca imprese memorabili; incantevoli per la vista sonogli ambienti urbanistici dapprima sciatti, rinnovati sullabase di una esigenza di riqualificazione sempre più increscita. Si registra una perdita del senso della bellezza intesacome armonia, simmetria, equilibrio delle forme chesottende velatamente qualcosa di compiuto. Una sensa-zione di sicurezza che illusoriamente viene rincorsaattraverso il tentativo di migliorare ed abbellire la realtà.La bellezza si accompagna all’estetica del XX° secolo esembra vivere una profonda crisi, sbandata, confusa etentennante tra idealismo ed utilitarismo.L’organizzazione sociale ed economica, seppure in crisi,ha continuato imperterrita e frenetica a disgregarsiincorporando tuttavia una discreta esigenza di bellezza. Tutti la considerano di importanza secondaria; un com-plemento un pò posticcio, un accessorio che tutti ricer-cano e che il nostro tempo è lieto di offrirci, spesso acaro prezzo. Si dice che una cosa debba essere vera per essere bella,ma l’ideale di bellezza è stato assorbito e rielaboratodiventando un bene utilizzabile in base ad una crescitadel prodotto infinita che ubbidisce esclusivamente alleleggi spietate del consumismo. Non si può tuttavia intendere la bellezza come il riflessodell’idea assoluta che conduce all’astrattismo allonta-nando ogni capacità di intervenire sulla realtà. Accanto al bene e alla verità, la bellezza deve diventareforza creatrice e propulsiva, in grado di trasfigurare larealtà, di andare oltre essa, attutendo così l’effimero eincanalandosi verso l’eterno. C’è crisi in ogni settore; in campo economico, in quellodell’arte e persino della scienza. La difficoltà risiedeanche nel riconoscere la vera bellezza che così entra incrisi.Una bellezza che è idea dell’utile, del produttivo e delpratico, valori da perseguire, difficili da individuare.

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Esteri

Integrazione Europea:

Intervista con l’ambasciatore di Bosnia edErzegovina in Ungheria Nikola Djukic

a cura di Tania Kostyuk (da Budapest)

Otto paesi sono in attesa di entrare a far parte dellaComunità Europea, cinque dei quali sono dell’exJugoslavia. La Croazia è il secondo paese dell’ex

Jugoslavia dopo la Slovenia che entrerà nell’UE nel2013. Altri, come Macedonia, Montenegro e Serbia,hanno ottenuto lo status di candidati ed hanno avviato letrattative. La Bosnia ed Erzegovina, è un caso particola-re. Ne parliamo con l’ambasciatore della Bosnia edErzegovina in Ungheria Nikola Djukic.Quanto ha influenzato la crisi economica nell’UE ilprocesso d’integrazione della Bosnia ed Erzegovina?Per ora non molto, perché noi abbiamo dei compiti dasvolgere, ma con il tempo, purtroppo, potrà influenzare dipiù. Si prevede una pausa nella procedura dell’allarga-mento della comunità Europea dopo l’adesione dellaCroazia nel 2013. E ancora c’è una lunga lista di paesi inattesa. E l'ingresso della Croazia suggerisce un pro-gresso all'integrazione della Bosnia ed Erzegovina? L'adesione della Croazia sarà una forza trainante per glialtri paesi della regione balcanica. Già se parliamo dellostatus di candidato, il Montenegro lo ha e per quantoriguarda la Serbia si vedrà a febbraio 2012, la Bosnia edErzegovina ha tre condizioni per ottenere lo status di can-didato. Il primo è la nostra Costituzione che non è inaccordo con la Carta Europea dei Diritti umani. Quindidobbiamo modificarla con urgenza. Poi, il censimento,l'ultimo era stato fatto prima della guerra nel 1991, nonabbiamo neanche un accordo tra i partiti politici, la terzacondizione è l'adozione della Legge sugli aiuti di Stato.La procedura dell’integrazione europea unisce ilvostro paese? Siamo assolutamente uniti a fare i com-promessi necessari, adesso che siamo sulla strada euro-pea. Abbiamo dimostrato già in passato che siamo capacidi fare buoni accordi. Faccio alcuni esempi: prima di tuttoc’è la riforma dell'esercito. A mio parere è il più grandesuccesso per la Bosnia. Prima avevamo tre eserciti nazio-nali, ora abbiamo un esercito con tre componenti nazio-nali, un Ministero della Difesa e il controllo civile sulleforze armate. I nostri soldati partecipano alle missionidelle Nazioni Unite nel mondo. Secondo, abbiamo intro-dotto un unico Sistema Fiscale Statale. Abbiamo firmatol’Accordo di Stabilità e Associazione con l'UE nell’apri-le 2008. Questo Accordo è stato ratificato dai parlamentinazionali degli Stati membri dell'UE, ma non è ancora invigore perché passati 14 mesi dopo le elezioni non abbia-mo il Consiglio dei Ministri della Bosnia ed Erzegovina,si spesa di avere entro il 2011. E il terzo, nel dicembre2010 abbiamo sospeso i visti per entrare negli StatiSchengen. È stato molto difficile sia politicamente cheeconomicamente perché noi avevamo una lista di 174

condizioni da rispettare. Dopo la sospensione dei vistimolte persone se ne sono andate dal paese?È stata una bella sorpresa l'introduzione del regime divisto libero per entrambi i lati, sia per la Bosnia edErzegovina sia per la Comunità Europea. Abbiamo avutosolo alcune centinaia di persone che sono andate nei paesiSchengen nei primi 3 mesi dopo abolizione del visto.Abbiamo fatto una propaganda molto forte sei mediaspiegando cosa significa libero regime e le persone sonoritornate in Bosnia.Sulla strada dell’integrazione europea, il problemadella Bosnia è più economico o più etnico? È ancora un problema etnico. La nostra legge sulla prote-zione delle minoranze nazionali del 2005 è consideratadal Consiglio d'Europa a Strasburgo come una dellemigliori perchénoi ne riconoscia-mo 17. Una solaeccezione – ilmembro delleminoranze etni-che non può esse-re candidato alleelezioni presiden-ziali, così nonpuò essere il capodello Stato. È l’u-nico problema darisolvere.Quali sono le suepersonali aspettative sull’integrazione della Bosnia edErzegovina?La Bosnia è un caso molto diverso e specifico. La comu-nità internazionale ci capisce abbastanza perché durantela guerra centomila persone sono morte, un milione sonoi rifugiati e un altro milione è disperso. La tragedia hatoccato quasi tutte le famiglie in Bosnia ed Erzegovina. Non ci sono generazioni che non hanno vissuto almenouna guerra. È una tragedia molto grande per noi. Mal'88% dei nostri cittadini vorrebbero entrare nell'UE etutti si sentono come europei. Prima di tutto, dobbiamoraggiungere l'accordo all'interno del nostro paese, poicostituire il nuovo Consiglio dei Ministri e completaretutte le richieste dell'UE. Solo dopo questo saremo ingrado di ottenere lo status di candidato e riavviare le trat-tative. Senza sorprese spiacevoli già dal 2012 il processodovrebbe accelerarsi. L'Europa sta facendo del suomeglio per velocizzare l’integrazione della Bosnia edErzegovina, ma noi dobbiamo fare anche la nostra partedi lavoro. n

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Nikola Djukic

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Pensiero

Daniel Kahneman studia da mezzo secolo i meccanismicognitivi decisionali della mente umana, ma non pre-tende di sapere spiegare alla gente come fare delle

scelte migliori. Intanto pretende che esistano i “meccanismidecisionali” della mente umana, come si fosse anche la menteinumana. Forse la mente animale. E intanto passa anche la“mente”. L’apparato psichico di Freud non è lontano, ma quisiamo nel campo del discorso scientifico, della ripetibilità del-l’esperienza. Poi “capacità di prendere decisioni”, mentre è ladecisione che ci prende, che era già lì, bisognava solo tenerneconto. “I meccanismi dell’intuito”. Tutto è meccanismo? Ilconsiglio è di rallentare, analizzare di più invece che agired’impulso. L’agire d’impulso come passaggio all’atto del fan-tasma? Nel 2002 Kahneman ha vinto il premio Nobel per l’e-conomia. La sua attenzione e la sua ricerca psicologica si èrivolta all’economia, dimostrando con i suoi esperimentiscientifici che non esiste l’homo oeconomicus. Quale sareb-be? L’uomo dai comportamenti perfettamente razionali, che èalla base della teoria economica classica. Il suo intervistatore,Massimo Gaggi, del Corriere della Sera, gli accredita d’averaperto la strada alla nuova economia comportamentale. Cheeconomia è quella comportamentale? Qual è lo statuto delcomportamento? Perché il comportamentismo, che risultavaliquidato dal cognitivismo, è ancora vivo e vegeto? C’è anco-ra in gioco la metafora del topo di laboratorio? Tolta la paro-la, l’umano si qualifica dal suo comportamento, ovviamentecorretto o scorretto, buono o cattivo… “Il decisionismo pro-voca guai, bisogna tornare a riflettere”. Sotteso è l’alberodella conoscenza del bene e del male posto dinanzi a sé.Decisionismo negativo contro riflessionismo positivo.Ovviamente valgono – nella vita parallela - anche tutte le altrealgebre della decisione e della riflessione. Dopo anni di rifles-sione paralizzante assembleare ripartiranno gli anni decisioni-sti di Cardoso e di Schmitt. Eccetera. Questo è un Nobel? Sì.Una scuola di pensiero divenuta mainstream con la crisifinanziaria del 2008, esplosa, secondo il lettore di Kahneman,per le mosse irrazionali di una miriade di soggetti economici:banche, finanziarie di Wall Street e anche singoli individuiche si sono caricati sulle spalle mutui immobiliari insosteni-bili. Qui tutto ciò che non si capisce diviene irrazionale, comese quello che si capisce e che significa nel termine razionalefosse tale. La distinzione convenzionale tra razionalismo eirrazionalismo evita la ratio intellettuale, il cui balbettio sorgea Vienna con Freud e non a Atene. La finanza fantasticarichiede un’altre lettura. Ormai chiamarla speculazione finan-ziaria ne impedisce quasi il discernimento. Gli elementi que-sta conversazione seguono alla pubblicazione dell’ultimolibro di Daniel Kahneman, Thinking, fast and slow. Successogarantito anche per Cooking, fast and slow. Oppure,Philosophy, fast and slow. Discrete vendite anche per

Psychanalysys, fast and slow… in cui la questione c’è, ecco-me: a partire dalla terapia attiva di Ferenczi, attraversando lefast terapies, ossia le psicoterapie. Molti recensori, e di boccain bocca l’effetto si amplifica, hanno giudicato il libro comel’opera straordinaria del più grande psicologo vivente. Le oli-garchie con i suoi oligomani sbandierano una nuova conce-zione della razionalità, meno idealizzata, senza illusioni, mapiù aderente alle nostre capacità, al punto da conoscere i pro-pri limiti per evitare di diventare vittima di chi sfrutta lenostre vulnerabilità. Invece questa micro teoria, un pidocchiorispetto allo scarafaggio di Kafka e ancora più micro rispettoall’animaleria fantastica analizzatada Freud, è dotata della mano pren-sile per prendere le vittime al lac-cio del loro idiotismo così coltiva-to. Questa teoria è scritta con l’illu-sione di essere aderente alle nostrecapacità, con l’illusione di cono-scere i propri limiti, con l’illusionedi evitare di essere vittima. La pro-pagandistica parallela è stata scrit-ta nello stesso modo, sino a giun-gere sui cancelli della fabbrica pergli schiavi assoluti. Il New York Times ha inserito il saggiodi Kahneman nell’elenco dei dieci libri più importanti del2011. Non per ciascuno ma per l’oligarchia, che secondo iparametri dello psicologo Kahneman è proprio costituita dachi vuole sfruttare le nostre vulnerabilità. Vulnerabilissima èla teoria di Kahneman: i decisionisti staranno promuovendogià i nuovi antikahneman del futuro. E così circolarmente,sono in gestazione i neokahneman. “Uno dei dieci libri piùimportanti del 2011”. È questa frase che ha ritenuto il nostrointeresse per i libri. Altrimenti pensiero lento e pensiero rapi-do, pensiero debole e pensiero forte, sistema 1 e sistema 2,non ci avrebbero stimolato alla lettura, sebbene proseguiamoa leggere talvolta anche queste pseudo teorie.All’intervistatore che lo questiona sull’importanza del suolibro, l’autore gli risponde che è solo un tentativo di dimo-strare di avere ancora qualcosa da dire a settantasette anni. Inparticolare gli dice: “Sa, è il libro di un vecchio. E, man manoche si invecchia, si impara a vedere la foresta, ma solo per-ché si perde la capacità di vedere i singoli alberi”. Siamo nel-l’antropologia fantastica della foresta e del deserto, con la suanecessaria botanica altrettanto fantastica. Siamo nella puravisibilità, nella faneroscopia che in filosofia si chiama feno-menologia. Forse noi leggiamo i singoli alberi? Ciascun ele-mento linguistico che emerge dalla conversazione tra DanielKahneman e Massino Gaggi? Intendiamo qualcosa della stra-tegia delle oligarchie che spronano e premiano questi ricer-catori piuttosto che altri anomali? Kahneman avrebbe distin-

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La mente umana e i meccanismi decisionali

L’ipotesi di Daniel Kahneman

di Giancarlo Calciolari

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Perchè? Caccia a tutti i costi - Acquistare i 131 caccia bombardieri F35Su questo tema il caso emblematico è quello dei cacciabombardieri d’attacco Joint Strike Fighter F-35, il programma militare piùcostoso della storia guidato dagli Stati Uniti in compartecipazione con altri 8 Paesi tra cui l’Italia (che è partner di “secondo livel-lo” come la Gran Bretagna). Da tempo e da più parti si chiede che questa spesa (i conti parlano per l’Italia di almeno 15 miliar-di di euro in 11 anni) sia cancellata, o almeno ridotta, anche perché le stime di costo per ciascuno dei 131 velivoli che il nostroPaese si è impegnato ad acquistare hanno sfondato tutte le previsioni iniziali. “Impossibile -è la rispo-sta più utilizzata-: il prezzo delle penali sarebbe maggiore della fattura di acquisto”. La documenta-zione ufficiale dell’operazione si trova sul sito www.jsf.mil. Da questa si evince qualcosa di bendiverso: l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelligià stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione. Lo prevede il“Memorandum of Understanding” del Joint Strike Fighter (in pratica, l’accordo fra i Paesi compar-tecipanti) sottoscritto anche dall’Italia con la firma apposta il 7 febbraio del 2007 dall’allora sottose-gretario Giovanni Lorenzo Forcieri (governo Prodi). La sezione XIX del documento (l’ultimo aggiornamento ufficiale di fine2009) stabilisce che qualsiasi Stato partecipante possa “ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificarsiagli altri compartecipanti” (par 19.4). In tale evenienza il Comitato Esecutivo del Jsf deciderà i passi successivi e il Paese che hadeciso di lasciare il consorzio continuerà a fornire il proprio contributo, finanziario o di natura operativa, fino alla data effettivadi ritiro. Il Memorandum mette comunque al riparo tale mossa da costi ulteriori. In caso di ritiro precedente alla sottoscrizione diqualsiasi contratto di acquisto finale degli aerei nemmeno i costi di chiusura della linea produttiva, altrimenti condivisi, potreb-bero essere imputati (par. 19.4.2) e “in nessun caso il contributo finanziario totale di un Paese che si ritira -compresi eventualicosti imprevisti dovuti alla terminazione dei contratti – potrà superare il tetto massimo previsto nella sezione V del Memorandumof Understanding” (par. 19.4.3). E cosa stabilisce questa sezione? Che i costi non-ricorrenti e condivisi di produzione, sostenta-mento e sviluppo del progetto siano distribuiti, secondo tabelle aggiornate a fine 2009, in base al grado di partecipazione al pro-gramma di ciascun Stato. Per l’Italia ciò significa, nell’attuale fase (denominata “PSFD”: Production, Sustainment, Follow-onDevelopment), una cifra massima totale, calcolata a valori costanti del dollaro, di 904 milioni. (continua sul sito webhttp://www.altreconomia.it). n

Pensiero

to due modi di pensare e di prendere decisioni: il sistema 1 eil sistema 2, il primo intuitivi e rapido e il secondo riflessivoe lento. E perché così poca matematica? Perché non tre, quat-tro, cinque… modi di pensare e di decidere. Perché non giun-gere alla logica singolare dell’inconscio per la quale ciascu-no pensa edecide? Che cosa dice Kahneman del primo siste-ma. Non lo butta e tenta una trasversalità tra i due sistemi.Siamo comunque in un’algebra superiore a quella diAristotele in cui il due è negato e al suo posto s’installa ilsistema. Kahneman ne ha due di sistemi, che sono “finzioniben fondate”, ma che non corrispondono a nulla nel cervello.Dice in un’altra intervista, fatta da Matteo Motterlini, su IlSole 24 Ore: che i due sistemi “non esistono né nel cervelloné da nessun’altra parte”. Parla della overconfidence, l’ec-cesso di fiducia, che è “una nostra caratteristica innata”.Psicologismo, comportamentismo, innatismo, cognitivi-smo… quanti paralogismi rispetto alla vera vita, che ovvia-mente non risulta tra le pagine dei dieci libri più importantidell’anno americano in corso. Quanti retaggi e quanti piccolialberi da leggere. L’eccesso di fiducia, dice Kahneman, ci fasbagliare, ma ci fa anche evitare la paralisi. La mente umanafatica a distinguere tra rischi limitati e rischi di eventi estre-mamente rari. Mentre la mente inumana, la mens intellettua-le sì. Intellettualità che viene da Freud e che è elusa dall’in-segnamento e dal business inintellettuale. La “peste” nonsolo non è arrivata negli States ma nemmeno in Israele, cheoggi è una rocca delle scienze cognitive e comportamentali.Nobel oblige. “Se dovessimo pensare al rischio di essereuccisi da un’auto ogni volta che attraversiamo la strada,resteremmo tappati in casa per tutta la vita”. Invece è quelloche accade. Chi crede alle scienze cognitive, alle disciplinesperimentali che non portano nessun risultato se non banale,vive tappato in casa. La psiche tappata da simili teorie, il

corpo tappato esecutivamente da farmaci applicativi desuntida cotanti teorie. Inoltre la fantasia di Kahneman è una riedi-zione dell’invito di Platone a immaginarsi gli umani vittime,che appunto se ci credono sopravvivono nella caverna.Kahneman si è interessato e si interessa alla leadership, aileader. Sono i suoi consigli inessenziali alla formazione deileader che fanno il suo successo tra i media dei leader. Al suodebutto lavorativo, Kahneman è psicologo istruttore nell’e-sercito israeliano e si occupa con un test di cercare d’intuirele capacità di leadership dei cadetti. Con sorpresa troverà chenon saranno leader i più responsabili, assertivi, equilibrati.“Fu un grosso shock. Ma ci fu una cosa che mi colpì ancoradi più – dice Kahneman – a proposito di razionalità: pur con-sapevole dell’inefficacia di quel metodo, l’esercito decise diandare avanti, come se niente fosse, con quel tipo di test. Fuallora che decisi di dedicarmi allo studio della razionalità deicomportamenti umani”. Poi, nei primi anni Settanta,Kahneman s’imbatte in un pilastro dell’economia classica: lateoria della razionalità dell’uomo economico. Cita a memo-ria il testo che gli capitò sotto gli occhi: “L’agente della teo-ria economica è razionale”. Che cosa gli sarebbe successo sesi fosse imbattuto nel testo di Freud? L’inconsistenza teoricaper guadagnarsi il premio Nobel è pari a quella di un altroanomalo che ha preso un Nobel sempre in economia, parten-do però dalla matematica. John Nash. La sua analisi dei gio-chi cooperativi e non cooperativi, la sua stessa nozione diequilibrio, non portano nessun elemento di direzione nellestrategie dei conflitti internazionali, che apparentemente glihanno valso il premio. Lo statuto intellettuale della decisionerichiede ben altra lettura che i balbettii delle “scienzeumane”. È ancora da leggere la scienza inumana, la psicana-lisi, che rimane inaccettabile dai totalitarismi, che non sonosolo dittatoriali ma anche pseudo democratici. n

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Pensiero

Dalla stasi all’operazione. Dai fini ai mezzi. Dallecause alle conseguenze. In una parola questo libro diJürgen Habermas (Düsseldorf, 18 giugno 1929) - Il

pensiero post-metafisico, a cura di Marina Calloni, Laterza,Roma-Bari, 2006 - compone e costituisce un preciso puntodi passaggio tra due sistemi di riflessione caratterizzati dacomponenti diverse. «La razionalità (Rationalität) si riducead esser formale, non appena la ragionevolezza(Vernunfkigkei) dei contenuti si volatilizza nella validità deirisultati». Il transito è, così, subito delineato: dal mondodominato da uno spirito «universale…immutabile… neces-sario» ad un cosmo gestito da regole transitorie che si dis-pongono in base alla efficienza dei risultati richiesti ed otte-nuti. Dall’universo della ragione metafisicamente fondante(del periodo che va dalle origini della filosofia Occidentalealla «prima generazione degli allievi di Hegel») al pluri-verso scomposto del «pensiero post-metafisico» che vedeun trionfo ed un affermarsi della «procedura», della «vali-dità», del «quotidiano», del «contingente» e della «finitez-za». In quest’opera (che risale al 1988 ed il cui titolo origi-nale è Nachmetaphysiches Denken. PhilosophischeAufsätze, Suhrkamp Verlag presso Frankfurt am Main),l’autore giunge a tale affermazione attraverso un movimen-to che viene realizzato in quattro tempi storici. All’inizio ditutto c’è la Metafisica. «Pur tenendo conto dei contrasti traPlatone ed Aristotele, nel suo complesso il pensiero metafi-sico, seguendo Parmenide, prende le mosse dalla questionedell’essere dell’essente – ed è per questo ontologico». Edancora: «trascurando la linea aristotelica, con una rozzaapprossimazione, chiamo “metafisico” quel pensiero, risa-lente a Platone, che è una forma di idealismo filosofico eche, attraverso Plotino e il neoplatonismo, Agostino eTommaso d’Aquino, Nicolò Cusano e Pico dellaMirandola, Cartesio, Spinoza e Leibniz, giunge fino a Kant,Fichte, Schelling e Hegel». Il primo tempo storico , dun-que, è esemplato da quel tipo di speculazione per cui«l’Uno è Tutto», per cui «un Primo che, come Infinito, sipone di fronte al mondo del Finito, oppure sta alla suabase» e per cui esiste una «priorità metafisica dell’unitàsulla pluralità». Ci troviamo, insomma, in un contesto nelquale «l’unità della ragione vale ancora sempre comerepressione, non come fonte della molteplicità delle voci».Il primo tassello di questo quadruplice passaggio/paesaggioè, allora, quello di un intelletto uniformante, totalizzante eomogeneizzante. Una forma di logicità che spiega esatta-mente tutte i propri elementi ed il telos della stessa struttu-ra che le soggiace e che essa sta indagando. Nonché ogniaspetto della materia e dello spirito. Col secondo tempo sto-rico ci troviamo invece di fronte a una situazione in cui «ilpensiero totalizzante, orientato verso l’Uno e l’Intero, vieneposto in questione dal nuovo tipo di razionalità procedura-

le, che si impone attraverso il metodo scientifico-sperimen-tale, proprio delle scienze naturali, a partire dal XVII seco-lo, e attraverso il formalismo tanto nella teoria morale egiuridica, quanto nelle istituzioni dello Stato costituzionalea partire dal XVIII secolo». Nasce adesso un nuovo tipo digiudizio: esso predilige l’uso rispetto alla potenza, il fram-mento invece che il globale, la strumentalità piuttosto cheil movente. Dice Habermas che questa «protesta», in real-tà, si è diretta «contro la predominanza dell’Uno in nomedella pluralità repressa» e che essa è venuta al mondo «nelsegno di una critica all’idealismo di stampo hegeliano».Ciò si è verificato perché «a metà del XIX secolo… il pen-siero sistematico, orientato verso il mondo nel suo com-plesso, si vide per la prima volta sfidato, anzi precipitato inuna crisi di identità, ad opera della razionalità proceduraledi una scienza sperimentale che si era venuta a qualificareattraverso propri metodi di ricerca». Strettamente correlatia questo, sono il terzo e il quarto tempo. Essi sono: la pro-posta, da parte di Habermas, dellateoria dell’agire comunicativo qualenuova strada della filosofia di fron-te alla impasse descritta e la consta-tazione dell’esistenza di una «scin-tilla di un rinnovamento della meta-fisica» che viene elevando dalleceneri del passato. L’agire comuni-cativo è quello indirizzato all’inte-sa. Proprio ai fini di detto accordo ounione armonica, questa proposta dipensiero, tende a far germogliare ilconsenso. Si tratta, in definitiva,dell’apertura di uno spazio in cui «non vale più come razio-nalmente valido l’ordine delle cose che si incontra nelmondo o che è stato progettato dal soggetto, o che si è svi-luppato dal processo di formazione dello spirito, bensì valequella forma di risoluzione dei problemi che ha una certariuscita, mediante una giusta procedura nei confronti dellarealtà». Marina Calloni, nell’ «Introduzione all’edizioneitaliana» del volume in questione, afferma che Habermassta proponendo «un concetto scettico e fallibilistico diragione, di una ragione cioè che è incarnata nella comuni-cazione linguistica rivolta all’intesa». Nell’agire comunica-tivo, quindi, le azioni dei diversi attori vengono coordinatetra loro attraverso, appunto, l’unione. «L’intesa linguisticafunziona in modo che coloro che partecipano all’interazio-ne si accordino sulla pretesa validità delle loro azioni lin-guistiche, oppure tengano dovutamente conto dei dissensiconstatati». La razionalità del discorso, ora, si presenta intutta quella serie di condizioni necessarie ai fini di unaccordo da conseguire. Il linguaggio vale, quindi, comefonte di integrazione sociale. «Anche la ragione comunica-

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In direzione della sintonia. Habermas oltre l’astratto

di Gianfranco Cordì

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POTERE, Governare con la paura – di Pino Rotta (Città del Sole Edizioni, 2012, pagg. 262, euro 14,00)

La lettura di questi ultimi dieci anni fatta con prospettiva sociopolitica e storico-economica assume, come è del tutto evi-dente, una chiave molto diversa rispetto ai fatti “inchiodati” al quotidiano. C’è una logica nella storia che nel quotidianosembra sfuggire. La prospettiva ci restituisce la ragione ed il senso che alcuni fatti, soprattutto se drammatici, come la fati-ca di vivere da poveri o da precari o peggio nel massacro di guerre infinite, fissati nel presente immediato non riescono amanifestarsi. Con questa chiave di lettura, una chiave spezzata perché non pretende di conoscere verità definitive, si spaz-za via anche quella bolgia di teorie complottiste che vedono dietro ogni grande evento intelligenzeciniche e determinate a raggiungere lo scopo preciso che avevano “prefissato”. Tutto è di più di sem-plice lettura, senza per questo disconoscere la complessità dei fenomeni e delle soluzioni ai proble-mi. Dal 1980 in poi si è avviata una fase nuova nel capitalismo mondiale. L’evoluzione del capitali-smo è stata nella storia passata e rimane ancora oggi legata ad una cieca e feroce corsa all’accumulo,sia quando questo è rappresentato da titoli di borsa sia che si tratti di territori ritenuti irrinunciabiliperchè dotati di materie prime o posizione strategica per il controllo dei flussi commerciali. Tuttoquesto non esclude affatto azioni e contromosse giocate da menti pervertite come Bin Laden o GeorgeW Bush e dalla pletora di loro servi sciocchi come i terroristi di Al Qaeda o nani della politica comeBerlusconi e Asnar. Squallide comparse di una storia che evolverebbe nel senso dell’espansione capi-talista con o senza di loro, dei quali si ricorderà, dei primi la ferocia degli atti di follia omicida e sui-cida, dei secondi, forse, svanito il ricordo del grottesco e della tragedia, non rimarrà neppure traccia.Contestualizzare i fatti e approfondire le dinamiche sociopolitiche può dare uno strumento utile perriflettere e capire passato e presente e farsi, forse, un’idea di come può evolvere il nostro futuro. Può in definitiva dotarcidi qualche strumento in più di conoscenza affinchè le azioni collettive e individuali siano il frutto di riflessione critica enon meramente reazioni emotive alle suggestioni mediatiche cui siamo costantemente e quotidianamente sottoposti. Questoè l’intendimento di questo lavoro, con la speranza che esso sia stato utile e, magari, anche uno stimolo per il lettore chevolesse affrontare con se stesso e con gli altri un’azione critica e attiva sui temi trattati. n

Pensiero

tiva pone quasi tutto in modo contingente, persino le con-dizioni d’origine del suo stesso medium linguistico. Ma pertutto ciò che all’interno di forme di vita, linguisticamentestrutturate, avanza pretese di validità, le strutture della pos-sibile intesa linguistica costituiscono un fatto ineludibile(ein Nicht-Hinfergehbares)». La proposta teorica diHabermas contempla, dunque, all’interno di una mutatasituazione filosofica (quella dell’avvento di una ragionepratica e funzionale nello stesso momento), la scelta di unacredenza nella quale «viene a formarsi… una differenzaprospettica fra esterno ed interno, che sostituisce la diffe-renza fra essenza ed apparenza». Ci troviamo, in sostanza,in un mondo che ha mutato i propri connotati. La teoria nonpossiede più alcun primato sulla prassi. La coscienza halasciato il proprio posto centrale, come oggetto d’indagine,all’unione armonica (si è passati cioè dalla filosofia dellacoscienza a quella del linguaggio). La relazione tra Uno emolteplice (concepiti entrambi astrattamente come rappor-to tra identità e differenza) non è più concepita come unarelazione insieme logica e ontologica. Lo stesso Uno non èpiù fondamento e origine del Tutto. In mezzo a questo sce-nario si erge, adesso, una ragione che privilegia l’attivitàalla natura delle cose. Dalla stasi all’operazione, si diceva.E questa nuova speculazione, ricercherà, da adesso in avan-ti, orizzonti di senso sempre più rivolti alla strumentalità; alfare piuttosto che all’essere. L’insieme delle elaborazionidestinate alla risoluzione di un problema complesso avrà,da ora, la meglio sulla sostanza di quello stesso problema.E alla fine verrà sempre perseguita la comprensione piutto-sto che la motivazione. Nella chiara consapevolezza, nonsolo dell’avvicendarsi dei quattro tempi descritti, ma anchedel significato dell’avventura di un pensiero che ha vistonell’argomentazione lo svolgersi di procedure che possono,esse sole, convalidare la stessa conoscenza umana. O alme-

no, quella che resta! In definitiva Habermas distingue tretipi di mondo: 1) il mondo oggettivo degli eventi; 2) ilmondo sociale delle norme; 3) il mondo soggettivo dei dia-loganti. A ciascuno di questi tre tipi di mondo corrispondeuna specifica modalità di azione. Abbiamo così: l’agireteleologico, l’agire regolato da norme e l’agire drammatur-gico. Esiste però anche un arto tipo di agire, l’agire comu-nicativo, su cui Habermas costruisce il complesso della suaopera. Si tratta di un agire in cui entra in gioco la dimen-sione linguistica (rientrante tra le caratteristiche che distin-guono l’uomo dalle bestie). Esso infatti si riferisce all’inte-razione di almeno due soggetti capaci di linguaggio e diazione che (con mezzi verbali o extraverbali) stabilisconouna relazione interpersonale. In questo senso la stessacomunicazione assume un carattere duplice. Se la comuni-cazione è indirizzata alla produzione di convinzioni finaliz-zate al consenso nei confronti del potere costituito, l’inte-riorizzazione di forme ideologiche codificate provoca nelsoggetto forme comunicative sistematicamente distorte. Ècomunque all’interno del rapporto comunicativo che devo-no essere colti i presupposti generali impliciti di razionali-tà e verità che, se esplicitati, consentono di distinguere lacomunicazione distorta da quella autentica. Da qui la pos-sibilità di un agire comunicativo orientato alla comprensio-ne, che si contrappone all’agire orientato al successo e fina-lizzato al perseguimento di interessi. In questo senso abbia-mo finalmente una duplice caratterizzazione: la centralitàdella coscienza (a causa della comprensione) da una parte ela centralità dell’utile (e quindi della razionalità capitalisti-ca) dall’altra. Habermas propone un ritorno non solo al dia-logo ed alo reciproco scambio di informazioni ma anche esoprattutto alla consapevolezza, allo spirito critico e al dove-re morale.

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Ci sono libri che ti fanno compagnia riempiendo glispazi vuoti che si creano nella routinaria vita ditutti i giorni, altri che aggiungono un prezioso tas-

sello nel complesso e sempre incompleto mosaico dellarealtà, ed infine ci sono quelli come “L’energia delvuoto” di Bruno Arpaia che riescono a riempire tutti imisteriosi interstizi del suddetto mosaico della realtàcon una dirompente ondata di stimolanti interrogativi.John Banville scrisse: “ A un certo livello, essenziale,l’arte e la scienza sono talmente vicine che è difficiledistinguerle.”, e questo romanzo di Arpaia sembra esse-re stato scritto proprio con l’intenzione di ribadire que-sta profonda ed arguta affermazione. In fondo, sia un’o-pera d’arte che una scoperta scientifica, ed a questeaggiungerei anche l’elaborazione di un pensiero filoso-fico, nascono da scintille intuitive scaturite dall’incontrotra ragione e fantasia. A volte sembra davvero che tutti irami dello scibile umano trovino la loro linfa vitale dallastessa ed unica fonte sotterranea. Nel nr. 4/2010 diHelios Magazine, ad esempio, ho pubblicato un artico-lo sulla legge dell’ottava di Pitagora e sulla suggestivateoria di Gurdjieff il quale sosteneva che lamateria costituente la realtà è di naturavibratoria. Poi, incuriosito da alcune tesiesposte nel libro “L’energia del vuoto”, misono documentato e per me è stata un’affa-scinante scoperta apprendere che attualmen-te ci sono centinaia di fisici impegnati adimostrare la teoria delle “supestringhe”,teoria per alcuni aspetti profondamentesimile a quella gurdjieffiana. Alla fine mi èvenuto naturale chiedermi se la scienzamoderna non stia, nella spasmodica ricercadi una verità unificante, percorrendo invo-lontariamente quei sentieri già noti ai mae-stri della Tradizione. Nella trama de “L’energia delvuoto” si intrecciano due gialli, uno “narrativo” chevede tra i protagonisti un gruppo di integralisti islamiciche organizzano un attentato alla torre Eiffeil e contem-poraneamente, sempre per motivi religiosi, cercano difalsare un esperimento eseguito con il Large HadronCollider, il più potente acceleratore di particelle; l’altrogiallo, di natura scientifica e secondo me anche filosofi-ca, è rappresentato dal tentativo di spiegare l’esistenzadel vuoto. La scienza moderna ha solo un’idea parzialedi che cosa sia la “materia”, e se a questa base di “igno-to” aggiungiamo un’altro dato, ovvero, che la materiarappresenta solo un misero quattro per cento di quelloche noi conosciamo come realtà, è evidente lo smarri-mento che dovremmo provare al solo pensiero di parla-re di “realtà”. Per non dire che i fisici parlano con disin-voltura di “materia oscura”, chiamata così perché si ipo-tizza che non emetta né rifletta la luce. La materia oscu-ra rappresenta il venticinque per cento della realtà, e sarà

forse per il suo nome o per la sua misteriosa natura masembra spontaneo associarla al nigredo o all’opera innero dell’alchimia. Il vero protagonista però non è lamateria, ma quello che forse erroneamente è semprestato riconosciuto come il suo opposto: il vuoto.Sembrerà assurdo ma la materia, di cui anche noi siamofatti, è costituita più dagli spazi vuoti che da quelli pieni,ma se il vuoto fosse il “nulla” il nostro corpo peserebbeun decimo di quello che pesa. Il vuoto quindi ha un suopeso e facendo due veloci conti anche consistente, ma lacosa che più sbalordisce è che il “nulla” sembra esserecapace di generare particelle. Forse un giorno verràdimostrato che l’ “è” nasce dal “non-è” a dispetto di tuttii complessi sistemi interpretati elaborati da alcuni filo-sofi. Questi elementi, assieme agli elettroni, neutrini etante altre particelle, sono gli affascinanti personaggi delsecondo giallo contenuto nel romanzo di Arpaia, gialloche, a differenza di quello “narrativo”, alla fine ovvia-mente non viene risolto, perché il finale di questa splen-dida storia, se mai verrà scritta, non sarà un romanzierea scriverla bensì un fisico. Nel romanzo però è contenu-

to un’altro tema importante, l’ottuso e arro-gante odio che il fanatismo religioso conti-nua a dimostrare nei confronti del progressoscientifico, nonostante l’elevato livello cul-turale e civile che noi diciamo di aver rag-giunto. Ricordo che quando i fisici del LargeHadron Collider annunciarono di volerriprodurre il famoso Big Bang, un esercito distupidi catastrofisti hanno organizzato mani-festazioni per impedire l’esperimento, per-ché a loro dire si sarebbe generato un “buconero” e questo avrebbe inghiottito il mondo,ma come sempre i catastrofisti con la loro“miopia” avevano visto male. A mio avviso

la vera catastrofe della “modernità” è rappresentata datutte quelle persone che si sentono in diritto di arrestareil progresso scientifico utilizzando le stesse armi spunta-te e da tempo arrugginite usate nel medioevo. Il 14dicembre del 2011 l’esistenza del bosone di Higgs, piùnoto come la particella di Dio, ha avuto una prima timi-da conferma uscendo così dal campo dell’astratta teoria.Il bosone di Higgs, generato dal “campo di Higgs”, èuna particella dotata di una particolarissima capacità,ovvero, di creare la materia donandole la massa. Ladimostrazione dell’esistenza del bosone di Higgs rap-presenta l’ultimo importantissimo tassello che mancaalla fisica moderna per comprendere l’Universo. Quelliche ingenuamente cercano da questo esperimento laconferma dell’esistenza o dell’inesistenza di Dio sonodestinati a rimanere delusi, perché la scienza non sioccupa di teologia e al massimo può provare che a crea-re l’universo non è stata una particella di Dio ma piùsemplicemente una particella. n

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PensieroHELIOS magazine 2011 n. 6

“L’energia del vuoto” di Bruno Arpaia e il giallo del bosone di Higgs

di Gianni Saul Ferrara

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Recensione

La scrittura in generale, non solo la letteratura,hanno una valenza temporale che spesso trascen-de il “periodo” di concepimento e rende lo scrit-

to atemporale. Se poi il tema è più “etereo” il discorso siamplia: non si possono delimitare i confini, non si puòattribuire un valore. A distanza di quasi 20 anni (la primaedizione del testo di Lucio Saviani risale al 1993)Moretti e Vitali ha deciso di ripubblicare il testo arric-chendolo di un saggio di Flavio Ermini.Questa collaborazione è il frutto naturale dell’impattoche il testo Voci di confine ebbe nel panorama culturalein Italia: per Saviani stesso significò lo spostamentodall’Università di Napoli a La Sapienza di Roma e “l’i-naugurazione” della cattedra di Storia della filosofiaprima e di Estetica poi. Saviani ha anche curato ilFestival Filosofia che ha proprio una sezione con il tito-lo di questa opera. Proprio dopo la pubblicazione nel1993 Saviani ebbe l’occasione di entrare in contatto conErmini, direttore e co-fondatore della rivista LetterariaAnterem, fondata nel 1976 da Flavio Ermini e SilvanoMartini, “Anterem” si è subito istituita come un labora-torio di ricerca. “Ricerca” quale tensione indeponibileche conduce dall’ascolto all’ascolto pensante, in unadislocazione che richiede una sospensione di ogni abi-tualità di senso. La ricerca alla base di “Anterem” è cor-relata alla natura del pensiero poetico, ponendo la que-stione sul senso che nel testo si articola e che della scrit-tura fa il luogo della propria rivelazione. Il punto noda-le è costituito dalla focalizzazione sulla prima parola,quasi l’Urwort, una parola intrisa del suo valore origina-rio che racchiuda in se la potenza creatrice. Le parole che “definiscono” il concetto di limite, sianoesse riferite ai cocetti di sguardo, specchio, labirinto,soglia o trasparenza, sono parole creatrici, evocatrici diuna realtà tangibile ed etera allo stesso tempo. La poten-za, come è definita da Saviani, diventa per Ermini laconferma dell’esperienza, per cui gli aspetti diversi diquesta potenza (in)definita in realtà rappresentano diver-se province dell’esperienza. L’essere umano, infatti, nonsolo esperimenta un periodo di crescita fisica, persona-le, ma sviluppa anche un percorso di sviluppo mentale,filosofico. Anche quando pensa di aver raggiunto lamaturità fisica e psichica, di aver superato i limiti, eccoche ne appare un altro, pronto a creare nuovi limiti,nuovi spazi. La crescita e la fase di autorealizzazione

rappresentano solo un intermezzo, un intervallo: unafinta rottura dei confini.Ermini riprende l’esempio di Saviani: A Delfi, quandoApollo si rivolge a colui che visita il suo tempio inti-mandogli “Conosci te stesso”, ciò significa: considerache sei un uomo e non dimenticare i limiti imposti algenere umano.Non è una presa di coscienza del proprio potenziale,della propria crescita, bensì un processo di realizzazionedi quanto le potenzialità, le affinità, siano delimitate,definite e sottoposti a regole non definite. ContinuaErmini Per parlare del limitee dirne il senso, annunciaBlanchot, è “necessarioinaugurare un altro tipo dilinguaggio”, un linguaggiodove torni a prendere corpola dimensione dell’irrag-giungibile. La coscienza, dunque, non è un punto di arrivo, bensìrappresenta il punto di partenza per un discorso al limi-te, non un discorso sul limite: un discorso al propriolimite. Se la parola sembra abbandonare il suo intentooriginario, ovvero di stabilire fondamenti e concetti, èquello il momento in cui essa abita il limite, in cui rendefigure e tradizioni mobili e cercadi contrapporsi all’avidità deisistemi. Si innesca un processo diincompiutezza, un processo che,citando Novalis, riapre le portedella conoscenza. Ermini: L’incompiutezza è l’aper-tura verso ciò che ci fa vacillare.Il limite ci chiede di affrontare l’e-sperienza della perdita del senso,l’esperienza da cui discende l’au-tenticità del pensiero.Prendendo coscienza del limite esperimentando una nuova modalità di apprendimento, divisione del mondo nella sua descrizione. Ermini: Scrivere al limite significa confrontarsi con il sensodell’impossibile, rappresentare ciò che non può essere rap-presentato, ovvero l’essere uomo dell’uomo.Saviani: Pronunciata, la fase non pronuncia che i suoi limitie in questo limite del suo dire non può essere detta. n

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Lucio Saviani, Voci di confine Il limite e la scrittura (Moretti & Vitali, 2010, €12,00)

di Elisa Cutullè

Lucio Saviani

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Recensioni

Ese fosse la lettura l’arma con cui salvarci e riscat-tarci dalla Storia? Cosa succederebbe se ad untratto non ci curassimo più delle leggi del merca-

to, dell’omologazione sociale e iniziassimo a cercarenella lettura la salvezza del nostro tempo, le risposte chenon riusciremmo a trovare altrimenti? Un Libro ci sal-verà: è questa la conclusione a cui giunge AntonioCalabrò con questa sua seconda opera, 140 pagine chescorrono veloci come un fiume in piena, un fiume chetravolge un pubblico che non può e non deve più identi-ficarsi con i messaggi suggeriti dai mass media, ma deveribellarsi ai cliché a cui è stato abituato, costretto ad abi-tuarsi. Un Libro ci salverà, pubblicato dalla LeonidaEdizioni, non appartiene a nessun genere letterario, escefuori da ogni schema grazie al suo linguaggio scevro daflorilegi e barocchismi inutili, immediato come le imma-gini che suscita nel lettore che è coinvolto in un conti-nuo gioco di citazioni che ne mantengono alta l’atten-zione; il ricorso alla tecnica cinematografica del flash-back dà un ritmo serrato alla narrazione. Le citazioni let-terarie, musicali e cinematografiche sono innumerevolitanto da costituire una sorta di autobiografia emotiva eculturale dello scrittore. Le stesse citazioni, riflessioni diuna scelta e di un gusto personale dell’autore, in realtàrendono il lettore protagonista nella condivisione dellastessa visione di Vita, o agente nella curiosità che, perforza di cose, lo pervade e costringe ad aprirsi alle novi-tà, al non ancora conosciuto.Un Libro ci salverà esce cinque anni dopo l’ultimo suc-cesso letterario dell’autore reggino, che già nel 2005 ciaveva regalato Johnny Rolling. Una gioventù di musica,battaglie e amori nella Calabria degli anni ‘70, unospaccato della società reggina degli anni in cui soffiavaancora forte e insistente il vento libertario delle prima-vere sessantottine; ma se allora la rivolta era quella fisio-logica dei giovani verso la generazione precedente, unprimo tentativo di entrare a far parte di quella societàche la massa iniziava a formare, questo è un invito a spa-lancare gli occhi e reagire di fronte ad un ‘appiattimen-to’ sempre maggiore del pubblico. È lo stesso Calabrò adusare questo termine nel riferirsi al rapporto media-pub-blico: più una massa si appiattisce più si allarga, fino agiungere ad essere un cumulo informe di idee ed opinio-ni e la televisione è il miglior mezzo per pressare, ricom-pattare e livellare. Quella stessa televisione che dà il via

al libro e che porta lo scrittore a formulare svariate con-siderazioni.Attraverso l’amore per la lettura, Antonio Calabrò cimostra la via per poter salvare non soltanto noi stessi,ma addirittura la scrittura: si può scrivere un romanzo sucommissione? Tradurlo e tradirlo in prodotto televisivo?Si può esercitare un potere sull’istinto della scrittura? Atutti questi quesiti l’autore risponde offrendo vari spuntidi riflessione, ridando al piacere della scrittura quellasua naturale dignità che l’avvento dei nuovi media hasvilito e mercificato. Il salto dal primo a questo secondolibro di Antonio Calabrò è evidentesoprattutto nel differente uso del lin-guaggio e della punteggiatura, utiliz-zata come mezzo per dare un ritmoalla narrazione, uno scandire deltempo inusuale, così come inusuale èil fatto che Antonio non sia solo nelsuo percorso creativo, ma abbia scelto come suo accom-pagnatore l’americano Melville che, come un modernoVirgilio, sorveglia le decisioni che l’autore è costretto aprendere mentre compie la sua mis-sione. E la missione che il nostro eroe lette-rato deve compiere può essere porta-ta a termine ascoltando rigorosamen-te Burn dei Deep Purple in sottofon-do, nel massimo rispetto del manife-sto letterario dello scrittore che aper-tamente dichiara la sua volontà divoler applicare alla parola scritta ilsuo modo di essere. E le sue note ed accordi. Ma comepuò la lettura salvarci davvero? L’autore non dà sugge-rimenti diretti, rispetta la libertà del lettore, evento già diper sé straordinario nella giungla dell’informazione viaweb, di farsi un’opinione sui fatti; crede ancora ferma-mente nella possibilità dell’Uomo di riscattarsi dallaschiavitù dei tempi e dei contenuti, riprendendo in manole proprie scelte ed aspirazioni. Come detto al principio, non appartenendo ad alcungenere letterario preciso, anche il pubblico a cui sirivolge è il più variegato possibile, fattore che rendeil libro ancor più interessante e versatile nella suainterpretazione. n

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Recensione

Un Libro ci salverà, di Antonio Calabrò(Leonida Edizioni, pagg. 140)

a cura di Letizia Cuzzola

HELIOS magazine 2011 n. 6

Antonio Calabrò

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“Sono un soldato di seconda classe dell’esercitoamericano, mi chiamo Melvin Mapple, ma lei mipuò chiamare Mel. Sono di stanza a Baghdad”.

Inizia così la lettera datata 18 dicembre 2008, conaffrancatura americana e timbro iracheno che riceveAmélie Nothomb e dalla quale prende le mosse il suoultimo romanzo “Una forma di vita” (Voland, pag.116,euro 14,00). Nata in Giappone, dopo un’infanzia in giroper il mondo per la carriera diplomatica del padre e qual-che disastrosa esperienza lavorativa, Amélie capisce chela sua strada è quella della scrittura. Autrice di diciottoromanzi pubblicati, Amélie Nothomb è una narratriceinstancabile “ adesso sto scrivendo il mio settantaquat-tresimo romanzo ma poi pubblico solo un terzo di quel-lo che scrivo” racconta “e sono sempre io a deciderecosa pubblicare. La mia è una scelta istintiva, senza pen-sare al libro che può funzionare. Ho già scritto il miotestamento ed ho sottolineato di non pubblicare mai ilibri che ho scritto e non ho voluto pubblicare. Per set-tant’anni dopo la mia morte, sarò protetta!”.Vincitrice dinumerosi premi letterari tra cui il “Grand Prix du romande l’Acadèmie Francaise”, il Prix Internet du livre, ilPrix de Flore e due volte il Prix du Jury Jean Giono,Amèlie oggi vive tra Parigi e il Belgio. Con “Igiene diun assassino” del 1992 conquista i lettori e da allorariceve posta da fans di ogni parte del mondo, ma quan-do a scriverle è un soldato di stanza a Baghdad, lo stu-pore e la curiosità sono incontenibili, “all’inizio pensaia uno scherzo. Ammesso che questo Melvin Mapple esi-stesse davvero, aveva forse il diritto di scrivermi, e cosedel genere?”. Inizia così uno scambio di lettere conMelvin Mapple, suo lettore accanito, perchè ”i suoi librimi parlano. Se lei mi conoscesse meglio capirebbe”.Dalla loro conoscenza epistolare prende forma il roman-zo che alterna le epistole alle considerazioni di Amélie.Melvin è un soldato e la sua condizione l’ha fatto diven-tare obeso come tanti soldati che scoprono il terroredella guerra, “c’è gente che perde l’appetito per questo,la maggior parte tra cui io, ha una reazione opposta.Torniamo dal combattimento stupefatti, sbalorditi diessere ancora vivi, spaventati e la prima cosa che fac-ciamo dopo esserci cambiati i pantaloni è buttarci sulcibo...non proviamo piacere ma un atroce conforto”.Melvin racconta ad Amèlie le sue paure ma anche il dis-prezzo che sente di suscitare negli altri per il suo aspet-

to, ma nonostante tutto ha voglia di riscattarsi di nonrinunciare alle sue aspirazioni artistiche. Il romanzo pro-segue con un susseguirsi di lettere tra la scrittrice e ilsoldato che diventano ricostruzione della storia dell’esi-stenza di Melvin inperfetto stileNothomb. “Molti let-tori pensano che ioabbia dei poteri spe-ciali” racconta l’autri-ce “ e c’è molta con-fusione su quello chescrivo. Ma se un epi-sodio è realmenteaccaduto o no io credo che scrivendo rendo tutto reale”e in questo romanzo fa sviscerare il dramma di Melvin esi concede attente riflessioni sul senso della guerra maanche sull’esistenza di coloro che vivono e convivonocon una malattia o un handicap in una società semprepiù crudele e ghettizzante. Le lettere e la storia di Melvin assumono carattere uni-versale. Melvin le scrive epitole sempre più lunghe, piùapprofondite, “di solito non vado pazza per le letterelunghe. Spesso sono le meno interessanti.” scriveAmélie “da più di sedici anni ricevo un tale numero dilettere da avere elaborato senzavolerlo una teoria istintiva ed empi-rica sull’arte epistolare....le letteredi Melvin non mi sembravano nean-che lunghe, tanto mi catturavano. Sisentiva che le scriveva sotto l’impe-to di un’assoluta necessità: non esi-ste musa migliore”.La corrispondenza con Melvindiventa indispensabile per Amélie el’attesa della sua prossima lettera letrasmette un misto di ansia e curio-sità. Quando improvvisamente il soldato non le scrivepiù, ecco scattarle la voglia di saperne di più, di indaga-re su quell’uomo lontano e sul suo destino. “Le personesono paesi. È meraviglioso che ne esistano tanti e cheuna perpetua deriva dei continenti ci consenta di incon-trare isole tanto nuove” scrive Amèlie e decisa a ritro-varlo si improvvisa detective e scopre una nuova veritàe una nuova ragione del suo essere scrittrice. n

“Una forma di vita” di Amélie Nothomb(Voland, pag.116, euro 14,00)

a cura di Cristina Marra

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garantendo ad ognuno la libertà dal bisogno, l’ugua-glianza nei diritti, l’armonia nel vivere. Si chiedeva come quegli uomini continuassero a sogna-re innanzi alle quotidiane guerre personali e collettive,che sfarinavano i sogni singoli in follia di gruppo. Al tavolo dei vaganti era un via vai continuo. Qualcunosi alzava e restava in piedi, muovendosi come un caval-lo pronto alla corsa. Le consumazioni erano veloci, piùper fame che per gusto, le parole brevi e i discorsi nonconclusi per non ritardare l’andare, gli sguardi frettolo-si, con gli occhi sempre alla porta. A questa categoriasicuramente appartenevano coloro che viaggiavano

senza biglietto. Avvertì che qualcuno lo scuoteva dicendogli: “Signoresi svegli…sono andati via tutti…dobbiamo chiudere”. Sialzò dal tavolo della solitudine, dove brindava col silen-zio, con la serenità, con lo studio, e andò via scusando-si. Nella mente aveva dei ricordi confusi: di gente vol-gare, di tipi che sognavano, di turisti in giro per ilmondo, di due che si tenevano per mano, di un uomosolitario che si guardava intorno. Innanzi a uno specchioilluminato di un grande magazzino vide l’immagineriflessa di un vagante che se ne andava per la città deser-ta col suo carico di volgarità, sogni, amore, solitudine.Sentì il corpo pervaso da felicità e incominciò a cantarealla luna:“Quando si sente che mezzanotte è esatta / batton lemani e tornan là nel mondo / mostrando sì d’esser gentedi sogni matta / con l’idea della fratellanza sullo sfon-do”.Dietro segnalazione di un insonne, venne arrestato, datal’ora tarda, per disturbo alla quiete pubblica! n

Canto notturno

di Mimmo Codispoti

Libertà di pensiero

Trascorreva molto tempo al bar dove chiedevasempre un caffè lungo e un bicchiere d’acqua. Sisedeva scegliendo il tavolo più centrale. Da lì

ascoltava tutti e raccoglieva, dalle chiacchiere da bar,notizie di prima mano, fonte a cui avrebbe attinto per isuoi approfondimenti meditativi. Aveva notato che gli avventori, come se seguissero uncopione, occupavano sempre gli stessi tavoli dove ognu-no proponeva la sua parte. Li aveva così suddivisi pertematica. Dal tavolo dei volgari apprendeva dagli apprezzamentiche udiva, con linguaggio sconcio e scurrile, il livello dipopolarità di certi personaggi pubblici. La pretesa liber-tà di offesa partiva dal decoro per giungere all’onore inuna miserevole rappresentazione di meschinità. La dif-famazione la faceva da padrona: le ingiurie, accompa-gnate da gesti oltraggiosi, ricadevano su persone assen-ti come la grandine sui grappoli d’uva in agosto.Separare le calunnie, mai concretizzate in denunce, eraopera titanica: indirizzate contro Caio ricadevano, pererrore nel colpo, su Tizio. Passavano alle ingiurie reci-proche quando non erano d’accordo su qualche aspettoe, smettendo di interessarsi di chi suscitava il loro dis-prezzo, scivolavano nella ritorsione e nella compensa-zione delle offese, dicendosene di tutti i colori. La vol-garità era il collante che univa la loro vita e disegnavagli scenari in cui si muovevano. Infervorati com’erano,poco ci voleva che venissero alle mani e che, balordicome si mostravano, colpissero gli occupanti dei tavolivicini, compiendo il cosiddetto errore nel reato. Innanzi a tali “animali” gli veniva voglia di compiere unabigeato portando via gli esemplari più attivi della“mandria” a pascolare lontano dal consorzio umano.Molto più sereno era il tavolo degli innamorati. V’eranopiù sguardi che parole, più silenzi che discorsi. Se nestavano come se stessero su una panchina, in un parco osu una spiaggia, incuranti di tutti, a guardarsi negliocchi, a stringersi le mani, ad accarezzarsi con lo sguar-do. Prendevano le bibite senza zucchero perché amareera il loro verbo e il loro aggettivo. Non poteva cherivolgere loro l’augurio che lo coniugassero all’infinito! Al tavolo dei sognatori qualcuno russava, qualcunovoleva rivestire gli ignudi di cultura, un altro volevacreare una società giusta da nord a sud del mondo,

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