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Gustave Flaubert

LA LEGGENDA DI

SAN GIULIANOL’OSPITALIERE

(traduzione di Michele Zaffarano)

Illustrazioni di Francesca Sacconi

ARCIPELAGO EDIZIONI€ 18,00[IVA ASSOLTA DALL’EDITORE] 9546657888769

ISBN 978-88-7695-466-5In copertina: Cattedrale di Rouen, Saint Julien l’Hospitalier, vetrata (particolare)

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Gustave Flaubert

la leGGeNDa DI

SAN GIULIANOL’OSPITALIERE

da: tre racconti(1877)

(traduzione di Michele Zaffarano)

Illustrazioni di Francesca sacconi

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Titolo originale dell’opera:La légende de Saint Julien l’Hospitalier

1877

© 2011 Arcipelago EdizioniVia Carlo D’Adda 21

20143 [email protected]

Prima edizione dicembre 2011ISBN 978-88-7695-466-5

Tutti i diritti riservati

Logo della collana Le sette fontane : Gianni Speciale

Ristampe:6 5 4 3 2 1 02016 2015 2014 2013 2012 2011

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indice

I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

III . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54

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la leGGeNDa DI

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I

Il padre e la madre di Giuliano abitavano in un castello, in mezzo ai boschi,sulla costa d’una collina. agli angoli delle quattro torri, i tetti a punta eranocoperti da piastre sottili di piombo, e la base delle mura poggiava su blocchi

di roccia, che scendevano bruscamente fino in fondo ai fossati. Il selciato del cortile era lindo come il pavimento d’una chiesa. lunghe gron-

daie, raffiguranti draghi col muso verso il basso, sputavano l’acqua piovuta nellacisterna; e a ogni piano, sul davanzale delle finestre, dentro vasi dipinti di argilla,sbocciavano basilico e eliotropo.

una seconda cinta, di pali, includeva prima un giardino d’alberi da frutto, poiun’aiuola dove le combinazioni floreali disegnavano cifre, un pergolato con le nic-chiette per prendere il fresco, e un campo di pallamaglio dove i paggi andavano adivertirsi. Il canile, le scuderie, il forno, il frantoio e i granai si trovavano dall’altraparte. Intorno si apriva una distesa di pascolo verde, a sua volta recintata da unagrossa siepe di rovi.

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era da così tanto tempo che si viveva in pace che la grata del castello non si ab-bassava neanche più; i fossati erano pieni d’acqua; le rondini facevano nidi tra le fe-ritoie dei merli; e l’arciere che vagava tutto il giorno sulla cortina, non appena ilsole cominciava a scaldarsi troppo, rientrava in garitta, e s’addormentava come unmonaco.

Dentro, risplendevano dappertutto le guarnizioni in ferro; gli arazzi delle ca-mere proteggevano dal freddo; gli armadi straripavano di biancheria, le botti divino si ammucchiavano nelle cantine e i forzieri di quercia scricchiolavano sotto ilpeso delle borse di monete.

In sala d’armi, fra gli stendardi e i musi delle bestie feroci, si vedevano armid’ogni tempo e nazione, dalle fionde degli amaleciti e dai giavellotti dei Garamantifino alle daghe dei saraceni e alle cotte di ferro dei Normanni.

lo spiedo più grande della cucina poteva far girare un bue; la cappella era son-tuosa come l’oratorio d’un re. In un angolo nascosto, c’era anche una sauna romana;il buon signore, però, se ne privava, giudicandola usanza da idolatri.

avvolto sempre da una pelliccia di volpe, girava per la casa, rendeva giustiziaai vassalli, moderava i contenziosi fra vicini. D’inverno, si metteva a guardare i fioc-chi di neve che cadevano, oppure si faceva leggere delle storie. ai primi giorni dibel tempo, se ne andava con la sua mula seguendo piccoli sentieri che costeggia-vano campi di grano ancora verdi, e chiacchierava con i villici, dava loro consigli.Dopo molte avventure, aveva preso in moglie una damigella d’alto lignaggio.

era di pelle bianchissima, un po’ altezzosa e posata. I corni del suo copricaposfioravano gli architravi delle porte; la coda del suo vestito di panno strisciava trepassi dietro. la sua vita domestica era regolata come dentro a un monastero; ognimattina, distribuiva il da farsi fra le serve, controllava le conserve e gli unguenti,

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filava col rocchetto o ricamava tovaglie per l’altare. a forza di pregare Dio, le arrivòun figlio.

Ci furono allora grandi festeggiamenti, e un banchetto che durò tre giorni equattro notti, al suono delle arpe, illuminato dalle fiaccole, su letti di fogliame. simangiarono le spezie più rare, con polli grossi come montoni; per scherzo, un nanosaltò fuori da un pasticcio; e visto che le scodelle non bastavano più perché la gentecontinuava ad aumentare, furono costretti a bere dagli olifanti e dagli elmi.

la novella puerpera non partecipò a questi festeggiamenti. se ne stava nel pro-prio letto, tranquilla. una sera, si svegliò e vide, sotto un raggio di luna che entravadalla finestra, come un’ombra che si muoveva. era un vecchio dentro a un saio, conun rosario in vita, una bisaccia sulle spalle, e tutto l’aspetto di un eremita. le si av-vicinò al letto e le disse, senza schiudere le labbra:

— rallegrati, madre! tuo figlio sarà santo! lei stava per mettersi a gridare, quando quello, scivolando sopra un raggio di

luna, si alzò lentamente in aria, e scomparve. I canti del banchetto esplosero piùforti. sentì le voci degli angeli; e la testa le ricadde sul cuscino, sopra cui incombevaun osso di martire incorniciato da granati.

Interrogati il giorno dopo, tutti i servitori dichiararono di non aver visto ere-miti. sogno o realtà, doveva essere un messaggio venuto dal cielo; lei, però, siguardò dal dire qualcosa, temendo che la prendessero per superba.

I convitati se ne andarono sul far del giorno; dopo aver accompagnato l’ultimo,il padre di Giuliano si trovava all’esterno della porta che portava fuori, quando tutt’aun tratto, da dentro la nebbia gli si parò davanti un mendicante. era un boemocon la barba intrecciata, anelli d’argento sulle braccia e pupille di fuoco. balbettòcon aria ispirata queste parole sconnesse:

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— ah! ah! tuo figlio!… tanto sangue!… tanta gloria!… sempre felice!… lafamiglia d’un imperatore!

e, abbassandosi per raccogliere l’elemosina, si perse nell’erba, e scomparve. Il buon castellano si guardò a destra e a manca, e chiamò finché gli fu possibile.

Nessuno. soffiava il vento, e la bruma del mattino si stava alzando. Pensò che la visione fosse dovuta alla fatica della sua testa, che aveva dormito

troppo poco. — se ne parlo, mi prenderanno in giro, si disse. Gli splendori destinati al figlio, però, lo lasciavano sbalordito, anche se la pro-

messa non era stata molto chiara e lui dubitava persino di averla sentita. Gli sposi si tennero reciprocamente nascosto il segreto. Ma verso il bimbo mo-

stravano lo stesso grado di amore e di tenerezza; rispettandolo come segnato daDio, ebbero attenzioni infinite. Il suo lettino era imbottito con le piume più fini;sopra, era stata messa una lampada a forma di colomba che bruciava in continua-zione; c’erano tre nutrici che lo cullavano; ben stretto dentro le sue fasce, col suovisino rosa e i suoi occhi blu, col suo mantello di broccato e la sua cuffia carica diperle, sembrava un Gesù bambino. I denti gli spuntarono senza che si mettesse apiangere una sola volta.

Quando ebbe sette anni, la madre gli insegnò a cantare. Per insegnargli a esserecoraggioso, il padre lo issò su un grosso cavallo. Il bambino sorrideva a proprioagio, e non ci mise molto ad imparare tutto quello che riguarda i destrieri.

un vecchio e sapientissimo monaco gli insegnò le sacre scritture, la numera-zione degli arabi, le lettere latine e a dipingere con eleganza sulle pergamene piùsottili. lavoravano insieme, in cima a una torretta, lontano dai rumori.

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terminata la lezione, scendevano in giardino e, passo dopo passo, passeg-giando, studiavano i fiori.

a volte, a fondo valle, si vedeva avanzare faticosamente una fila di animali dasoma, guidati da un uomo a piedi e combinato all’orientale. Il castellano, ricono-scendolo per un mercante, gli mandava incontro un domestico. Prendendo confi-denza, lo straniero deviava dal suo cammino; introdotto nel parlatorio, tirava fuoridai suoi bauli scampoli di velluto e seta, gioielli, aromi, oggetti strani e destinati ausi sconosciuti; alla fine il buon uomo se ne andava, con un grosso guadagno, senzaaver patito violenza alcuna. altre volte, era una truppa di pellegrini che bussavaalla porta. I loro vestiti umidi fumavano davanti al focolare; e, quando erano sazi,cominciavano a raccontare dei loro viaggi: le peripezie dei velieri sul mare schiu-mante, le marce a piedi in mezzo alle sabbie di fuoco, la ferocia dei pagani, le ca-verne della siria, il Presepio e il sepolcro. Poi prendevano delle conchiglie daimantelli e le davano al giovane signore.

spesso il castellano faceva festa coi vecchi compagni d’arme. Mentre bevevano,rievocavano le guerre, gli assalti alle fortezze col frastuono dei marchingegni e leferite prodigiose. Giuliano, che li ascoltava, cominciava a strepitare; in quei mo-menti, il padre non aveva dubbi che da grande sarebbe stato un conquistatore. lasera, poi, quando usciva dall’angelus e passava fra i poveri che si inchinavano, simetteva a raccogliere monete dalla borsa con tale modestia e con aria così nobileche la madre già sentiva che, in futuro, sarebbe diventato arcivescovo.

Nella cappella, il suo posto era a fianco dei genitori; e per quanto lunghe fosserole funzioni, rimaneva sempre in ginocchio, berretto a terra e mani giunte.

un giorno, alzando la testa durante la messa, vide un topolino bianco cheusciva da un buco nel muro. Zampettò sul primo gradino dell’altare, e dopo essersi

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girato due o tre volte intorno, se ne scappò via dalla stessa parte. la domenica se-guente, l’idea che avrebbe potuto rivederlo lo turbò. Il topolino tornò; e ogni do-menica lo aspettava, ne rimaneva importunato, cominciò a odiarlo e decise diliberarsene.

Chiusa la porta e distribuite le briciole d’un dolce sui gradini, si appostò davantial buco, con una bacchetta in mano.

Dopo molto tempo, comparve prima un musetto rosa, poi tutto il topo. lasciòcadere un colpo leggero, e rimase sbalordito di fronte a quel piccolo corpo che nonsi muoveva più. una goccia di sangue macchiava la piastrella. l’asciugò in frettacon la manica, buttò fuori il topolino, e non ne parlò con nessuno.

a becchettare i semi sparsi nel giardino c’erano uccellini d’ogni specie. Glivenne l’idea di infilare dei piselli dentro a una canna vuota. Quando sentiva cin-guettare su un albero, si avvicinava con delicatezza, poi alzava il tubo e gonfiava leguance; e gli uccellini che gli piovevano sulle spalle erano talmente tanti che nonpoteva fare a meno di ridere, rallegrandosi della propria astuzia.

una mattina, mentre stava tornando dal passaggio di camminamento, sullacima del bastione vide un grosso piccione che si stava pavoneggiando al sole. Giu-liano si fermò per guardarlo; in quel punto del muro c’era una crepa, e fra le dita siritrovò una scheggia. Fece roteare il braccio e la pietra abbatté l’uccello, facendolocadere di peso dentro al fossato.

si precipitò giù, graffiandosi in mezzo ai rovi, frugando dappertutto, rapidopiù di un cane giovane.

Il piccione, appeso con le ali rotte ai rami di un ligustro, palpitava ancora.

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l’ostinarsi di quella vita irritò il bambino. Prese a strangolarlo; e le convulsionidell’uccello gli facevano battere il cuore, lo riempivano d’un piacere selvaggio e fre-netico. al momento dell’ultimo respiro di vita, si sentì svenire.

la sera, durante la cena, il padre dichiarò che alla sua età bisognava che impa-rasse a cacciare coi cani; e andò a prendere un vecchio quaderno su cui era espostol’essenziale della materia di caccia in forma di domande e di risposte. un maestropresentava all’allievo l’arte d’addestrare i cani, d’addomesticare i falchi e di tenderetrappole, di riconoscere il cervo dagli escrementi, la volpe dalle impronte, il lupodalle tracce, il sistema giusto per individuare i percorsi, la maniera per seguirli,dove si trovano normalmente le tane, quali sono i venti più favorevoli, e poi tuttala lista dei richiami e le regole per distribuire la cacciagione ai cani.

Quando Giuliano fu in grado di ripetere a memoria tutte queste cose, il padregli mise insieme una muta.

Per prima cosa, si facevano notare ventiquattro levrieri barbareschi, veloci piùdelle gazzelle, però soggetti a imbizzarrirsi; poi, diciassette coppie di cani bretoni,maculati di bianco su fondo rossiccio, con una presa solidissima, una grande po-tenza toracica e capaci di farsi sentire. Per attaccare il cinghiale e far fronte alle suepericolose scaltrezze, c’erano quaranta grifoni, ricoperti di pelo come orsi. alcunimastini di tartaria, alti quasi quanto asini, del colore del fuoco, col dorso largo eil garretto inflessibile, erano riservati all’inseguimento degli uri. Il manto nero deglispaniel risplendeva come raso; i guaiti dei talbot valevano quanto quelli dei broc-chetti canterini. altri otto alani se ne stavano a ringhiare in un cortile a parte, scuo-tendo le catene e strabuzzando le pupille, bestie formidabili che attaccano la panciadei cavalieri e non hanno paura dei leoni.

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tutti mangiavano pane di frumento, bevevano dentro abbeveratoi di pietra, eportavano nomi squillanti.

la falconara superava forse la muta; il buon signore, a forza di danari, s’era pro-curato dei terzuoli del Caucaso, dei sagri di babilonia, dei grifalchi di Germania edei falchi pellegrini, catturati sulle scogliere dei mari freddi, in paesi lontani. eranotenuti alloggiati in un capanno ricoperto di paglia e, davanti ai trespoli cui eranoattaccati in ordine di taglia, avevano un po’ di terra dove venivano posati ogni tantoperché si sgranchissero.

Furono fatti realizzare sacchi, esche, trappole e ogni sorta d’arnesi. spesso si portavano in campagna i cani da ferma e subito si mettevano a pun-

tare. allora i bracchieri, venendo avanti un po’ alla volta, stendevano con cautelasui loro corpi impassibili una rete enorme. a un comando, cominciavano ad abba-iare; le quaglie prendevano il volo; e tutti quanti, le dame dei dintorni invitate coimariti, i figli e le cameriere, si buttavano sopra e le prendevano facilmente.

altre volte, per stanare le lepri, si suonavano i tamburi; le volpi cadevano neifossi, oppure le tagliole, scattando, catturavano un lupo per le zampe.

Giuliano, però, fu sempre sprezzante contro questi artifici comodi; preferivacacciare lontano da tutti, col suo cavallo e col suo falco. Quasi sempre si trattavadi un grosso tartaretto di scizia, bianco come la neve. sul cappuccio di cuoio eramontato un pennacchio e sulle zampe azzurre risuonavano campanelle d’oro; si te-neva saldo sul braccio del padrone mentre il cavallo galoppava e le pianure scorre-vano via. Giuliano, allentando i lacci, lo lasciava andare di colpo; l’animale,spavaldo, saliva in aria come una freccia; e si vedevano due macchie ineguali girare,tornare vicine e poi scomparire nell’azzurro profondo. Non passava molto tempo

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che il falco riscendeva, intento a straziare un uccello, e tornava a posarsi sul guar-damano, con le ali che ancora si agitavano.

Fu così che Giuliano riuscì a catturare aironi, nibbi, cornacchie e avvoltoi. Quando suonava il corno, gli piaceva seguire i cani che correvano sul versante

delle colline, saltavano i ruscelli e risalivano verso il bosco; e quando il cervo, sottoi morsi, cominciava a gemere, lo abbatteva subito, e poi si dilettava della furia deimastini che lo divoravano, tagliato a pezzi sulla pelle ancora fumante.

Nei giorni di nebbia, entrava dentro la palude per fare la posta alle oche, allelontre e ai germani.

Fin dall’alba, c’erano tre scudieri che lo aspettavano in fondo alla scalinata; enonostante tutti i segni che il vecchio monaco si metteva a fare, affacciandosi al suoabbaino, per richiamare l’attenzione, Giuliano non si girava. se ne andava sotto lefiamme del sole, sotto la pioggia, in mezzo al temporale, si metteva a bere acquaalle sorgenti con le mani, mangiava mele selvatiche continuando a cavalcare, e seera stanco, si riposava sotto una quercia; rientrava a notte fonda, coperto di sanguee di fango, con le spine fra i capelli e addosso l’odore delle bestie feroci. Diventòcome loro. Quando la madre lo stringeva, accettava l’abbraccio con freddezza,come preso da pensieri profondi.

uccise orsi col coltello e tori con l’accetta; cinghiali con lo spiedo; e addirittura,una volta, si difese con un solo bastone da alcuni lupi che addentavano cadaveri aipiedi di una forca.

un mattino d’inverno, partì prima che facesse giorno, ben armato, una balestrain spalla e una faretra piena sistemata sull’arcione della sella.

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seguito da due bassotti, il suo ginnetto danese faceva risuonare il terreno.Gocce gelate gli si incollavano sul mantello, soffiava una brezza violenta. una stri-scia d’orizzonte cominciò a schiarirsi; e nel bianco del crepuscolo, scorse alcuni co-nigli che saltellavano davanti all’entrata delle tane. I due bassotti si precipitaronosubito; e addentandoli in varie parti, con energia, spezzavano loro la schiena.

Poco dopo, entrò in un bosco. sopra un ramo, un gallo cedrone intorpiditodal freddo dormiva tenendosi la testa sotto l’ala. Con un rovescio della spada, Giu-liano gli troncò le due zampe e proseguì il cammino, senza fermarsi a raccoglierlo.

tre ore dopo, si trovò in cima a una montagna così alta che il cielo sembravaquasi nero. Davanti a lui, una roccia che assomigliava a una lunga muraglia scen-deva a strapiombo sopra un precipizio; a un capo di questa roccia, due caproni sel-vatici guardavano dentro l’abisso. Non avendo frecce (perché il suo cavallo erarimasto indietro), pensò di scendere fino a dove stavano loro; piegandosi a metà ea piedi nudi, raggiunse finalmente il primo dei caproni, e gli affondò il pugnalesotto le costole. Il secondo, preso dal terrore, saltò nel vuoto. Giuliano si buttò perafferrarlo, e, scivolando col piede destro, cadde sull’altro cadavere, con la facciasopra l’abisso e le braccia spalancate.

risceso a valle, seguì i salici che costeggiavano un fiume. Ogni tanto, gli pas-savano delle gru sopra la testa, volando molto basse. Giuliano le uccideva con lafrusta, e non ne mancò una.

Nel frattempo, l’aria più tiepida aveva sciolto la brina, i grossi cumuli di vaporegalleggiavano, e fece capolino il sole. In lontananza, vide brillare un lago ghiacciato,che sembrava piombo. In mezzo al lago, c’era un animale che Giuliano non cono-sceva, un castoro dal muso nero. Malgrado la distanza, una freccia lo abbatté; e glidispiacque di non potersi portar via la pelle.

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Poi, si spinse su un viale di grandi alberi che con le cime formavano come unarco di trionfo, all’entrata d’una foresta. Da una macchia di cespugli sbucò fuoriun capriolo, a un crocicchio comparve un daino, un tasso uscì da un buco, sul pratoun pavone cominciò a aprire la coda; e quando li ebbe uccisi tutti, si presentaronoaltri caprioli, altri daini, altri tassi, altri pavoni, e poi merli, ghiandaie, puzzole,volpi, ricci, linci, un’infinità di animali, sempre più numerosi a ogni passo che fa-ceva. Gli giravano intorno, tremanti, lo sguardo pieno di dolcezza e supplicante.Ma Giuliano non si stancava di uccidere, di volta in volta tendendo la balestra,sguainando la spada, spuntando il grosso coltello, e non pensava a nulla, non tenevamemoria di nulla. stava cacciando in un paese qualunque, da tempo indeterminato,per il semplice fatto di esistere, e tutto veniva compiuto con la stessa facilità che siprova in sogno. lo fermò uno spettacolo straordinario. Dei cervi riempivano unvallone a forma di circo; ammucchiati, uno attaccato all’altro, si scaldavano col fiatoche si vedeva fumare in mezzo alla nebbia.

Per qualche minuto, il miraggio d’una simile carneficina lo soffocò per il pia-cere. Poi, scese da cavallo, si rimboccò le maniche, e si mise a tirare.

al sibilo della prima freccia, tutti i cervi girarono la testa. In mezzo alla massa,si crearono varchi; si alzavano voci di lamento, e il branco cominciò ad agitarsi peril gran movimento.

Il bordo valle era troppo alto da scavalcare. saltavano allora dentro quello spa-zio, cercando di scappare. Giuliano mirava, tirava; e le frecce cadevano come i ro-vesci di pioggia durante la tempesta. Diventati furiosi, i cervi si scontravano, siimpennavano, si montavano sopra; e i loro corpi coi palchi delle corna aggrovigliateformavano un grande mucchio, che, spostandosi, crollava.

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alla fine, stesi sulla sabbia, morirono sventrati, con la bava alle narici, e il mo-vimento delle pance si riduceva gradatamente. Poi tutto restò immobile.

stava per scendere la notte; e dietro il bosco, fra gli spiragli dei rami, il cieloera rosso come una coltre di sangue.

Giuliano si appoggiò a un albero. Contemplava a occhi spalancati l’enormitàdel massacro, non riusciva a capire come avesse potuto compierlo.

Dall’altra parte del vallone, sul limitare della foresta, scorse un cervo, una cervae il suo cerbiatto.

Il cervo, che era nero e di mostruose dimensioni, aveva corna a sedici ramifica-zioni e una barba bianca. la cerva, bionda come le foglie morte, stava brucandol’erba; e il cerbiatto, chiazzato, le poppava alla mammella senza intralciare il cam-mino.

la balestra fischiò ancora una volta. Il cerbiatto rimase ucciso sul colpo. allora,la madre, guardando verso il cielo, bramì con voce profonda, straziante, umana.esasperato, Giuliano l’abbatté con un colpo in pieno petto.

Il cervo grande l’aveva visto, fece un balzo. Giuliano tirò l’ultima freccia. loraggiunse in fronte, e ci restò piantata.

Il grande cervo non diede l’impressione di averla sentita; scavalcando i morti,continuava a venire avanti, stava per piombargli addosso, per sventrarlo; e Giulianoindietreggiava, spaventato oltre ogni dire. Il prodigioso animale si fermò; e con gliocchi in fiamme, solenne come un patriarca o come un giustiziere, ripeté per trevolte, mentre in lontananza rintoccava una campana:

— Maledetto! Maledetto! Maledetto! un giorno, tu che hai un cuore così cru-dele assassinerai tuo padre e tua madre!

Piegò le ginocchia, chiuse lentamente le palpebre, e morì.

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Giuliano rimase stupefatto, fu poi preso da un’improvvisa stanchezza; e poi undisgusto, un’immensa tristezza lo invasero. tenendosi la fronte fra le mani, pianseper molto tempo.

Il cavallo s’era perso; i cani l’avevano abbandonato; la solitudine che lo circon-dava sembrava minacciare una serie indefinita di pericoli. allora, spinto dal terrore,cominciò a correre per la campagna, scegliendo i sentieri a caso, e quasi immedia-tamente si trovò alla porta del castello.

Quella notte, non riuscì a dormire. sotto il movimento oscillante della lampadaappesa, continuava a rivedere il grande cervo nero. la sua predizione l’ossessio-nava; la combatteva:

— No! No! No! Non posso ucciderli! e poi pensava: — e se invece lo volessi davvero?… e aveva paura che il demonio gli facesse nascere quel desiderio. Per tre mesi, la madre angosciata pregò al suo capezzale, e il padre andava ge-

mendo in continuazione su e giù per i corridoi. Fece venire i medici più illustri, equesti ordinarono tutta una serie di medicamenti. la causa del male di Giuliano,così dicevano, si trovava in un vento funesto, oppure in un desiderio d’amore. Maa ogni domanda, il giovane scuoteva la testa.

Gli tornarono le forze; lo facevano passeggiare in cortile, col vecchio monacoe il buon signore a sostenerlo entrambi col braccio. Quando si fu ristabilito, siostinò a non voler più cacciare.

Pensando di rallegrarlo, il padre gli regalò una grande spada saracena. si trovava in cima a una colonna e faceva parte di un’armatura. Per raggiun-

gerla, bisognava usare una scala. Giuliano salì. la spada, troppo pesante, gli sfuggì

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dalle dita e cadendo sfiorò così tanto il buon signore da tagliargli la palandrana;Giuliano pensò di aver ucciso il padre, e svenne.

Da quel momento, ebbe paura delle armi. soltanto vedere una lama sguainatalo faceva impallidire. Per i suoi familiari, questa debolezza era desolante.

alla fine, il vecchio monaco, in nome di Dio, dell’onore e dei suoi avi, gli ordinòdi riprendere gli esercizi da gentiluomo.

tutti i giorni, gli scudieri si divertivano a maneggiare il giavellotto. Giulianoci mise poco tempo a iniziare a distinguersi. riusciva a infilare il giavellotto nelcollo delle bottiglie, rompeva i denti delle banderuole, e colpiva i chiodi delle portea cento passi.

una sera d’estate, all’ora in cui la nebbia rende le cose indistinte, si trovava nelpergolato del giardino e scorse sul fondo due ali bianche che svolazzavano all’al-tezza della siepe. era sicuro fosse una cicogna; e lanciò il giavellotto.

si alzò un grido straziante. era sua madre, il cui copricapo era finito attaccato al muro assieme ai suoi lun-

ghi nastri. Giuliano fuggì dal castello, e non ricomparve più.

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