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dimpresa riuscita a dare flessibilit al sistema produttivo, ritagliandosi nicchie di
specializzazione, soprattutto attraverso unaggregazione in distretti industriali.
Oggi linnovazione, riguardando principalmente i prodotti e la loro
diversificazione, rende difficile alle imprese pi piccole sfruttare le economie di scala e
competere con successo nel mercato globale. Lattivit di ricerca e sviluppo, cruciale per
linnovazione, nel nostro paese pi bassa della media europea: nel 2010 questa ha
rappresentato l1,2% del PIL rispetto al 2% medio della UE. In particolare, non italiana
nessuna delle oltre 20 regioni europee che hanno raggiunto lincidenza del 3% prevista
dagli obiettivi di Lisbona per il 2010. La quota delle imprese che intraprendono unattivit
di ricerca e sviluppo legata positivamente alla dimensione dimpresa. Infatti, la ridotta
dimensione, rendendo difficoltoso sostenere gli elevati costi fissi connessi con lattivit di
R&S, con lutilizzo delle innovazioni e con la penetrazione sui mercati esteri, finisce per
frenare la produttivit e la competitivit del sistema produttivo. Le imprese italiane
continuano ad oggi a privilegiare linnovazione di processo, in particolare attraverso
lacquisizione dallesterno di macchinari innovativi e di nuovi software. Poche imprese
fanno invece innovazione di prodotto, poich questa richiede centri di ricerca o diprogettazione e limpiego di personale ad elevata specializzazione. Queste forme
dinvestimento sono inoltre pi diffuse tra le grandi imprese e nelle regioni del nord.
Negli ultimi anni sono cresciuti i rapporti di collaborazione con le Universit italiane, ma
anche in questo caso principalmente per le imprese di grandi dimensioni1.
La dimensione rappresenta per le imprese un fattore determinante anche per
rendere conveniente la diversificazione delle proprie fonti di finanziamento. La crescita
dimensionale cos come la capacit dintraprendere e sostenere processi dinnovazione di
prodotto richiedono alle imprese di accrescere il peso dei mezzi patrimoniali tra le proprie
fonti di finanziamento. La diffidenza della PMI nei confronti di una struttura proprietaria
1E in aumento lo sviluppo di imprese spin-offdella ricerca pubblica, create cio da ricercatori e partecipatedagli Atenei, maggiormente presenti in Toscana, Lombardia ed Emilia Romagna. Queste imprese sonoconcentrate nei settori innovativi dei servizi (software, servizi per Internet, per telecomunicazioni emultimediali) e del manifatturiero (automazione e robotica, strumenti e componenti elettronici), sono invecequasi assenti nei settori chimico, farmaceutico e dei nuovi materiali.
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diffusa spiega, in parte, la debolezza di una struttura finanziaria in cui
lautofinanziamento prevale sul conferimento soci tramite aumento del capitale proprio.
La propensione dellimprenditore italiano infatti quella dinvestire in azienda i flussi di
cassa generati dalla gestione corrente senza aumentare il proprio impegno, in termini di
capitale di rischio, oltre la quota originariamente investita. In altri termini, limprenditore
preferisce utilizzare il capitale proprio come garanzia dei finanziamenti bancari. Ampio e
sistematico inoltre il ricorso alla leva di debito (leverage), anche per ovvi motivi fiscali2,
da parte delle nostre imprese. Il peso degli oneri finanziari, a sua volta, riducendo la
disponibilit di risorse interne da investire nellimpresa, costringe la societ a finanziare
il capitale circolante o gli investimenti ricorrendo ancora al debito. Il fatto che oltre i tre
quarti del debito bancario sia a breve termine segnala una liquidit delle imprese bassa e
dominata dal ciclo commerciale, evidenziando come il ruolo delle banche si limiti molto
spesso ad assicurare la continuit nel tempo del sostegno finanziario alla gestione
ordinaria delle imprese, pi che a sostenere prospetticamente percorsi strategici di crescita
e di sviluppo attraverso interventi di finanza straordinaria e di credito a medio-lungo
termine. Anche lelevato peso del debito commerciale (che consente alle imprese didilazionare i propri pagamenti ai fornitori) nasce dalla difficolt di finanziare il capitale
circolante. E evidente come la presenza di rapporti di liquidit inferiori a quelli delle
imprese europee accanto ad una quota di debito a breve superiore sia per le imprese
italiane un elemento di forte fragilit finanziaria, soprattutto in congiunture economiche,
come quella odierna, caratterizzate da crisi di liquidit e da difficolt di rifinanziamento
del credito3.
La dipendenza dal credito bancario da parte delle imprese italiane risulta
particolarmente evidente nel confronto con i paesi anglosassoni, dove i mercati finanziari
sono storicamente pi sviluppati. Nel 20104la quota del finanziamento bancario sul totale
dei debiti finanziari delle imprese italiane stata pari al 67%, mentre la quota del debito
2Deducibilit degli interessi passivi dal reddito imponibile.3Banca dItalia (2010).4G. Carosio (2011), Indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, VI Commissione Finanze,Camera dei Deputati, Roma, 4 maggio 2011.
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finanziario a breve (sul totale debiti finanziari delle imprese) stata del 37%. Nel Regno
Unito questi valori sono stati, rispettivamente, del 27% e del 43%, mentre negli Stati Uniti
sono stati del 33% e del 26% (rispettivamente). Diversamente, il peso delle obbligazioni sui
debiti finanziari delle nostre imprese risulta estremamente contenuto: pari all8% (sempre
nel 2010) contro il 24% del Regno Unito e il 44% degli Stati Uniti. Le differenze, sebbene
meno marcate, si ripropongono anche nel confronto con le principali economie
dellEuropa continentale. Lincidenza della raccolta obbligazionaria strettamente
correlata alla quotazione in borsa delle imprese. Le ampie differenze che si riscontrano
nelle emissioni di obbligazioni tra lItalia e gli altri principali paesi europei si riducono
notevolmente quando si considerano le sole imprese quotate. Per questultime, infatti, il
rapporto tra obbligazioni e debiti finanziari pari a circa il 40% in Italia e Germania e a
circa il 45% in Francia, Paesi Bassi e Regno Unito. Nel nostro paese, la capitalizzazione di
borsa delle imprese industriali (o non finanziarie) rimane molto bassa, pari al 19% del PIL
a fine 2010, contro il 38% della Germania, il 59% della Francia e il 95% del Regno Unito. Il
numero di imprese italiane quotate, includendo anche il segmento finanziario, stato a
fine 2010 pari a 291 (dieci anni fa le imprese quotate furono 276) 5
. A livello aggregato, ilgrado dindebitamento delle imprese italiane, misurato dal leverage, risulta superiore a
quello dei paesi anglosassoni e a quello medio dellarea euro. Inoltre, confrontando anche i
bilanci delle singole imprese operanti negli stessi settori dattivit e con la stessa
dimensione, le imprese italiane risultano (nel panorama europeo) mediamente pi
indebitate.
Le caratteristiche della struttura finanziaria delle imprese sono correlate con la
dimensione delle imprese stesse. In particolare, il livello dindebitamento e la dipendenza
dal credito bancario a breve termine maggiore per le imprese di minori dimensioni.
Lelevata quota del credito bancario riflette le esigenze di un tessuto produttivo costituito
prevalentemente da imprese di dimensioni molto contenute. In Italia le micro e le piccole
5 Ricordiamo come il massimo storico per il nostro paese fu raggiunto a fine 2006, quando il numerocomplessivo delle societ quotate (finanziarie, bancarie, assicurative e industriali) sui mercati di Borsaitaliani fu pari a 311 societ.
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imprese (con meno di 50 addetti) assorbono circa il 70% delloccupazione dellintero
settore industriale, contro il 50% dellEuropa e meno del 40% del Regno Unito.
Nel nostro paese anche il peso del credito specializzato erogato alle imprese dagli
intermediari finanziari non bancari, nelle forme del leasing e del factoring, elevato nel
confronto europeo. Alla fine del 2009 il mercato italiano del leasingera, per consistenza dei
finanziamenti, il secondo in Europa dopo la Germania (in rapporto alle dimensioni
delleconomia era al primo posto in Europa), mentre il mercato del factoring italiano
risultava il terzo pi grande in Europa, inferiore solo a Regno Unito e Francia (ma
lincidenza sul PIL del volume dei crediti ceduti era ampiamente superiore alla media
europea). Ricordiamo come il leasing ed il factoring siano strumenti finanziari utilizzati
dalle imprese in due momenti importanti della vita aziendale: lacquisizione dei mezzi di
produzione (leasing) e la gestione dei crediti commerciali (factoring). Il leasing stato
favorito da significativi vantaggi fiscali per le imprese, oggi in parte superati e rilevanti, in
alcuni casi, solo per il comparto immobiliare. Il factoring permette una gestione efficiente
del capitale circolante, soprattutto nei casi in cui ampie dilazioni di pagamento alla
clientela generino un elevato ammontare di crediti commerciali per limpresa. Entrambe letecniche di finanziamento non richiedono, a differenza di altre modalit di erogazione del
credito, particolari garanzie aggiuntive e sono meno influenzate dalle asimmetrie
informative tra debitore e creditore. Per tali ragioni il credito specializzato ampiamente
utilizzato soprattutto dalle piccole e medie imprese e dalle ditte individuali che, talvolta,
accedono al credito bancario con maggiore difficolt. Nel nostro paese il credito
specializzato alle imprese, pur rappresentando poco meno del 15% del credito
complessivo allindustria, fornisce unimportante fonte di finanziamento esterno per le
imprese che hanno esigenza di ammodernare i processi produttivi e necessit di
smobilizzare in tempi rapidi i propri crediti commerciali.
Soprattutto per queste categorie dimpresa, quelle micro e piccole, i costi daccesso
ai mercati dei capitali di rischio sono molto elevati in tutti i paesi e soltanto nel Regno
Unito le quotazioni raggiungono numeri significativi. La dimensione delle imprese
italiane non esaurisce, tuttavia, le cause del limitato sviluppo della rispettiva struttura
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finanziaria ancora troppo poco orientata ai mercati di Borsa. In Italia, infatti, anche tra le
imprese di medie dimensioni il numero di quelle quotate generalmente inferiore a quello
degli altri principali paesi europei. Ad esempio, secondo le statistiche diffuse nel 2010 da
Eurostat, il numero delle imprese di media dimensione in Francia del 20% superiore a
quello dellItalia, ma il numero di medie imprese quotate in Francia pari a 5 volte quello
osservato in Italia. Le differenze crescono notevolmente se il confronto viene esteso al
Regno Unito, e permangono ancora significative nei confronti degli altri paesi dellEuropa
continentale, come la Germania.
La scarsa propensione delle imprese italiane alla quotazione in Borsa pu
ricondursi ad una serie di fattori causali che, a fini di chiarezza espositiva, possono
raggrupparsi in tre tipologie:
motivazioni storico-culturali; i costi diretti e indiretti di accesso ai mercati dei capitali; lo scarso interesse degli investitori verso le imprese italiane.
Sui fattori di tipo storico-culturale e di conformazione degli assetti proprietari delle
imprese, quali il ruolo del capitalismo familiare e la chiusura dei gruppi che esercitano il
controllo rispetto agli investitori esterni, non facile incidere. Si ricordi come in Italia, tra
le imprese familiari, diffuse anche in molti altri paesi europei, la percentuale di quelle con
managementinteramente costituito dai membri della famiglia proprietaria molto pi alta
che negli altri paesi.
Relativamente alla seconda tipologia di fattori causali, ossia i costi diretti e indiretti
di accesso ai mercati dei capitali, si ricorda come tra i costi diretti figurino quelli che le
imprese devono sostenere per la quotazione e per il mantenimento delliscrizione al listino
di borsa, le commissioni richieste dagli intermediari che offrono tali servizi, le
commissioni dovute (nei mercati regolamentati) alle autorit di vigilanza e i costi di
adeguamento (compliance) alla normativa. Nonostante la complessa articolazione di questi
oneri renda difficile un confronto tra paesi, nel complesso non sembra comunque
emergere una situazione di svantaggio per le imprese italiane che intendano quotarsi.
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Tra i costi indiretti vi sono quelli legati alla trasparenza: la disponibilit dinformazioni
dettagliate, comparabili e credibili un requisito essenziale per gli investitori. Daltro
canto, la produzione e la diffusione delle informazioni pu essere particolarmente onerosa
per le imprese pi piccole e per quelle nelle fasi iniziali del ciclo di crescita. Per tale
ragione sono stati istituiti mercati con oneri informativi pi limitati e con minori costi in
termini di capitalizzazione e requisiti di ammissione a quotazione rispetto al mercato
azionario principale (MTA-MTAX in Italia). Nel settembre 2007, Borsa Italiana S.p.A. ha
infatti istituito per le PMI il Mercato Alternativo dei Capitali (MAC). Lobiettivo del
MAC permettere alle piccole imprese italiane di finanziare i propri piani di sviluppo con
buone prospettive di reddito raccogliendo nuovi fondi sul mercato dei capitali e, quindi,
affrancandosi in parte dal credito bancario, ma senza incidere sul proprio sistema di
governo e sulla propria struttura organizzativa e, soprattutto, senza diluire il controllo
societario. Il MAC si presenta ai piccoli imprenditori italiani come un mercato
privilegiato, ossia riservato esclusivamente agli investitori istituzionali (fondi pensione e
fondi dinvestimento) che possono acquistare le azioni sviluppoemesse dalle PMI quotate
sul MAC. A fine 2010 sono state quotate sul MAC solo dieci societ, ma si stima che ilbacino potenziale possa essere di circa 3.600 imprese. Nel dicembre 2008 ha preso avvio
anche lAIM-Italia, istituito sul modello dellAlternative Investment Market inglese. LAIM
italiano il mercato dedicato alle PMI ad alto potenziale di crescita ed offre a queste
imprese la possibilit di accedere alla pi selezionata platea degli investitori
internazionali. SullAIM-Italia le PMI possono infatti avere accesso ai flussi di capitale
specializzato delle pi importanti piazze finanziarie europee, oltre ad acquisire una
visibilit internazionale e a godere di una flessibilit regolamentare (pari a quella dellAIM
inglese). A fine 2010 si contavano undici societ quotate sullAIM Italia (a fronte di 1.600
societ quotate sullAIM inglese, delle quali 350 non residenti in Inghilterra). Il numero
ancora esiguo di quotazioni sui listini del MAC e dellAIM-Italia riflette la difficolt
oggettiva che questa tipologia di mercati dedicati incontra nelle fasi di avvio, le
resistenze culturali delle imprese italiane verso i mercati dei capitali di rischio e la
sfavorevole congiuntura reale e finanziaria in corso.
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Il terzo insieme di fattori che limitano la crescita dei mercati dei capitali in Italia lo scarso
interesse degli investitori verso le nostre imprese, data la loro bassa redditivit nel
confronto europeo. Analisi comparate condotte su dati di bilancio mostrano come le
imprese italiane, soprattutto quelle di medie e grandi dimensioni, abbiano una redditivit
operativa mediamente inferiore a quella degli altri paesi europei. Inoltre, in presenza di un
debito pi elevato, il peso degli oneri finanziari contribuisce a ridurre considerevolmente
anche la redditivit netta delle nostre imprese. Poich laccesso al mercato dei capitali
spesso il punto darrivo di un processo di crescita e di consolidamento della struttura
finanziaria aziendale, il bacino delle imprese italiane per le quali conveniente la
quotazione in borsa risulta attualmente circoscritto. Infatti, la raccolta dei capitali in borsa
presenta vantaggi in termini di costo per quelle imprese in grado di offrire agli investitori
buone prospettive di rendimento in corrispondenza di profili di rischio contenuti.
Tra i potenziali investitori delle imprese vi sono, oltre agli investitori istituzionali,
anche i private equity operators, intermediari specializzati nellinvestimento in capitale di
rischio, ossia in titoli azionari delle societ non negoziati sui mercati regolamentati.
Nellaccezione prevalente in Europa, il segmento del private equityinclude due principalitipologie dinvestimento: il venture capital e il capital expansion. Le operazioni di venture
capital si rivolgono a imprese giovani e con elevate prospettive di crescita per le quali
laccesso al credito bancario comunque reso difficile dalla bassa redditivit, tipica delle
prime fasi dello sviluppo, assieme alla scarsa dotazione di capitale fisso da utilizzarsi
come garanzia a fronte dei prestiti bancari. Le operazioni di capitalexpansion riguardano
invece imprese mature e hanno come obiettivo o il consolidamento sul mercato di tali
imprese attraverso una politica di ricapitalizzazione (aumento del capitale proprio) o il
sostegno di operazioni di buyout (ossia di acquisizione) al fine di mantenere lefficienza
operativa e gestionale attraverso il ricambio degli amministratori, spesso in occasione della
successione allinterno dimprese a controllo familiare. Di frequente i buyoutcomportano
un accrescimento della leva finanziaria (in tal caso, si definiscono operazioni di leverage
buyout) e si caratterizzano per ladozione di meccanismi dincentivo che legano la
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retribuzione degli amministratori agli andamenti aziendali. Infine, alcune operazioni di
sono finalizzate alla ristrutturazione di aziende mature in crisi.
Levidenza empirica, disponibile a livello internazionale, indica che gli operatori
private equitypossono svolgere un ruolo strategico nel favorire la nascita, la crescita e la
successiva patrimonializzazione delle imprese, soprattutto attraverso le operazioni di
finanziamento early stagee di capital expansion.A fini di chiarezza espositiva va precisato
come le modalit innovative di finanziamento di unidea imprenditoriale, di un piano
aziendale, della costituzione di una societ e, successivamente, del consolidamento e
dellinnovazione continua del prodotto, chiamate sommariamente venture capital financing
operations (ossia, operazioni di finanziamento attraverso capitale di rischio), riguardino tre fasi
distinte del ciclo di vita di una societ, definendosi in questo modo:
i) finanziamento della fase iniziale (early stage financing);ii) finanziamento della seconda fase (second round financing);iii) finanziamento dellespansione o dello sviluppo della societ (expansiono growth
capital financing).
A sua volta la early stagesi articola in tre diversi momenti: pre-seed, seed e start-up. Lapre-
seed (la pre-sovvenzione) finalizzata a finanziare lanalisi e la valutazione dellidea
imprenditoriale, mentre la seed (la sovvenzione) finanzia la definizione del piano
aziendale. Entrambe le modalit di finanziamento necessitano dellintervento di incubatori,
business angels, capitale familiare o operatori pubblici. Lo start-up (o avviamento), fase
riguardante la costituzione della societ, il completamento del prodotto e i primi riscontri
commerciali, finanziato tramite venture capital.La seconda fase del ciclo di vita di una societ, second round, finalizzata al consolidamento
del prodotto e alla ricerca di partnership strategiche finanziata attraverso venture capitale
eprivate equity.
Infine lo sviluppo della societ (capital expansion), realizzato attraverso linnovazione
continua di prodotto, il consolidamento dellorganizzazione, linnovazione commerciale e
di marketing e le acquisizioni, finanziato tramiteprivate equitye la quotazione in Borsa.
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In Italia il comparto del private equity si sviluppato nel passato decennio a ritmi molto
sostenuti. Tra il 2000 e il 2010 il numero degli operatori presenti sul mercato italiano
censiti dallAssociazione Italiana di Private Equity e Venture Capital(AIFI) passato da 84 a
188; nello stesso periodo lattivo dei fondi di private equity gestiti dalle SGR (Societ di
Gestione del Risparmio) cresciuto da 580 milioni di euro a 5,8 miliardi di euro.
Lespansione maggiore si avuta, tuttavia, nel segmento delle operazioni di leverage
buyout, favorite anche dal livello dei tassi di interesse, basso nel confronto storico. Tali
operazioni di acquisizione (leverage buyout) si caratterizzano per un forte uso della leva
finanziaria ed hanno come oggetto soprattutto aziende mature e spesso in difficolt6.
I segmenti di mercato che si concentrano sugli investimenti in imprese giovani e
innovative sono restati, diversamente, relativamente poco sviluppati nel confronto
internazionale. Nel quinquennio 2005-2009, gli investimenti in operazioni di early stage7
sono stati, in rapporto al PIL, circa un sesto della media europea e un decimo di quelli
effettuati negli Stati Uniti. Un ritardo nel nostro Paese si rileva anche nel segmento delle
operazioni di capital expansion, finalizzate alla crescita dimensionale di imprese che gi
operano sul mercato: nel quinquennio 2005-2009, sempre in rapporto al PIL, taliinvestimenti sono risultati pari a circa due terzi della media europea e a circa la met di
quelli effettuati negli Stati Uniti. Solo negli anni pi recenti una frazione significativa delle
imprese italiane che si sono quotate in Borsa sono state precedentemente finanziate da una
societ diprivate equity.
La crescita dimensionale del nostro sistema produttivo potrebbe quindi stimolarsi
anche attraverso lofferta di tali modalit di finanziamento non tradizionali alle PMI e
alle potenziali imprese nascenti. In altri termini, una pi ampia articolazione degli
intermediari e degli strumenti finanziari nel nostro paese potrebbe rendere pi agevole la
6Per le operazioni di buyout lintermediario diprivate equitydetiene una partecipazione che gli garantisce ilcontrollo dellimpresa.7Per le operazioni di early stage, lintermediario diprivate equitydetiene una partecipazione pari in media acirca il 32% del capitale dellimpresa. Sia nei casi di early stage che di expansion sono comunque presentiaccordi che tendono ad attribuire al socio di minoranza, cio allintermediario di private equity, poteri dicontrollo e di monitoraggio sullimpresa finanziata. La quota dellintermediario, relativamente consistente,assieme alla presenza di clausole statutarie e di patti parasociali, consente alloperatore finanziario unapartecipazione sufficientemente attiva alla gestione della societ.
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crescita dimensionale delle PMI italiane attraverso un loro rafforzamento patrimoniale e/o
stimolando processi di fusione e incorporazione.
Sempre nella direzione di sostenere le PMI, il 18 marzo 2010 ha preso avvio il
Fondo Italiano di Investimento per le PMI, finalizzato a favorire il rafforzamento
patrimoniale e i processi di aggregazione tra le piccole e medie imprese italiane in fase di
sviluppo con fatturato compreso tra i 10 e 100 milioni di euro. Il Fondo stato voluto dal
Ministero del Tesoro ed istituito, inizialmente8, dallAssociazione degli Industriali, assieme
allAssociazione Bancaria Italiana, alla Cassa Depositi e Prestiti e alle Banche Monte dei
Paschi di Siena, Intesa SanPaolo e UniCredit. Successivamente, il 24 agosto 2010, Banca
dItalia ha autorizzato la creazione della Societ di gestione del Fondo (Sgr) e approvato il
regolamento del Fondo: il Fondo, con una dotazione iniziale di 1,2 miliardi di euro,
operer per le piccole e medie imprese con una durata complessiva fino a 14 anni, di cui 5
anni per linvestimento, 5 anni per il disinvestimento, pi altri eventuali 2 anni di proroga
per ciascuna fase. Il Fondo si rivolge ad imprese non in crisi ma con buone prospettive di
sviluppo e con un fatturato compreso tra 10 e 100 milioni di euro. Si ritiene che circa 15.000
imprese italiane presentino queste caratteristiche e che il 70% di queste appartengano alsettore manifatturiero. Ogni possibile investimento da parte del Fondo valutato in base
al merito del piano industriale, del progetto di sviluppo e delle capacit del management
dellimpresa di portarlo a termine.
Alla luce di quanto detto, unazione di riequilibrio del bilanci delle imprese appare
condizione indispensabile per lavvio di una crescita nel medio termine. Le risorse
necessarie per finanziarie gli investimenti dovranno assumere la forma soprattutto di
mezzi patrimoniali. Il capitale azionario infatti pi adatto del capitale di debito a
finanziare linnovazione, elemento strategico per sostenere la produttivit e,
conseguentemente, la crescita delle imprese. Il rafforzamento patrimoniale delle societ
potr essere favorito dallo sviluppo delle nuove modalit di finanziamento offerte dagli
8Rispetto al progetto iniziale si allargata la partecipazione del sistema bancario italiano al Fondo ItalianodInvestimento con ladesione dellIstituto Centrale delle Banche Popolari, del Credito Valtellinese, dellaBanca Popolare di Milano, della Banca Popolare dellEmilia Romagna, Ubi e Banca di Cividale.
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intermediari finanziari specializzati. Relativamente al capitale di debito delle societ
questo dovr avere scadenze pi lunghe ed essere meno utilizzato per esigenze di
liquidit.
6. Verso un nuovo modello relazionale banca-impresa
La crisi finanziaria ed economica in atto rende improrogabile unattenta riflessione
sulla validit del nostro modello relazionale banca-impresa, intesa come capacit di
creare sviluppo economico nel nostro paese.
In Italia il rapporto banca-impresa si contraddistinto per una bassa capacit del
sistema bancario di approfondire analisi e valutazioni di rischio-rendimento delle imprese
clienti, cos come per una ridotta capacit di discriminazione ex ante ed ex post tra le
diverse controparti per merito di credito e redditivit prospettica. Le banche, prive della
possibilit di portare avanti una valutazione analitica dei propri affidati (a causa delle
asimmetrie informative), hanno dovuto rinunciare ad un rapporto banca-impresa pi
evoluto, ossia caratterizzato: da politiche di pricingdel credito differenziate per segmenti
omogenei di clientela; da obiettivi di massimizzazione della redditivit e del mark up9
nellungo periodo; da una gestione attiva dei portafogli; ripiegando spesso su politiche di
sussidio incrociato (il multiaffidamento) e sulle garanzie personali.
Il fenomeno del multiaffidamento rappresenta per le nostre banche una sorta di
meccanismo co-assicurativo attraverso il quale queste riducono il rischio legato
allerogazione del credito alle imprese, ripartendolo tra gli altri intermediari creditizi. Per
le imprese, a loro volta, il multiaffidamento uno strumento attraverso il quale poter
massimizzare lammontare del finanziamento bancario minimizzando al contempo i costi
di hold-upche si verificano quando la banca erogatrice, godendo di un rapporto esclusivo
con limpresa, pu sfruttare una posizione di rendita di monopolio. Daltro canto, se il
multiaffidamento ha difeso le imprese dalla dipendenza da una sola relazione, non le ha
rese meno subordinate al credito bancario anche al costo di relazioni meno stabili di quelle
9Il mark up (o anche mark on) il rapporto tra il prezzo del servizio dintermediazione bancaria e il suo costoe rappresenta il margine lordo dintermediazione (o di profitto) della banca.
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tipiche di un modello di relationship banking puro (come quello tedesco e giapponese).
Leccessiva subordinazione al credito bancario da parte delle PMI , a sua volta, legata ad
unelevata avversione al rischio di queste ultime, tipica di una struttura proprietaria
prevalentemente familiare.
Se, per limprenditore ed il banchiere, il modello banca-impresa italiano basato sulla
relazione localistica e sul multiaffidamento risultato tranquillizzante, doveroso
chiedersi seper il sistema economico italiano non rischi oggi di essere penalizzante. E
lecito inoltre domandarsi se il sistema finanziario italiano nel suo complesso abbia saputo
fare emergere ed incoraggiare tutte le iniziative imprenditoriali potenziali, veicolando il
risparmio nella loro direzione. Solo attraverso una migliore distribuzione dei rischi tra
imprenditore, banca e mercati di borsa pu essere possibile migliorare quantit e qualit
delle fonti di finanziamento dellattivit imprenditoriale. Affinch ci sia attuabile
occorrerebbe rafforzare il modello tradizionale della banca locale dotandolo delle
competenze di investment banking tipiche di una banca nazionale ed europea. La banca
dovr quindi superare il tradizionale ruolo di erogatrice di credito per proporsi
allimprenditore nella veste pi matura digestoredei rischi aziendali, offrendo allimpresa:- appropriate tecniche di copertura della volatilit dei tassi, dei cambi e dei prezzi delle
materie prime;
- una pi equilibrata composizione delle fonti di finanziamento aziendale attraverso
lidentificazione di idonee soluzioni di finanza straordinaria e linserimento dellimpresa
nei circuiti mobiliari.
La progressiva finanziarizzazione delleconomia, la necessit di modulare
correttamente le risorse a fronte della tipologia dei progetti dinvestimento e, non ultimo,
limpostazione di una gestione dei rischi in linea con la best practice internazionale
sottopongono la gestione finanziaria delle PMI italiane ad una pressione competitiva
finora sconosciuta. In uno scenario di mercato in cui il sistema produttivo non pu pi
sfruttare le svalutazioni del tasso di cambio nominale per sostenere la propria capacit
concorrenziale, la finanza aziendale diviene uno strumento prezioso attraverso il quale
individuare il migliore profilo rischio-rendimento dellimpresa, sostenere i processi
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dinvestimento in innovazione, perseguire gli obiettivi di crescita e di dimensionamento
competitivo.
In un contesto in cui il controllo del rischio diventa strategico, il rating pu
rappresentare per limpresa un utile strumento di auto-diagnosi attraverso il quale
definire sia gli obiettivi di gestione corrente che valutare costo ed efficienza delle scelte di
struttura finanziaria e di finanziamento degli investimenti. Levoluzione verso un
rapporto banca-impresa pi maturo e virtuoso richiede, infatti, che le banche possano
disporre di tuttele informazioni necessarie per lattivit di monitoraggio delegato, quali:
informazioni quantitative di bilancio affidabili, precise e tempestive; informazioni previsionali di natura economico-finanziaria, desumibili dai business
plan, dai budget aziendali e dai risultati di capital budgeting;
informazioni qualitative relative alla qualit del management, alle strategieproduttive e commerciali, alla struttura organizzativa e alla struttura di governo
societario.
Solo attraverso un ampio e completo set informativo il banchiere potr stimare
correttamente la probabilit dinsolvenza del proprio affidato nei futuri stati del mondopossibili ed erogare un credito migliore, ossia pi consapevole e selettivo.
Diversamente in Italia, nel decennio passato, si sono affermati due diversi modelli di
erogazione del credito che hanno caratterizzato il modo di operare delle banche piccole da
un alto, modello relazionale, e di quelle grandi dallaltro, modello quantitativo. Le piccole
banche valutano il merito di credito utilizzando in misura significativa le informazioni di
carattere qualitativo raccolte attraverso il rapporto diretto con i clienti e grazie
allinserimento nella comunit di appartenenza. Tali informazioni possono essere
rapidamente elaborate e valorizzate tramite una struttura organizzativa snella, procedure
semplici e grazie alla vicinanza al cliente da parte dei centri decisionali della banca. Se
condotta in modo efficace, rigoroso e tracciabile, questa modalit di screening della
clientela, oltremodo semplificata e quasi artigianale, pu portare ad unerogazione
selettiva del credito e al consolidamento dei rapporti tra intermediario e affidati, grazie ad
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un allineamento degli interessi del debitore con quelli del creditore. Diversamente, nei
grandi gruppi bancari il processo di erogazione del credito si basa principalmente
sullelaborazione automatica dei dati relativi alle controparti e su procedure codificate. I
sistemi di rating traducono unenorme massa dinformazioni, prevalentemente di natura
quantitativa, in giudizi sintetici sul merito di credito il cui significato immediatamente
condiviso da strutture aziendali complesse e articolate. Tali tecniche quantitative di
valutazione del credito sfruttano le economie di scala nel trattamento delle informazioni,
consentono di estendere lofferta di credito a soggetti meritevoli ma privi di una rete
consolidata di relazioni, favoriscono la trasparenza e la comparabilit dei giudizi.
Attualmente, la separazione tra i due modelli (relazionale e quantitativo) non cos netta
come in passato. Gran parte delle piccole banche affianca strumenti quantitativi per la
valutazione del merito di credito alla conoscenza diretta del cliente; mentre le grandi
banche hanno predisposto metodi per utilizzare informazioni qualitative nelle procedure
di assegnazione e correzione del rating. Una fascia significativa di banche di dimensioni
intermedie combina in varia misura il modello relazionale con le tecniche quantitative10.
Entrambi i modelli tradizionali non sono comunque privi di rischi. Riguardo almodello piccole banche, il primo limite rappresentato dal grado di efficienza con cui
questa tipologia di intermediari alloca le risorse, fortemente influenzato dal contesto
esterno. Accanto al localismo virtuoso esiste infatti anche il localismo pericoloso, che si
manifesta quando la banca catturata dal territorio di appartenenza e perde la capacit
di valutare efficacemente il profilo di rischio della clientela. Anche il localismo virtuoso
non esente la limiti, che si riscontrano nella recente evoluzione, attuata da alcune piccole
banche locali, caratterizzata da espansione territoriale e diversificazione delle controparti.
Il localismo virtuoso non infatti replicabile nei confronti di clientela lontana, per
localizzazione e dimensione, dallambito tradizionale dinsediamento della banca. Nei
confronti di questa clientela, la banca infatti non dispone di uno specifico patrimonio
dinformazioni qualitative e nemmeno del vantaggio derivante dalla prossimit e dalla
10S. Mieli (2011).
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conoscenza delleconomia locale. Nel 2009, quando il credito alle imprese sub una
flessione del 3% (in virt della crisi finanziaria ancora in atto), sono state numerose le
banche di piccola dimensione che hanno invece evidenziato, negli impieghi verso le
imprese, una dinamica superiore al 10%. Queste piccole banche che hanno dato maggiore
prova di dinamismo fornendo un sostegno importante alleconomia in un momento cos
difficile (nel 2009), rischiano oggi di perdere i vantaggi del localismo se non si dotano di
strumenti idonei a governare il loro sviluppo dimensionale in atto. La crisi ha dato infatti
unaccelerazione al processo di crescita dei piccoli intermediari bancari, che sono andati
allontanandosi dalle zone di insediamento tradizionale ampliando significativamente il
ventaglio delle proprie controparti. Tale crescita dimensionale richiede alle piccole banche
interessate di superare il tradizionale modello relazionale per passare ad una valutazione
del credito basata non pi sulle sole conoscenze qualitative, ma irrobustita dalladozione
di metodologie pi oggettive come, per esempio, i sistemi di scoring quantitativi.
Esemplificativa di tali rischi la strategia di crescita seguita da alcuni intermediari, basata
su impieghi a controparti di dimensioni elevate nei confronti delle quali si fa ricorso ad un
approccio assicurativo: la piccola banca si accoda, senza disporre di uno specificopatrimonio informativo, alle banche pi grandi, mantenendo nei confronti delle nuove
controparti, una quota dinserimento relativamente bassa, ma erogando importi
significativi in rapporto alle proprie dimensioni. Ancora pi rischioso il modello di
crescita fondato sulla rapida espansione territoriale e lacquisizione da altre banche di
personale dotato di un proprio portafoglio di clienti di riferimento: si tratta di uno
stravolgimento del localismo che viene, per cos dire, gestito in outsourcing.
Anche in relazione al modello grandi banche, due problemi restano aperti: da un
alto, la macchina organizzativa, pur disegnata accuratamente, ha bisogno di informazioni
aggiornate per funzionare efficacemente; dallaltro, questa pi adatta alla gestione di
informazioni quantitative rispetto a quelle qualitative, per loro natura difficilmente
elaborabili statisticamente. Il primo di questi problemi stato acuito dalla crisi, poich si
verificata unaccelerazione del mutamento del contesto esterno: linformazione disponibile
diviene obsoleta rapidamente e deve essere aggiornata tempestivamente affinch possano
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assumersi decisioni consapevoli nellerogazione del credito. La capacit di reazione dei
grandi intermediari non si dimostrata, in tale contesto, pienamente soddisfacente: scarso
infatti laggiornamento sistematico del patrimonio informativo attraverso la raccolta di
bilanci infraperiodali e informazioni sul fatturato o sul portafoglio ordini (Banca dItalia,
2011). Inoltre loverride, ossia la possibilit di modificare con interventi discrezionali, ma
motivati, il rating risultante dai modelli quantitativi, permettendo lincorporazione di
elementi rilevanti (di natura qualitativa) per la valutazione delle controparti (ma che i
modelli non riescono a cogliere), non stata valorizzata dalle grandi banche. Inoltre,
grandi e piccole banche sono accomunate dal problema dellaggiornamento e dellefficace
utilizzo degli strumenti di monitoraggio del credito, basati sugli indicatori andamentali.
La crisi ha sottoposto i modelli di valutazione e assegnazione del credito a un vaglio
severo, mettendone in dubbio laccuratezza, soprattutto in relazione alla robustezza dei
parametri computati. Tali parametri, stimati in condizioni di sostanziale stabilit
economica e finanziaria, non rispondevano al requisito regolamentare di incorporare
almeno un ciclo economico, come suggerito dagli organismi internazionali di vigilanza
bancaria11
. La severit della crisi pone oggi il problema opposto: quello di incorporareefficacemente i dati senza introdurre nei modelli unindebita distorsione in senso
recessivo. Il nuovo quadro regolamentare (ossia Basilea 3) conferma la centralit dei
modelli interni delle banche (pur richiedendo uno sforzo di ricalibrazione e ristima dei
parametri) basati sulla combinazione pi efficace di informazioni qualitative e
andamentali, dati quantitativi e analisi prospettiche. Ci significa che la banca erogatrice
deve poter valutare adeguatamente i piani industriali, le possibilit prospettiche del
segmento merceologico (di appartenenza dellimpresa prenditrice), la credibilit
dellimpresa, la struttura proprietaria e la qualit del suo management. Il rapporto banca-
impresa deve evolvere in modo da accompagnare le imprese lungo un percorso di crescita
che preveda una struttura finanziaria pi equilibrata, ossia caratterizzata da maggiori
11Per una disamina del problema si veda, per esempio, A. Di Clemente (2008).
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mezzi propri. Le imprese, a loro volta, devono essere incentivate ad una maggiore
trasparenza informativa e ad un rafforzamento della propria struttura finanziaria.
In questa prospettiva, il nuovo quadro regolamentare (Basilea 3) deve essere visto
come unoccasione per riprendere il percorso, iniziato con Basilea 2, ma rimasto
incompiuto a causa dello scoppio della crisi finanziaria internazionale, verso un assetto
pi equilibrato sia del sistema bancario che di quello industriale, caratterizzato da meno
debito e pi capitale (Draghi, 2011). Per le banche si tratta di comprendere che possibile
sostenere le imprese con strumenti anche diversi dal credito e proporre alle famiglie
prodotti alternativi ai depositi e alle obbligazioni bancarie (attraverso un maggior ricorso
ai servizi di gestione del risparmio, come i fondi comuni dinvestimento e i fondi
pensione).
Bibliografia
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Assifact Assilea - Assofin, Milano, 23 settembre 2010.