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Federalismo e Federalismo

europeo

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Il federalismo nel mondo

greco

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XIII secolo a.C. federazione di principati achei attorno a Micene all’inizio sia stata soltanto temporanea, fatta di

alleanze in vista di guerre e spedizioni. Il capo di questa confederazione era il re di

Micene Era capo dell’esercito e sacerdote della confederazione.

L’occasione della creazione della confederazione achea fu probabilmente la guerra di Troia ma in seguito sembra che si impegnò in una guerra di conquista verso l’Egitto e fu sconfitta. Da quel momento cominciò i declino della confederazione che sarebbe crollata sotto la spinta dei Dori.

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XI e il X secolo a.C.raggruppava tutte le città dell’Attica che era

stata risparmiata dalle invasioni dei Dori e che era stata invece interessata dalle invasioni degli Ioni cacciati dal Peloponneso. L’unione avvenne senza guerre e senza violenza, pacificamente stabilendo un vero sinecismo: unione delle città su una base di uguaglianza tra loro. Un legame essenziale fra gli abitanti era quello religioso: il culto di Atena, unico per tutti.

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A partire dall’VIII secolo, in coincidenza dell’occupazione da parte dei Greci delle coste dell’Asia minore, si determinò il passaggio da un’economia rurale, quale fu quella che caratterizzò il mondo acheo fino al IX secolo, a un’economia commerciale. Ciò coincise con lo sviluppo di poleis dotate di forte individualismo, titolari di esigenze di autonomia e di libertà inconciliabili con il legame federale quale si era realizzato nell’età arcaica.

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associazione di città vicine legate dal culto di una stessa divinità all’interno di un santuario. Gli abitanti celebravano in comune le feste in onore della divinità, finanziavano lo svolgimento dei sacrifici e si incaricavano della gestione del culto. Le Anfizionie dovevano essere molto numerose ma solo di alcune ne è pervenuta memoria.

La più importante è l’Anfizionia Pileo Delfica il cui centro all’origine (IX o VIII secolo a.C.) era nel villaggio di Antela, al confine tra Tessaglia meridionale e Locride Orientale, vicino al passo delle Termopili, dove sorgeva, un santuario in onore di Demetra.

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un’alleanza militare che poteva presentarsi sia come trattato di assistenza tra alleati, sia come accordo di dipendenza tra una città vittoriosa e le città vinte. In questi casi si arrivava alle spondai che mettevano fine alla guerra con trattati di non aggressione o di dipendenza: la città vinta doveva giurare fedeltà incondizionata

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delioattica

peloponnesiaca

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i membri della lega furono chiamati Elleni e non comprendeva i Macedoni in quanto si voleva conservare l’idea tradizionale che in una lega opponeva la città direttrice e gli alleati.

Le città erano legate da una pace perpetua. All’interno delle proprie frontiere ogni città era libera ed

autonoma; non subiva guarnigioni, non doveva pagare tributi, non aveva limitazioni economiche o commerciali.

Era però tenuta a fornire un contingente militare all’esercito federale di cui era capo il re di Macedonia, stratega autocrate di tutta la Grecia.

Sul piano amministrativo le città non rimanevano isolate ma erano raggruppate fra loro in federazioni

 

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Il senso di forte individualità delle città e la rivalità esistente in esse tra il partito dell’indipendenza e il partito macedone determinò la reazione di Alessandro

Nel rivolgersi alle città Alessandro non trattava più con la lega di Corinto ma preferiva le Anfizionie che vennero ristabilite, dapprima quella di Delfi poi quella di Olimpo di cui venne rafforzato il carattere panellenico. E fu proprio durante le Olimpiadi del 324 che Alessandro sciolse le federazioni delle città più potenti e dimostrò di considerare gli Elleni come sudditi.

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La sottomissione delle città greche non coincide però con la fine di un pensiero politico federalista in quanto esso trovava la sua realizzazione nell’aspirazione all’impero universale che Alessandro perseguiva. Il suo progetto era, infatti, quello di costruire uno stato "universale", patria di tutte le genti del mondo, unite sotto la guida di un unico monarca, pur conservando ciascuna la propria lingua, i propri costumi, le proprie tradizioni, la propria identità culturale ed etnica.

Questo grande progetto fu però interrotto dall'improvvisa quanto prematura morte del re avvenuta nel 323 a.C.

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Nascita di tre regni principali(Siria, Egitto,Macedonia)

Nascita di diversi regni minori

Ripresa dell’organizzazione democratica delle città

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Koinon  

Stati federali che erano a volte l’opera di un uomo di stato che voleva unire le città, altre volte l’atto spontaneo di queste che si associavano per difendersi.

Queste federazioni erano così numerose che spesso si fondevano tra di loro ed avevano una struttura per lo più ugualitaria: nelle federazioni dell’età ellenistica nessuna città predominava sulle altre, carattere quest’ultimo che contraddistingueva le federazioni del IV secolo.

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Lega Panellenica di Demetrio Poliorcete (303 a.C.) con cui Demetrio cercò di fare rivivere in un koinon la Lega di Corinto

Confederazione etolica, nata all’inizio del III secolo e che riuniva le città a nord dell’Istmo di Corinto

Lega Achea

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 lega Achea che univa le città di Crotone, Caulonia e Sibari cui si sarebbero poi aggiunte Reggio, Hipponion, Turi e Velia (e forse anche Pandosia).

La lega Achea nel 393 a. C. si sarebbe poi mutata in Lega Italiota in funzione antisiracusana e antilucana.

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Il federalismo nel mondo

romano

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Amicitia – creava un vincolo tra lo Stato romano e un altro Stato consistente nell’impegno reciproco di stabilire e mantenere una pace giusta, duratura e stabile: pia et aeterna pax.

Hospitium pubblicum - veniva utilizzato per attribuire al cittadino dello Stato straniero garanzie e facoltà sul territorio romano, compresa la partecipazione al culto.

Societas – era un vincolo di alleanza politico-militare a scopo difensivo. Comportava l’obbligo reciproco di fornire aiuti militari in caso di attacchi esterni: armi, uomini, navi.

Esempi di societas furono il trattato di Cartagine del 201 a. C. (trattato di pace e alleanza) e il trattato di Astupalaia del 105 a. C.

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la procedura formativa del foedus era accompagnata da una cerimonia religiosa che conferiva alle convenzioni carattere perpetuo e irrevocabile.

Il foedus creava un vincolo perpetuo di alleanza tra Roma e gli altri Stati che prendevano il nome di foederati.

foedera aequa che consacravano una parità politico-militarea tra Roma e lo Stato alleato,

foedea iniqua che conferivano alla civitas romana una insindacabile supremazia derivante dall’impegno dell’altro contraente di “maiestatem populi romani comiter servare”.

Da questo tipo di foedus derivava un notevole e quasi totale affievolimento dello ius belli ac pacis dello Stato contraente che si che si obbligava a seguire la politica romana (fornendo armi, uomini e mezzi e rinunciando praticamente a una politica estera verso gli Stati terzi).

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la Confederazione latina nata nel 493 a. C. attraverso un foedus aequum stipulato con i latini per contrastare i Volsci e gli Equi. Le città della lega si impegnavano alla reciproca neutralità, a difendere il territorio comune dai nemici, a dividere il bottino ma all’interno mantenevano la propria autonomia , la propria amministrazione, costituzione e giurisdizione. Confederazione italica nata da foedera stretti da Roma con popoli non latini. I foedera erano stipulati con singole città o federazioni già esistenti. Si trattava di foedera iniqua e i federati riconoscevano la supremazia di Roma.

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Municipi Colonie civium

romanorum

Colonie latine

Provincie

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L’Unità culturale nel Medioevo

Forme federative emergenti

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L’Europa conobbe un nuovo momento di unità con la creazione del Sacro Romano Impero a opera di Carlo Magno. Sotto il suo diretto governo i vari regni e Stati che componevano l’immenso dominio franco, furono riordinati secondo criteri unitari e la nuova unità che si venne a costituire trovava la sua guida spirituale nel papa e quella politica nell’Imperatore il cui compito era quello di realizzare sulla terra la volontà di Dio.

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Lo scenario politico europeo medievale per lungo tempo sarà caratterizzato dalla presenza ingombrante e cristallizzata di due poteri costituiti: l’Impero e il Papato.

E’ solo dopo l’anno mille che si assiste all’irrompere di un nuovo soggetto politico che agisce in autonomia rispetto a tali poteri e che sarà un elemento di rinnovamento anche in relazione alla rinascita di forme federative di natura politica o commerciale

Ci si riferisce, in particolare alla nascita dei Comuni, fenomeno che caratterizzò soprattutto l’Italia e la Germania in corrispondenza del formarsi nelle città di forme di autogoverno facenti capo alle classi sociali emergenti

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Comuni manifestarono una propensione immediata a connettersi tra di essi per costituire ipotesi politiche reticolari, di

federazioni di città. La Lega Lombarda: arrivò a comprendere

trentasei città del Nord Italia ed ebbe una natura prevalentemente militare

La Lega Anseatica: arrivò a comprendere più di cento città dell’Europa settentrionale e della costa Baltica; acquisì un grande potere in campo commerciale e politico. Fu in grado di sostenere contenziosi con Scandinavia e Russia ottenendo il controllo su diverse rotte commerciali nel Baltico, e arrivò a sostenere nel XIV secolo una guerra contro la Danimarca,  

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Le origini e i primi sviluppi del pensiero federalista

moderno

Le dottrine più propriamente federaliste iniziarono ad

affermarsi soltanto nel corso dell'Età moderna

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padre fondatore del modello federalista "Politica methodice digesta" ci offre

un’immagine antiassolutistica del suo ideale di Stato

partendo dall’idea, mutuata da Aristostele, che l'Uomo sia un'animale sociale e politico, precisa che egli, costruendo la famiglia, prima forma associativa, sviluppa l'impulso alle più ampie forme di partecipazione politica, quali corporazioni, comuni e province.

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Gli associati, pur senza perdere alcuni diritti come quello di proprietà, mettono in comune ciò che serve alla vita sociale e il Bene dell'associazione, che è necessariamente superiore alla somma dei singoli egoismi individuali, viene garantito dal “Summus Magistratus” eletto dai consociati.

Prendendo in considerazioni le complesse relazioni fra i diversi livelli e tipi di associazioni, Althusius disegna un'organizzazione politica di stampo federale fondata sulla sovranità popolare e su un governo decentralizzato (plena confederatio), ben distinta da una mera lega di stati (non plena confederatio).

 

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Il federalista (1787-88)

affermano la necessità di trasformare la "confederazione" delle ex colonie inglesi dell'America del Nord in una vera e propria "federazione" fondata

su una complessa ma efficace divisione dei poteri tra i singoli Stati

e il governo federale.

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giustificano la superiorità dello Stato federale partendo da un’analisi della situazione politica del continente europeo caratterizzato dalla presenza di Stati nazionali accentrati.

il modello di Stato accentrato ha permesso di eliminare la violenza nella vita interna degli Stati in quanto, imponendo ai membri della società il rispetto delle norme giuridiche, ha impedito che essi ricorressero alla forza per risolvere le loro controversie. Ma se la sovranità è la garanzia dei rapporti pacifici, cioè giuridici, all’interno dello stato, essa è, d’altro canto, la causa della guerra nei rapporti fra gli Stati.

in America è necessario creare un potere sovrano che, in quanto superiore ai singoli Stati, sia capace di realizzare la pace perpetua fra gli Stati americani.

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Costituzione del 1787Nello stato federale americano viene attuata la

separazione dei poteri

la popolazione veniva rappresentata dal Congresso

gli Stati potevano difendere i loro specifici interessi nel Senato

Il governo federale era competente nelle questioni comuni di politica estera e di commercio

tutte le altre competenze venivano riservate agli Stati membri

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Progetto per una pace perpetua (1795)

L’uomo di per se stesso, spontaneamente, è portato al male Lo Stato nasce dall’esigenza di porre freno all’egoismo, di porre

fine alla situazione naturale di reciproca violenza fra gli uomini, introducendo un elemento di carattere coattivo, una forza

superiore rispetto agli individui che li costringa, anche loro malgrado, a rispettarsi reciprocamente.

lo Stato come frutto di un patto fra gli individui, di un contratto. Gli individui, come già in Hobbes, per loro convenienza arrivano

a stipulare tra loro un contratto e si mettono d’accordo di rispettarsi reciprocamente sulla base di leggi che accettano tutti

perché lo trovano vantaggioso e ragionevole.

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Relazioni internazionali tra gli Static’è uno stato di costante belligeranza che può

essere superata solo grazie a un’unione tra gli stessi.

La realizzazione di uno “Stato dei popoli”, di una “Repubblica universale” è difficile perché gli Stati non saranno disposti a rinunciare alla loro sovranità per sottomettersi a un’autorità superiore.

Come all’interno degli individui nasce una forza che li porta a cooperare nello Stato, così all’interno dei popoli potrà nascere una forza che li spinge alla cooperazione internazionale.

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Le dottrine federaliste tra Ottocento e Novecento

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Fatta eccezione per gli Stati Uniti, il modello dello Stato federale non ha conosciuto una rilevante fortuna fino alla seconda metà del Novecento in Europa , in un contesto politico dominato dal netto primato del modello dello Stato nazionale di tipo centralistico

si manifestarono durante la Rivoluzione francese nell’aspirazione a trasformare le strutture interne dello Stato attraverso il decentramento del potere politico

corrente girondina che proponeva di trasformare la Francia in un regime federale, attuando i principi di autogoverno delle comunità locali e regionali

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Nel continente europeo, a differenza di quello americano, gli ideali federalisti incontravano ostacoli insormontabili nella loro affermazione per motivi di ordine storico e sociale.

Mentre in America si trattò di unificare Stati che avevano caratteristiche omogenee e che avevano alle spalle pochi anni di indipendenza politica, in Europa si trattava di unire Stati storicamente consolidati nella loro individualità.

Inoltre in America l’abbondanza di risorse disponibili nelle terre disabitate del West impedì le tensioni sociali che invece caratterizzarono il Vecchio Continente e che si manifestarono in una persistente e continua lotta di classe che impedivano il formarsi dei legami di solidarietà indispensabili alla comparsa di una organizzazione politica federalista.

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Mentre al Congresso di Vienna veniva restaurato il vecchio ordine basato sui principi della legittimità dinastica e dell’equilibrio tra le potenze non mancò chi propugnava gli ideali federalisti

Saint.Simon insieme a Thierry scrive nel 1814 l’opuscolo sulla “Riorganizzazione della Società europea” insistendo sulla necessità che per pacificare l’Europa sia indispensabile “riunire i popoli d'Europa in un solo corpo politico, conservando a ciascuno la sua indipendenza nazionale”.

 

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Konstantin Frantz, criticò aspramente la formazione dello Stato nazionale tedesco

Pierre-Joseph Proudhon condannò la formazione dello Stato nazionale italiano

Entrambi seppero prevedere che la fusione dello Stato con la nazione avrebbero accentuato l’aggressività e la bellicosità degli Stati.

Mentre gli Stati nazionali si trasformavano in gruppi chiusi e belligeranti lo sviluppo della rivoluzione industriale, intensificando le relazioni sociali sotto la spinta delle esigenze economiche, richiedeva la formazione di spazi economici organizzati politicamente su scala internazionale.

L’unificazione federale dell’Europa appariva quindi come l’unica possibilità di rispondere a questa esigenza.

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In Pierre-Joseph Proudhon la visione federalista si coniuga con l’esigenza della realizzazione del principio di sovranità popolare proclamato dalla Rivoluzione francese.

Secondo Proudhon la federazione nasce un contratto di natura politica che deve essere sinallagmatico, ovvero non deve essere unilaterale, come è invece il legame che unisce i sudditi ad un monarca.

Essa deve anche essere circoscritta: non qualunque questione deve essere risolta al livello della federazione, ma soltanto quelle che sono state previste già in precedenza dal contratto, altrimenti vi sarebbe un perenne rischio che la federazione si trasformi in uno stato centralizzato qualunque.

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La specificità del contratto federale rispetto ad altri contratti di natura politica è che esso deve comportare qualcosa di più favorevole di quanto i singoli devono cedere per partecipare al patto. Occorre quindi che sia vantaggioso per i membri entrare nella federazione. La ragion d'essere di questo contratto è che esso garantisce di non cadere nell'oppressione. Ed infatti il federalismo di Proudon si pone nei termini strumentali rispetto alla negazione dell’autoritarismo e del centralismo statale e si spinge oltre tanto da sfociare in una visione “integrale” nel momento in cui egli associa al federalismo politico anche quello economico e sociale. Per Proudon infatti anche la proprietà privata è fondamentale per arginare l’autorità dello Stato in quanto assicura autonomia all’individuo e sottrae allo Stato il controllo della vita economico-sociale.

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Pensiero federalista dell’’800 nel Risorgimento italiano

In contrapposizione all'idea centralista che si sarebbe

realizzata con l'Unità d'Italia, si svilupparono tre correnti

federaliste

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“Primato civile e morale degli Italiani”In contrapposizione alle teorie mazziniane,

vagheggiava una soluzione federalista del problema italiano propugnando la

costituzione di una lega federale degli Stati italiani sotto la presidenza del pontefice.

L'illusione di una Chiesa rinnovata e riformatrice durò poco e quando Pio IX prese posizioni reazionarie, Gioberti abbandonò il

neoguelfismo e il federalismo, per una politica unitaria

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Esponente della corrente moderata, con le sue “Speranze d’Italia”, recò un valido appoggio alle tesi svolte dal Gioberti ritenendo però che la federazione di Stati italiani, sotto la presidenza del pontefice potesse trovare attuazione solo grazie all’appoggio militare del re di Sardegna.

 

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Esponenti della corrente laica di tipo repubblicano e democratico entrambi concordavano con il Mazzini per l’ideale repubblicano che ispirava le loro opere ma si discostavano da lui per quello che era uno dei punti essenziali del programma mazziniano: l’unità d’Italia. Ambedue discepoli del Romagnosi e ambedue in relazione con le correnti più vive della cultura europea, essi furono strenui assertori degli ideali del federalismo che difesero con gli scritti, dalla cattedra e dalla tribuna parlamentare.

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Per il Cattaneo, inoltre, l’idea federativa oltre che sul rispetto delle caratteristiche

locali delle singole regioni d’Italia, si fondava su un ampio programma politico che, pur salvando le autonomie nazionali

dei singoli Stati, avrebbe dovuto condurre, in progresso di tempo, agli Stati Uniti

d’Europa.

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Si inserisce a pieno titolo della storia dell’idea federalista.

Pur avendo dedicato tutte le sue forze alla realizzazione dell’unità d’Italia, egli restò sempre fedele all’idea dell’unità dell’Europa e di tutto il genere umano. Infatti, anche se lo Stato nazionale unitario secondo Mazzini è la forma più alta di organizzazione della società è solo attraverso la creazione di una federazione di stati nazionali che è possibile garantire all’umanità un mondo in cui la violenza tra le nazioni sia eliminata alla radice e in cui si possano sviluppare la pace e la solidarietà tra i popoli.

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Anche all'interno della tradizione socialista e marxista si ebbero riflessioni federaliste e, negli anni del primo dopoguerra alcuni politici e pensatori attribuirono alla crisi dello stato nazionale le responsabilità del conflitto e indicarono come alternativa la creazione degli Stati uniti d'Europa

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La prima guerra mondiale aveva fatto emergere una contraddizione, insita negli stati nazionali, tra aspetto politico e aspetto economico dell’organizzazione statuale. Il rapido sviluppo dei livelli di produzione indotti dall’evoluzione dei processi produttivi basati su una industrializzazione sempre crescente e l’espansione esponenziale del capitalismo aveva modificato le relazioni tra i soggetti economici proiettandoli in una dimensione transnazionale di reciproca interdipendenza. La tendenza delle forze produttive a uscire fuori dai confini dello Stato trovava però un ostacolo insormontabile nella struttura nazionale degli Stati e nelle istituzioni politiche preoccupate di proteggere interessi particolari.

Tale contraddizione viene individuata da Trockij come la causa della prima guerra mondiale.

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Guardando con sospetto alla politica germanica all’indomani della prima guerra mondiale, egli metteva in evidenza che l’acuirsi delle tensioni internazionali e la ricerca dello “spazio vitale” al di fuori dei confini tedeschi altro non fossero che la conseguenza del tentativo delle forze produttive di espandersi e organizzarsi su un piano continentale. Il destino degli Stati nazionali quindi era quello di soccombere dinanzi alla violenza della guerra o sopravvivere trovando nuovi equilibri nell’ambito di una organizzazione politica unitaria. Il futuro per l’Europa era l’impero o la federazione.

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In quest’ottica la teoria della “rivoluzione permanente” diventa strumentale rispetto all’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa. Trockij credeva infatti che lo Stato socialista non sarebbe stato capace di resistere contro la pressione del mondo capitalista ostile, ed era quindi necessario che la rivoluzione socialista si sviluppasse anche negli altri Paesi. La creazione degli Stati Uniti d’Europa ne sarebbe stato il coronamento.

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Nello stesso periodo, in Italia, anche Luigi Einaudi metteva in evidenza che la causa della guerra è da ricercare nella sovranità nazionale illimitata degli Stati e comunque la guerra mondiale è l’espressione di un bisogno d’unità dell’Europa. “La prima guerra mondiale - scriveva in La guerra e l’unità europea, del 1948 - fu la manifestazione cruenta dell’aspirazione istintiva dell’Europa verso la sua unificazione; ma poiché l’unità europea non si poteva ottenere attraverso una impotente Società delle nazioni, il problema si ripropose subito”.

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Infatti la sovranità nazionale illimitata faceva sì che federazioni di Stati sovrani fossero impotenti ad impedire le guerre. Anche in Svizzera, come in America, si era giunti alla pacificazione tra gli Stati confederali, solo quando si era passati alla “confederazione unica sovrana delle forze armate, delle dogane e della rappresentanza verso l’estero, fornita di un parlamento unico, rappresentante in un ramo degli Stati confederali, ma nell’altro del popolo di tutta la confederazione”.

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Le dottrine federaliste dopo la seconda guerra

mondiale

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Nell’epoca delle due guerre mondiali e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale il contesto sociale, economico e politico internazionale ha subito repentini e radicali cambiamenti e il federalismo si è andato adeguando a tali cambiamenti assumendo nuove connotazioni e tratti di originalità rispetto al passato. In considerazione di ciò si è sviluppata la teoria federalista designata “nuovo federalismo” che si sviluppa in diverse articolazioni attraverso cui gli autori interpretano il fenomeno federalistico alla luce dei cambiamenti che esso ha subito nel suo processo di adattamento alla realtà contemporanea.

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Vengono quindi messi in evidenza la tendenza all’accentramento (che determina uno spostamento crescente di competenze dagli Stati federati verso lo Stato federale in relazione al controllo di un’economia sempre più globalizzata), lo sviluppo del federalismo cooperativo (mentre nel modello del federalismo classico o dualistico le competenze erano distribuite tra i due livelli di governo prevalentemente secondo il criterio della esclusività, nel modello cooperativo tutte le competenze tendono a diventare concorrenti), tendenza al superamento dell’approccio istituzionale (che riconduce il fenomeno federalista esclusivamente nell’ambito della tecnica costituzionale)

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lo scopo è quello di fornire una giustificazione teorica di strutture politiche di nuova formazione che si sono organizzate secondo caratteri federalistici e che costituiscono espressione di un processo in corso a livello mondiale caratterizzato dalla crisi dello Stato nazionale unitario che tende a trasformarsi in unità politiche plurinazionali, in organizzazioni internazionali di dimensioni continentali e mondiali o tende alla creazione di forme di autogoverno regionale e locale.

In questa prospettiva si collocano i modelli del federalismo come processo, del federalismo integrale, del federalismo come ideologia e del federalismo mondiale.

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Esponenti significativi di questo modello di federalismo sono Carl J.Friedrich e Daniel J.

Elazar.

Il federalismo come processo

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la creazione di uno Stato federale ha luogo o mediante un processo di integrazione (quando due o più comunità politiche si uniscono per risolvere problemi comuni mantenendo ciascuna la propria indipendenza) oppure mediante un processo di differenziazione (quando da una struttura unitaria si passa a un insieme di entità politiche indipendenti che però non mettono in discussione l’unità del quadro politico complessivo.

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Il suo approccio al fenomeno federale in termini di “processo” aiuta a comprendere la portata di tendenze attualmente in corso in cui si ha il superamento dello Stato unitario mediante la creazione di organizzazioni internazionali di dimensioni continentali o sub continentali oppure si ha la tendenza al decentramento del potere e all’autogoverno regionale e locale in seno ai vecchi Stati unitari.

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L’autore spiega che il fenomeno federalista ha origini teologiche in quanto risale al patto tra Dio e l’uomo e tra Dio e il popolo di Israele. E furono pure gli Ebrei che applicarono per primi i principi del federalismo quando nel XIII sec. a.C. le tribù d’Israele si unirono in un patto di tipo federale. Nel corso della storia altri popoli hanno sperimentato istituzioni di tipo federale (le leghe delle città nell’antica Grecia e a Roma, nell’Italia e nella Germania federale, la Confederazione Elvetica, le Provincie Unite dei Paesi Bassi).

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Sarà la nascità degli Stati Uniti d’America a determinare una svolta nella storia del federalismo: da allora, infatti, il termine designerà il fenomeno per cui si ha una distribuzione di poteri tra governo federale e governo degli stati membri e sullo stesso territorio si ha l’esercizio del potere da parte di più governi.

Anche Elazar con Friedrich evidenzia che è in atto un processo di erosione della struttura centralizzata dello Stato nazionale che porta alla nascita verso l’alto e verso il basso di molteplici figure federaliste; e così da una parte nascono confederazioni, unioni doganali, leghe tra Stati, mentre dall’altro si sviluppano le autonomie regionali, le provincie, i distretti nazionali).

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Elazar vede nel federalismo un potente strumento di integrazione politica capace di assicurare il funzionamento di società pluralistiche, per proteggere le minoranze, per risolvere i conflitti etnici, religiosi e nazionali e rispondere al bisogno di pace e solidarietà internazionale,

Elazar ritiene che l’Unione Europea è la regione del mondo che sta percorrendo questa via e che, comunque, il modello federalista sia realizzabile a livello mondiale.

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I teorici del federalismo integrale partono dalla critica delle istituzioni che governano la società contemporanea e che vengono considerate inadatte a gestire una realtà in rapida e continua evoluzione.

Lo Stato accentrato, non lasciando spazio alle organizzazioni intermedie tra l’individuo e lo Stato, ha carattere totalitario e consente all’individuo di partecipare alla formazione delle decisioni politiche solo a livello del Parlamento nazionale

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Secondo Aron e Marc il federalismo è una forma di organizzazione politica che permette di conciliare libertà e autorità e, inteso in tali termini, se ne possono individuare tracce fin dalle epoche più antiche (nella Grecia antica, a Roma, presso i popoli barbari, nel feudalesimo, nell’età comunale).

Gli Stati europei avrebbero avuto la possibilità di organizzarsi in forma federale o accentrata ma hanno scelto questa forma solo perché la via più semplice per liberarsi delle vecchie istituzioni politiche ed economiche in cui sopravvivevano i privilegi delle classi dominanti del sistema feudale.

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Il federalismo prende coscienza di sé solo nel corso del XIX secolo e, grazie al contributo di Proudhon, il federalismo integrale trova la sua formulazione teorica. Il federalismo integrale rivendica il ruolo delle relazioni personali nella realizzazione della libertà e dell’autonomia della persona e precisa che tali relazioni si possono realizzare solo in seno a comunità di dimensioni umane di carattere territoriale o professionale e alla famiglia.

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La creazione della società federalista riposa sull’applicazione di quattro principi: autonomia (tutte le comunità territoriali e funzionali devono potersi autogovernare), cooperazione (evita l’isolamento tra le comunità e permette loro di risolvere problemi comuni), partecipazione (tutti devono poter partecipare al potere decisionale), sussidiarietà (ciò comporta una redistribuzione dei poteri statali a favore delle comunità locali).

Partendo da queste premesse comuni ci sono poi differenze tra i vari autori in merito al ruolo che le diverse comunità devono svolgere nell’ambito della costruzione dell’edificio federale

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Marc sottolinea l’importanza del comune e della fabbrica, cellule fondamentali che assicurano la partecipazione diretta degli individui alla vita politica ed economica limitando l’autorità degli oppressivi centri di potere politico. Altri, come Héraud sottolinea il ruolo della regione i cui confini devono essere costruiti in modo che l’ambito territoriale coincida la composizione etnica al fine di realizzare l’autonomia e la tutela delle minoranze.

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Il progetto noto come “Europa delle Regioni” è stato però criticato perché una federazione europea composta da Stati a dimensione regionale e in cui venisse eliminato il livello nazionale, sarebbe condannata a oscillare tra anarchia e centralismo.

Si sottolinea infatti il ruolo fondamentale dello Stato in quanto articolazioni intermedia tra le regioni e l’Europa: solo lo Stato può essere un contrappeso rispetto al governo europeo e solo lo Stato può risolvere le esigenze che mantengono una dimensione nazionale che, in mancanza di un livello di governo nazionale rientrerebbero nella competenza del governo europeo.

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Il pensiero federalista italiano sviluppatosi nel corso della Resistenza presenta tratti di peculiarità che lo contraddistinguono nello scenario del pensiero federalista internazionale in quanto è con quello italiano che si attua una svolta nella letteratura federalista: con Altiero Spinelli si passa dalla riflessione teorica al programma di azione.

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Dopo essere uscito dal partito comunista cui aveva aderito giovanissimo, Spinelli era da tempo alla ricerca di una strategia di lotta che fosse efficace per contrastare il regime fascista.

Illuminanti furono sia la lettura di due articoli scritti nel 1918 da Luigi Einaudi che predicevano che la Lega delle Nazioni non avrebbe evitata un’altra guerra europea e che proponevano una federazione europea, sia la conoscenza della letteratura federalista inglese degli anni trenta in cui si mettevano in evidenza le distorsioni che il nazionalismo determina sul piano politico ed economico e rispetto alle quali l’alternativa federale appariva risolutiva .

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Il punto di arrivo delle riflessioni di Spinelli è contenuto nel “Manifesto per un’Europa libera e unita”, la cui redazione ebbe termine nell’estate del 1941 e alla cui stesura parteciparono sia Spinelli, che scrisse i capitoli relativi alla crisi della civiltà europea, con uno schema d'organizzazione partitica sovranazionale da realizzare nel dopoguerra, sia Rossi che tracciò un abbozzo delle indispensabili riforme economico-sociali in chiave continentale.

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La proposta che nasceva a Ventotene contemplava “la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in Stati nazionali e sovrani” e la creazione di un solido stato federale.

Secondo Spinelli era necessario creare un vero e proprio Stato federale perché una semplice confederazione non è in grado di garantire il rispetto del diritto internazionale in quanto priva di una organizzazione militare.

Peraltro la realizzazione della federazione europea , vagheggiata già da tanti altri pensatori come possibile ma proiettata in un futuro lontano, era ormai divenuta una meta facilmente raggiungibile perché già gli Stati europei , a causa della guerra, si trovavano già accomunati in un destino comune.

La politica portata avanti dalla Germania aveva inoltre fatto capire a tutti gli Stati che nessuno poteva ritenersi sicuro (non erano infatti valse le dichiarazioni di neutralità) e che le sorti di tutti erano strettamente collegate tra di loro.

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Appena liberato nell’agosto del 1943 Spinelli fondò a Milano il Movimento federalista europeo e si attivò subito nella clandestinità per ricercare un consenso non solo all’interno dell’antifascismo italiano, ma anche su scala europea. Spinelli e Rossi, rifugiatisi in Svizzera, entrarono in contatto con i movimenti di liberazione di altri paesi, francese in particolare; rapporti che portarono alla nascita di un Comité Français pur la Fédération européenne (Cffe) attivo a Lione, e ad una "Dichiarazione federalista degli antifascisti europei" che venne redatta a Ginevra nella primavera del ’44, Tendenze federaliste comparvero inoltre in quasi tutti i paesi europei occupati, dalla Polonia alla Francia.

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Terminata la guerra, mentre venivano ricostruiti gli Stati nazionali e si promuoveva l’integrazione europea con gli strumenti diplomatici, Spinelli si attivò per la realizzazione dell’unità europea.

Convinto che il metodo costituente fosse la sola procedura possibile per realizzare un potere democratico europeo, propugnò la necessità che la Costituzione fosse scritta da un’assemblea costituente europea sia perché è l’unico organo dotato dell’autorità necessaria a elaborare la Costituzione in quanto rappresentativa dei popoli sia perché in un’assemblea democratica le decisioni vengono assunte pubblicamente e a maggioranza a differenza di quanto accade con il metodo diplomatico che prevede decisioni prese in segreto e all’unanimità.

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Spinelli dedicò tutta la sua vita al tentativo di realizzare la federazione europea e le varie tappe, che non realizzarono appieno le sue aspettative, furono senz’altro il frutto di un’attenzione continua che egli pose nei confronti di tale progetto.

Ad oggi due sono i modelli che si fronteggiano in merito alla realizzazione del progetto di unificazione dell’Europa: il funzionalismo e il costituzionalismo

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L’approccio funzionalista è il metodo che consente di integrare settori parziali al fine di creare tra gli Stati una solidarietà di fatto che consenta di facilitare la cessione della sovranità degli Stati nazionali a favore delle istituzioni federali.

L’approccio costituzionale prevede di affrontare direttamente il problema della creazione di un sistema irrevocabile di governo federale.

Ad oggi l’approccio funzionalista ha consentito di percorrere diverse e significative tappe verso la creazione dello Stato federale e, l’ultima in ordine cronologico, è l’entrata in vigore, il 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona.

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E’ stato messo in evidenza che il Trattato ha migliorato il funzionamento democratico dell’Unione in quanto ha rafforzato il ruolo del Parlamento europeo che è stato dotato di nuovi importanti poteri per quanto riguarda la legislazione e il bilancio dell’UE e gli accordi internazionali.

E’ stata esteso l’ambito di applicazione della procedura di codecisione che garantisce al Parlamento europeo una posizione di parità rispetto al Consiglio, dove sono rappresentati gli Stati membri, per la maggior parte degli atti legislativi europei.

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Altrettanto significativo il riconoscimento formale dei diritti dei cittadini europei. Infatti, all’art. 6, il Trattato di Lisbona ha reso vincolante per l’Unione, per le sue Istituzioni e per gli Stati membri la Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.

Nonostante ciò il processo di creazione dello Stato federale europeo non si è concluso per cui è giusto ritenere che mentre l’approccio funzionalista ha consentito di avviare il processo di integrazione europea è l’approccio costituzionale che potrà portarlo a termine.

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Il pensiero politico di Mario Albertini si fonda sul principio basilare che il corso della storia è rappresentato dalla sempre maggiore integrazione dell'umanità, testimoniata oggi dal sempre più inarrestabile e irreversibile fenomeno della globalizzazione. Ma, mentre quest'ultima si sta ampliando sempre più nell'ambito economico e sociale, nell'ambito della politica internazionale si ha ancora una situazione di anarchia basata sul principio dei rapporti di forza che si è venuto ad instaurare fra numerosi Stati nazionali. Tuttavia, questo sistema fondato su Stati che traggono la loro giustificazione dall'ideologia della nazione è oramai in crisi da più di un secolo a causa della sempre maggior influenza assunta dai grandi Stati-continenti come l'URSS e gli USA, nel secolo scorso, e la Cina e l'India oggi.

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Secondo Albertini, per instaurare un vero ordine nelle relazioni internazionali occorre dare vita ad una federazione mondiale che tragga la sua giustificazione dall'ideologia del federalismo. Il federalismo si caratterizza per un aspetto di valore, la pace profetizzata da Kant, un aspetto di struttura, come lo Stato federale ipotizzato da Hamilton, e un aspetto storico-sociale, basato sulle teorie sostenute da Proudhom. Il ruolo di una futura federazione europea è, secondo Albertini, quello di modello al quale ispirarsi per l'instaurazione di una federazione mondiale. A tal proposito Albertini ha posto apertamente nel dibattito europeo il superamento dell'integrazionismo per dare vita ad un vero e proprio processo di unificazione federale

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Nel 1977 a Montreux si è costituito il Movimento che a partire dal 1991 ha preso il nome di Movimento federalista moderno. La nascita di tale movimento, diffuso soprattutto nel mondo occidentale ma presente anche in Giappone, India e in America latina, è collegata originariamente agli esiti finali della II guerra mondiale. Le esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki avevano fatto capire che l’umanità è a rischio di estinzione se non sarà capace di garantire le condizioni di pace che rendono possibile la sua sopravvivenza.

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Nell’età contemporanea la collaborazione a livello mondiale è resa ancor più necessaria dall’evoluzione dei processi di produzione che ormai si realizzano a livello globale determinando movimenti transnazionali di merci, capitali, tecnologie e informazioni e gli esiti finanziari di transazioni e investimenti, lungi dall’esaurire i loro effetti nel contesto geografico in cui maturano le decisioni sono in grado di produrre i loro effetti, spesso nefasti (come dimostrato dalla crisi finanziaria che stiamo attraversando) in qualsiasi parte del mondo.

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L’idea di realizzare uno Stato federale mondiale in cui la limitazione del potere coercitivo dei singoli Stati trovi il suo fondamento nella necessità di prevenire la guerra e garantire la pace e la stabilità appare quindi pienamente giustificato.

Il merito alla strategia per realizzare tale obiettivo il Movimento federalista mondiale si è interrogato circa la capacità dell’ONU di svolgere un ruolo adeguato

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Sottolineando i limiti che tale organismo ha mostrato nel risolvere le situazioni di criticità mondiali il movimento federalista ha proposto due diversi approcci: quello radicale prevedeva la costituzione di una federazione mondiale ignorando il ruolo dell’ONU e quello che prevedeva la riforma dell’ONU per rafforzare e democratizzare questa istituzione.

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Al primo orientamento appartiene Emery Reves il quale ritiene che l’ONU abbia la struttura di una confederazione e che quindi non possa limitare in alcun modo la sovranità dei singoli Stati. E’ necessario invece creare una autorità mondiale che abbia i poteri necessari a impedire agli Stati l’uso della forza e che abbia istituzioni legislative, esecutive e giudiziarie proprie analoghe a quelle che assicurano l’ordine legale e la democrazia all’interno di un Paese.

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G.Clark e L.B. Sohn ritengono invece che lo Stato federale mondiale possa essere realizzato attraverso una riforma dell’ONU che si basa su tre punti: l’adesione all’ONU di tutti gli Stati senza diritto di Secessione, l’abolizione del diritto di veto e il disarmo generale.

Per Hans Kelsen invece il processo che porterà alla creazione della federazione mondiale parte dalla creazione di una Corte internazionale titolare del potere giudiziario e, l’istituzione, nel 1998, del Tribunale Penale Internazionale sembra che ci si possa muovere anche in questa direzione.