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Editoriali 2009-2011

in collaborazione con www.memori.it

www.piazzadelgrano.org

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IntroduzioneCol mese di ottobre scorso abbiamo concluso l’esperienzadel mensile di “informazione, politica e cultura” Piazza delGrano che, due anni prima, di fronte all’evidenza di una cre-scente disaffezione a una politica sempre più autoreferen-ziale, disattenta e incapace di interpretare i bisogni e le spe-ranze dei cittadini, avevamo pensato proprio come stru-mento di provocazione e di stimolo al dibattito politico eculturale della nostra Città, mettendo a disposizione di tutticoloro che ne avessero avuto la volontà, l’intelligenza e il co-raggio un mezzo/luogo fisico per esprimere le loro idee, leproposte e i progetti. Il bilancio dei due anni del mensile loabbiamo tratto nell’ultimo articolo di fondo del numero diottobre 2011, che riportiamo in chiusura della presentepubblicazione. Abbiamo detto allora che la conclusionedell’esperienza del mensile non significava affatto l’abban-dono del progetto politico e culturale che ne aveva motivatola nascita, progetto che anzi stava già proseguendo nella di-versa forma comunicativa del nuovo quotidiano “on line” alquale, non a caso, abbiamo trasferito la testata all’indirizzointernet “www.piazzadelgrano.org”. A fianco del quotidianotelematico abbiamo poi posto mano al progetto della “casaeditrice”, già preannunziato nei mesi precedenti, lanciandoil concorso per la pubblicazione di scritti inediti, “Raccon-ta”, in collaborazione con la casa editrice romana Memori.Gli opuscoli, che mensilmente stiamo distribuendo in 1.000copie, vogliono rappresentare una anteprima dell’attivitàdella “casa editrice”, ma anche riproporre contributi che, ol-tre la contingenza della loro pubblicazione temporale, pos-sono ancora formare oggetto di riflessione, scambio e dun-que dibattitto. Con l’odierna pubblicazione riproponiamoalcuni contributi, che chiamiamo “editoriali” in ragione del-la collocazione fisica che ebbero nelle pagine dei precedentinumeri del mensile, ma senza alcuna pretesa di qualifica-zione “intellettualistica” e tanto meno “opinionistica” (vo-lendo dare alla desinenza “-istica” l’accezione degenerativatipica dei “tuttologi” e peggio ancora degli ultimi arrivati tra

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i sapienti del nulla: i “tecnici”). Ché, anzi, proprio il rifiutodelle “belle opinioni” era stata (e rigorosamente sarà ancoranegli imminenti progetti di ritorno su carta in corso di mes-sa a punto) la cifra qualificante del nostro periodico. Mate-riali di scambio, proposte di confronto, stimoli di dibattito,questo è il significato, lo spirito e lo scopo degli articoli chedi seguito riproponiamo, convinti che i temi trattati, estratticome detto dalle contigenze temporali che li avevano stimo-lati, sono ancora tutti pienamente attuali e aperti alla piùampia discussione. Non è, infine, senza significato che ab-biamo deciso di concludere questa pubblicazione col ricor-do di uno degli eventi forse più “nobili” degli ultimi annidella nostra storia post bellica: la sentenza del Tribunale diTorino che per la prima volta (come atto giudiziario) ha ri-cordato la grande differenza che corre tra il dio pagano delprofitto capitalista e il diritto alla vita dei lavoratori sfruttatida quel capitalismo senza scrupoli. Gli scenari di crisi checi si prospettano, giorno dopo giorno sempre più tetri, deb-bono metterci in guardia dal ritorno (se mai se ne andata) diuna aggressività padronale persino più spietata di quella sinqui conosciuta, capace di mettere sui due piatti della bilan-cia da un lato il bisogno del lavoro e dall’altro lo scambio colrischio della vita.

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UUnn’’ooccccaassiioonnee ddaa nnoonn ppeerrddeerreedi Luigi Napolitano (novembre 2009)La toponomastica sostituisce Giordano Bruno con San Do-menico ma rimane la sua storia, il suo insegnamento. Foli-gno deve approfittarne: cittadini storici e quelli giunti dafuori, esperienze diverse da mettere insieme per una pro-sperità di sviluppo culturale che arricchisce la realtà in cuisi concretizza.La casualità è senz’altro una costante della vita che finiscecon l’incidere profondamente nel quotidiano di ciascuno.Ed è proprio la casualità di esser nato a Nola, città che diedei natali all’illustre filosofo Giordano (alla nascita Filippo)Bruno e la presenza nel mio studio di una stampa comme-morativa che mi offrono la possibilità di porgere all’atten-zione dei lettori queste brevi riflessioni. In un cordiale col-loquio con uno degli esponenti dell’Associazione editricedel giornale, sono venuto a conoscenza della circostanzache la piazza intitolata a San Domenico era, in epoca prece-dente, dedicata a quel luminoso esempio della libertà dipensiero soffocata dall’Inquisizione che fu Filippo Bruno, ilquale (forse per caso!) appartenne all’ordine dei frati dome-nicani assumendo il nome di Giordano all’epoca della suainiziazione ecclesiastica. La fierezza del personaggio e lasua decisione, fino alla morte, nel fermo rifiuto all’abiuradella sua dottrina ben si attagliano allo spirito che pervadela città di Foligno, che ha costituito nel XIII secolo l’unico ba-luardo ghibellino in Umbria ed è stata insignita, a seguitodei pesantissimi bombardamenti subiti nel corso della se-conda guerra mondiale, del riconoscimento di Medagliad’Argento al valor civile per aver “sopportato con fiero com-portamento i bombardamenti e partecipato con intrepidocoraggio alla lotta per la liberazione” (come si legge nel sitoInternet della città). Ancora la casualità, se mi è consentitoincludere nell’ampio significato del termine gli eventi sismi-ci del 1997, ha dettato i tempi e le priorità delle Ammini-strazioni Civiche che si sono succedute a far data da queitragici eventi, assorbendone in maniera preponderante le

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energie e fornendo, tuttavia, risorse economiche necessariea restituire tanti palazzi storici ad un appropriato decoro edalla ultimazione di una serie di opere altrimenti irrealizza-bili, rendendo per un lungo periodo meno palpabile una cri-si economica che ha coinvolto l’intero pianeta con un’inten-sità che tuttora preoccupa non poco. La chiusura di un pe-riodo fatto di emergenze ed il momento contingente, credorendano non più procrastinabile una programmazione diampio respiro che consenta la realizzazione delle tantissi-me vocazioni cittadine siano esse economiche o culturali e,comunque, nel rispetto delle esigenze di tutti i ceti socialinon disgiunte da quelle dei tanti neocittadini provenienti dapaesi e culture diverse ma non per questo meno meritevolidi attenzioni, soprattutto al fine di una corretta canalizza-zione di energie che possono, anzi devono, costituire un va-lore aggiunto e non causa di un’immotivata conflittualitàanche solo potenziale. Un ambiente che mette insieme espe-rienze, ricordi e visioni del mondo diverse porta una pro-sperità di sviluppo culturale che arricchisce la realtà in cuisi concretizza; e che arricchimento deve essere stato quellodi cui frà Giordano Bruno ha gratificato le tante città in cuiha vissuto da esule, emigrante, fuggitivo, scomunicato, mae-stro, fino al tradimento subito dal patrizio Giovanni Moce-nigo. Il compito più gravoso spetta, funzionalmente, all’Am-ministrazione Civica che, supportata dalle forze politicheche la compongono e adeguatamente pungolata dall’oppo-sizione, dovrà creare e coordinare tali processi coinvolgen-do e mediando tra tutte le forze sociali, produttive e intel-lettuali che dovranno fare la loro parte se vorremo vedereappagato il desiderio di un “furore eroico con il quale l’ani-ma rapita sopra l’orizzonte de gli affetti naturali vinta da glialti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto” (De glieroici furori – Giordano Bruno, Londra 1585).

DDrraagghhii ee lluucceerrttoolleedi Sandro Ridolfi (gennaio 2010)Nella nuova rubrica dedicata alla Politica e all’Etica, che ab-

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biamo aperto in questo primo numero del 2010, abbiamovoluto ricordare la figura politica di Enrico Berlinguer; tor-neremo ancora sull’argomento per approfondire e discuterela storia del Pci. Enrico Berlinguer è stato un personaggiopolitico molto discusso nel suo tempo all’interno della sini-stra comunista extra parlamentare; mai tuttavia è statamessa in discussione la sua dirittura morale. Fu Berlinguera porre al primo posto della vita politica la “questione mo-rale” in un momento assai difficile per l’Italia. Nel suo mo-nito Enrico Berlinguer non si riferiva alle ruberie di craxianamemoria, ma a una visione dell’impegno politico inteso co-me servizio ai propri ideali e alla società e non come eserci-zio di un potere presuntuoso e arrogante o, persino peggio,come impiego di sopravvivenza. Si attribuisce a Mao una de-nuncia che recita: «Abbiamo seminato una stirpe di draghi,stiamo raccogliendo lucertole». Oggi guerrigliere dei diritticivili dapprima si strappano le vesti per la libertà del popolotibetano poi, finite le Olimpiadi di Pechino e in vista del-l’esposizione internazionale di Milano con la Cina ospited’onore, dimenticano il Dalai Lama ricordandosi che in fon-do qui siamo cattolici, non disdegnando personali candida-ture a governatorati. Altri accendono fiaccole in difesa dellepopolazioni in fuga dalle guerre etniche del Darfur, del Kur-distan, della Somalia e tante tante altre e poi approvano, ocomunque ipocritamente “tollerano”, i respingimenti in ma-re di quegli stessi fuggiaschi per non dispiacere a un eletto-rato incattivito da una gravissima crisi economica e occupa-zionale. Escort, viados e statuette di metallo riempiono leprime pagine dei nostri quotidiani e delle televisioni. Certa-mente “questa” politica e “questi” politici giustificano unsentimento sempre più diffuso e crescente di disillusione epersino di rifiuto della politica come “cosa sporca”. C’è peròun detto che potremmo così parafrasare: “non domandarticosa fa la politica per te, chiediti piuttosto cosa fai tu per lapolitica”. La politica comincia dalla propria casa, quartiereo posto di lavoro. Bisogna tornare a fare politica, tutti. Leelezioni cadono oramai ogni anno, ma nulla cambia nella vi-

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ta politica se non cambia la partecipazione attiva e quotidia-na del popolo.

LLaa PPooll ii tt iiccaa OOggggiidi Luigi Napolitano (gennaio 2010)Il termine politica ha etimologia greca, è legata alla polis co-me comunità dei cittadini e indica secondo Aristotele l’artedi governare uno Stato, governo che fin dall’epoca greca po-teva realizzarsi, secondo il pensiero del filosofo, in varieforme quali: la democrazia ossia il governo del popolo, l’oli-garchia ossia il governo di pochi, la monarchia ossia il go-verno di un sol uomo. Nell’accezione comune la politica in-dica anche l’attività dell’opposizione, ossia di coloro che,confrontandosi con i governanti e proponendo soluzioni al-ternative, finalizzano le loro iniziative a sostituirsi a questiultimi. Un’ulteriore nozione della politica, sviluppata nel-l’umanesimo, vede in essa un valore, la concepisce come lamodalità più autentica dell’agire umano e implicita nellaformula aristotelica dell’uomo “animale politico” che esaltae contrappone la vita attiva alla vita contemplativa. La vitaattiva si realizza oggi per la maggioranza delle personeesclusivamente mediante l’esercizio del voto che una legge,quanto mai improvvida e approvata nell’indifferenza di co-loro che vi si sarebbero potuto e dovuto opporre, ha limita-to alla scelta dello schieramento, negando la possibilità divalutare all’interno dello stesso le persone più meritevoli edi creare con loro un opportuno, se non necessario, patto difiducia. Un esempio di vita attiva va senz’altro individuatonella manifestazione svoltasi a Roma il 5 dicembre 2009che, senza alcun supporto da parte delle strutture classichedel mondo della politica, grazie agli strumenti tecnologiciche hanno rivoluzionato il mondo delle comunicazioni enon solo, ha radunato in piazza un popolo che, in modo as-solutamente pacifico, ha manifestato le proprie istanze. Lafunzione più autentica della politica resta, comunque, la ge-stione del potere e costituisce, di fatto, una necessità il cuifine ultimo dovrebbe essere il bene comune realizzato nel

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rispetto delle norme e dei sistemi che regolano la vita pub-blica dello Stato. Tuttavia, da tempo, si avverte diffusamen-te in tutti i contesti relazionali, rispetto alla politica, un sen-so di disagio, se non di fastidio. Sensazione che trova il suofondamento nello spettacolo a cui assistiamo quasi quoti-dianamente allorquando i nostri rappresentanti istituziona-li, democraticamente eletti seppur scelti dagli apparati par-titici, si confrontano su argomenti che dovrebbero essere,ma non sempre, anzi quasi mai sono, di interesse generale.Sembrano in questo contesto quanto mai opportuni i conti-nui inviti da parte delle più alte cariche dello Stato ad abbas-sare i toni di un confronto tra le parti mai stato tale, anzi di-venuto scontro violento e dalla natura endemica, che certa-mente non costituisce un buon viatico per affrontare sere-namente le prossime elezioni di marzo, le annunciate rifor-me del sistema giudiziario e fiscale da parte del governo incarica e l’approvazione di tutta una serie di leggi in tema difamiglia, di bioetica, di scuola, di università, di integrazionee di lavoro. Il nostro sistema che può definirsi di democra-zia compiuta, basato in quanto tale sulla pluralità dell’offer-ta politica e, dunque sull’alternanza, non può prescinderedal sentimento di appartenenza alla comunità nazionaleche trova il suo momento politico più alto nella approvazio-ne della Carta Costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio1948 che, a distanza di oltre sessanta anni nei quali il mon-do è cambiato vertiginosamente, necessita di alcuni fisiolo-gici ritocchi che consentano un miglior funzionamento del-la nostra macchina statale dando agilità alle decisioni poli-tiche e trasparenza alla gestione del potere. Tali modifichenon possono, ovviamente, riguardare in alcun modo i dirittidelle persone e le regole costituenti le fondamenta della no-stra democrazia, né le organizzazioni costituzionali nellaloro funzione di controllo. Al fine di rendere democratica-mente compiuto il quadro degli schieramenti che si conten-dono il potere ed essendo ad oggi quanto mai chiara la po-sizione dello schieramento governativo, sembra opportunoche l’opposizione, abbandonando un terreno di scontro ste-

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rile per il bene comune ed una conflittualità interna ai piùincomprensibile, renda conoscibili le sue offerte politichepalesando un progetto chiaro sulle tante questioni relativealla gestione dello Stato e della società.

CCrriitt iiccaa ee aauuttooccrriitt iiccaadi Sandro Ridolfi (febbraio 2010)Nella storia dei popoli e dei governi è accaduto alcune volteche eventi negativi straordinari hanno travolto le pur ottimecapacità e l’onesto impegno dei responsabili del governo.Altre volte è persino accaduto che grazie alla capacità edall’onestà di certi governanti tali eventi negativi hanno avu-to conseguenze di minore gravità. Queste però sono statesempre eccezioni. La “regola” che ci ha insegnato la storia èstata quella di governanti modesti nel gestire la normalità edel tutto incapaci di gestire l’emergenza. Nella cultura co-munista, che non conosce né l’assoluzione garantita delpentimento né la dannazione eterna per l’imperdonabile, lavita sociale e politica viene governata con gli strumenti dellacritica e della autocritica. La prima per indagare sulle ragio-ni degli eventi, comprenderne cause e conseguenze per cor-reggere l’errore e migliorare il futuro; la seconda per accer-tare le responsabilità, riconoscerle ed ammetterle per diven-tare migliori e nuovamente utili. Diceva il Presidente Mao:“Siamo al servizio del popolo, perciò non abbiamo pauraquando gli altri notano e criticano le nostre manchevolezze.Siamo pronti ad accettare la critica dei nostri difetti dachiunque. Se hanno ragione loro, ci correggeremo. Ogni pro-posta diretta a migliorare il benessere del popolo sarà danoi accettata”. L’Italia sprofonda in una crisi economica gra-vissima che certamente viene da lontano, ma che ha trovatonel nostro paese un terreno fertile preparato da politiche digoverno dell’economia insensate e l’Umbria non si sottrae aquesta crisi e critica. La regione “ex bella” sta degradandorapidamente verso una diffusa meridionalizzazione econo-mica, sociale e culturale, sempre più aggrappata a sussidi ead opere pubbliche troppo spesso inutili, scoordinate e fini

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a se stesse. Una dopo l’altra cadono le “eccellenze” e soprat-tutto si va dissolvendo la struttura portante della produzio-ne meccanica di qualità che sin dall’inizio del novecentoaveva fatto di questa piccola regione un punto di riferimen-to nazionale. In pochi anni si sta disperdendo un enormepatrimonio, sia economico che culturale, faticosamente ac-cumulato in decenni di buon governo comunista. Abbiamodi recente assistito ai confronti delle “primarie” che ha(ri)portato alla ribalta personaggi che stanno dimostrandouna longevità politica che insegue da vicino il record di An-dreotti che sino a ieri sembrava irraggiungibile. Eppure nons’è sentita l’eco di una sola critica, tanto meno di pentimentie meno che mai di autocritiche.

II ll PPaaeessee RReeaalleedi Sandro Ridolfi (marzo 2010)Elezioni regionali: chi “corre” e chi non “corre”; decreti mi-nisteriali: chi viene “ripescato” e chi resta “fuori”; interventidel Capo dello Stato: chi “ossequia” l’Alta Carica e chi nechiede l’“impeachment”; pronunce di tribunali: chi “subi-sce” le nuove regole ad hoc e chi le “ignora”; e ancora risseparlamentari, voti di fiducia, immunità a “tutti i costi”. La“governance” dello Stato, delle Regioni, della Pubblica Am-ministrazione in genere la fa da padrona nella stampa, nelletelevisioni, nell’attenzione del dibattito politico, culturale(se così si può chiamare la bagarre in corso) e sociale. Ma lasocietà, il così detto “Paese Reale”, dov’è? Non possiamo enon vogliamo affatto sminuire o sottovalutare l’importanzadella definizione degli assetti di potere e di governo del Pae-se nel senso più ampio e in tutte le sue articolazioni centralie locali; ma ci poniamo con forza la domanda: il governo diquale Paese? Se dovessimo per un attimo paragonare il Pae-se una azienda (e non andiamo lontano da una ideologia datempo dilagante) diremmo che stiamo assistendo a una ris-sa all’interno del Consiglio di Amministrazione tra chi vuoleassumerne la presidenza, chi le deleghe con tanto di poteried emolumenti, chi “sotto sotto” si occupa invece dei suoi

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“benefit” particolari (comprese le carte di credito per i “bi-sogni sessuali”); ma l’“oggetto” dell’amministrazione dov’è?L’azienda è allo sbando, la barca affonda, il Paese sprofondain una crisi gravissima, eppure la “ciurma” e i passeggeri diprima classe sembrano non curarsene, continuando a can-tare e ballare (o a “scannarsi” tra di loro) nei lussuosi salonidei piani alti. Usciamo dalla metafora per denunziare e cer-care, per quello che è nelle nostre possibilità, di riportarel’attenzione sulla gravità della crisi economica e occupazio-nale che sta colpendo il nostro territorio. Una fabbrica di ol-tre mille lavoratori è oramai data per “morta”. Mille dipen-denti diretti, altrettanti se non di più nell’indotto nel sensopiù ampio, incluso quello dei servizi anche commerciali.Duemila o più famiglie a rischio di reddito “zero”. Facciamouna semplice moltiplicazione e potremmo immaginareun’intera cittadina di adulti, giovani, anziani e bambini, del-le dimensioni più o meno di Trevi o Montefalco, in immi-nente rischio di disoccupazione e povertà assoluta. Tante leresponsabilità che vengono da lontano: a partire dalla in-competenza di imprenditori “fasulli”, dalle regalìe dello Sta-to a fondo perduto, dalle distrazioni di fondi e mancati in-vestimenti, dalla totale assenza, soprattutto, di ogni con-trollo e governo dell’economia nazionale abbandonata al-l’arrembaggio degli speculatori. Ma tante anche le respon-sabilità più recenti fino a quelle di oggi: a partire dall’assen-za di un serio piano di intervento pubblico che sta esponen-do quel complesso aziendale, oramai fermo da oltre un an-no, al rischio di uno “spezzatino” sfacciatamente speculati-vo, ancora una volta basato sulla “caccia” ai finanziamentipubblici, qualunque essi siano e da dovunque provengano,ma comunque senza alcuna seria prospettiva aziendale peril futuro. Per quello che possiamo contribuire con questoperiodico locale abbiamo allora deciso di modificarne, perquesto numero, l’impostazione, dedicando la prima paginaalla lotta degli operai della Merloni in difesa del loro postodi lavoro, delle loro famiglie, della loro dignità umana. Ciauguriamo che anche la “politica politicante” del nostro ter-

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ritorio abbia la sensibilità e l’intelligenza di fare altrettanto,abbandonando le logiche puramente elettoralistiche di chi“vince” e chi “perde”, per assumere la priorità della difesa edella cura del “Paese Reale”, del lavoro e dei lavoratori sulquale e sui quali “dovrebbe” essere fondata la nostra Repub-blica.

LLaa ppooll ii tt iiccaa cchhee vvoorrrreeiidi Luigi Napolitano (aprile 2010)Educare alla legalità significa elaborare e diffondere la cultu-ra dei valori civili, con la consapevolezza della pari dignità Ho vissuto il giorno della maturità scolastica come quellodella liberazione da una incomprensibile costrizione, dura-ta tredici anni, alla quale mi vedevo sottoposto da un inspie-gabile obbligo di legge e dal tacito accordo tra i professorie i miei genitori. Il tempo ha, naturalmente, modificato que-sta mia iniziale visione della vita scolastica e fatto apprez-zare, valutandolo con occhio diverso, sicuramente reso piùmaturo e addirittura affettuoso dal tempo, il lavoro di chi,con uno sforzo ciclopico, ha cercato di instillare giorno do-po giorno nella mia mente l’importanza della conoscenza edella formazione. In una società dove i lavori manuali piùumili a breve saranno, probabilmente, svolti da droidi e cheoggi vengono svolti prevalentemente da persone costrette,per esigenze di vita primarie, ad abbandonare i loro paesi diorigine, appare fondamentale il ruolo della scuola a cui so-no legati i problemi dei docenti. Sono loro, infatti, il pilastroportante dell’intero sistema e la loro formazione, che pre-vede un excursus severissimo e il confronto quotidiano congli studenti e le loro famiglie, unitamente a programmi ade-guati e condizioni ambientali soddisfacenti, meriterebberogrande attenzione e profusione di mezzi. In questo conte-sto appare quanto meno riduttiva la discussione oggi in at-to, basata prevalentemente sulla preoccupazione di conte-nere i costi di gestione del mondo scolastico. Il diritto allostudio, che può consentire a ciascuno il miglioramento dellapropria condizione di vita, è e deve essere considerato un

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bene primario di ciascuno, ma soprattutto della società. Delpari appare inspiegabile che di un altro bene primario qualeil diritto alla salute e dell’assistenza sanitaria si parli esclu-sivamente in termini di costi e di tagli alla spesa, elementiquesti che, di fatto, pongono dei forti limiti al servizio, han-no reso impossibile la ricerca e allontanato dal nostro paesele menti migliori. Un paese civile ha l’obbligo di garantire atutte le persone presenti sul suo territorio una corretta edesauriente assistenza sanitaria che non può svilupparsi sen-za adeguati investimenti nella ricerca. Ancora difficile dacomprendere è la scarsa attenzione al mondo del lavoro, al-le difficili condizioni in cui operano le aziende con la con-seguente ricaduta a carico dei lavoratori e alla sicurezza incui operano. Anche qui è apparso quanto meno singolare iltentativo di introdurre una norma che, laddove il contrattocollettivo di lavoro non arriva, avrebbe attribuito al ministrodel Lavoro il diritto di disciplinare la materia consentendol’inserimento nel contratto individuale di una clausola com-promissoria che avrebbe affidato la risoluzione delle con-troversie tra datore di lavoro e lavoratore ad un arbitro an-ziché al giudice. Non è un caso, dunque, che il Presidentedella Repubblica abbia rimesso il testo della legge alle Ca-mere in quanto una norma siffatta sembra aggirare il dispo-sto dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e violare il prin-cipio della parità nella stipula del contratto di lavoro che, inseguito alle modifiche proposte, definire giusto appare ar-duo. Altresì sono caduti in una sorta di oblio, argomenti chehanno occupato la scena mediatica in maniera prepotentequali la regolamentazione dei rapporti di fatto delle coppie,il testamento biologico, la legge sullo studio delle cellulestaminali e sulla fecondazione assistita. Né si ode alcun ac-cenno circa la tutela dell’ambiente, del territorio e la gestio-ne delle risorse idriche ed energetiche che un’avventurosaliberalizzazione del mercato vorrebbe affidata a privati. E’su questi argomenti, quasi tutti di rilievo Costituzionale,che avrei pensato, ma forse mi appare più corretto dire de-siderato, si sviluppasse il dibattito tra coloro che si sono

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candidati ad amministrarci in vista dell’ultima tornata elet-torale. Non entro nel merito dell’esclusione della lista di unimportante partito dalla competizione elettorale laziale, es-sendo stati fin troppo dibattuti la vicenda, i dubbi, gli aspet-ti che poneva e in particolare quello relativo al rispetto sem-pre e comunque della legge, ma dopo aver ascoltato le con-siderazioni degli eletti a presiedere regioni importanti comeil Piemonte e il Veneto, già precedute da quelle di esponentidi spicco della stessa parte politica nei confronti del meto-do farmacologico per l’interruzione precoce di gravidanza,ossia la pillola RU486, mi piace concludere ricordando pri-ma di tutto a me stesso, ma anche a chi avrà la pazienza dileggere queste mie considerazioni, il concetto di legalità edi educazione alla stessa, diffuso nel sito web del Comunedi Firenze. “L’educazione alla legalità ha per oggetto la na-tura e la funzione delle regole nella vita sociale, i valori dellademocrazia, l’esercizio dei diritti di cittadinanza. Educarealla legalità significa elaborare e diffondere la cultura dei va-lori civili, consente l’acquisizione di una nozione più pro-fonda dei diritti di cittadinanza, partendo dalla consapevo-lezza della reciprocità fra soggetti dotati della stessa digni-tà. Essa aiuta a comprendere come l’organizzazione della vi-ta personale e sociale si fondi su un sistema di relazioni giu-ridiche, sviluppa la consapevolezza che condizioni quali di-gnità, libertà, solidarietà, sicurezza non possano conside-rarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, vo-lute e, una volta conquistate, protette.”

LLaa GGrreecc iiaa ee llee mmeerraavviiggll iiee aaccrroobbaatt iicchheeddeell ccaappiittaa ll iissmmoodi Sandro Ridolfi (maggio 2010)La Grecia, ovvero il dissesto del bilancio pubblico della Gre-cia, è da alcuni giorni sulle prime pagine di tutti i giornali;quando questo articolo verrà pubblicato probabilmente cisaranno stati sviluppi che potrebbero avere cambiato il qua-dro politico ed economico attuale. Il tema di questo articolotuttavia, anche se mosso dalla drammaticità dell’attualità,

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va oltre quest’ultima e vuole parlare di un aspetto per cosìdire “universale” del capitalismo contemporaneo: della suacapacità di trarre profitto anche dalle più grandi dis-grazie.E’ opinione comune, o almeno questo è il risultato del con-dizionamento mediatico, che la crisi economica della Greciasia dovuta agli eccessi di benessere dei propri cittadini, allaloro ignavia, alla loro corruzione morale ed economica. Inparte è vero; ma quali le origini e le ragioni? Come mai unpopolo modesto, lavoratore e onesto ha potuto divenire incosì poco tempo un popolo di parassiti appesi ai sussididello Stato, affascinato da improvvisi e immeritati (in veritàpiccoli e miserabili) privilegi? La ragione è tutta nella naturacorrotta e corruttrice dell’economia e della cultura capitali-sta. Da sempre (troverete nelle pagine interne un brano diPlatone che oltre duemila anni fa denunziava proprio i dan-ni nefasti di queste politiche) la concessione al popolo “bue”di regalie immeritate, di privilegi illegittimi e di quant’altrodi illecito e illegale è stato un potente strumento di control-lo da parte delle classi governanti. Per dilagare nella suanuova versione del libero e sfrenato “mercato globale”, il ca-pitalismo ha dovuto “oscurare” l’intelligenza dei popoli e loha fatto scientificamente, sollecitandone i lati “oscuri”, cor-rompendolo e rendendolo complice delle sue ingiustizie eillegalità. Al popolo greco il capitalismo ha elargito “a pienemani” le briciole delle sue sempre più grandi e sempre piùconcentrate ricchezze, per comprarne il consenso o almenoun colpevole silenzio. Dove sono allora le vere ragioni dellacrisi economica della Grecia? Sono nella insaziabile sete diricchezza delle nazioni già più ricche. Il disavanzo del bilan-cio greco è interamente dovuto a un eccesso di importazio-ni che ha portato ad un indebitamento estero insostenibilee, guarda caso, proprio nei confronti di quegli Stati che oggi,arrogantemente e spocchiosamente, ne censurano gli ecces-si delle modeste politiche sociali. Il debito dell’economiagreca ha sostenuto il grande arricchimento di quella tede-sca. Ora proprio la Germania è chiamata a salvare la Grecia,finanziando quel debito che è stato contratto, come detto,

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in grande parte proprio con lei stessa. In sostanza dunqueuna “partita di giro”. Ed ecco la doppia acrobazia del capi-talismo. Col prelievo dalle tasche dei propri cittadini la Ger-mania (probabilmente) sosterrà il debito greco; la Grecia si-curamente non lo rimborserà, almeno non tutto o comun-que non in tempi “ragionevoli”, ma nello stesso tempo, in-vece, lo rimborserà subito e con altissimi interessi. La Gre-cia, contabilmente risanata, continuerà a importare beni so-cialmente inutili (enorme è la spesa militare) a prezzi altis-simi, “fuori mercato”, proprio dalla sua finanziatrice Ger-mania, la quale dunque si ripagherà con gli interessi dellasua odierna “pelosa” generosità. Ma a chi andranno i bene-fici di questi (indiretti) rimborsi? In parte certamente a so-stegno dell’economia e quindi di tutti i cittadini tedeschi,ma in parte, in buona parte, nelle tasche dei padroni del-l’economia tedesca. Meraviglie del capitalismo! Il popologreco pagherà con enormi sacrifici il risanamento della pro-pria economia, il popolo tedesco sosterrà in parte tali oneri,i padroni guadagneranno due volte: sul debito greco e sullasua restituzione col sovrapprezzo delle importazioni. Toc-cherà anche a noi? Ultima meraviglia: l’euro scende, ma an-che il petrolio (in dollari!) “stranamente” scende, le indu-strie europee rinforzano la loro competitività… anche que-sto sulla pelle dei greci.

II ll ppaarrttii ttoo ddii mmaaggggiioorraannzzaa rreellaatt iivvaadi Luigi Napolitano (maggio 2010)Le ragioni del non voto. Gaber e De Andrè tra i sostenitori.Cambiare tutto perché nulla cambi. Smarrimento o sceltapolitica?Sono rimasto profondamente colpito dalla simpatica vignet-ta pubblicata a pagina dieci nello scorso numero di questogiornale nella parte che diceva “fa molto pensare che circatrenta elettori su cento in Umbria abbiano scelto di non vo-tare”. Ritengo, infatti, che la Regione Umbria sia stata fin quiegregiamente governata e, seppur lo spettacolo offerto dalpartito di maggioranza della coalizione che da sempre de-

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tiene il potere, in occasione delle elezioni regionali diquest’anno, non è stato dei più esaltanti, pensavo che la re-gola da cui discende l’indissolubile legame tra l’esercizio diun diritto, definito dalla Costituzione inequivocabilmenteall’art.48 “dovere civico” e lo status di cittadino, fosse dimaggior presa sull’elettorato di questa splendida regione.Ho così cercato di approfondire le cause di un fenomenoche su scala nazionale, alle ultime elezioni, è andato ancheoltre la percentuale umbra portando il numero degli aste-nuti a sfiorare la quota del trentasette per cento rendendo-lo, di fatto, il maggior partito del Paese. In questo lavoro misono subito imbattuto in una datata intervista a Giorgio Ga-ber che, scoprendosi deluso da uno Stato che non funziona-va affermava “il senso della parola democrazia si è annac-quato ed è ormai perso in un mare di finzioni tanto che ilcittadino vota sempre meno nonostante si tenti di condizio-narlo” e nei versi di Fabrizio de Andrè che dice “votare as-somiglia a quell’ora d’aria che ti concedono in galera primadi tornare dietro le sbarre, di respirare la stessa aria di unsecondino non mi va perciò ho deciso di rinunciare alla miaora di libertà”. Entrambi denunciano, in tempi non sospetti,alcuni guasti dell’apparato democratico, mostrando un’in-sofferenza verso un sistema che stabilisce ciò che è beneper il singolo in quanto componente della comunità e nontiene conto di ciò che il singolo vuole per sé. Altro puntofermo degli iscritti al partito del non voto è che il gratificatodal voto deve rappresentare gli interessi di chi lo ha votatobilanciandoli con gli interessi altrui e non metterli da partedopo aver intascato il voto. Ancora vengono denunciate: lacorruzione; le campagne elettorali imperniate sulla violenzaverbale dispensata dai candidati a piene mani, vissute tra li-tigi ed animosità al limite dello scontro fisico, sempre incen-trati su differenze artificiali e prive di fondamento, utilizza-ti per nascondere l’assoluta mancanza di differenze reali trai due poli che si contendono il governo del paese; gli slogandemagogici miranti unicamente a far leva sulla stantia esempre più improponibile scelta di campo tra destra e sini-

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stra come configurate e proposte dai politici d’oggi; il disa-stroso esito di iniziative che sembrava dovessero determi-nare svolte epocali nella vita politica italiana. Il referendumdel 1993 indetto con l’obiettivo di abbattere la partitocrazianon ha certo bonificato il sistema dalla partitocrazia ma so-lo causato qualche operazione di maquillage. Il tanto magni-ficato maggioritario si è risolto prima nel “Mattarellum”, poiaddirittura nel “Porcellum”, l’abolizione del Ministero del-l’Agricoltura ha portato alla nascita del Ministero per le ri-sorse agricole, lo stop al sistema del finanziamento pubbli-co dei partiti è stato ignorato. Tutto ciò che con i voti refe-rendari si era creduto di buttare fuori dalla porta è rientratodalla finestra. D’altronde i meccanismi non cambiano facil-mente se già nel “Gattopardo” Giuseppe Tomasi di Lampe-dusa aveva sottolineato come per le classi dominanti delmeridione l’obiettivo era quello di cambiare tutto, affinchénon cambiasse nulla. Infine, ma non da ultimo, viene indica-ta la totale padronanza della scena politica da parte di unamaggioranza che non sviluppa alcun utile dibattito per lasocietà e l’assenza di una credibile proposta alternativa chedetermina un vuoto rispetto al quale non si intravvede al-cun tentativo che lo possa colmare. Da tutte queste indica-zioni si è formato in me il convincimento che il non voto piùche esprimere uno smarrimento dell’elettore sia un chiaroinvito, molto politico, indirizzato alla nostra classe gover-nante a ricercare gli elementi che consentano una riqualifi-cazione del dibattito e una maggiore attenzione ai problemidei cittadini più che a quelli delle persone che la politica ge-stiscono.

LL’’eevvaassiioonnee ee ll ’’ aammbbuullaannzzaa.. SSoocciiaa ll iissmmoo oobbaarrbbaarriieedi Sandro Ridolfi (giugno 2010)Da lungo tempo, si potrebbe dire da sempre, sentiamo dire(e alla fine tutti facciamo il coro) che un male endemico,quasi epidemico, dell’Italia è l’evasione fiscale (una volta sidiceva anche il lavoro “sommerso”, ma questo “indice” eco-

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nomico è da un po’ di tempo scomparso dal lessico politi-co-economico, chissà perché). In Italia si pagano tasse (im-poste!) esageratamente elevate che penalizzano lo sviluppoeconomico e la gestione della “macchina” pubblica, colpadell’evasione che se fosse efficacemente combattuta porte-rebbe nelle casse dello Stato più risorse. Più risorse, certo,ma da destinare come e a cosa? Non all’aumento dei servizipubblici in senso lato, non alla sanità, non alla scuola (pub-blica), non alla ricerca (pubblica), non alle pensioni o allostato sociale in genere, voci tutte da “tagliare” drasticamen-te per abbattere il così detto “disavanzo pubblico”. E alloraa cosa? Ad abbattere il carico fiscale alle imprese, a finan-ziare le imprese, a finanziare e sostenere l’economia priva-ta. Ma in cosa si sostanzia in verità l’evasione fiscale? Esat-tamente nella stessa cosa, denaro delle imprese (grandi, me-die e piccole, anche piccolissime artigianali e commerciali)che, evadendo le imposte, di fatto, almeno in parte, reinve-stono il “prodotto” dell’evasione nel sostegno alle proprieattività. Vero questo, cosa c’entra la lotta all’evasione fiscalecon lo sviluppo economico? Nulla! La lotta all’evasione fisca-le assolve a un principio etico, di equità e onestà e, sostan-zialmente, è diretta a sostenere i fabbisogni della “macchi-na” pubblica (è almeno dalla Dichiarazione dei diritti del-l’uomo e del cittadino della rivoluzione francese del 1700che il concetto di imposte è legato alla sostegno della spesapubblica). Un problema etico, dunque, e non economico.Perché confondere i due termini, perché imputare alla im-moralità fiscale (sia chiaro: un crimine gravissimo) ciò cheinvece è legato a un altro fenomeno? Perché imputare allacattiva morale di tutti i cittadini quello che invece è il pro-dotto di una, a voler giudicare bene, incapacità di una classeimprenditoriale cialtrona e contoterzista, a volerla giudicare“meglio”, a una distrazione a fini personali da parte dei si-gnori di quella classe degli utili prodotti dalle proprie im-prese industriali e commerciali? Serve a confondere le idee,a depistare l’attenzione e l’intelligenza dei lavoratori dal ve-ro “male endemico” della nostra economia capitalista fatta

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da capitalisti senza capitali, da speculatori senza imprese,da cialtroni che vivono di sovvenzioni pubbliche (delle tassepagate dagli altri, appunto) per farne ricchezza personalesempre più grande, sempre più concentrata. La confusioneè divenuta tanto grande che persino quei politici che do-vrebbero combatterla l’hanno assorbita fino a farne bandie-ra dei loro progetti di riforma devastatrice dei principi stes-si dello stato moderno, etico e sociale. “Non gli mandiamol’ambulanza” (a chi non paga le “tasse”) ha detto un “certo”leader della opposizione! Ma sì, togliamo i diritti fondamen-tali della persona umana, quelli chiamati diritti “naturali”. Eintanto smantelliamo lo stato sociale, smantelliamo i servizipubblici, smantelliamo l’industria pubblica, quella a cui sideve “realmente” il “miracolo” economico dell’Italia del do-poguerra. Aveva ragione Rosa Luxemburg quando diceva“socialismo o barbarie”, il socialismo è stato abiurato, stia-mo andando verso la barbarie.

CCaall iiggoollaa ee ii ll ssuuoo ccaavvaall lloodi Luigi Napolitano (luglio 2010)Il disprezzo per le istituzioni non soffre l'usura del tempoUno degli aneddoti della storia dell’impero di Roma che, piùdi altri, ha colpito la mia immaginazione di scolaro, è statala nomina a senatore da parte dell’imperatore Caligola delsuo cavallo il cui nome, pare, fosse Incitatus. Non riuscivoad immaginare la presenza di un cavallo nel Senato, luogo,pensavo, costruito per ospitare persone ma, soprattutto,non riuscivo a capire cosa a-vrebbe potuto “dire” e fare In-citatus in un contesto che mi avevano insegnato esser depu-tato a ospitare dibattiti e decisioni circa gli interessi e il fu-turo della Città. La curiosità per questa vi-cenda, che poi hoscoperto essere una leggenda, nata forse da una semplicedichiarazione di Caligola, mi ha indotto negli anni dell’ado-lescenza ad andarla ad approfondire. Ho così appurato cheil breve impero di Gaio Giulio Cesare Germanico, detto Ca-ligola, fu caratterizzato oltre che da comportamenti strava-ganti, eccentrici e talvolta addirittura depravati da una serie

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di atti che tendevano a una continua umiliazione della clas-se senatoria, il cui culmine sarebbe stato raggiunto col de-creto di nomina del cavallo che esprimeva il disprezzo del-l’imperatore per il Senato. Questo ricordo temporalmenterisalente alla mia vita scolastica e riposto negli archivi dellamemoria, mi è tornato in mente leggendo le cronache legatealla nomina di un nuovo ministro, alle vicende conseguentied alle reazioni che ha scatenato all’interno della stessa par-te politica di appartenenza. La nomina a ministro di un de-putato della maggioranza, già sottosegretario alla Presiden-za del Consiglio, effettuata inizialmente “per l’attuazionedel federalismo”, deve essere apparsa agli occhi dell’incon-sapevole titolare del dicastero per le Riforme per il Federa-lismo, una grave deminutio, in quanto si è affrettato a di-chiarare, corroborato da analoga dichiarazione del titolaredel ministero dell’Economia e delle Finanze, che unico re-sponsabile del federalismo è lui. La funzione del nuovo mi-nistero è divenuta così “per la sussidiarietà e il decentra-mento”. Soddisfatti dalla modifica, il rilievo che i politici diappartenenza leghista hanno mosso alla nomina è statoquello di dichiarare che “l’unico errore fatto è stato quellodi aver dato una delega sbagliata al neomini-stro in quantotoccava il federalismo che è, invece, una cosa della Lega”. Aquesta nomina, alle modalità di individuazione delle funzio-ni ed alla repentina modifica non hanno fatto seguito, nelmondo politico, particolari commenti negativi fino a che iltitolare del nuovo ministero, dopo soli cinque giorni, ha ec-cepito, in base alla legge, il legittimo impedimento a parte-cipare all’udienza del processo sul tentativo di scalata adAntonveneta in cui è imputato ed ha motivato la richiesta disospensione del processo con la necessità di organizzare ilnuovo ministero, circostanza questa smentita addiritturadal Quirinale che ha fatto presente che il nuovo ministero,essendo tra quelli senza portafoglio, ossia privi di autono-mia di spesa, non hanno una loro struttura. A seguito del-l’intervento della più alta carica dello Stato e di numerosiesponenti politici non solo dell’opposizione ma anche della

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sua parte politica, il neoministro ha rinunciato al legittimoimpedimento. Nonostante la vicenda si sia chiusa con la ri-nuncia al legittimo impedimento e con le dimissioni del mi-nistro, non stupisce che, dopo la locuzione “leggi ad perso-nam”, sia stata coniata quella di “ministero ad personam”.A margine di ciò, voglio ricordare che i ministri (dal latinominister che significa servo, inteso come servitore dello Sta-to per quel determinato ambito), normati dall’art.92 dellaCostituzione, sono i capi dei ministeri (intesi come impor-tanti organi amministrativi dello Stato Italiano, distinti dauna specifica competenza con struttura molto complessa),nonché membri del consiglio dei ministri, che dirigonol’azione amministrativa e adottano le decisioni di maggioreimportanza. E’ evidente pertanto il prestigio di una tale po-sizione, così come il rispetto che coloro i quali la esercitanodovrebbe manifestare. Essendo l’impero di Caligola duratosolo quattro anni e, assistendo nel nostro paese da moltipiù anni, oltre che all’episodio descritto, anche a tanti altridi cui sono piene le cronache, quali l’acquisto di case di cuinon si conoscono gli autori dei pagamenti, vendite di palaz-zi nel centro di Roma a cifre di gran lunga inferiori al lorovalore reale, esecuzioni di lavori pubblici appaltati a sodalie amici in totale disprezzo delle regole, condanne anche adiversi anni di carcere di per-sonaggi che rivestono carichepubbliche di primo piano, concludo con l’augurio per noitutti di uscire, quanto prima, da un letargo verso la continuaviolazione di valori etici fondamentali nel quale sembriamocaduti da troppo tempo.

LLaa ffeeccoonnddaazziioonnee aassssiissttii ttaadi Luigi Napolitano (novembre 2010)Occorrono risposte soddisfacenti alle esigenze di una ma-teria in continua evoluzione. E’ legittimo soddisfare il desi-derio di maternità superando un limite della natura?Le recenti polemiche sollevate da esponenti della ChiesaCattolica sull’assegnazione del premio Nobel per la medici-na al dottor Robert Edwards, padre della fecondazione as-

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sistita e, dunque, realizzata al di fuori del corpo della donnae la richiesta della prima sezione del Tribunale Civile di Fi-renze alla Corte Costituzionale di pronunciarsi circa la le-gittimità della norma con la quale si vieta alle coppie sterilidi accedere alla fecondazione eterologa, ossia con ovuli oseme donati da persone estranee alla coppia, ha riportatoall’attenzione dell’opinione pubblica il problema della legit-timità dell’intervento della scienza su un evento, considera-to per millenni un mistero imperscrutabile, quale la pro-creazione ed i limiti che alla stessa possono e/o devono im-porsi. Da sempre, basti pensare al processo a Galileo, laChiesa Cattolica e il mondo scientifico contrappongono leloro diverse vedute su tanti fenomeni legati all’innovazionescientifica, per cui è normale che il contrasto divenga piùduro quando l’argomento del contendere è la vita umana.Compito del legislatore, in casi come questo, è di regola-mentare la materia nel rispetto degli argomenti delle partiin causa ma, soprattutto, delle esigenze della comunità cheamministra. In Italia, fino al 2004, anno di promulgazionedella legge 40, la materia era affidata alla coscienza degliaspiranti genitori ed al rispetto della deontologia medica. Sierano ritenute possibili la stipula del contratto di maternitàsurrogata con il quale una donna poteva impegnarsi, gene-ralmente dietro corrispettivo, a ricevere l’embrione di unacoppia sterile al fine di farlo sviluppare e con l’obbligo, do-po il parto, di consegnare il bambino, senza alcuna ingeren-za futura, alla coppia committente la quale avrebbe assuntotutti i diritti e i doveri propri dei genitori; la fecondazionesia omologa, ossia con ovuli o seme provenienti dalla cop-pia, che eterologa, con possibilità di accesso a tali tecnichesia di coppie non sposate che di donne single. Il sorgere diproblemi riguardanti questa attività, hanno richiesto, neltempo, l’intervento sempre più frequente della Giustizia, laquale ha decretato l’illegittimità della revoca del consensoalla fecondazione eterologa dei mariti, prima consenzienti,mediante l’azione di disconoscimento della paternità, lanullità del contratto di maternità surrogata per mancanza

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nell’oggetto dei requisiti di possibilità e liceità oltre che perl’impossibilità di dedurre in obbligazione prestazioni con-sistenti nel concepimento dello sviluppo fetale del nascitu-ro, l’illegittimità del rifiuto di un medico, basato esclusiva-mente sul divieto posto da norme deontologiche, ad im-piantare, dopo la morte di uno dei coniugi, embrioni crio-conservati. Dopo una battaglia parlamentare, più politica eideologica che scientifica, sotto la spinta di forti pressioniesterne che hanno pesantemente condizionato esponentidel mondo politico i quali, nel loro privato, raramente pos-sono definirsi rispettosi dei dettami di chi quelle pressioniha esercitato, il 19 febbraio 2004 è stata approvata in par-lamento la Legge n.40 “Norme in materia di procreazionemedicalmente assistita”, confermata nel 2005 seppur per ilmancato raggiungimento del quorum, da un referendumabrogativo. Il testo normativo, che ha recepito alcune indi-cazioni della giurisprudenza, non sembra aver dato soddi-sfacenti risposte alle esigenze ed alle problematiche con-nesse alla delicatezza ed all’importanza di una materia incontinua evoluzione; esempio ne siano l’obbligo di impiantodi tutti gli embrioni prodotti, che impedisce, di fatto, di ese-guire una diagnosi pre-impianto e la disparità tra cittadiniabbienti e non, in quanto il divieto di fecondazione eterolo-ga è aggirabile andando a svolgere la pratica in paesi dove èammessa. Ragioni per le quali, relativamente agli articoli piùcontestati, da parte di tanti tribunali civili e soprattutto del-la Consulta, ha subito un lento ma progressivo smantella-mento che l’ha privato di senso e di autorità. Valga da ulti-ma la sanzione inflitta dalla Corte Europea di Strasburgoall’Austria, la cui normativa conteneva un analogo divieto difecondazione eterologa, dichiarato illegittimo perché discri-minatorio ed invasivo della sfera privata. Appaiono, infine,condivisibili le critiche alla legge, mosse con una lucida ana-lisi, che ha riscontrato nella stessa due obiettivi fortementeideologici quali la legittimità di un solo modello familiare,costituito dalla coppia stabile ed eterosessuale e la premi-nenza della posizione giuridica dell’embrione rispetto a

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quello non solo della coppia ma della madre stessa nonchéuna sostanziale avversità alle tecniche di procreazione me-dicalmente assistita che trova il suo culmine in un atteggia-mento discriminante nei confronti dei nati grazie a tale tec-nica, quale il loro inserimento per legge in un apposito regi-stro. Condivido pienamente le parole del neo-premio Nobelper la medicina “Nulla è più speciale che avere un figlio. E’la cosa più importante della vita”, penso che un neonato,concepito naturalmente o con tecniche medicalmente assi-stite, sia sempre frutto d’amore e provo grande apprezza-mento per la scienza quando aiuta a superare un ostacolonaturale, tentando di soddisfare il desiderio di maternità didonne che, per vari motivi, non riescono ad appagare in mo-do naturale questo loro legittimo desiderio, per cui auspicouna rivisitazione della legge che, nel rispetto della persona-lità di tutte le parti coinvolte da queste tecniche ne sappiacogliere, libera da pregiudizi, tutti gli aspetti veramente ri-levanti.

““SSaanniittooppoollii”” uunnaa qquueessttiioonnee ppeennaallee..DDiirriittttoo aallllaa ssaalluuttee uunnaa qquueessttiioonnee ppoolliittiiccaadi Sandro Ridolfi (dicembre 2010)Ci è stato chiesto come mai questo giornale non ha parlatodelle inchieste penali in corso presso la ASL, il Comune e laVUS. La risposta è già nel titolo. Le questioni penali, se talisono e come le riterrà la magistratura, competono a que-st’ultima. Alla politica, alla quale invece si ispira ed è dedi-cato questo giornale, compete la ricerca e la critica delle ra-gioni che hanno reso possibile una così grande deriva mo-rale che prescinde comunque dall’accertamento di fatti dirilevanza penale. La difesa e la concreta assicurazione deldiritto alla salute e alla buona amministrazione in genere èstata una prerogativa di merito della nostra regione dall’im-mediato dopoguerra sino almeno alle ultime amministra-zioni comuniste. Constatare il degrado di un tanto grandepatrimonio morale, culturale e sociale è il fatto più graveche emerge dalle indagini della magistratura penale. Se ab-

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biamo il diritto, ma anche il dovere, di lamentare e denun-ciare inefficienze, insufficienze, scarsità di qualità dei ser-vizi erogati dalle strutture sanitarie, amministrative e di ser-vizi pubblici nella nostra città è perché alcuni decenni ad-dietro un grande numero di cittadini impegnati, onesti ecompetenti, sotto la guida di un grande Partito Comunistae con la forza di una vasta partecipazione e consenso popo-lare, hanno saputo creare queste realtà, facendo emergerela nostra città e la nostra regione dalle devastazioni della se-conda guerra mondiale all’eccellenza di un sistema socialemoderno, equo e solidale. Alla vicenda della buona ammini-strazione municipale dedichiamo l’inserto di questo nume-ro, alla lungimiranza, ma anche al coraggio delle scelte edell’impegno nella difesa e nell’affermazione del diritto allasalute vogliamo dedicare questo articolo. Citeremo un’espe-rienza di assoluta avanguardia destinata a restare nella sto-ria della medicina e della salute pubblica, ovviamente percoloro che vorranno e sapranno ricordarla, difenderla e pro-seguirla. Il 13 maggio 1978 il Parlamento italiano ha appro-vato la legge n. 180, universalmente nota con il nome di“legge Basaglia” dal suo ideatore e promotore, lo psichiatraFranco Basaglia (anche se va ricordato che tale legge, e in ge-nere il pensiero medico scientifico che la muoveva, è statoparimenti merito anche della moglie Franca). La “legge Ba-saglia” costituisce ancora oggi, a oltre 30 anni dalla sua pro-mulgazione, la normativa in materia di salute mentale piùavanza del mondo. La “legge Basaglia”, tuttavia, a oltre 30anni dalla sua promulgazione, non ha ancora trovato nel no-stro paese compiuta applicazione, tante sono state e sonoancora le resistenze non solo, o non soltanto, scientifiche,quanto soprattutto culturali ed economiche. 30 anni di stra-ordinarie esperienze e risultati non sono bastati a fugare unquasi ancestrale rifiuto per il disagio mentale come malattiasociale e anzi, proprio in questi ultimi tempi, si sta assisten-do a una regressione culturale che rigetta il malato mentalenel recinto del “diverso”, dei tanti diversi: asociali, omoses-suali, tossici, immigrati, così detti abilmente diversi ed

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emarginati in genere. Una società che corre, che compete inun mondo globalizzato, che parla inglese, sembra non potertollerare la presenza dei “diversi”: i matti vanno di nuovorinchiusi nei manicomi oggi chiamati strutture protette, idasabili mentali, meglio noti col nome di “ritardati”, vannoespulsi dalle scuole degli abili e di nuovo ghettizzati nelleapposite differenziali (questo sarà l’esito della abolizionedegli insegnanti di sostegno). Più di 30 anni fa non era così,non era questo il sentimento culturale, morale, sociale e po-litico della nostra città e della nostra regione. La salute men-tale era di competenza della Provincia che gestiva la rete de-gli ospedali psichiatrici, cioè dei manicomi, uno persino im-ponente in rapporto alle dimensioni della città di allorac’era anche a Foligno, in via Oberdan, negli edifici oggi oc-cupati dalla Università. Quando nel 1978 entrò in vigore intutta Italia la “legge Basaglia”, in Umbria non vi fu alcunaconseguenza perché era già stata applicata da almeno undecennio. Un giorno di diversi anni prima, infatti, operaidella Amministrazione della Provincia cominciarono a de-molire, silenziosamente e senza alcun clamore propagandi-stico, l’alto muraglione che, praticamente nel cuore della cit-tà di Perugia, circondava il vasto ospedale psichiatrico. Imatti, così venivano ancora chiamati ma con confidenza esimpatia e senza paura o disprezzo, iniziarono a uscire dalloro carcere, a spargersi nella città, a vivere come uomini li-beri “diversi” in mezzo a tutti gli altri uomini liberi ma tutti,comunque e ciascuno in modo proprio, “diversi”. Di quel-l’evento è stata incisa la memoria in due lungometraggi gi-rati uno dal regista Marco Bellocchio col titolo di “Matti daslegare” e l’altro dal regista Gianni Serra col titolo di “For-tezze vuote”, quest’ultimo proprio nell’ex manicomio di Pe-rugia. Quella scelta non fu certamente facile né per chi ladecise, né per quanti se la trovarono nella loro vita quotidia-na. C’era allora una grande spinta culturale e soprattuttoc’era grande partecipazione, fiducia e rispetto tra gli ammi-nistrati e i loro amministratori. Non era certamente “Atlan-tide” e vizi e difetti, piccoli e gradi, sicuramente abbondava-

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no anche allora, ma contro questi, quando eccedevano edemergevano, non c’era bisogno dell’intervento della magi-stratura, prima arrivava il giudizio e, se dovuta e necessaria,la condanna di una cittadinanza attenta e partecipe. C’eraun grande Partito comunista.

LLaa ffaammiiggll iiaa ddii ffaattttoodi Luigi Napolitano (dicembre 2010)L’intervento dello Stato sul rapporto di convivenza, invasio-ne di campo o tutela di diritti? Uno degli argomenti che, al pari delle comete di corto perio-do, appare di tanto in tanto sulla scena politica nazionale èquello legato ai rapporti di coppia non regolamentati dalmatrimonio ed in particolare alla rilevanza che gli stessi as-sumono per la società in cui si realizzano. Un’ampia discus-sione su questo argomento si è avuta nel periodo successivoalle elezioni politiche del 2006 quando la coalizione uscitavincitrice, comprendente tutti i partiti del centrosinistra,pose all’ordine del giorno dei lavori parlamentari il proble-ma dei diritti civili e del riconoscimento delle unioni dellecoppie di fatto sia etero che omosessuali. L’epilogo di quellabreve stagione governativa è noto, ma va detto che il corsodell’iter legislativo del disegno di legge, prima indicato co-me Di.Co. (Diritti e doveri delle persone stabilmente convi-venti), poi con l’acronimo CUS (Contratto di Unione Solida-le), per le forti contrapposizioni createsi a seguito delle cri-tiche di incoerenza rispetto all’impostazione originaria de-finita nel programma dell’Unione, fu abbandonato dallastessa parte proponente, ancor prima della fine della legi-slatura. A difesa del legislatore, per la mancata promulga-zione di una legge specifica, va detto che l’argomento è digrande delicatezza per le implicazioni sociali che ne scatu-riscono, per le difficoltà concrete che si pongono nella pra-tica quotidiana e per il principio secondo il quale il dirittodeve dare certezze non potendo fondarsi, in alcuna circo-stanza, su dichiarazioni di parte. La nostra Costituzione,all’art. 29, recita “La Repubblica riconosce i diritti della fa-

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miglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Delpari l’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Dirit-tidell’Uomo afferma “Uomini e donne in età adatta hanno ildiritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcunalimitazione di razza, cittadinanza o religione... La famigliaè il nucleo na-turale e fondamentale della società ed ha di-ritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”. L’orien-tamento di entrambe le norme citate sembra essere quellodi individuare la funzione primaria della famiglia nell’am-bito riproduttivo della società sia da un punto di vista bio-logico che socio-culturale basata sul matrimonio inteso co-me l’istituto giuridico da cui scaturiscono una serie di effet-ti normativamente regolamentati. Il termine matrimonio na-sce dall’unione di due parole latine mater, madre, genitricee munus, compito, dovere; il matrimonium era, dunque, neldiritto romano un compito della madre. Su questi presup-posti, bisogna valutare quali siano le tutele che lo Stato de-ve, o meglio dovrebbe, dare alla famiglia di fatto, priva diun’unità coniugale, che fonda il rapporto solo sul sentimen-to di affetto ed amore. Nessun dubbio sorge circa la capaci-tà socio-culturale di una famiglia non basata sul rapportomatrimoniale e circa i diritti dei figli che il nostro ordina-mento ha quasi del tutto equiparato, siano essi legittimi, os-sia nati in costanza di matrimonio, naturali, ossia nati dagenitori non sposati, o riconosciuti, ossia per i quali i geni-tori hanno posto in essere un atto formale di riconoscimen-to. Indipendentemente dalla condizione di nascita devono,infatti, essere mantenuti, cresciuti ed educati da entrambi igenitori secondo le possibilità familiari e nel ri-spetto delleloro inclinazioni ed hanno diritto ad una quota di eredità invirtù del vincolo di pa-rentela che li lega al defunto. Solo percompletezza di informazione aggiungo che i figli naturali,in caso di matrimonio dei genitori, divengono legittimi. Uni-co elemento discriminante per i figli naturali è dato dal fattoche i nati all’interno di una convivenza sono in rapporto so-lo con gli a-scendenti, ossia nonni e bisnonni e non con i col-laterali, ossia zii e cugini. Più problematico è invece indivi-

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duare le tutele a favore del convivente. Da alcuni giuristi latutela più rilevante è stata individuata nel disposto dell’art.2 della Costituzione laddove recita “La Repubblica ricono-sce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come sin-golo, sia nelle formazioni sociali”. Altre ne esistono in am-biti più circoscritti, delineati da alcune leggi e dalla giuri-sprudenza quali: la possibilità di succedere nel contratto dilocazione in caso di morte del convivente e, in presenza difigli naturali quando cessa la convivenza; il diritto al risar-cimento del danno per morte del convivente provocato daun fatto illecito di un terzo; il diritto di ricevere prestazioniassistenziali dai consultori familiari. Nessun diritto patri-moniale è riconosciuto, invece, al convivente in tema suc-cessorio e di reversibilità pensionistica. Nè allo stesso è con-sentito, sul solo rapporto di convivenza, qualora l’altro ab-bia bisogno di un intervento medico urgente, autorizzarlo.In questo contesto bisogna interrogarsi circa la necessità diun intervento legislativo che, stabi-lendo delle regole, sot-trae spazio alla libertà di chi ha scelto la convivenza comestile di vita e che potrebbe surrogare la previsione legislati-va con una serie di strumenti giuridici per la regolamenta-zione degli aspetti patrimoniali della convivenza, attuabilianche nelle more di risoluzione di un precedente matrimo-nio, i cui tempi non sono, in genere, lunghissimi. E’infattipossibile autoregolamentarsi contrattualmente prevedendola ripartizione delle spese quotidiane e non, la suddivisionedei beni in caso di separazione, la disposizione testamenta-ria del patrimonio, la designazione di un amministratore disostegno per il caso che un’infermità o una menomazionefisica/psichica provochi l’impossibilità di provvedere ai pro-pri interessi, la redazione di un te-stamento biologico checonsente, per l'eventualità di una malattia allo stadio termi-nale o di una lesione traumatica cerebrale invalidante ed ir-reversibile o in previsione di una futura incapacità, di det-tare disposizioni inerenti alle cure mediche cui si intende omeno essere sottoposti. Essendo i rapporti delle coppie ete-rosessuali già giuridicamente disciplinati dal matrimonio,

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istituto la cui normativa può e deve essere adattata all’evo-luzione della società, appare quanto me-no singolare la ri-chiesta di norme di tutela per chi non abbia ritenuto oppor-tuno assoggettarsi a quelle esistenti. Il Codice civile italiano,nulla prevede a proposito della diversità di sesso degli spo-si, ma in alcuni articoli contiene le parole moglie e marito,previsione che ha fatto ritenere ad alcuni Tribunali fondatal'impossibilità di celebrare un matrimonio omosessuale. LaCorte Costituzionale, recentemente, ha respinto come inam-missibili ed infondati i ricorsi sui matrimoni dello stessosesso poiché ha ritenuto la questione non di sua competen-za. Tali pronunce, seppur giuridicamente motivate, privano,di fatto, di qualsiasi diritto e/o tutela le coppie tra personeappartenenti allo stesso sesso. Essendone il numero in co-stante crescita, avendo il Parlamento Europeo emesso unaRisoluzione che invita gli Stati membri ad abolire ogni di-sparità di trattamento delle persone con orientamento omo-sessuale e in particolare ad eliminare gli ostacoli frappostial matrimonio ovvero ad un istituto giuridico equivalente,garantendone pienamente diritti e vantaggi, stante la sem-pre più manifestata propensione di tali coppie alla loro uf-ficializzazione, sembrano maturi i tempi per una regola-mentazione legislativa che elimini una disparità discrimi-nante.

CCrrooll llaa PPoommppeeii ,, ssccaaddee llaa mmoorraallee,,mmaa ii nnoossttrr ii ppooll ii tt iicc ii rreessttaannoo iinnaammoovviibbii ll iidi Luigi Napolitano (gennaio 2011)Mi sono trovato recentemente, per ragioni familiari, a pas-seggiare per il centro di Firenze senza avere una meta pre-cisa. Vi mancavo da oltre venti anni e il tempo aveva senz’al-tro attenuato, nei miei ricordi, lo splendore che offre anchead un occhio poco esperto come il mio questa meravigliosacittà. Ciò che, tuttavia, ha colpito in maniera particolare lamia attenzione è stata l’indicazione del “Cenacolo di Fuli-gno”, museo di cui non conoscevo l’esistenza e che sicura-mente, in altri tempi, mi sarebbe sfuggito. Un’ovvia curiosi-

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tà mi ha spinto in via Faenza 42 ed ho così scoperto che ilCenacolo, museo ad ingresso gratuito e, di certo per me nonil più famoso di Fi-renze, era il refettorio monumentale delconvento delle terziarie francescane della Beata Angelina daFoligno, oggi utilizzato per iniziative sociali, che conserva,oltre tante opere danneggiate dall’alluvione del 1966, unbellissimo affresco del Perugino raffigurante l'Ultima Cena.Quella che per me è stata una casuale scoperta è null’altroche l’ennesima dimostrazione che il nostro paese, comeunanimemente riconosciuto nel mondo intero, è uno scri-gno unico, stracolmo di bellezze naturali e opere d’arte chelo rendono meta privilegiata del turismo di ogni genere. Unrapporto di PriceWaterhouse Coopers su arte, turismo cul-turale e indotto economico commissionato da Confculturae dalla Commissione Turismo e Cultura di Federturismo hastabilito che il Pil dell’Economia turistica in Italia nel 2008si è aggirato intorno ai 163 miliardi di euro, pari al 10,6% delPil nazionale, circostanza questa che da sola legittimerebbeuna grande attenzione e una maggiore profusione di risorsealla cura del nostro patrimonio naturale, artistico e cultura-le. E’ per queste ragioni che destano sconcerto notizie comequella del crollo della Domus dei Gladiatori nell'area degliscavi di Pompei, che non è azzardato collocare tra i siti ar-cheologici più famosi del pianeta, che va aggiungersi al crol-lo, altrettanto grave, verificatosi nel mese di marzo nella Do-mus Aurea, edificio voluto da Nerone dopo l'incendio chenel 64 dopo Cristo distrusse gran parte di Roma. Esse deno-tano, infatti, un’incuria che viene da lontano e che sarebbeingiusto ascrivere al solo ministro dei beni culturali in cari-ca che, minimizzando gli eventi, non rende di certo ragionedelle sue attività nell’esercizio delle funzioni cui è preposto.Tuttavia l’attuale ministro, che ha bocciato senza remore esenza averli visti film di cineasti italiani da lui bollati comeparassiti di stato perchè non di stretta osservanza governa-tiva, si è reso protagonista di iniziative, non proprio orto-dosse, quali il premio speciale assegnato al Festival di Vene-zia per la produzione del film “Goodby mama”, il cui unico

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pregio pare sia nei servigi resi al capo del governo dalla re-gista e le consulenze assegnate, con atteggiamenti criticabiliquanto meno sul piano etico, all’ex marito della sua attualecompagna ed al di lei figlio. Di minor rilevanza per la non ir-reversibilità, almeno per ora, ma altrettanto problematico siè rivelato l’insuccesso conseguito dalla gara, andata deserta,che doveva raccogliere le proposte degli sponsor per il re-stauro del Colosseo, simbolo di Roma, con una formula difinanziamento integrale da parte dei privati che il ministroaveva definito come un modello da applicare anche ad altrimonumenti del nostro Paese. Pur volendo riconoscere ai no-stri politici una strenua appartenenza ai seguaci della cul-tura sofistica nella parte che nega l’esistenza di una veritàassolutamente valida e che ritiene unico metro di valutazio-ne l’individuo, per cui per ciascuno è vera solamente la pro-pria percezione soggettiva, senza arrivare a pretendere daloro ciò che ogni Stato chiede ai suoi cittadini, ossia onestàe rettitudine di comportamento, sembrerebbe quanto menoopportuno che finalmente si attui il principio valido perqualsiasi attività secondo il quale anche le cariche istituzio-nali diano non solo onori, ma anche responsabilità, concettoin base al quale si determina un obbligo di rispondere dellescelte compiute nell’esercizio delle proprie funzioni. Nono-stante il concetto di morale, inteso come l’insieme delle con-suetudini sociali legate ad una certa tradizione culturale,negli ultimi anni, grazie ai nostri governanti sia scaduta no-tevolmente, cosa mai dovrà succedere perchè un politico, ri-conoscendo le proprie responsabilità faccia un passo indie-tro?

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NNoonn èè cchhee ll ’’ iinniizziioo,, llaa lloott ttaa ccoonnttiinnuuaa !!di Sandro Ridolfi (febbraio 2011)La crescita “infinita” del mercato improvvisamente, brusca-mente, drammaticamente è finita. Il capitalismo americano,entrato forse (finalmente) nella sua agonia, sta menandocolpi di coda all’impazzata in tutto il mondo, bombardan-do, invadendo, inflazionando, destabilizzando l’intero occi-dente al quale si aggrappa come un naufrago cercando diportalo a fondo con lui. Ma quel che è più grave è che nonc’è all’orizzonte alcuna proposta, progetto alternativo, fos-se anche e ancora all’interno dello stesso sistema capitali-sta. Spaventoso e “spaventante” è il vuoto della politica, diuna cultura politica di alternativa, che certamente non è mi-nimamente rappresentata dalla così detta opposizione (tut-ta) che si dibatte: nella migliore delle ipotesi in un disperatotentativo di sopravvivenza, nella peggiore nella imitazionesterile e pedestre dell’altra parte. Solo una guerra di castatra chi è arrivato e chi vuole arrivare, tutta impegnata nellaricerca e nella manifestazione dell’immagine di sé, lontanoe del tutto indifferente alle esigenze, alle richieste, ai biso-gni della così detta “gente”, che poi è il popolo, le masse deilavoratori, degli studenti, dei disoccupati, degli immigrati.Forse non è più il tempo di “resistere, resistere, resistere”perché giorno dopo giorno è sempre minore e più poveroquel che resta da difendere delle grandi conquiste sociali,economiche, culturali e morali degli ultimi decenni che han-no contribuito alla nascita del nostro Stato sociale e demo-cratico. E’ il tempo di reagire, di contrattaccare, di proporree di pretendere. Non sarà un piccolo periodico di periferia acambiare la storia, ma ciascuno può e deve dare il proprio,ancorché modesto, contributo. Ai lavoratori in lotta controla violenza padronale che vuole cancellare i diritti conqui-stati con la Costituzione repubblicana, agli studenti in lottacontro la barbarie della cancellazione del diritto all’istruzio-ne, ai tanti e diversi discriminati, emarginati per censo, persesso, per etnia, vogliamo dedicare un messaggio lanciatoda Fabrizio De Andrè tanti anni fa che sembrano ieri, anzi

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oggi. “Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostrocoraggio, se la paura di guardare vi ha fatto chinare il men-to, se il fuoco ha risparmiato le vostre Millecento, anche sevoi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti. E se vi sietedetti non sta succedendo niente, le fabbriche riapriranno ar-resteranno qualche studente, convinti che fosse un gioco acui avremmo giocato poco, provate pure a credevi assoltisiete lo stesso coinvolti. Anche se avete chiuso le vostre por-te sul nostro muso la notte che le pantere ci mordevano ilsedere lasciamoci in buonafede massacrare sui marciapiedi,anche se ora ve ne fregate, voi quella notte voi c'eravate. Ese nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri, senza le bar-ricate, senza feriti, senza granate, se avete preso per buonele "verità" della televisione, anche se allora vi siete assoltisiete lo stesso coinvolti. E se credente ora che tutto sia comeprima perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina,convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo anco-ra alle vostre porte e grideremo ancora più forte, per quantovoi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti, per quantovoi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.”

II ppootteerrii ddeell lloo SSttaattoo,, ll ’’eevveerrssiioonnee ee ggll iisscceennaarrii ffuuttuurrii ppoossssiibbii ll ii ee iimmppoossssiibbii ll iidi Luigi Napolitano (marzo 2011)La nostra costituzione attribuisce al Parlamento il potere le-gislativo, ossia il potere di legiferare per le materie espres-samente indicate nel secondo comma dell’articolo 117, alPotere Giudiziario, inteso come il complesso degli organidell’autorità giudiziaria, ossia i magistrati, quello di risolve-re le controversie di natura civile, penale e amministrativanel rispetto del contraddittorio delle parti, della trasparen-za del procedimento e motivando la decisione. Va da sé chetale ultima funzione si realizza mediante l’applicazione del-le norme che il primo potere ha emanato. La stessa costitu-zione sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità socialee sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di con-

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dizioni personali e sociali e l’obbligatorietà dell’azione pe-nale da parte del pubblico ministero. Aggiungo che la colpe-volezza di una persona è accertata solo con la conclusionedel terzo grado di giudizio. Un precedente del mancato ri-spetto di queste basilari regole, si può ritrovare, nella nostrastoria e prima dell’approvazione della Costituzione vigente,nel tentativo di alcuni coraggiosissimi giudici del Tribunaledi Torino di non applicare, interpretandole in bonam par-tem, ossia a favore di coloro che furono costretti a subirle,le norme relative ai limiti di proprietà immobiliare e di atti-vità industriale e commerciale destinate ai soli cittadini ita-liani di razza ebraica. La storia è nota e finì con la fuoriusci-ta di quei magistrati dai ranghi di appartenenza e con la lo-ro collocazione nelle fila dei partigiani che, con le forze al-leate, sconfissero il nazifascismo. Crea un notevole sconcer-to sentir oggi affermazioni, rilasciate anche da esponentidel governo, rispetto ad un presunto atteggiamento eversi-vo della magistratura che nell’esercizio delle sue funzioniindaga, in un più ampio contesto, anche il Presidente delConsiglio dei Ministri e viene accusata di voler sovvertire ilvoto popolare che, dunque, più che l’esercizio di un dirittodemocratico costituirebbe un limite all’applicazione dellaCostituzione. Siffatte affermazioni fanno intendere, infatti,quale sia il concetto di Stato e quanto ne rispettino le istitu-zioni alcune delle persone deputate a rappresentarlo. Ancorpiù sconcertanti appaiono le opinioni di coloro che, dichia-randosi terzi rispetto alle opposte fazioni politiche circa glieventi giudiziari citati, accusano i paladini della rivoluzionesessuale di ergersi a sacerdoti della virtù e i custodi dei va-lori tradizionali di trasformarsi in cantori di costumi rilas-sati evidenziando un rovesciamento dei ruoli. Un’interpre-tazione siffatta degli eventi sposta il piano del discorso po-nendolo in una real-tà diversa da quella che il paese sta vi-vendo. Realtà di cui i telespettatori che seguissero solo la re-te principale della televisione pubblica avrebbero un’ideaancor più remota. In un paese dove la spettacolarizzazionee la personalizzazione non avessero preso il sopravvento

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sulle idee, di-storcendo il significato stesso del termine po-litica che indica l’arte di governare, dove non si vie-ne elettiper volontà dei capi dei partiti ma per volontà del popolo,sicuramente il Presidente del Consiglio, trovandosi nella si-tuazione del nostro, avrebbe fatto un passo indietro al finedi con-sentire la formazione di un nuovo governo rispettosodelle regole, capace di condurre un civile confronto con leopposizioni e di porre in essere provvedimenti utili agli in-teressi sociali, bonificando il clima dagli asfissianti integra-lismi che realizzano solo sterili e violenti scontri. Poiché an-ni di questo sistema politico ci hanno dimostrato cheun’eventualità del genere non sembra realizzabile, pur diuscire da una situazione di stallo che può solo ulteriormen-te danneggiare il sistema Italia penso che saremo costrettiad accettare un’innaturale alleanza che veda schierate insie-me le forze che non si riconoscono in questa compagine go-vernativa, il cui scopo dovrebbe essere quello di promulgareuna legge che elimini il conflitto di interessi e di realizzarealcune chiare riforme in materia elettorale, fiscale, di infor-mazione al fine di realizzare finalmente un sistema compiu-tamente bipolare ma che dia voce anche a parti rilevanti dielettorato non in linea con gli schieramenti maggiori.

IIttaa ll iiaannoo aa cchhii??di Sandro Ridolfi (aprile 2011)Si festeggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia. A restare freddidi fronte a questo evento mediatico si rischia di passareper leghisti. Entusiasmarsi al canto dell’Inno di Mameli eallo sventolare del tricolore si rischia di passare per fasci-sti. Tra le due, decisamente la prima! Infondo, a parte lesceneggiate populistiche dei leader iper-romanizzati e lastupidità bovina delle ronde padane, il federalismo regio-nale e la difesa del ruolo fondamentale svolto dai Comuniin una democrazia partecipata trovano fondamento pro-prio nella nostra Costituzione antifascista e repubblicana.Il progetto europeo, evoluto dalla Comunità Economicadella fondazione degli anni ‘60, all’Unione Politica degli

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anni ’80-’90, prefigurava un percorso di progressiva disso-luzione degli Stati nazionali per realizzare un’unione dipopoli, molto più numerosi degli esistenti Stati unitari ofederali, fondata sul riconoscimento delle innumerevolipeculiarità regionali e sul ruolo di democrazia diretta svol-to dalle autonomie comunali. Quel progetto straordinaria-mente innovativo e persino antagonista a quelli sino ad al-lora realizzati con le forzate unificazioni stanzialmentemilitari (paradigmatica quella degli Stati Uniti del nordAmerica), è stato travolto dall’infatuazione della globaliz-zazione dei mercati e ciò è avvenuto proprio durante lapresidenza italiana della Commissione Europea di Prodi.L’impreparata (e sotto questo aspetto, insensata) improv-visa apertura ai nuovi Stati dell’oriente europeo, non avevainfatti più lo scopo di arricchire la grande poliedricità del“vecchio” continente europeo, ma quello di aprire non già“a” nuovi mercati, bensì “da” nuovi mercati, dacché l’unicamercanzia che è transitata attraverso le nuove frontiereaperte è stata la mano d’opera a basso costo, sia in forma“fisica”, con l’importazione delle masse di badanti e di ma-novalanza per l’edilizia o l’industria, sia in forma di merciprodotte in quei paesi, molto meno costosi, in stabilimentiopportunamente delocalizzati dalle industrie dell’occiden-te d’Europa. Questa considerazione ci riporta, per singola-re specularità, alla vicenda dell’unione anzituttomilitare,poi politica e amministrativa della penisola italiana. Nel1860 un migliaio di giovani tra l’entusiasta e il fanatico, in-filtrati da agenti piemontesi, presero il mare dalla Liguriaverso la Sicilia strada facendo armati dallo stesso Regnopiemontese e silenziosamente, ma attentamente protettidalla potente marina inglese. Sbarcarono in mille sullapunta ovest della Sicilia e dopo averla attraversata sino alcapo opposto e avere poi risalito la Calabria e la Campania,giunsero ancora in poche migliaia a Napoli, dove affronta-rono l’ultima battaglia per la disfatta del regno di Napoli.Vinta questa battaglia, pochi giorni dopo toccò a loro ar-rendersi e deporre docilmente le armi ai piedi dell’assai

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più forte esercito piemontese, che nel frattempo era disce-so dal nord sino ai confini della Campania proprio per as-sicurarsi il bottino dell’avventura garibaldina. Garibaldiaveva percorso un intero regno, combattendo e vincendobattaglie campali e conquistando città e alla fine avevasconfitto e cacciato l’ultimo re borbone. Ma Garibaldi nullasapeva e nulla aveva mai voluto sapere e comprendere del-le realtà economiche, sociali e culturali di quei territori, an-zi di quei popoli. Nobili, latifondisti, borghesi, mafiosi ocamorristi da una parte e servi, “cafoni” (contadini), pesca-tori e operai delle industrie meccaniche napoletane dall’al-tra, e i rapporti economici, sociali e culturali che li contrap-ponevano, non avevano avuto alcun interesse per il “libe-ratore”; quegli argomenti non erano parte del suo progettoche aveva, come ebbe, un solo obiettivo: spodestare un reper sostituirlo con un altro. Il regno di Napoli era statoconquistato dal regno del Piemonte e la sua annessioneagli altri territori conquistati dall’esercito piemontese ave-va dato vita a un aggregato geografico e politico più gran-de, chiamato Italia, anzi Regno d’Italia. Per i popoli di que-gli Stati conquistati e annessi non era cambiato nulla, so-prattutto non erano cambiati i rapporti e i sistemi di domi-nio. Scrisse Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “tuttoera stato cambiato perché nulla venisse cambiato”. Qual-cuno inorridirà nel leggere le parole che seguono, ma oc-correrà dirle: se non vi sono informazioni certe sui rappor-ti che intercorsero tra Garibaldi e la mafia siciliana durantel’attraversamento dell’Isola, è invece certo che l’Eroe deidue Mondi si compromise con la camorra napoletana perottenere il controllo della città e soldati “freschi” per l’ul-tima battaglia del Volturno. In quel tempo a Napoli c’eraanche Mazzini. Se c’è stato un “eroe positivo” in quelle vi-cende, paradossalmente, fu proprio l’ultimo re borbone,Francesco II detto “Franceschiello”, che mostrò l’intelligen-za di accettare la fine di un’epoca, quella del suo regno, eabbandonò Napoli senza combattere per evitare al “suopopolo” un tragico bagno di sangue oramai inutile. Il mer-

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cato del sud era stato “aperto” alle nascenti economie in-dustriali del nord. Scriveva Gramsci nel 1920: “Lo stato ita-liano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro efuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando,seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariatitentarono d'infamare col marchio di briganti.” Sono passa-ti 150 anni e il senso e lo scopo di quella “conquista” è an-cora lo stesso: importare manodopera compromettendosicon la criminalità organizzata locale. Un’ultima considera-zione. La penisola italiana è stata bensì terra di conquistapraticamente da parte di tutti gli imperi o regni o bandecorsare provenienti dalle coste del mediterraneo e dall’ol-tre Alpi, ma proprio per questo è stata la fucina delle piùgrandi, uniche, produzioni artistiche, scientifiche e cultu-rali dell’intero bacino del mediterraneo e dell’Europa con-tinentale. Chiusa nei confini del piccolo regno sabaudol’Italia è stata marginalizzata dagli sviluppi della fine otto-cento e dell’intero novecento; è diventata a sua volta, perquasi un secolo, il “serbatoio” di mano d’opera a basso co-sto dell’Europa e dell’America. Ora si sta rifacendo a spesedei nuovi aggregati più poveri dell’est europeo e del nordAfrica. Per i comunisti che riconoscono nel Mondo interoun’unica patria abitata da un unico popolo c’è ben poco dafesteggiare.

LLaa vvoolloonnttàà ddeeii ppooppooll ii fifilloo ccoonndduuttttoorreeddeellllaa ppooll iitt iiccaadi Luigi Napolitano (aprile 2011)L’immobilismo nel quale il mondo sembrava precipitato aseguito della crisi economica che l’attanaglia sembrava, fi-no a poche settimane fa, caratterizzato ideologicamentesolo da un improbabile scontro tra i seguaci dell’Islam e glioccidentali. Sono bastati una serie di eventi imprevedibilie sembra passato un secolo da quando era il gossip a det-tare i tempi della nostra politica e l’unica preoccupazionedei media il passaggio da un gruppo parlamentare all’altrodi questo o quel deputato, assurto per qualche momento

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alla ribalta nazionale. Ho individuato negli eventi di cuiparlerò una volontà popolare che a mio modo di vedere de-ve essere il filo conduttore della politica, il cui compito, at-traverso l’esercizio dell’attività di governo deve essere ilbene degli amministrati. L’anelito di libertà ed il desideriodei popoli che abitano la sponda africana del Mediterra-neo, che si sono diffusi attraverso i nuovi canali di comu-nicazione telematica, hanno dimostrato quanto infondatefossero le paure di uno scontro tra religioni, evocate daisoliti disfattisti che, in maniera miope, non hanno saputocogliere i sentimenti di quelle genti che con espressionesintetica, ma molto incisiva, sono stati definiti come gli au-tori della rivoluzione “Pane e Libertà”. E se, grazie alla pre-senza di istituzioni più o meno forti, in Tunisia e sopratutto in Egitto, dove l’esercito si è rifiutato di sparare sullafolla, si è potuto realizzare un cambiamento dei regimi cheper tanti, troppi anni, hanno tenuto in uno stato di suddi-tanza e povertà i popoli di quei paesi, è sotto gli occhi ditutti il dramma che sta vivendo la Libia. Qui, infatti, il dit-tatore che da anni gestisce il potere, preoccupato solo dise stesso e dei suoi interessi, non ha esitato a scatenareuna guerra civile, bombardando le città che gli si sono ri-voltate contro, seminando morte e terrore. Non ho simpa-tia per quel regime, ma neanche ritengo giusti interventi dialtre nazioni a sostegno di una delle parti che si contendonoil potere e, di fatto, costituiscono una limitazione alla auto-determinazione. A tacere della considerazione che i modellidemocratici, come dimostrano l’Iraq e l’Afghanistan, nonsono esportabili con la forza delle armi e che, spesso, dietroquesto nobile sentimento, non manifestato in circostanzeanaloghe, si nascondono interessi neanche troppo velati. Al-tresì nella volontà popolare va individuato un mutato atteg-giamento di molti governi, a partire dal nostro, verso l’ener-gia nucleare a seguito del disastro ambientale provocatodalla centrale nucleare colpita dal terremoto che ha funesta-to il Giappone. Valga per tutti quello del governo tedescoche, in questo frangente, ha assunto una posizione di gran-

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de prudenza, per certi versi addirittura revisionista versoquesta fonte energetica non controllabile e incapace di evi-tare scorie, che lascia ai posteri elementi di inquinamentodi cui non si conoscono le potenzialità negative. Non essen-do possibile, tuttavia, dall’oggi al domani rinunciare allamaggiore fonte di produzione dell’energia, è auspicabileche il mondo della scienza e le autorità internazionali sap-piano indirizzare nel miglior modo possibile le scelte neces-sarie. Mi preme, infine, dar risalto al sentimento di apparte-nenza manifestatosi con il successo che il popolo ha attri-buito ai festeggiamenti per i nostri primi 150 anni come Na-zione, ricca di differenze, talvolta profonde, ma unita. Lebandiere tricolori e l’inno d’Italia intesi non come segno diappartenenza ad una parte politica ma ad un popolo riccodi storia artistica, politica, culturale, sembrano manifestarela consapevolezza di se stesso ed il bisogno di una classepolitica alla sua altezza.

IInn NNoommee ddeell PPooppoolloo II ttaall iiaannooIIll ccoonncceett ttoo ddeell llaavvoorroo ee llaa sseenntteennzzaaTThhyysssseenndi Luigi Napolitano (maggio 2011)Il concetto del lavoro ha subito una profonda mutazione nelcorso dei secoli. Considerato dalla Bibbia una condanna, acoloro che lo praticavano, nel mondo antico, veniva riserva-to addirittura un ruolo di subordine. La sua importanza so-ciale e il principio che l’operosità sia una dimensione impor-tante per la realizzazione dell’essere umano si sono impostimolto lentamente. Solo recentemente si è sviluppata una ve-ra e propria etica del lavoro, fino alla sua individuazionequale motore della crescita economica e del benessere so-ciale. La nostra Costituzione pone il lavoro a fondamentodella Repubblica (art.1), lo riconosce come diritto di tutti icittadini (art.4), delinea il nostro sistema in senso spiccata-mente sociale e solidaristico (artt. 35-40) finalizzandolo nonsolo all’arricchimento individuale ma anche alla crescita delbe-nessere comune nel rispetto delle regole (art. 41). E’ par-

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tendo da questo contesto che va letta la sentenza emessadalla Corte d’Assise di Torino per il rogo della Thyssen che,riconoscendo la validità dell’impianto accusatorio, ha affer-mato il principio che sono gli imprenditori i responsabilidella sicurezza dei luoghi di lavoro e riconosciuto colpevolidi omicidio volontario, con dolo eventuale, i vertici manage-riali dell’azienda. Il dolo eventuale si caratterizza per il fattoche l’evento illecito non costituisce l’obiettivo che perseguel’autore dell’azione o dell’omissione e, tuttavia, lo stesso ac-cadimento viene preveduto come conseguenza possibiledella condotta posta in essere. L’elemento caratterizzantedi tale figura giuridica, sotto il profilo psicologico, è l’accet-tazione del rischio da parte dell’agente. Rispetto alle prece-denti pronunciate per eventi simili, è questo l’elemento dinovità introdotto dalla sentenza, che cancella definitiva-mente la locuzione “morti bianche” per definire il fenomenodelle morti sul lavoro, dove l’uso dell’aggettivo bianco allu-de all’assenza di una mano direttamente responsabile del-l’incidente. Non credo che una sentenza di condanna possaessere letta come una vittoria di una parte e far gioire alcu-no, ma può sicuramente significare molto per la sicurezzae la salute dei lavoratori. Non è possibile, infatti, considera-re la morte sui luoghi del lavoro un inevitabile tributo da pa-gare sull’altare dell’arricchimento, del profitto sempre e co-munque an-che a costo di risparmiare sui sistemi di sicurez-za o il frutto di un cinico capriccio di un Dio cattivo. La sen-tenza “Thyssen” deve essere letta non in chiave punitiva macome un deterrente nei confronti di quegli imprenditori chepensano di poter aggirare le norme in tema di sicurezza edun incentivo per i sindacati che devono pretendere la messain sicurezza delle produzioni e dei luoghi di lavoro, la mes-sa a disposizione delle protezioni necessarie, l’istituzionedei presìdi sanitari e delle visite mediche specialistiche. E’altresì auspicabile che possano finalmente ridursi i dram-matici numeri delle statistiche che dicono che tre persone,ogni giorno, uscite per esercitare un diritto fondamentalenon tornano a casa, privando del loro affetto i propri cari,

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vittime anche loro di una tragedia tanto più grave quantoculturalmente ac-cettata. Statistiche sicuramente sottosti-mate, in quanto non tengono conto di quei lavoratori nean-che registrati come tali e di quei lavoratori vittime di inci-denti stradali causati dalla stanchezza della guida o del la-voro precedente, dall’esposizione ad agenti cancerogeni etossici che quasi mai, o a grande fatica, si riesce a dimostra-re essere la causa della morte. In relazione alla sentenza ap-paiono anomali i commenti dei politici. Positivi quelli delMi-nistro del Lavoro e del Presidente della regione Piemonteche, pur appartenendo allo schieramento governativo il cuicompito principale di questi giorni sembra essere la demo-nizzazione, se non la criminalizzazione dei Magistrati e chein un recente passato ha edulcorato, non poco, il DecretoLegislativo in materia di sicurezza sul lavoro del GovernoProdi. Decreto non poco avversato dall’allora Presidentedella Confindustria, oggi considerato come possibile neo-politico e che qualcuno vorrebbe a capo dello schieramentoche quel provvedimento promulgò. Fondamental-mente ne-gativi quelli e-spressi dal Sindaco del Comune di Terni e dalPresidente della stessa Provincia, appartenenti a quella par-te politica che della solidarietà sociale e della tutela del la-voro dovrebbe essere custode, i quali hanno definito la sen-tenza “punitiva” ed “eccessivamente dura” mostrando di es-sere preoccupati per la possibilità che vi siano pericoli peril futuro di un consistente numero di posti di lavoro cosìtrascurando il primario interesse generale al rispetto di unprincipio fondamentale quale la sicurezza sui luoghi di la-voro. Naturalmente la sentenza, per produrre i suoi effetti,dovrà concludere il suo iter per il quale sono previsti altridue gradi di giudizio. Con buona pace di chi considera il no-stro sistema giudiziario da stravolgere!

RReeffeerreenndduumm nnuucclleeaarreeUUnn ppiiccccoolloo ““ssii ”” ,, uunn ggrraannddee ““MMAA””.. .. ..di Sandro Ridolfi (giugno 2011)“Prima di giudicare (e per la storia in atto o politica il giudi-

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zio è l’azione) occorre conoscere e per conoscere occorre sa-pere tutto ciò che è possibile sapere”.Questo insegnamento di Antonio Gramsci può essere con-siderato il “manifesto” di questo giornale. Improntato alladiffusione del pensiero e dell’azione comunista, questogiornale si è posto l’obiettivo di stimolare l’interesse alla co-noscenza, al confronto, al ragionamento, “seminando” idee,provocazioni e informazioni. Coerentemente con tale fine ilgiornale è aperto a ogni contributo, da chiunque provengapurché con onestà mentale e trasparenza morale, che possacontribuire, attraverso l’arricchimento critico delle cono-scenze, alla crescita qualitativa (e anche quantitativa) dellapartecipazione alla vita politica. Il 12 giugno si svolgerannoalcuni referendum abrogativi, frutto di iniziative popolari eperciò dimenticati, per non dire persino oscurati, dalla po-litica così detta “di palazzo”. Due i temi principali: la difesadella natura pubblica dell’acqua e l’opposizione alla (re)in-troduzione nel nostro Paese della produzione di energia nu-cleare. Sul primo tema possiamo dire che non c’è discussio-ne, altri articoli lo tratteranno in questo numero e al “benecomune” acqua è dedicata la contro copertina. Quanto al se-condo tema, invece, la questione è più “controversa”; nontanto sull’opzione del voto, poiché indiscutibilmente si do-vrà esprimere anche in questo referendum un “si” abroga-tivo, quanto sulle motivazioni e soprattutto sulle responsa-bilità morali di tale rifiuto. Alcuni decenni or sono l’Italiaera all’avanguardia mondiale nella ricerca della produzionedi energia nucleare per fini civili. Allora però, in un contestodi forte partecipazione consapevole, dovuta anche alla pre-senza di un grande Partito Comunista, gli italiani dissero unnetto “no” all’energia nucleare. Il nostro Paese aveva peròun bisogno di risorse energetiche enormemente superiorialle proprie capacità di produzione autoctona. Lontanodall’immaginare la riconversione della avanzatissima ricer-ca sull’energia nucleare verso quella su fonti alternative,l’opzione politica ed economica fu allora di accentuare l’ap-provvigionamento dall’esterno di petrolio e gas in due dire-

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zioni, che il particolare contesto degli equilibri geopoliticidell’epoca singolarmente consentivano al nostro Paese difrontiera cerniera, dall’Unione Sovietica e dal mondo arabo.L’Eni, il piccolo gatto schiacciato dai mastini delle “Sette So-relle” che monopolizzavano il mercato del petrolio descritteda Enrico Mattei, è divenuto così una delle più grandi “so-relle”, la quinta o persino la quarta. L’Italia allora non ha in-vaso o colonizzato i paesi produttori, ma ha pagato con lamoneta peggiore che sia mai stata coniata: la vendita dellearmi. E’ in quegli anni che si è sviluppata una tra le più avan-zate industrie belliche del mondo che ha portato l’Italia, nel2010, a divenire il secondo esportatore di armi subito dietrogli USA. Quell’ignobile sistema di scambio, che condannavai paesi esportatori a bruciare tutte le loro ricchezze in beniassolutamente inutili e così a rimanere sottosviluppati, dacirca un ventennio è ulteriormente degenerato. Il collassodel sistema sovietico, ponendo fine all’equilibrio dei dueblocchi, ha radicalmente cambiato le regole del gioco, anzi-tutto per l’Italia. Al mercato “armi contro petrolio” si è so-stituito il più semplice “bombe per il petrolio”. Jugoslavia,Iraq, Afganistan e oggi Libia sono altrettanti scenari di guer-ra nei quali il nostro Paese è stato costretto a entrare pernon restare tagliato fuori dall’approvvigionamento delle ri-sorse energetiche. Dire “no” oggi al nucleare significa dun-que dire “si” alle guerre di aggressione ai paesi produttori oanche sfortunati soli transiti di condotte di petrolio e gas.Questo lo dobbiamo sapere. Dobbiamo sapere che se giusta-mente non vogliamo che i nostri figli siano esposti ai rischidel malfunzionamento di un sistema di produzione di ener-gia nucleare dimostratosi ancora molto insicuro, i figli deipaesi produttori di energia dovranno subire violenze, deva-stazioni, miseria e, se non bastasse, anche un forte inquina-mento nucleare dall’uranio impoverito utilizzato nelle armipiù moderne. E qui si impone il “MA”. No al nucleare, certa-mente, ma a condizione che cambino radicalmente sia la no-stra politica economica e sociale interna, che la nostra poli-tica estera nei confronti dei paesi produttori del terzo mon-

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do. “MA” (a condizione che) che lo Stato, e solo lo Stato, ri-prenda in mano totalmente la ricerca e la produzione dienergie alternative, a uno stesso tempo imponendo la piùdrastica possibile riduzione dei consumi energetici super-flui. “MA” (a condizione che) ancora lo Stato, e solo lo Stato,cessando la produzione e la vendita di armi, scambi tecno-logie, infrastrutture, beni e strumenti produttivi in grado diaiutare realmente lo sviluppo dei paesi produttori, nonchéponga termine, subito e incondizionatamente, a qualsiasipolitica di aggressione mascherata sotto ridicoli veli umani-tari. Non è impossibile, qualcuno lo sta già facendo. La Cina,il paese che si avvia a essere il più grande consumatore dienergia del mondo, approvvigiona enormi quantità di risor-se dall’estero, ma non vende armi e non bombarda, non in-vade, non devasta alcun paese. Un altro modello di sviluppoè possibile, “ma” occorre averne coscienza e consapevolez-za collettiva e quindi occorre che la collettività, cioè lo Stato,ri-assuma il suo ruolo di unico titolare e tutore dei beni e deidiritti fondamentali dell’uomo. Un solo “si” senza “MA” è unatto di egoismo vergognoso.

II ll ppaarrttii ttoo ddii GGrraammsscciidi Sandro Ridolfi (luglio 2011)Il Partito Comunista cinese celebra il suo 90° anniversario.La Cina e il popolo cinese festeggiano il 90° anniversario delloro Partito Comunista. Nel sentimento del popolo cinese ilPartito Comunista è parte integrante dell’identità storica, so-ciale e culturale della nazione. Nell’articolo a fianco cerchia-mo di comprendere, con l’aiuto dell’analisi di un eminentestudioso della Cina, la peculiarità della compenetrazione,per così dire ancestrale, che esiste tra lo Stato e il popolo epervade lo stesso nucleo familiare cinese. In questo articolocerchiamo di spargere alcuni semi per la comprensione dellaanaloga compenetrazione che caratterizza il rapporto tra ilPartito Comunista, lo Stato e il popolo cinese. Facciamo unsalto indietro nella storia della nostra scienza politica. Par-tiamo da Macchiavelli al quale si deve il primo trattato di

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scienza politica moderna: Il Principe. Per la fondazione delloStato moderno Macchiavelli costruisce la figura mitica delPrincipe, attribuendo allo stesso il ruolo di espressione dellavolontà collettiva, guida e tutore degli interessi diffusi e co-muni del popolo, in breve di coscienza popolare. A fiancodello Stato, organizzazione amministrativa della vita sociale,Macchiavelli colloca il Principe, collettore dei sentimenti, deidesideri e dei bisogni popolari, col compito di elevarli dalparticolare per renderli universali e dunque comuni e condi-visi, in certo senso il cuore e la mente dello Stato. Per Mac-chiavelli il Principe è ancora un mito, che lui stesso cerca va-namente di tradurre nella realtà di un personaggio fisico. E’con Gramsci che il Principe, o come lui lo chiama il novelloPrincipe, assume fattezze reali, diventa attuale e concreto. IlPrincipe per Gramsci è il Partito, il soggetto collettivo persua natura astratto dal particolare, che raccoglie, rielabora euniversalizza il sentimento popolare. Il Partito è l’intellettua-le collettivo, è il cuore e la mente che guida la costruzione el’azione dello Stato che a sua volta unisce, sostiene e proteg-ge il suo popolo. Se il popolo è quello delle masse dei lavo-ratori, allora il Partito, il Principe intellettuale collettivo, è ilPartito Comunista, soggetto pensante in grado di creare, or-ganizzare ed evolvere la cultura popolare, dando consape-volezza e coscienza alle masse della loro identità di classe e,attraverso questa, il progetto del futuro. Tornando ora allaCina, il Partito Comunista cinese nasce nel 1921 all’esito del-la vittoria della rivoluzione bolscevica e della nascita del pri-mo Stato di democrazia popolare della storia. Il Partito Co-munista cinese assorbe la dottrina marxista e ne fa proprial’evoluzione leninista, finendo tuttavia per appiattirsi, dopola vittoria sul Kuomintang e la fondazione della RepubblicaPopolare, sulla versione pragmatica dell’Unione Sovieticadella quale, per un certo periodo, imita, senza fortuna, alcu-ni processi economici e sociali. Nel 1966 Mao lancia la Gran-de Rivoluzione Culturale che “strappa” la vicenda della co-struzione del comunismo in Cina da quella, oramai perden-te, dell’Unione Sovietica krusceviana. Il Partito Comunista ci-

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nese torna ad essere ciò per cui era nato, l’intellettuale col-lettivo organico alle masse popolari. Il Partito esce dai palaz-zi, ripudia l’astrattezza delle importazioni acritiche di espe-rienze altrui, corregge la presunzione del governo dall’altoe, tornando tra le masse che rappresenta ed esprime, recu-pera e ricuce la storia e la cultura popolare cinese. Marx siinnesta così su Confucio. Un’unica storia, un’unica cultura,un unico sentimento verso la costruzione della società ar-moniosa, cioè della società comunista. Mao ha realizzatol’insegnamento di Gramsci, ha dato vita al “Principe”, vocecorale del popolo cinese. La Cina non è l’utopia (il “nessunluogo”) perché esiste davvero in uno spazio fisico e tempo-rale ben definito. La Cina non è l’Eldorado (il “paese d’oro”)perché è fatta e cresce col ferro e il carbone. La Cina non è ilmodello unico e perfetto da replicare, perché ogni realtà èdiversa e deve quindi riconoscere e valorizzare le proprie di-versità. La Cina è un esempio vivo di un percorso concretoper la realizzazione del mondo nuovo e il Partito Comunistacinese gramsciano ne è la sua anima e guida.

II ll ccaannoonnee tteelleevviissiivvoodi Luigi Napolitano (ottobre 2011)La Giostra della Quintana settembrina segna, nei miei bio-ritmi, la fine dell’estate ed il ritorno alle consuetudini inver-nali tra le quali rientra una più assidua visione dei program-mi televisivi, soprattutto serali. Questa abitudine mi ha in-dotto a ripercorrere la storia della televisione e ad una con-siderazione, in particolare, che vorrei condividere con colo-ro che avranno la curiosità e la pazienza di leggere questebrevi note. Premetto di ritenere ancora attivi gli effetti deltristemente famoso editto bulgaro, perché pronunciato aSofia il 18 aprile 2002 dall'allora Presidente del Consigliodurante una conferenza stampa, con il quale denunciò quel-lo che, a suo dire, era stato un uso criminoso della tv pub-blica da parte di due giornalisti e di un autore satirico, af-fermando successivamente che sarebbe stato un preciso do-vere della nuova dirigenza RAI non permettere più il ripe-

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tersi di tali eventi. Affermazione che comportò l’estromis-sione dei tre dal palinsesto della RAI, rivelando da parte deichiamati in causa una compiacenza che sfiorò il servilismo.La televisione, da decenni oggetto di arredamento di tuttele case, come parola ha la sua etimologia nel termine grecotele ossia a distanza e nel verbo latino video ossia vedo; co-me strumento diffonde contemporaneamente i medesimicontenuti visivi e sonori consentendo agli utenti la perce-zione di notizie, spettacoli ed avvenimenti anche in temporeale. Costituisce, di fatto, uno dei mezzi di comunicazionedi massa più diffusi ed apprezzati e per la stessa ragione ètra i più discussi. Parte in Italia nel 1954 come soggetto pub-blico, gestito dalla Stato in regime di monopolio. Nonostan-te le numerose richieste da parte di soggetti privati di faretelevisione, sia il Parlamento che la Corte Costituzionale sipronunciano negativamente. E’ solo nel 1974 con la senten-za n. 225 e nel 1976 con la sentenza n. 202 che la Corte Co-stituzionale liberalizza la possibilità per i privati di trasmet-tere programmi televisivi prima via cavo, poi via etere. Que-ste vicende ed una successiva normativa, spesso promulga-ta ad hoc nell’interesse dell’autore dell’editto (all’epoca soloimprenditore), hanno cristallizzato in Italia una situazioneper cui ad una televisione affidata allo Stato e gestita con fi-nalità pubblica si è contrapposta una televisione privata, fi-nanziata dalla pubblicità e volta al profitto economico. Nellafase iniziale la televisione italiana pubblica era, per unanimericonoscimento degli organi di informazione internazionali,una delle più pedagogiche al mondo. Le sue finalità eranocertamente educative, basti pensare alla tra-smissione “nonè mai troppo tardi” del maestro Manzi, e se da un lato laprogrammazione, pur non cercando il consenso dei tele-spettatori, poteva essere considerata soporifera, dall'altroebbe indubbi benefici nei confronti di una situazione nazio-nale, a quei tempi, caratterizzata da una certa arretratezzanei costumi e da una disomogeneità culturale. Non è solouna battuta umoristica quella secondo la quale, almeno a li-vello linguistico, la televisione ha più merito di Garibaldi

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nella realizzazione dell'unità d'Italia. Con il passare deglianni e l’affermarsi della televisione privata-commerciale, siè assistito ad una dissennata rincorsa all’audience da partedella televisione pubblica, per ragioni chiaramente pubbli-citarie e dunque finanziarie e, ad uno scadimento del servi-zio che ha reso l’offerta di entrambe pressoché identica. Sea queste televisioni si aggiunge l’offerta di quella privata apagamento, che si è assicurata la trasmissione degli eventisportivi di particolare importanza e la visione di film e tele-film in prima visione, appare indispensabile per quella pub-blica offrire programmi di buona qualità culturale, che sap-piano dare una visione non di parte degli eventi di rilevanzasociale. Per cui, pur dando per scontata l’occupazione daparte dei politici della TV pubblica, connaturata al suo ruolodi mezzo di comunicazione di massa, appare inaccettabilela cancellazione alla quale stiamo assistendo di quasi tuttii programmi non in linea con l’orientamento politico gover-nativo e l’appiattimento di quelli di intrattenimento e deinotiziari. Il tutto a dispetto della circostanza che la Presi-denza del Consiglio di Amministrazione dell’ente sia affida-ta ad un esponente dell’opposizione che più che un ruolo digaranzia sembra svolgere la funzione del Re Travicello. Aquesto punto mi domando quale sia la ragione per la qualeil solo possesso di un apparecchio televisivo comporti l’ob-bligo per noi cittadini di pagare il canone di abbonamentoche, secondo uno studio dell’Anci, è l’imposta meno graditadagli Italiani.

UUlltt iimmoodi Sandro Ridolfi (ottobre 2011)Lo scorso mese abbiamo festeggiato il traguardo del secon-do anno di vita del giornale. Questo mese, con il venticin-quesimo numero, ne comunico la chiusura. Uso la primapersona per significare la responsabilità che mi assumo diquesta decisione in qualità di editore (che poi, molto sem-plicemente, vuole dire ideatore - non da solo – redattore, im-paginatore e distributore). Due anni fa è scomparso l’ultimo

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Partito Comunista italiano del XX secolo. E’ scomparso fran-tumandosi addosso alle scogliere del governo verso il qualelo avevano ipnoticamente attratto le sirene del potere. Qual-cuno è rimasto sui legni della nave convinto ancora di ri-prendere il mare, i topi in maggioranza l’hanno presto ab-bandonata mettendosi in salvo su nuove imbarcazioni chedi nuovo hanno solo la bandiera non più d’un solo colore.Rifondazione era il nome di quel partito che, nato dai restidel PCI, si era proposto l’ambizioso progetto di evolvere ilpensiero scientifico marxista-leninista per aggiornarne iprincipi fondanti della lotta per l’emancipazione delle classisubalterne al nuovo contesto economico e sociale del mon-do globalizzato. Rifondazione, tuttavia, scontava due limitigravissimi: la senilità ideologica della componente più ma-tura e la grave carenza culturale di quella più giovane. Ri-fondazione è stata incapace, perché culturalmente impre-parata, di riconoscere e radicarsi nella propria naturale basesociale, la classe lavoratrice, perdendosi nella ricerca di ege-monia di effimeri movimenti interclassisti privi di identitàsociale e culturale. “Ricominciare dal basso a sinistra” è sta-ta l’ultima parola d’ordine; ma quale “basso” e quale “sini-stra” Rifondazione non è stata in grado di definirli, proprioperché priva degli strumenti di scienza e conoscenza.“Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelli-genza” insegnava Gramsci, “non c'è posto fra noi per chinon ha studiato abbastanza” incalzava Lenin, “apprenderedalla saggezza delle masse” aggiungeva ancora Mao. La for-za di un Partito Comunista poggia interamente sulla propriacultura politica, sul sapere, sul conoscere, sul comprendereil presente per poter progettare il futuro. Nel vuoto lasciatodal collasso del partito comunista questo giornale è statopensato, a immagine dell’insegnamento di Gramsci, per pro-vocare, nei limiti delle proprie oneste capacità, la rinascitadell’intelligenza comunista, entrando nelle case dei lavora-tori per incoraggiarli e aiutarli ad esprimere i loro pensierie a far sentire la loro voce. Il bilancio di due anni di pubbli-cazioni è stato sorprendente per certi aspetti, deludente per

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l’obiettivo principale. Il giornale ha riempito un vuoto di co-municazione, ma anche di idee e di dibattito nella nostracittà. Bene! Questo fa sicuramente piacere. Ma non era perquesto obiettivo che era stato pensato. Il giornale ha stimo-lato la cosiddetta “società pensante” della città, in parte av-vicinandola nonostante differenze ideologiche anche forti,in parte spaventandola, forse proprio quando le differenzeideologiche avrebbero dovuto essere minori. Bene, anchequesto. Ma non era per questo obiettivo che era stato pen-sato. Il giornale è entrato in molte case nelle quali, forse,l’unica forma di informazione era riservata alle tv del gover-no o del loro padrone (che poi sono la stessa persona). Mol-to bene, in questo caso. Ma non era solo per questo obietti-vo che era stato pensato. Il giornale non ha avuto invece ri-torni proprio da quegli ambienti sociali per i quali era statopensato e ai quali era destinato. Non ostante una diffusionecapillare e un evidente gradimento manifestato dalla rapidaconsumazione delle copie in tutti i quartieri e le frazionidella città, è mancata la risposta. Un giornale può essereuno strumento importante di un movimento o di un partito,ma non può supplire la loro mancanza. A due anni di di-stanza è tempo di tirare onestamente le somme e chiuderequesta esperienza prima che possa diventare qualcosa d’al-tro. Non si ferma però l’esperienza di Piazza del Grano cheprosegue, in nuova veste e forma, col sito del quotidiano online PdG News. E’ un’esperienza nuova tutta da costruire eforse, proprio grazie all’accessibilità del mezzo informatico,riuscirà a stabilire quell’interscambio che è mancato al men-sile, affiancando alle notizie quotidiane, spazi di dibattito,blog, forum. Un facebook intelligente dove l’ “amicizia” nonnasce e non si esaurisce in un click, ma può richiedere e pro-durre idee e confronti. L’appuntamento da oggi non saràpiù mensile, ma quotidiano. E’ un nuovo inizio.

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Supplemento del periodico Piazza del GranoAutorizzazione dei tribunale di Perugia n. 29/2009

via della Piazza del Grano n. 11 - Folignoe-mail [email protected] presso GPT Srl - Città di Castello

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Alcuni piagnucolano, altri bestemmiano manessuno o pochi si domandano: se avessifatto anch’io il mio dovere, se avessi cercatodi far valere la mia volontà, sarebbe succes-so ciò che è successo? Perciò odio chi nonparteggia, odio gli indifferenti.

Antonio Gramsci