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AIMC associazione italiana maestri cattolici

Da Notes n. 5 e 10 2007Docente: chi è costui?Unitarietà e articolazione di una professione.

Costruire identità

“Carneade. Chi era costui?”. La lapidaria battuta pronunciata da Don Abbondio nell’incipit dell’VIII capitolo dei “Promessi sposi”, ben si adatta alla definizione del profilo articolato e complesso delle professioni di scuola. Come Carneade, sinonimo di persona poco nota, anche il docente è soggetto di cui non è stata ancora ricomposta, in una sintesi unitaria, la multidimensionalità di funzioni e compiti.

L’Aimc, da sempre, ha promosso un percorso di riflessione sul tema della docenza, indagandolo sin dai primi Congressi. Prendendo le mosse da tempi più recenti, possiamo fissare una data significativa al 1999, con il Convegno nazionale “Fare l’insegnante, le professioni scolastiche in formazione”. Gli atti ci restituiscono un articolato esame, in termini problematizzanti, dello statuto culturale, sociale e giuridico che caratterizza una professionalità in evoluzione. Da allora, la ricerca associativa si è snodata lungo la duplice linea della definizione dei tratti costitutivi della professione e dell’individuazione delle logiche conseguenze istituzionali e ordinamentali. Bastino due sole citazione: il Convegno nazionale “Valore aggiunto. Professioni condivise” del marzo 2004 e il Convegno nazionale “Etica snodo tra competenza e professione” del marzo 2005.

Siamo tutti convinti che, in una concezione articolata della professione docente, l’unico traguardo e possibilità di avanzamento non può identificarsi con il cambiamento di stato giuridico e funzioni attraverso il passaggio alla dirigenza. C’è bisogno di trovare strade alternative, che prevedano uno sviluppo rispettoso della specificità di un ruolo che ha bisogno di evolversi senza rinunciare ai suoi tratti identitari. La domanda di fondo diventa allora: cosa c’è dietro al concetto di carriera?

L’Associazione, in coerenza con l’idea di “scuola comunità per la persona” si orienta verso l’idea di sviluppo del sé professionale all’interno di una comunità di professionisti di scuola e preme nelle sedi opportune per una più decisa valorizzazione delle azioni di aula, attualmente perdenti rispetto a funzioni aggiuntive che trovano il loro naturale habitat in luoghi e contesti diversi da quello deputato allo svolgimento delle azioni di apprendimento-insegnamento.

Il pericolo che il docente competente s’identifichi sempre più con l’insegnante che si allontana dall’aula, “cuore dei processi di apprendimento-insegnamento”, non è da sottovalutare anche perché reca con sé una sorta di tentazione di fuga da un quotidiano considerato sempre più routine poco gratificante.

1. Una riflessione che viene da lontano

DimensioniCesare Scurati (dalla relazione “Professioni di scuola. Profili di identità”, Convegno “Fare l’insegnante. Le professioni scolastiche in formazione”, Sacrofano 6-8 febbraio 1998)

… La formazione all’insegnamento si colloca in tre fondamentali aree:- sostegno alla maturazione professionale, il peso e l’importanza delle

interazioni che un insegnante è chiamato a sostenere, così come l’impegno a essere vicino ad alunni la cui personalità è in via di sviluppo e che egli deve aiutare a maturare esigono una formazione personale compiuta e una visione stabile della vita, della società e del lavoro. La prima risorsa di chi insegna è la sua forza in quanto persona, così come la prima qualità dell’istituzione coincide con la qualità umana dei suoi operatori;

- preparazione culturale solida e dinamica, l’insegnamento va riscattato una volta per tutte dallo stato di inerzia critica, di stereotipia ricorrente e di elevata influenzabilità delle mode didattiche per fondarsi e radicarsi in precise doti di autoriflessività, di oggettivazione, di analisi e di collocazione del proprio progetto di vita in una corretta dimensione storica, sociale e morale. L’istintualismo sentimentalistico, l’abbandono deterministico ai condizionamenti socio-ambientali, il paraenciclopedismo di una cultura quantitativamente estesa ma superficiale, l’automatismo reattivo di una preparazione mansionisticamente pignola ma priva del respiro dell’invenzione: tutto deve lasciare definitivamente il passo alla chiarezza (interiore e oggettiva) e alla piena capacità progettuale;

- competenza tecnico-operativa precisa ma non rigida, i momenti di preparazione diretta e di primo ingresso nella vita di lavoro vanno affrontati con maggiore puntualità di quanto non si sia fatto fino a ora. Non si può, infatti, lasciare il neoinsegnante troppo sprovveduto di fronte alle sfide e ai problemi reali e concreti che sorgono dal lavoro nelle scuole e nelle classi, generando un’insicurezza il cui esito consiste assai spesso nel rifugiarsi in vecchie e consolidate abitudini e in tranquilizzanti conformismi didattici; di contro, non si può nemmeno installare meccanismi comportamentali che rendono renitenti al cambiamento, alla ricerca e all’innovazione. Non, quindi, una professionalità troppo generica, ma nemmeno una professionalità rigidamente del tutto compiuta e finita: piuttosto, il possesso di fondamentali strumenti di lavoro unito alla disponibilità all’aggiornamento e al rinnovamento razionale.

Rispetto a tutto questo, competenze così come possibilità di intravedere linee non confuse di azione ce ne sono: occorre, però, conoscere, decidere e scegliere.

L’insegnante come operatore “pratico-riflessivo”Elio Damiano (dalla relazione “Formare per la scuola. Modelli di professionalizzazione” , Convegno “Fare l’insegnante. Le professioni scolastiche in formazione”)

… Non solo l’insegnamento, ma anche le cosiddette professioni maggiori come la medicina e l’ingegneria sono tenute a impegnarsi quotidianamente nel “gioco del lotto” di situazioni uniche, che esigono un trattamento specifico e

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originale, invece che problemi chiaramente definiti, per risolvere i quali basta applicare una soluzione già pronta all’interno di un repertorio standard...

Anche in ambito giuridico accade di doversi misurare con una casistica imprevedibile e cangiante: e il merito della giurisprudenza consiste proprio nel produrre soluzioni ad hoc, mentre viene considerato dilettantesco il comportamento di chi trasferisse – senza discernimento e adattamenti – una presunta “ricetta” ricavata dai “manuali canonici” studiati all’università. Questo genere di operatori si scontra quotidianamente col problema di una diagnostica differenziale per la stragrande maggioranza degli episodi professionali. Come dice Schon (1983, 1987), nei contesti a elevata professionalità, il dilemma da sciogliere appare regolarmente quello delle alternative fra “rigore” e “pertinenza”: se si privilegia il rigore “scientifico” ci si dovrebbe occupare soltanto di casi marginali, al limite della banalità, ma che hanno il vantaggio di essere “conformi” alle regole del metodo “scientifico”. Al contrario, il lavoro del professionista consiste in uno sforzo continuo di costruzione del senso all’interno di situazioni dove predominano l’incertezza, l’indeterminazione, la vaghezza e, sempre più di frequente, oggi, il conflitto di valori. Ed è quello che succede, normalmente, agli insegnanti nel lavoro di aula e di scuola. E da tutti questi operatori si reclamano interventi “pertinenti”, non legittimabili altrimenti che dalla perspicuità con cui si fanno carico di problemi connotati da complessità e unicità. In questi ambienti, l’approccio classico della razionalità tecnica non risulta di alcuna utilità; serve, invece, un’epistemologia della pratica, quale i professionisti costruiscono giorno dopo giorno, “riflettendo nell’azione”. Di qui, la tesi di Schon sul professionista, definito un “pratico-riflessivo”, “fonte” del sapere pratico e “testimone” in primis di un’epistemologia pratica. Un genere di conoscenza che non è lineare, né scandita secondo tappe predeterminabili, una competenza che non può essere formalizzata totalmente, comunque non col linguaggio della logica tradizionale: un sapere che elude le regole principali della distinzione e riduzione perché è un sapere dell’azione, basato sulle strategie della complessità, della connessione multipla e della contestualizzazione ecologica. Un sapere elaborato sul terreno da un professionista per uscire dal disordine iniziale, approntare interventi mirati e regolazioni adattive tali da assicurare coesione e perseguire, di volta in volta, soluzioni pertinenti ed efficaci. Un sapere difficile da cogliere per un osservatore esterno, a prima vista non qualificabile come “vero” sapere, perché sfuggente rispetto alle categorie “scientifiche”, che appaiono eccessivamente semplificatorie.

La “riflessione-in-azione” si può definire come la capacità di “pensare ciò che si fa mentre lo si fa”, oppure, meglio, di “conversare” con la situazione incerta attraverso le azioni che si compiono per cambiarla e per reagire in tempo reale ai risultati indotti dagli interventi stessi: in questo modo, la comprensione che si acquisisce non è l’esito dell’applicazione della teoria, bensì quella consentita dalla perspicacia delle iniziative prese per uscire dall’indeterminatezza della situazione. E ogni nuovo “caso” viene ad arricchire, per riorientamenti successivi, il repertorio di conoscenze già posseduto: un “thesaurus” fatto di esempi, di immagini, di “metafore generative”, di regole e sequenze interiorizzate nel corso delle esperienze trascorse. La “riflessione-in-azione” si può considerare, di fatto, una forma di ricerca e di sperimentazione sui generis, finalizzata a migliorare la pratica professionale mediante la elaborazione di teorie contestualizzate e personalizzate (esattamente quel tipo di comportamenti stigmatizzati dalla scienza “canonica” come sprovvisti di qualsiasi legittimità teorica). In questo modo, la pratica “riflessiva” si viene a costituire nei termini di un’autentica attività “metacognitiva” mentre compito della “nuova” ricerca diventa quella di produrre un linguaggio capace di “dire” adeguatamente la conoscenza pratica.

Siamo così al ribaltamento del rapporto teoria/pratica, in cui il baricentro si è spostato dalla parte dell’operatore…

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2. Dicono di lui …

2.1. Che è bravo quando: (affermazioni ricorrenti - contributo di Giovanna Modarelli)

* Ha conoscenza della propria disciplina.* È capace di trasmettere in modo chiaro gli elementi della disciplina.* Ha capacità di progettazione-programmazione dell’attività scolastica.* Riesce ad attuare quanto ha programmato anche apportando eventuali

aggiustamenti in itinere.* Ha consapevolezza di quello che sta facendo e del perché lo fa.* Sa adeguare la propria progettazione alle indicazioni (finalità, standard,...) del

Pof, mediandole.* Sa lavorare in sinergia con gli altri (commissioni, dipartimenti, equipe

pedagogica).* È disponibile a mettersi in gioco (ricerca-azione, sperimentazioni).* Sa instaurare un buon rapporto con gli alunni (motivandoli,

comprendendoli,...).* Riesce a essere “regista” di quel che avviene in classe senza far dipendere

tutto dalla sua persona.* Quando è cosciente della necessità ed è disponibile ad attuare un progetto di

sviluppo professionale.* È capace di far realizzare agli alunni miglioramenti rispetto alla situazione di

partenza.* È puntuale e rispetta l’orario.* È disponibile ad assumere impegni e li assolve con serietà.

2.2. Che è bravo se, individualmente …Esplica le proprie competenze in diversi ambiti nel quotidiano d’aula

Ambiti dellaprofessionalità

Competenze in riferimento alla singola classe

Sapere esperto esapere insegnato

• Controllare i fondamenti del “sapere esperto”.• Destrutturare il sapere e gestire la sua trasposizione didattica.

(rispetto all’area disciplinare di riferimento:italiano, matematica, storia, scienze,…)

• Utilizzare i risultai più significativi del sapere esperto, uscendo dal “recinto”della manualistica.• Determinare gli obiettivi specifici in relazione al sapere da insegnare e al contesto nel quale si opera.• Adattare e ristrutturare i programmi in funzione del contesto.• Costruire e gestire moduli di insegnamento/apprendimento.• Costruire e gestire sistemi di sapere.• Sottoporsi ad aggiornamento e autoaggiornamento continuo sulla propria disciplina e sulle nuove metodologie didattiche, strumenti, problematiche psico-relazionali degli alunni.• Cercare il confronto, stare al passo con l’evoluzione delle

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teorie educative e praticare la ricerca didattica.

Lo studente

• Diagnosticare i bisogni affettivi e cognitivi dei soggetti in apprendimento e i loro eventuali problemi.• Costruire e rinforzare la motivazione.• Graduare le attività e valorizzare le differenti strategie di apprendimento.• Sostenere processi significativi e sempre più autonomi di apprendimento.• Gestire un insegnamento individualizzato e uno collettivo.• Organizzare moduli di sostegno e di recupero.

Relazione e comunicazione

• Costruire e presidiare lo spazio scolastico come setting per l’apprendimento. • Prendersi cura della classe come gruppo di apprendimento.• Accompagnare e sostenere la riflessione sui processi emotivi e cognitivi. connessi alla elaborazione delle conoscenze.• Gestire le dinamiche interpersonali.• Condurre gruppi di lavoro e valorizzare l’apprendimento cooperativo.• Utilizzare le diverse modalità di comunicazione (dalla lezione frontale al laboratorio didattico) e l’uso delle varie strumentazioni (dalla lavagna alle nuove tecnologie).

Valutazione

• Costruire e gestire moduli di avvio ai percorsi di apprendimento.• Costruire e gestire strumenti di monitoraggio dei processi di insegnamento/apprendimento.• Favorire l’autovalutazione degli studenti.• Valorizzare il raggiungimento di eventuali risultati imprevisti.• Costruire e gestire strumenti di valutazione finale degli esiti formativi e conoscitivi, con riferimento anche alle competenze metacognitive• Valutare la validità e l’efficacia degli strumenti di valutazione utilizzati.• Valutare l’efficacia delle innovazioni didattiche.

I colleghi• Collaborare alla progettazione/realizzazione di progetti e moduli innovativi nel proprio campo disciplinare.• Collaborare alla progettazione/realizzazione di progetti e moduli interdisciplinari.• Confrontare e valutare risultati di innovazioni e di sperimentazioni.

La scuola

• Collaborare all’organizzazione (orari-spazi-gestione,…) della propria scuola• Assumere incarichi di responsabilità.• Sentirsi parte integrante del sistema “scuola”.• Essere propositivi.• Collaborare con DS, FS…

I genitori• Collaborare alla costruzione del progetto formativo.• Dare ascolto ai punti di vista e negoziare soluzioni ai

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problemi educativi.• Confrontare e valutare i risultati dell’intervento didattico.

Risorse esterne • Conoscere le opportunità presenti nel territorio.• Utilizzarle come risorse del processo di insegnamento/apprendi-mento.• Costruire, gestire e valutare moduli integrati scuola/extrascuola.

2.3. Che è bravo se, non da solo …

2.3.1. ...vive l’appartenenza alla comunità professionale

Matrice identitaria riferita ai professionisti di scuolaContributo del Gruppo di approfondimento su Apprendimento unitario e competenze in continuità

… Rispetto a un’idea di scuola che recupera le sue radici nel mandato costituzionale come istituzione aperta, dinamica e flessibile, si riscontra l’esigenza di ridefinire il profilo alto dei professionisti di scuola che non può prescindere dal farsi carico di aspetti culturali, politici, sociali.

Ne consegue che…a) nella riscrittura dei documenti programmatici il Ministero della pubblica

istruzione dovrebbe tener conto di queste considerazioni di fondo onde evitare incoerenze, dissonanze e scollamenti registrati in un primo monitoraggio delle esperienze che ha “testato” le attuali Indicazioni nazionali in merito ai seguenti punti:

- coerenza/incoerenza disciplinare;- confusione nel testo tra oggetti culturali e abilità;- scollamento tra conoscenze dichiarative e procedurali;- fragilità nella rete sistemica, tra profili in uscita (Pecup) e saperi essenziali

proposti nelle Indicazioni nazionali;- dissonanza fra oggetti culturali, Osa prescrittivi e livelli di sviluppo dei

soggetti in apprendimento;b) nell’elaborazione dell’offerta formativa le unità scolastiche autonome non

possono prescindere dall’individuare, interrogandosi all’interno (condizione essenziale per costituirsi come comunità di valori condivisi) e dall’esplicitare, comunicando all’esterno (condizione essenziale per promuovere corresponsabilità educativa) il proprio mandato istituzionale.

La problematica della competenza va indagata in una rete sistemica di concetti a partire da quello di scuola come istituzione deputata alla promozione dell’apprendimento (come trasformazione delle capacità in competenze) che non può non configurarsi come organizzazione che apprende.

Dal pronunciamento della Presidenza nazionale Aimc in occasione del rinnovo contrattuale 2003

… Come associazione professionale che vuol offrire il proprio contributo di accompagnamento ai docenti, presto chiamati a rendere operative le modifiche introdotte dalla riforma, ci permettiamo di rubricare, almeno per sommi capi, quelli che riteniamo siano i nodi già avviati e quelli che potranno presto avviarsi.

In particolare:

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- lo stato giuridico dei docenti: quali “attori” saranno chiamati ad affrontarlo e quale spazio nel dibattito sarà garantito ai docenti e alle loro associazioni?

- il problema, richiamato anche dall’art. 22 del nuovo contratto, della “carriera”: un passaggio non facile, ma necessario, sarà quello di individuare strategie possibili per una necessaria articolazione di funzioni finalizzate al “ben-essere” di una comunità professionale complessa senza, però, cadere in un’arida e pericolosa gerarchizzazione. Su questo punto, l’Aimc desidera richiamare la propria visione della “carriera” in termini di “sviluppo del sé professionale”, nel quale trovino giusta collocazione e adeguato riconoscimento anche sul piano economico le “professionalità articolate” attraverso le quali si esprimono la competenza, la creatività, la pluralità delle professioni di scuola;

- la questione delle funzioni strumentali al Pof: mentre si esprime apprezzamento per il fatto che la gestione di questo aspetto non secondario è stata nuovamente affidata alla responsabilità del Collegio docenti, si segnala al tempo stesso il rischio dell’insorgenza di conflittualità fra svolgimento di queste funzioni e attività di collaborazione con il dirigente scolastico;

- la formazione in servizio: va certamente ascritta a merito dei contraenti la possibilità offerta alle istituzioni scolastiche di ricorrere alle associazioni professionali accreditate per realizzare il proprio piano di formazione, ma rimane vivo il timore della vanificazione di questa opportunità vista l’ipotesi di formazione in servizio contenuta nella legge 53/03. Già da ora, infatti, si assiste all’insorgenza di conflittualità all’interno dei Collegi docenti per l’avvio di corsi di informazione-formazione sulla riforma la cui organizzazione prescinde dal dato contrattuale che affida al Collegio dei docenti la definizione del piano di aggiornamento e formazione.

L’Associazione, infine, ha più volte richiesto – e anche ora lo ribadisce con forza – che in sede contrattuale vengano presi in considerazione, e su questi si assumano decisioni, i seguenti due punti fondamentali:

- il riconoscimento del “lavoro sommerso” che grava quotidianamente sui docenti, ma che stenta ad affiorare dal livello carsico in cui si svolge;

- il riconoscimento del tempo speso per la conduzione e l’espletamento di attività all’interno di un’associazione professionale come tempo di formazione e aggiornamento.

2.3.2. … gioca la soggettività in relazione con gli altri soggetti della comunità scolastica

Autonomia e promozione Mariangela Prioreschi (dalla relazione “Sortirne insieme”, Convegno nazionale “Promuoversi e promuovere. Scuola: comunità per la persona”)

… È dalla frontiera della competenza che siamo partiti, una frontiera appena lambita, ne vediamo la difficoltà anche nel definirla, nel risignificarla (anche nei documenti recenti la banda di oscillazione è ampia) è quindi un sentiero appena intravisto, tutto da esplorare, siamo di fronte a una vera riforma del pensiero. Sfida complessa che solo una comunità pensante e intenzionata può raccogliere. La scuola comunità ne è condizione e, mentre promuove la persona, si costruisce e si consolida sempre più, promuove se stessa, s’invera, riscopre a tutto tondo la sua poliedrica identità.

Un vero circuito virtuoso in cui alla fin fine ognuno (bambini e adulti) hanno molto da guadagnare, ma anche da dare.

Ecco, allora, quel promuovere e quel promuoversi della prima parte del titolo. E vale per ogni comunità che non è aggregato casuale o contesto omologante.

Comunità è parola che ritma il convegno, basta dare uno sguardo alla struttura delle tre unità. Tre cerchi concentrici, di cui abbiamo scontornato lo

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specifico apporto alla promozione della persona, nella chiara consapevolezza che, in realtà, ognuno di questi cerchi influenza l’intera promozione.

Rispetto dei ruoli e corresponsabilità educativa*(contributo di Cristina Carnevale)

… È importante che il rapporto scuola-famiglia sia sempre più improntato non sulla semplice “comunicazione”, ma sul dialogo; “genitori e insegnanti possono e devono agire all’insegna dello scambio di contributi, alternativo alla delega e all’autosufficienza”.1  In questo senso, genitori e docenti possono aprirsi a uno stile relazionale nuovo, sulla scia della strada aperta dall’autonomia;2  una cooperazione che permetta di giungere pian piano a elaborare insieme un progetto educativo condiviso e portato avanti ognuno secondo le proprie responsabilità. “I genitori, oggi, per intervenire nella vita della scuola hanno bisogno di essere sollecitati attraverso questioni reali, tangibili, connesse con la crescita dei figli e con il procedere quotidiano dei ritmi di apprendimento e di strutturazione della personalità dei medesimi”;3  ma l’attenzione per i temi concreti, pratici, da risolvere nel quotidiano, deve essere collocata all’interno di un quadro pedagogico d’intenti…

… Non basta dunque disporre di buoni strumenti per imbastire una positiva relazione scuola-famiglia. Occorre una marcia in più che va nella direzione della personalizzazione, umanizzazione del rapporto genitore-docente…* Cfr. L. PATI, Famiglia e scuola dell’autonomia: dalla partecipazione alla corresponsabilità educativa, cit., pp.25-37.1 Ib. 2 Cfr. Legge 15 Marzo 1997, n. 59, art.4, c. 2-d; e DPR 8 Marzo 1999, n. 275, art. 3, in cui il principio della cooperazione e il coinvol-gimento dei genitori è ritenuto importante.3 L. PATI, Famiglia e scuola, p. 31.

FASE DI COINVOLGIMENTO:la proposta educativa

… il lavoro svolto resterebbe sulla carta se non si passasse alla fase di coinvolgimento delle famiglie nel processo formativo dei loro figli.

Occorre cioè attivare concretamente dei momenti di raccordo pedagogico con precisi intenti.

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Fissare alcune dimensioni educative ritenute importanti sulle quali lavorare

Trovare delle strategie operative per rinnovare il contesto educativo

Prevederemomenti di incontro:

istituzionalinon formali

Impegnarsi nel monitorare i risultati.La famiglia apprezza l’attenzione/cura da parte dei docenti

È dimostrato nella prassi che, nel momento i cui i genitori si sentono coinvolti nel processo educativo-formativo scolastico come parte integrante ed essenziale, nel rispetto dei diversi ruoli (genitori-docenti), apprezzano tale possibilità e si sentono maggiormente responsabili nell’ambito di un progetto pedagogico comune.

All’abilità del corpo docente, alla sua competenza e al suo impegno professionale, spetta il difficile compito di ricercare e sperimentare modi sempre più appropriati di interagire con le famiglie degli alunni, innalzando passo passo la qualità e i frutti educativi di tale relazione.

Il rapporto stesso docenti-genitori, se portato avanti con professionalità e buon senso, offre di per sé un arricchimento per entrambe le parti: i docenti, grazie al contributo dei genitori, acquistano una maggiore capacità di comprensione verso gli alunni (le loro peculiarità, i loro interessi, le loro attitudini, le loro difficoltà,...); d’altra parte i genitori, nello scambio dialettico con i docenti, sono chiamati a fare una riflessione critica sul proprio metodo educativo, fino eventualmente a modificarlo.

Nella pazienza del saper aspettare, a suo tempo si vedranno i risultati. Le due parti in gioco, genitori e docenti, portano ognuno il proprio contributo così che l’altro possa farne tesoro e maturare col tempo nelle proprie strategie educative, scolastiche e familiari.

3. Dice di sé...

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3.1. Alla ricerca della professionalità perduta. Problematicità della funzione docente e del sistema di formazione della professione (contributo di Loredana Giannicola)

Quale formazione… Il profilo dell’insegnante non è semplicemente definibile pensando a dei curricoli costruiti a partire da una semplicistica declinazione di competenze, la qualità della prestazione professionale è data dalla combinazione integrata degli assi di competenze e dalla capacità – come ci insegna Edgar Morin – di contestualizzare e globalizzare i saperi e le conoscenze (cfr. E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, 2000) senza disperdere la dimensione valoriale dei contenuti d’insegnamento.

Il problema della formazione docente, infatti, richiede un’attenta riflessione sulla concezione e sui metodi della formazione stessa e sul rapporto tra i segmenti che la costituiscono (formazione iniziale, in ingresso, in servizio). La frontiera futura su cui occorrerà riflettere in maniera sensata, evitando di scivolare in interessi di parte, è rappresentata dalla valenza formativa dei Corsi di laurea in Scienze della formazione primaria e delle SISS e dal ruolo delle Università e delle scuole nella definizione del profilo professionale del docente.

… È evidente che un tassello importante e significativo nella formazione docente è assolutamente debole, quello che riguarda il rapporto con la scuola. Lo spirito della legge istitutiva dei corsi di laurea per gli insegnanti prevedeva proprio il passaggio da una dimensione separata dei due mondi formativi, alla costruzione di uno spazio comune in cui incrociare interessi, ricerche, studi ed esperienze diverse e favorire la contaminazione delle aree di lavoro, al fine di tracciare nuovi scenari su cui coltivare la professione docente del futuro, in cui teoria e pratica potessero dare luogo a un sapere “terzo” espressione di quell’epistemologia operativa che contraddistingue il pensare e l’agire professionale e che colloca nella ricerca comunitaria il fulcro generativo per la rinascita dell’esercizio professionale. Tutto questo, nel corso degli anni, non si è verificato, anche perché le associazioni professionali raramente sono state ascoltate dalle università.

Attualmente, ci si trova in una fase di attesa rispetto al nuovo; anche le notizie che circolano non sono rassicuranti. A ogni modo, si auspica un rinnovamento che vada a incidere profondamente nella costruzione dei curricoli formativi e che partano dal profilo del docente e dal ruolo che è chiamato a svolgere, rompendo quel circuito pericoloso di mercificazione dei titoli per affermare la responsabilità dell’impegno e dello studio. Tutto questo è possibile solo rilanciando il valore formativo delle scuole e con riconoscimenti legislativi che incidano in maniera significativa sullo sviluppo professionale. Non si può continuare a dimenticare o a sottovalutare che la scuola e i soggetti in apprendimento reclamano personale altamente qualificato non solo in termini di competenze ma anche in ricchezza etica e, quindi, emotiva e valoriale.

3.2. Dai Forum Indire per la formazione dei neoimmessi in ruolo 2006-2007

…Che dire? Non é facile creare punti fermi da una realtà in trasformazione: chi valuta chi e come? Chi scredita chi, come e perché? C’è un vuoto di valori nella nostra professione che va colmato? La dignità di un corpo docente non sta solo in un sacrosanto nonché equo stipendio (!) ma nell’importanza che uno Stato vuole dare al sistema d’istruzione e formazione nonché ai suoi contenuti per valorizzare i cittadini nell’essere persone: fatti per cortesia, in un clima di relativismo etico in troppi campi!

… Il lavoro di un docente non si esaurisce in classe, ma continua a scuola (aggiornamento, coordinamento, incarichi,...) e a casa (programmazione lezioni,

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preparazione e correzione verifiche/consegne,...).Tutto ciò non viene considerato dalla società, convinta che un docente lavori appena quattro ore al giorno con anche i famosi tre mesi di “vacanza”. Lo stipendio dovrebbe tener conto della produttività, legata anche a dei livelli di carriera, come vero riconoscimento della professionalità docente. Come calcolare la produttività? Come creare i livelli di carriera?

… Siamo disposti ad accettare che ci valutino? Questa è la sola strada che conosco per poter richiedere una giusta retribuzione per il lavoro che svolgiamo.

… Non si può certo vivere di rendita, in questo nostro mestiere. Mi chiedo però che fine ha fatto negli ultimi dieci anni la formazione in sevizio dei docenti? Il male della scuola, secondo me comincia proprio da qui, dalla formazione mancata o arrestata o mai avvenuta in modo serio.

… Con l’autonomia aumenta la possibilità dei docenti di contare di più, di decidere, di costruire un progetto educativo e didattico più sentito e condiviso nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti e tempi di insegnamento. Autonomia non può significare impoverimento di rapporti (come spesso avviene in alcune realtà), ma semmai arricchimento reciproco, dialogo, circolazione delle idee e scambio di esperienze.

… Sono d’accordo nel ritenere obbligatoria la formazione continua degli insegnanti, anche perchè la nostra società è in continua evoluzione e, se vogliamo educare le nuove generazioni a essere cittadini del domani, dobbiamo noi per primi essere in grado di conoscere i bisogni della società. Pertanto, la formazione continua, l’aggiornamento e la professionalità sono la base per formare l’uomo del domani.

3.3. Modalità di documentazione(contributo di Giovanna Modarelli)

AutovalutazioneLa valutazione è lo strumento essenziale per il miglioramento della professionalità

docente, ma essa diventa più efficace quando da esterna, cioè esercitata da un’autorità superiore, si traduce in autovalutazione e, quindi, nella valorizzazione della funzione pedagogica-didattica che è propria di ogni docente e in una maggiore responsabilità nell’organizzazione dei percorsi educativi.

L’autovalutazione deve essere sistematica, cioè attuata dal docente nella sua continua esperienza didattica seguendo alcuni indicatori: i risultati di apprendimento degli allievi, il clima di collaborazione e di fiducia, che costituisce la condicio sine qua non del processo di insegnamento/apprendimento, gli stimoli provenienti dagli allievi durante la lezione, capacità di gestione dell’aula, il coordinamento disciplinare, la realizzazione di percorsi formativi individualizzati per alunni in difficoltà.

Ritengo, pertanto, che nella valutazione sia da privilegiare l’approccio critico e costruttivo piuttosto che la misurazione dei risultati: nella funzione docente deve assumere grande rilievo la capacità del cambiamento, cioè la capacità di modificare il proprio stile educativo in funzione delle esigenze del gruppo classe e dell’istituzione scolastica.

Occorre che il docente capisca che la propria azione è comunque iterazione, che essa si collega in un progetto promosso, gestito e verificato nella collegialità. Il docente deve superare l’individualismo per la collegialità, l’autoreferenzialità per la progettualità.

L’autovalutazione può attuarsi mediante questionari redatti all’uopo.

Diario di bordoDiario come:

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- racconto/descrizione di eventi, situazioni, comportamenti osservati e vissuti in aula: non traccia cronologico di tutta l’attività, ma scelta di una serie di attività ed esperienze risultate a chi scrive particolarmente interessanti perché nuove, perché e efficaci e “di successo”, perché problematiche;

- rielaborazione, delle esperienze narrate, con riferimenti, agganci, approfondimenti di carattere teorico, collegati al bagaglio di esperienze e conoscenze pregresse. È auspicabile un’impostazione problematica, critica e possibilmente propositiva.

Il Diario di bordo potrà vertere su tutti od alcuni dei seguenti aspetti:a) le fasi del processo di interazione formativa. La progettazione, la

conduzione, l’autovalutazione in itinere, le verifiche; punti di forza e di debolezza di ciascun momento;

b) la strutturazione di varie forme di conduzione didattica (lezione frontale, gruppi, laboratorio…): i tempi, i modi, i vincoli, gli esiti

c) gli stili di insegnamento osservati o praticati: vantaggi e limiti;d) l’insegnamento esplicito o implicito – ma rilevabile – di metodi e strategie

di studio (organizzazione, memorizzazione, stesura appunti,…);e) scelte operate all’interno dei curricoli disciplinari sulla base di criteri

evidenziabili: rilevanza epistemologica o pedagogica, motivazioni, interessi,…f) differenziazione dell’offerta formativa (gruppi di livello, insegnamenti

obbligatori opzionali facoltativi, recuperi e potenziamenti) se sperimentata o comunque progettata;

g) esperienze relative all’attività di sistema: progetto d’istituto, organizzazione, organi collegiali, interazione con studenti e famiglie.

Indagine presso alunni e genitoriPossono essere somministrati questionari anonimi.

3.4. Indicatori per la lettura della professione docente(dal contributo delle associazioni professionali alla ricerca condotta dall’USR Emilia Romagna, presentato da Ermanno Rossi)

Nella definizione del profilo professionale dei docenti, e delle competenze ad esso connesse, si sono utilizzate come criterio ordinatore le aree di competenza proposte dall’art. 25 del CCN del 24 luglio 2003. Le suddette aree, e le relative competenze specifiche, evidenziate nella tabella sottostante, riguardano: i saperi disciplinari; la pedagogia; la metodologia e la didattica; l’organizzazione; la ricerca, la sperimentazione e l’innovazione. Tutte assieme concorrono al profilo di un docente efficace che sa essere “colto”,”riflessivo”, “pratico”, “collaborativo”, “ricercatore”… Senza entrare nello specifico che riguarda gli ordini di scuola, l’ambito disciplinare e il ciclo di vita professionale (formazione iniziale, inserimento professionale o formazione in servizio) si propone un’articolazione generale, di indirizzo, indicando per ogni area poche competenze centrali e condivise.

Area Competenze: l’insegnante…

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* Padroneggia il sapere disciplinare (particolarmente l’analisi disciplinare: linguaggio, struttura, concetti-chiave, contenuti forti della disciplina), mantenendolo costantemente aggiornato in relazione alle nuove acquisizioni della ricerca.

* Confronta/collega il proprio sapere disciplinare con altre discipline.

* È consapevole del valore formativo della propria disciplina e sa trasmetterlo agli allievi.

* Colloca finalità e obiettivi di apprendimento della propria disciplina all’interno delle finalità generali della scuola e dello specifico contesto scolastico (POF).

* È in grado di utilizzare i saperi disciplinari in relazione alla cultura contemporanea.

2. P

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” * Gradua e governa il processo di insegnamento e di apprendimento, sia negli aspetti cognitivi che in quelli affettivo-relazionali, tenendo conto delle caratteristiche socio-psicologiche degli alunni.

* Assume e promuove atteggiamenti/comportamenti collaborativi, utilizzando anche le dinamiche del gruppo classe a fini formativi (regia educativa).

* Stimola, motiva e valorizza i propri allievi.* Sa gestire i curricoli per l’area dell’integrazione.* Accetta le idee e i vissuti degli allievi, ponendosi con

coerenza educativa come testimone dei principi di apertura, responsabilità e correttezza che chiede agli allievi, pur senza rinunciare al proprio ruolo educativo.

3. M

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o” * Progetta, monitora, modifica in itinere e valuta (e incoraggia ad autovalutare) i processi formativi e i relativi curricoli, gestendo adeguatamente i tempi e i carichi di lavoro.

* Padroneggia una pluralità di strategie e tecniche didattiche, anche connesse alle nuove tecnologie, che sa adattare al contesto.

* Effettua delle scelte efficaci sul piano operativo, elaborando i materiali necessari per attuarle.

* Conosce ed è in grado di utilizzare e integrare nel proprio percorso didattico le risorse presenti dentro e fuori della scuola.

4.O

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* Sa lavorare in team (cooperare, comunicare, coordinare) dentro la scuola, tra scuole, e in rapporto con il territorio, con i propri colleghi e con le altre figure professionali, ma anche con le famiglie e le loro forme associative.

* Sa dare il proprio contributo alla progettazione collegiale dell’offerta formativa della scuola per rendere la stessa unitaria e affidabile.

* È in grado di assumere funzioni gestionali nell’ambito della scuola, presidiandone i processi fondamentali (progettazione, organizzazione, realizzazione e controllo).

* Propone, ed è in grado di organizzare, attività extra-curricolari sia legate al successo scolastico, che nel quadro dell’arricchimento dell’offerta formativa.

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5. R

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* Riflette, individualmente e collettivamente, sul proprio lavoro, sul processo di insegnamento-apprendimento e sulle azioni didattiche, sulla base degli esiti formativi.

* Elabora e utilizza gli strumenti necessari all’arricchimento delle conoscenze culturali e professionali (ricerche, banche dati, pubblicistica).

* Sa documentare la propria ricerca/esperienza e conosce le risorse per metterla a disposizione dei colleghi.

* È in grado di svolgere ricerca-azione con i propri colleghi, costruendo con essi una comunità professionale che si propone di migliorare e innovare costantemente le proprie pratiche professionali.

* Sa utilizzare la propria esperienza fatta oggetto di ricerca per assumere un ruolo attivo nella formazione dei colleghi (svolgendo le funzioni di tutor, di coordinatore di lavori di gruppo, di relatore,...).

4. In prospettiva…

4.1. L’idea di comunità nei documenti ufficiali

Crescere in una comunità di apprendimento(da “Il curricolo nella scuola dell’autonomia”, Documento inviato dal Ministero della Pubblica Istruzione alle associazioni per l’Audizione del 17 aprile 2007)

… L’alunno cresce e sviluppa le proprie competenze in un ambiente culturalmente caratterizzato, altamente simbolico, e nell’interazione continua con gli altri apprende a muoversi nelle diverse situazioni di vita grazie all’uso di strumenti culturali. Se nessuno può sostituirsi al compito evolutivo del quale ogni persona è portatrice, tale compito può essere opportunamente sostenuto grazie a molteplici forme di mediazione. Già i materiali, gli ambienti, lo spazio fisico fungono da mediatori, ma la principale, insostituibile mediazione è data dall’interazione sociale, da cui si possono sviluppare varie forme di apprendimento collaborativo, nelle quali la qualità della relazione educativa è centrale.

È in questo clima che si costruisce la comunità scolastica, che si configura come:

a) comunità di pratiche: gli alunni imparano l’uno dall’altro, quando sono insieme impegnati in un compito comune, come possono essere quelle della ricerca, o della progettazione e realizzazione di un prodotto. Il lavorare insieme promuove diverse forme di collaborazione, consente di mettere in comune conoscenze tacite altrimenti non svelate, fa emergere ruoli, evidenzia la mutua rilevanza perché tutti concorrono all’obiettivo condiviso;

b) comunità di dialogo: gli studenti discutono, mettendo a confronto le loro idee e le loro “visioni del mondo”. Scoprono altri punti di vista rispetto al proprio e sperimentano resistenza alle loro convinzioni. L’altro è il limite contro il quale naufraga l’egocentrismo cognitivo e quello sociale ed è la condizione per il loro superamento. La disputa inevitabile apre la strada alla discussione e questa all’argomentazione. S’impara grazie al dover rendere ragione delle proprie convinzioni e, in tal modo, si scopre che esistono anche altre ragioni, altri punti di vista, che possono migliorare o arricchire il nostro. Come nella vita democratica adulta, anche nelle prime esperienze di interazione con gli altri, l’opposizione gioca

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un ruolo fondamentale perché non consente di coltivare l’illusione infantile di avere sempre ragione;

c) comunità di diversità: in una realtà sempre più multiculturale e caratterizzata da una molteplicità di diverse situazioni individuali, le pratiche didattiche collaborative svolgono un’insostituibile funzione sociale. Le personali convinzioni sono legate alla cultura di appartenenza e poterle manifestare e condividerle in un clima favorevole costituisce un’esperienza di valorizzazione che accresce l’autostima e favorisce l’integrazione. Il gruppo è formato da diversità, che non si irrigidiscono o si chiudono nella difensiva. Ma agire come membri di un gruppo collaborativo rappresenta una buona occasione di inclusione per molti alunni con bisogni educativi speciali e con rilevanti difficoltà di apprendimento. Il gruppo stesso funge da sostegno, offrendo la possibilità di partecipare con il proprio peculiare modo di essere. Ognuno può scoprire che tutti siamo differenti, e possiamo dare e ricevere aiuto;

d) comunità di persone: la dimensione sociale dell’esperienza non cancella l’originalità della persona. La scuola intesa come comunità è qualcosa di più di un’organizzazione, sia pure efficiente. Se si assume come punto di riferimento quanto è solennemente affermato nella nostra Costituzione, ribadito e posto a fondamento della legge sull’autonomia scolastica e cioè la valorizzazione delle persona umana, vista non come individuo ma come appartenente a una società, non ci dovrebbero essere dubbi: è all’interno della comunità che la persona è pienamente accolta, riconosciuta, sostenuta nel suo processo di crescita, abilitata a diventare responsabile e autonoma. Al suo interno, gli insegnanti e i dirigenti non sono ridotti al ruolo di tecnici dell’istruzione o di manager dell’organizza-zione, ma sono riconosciuti e responsabilizzati come educatori e i genitori non sono percepiti, a loro volta, semplicemente come clienti o utenti, ma come partner in un’impresa condivisa. È dentro la scuola intesa come comunità che i discorsi sulla persona, sulla personalizzazione, sull’inclusione, trovano il loro pieno significato. Ed è, soprattutto, dentro la scuola comunità professionale ed educativa che può essere offerta agli studenti una prospettiva non solo in termini di preparazione alle professioni, ma di sviluppo della propria personale identità e del proprio progetto di vita.

4.2. La nostra idea di comunità: la scuola come comunità di vita

La matrice identitaria riferita al sistema scuola (contributo del Gruppo di approfondimento su Apprendimento unitario e competenze in continuità)

… Dal mandato Costituzionale si ricavano linee guida forti e chiare rispetto all’identità e al fine attribuito alla scuola, che si connota come scuola pubblica laica, garante del successo formativo di ciascun alunno. Entrambe le connotazioni danno luogo a implicazioni concettuali su cui bisognerebbe soffermarsi per esplicitarne i significati teorici e operativi e costruire su di essi lo zoccolo duro degli elementi identirari da rafforzare, sviluppare e declinare nell’esercizio pieno dell’autonomia.

Connotazioni Implicazioni concettualiScuola pubblica laica 1 Convergenza sul fine

2 Pluralità 3 Democrazia dell’ inclusione

Scuola garante del 1 Autonomiasuccesso formativo 2 Solidarietà sociale

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3 Democrazia partecipata

Al centro: scuola-comunitàMariangela Prioreschi, (dalla relazione “Decifrare, discernere, decidere”, Conferenza nazionale, Torino, 2-3 giugno 2007)

… Al di là di come andrà declinandosi il testo delle Indicazioni, un’idea pare, fino dai primi passi, portante: la scuola-comunità. È con piacere che la ritroviamo nei testi ufficiali, perché è espressione cara al nostro lessico; è idea che si è venuta affinando, ma che sentiamo ancora distante dalla piena realizzazione nel quotidiano.

Difficile a concretizzarsi per più di un motivo; forse, la ragione cardine di tale difficoltà è che la sua costruzione non dipende dalla volontà del singolo, ma da chiarezza dello scopo necessariamente condivisa da più soggetti; da autentica negoziazione di significati; da volontà partecipata della fatica che ciò comporta; da precisa specificità (che non è chiusura) delle diverse funzioni con cui ciascuno sta nella comunità concorrendo a costruirla; dalla convinzione della necessità di quel “sortirne insieme” che è riecheggiato nel nostro Convegno di Caserta.

Comunità di pratiche, comunità di dialogo, comunità di diversità, comunità di persone si legge nel testo-sfondo delle nuove Indicazioni, ma innanzitutto comunità vitale che non sta, cioè, accanto alla vita dei bambini e degli adulti che a vario titolo la abitano, ma è dentro la loro vita, il loro farsi e costruirsi.

Comunità, allora, che cresce in precisa identità perché ha - una sua storia e una sua elaborazione;- vive e, quindi, diviene;- chiama a corresponsabilità.Una comunità così pensata ha alcune condizioni previe:- è partecipata;- è abitata da professionisti motivati e competenti (e torna in forte evidenza

la questione formazione);- è in grado di progettualità e, quindi, di verifica e costante riorientamento;- è capace di porsi in vera interazione con altri soggetti di contesto;- ha una sua soggettività pur stando dentro un sistema, una sua

riconoscibilità, un suo progetto.Nel ventaglio ampio delle possibili declinazioni, quali criteri per selezionare e

scegliere?Occorre tenere presenti alcune idee per noi irrinunciabili e che, poiché bene

le conosciamo, mi limito solo a elencare:- un’idea di persona che non è assimilabile a individuo;- un’idea di scuola finalizzata a educare attraverso il suo proprio: favorire il

cammino dell’apprendere che è certamente un conoscere, ma non solo; è un comprendere, ma non solo; è soprattutto conquistare competenze che s’intrecciano nella competenza del vivere e da qui la nostra attenzione all’unitarietà dell’apprendimento come via per entrare nella frontiera, tutta da esplorare, della competenza, appunto, oggetto del nostro primo convegno dell’anno;

- un’idea di professione in grado di gestire i processi, quindi, informata; competente nella sua poliedricità; agàpica (la comunità è “brodo di coltura” della nostra professione); a servizio, in senso nobile non servente e non servile, della persona/alunno; articolata, ma non frammentata….

4.3. Diranno di lui…

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Il futuro è nelle nostre mani. Quello che il contesto sociale penserà e dirà della professionalità docente dipende in buona parte da ciò che la professione stessa sarà in grado di dire di sé, di documentare concretamente e di testimoniare nelle azioni professionali quotidiane.

L’Associazione può essere uno spazio privilegiato e un terreno fertile per consolidare un rete di riflessività sul sé professionale nella duplice dimensione personale e comunitaria.

Si tratta di condividere una “vision” della professione e di contribuire a evidenziarne i tratti identitari, riappropriandosi della potestà specifica e attrezzandosi per ricollocare i temi dell’educazione e della professione al centro dell’attenzione del Paese e per inserirsi in modo dialogante e propositivo nel dibattito sociale.

Può essere solo una costruzione corale, una “scommessa” che si può vincere con l’apporto di tutti e di ciascuno, nel segno dell’impegno costante e della speranza.

5. Contributo del Gruppo di ricerca sull’unità della funzione docente e sue articolazioni

 Gli insegnanti avvertono il bisogno di “riconoscersi nella professione” che ha

come “cuore” del suo agire, il lavoro d’aula, sempre meno considerato come appagante e pagante. Si registra, infatti, la tendenza ad abbandonare l’aula, a considerare più appetibili e a veder maggiormente riconosciute, dal punto di vista giuridico ed economico, le attività svolte in situazioni di allontanamento dall’aula. Riposizionare la quotidiana mediazione didattica al centro di una necessaria diversificazione di ruoli e funzioni, viene avvertito come priorità su cui concentrare l’attenzione, perché le diverse articolazioni della professione si ricompongano intorno allo scopo essenziale: promuovere la persona attraverso percorsi di apprendimento/insegnamento personalizzanti. Ponendosi in questa direzione di senso i professionisti di scuola possono ritrovare elementi di autostima rispetto al loro compito, generativo di identità e di reale autonomia, che si nutre di competenze da non dare mai per acquisite e che rimandano alla grande partita della formazione continua.

La fragilità di una formazione individuale, intesa solo come diritto, senza doveri, contrasta con l’idea di una scuola dell’autonomia impegnata in azioni di miglioramento continuo della propria offerta formativa, che poggia sulla capacità di innovarsi come singoli e come comunità di educazione e di istruzione.

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Considerazione dell’impegno professionale in una prospettiva di crescita dinamica ed evolutiva in relazione alle trasformazioni antropo-sociali del tessuto comunitario e di una domanda di formazione nuova e inaspettata.

In grado di reagire positivamente alle spinte destrutturati ed alle tendenze privatistiche della funzione in favore del recupero del protagonismo professionale nella comunità scolastica.

Ricerca e recupero delle ragioni valoriali e culturali della docenza all’interno di situazioni dominate dall’incertezza, dall’indeterminazione e dalla vaghezza.

Cura dello sviluppo professionale

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Impegno e tensione per la realizzazione di un mandato comunitario di cui il docente è garante.

Richiede il superamento della logica della prestazione verso la riconquista dell’aula come luogo dell’esercizio professionale

Comporta processi di empowerment

Ma anche riequilibrio tra

Il professionista della scuola pur nella differenza delle funzioni deve ritrovare la sua sintesi nella convivialità e nella partecipazione alla costruzione di un progetto di scuola

Valorizzazione delle intelligenze professionali

In funzione della crescita della cultura comunitaria come spazio di espressione e realizzazione di una cittadinanza autentica nella

Libertà di insegnamento connessa al bisogno di visibilità e

Responsabilità sociale

In funzione della crescita e maturazione dell’alunno.

Vista come compartecipazione e aiuto alla realizzazione del benessere “dell’altro” (soggetto in apprendimento).

Necessario investire nella formazione.

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Formazione docente

Vissuta come costruzione di un profilo professionale

Superamento delle derive di mercato e della visione del “customer satisfaction”

Affermazione della qualità e rilancio di una alta professionalità

Che trova nella comunità scolastica il senso del suo esistereChe interpreta la professione come impegno sociale che vincola ad un’azione formativa di qualità

Che sceglie responsabilmente di investire le personali risorse in favore delle promozione del successo formativo del soggetto in apprendimento

Che sa prendersi “cura” di sé attraverso una sapiente azione di manutenzione delle personali competenze

Che vive l’insegnamento come servizio alla persona che apprende

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6. Selezione di materiali a opera del Gruppo istruttorio sullo stato giuridico

6.1 Costruire il sé professionaleStralci dalla relazione di Italo Bassotto al Convegno nazionale Aimc “L’etica snodo tra competenza e professione”, Brescia, 12-13 marzo 2005

1. Tre metafore per descrivere il “mestiere” dell’insegnante (…) “…la dimesione identitaria dell’essere insegnante si può formare, o non

appartiene alla dimensione vocazionale e, quindi, in qualche modo, essa connaturata all’essenza ed alla storia di ciascuno di noi ….?”.

Cominciamo con un breve excursus intorno alle metafore con cui si è spesso decritta l’identità degli insegnanti, precisando che si prende avvio dall’età moderna, per la semplice ragione che il “mestiere” di docente è nato esattamente con la nascita della istituzione scolastica in senso moderno, ovvero quando di sono identificati i ruoli istituzionali dei giovani (studenti), dei maestri (insegnanti) e dei saperi (cursus sudiorum o curricola).

La prima rappresentazione sociale dell’insegnante è quella dell’ “artista”, ovvero di una persona che, dovendo sollecitare nelle giovani generazioni i sentimenti di amore per la cultura, le scienze e le arti, non può fare a meno di essere essa stessa dotata di quelle virtù di creatività, inventiva e divergenza che facilitano le relazioni con gli studenti e ne sollecitano, ad un tempo, l’emulazione positiva nei suoi riguardi. In questo senso la dimensione estetica dell’ identità professionale non significa necessariamente vocazione artistica, quanto adattabilità e flessibilità relazionale, correlata alla generatività e originalità del modo di essere di ciascun studente e dei contesti in cui egli opera. (…)

La seconda grande scenografia con cui si è costruita l’immagine sociale dell’insegnante è quella del “tecnico”, o dell’ “esperto”, nel duplice significato di “cultore” di discipline scientifiche estremamente raffinate e specializzate, ed in quello di “metodologo” dei processi di insegnamento apprendimento. È stato soprattutto il secondo dopoguerra del secolo passato a porre l’accento su queste dimensioni legate, ovviamente, da una parte alla espansione dei sistemi di istruzione secondaria (disciplinare e specialistica), e dall’altra allo sviluppo esponenziale delle conoscenze nel campo delle scienze umane (psicologia, sociologia, antropologia,...) per quanto riguarda le ricadute pedagogiche di tali conoscenze scientifiche. La fine del “secolo breve” ha visto addirittura un tentativo di unificare questi due grandi attributi della pratica professionale dell’insegnamento nell’immagine metaforica dell’insegnante come “ingegnere” unendo la dimensione specialistica delle competenze disciplinari con quella, altrettanto scientifica, dei saperi professionali legati ai processi didattici. Una illusione incarnata nei modelli della “programmazione per obiettivi” e, successivamente, in quella “per concetti”, entrambe accomunate dall’idea forte della prevedibilità dell’azione didattica (…).

Il terzo tracciato è quello che ci riconduce alla tradizione pedagogica francese e che fa riferimento alla metafora dell’ “artigiano”, ovverosia del lavoratore che è in possesso delle competenze per il governo dell’intero sistema produttivo: dalla ideazione alla valutazione della qualità della propria prestazione. Se nel primo tipo di identificazione l’accento era posto sulla adattabilità, imprevedibilità, flessibilità dell’attività professionale; se nel secondo tipo prevalgono le dimensioni progettuali e logico-razionali delle azioni dei docenti; il punto di vista di cui stiamo parlando tende a fornire del lavoro dell’insegnante una immagine di sistematicità, dominio tecnologico e rigore metodologico combinata con quella di una professione creativa, adattabile ai diversi contesti e flessibile nella sua intenzionalità dichiarata. Questo significa un approccio “debole” alla programmazione (per sfondi, per situazioni, per scenari….);

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uno “relazionale” alle azioni didattiche (personalizzazione, tutoring, mentoring….); ed infine uno “orientante” alla valutazione (valutazione autentica, portfolio, …). (…)

3. Quale formazione all’“identità professionale”Avrete tutti capito, ormai, che la mia rappresentazione della professione di

insegnante non è soltanto legata alle competenze tecnico-didattiche, ma anche a quelle “umane”.

Ciò significa che nel cammino formativo di una persona che voglia diventare insegnante occorre inserire (sia prima, che durante il percorso lavorativo) una attenta e ben dosata razione di riflessioni al riguardo delle “doti” di cui sopra. Ecco dunque la parola chiave della costruzione del sé professionale: la riflessione, o la formazione riflessiva. Sia pre, che in-servizio, è possibile instillare il lumicino della ricerca della consapevolezza (o autocoscienza, o coscientizzazione – per dirla con Freire!-) nei nostri insegnanti. La condizione è che non siano trattati da impiegati, ma da professionisti, ma questo l’avete già sentito argomentare stamani…

Ci sono almeno quattro vie per essere riflessivi:• La via dell’introspezione, che arriva alla conoscenza profonda e certa di se

stessi, passando per i metodi della meditazione…• La via del confronto, che, attraverso l’uso del dialogo, favorisce la scoperta di

nuovi orizzonti sia interpersonali che valoriali.• La via della conoscenza, che usa la ricerca come fonte per l’acquisizione di

informazioni e strutture mai prima disgelate.• La via dell’esperienza, il cui mezzo essenziale per far sì che le azioni non siano

mere sequenze di eventi, sia pure intenzionali, è rappresentato dall’orientamento.Dal punto di vista delle metodologie formative questi percorsi hanno bisogno di

essere incardinati dentro dei setting differenziati a seconda delle necessità di crescita delle dimensioni riflessive, verso cui gli insegnanti si orientano. Essi hanno in comune la dimensione narrativa, o dello scambio di esperienze, più che quella prescrittivi delle regole di una “buona didattica”, e si articolano, a mio parere, su tre direttrici essenziali:

a. La testimonianza: direttamente dalla voce narrante dei protagonisti di storie professionali, o ricostruite nelle forme della comunicazione mass mediale così ampiamente in uso per altre varianti della scambio di esperienze, l’uso formativo delle testimonianze appare sicuramente efficace soprattutto per quegli insegnanti che sperano di diventarlo o si affacciano per le prime volte alla professione…

b. La guida professionale : sulla falsariga degli “esercizi spirituali”, ovvero su quella della “direzione spirituale” di un guru (non necessariamente di religione cattolica) un modo per assicurare un cammino di progressione e di supervisione nella professione è quello di affiancare un insegnante ad un mentore che lo guidi per “esperienza, saggezza e virtù” specie nei momenti delle scelte più difficili ed impegnative…

c. La visita: meglio sarebbe dire la documentazione e lo scambio dei materiali professionali prodotti dai docenti; ma anche l’allestimento di musei didattici, le visite a mostre e fiere, in cui la professione è declinata soprattutto a partire dai contributi della ricerca e della progettazione dei servizi atti a migliorare la qualità degli interventi formativi dei docenti….

d. La vita di comunità: è noto come la vita associativa di un gruppo di insegnanti favorisca l’arricchimento reciproco, anche soltanto per gli aspetti di scambio informale di esperienze; a ciò si deve aggiungere che, qualora la dimensione associativa sia vissuta in spirito di partecipazione e condivi-sione – il che si ottiene mediante un lungo itinerario di appartenenza –; al valore dello scambio professionale si aggiunge anche quello della reciprocità dei rinforzi emotivi e relazionali, che, come si è dimostrato nel paragrafo precedente, sono patrimonio imprescindibile di questa professione.

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6.2 Documento Aran del 18 dicembre 2003

Il profilo del docente: la prospettiva dell’OCSEA partire dal 2001, l’OCSE ha promosso un’indagine internazionale finalizzata a

migliorare le politiche educative e alla crescita della qualità dell’apprendimento al fine di incentivare la professione docente con l’obiettivo di ricercare strategie per attrarre, reclutare, trattenere e far crescere insegnanti capaci.

La fase di studio, che terminerà nel 2004, ha già portato a individuare alcuni elementi che influiscono sulla professione docente (p.es.: dimensioni della classe, struttura della retribuzione, condizioni di lavoro, formazione dei docenti, procedure di certificazione, organizzazione scolastica, sistemi di valutazione, struttura del mercato del lavoro, pratiche di insegnamento e di apprendimento) ed a riflettere sugli elementi che definiscono la “qualità” dell’insegnamento.

Le analisi fin qui svolte hanno evidenziato:problema

- le decisioni dei docenti relativamente alla carriera sono strettamente influenzate dagli incentivi;

- la probabilità di abbandonare la professione è più alta nei primi anni di occupazione;

- donne e uomini rispondono differentemente agli incentivi.proposta di soluzione

- potenziamento dell’immagine pubblica della carriera dell’insegnante; - ridurre il logorio nei primi anni di attività;- disponibilità dì servizi (per esempio nidi);- maggiore flessibilità della professione.

Gli incentivi che costituiscono l’attrattività della professioneNegli studi OCSE sono stati presi in considerazione i seguenti incentivi

professionali:• retribuzione;• sviluppo di carriera• incentivi basati sul merito;• condizioni di lavoro;• status professionale;• possibilità di gestire situazioni personali;• formazione e certificazioni;• disponibilità di posti.

La qualità dell’insegnamentoLa qualità dell’insegnamento dipende:• dalla qualità dei docenti;• dall’ambiente d’insegnamento.L’ambiente d’insegnamento dipende a sua volta da:• la “tecnologia” d’insegnamento;• l’ambiente scolastico.

Qualità dei docentiCaratteristiche osservabili- formazione iniziale e conoscenza della materia;- stato di certificazione del docente;- abilità verificate a livello accademico;- esperienza d’insegnamento;- formazione in servizio.

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Uno studio effettuato nel 2000 su un campione di 3000 scuole (1.500.000 studenti) ha mostrato come tra le variabili che determinano la qualità dell’insegnamento, la qualità dei docenti rappresenta la principale, più dell’organizzazione scolastica, della dirigenza o delle condizioni finanziarie.

La conclusione più importante dello studio – condotto con estremo rigore scientifico – è che insegnanti che hanno caratteristiche osservabili simili in realtà producono qualità d’insegnamento molto differenti.

Di conseguenza, l’identificazione dì docenti dì alta qualità non può essere condotta esclusivamente sulla base delle caratteristiche osservabili.

Caratteristiche non osservabili• capacità verbale, chiarezza• capacità comunicative • capacità di lavorare in gruppo• capacità di gestione della classe• motivazione nel lavoro con gli studenti• attenzione al successo degli studenti• flessibilità• creatività• comportamento orientato agli obiettivi• chiarezza

Introduzione di meccanismi di carriera professionale per i docenti1) L’introduzione di meccanismi di carriera professionale dei docenti deve

rispondere a finalità generali riferite a:• miglioramento del sistema istruzione;• raggiungimento di più elevati livelli di formazione degli studenti. Si tratta di individuare ipotesi di sviluppo professionale dei singoli

docenti in correlazione all’implementazione dei processi relativi all’autonomia scolastica e all’efficacia formativa delle istituzioni scolastiche.

2) In considerazione delle finalità, dei principi costitutivi e della dimensione individuale e collegiale riconosciute alla funzione docente le ipotesi di carriera dovrebbero:

• ribadire l’unicità della funzione docente, comune a tutti i docenti delle scuole di ogni grado e ordine di istruzione e formazione;

• non limitare l’accesso generalizzato all’aggiornamento e alla formazione in servizio o rendere meno incisiva la partecipazione di tutti i docenti allo svolgimento delle attività (individuali e soprattutto collegiali) funzionali all’attuazione del POF.

3) I meccanismi di carriera dovrebbero:• correlarsi con il profilo e le competenze professionali, ossia riconoscere il

possesso di particolari competenze relative a:- organizzazione e gestione di processi e servizi interni ed esterni alla scuola e

in rete, raccordi con il territorio;- didattica e orientamento per gli studenti, percorsi integrati e formazione

adulti;- ricerca, sperimentazione, sviluppo e valutazione.• tenere conto degli ambiti e dei contenuti della prestazione professionale

correlando il complesso dei crediti accertati e certificati a:- finalità istituzionali e formative dei diversi settori di istruzione e formazione;- obiettivi di apprendimento; - personalizzazione dei percorsi formativi,- esigenze organizzative, didattiche, di sperimentazione e ricerca poste dal

POF.

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4) I meccanismi di carriera dovrebbero:• considerare sia le finalità sia l’articolazione delle prestazioni professionali dei

docenti;• prevedere fasi di svolgimento scelte autonomamente dal docente e

compatibili con gli interessi e gli impegni personali; • consentire a tutti gli insegnanti di usufruire di opportunità finalizzate al

sostegno professionale e all’adeguamento delle competenze (per esempio: dare accesso a forme di semiesonero per determinati periodi?).

(…)Articolazione e sviluppo della carriera dei docenti

Per tracciare un’articolazione ed uno sviluppo della carriera dei docenti corretti sul piano giuridico, l’ARAN propone i seguenti riferimenti:

1. la natura istituzionale della scuola;2. i modelli organizzativi e funzionali della scuola dell’autonomia;3. il docente tra funzione e professionalità.L’articolazione della carriera andrebbe dunque strutturata lungo l’asse di tre

macro aree, quali:- organizzazione (rete dei servizi strumentali all’attività didattica, collaborazioni

esterne, laboratori, regolamentazione attività aggiuntive all’insegnamento…);- didattica (coordinamento progettazione, valutazione, personalizzazione

percorsi formativi, recupero svantaggiati, valorizzazione delle eccellenze...);- ricerca e sperimentazione (innovazione, approfondimenti disciplinari,verifica

risultati…).Per quanto attiene lo sviluppo di carriera, i criteri da prendere in considerazione

sarebbero:- anzianità di servizio;- crediti formativi spendibili nella scuola dell’autonomia.Si può ipotizzare di conseguenza uno sviluppo di carriera articolato su due

fasce: una agganciata all’anzianità, l’altra alle competenze professionali. In sintesi, si ipotizza:• un’articolazione di carriera strutturata sugli ambiti dì autonomia riconosciuti

alle istituzioni scolastiche (organizzazione, didattica, ricerca e sperimentazione);• uno sviluppo di carriera che si svolge lungo due fasce: quella dell’anzianità,

fino a una certa soglia e, successivamente, la professionalità;• la validazione, da parte delle Università, dei titoli professionali spendibili ai fini

dello sviluppo della carriera;• la definizione previa del peso specifico dei crediti formativi;• la congruità tra crediti formativi e conoscenze, abilità e competenze funzionali

alla progettazione e realizzazione del piano dell’offerta formativa;• l’utilizzo dei crediti formativi per uno sviluppo di carriera che consenta, previo

concorso, di accedere per l’area organizzativa e l’area didattica al concorso per dirigenti scolastici, per l’area della ricerca e la sperimentazione al dottorato di ricerca universitaria.

Nel contesto va precisato il ruolo direttivo e valutativo del dirigente scolastico, come referente responsabile di un’unità di costo qual è un’istituzione scolastica, ma anche come valutatore dei livelli di rendimento parametrati a indici oggettivi (p. es.; assiduità della presenza, attitudine alla collegialità, partecipazione e integrazione con la comunità scolastica…).

6.3 Italia ed Europa: docenti a confronto

Schema della relazione di A. Petrolino, Past President ESHA, al Convegno “La valorizzazione della professionalità docente” Genova, 17 maggio 2006

26

La professionalità dei docenti si misura, in concreto, su alcuni nodi del loro percorso professionale:

- formazione iniziale;- modalità per il reclutamento;- mandato educativo di cui sono investiti; - stato giuridico/regime contrattuale;- percorsi di sviluppo professionale; - valutazione. Sotto tutti questi profili, la situazione italiana si discosta in misura significativa

da quella che è possibile riscontrare nella grande maggioranza dei paesi europei. Assumiamo per convenzione solo alcuni casi tipici: - Inghilterra;- Francia;- Finlandia/Svezia;- Olanda;

• formazione iniziale:- in teoria, è simile, in quanto richiede una specifica formazione universitaria;- in pratica, solo da noi esistono le graduatorie permanenti con 250.000 iscritti;- in pratica, solo da noi si mettono in coda quelli più preparati;- in pratica, abbiamo il corpo docente più vecchio d’Europa;

• modalità di reclutamento: - solo in Italia e in Francia le scuole e la comunità locale non hanno voce in

capitolo; - in Germania a decidere sono le Regioni (Uinder);- in tuffi gli altri paesi, sono le municipalità o le singole scuole;

• mandato educativo di cui sono investiti: - a seconda dei paesi, può essere nazionale o locale;- nel primo caso (Francia, parzialmente Germania) il docente gode del prestigio

sociale che gli deriva da una missione nazionale, da cui non può discostarsi;- nel secondo caso (Inghilterra, Olanda, Svezia, Finlandia,...) il mandato viene

dalla comunità che vigila, in forme diverse, sul suo adempimento. L’insegnante ha quindi il credito che gli viene da un consenso sociale di prossimità intorno al proprio operato;

- il consenso sociale intorno al mandato educativo – insieme alla competenza che l’insegnante dimostra nell’assolvere il mandato – sono alla base del suo prestigio;

- in Italia, caso unico, il mandato rimane teoricamente nazionale (attraverso i programmi e le indicazioni nazionali), ma i singoli sono liberi circa il come e, di fatto, perfino circa il se dell’attuazione. In conseguenza, non hanno copertura né dallo Stato né dalla comunità: e devono legittimarsi uno per uno rispetto ai propri utenti, salvo essere investiti tutti da un discredito diffuso per la mancanza di valutazione del loro operato;

- la libertà, spesso rumorosamente rivendicata, di non aderire a nessun mandato, ha finito con il trasformarsi in un boomerang professionale;

• stato giuridico/regime contrattuale: - in Francia e in Germania sono funzionari di diritto pubblico;- in tuffi gli altri paesi hanno contratti di diritto privato;- i contratti di diritto privato sono quasi sempre nazionali (tranne che in Svezia),

ma estremamente leggeri (orario massimo, salario minimo, ferie, malattia e poco altro);

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- nessun contratto nazionale entra nell’utilizzo dei docenti all’interno degli istituti;

- nessun contratto nazionale legittima un contropotere sindacale rispetto alle funzioni pubbliche dei docenti (cioè quelle che incidono sul loro rapporto con l’utenza);

- in Svezia, il contratto è individuale e negoziato direttamente con il dirigente in tutti i suoi aspetti (retribuzione compresa);

- il numero medio di alunni per docente oscilla fra i 12,5 e i 17 per docente (in Italia, è pari a 9,6);

- l’orario di servizio è espresso quasi sempre in termini di monte ore annuale (con alcuni limiti generali sui massimi giornalieri e settimanali) e non in ore settimanali di lezione + attività funzionali segmentate per tipologie, come in Italia;

• percorsi di sviluppo professionale:- esistono dappertutto, con tipologie diverse;- solo in Italia (ed in Finlandia) sono legati solo all’anzianità di servizio;- in Inghilterra sono legati alle funzioni svolte;- in Francia sono legati alla valutazione del dirigente e degli ispettori;- in Olanda è come in Francia, ma con modalità molto diverse;- in Svezia sono a contrattazione libera e diretta fra le parti;

• valutazione: - esiste dappertutto, tranne che in Italia - in Inghilterra, Olanda e (in parte) Finlandia avviene sulle scuole e non sui

singoli; ma spetta alle scuole assumere iniziative nei confronti dei docenti quando i risultati delle scuole stesse sono valutati come insoddisfacenti;

- in Francia e Germania sono valutati i singoli docenti;- in generale, la valutazione avviene sulle persone quando il mandato educativo

appartiene al sistema centrale; è sulle scuole quando il mandato educativo è locale (e quindi spetta alle scuole assicurare le condizioni per assolverlo);

- quasi dappertutto (non in Finlandia) la valutazione ha riflessi sulla retribuzione e sulla progressione professionale.

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L’Aimc si propone

Osservazioni su “Quale formazione iniziale”(documento Israel 24 febbraio 2009)

L’obiettivo dichiarato cioè la volontà di non sottoporre l’Università a stravolgimenti, è comprensibile, ma non può essere “il” criterio per rispondere all’esigenza di necessario cambiamento relativamente alla formazione iniziale dei docenti.

Il rafforzamento delle conoscenze disciplinari certamente aiuta la crescita della scuola, ma non può essere l’unica via: conoscere la lingua italiana non si traduce in modo automatico nell’essere un bravo docente di lingua (convinzione che, analizzando i curricoli e tenendo presente il conto dei CFU, pare presente nella proposta). D’altro canto nella “seconda premessa” si richiamano le competenze didattiche, organizzative, relazionali… come tratti del profilo docente. Sarebbe opportuno una presentazione dei due “piani” di competenze necessarie meno separati per non veicolare l’idea di una gerarchizzazione. Lo stesso documento, infatti, afferma “le due esigenze vanno contemperate senza che alcuna delle due sia penalizzata” per evitare anche quella dicotomia segnalata dallo stesso documento fra docenti di materie psico-pedagogico-didattiche e docenti “disciplinari” e valorizzare in modo equilibrato le diverse competenze per la formazione del docente che è, poi, lo scopo di entrambi.

A. Laurea magistrale

1) In qualunque momento del percorso vengano collocati “sbarramenti” per l’accesso programmato (all’inizio, dopo il terzo anno, dopo il quinto) ci troviamo di fronte allo stesso problema poiché in nessun caso le persone che si sottopongono alle prove hanno fatto esperienza diretta con i ragazzi, in situazione scolastica reale, al massimo nel terzo caso hanno vissuto esperienze laboratoriali comunque senza il diretto rapporto con l’alunno. Inoltre ciò che si vuole valutare è l’attitudine all’insegnamento, essa è in sé oggetto complesso che in queste fasi non è rilevabile se

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intesa come “propensione a”. Potremmo invece valutare attraverso test ad hoc come lo studente “pensa” l’attività dell’insegnamento, il suo valore per la persona ma anche sociale, le attese e le consapevolezze che nutre circa il percorso da intraprendere. Nella fase iniziale, come prima scrematura, le prove potrebbero testare anche conoscenze acquisite.

2-3) La netta distinzione dei percorsi formativi in base alle classi di abilitazione cui danno accesso cancella un’acquisizione per noi di non poco conto: l’unicità della funzione docente poiché i tratti definienti la docenza in quanto tale non emergono. Chi è il docente? È la prima domanda a cui poi seguono le specificazioni: di cosa? In quale ordine di scuola?

Così come proposto, i “passaggi” da un ordine all’altro di scuola divengono molto difficili (secondaria di 1 e 2 grado) se non impossibili (l’insegnante della primaria è destinato a cristallizzarsi in essa?).

La differenziazione, inoltre, forte e iniziale è generativa – al di là delle intenzioni – di un “peso” di dignità non pari. D’altra parte la stessa struttura così diversa per la primaria (vedi quinquennio unico e relativi CFU) va a rafforzare un’idea già presente nell’immaginario collettivo e non solo: piccoli bambini = piccola scuola.

Condizione irrinunciabile per assicurare la pari dignità è partire da uno zoccolo comune che curi i tratti definienti della docenza su cui poi innestare le doverose specificità: ciò faciliterebbe sia la mobilità, sia la non gerarchizzazione, sia la possibilità di “dialogo” tra docenti dei diversi gradi dell’istruzione elemento non marginale per quella continuità verticale da molti auspicata, ma di non facile realizzazione.

4) Esaminando la composizione dei curricola dei diversi percorsi di formazione iniziale degli insegnanti, si rileva come, soprattutto per quanto riguarda quelli dei futuri docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado, il “peso” dell’area disciplinare psico-pedagogica e didattica risulti chiaramente minoritario nell’ambito dei 300 CFU della laurea magistrale. La quota, inferiore per lo più al 10% del totale, non appare sufficiente a fornire alcuni essenziali saperi connotanti il profilo professionale atteso. In particolare, all’attenzione rivolta all’approfondimento delle singole discipline non corrisponde un’altrettanto significativa attenzione alla metodologia e didattica delle stesse, quasi a convalidare l’erronea semplificazione che basti sapere per saper insegnare. È questa una visione trasmissiva del sapere che proprio la ricerca accademica pedagogica ha ampiamente confutato. Non si può, inoltre, demandare all’unico anno di un pur ben organizzato Tirocinio attivo il peso di fornire al neolaureato quelle basi didattiche e quegli strumenti di lettura del soggetto in apprendimento fondamentali per intraprendere la professione docente.

5) Si condividono i tre ingredienti del percorso: corso teorico, tirocinio, laboratori e, in particolare, la prospettiva inclusiva di acquisizione teorica, di periodi osservativi, esperienze attive di insegnamento coordinate con attività di laboratorio. È vera apertura, che però si richiude subito sulle esperienze didattiche disciplinari, trascurando tutto ciò che è connesso con l’insegnamento, l’inserimento in una comunità professionale, in una istituzione scolastica. Il laboratorio appare l’anello fondamentale ma attualmente più debole dell’architettura che richiede riorientamento e potenziamento. La componente disciplinare e quella pedagogico-didattica possono trovare idoneo raccordo proprio nel modello organizzativo del laboratorio universitario. Questo però deve superare il limite che oggi spesso si riscontra di essere considerato residuale nei curricola. Per poter essere funzionale all’importante compito di raccordo il laboratorio deve essere inteso, progettato e gestito come momento di sintesi del sapere formale e del sapere professionale. Quindi l’esigenza di percorsi di accreditamento “completi sul piano culturale e non aggirabili su quello normativo” non deve riguardare solo gli ambiti disciplinari, ma anche tutto ciò che fa emergere aspetti

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e trova indicatori per apprezzare l’attitudine all’insegnamento. È troppo tardi collocarli al sesto anno, quello del TFA per la scuola secondaria di II grado.

B. Tirocinio formativo-attivo

1-2) Laboratori e tirocini, se ben rivisitati, potrebbero costituire il punto di forza di questa proposta se realmente le ragioni della scuola potranno entrare nell’università e, a specchio, le ragioni dell’università potranno entrare nella scuola. Non è più sufficiente per il tirocinio e i laboratori la sola approvazione, ma per dar loro piena dignità sono da sottoporre a valutazione. Lungo questa prospettiva, la necessità di un rapporto scuola/università si colloca propriamente a livello di un partenariato interistituzionale tutto da realizzare.

La messa a tema del tirocinio come contesto formativo complesso da svolgersi presso i luoghi fisici in cui l’educazione scolastica si realizza, implica un’assunzione, sia pur mediata, di responsabilità. Si configura non solo come “corso abilitante all’insegnamento istituito dalle università”, ma anche come “apprendistato”, guidato da un tutor, da realizzare presso una o più scuole con il coordinamento del docente supervisore.

Non sembra, infatti, razionale pensare ad un percorso di formazione iniziale alla professione di insegnante senza una effettiva presa di contatto con l’esperienza sul campo che sia significativa, generativa di riflessioni sull’insegnamento e funzionale a una prima sintonizzazione con la cultura della scuola. I luoghi della professione in atto diventano “testo” sul quale maturare apprendimenti in termini non esclusivi né in sé finiti, ma, appunto, da coordinare con altri. Nel laboratorio una pluralità di punti di vista si compone dando vita ad attività di progettazione dell’insegnamento. Il laboratorio è luogo in cui si pensa all’insegnamento in termini di progetto, funzionale finché si vuole a essere portato fin nella pratica e sul campo, ma sempre in termini di progettualità, ovvero di simulazione con tutte le possibilità formative che offre come contesto di ricerca e approfondimento della didattica generale. Si ripensa all’insegnamento, ma non è ancora insegnamento. Quest’ultimo si dà in termini di “testo” da leggere, capire, interpretare, scrivere nei luoghi dell’educazione, ossia presso le scuole. Da questo versante con il tirocinio si va a “vedere” dove altri, coloro che svolgono la professione quotidianamente, pensano e fanno l’insegnamento e dove “io stesso”, in interazione con altri, tutori in via diretta, ma anche coordinatori del tirocinio e dei laboratori e docenti universitari, mi misuro con l’insegnamento in termini funzionali a elaborare processi cognitivi, critici, riflessivi.

Sarebbe opportuno non solo parlare di tutor, ma di funzione tutoriale di tutta la comunità scuola.

Due le implicazioni. La prima: il richiamo alla rilevanza che assume l’individuazione delle istituzioni scolastiche presso cui svolgere il tirocinio. Si configura come scelta che ha alla base la disponibilità da parte dell’istituzione scolastica ad investire nel tirocinio come strategia di crescita per la stessa scuola. La seconda è la formazione dei diversi soggetti, tutor e supervisori (per i quali opportunamente il documento prevede esonero solo parziale), al compito comune. Non è la stessa cosa realizzare esperienze di insegnamento con i bambini e fare di queste esperienze, mentre le si vivono, una esperienza formativa anche per l’adulto che intende imparare ad insegnare ai bambini. Tre paiono essere i campi tematici sui quali ordinare una formazione comune tutta da costruire quanto a soggetti formatori: l’analisi istituzionale della scuola, l’analisi dell’insegnamento/apprendimento, la didattica degli adulti.

Per la formazione di queste figure potrebbe entrare in gioco un soggetto terzo che è l’associazionismo professionale anche per validare le competenze acquisite.

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3) Per l’individuazione delle istituzioni scolastiche pare opportuno: evitare che la scelta possa essere letta come giudizio di merito sperequante fra le varie scuole; favorire l’incontro dello studente non con le eccellenze, ma con la reale quotidianità; prevedere una sorta di “dichiarazione di disponibilità” da parte delle unità scolastiche per favorire una piena integrazione delle attività di tirocinio nel tessuto della vita della scuola e non una formale accoglienza che potrebbe ridursi a banale giustapposizione; dotare le scuole di risorse economiche specifiche e dedicate.

4) Collocando il tirocinio al secondo anno, proprio perché si è appena all’avvio del curricolo formativo, non è facile riconoscere le competenze sulle quali potrà contare e che, viceversa, potrà promuovere il tirocinio: se ne coglie una funzione di orientamento ma potrebbe risolversi in una forte prevalenza delle ragioni interne dell’università magari sotto la forma di banale “visita” alle scuole. Piuttosto il problema della collocazione del tirocinio va nella direzione opposta: si tratterebbe di assicurare una presenza posticipata/prolungata.

Se il tirocinio è finalizzato ad acquisire competenze per la professione intesa nella sua complessità e completezza, sarebbe riduttivo pensare a focalizzare in modo esclusivo l’attenzione sull’attività dell’insegnamento/apprendimento, anche se questa risulta necessariamente centrale. La professione docente mette in campo azioni multiple, tutte funzionali, ma non assimilabili all’attività suddetta, quali: la programmazione, la documentazione, la valutazione (interna e esterna), la partecipazione, l’organizzazione, l’interazione con il territorio. Esse dovrebbero essere attenzionate proprio nel tirocinio e fatte oggetto di riflessione nei laboratori, in un circuito virtuoso.

Certamente, se accogliamo quanto detto, il tirocinio non può essere collocato in modo marginale. Il suo peso nel punteggio dovrebbe corrispondere alla percentuale dei CFU dedicati al tirocinio stesso e ai laboratori e, per di più, dovrebbe essere elemento decisivo con il superamento di un esame finale con voto ad integrazione della già prevista relazione.

Non convince la composizione della Commissione valutante in cui sono rappresentati per la primaria solo Università e Ministero. La rappresentanza della scuola, proprio come contesto di primo esercizio (tirocinio), non può mancare.

5) L’Aimc ha sempre considerato formazione iniziale – reclutamento – ingresso in professione – formazione in servizio come un continuum pur differenziato nelle sue fasi. La cultura della formazione e della ricerca sono da coltivare come habitus mentali fino dall’inizio: ciò dipenderà molto non tanto e non solo da cosa verrà proposto, ma da come l’Università si porrà. Pensiamo ad una Università che sia essa stessa contesto di ricerca per eccellenza, in grado di evitare una modellizzazione ingessata come pure un nuovismo effervescente. La riflessività, la problematizzazione, l’accostamento a fonti diversificate, l’uso di più modelli con cui leggere l’esistente e l’elaborazione di risposte dovrebbero costituire tratti costanti del curricolo dello studente per aiutarlo a diventare un professionista con costruttivo atteggiamento verso l’innovazione che è il motore della scuola. In sintesi, un professionista mai completamente “rifinito”, per il quale la formazione in servizio oltre che diritto è dovere.

C. Formazione iniziale, reclutamento, formazione del personale

1) Il numero programmato costituisce un argine alla formazione del precariato, ma questo con esito a medio/lungo termine. Sono altri i meccanismi da ricercare per incidere sulla riduzione quantitativa del precariato attuale. Il numero programmato va calcolato tenendo presente il fabbisogno del sistema pubblico integrato e quindi comprensivo delle esigenze della scuole statali e paritarie.

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Per lo specifico dell’insegnamento delle lingue comunitarie occorre prestare attenzione alle disposizioni europee che indicano almeno due lingue oltre quella madre, evitando di concentrarsi esclusivamente sulla lingua inglese.

2) Si ritiene significativo per la professione docente (e quindi non solo per i docenti della scuola primaria) inserire all’interno del percorso di formazione iniziale un’attenzione alle problematiche dell’integrazione scolastica. Questo consentirebbe di sviluppare accoglienza e valorizzazione della diversità come tratto proprio di ogni persona, nonché di costruire competenze per rispondere a situazioni complesse che possono generarsi nella classe in presenza di soggetti con disturbi di apprendimento che non prevedono e non hanno bisogno di interventi “specialistici”, ma comunque di capacità professionali volte a modificare e riorientare strategie didattiche.

D’altro canto è opportuno che la formazione per docenti di sostegno preveda 1 o 2 anni oltre la laurea magistrale di specializzazione per acquisire competenze più affinate necessarie ad intervenire con soggetti diversamente abili che presentano patologie specifiche previste dalla Legge 104/92.

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Dopo aver accuratamente esaminato il testo proposto e suggerite alcune modifiche con spirito costruttivo, sottoponiamo all’attenzione una nostra idea di percorso formativo universitario dei docenti.

Probabilmente essa non va incontro all’obiettivo di non creare sconvolgimenti nell’Università, ma potrebbe essere promettente per quella scuola di qualità a cui tutti teniamo.

PERCORSO DI FORMAZIONE INIZIALE PER DOCENTI (laurea a ciclo unico quinquennale)

Esame di laurea (abilitante) con discussione tesi, valutazione tirocinio

60 CFU

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60 CFU Anno

di completament

o per laurea triennale in

scienze della formazione

60 CFU

Accesso a numero programmato (in base a media voti e/o esame)

60 CFU

60 CFU

Alcune note per rendere più comprensibile lo schema.

Il percorso si snoda per la docenza in ogni ordine di scuola su un quinquennio unico. Esso si articola, al suo interno, in un primo biennio come a tutti coloro che intendono diventare docenti a cui seguono tre anni di percorso diversificato a seconda della specificità della scuola in cui lo studente intende svolgere la professione. Il biennio comune (a cui si accede tramite prova di ammissione che tende a individuare come lo studente “pensa” all’insegnamento, alla sua ricaduta anche sociale, oltre ad accertare alcune conoscenze di partenza) costituisce quello zoccolo duro condizione di riconoscimento reciproco dei docenti come appartenenti alla medesima “famiglia”, con un lessico di base comune e quindi capaci di dialogare tra loro.

Guadagni: non gerarchizzazione;

terreno promettente per la continuità verticale;

visione dell’intero pur esercitando la professione poi in un ordine

di scuola specifico;

possibilità più agevole di passaggi nella fase successiva da un percorso all’altro.

I primi due anni dovrebbero essere connotati da tre linee di approccio:- accostamenti a “saperi” basilari per ogni docente dalla pedagogia, alla psicologia,

ai fondamenti della metodologia; dall’antropologia alla sociologia, al diritto pubblico; dalla comunicazione alla relazionalità, alla scoperta della “differenza” come tratto originale di ciascuno (intelligenze multiple, stili cognitivi, metacognizione);

- passaggio dalla disciplina come materia di studio (come lo studente l’ha percepita nel suo curricolo) alla scoperta degli aspetti fondanti ogni disciplina (statuto epistemologico, linguaggio, sintassi). Non si tratta di affrontare questo per tutte le discipline, ma tramite l’attenzione a una o due scoprirne “l’essenza”;

- primo contatto (nel 2° anno) con la realtà “scuola” non per un tirocinio vero e proprio, ma per una fool immersion nel mondo scolastico complesso e variegato come

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contesto di vita in cui si registrano processi di progettazione, valutazione, relazionalità ad intra e ad extra, decisionalità, esercizio dell’autonomia, accanto a vere e proprie azioni d’aula. Sarebbe opportuno che gli studenti potessero “immergersi” con scopo di osservazione in scuole di diversi ordini. Una azione orientante per la scelta successiva.

Nel primo biennio: 120 CFU comprensivi anche del terzo aspetto (immersione nei contesti scolastici e laboratori).

Al termine dei primi due anni si colloca la scelta dell’ordine di scuola con accesso programmato attraverso un esame in cui si può cominciare a vedere “l’attitudine all’insegnamento”.

Si prevede anche una via di uscita per coloro che non superano la prova o per quanti si sono resi conto che l’insegnamento non è poi il loro progetto di vita con il riconoscimento di CFU acquisiti da spendersi, ad esempio, nella triennale di scienze della formazione.

Dal terzo anno partono le specificità: insegnante di un preciso ordine di scuola.I tre anni (180 CFU complessivi) sono connotati in qualunque specificità da

affinamento disciplinare calibrato alle esigenze della scuola in cui si intende andare a insegnare, bilanciato da CFU di metodologia e didattica per non continuare a equiparare impropriamente il sapere con il saper insegnare.

Accanto a ciò: tirocinio spalmato in tutti e tre gli anni e inteso come progressivo ingresso nella scuola (dall’assunzione, all’azione e responsabilizzazione sia pure ben circoscritta, accompagnata dal tutor e sostenuta dall’intera comunità); ma anche laboratori come opportunità di avvicinamento progressivo all’azione d’insegnamento e come luoghi di riflessione su di esso, contesti di simulazione in termini di azione anticipata e di azione riflessiva. Tirocinio e laboratori, sottoposti a valutazione, sono considerati come opportunità in continuum collocate dignitosamente nella più ampia categoria del “processo” di professionalizzazione.

Al termine del quinquennio:esame di laurea con discussione ed esame, con voto, del tirocinio che tenga conto

dell’intero processo (valutato) del triennio e pensato, dunque, come parte non giustapposta né ancillare dell’intero percorso.

Una proposta di questo tipo consentirebbe di definire la professione docente come professione con piena dignità, con un percorso di formazione iniziale non mutuato da altre professioni, finalizzato (anche se non chiuso) all’insegnamento che diviene allora scelta consapevole e non, come spesso oggi accade, rimediale.

Può nascere l’interrogativo: un corso chiuso non accessibile a chi ha maturato CFU disciplinari in altri corsi di laurea? Non è così; questi, se riconosciuti, dovranno solo venire integrati da quei CFU irrinunciabili per la specificità di questo tipo di laurea.

Audizione VII Commissione Camera dei deputati (3 febbraio 2009)

Note presentate dall’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC)

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Se pur richiesto un documento sulla base di una griglia data, pare necessario aprire con una breve premessa per sottrarre quanto verrà detto ad una lettura puramente tecnica recuperando, invece, la valenza politica dell’insieme.

La Proposta di legge Aprea, assunta come testo base proprio per la sua complessità e il suo prendersi in carico di nodi cruciali del sistema in una apprezzabile coerenza, avrebbe necessità di tempi di discussione molto più distesi e di reale interlocuzione.

Essa si apre con una presentazione coerente e organica che sembra valorizzare l’autonomia scolastica, la responsabilizzazione professionale dei dirigenti e dei docenti, la partecipazione degli studenti e dei genitori. Tuttavia, entrando nel merito, alcuni passaggi non confermano tali premesse in quanto propongono soluzioni che, di fatto, finiscono con il limitare:

l’autonomia delle istituzioni scolastiche; la partecipazione delle componenti scolastiche (studenti e genitori); la professionalità dei docenti a fronte di un’enfatizzazione delle competenze dei dirigenti scolastici.

Si presenta, dunque, una serie di criticità che corre l’obbligo segnalare. Il sistema scolastico, così come è delineato nel dettato costituzionale, configura

oggi una scuola presidio di inclusione ed equità sociale, finalizzata alla costruzione delle condizioni per la crescita e l’emancipazione sociale, comunità educante in cui educazione ed istruzione sono due facce di un medesimo processo formativo. Un’idea di scuola che condividiamo e che costituisce per noi la postazione da cui leggere l’intera proposta. Alcune parole e idee chiave della presentazione di quest’ultima, invece, fanno trasparire un sistema scolastico più burocratico che educativo, in cui l’intreccio tra risultati, certamente da non da sottovalutare, e l’innegabile valore dei processi risulta assai debole.

Pure fa problema il registrare come la definizione della funzione docente sia posta in secondo piano rispetto ad un’organizzazione generale della scuola e distinta da essa, mentre ne costituisce elemento essenziale.

Se dalla lettura concentrata su aspetti particolari – pur importanti – sollecitata dalla griglia ben scandita ricomponiamo l’insieme, pare emergere una vera e propria riscrittura dell’idea di scuola che suscita perplessità e preoccupazioni. È su questo sfondo che le osservazioni richieste su questioni specifiche assumono un significato più pieno.

Osservazioni specifiche secondo la griglia data

A. Autogoverno delle istituzioni scolastiche

Autonomia statutaria nel rispetto della Costituzione ed in particolare del Titolo V

Condividiamo la ricorrente assunzione dell’autonomia come contesto di riferimento principale per le istituzioni scolastiche. Come pure appare evidente la necessità di una rivisitazione del governo delle scuole tenendo conto delle modifiche apportate dal Titolo V.

Va comunque salvaguardato, in tale prospettiva, l’equilibrio tra nazionalità e regionalità, in modo da evitare autoreferenzialità e frammentazione e garantire le stesse opportunità formative ai bambini e ai ragazzi di tutto il territorio italiano.

Allo stesso modo vanno salvaguardati i principi della Costituzione ed i valori in essi contenuti, punti fondanti ogni istituzione nonché garanti la tenuta del quadro nazionale.

Organi di governo stabiliti dalla legge

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Il contesto dell’autonomia riconosciuta alle istituzioni scolastiche evidenzia la necessità di rivedere gli organismi di partecipazione.

In tale revisione, per noi idea guida è la scuola intesa come comunità educante, realtà non isolata ma sempre più interagente con il contesto territoriale nel quale si trova inserita.

L’esperienza degli organi di partecipazione, pur nei limiti dimostrati, ha contribuito a diffondere l’esigenza di una “gestione” della scuola più basata su uno stile di collaborazione e corresponsabilità che strutturata secondo una organizzazione piramidale.

La revisione degli OO.CC. deve tenere presente tali aspetti, senza dimenticare che la scuola ha una propria specificità e non può essere assimilata a realtà altre come, ad esempio, quella aziendale.

Condivisibile la distinzione tra funzioni di indirizzo/programmazione e quelle di gestione e coordinamento, purché sia garantito uno stretto dialogo tra gli organismi che le esercitano perchè non si perda di vista la centralità delle azioni didattico-educative e formative a favore di uno sbilanciamento verso le questioni finanziarie e gestionali.

Organi di partecipazione stabiliti dagli statuti delle istituzioni scolasticheSi condivide il principio della centralità dell’autonomia delle istituzioni

scolastiche nell’assumere decisioni circa la costituzione e le modalità di funzionamento degli organi di governo. Il principio, portato fino in fondo con coerenza, assicurerebbe una feconda interazione della scuola con la comunità territoriale in tutte le sue componenti, senza indebite sovrapposizioni di competenze e potestà.

Lo stesso dicasi per la potestà riconosciuta alle istituzioni scolastiche autonome di stabilire e regolamentare forme di partecipazione degli studenti e delle famiglie, andando oltre la semplice garanzia dell’esercizio dei diritti di riunione e di associazione.

La prospettiva, che lascia sperare in ampi orizzonti e nella possibilità di costruire un autentico patto di corresponsabilità educativa, si restringe però immediatamente con l’affacciarsi dell’ipotesi di trasformazione delle scuole in fondazioni. Congiunta all’assunzione come criterio principale della “quota capitaria”, essa delinea uno scenario preoccupante per il mantenimento dell’autonomia e della stessa libertà d’insegnamento, che pure costituisce uno dei dichiarati principi guida della PdL Aprea. Rischia, anzi, di contrapporre indebitamente libertà di insegnamento e libertà di scelta delle famiglie.

Anche riallocare le risorse finanziarie destinate all’istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie (le risorse governative seguono l’alunno) va esaminato non nascondendosi che cosa potrebbe comportare proprio in termini di sussidiarietà. L’inevitabile “concorrenza” fra istituzioni scolastiche, specie in fase di dimensionamento, rischia di far incrementare l’accessorio, per attirare l’utenza, ma dove finisce il curricolo essenziale? Se è vero il risultato disastroso dell’Ocse-Pisa, le proposte che vengono avanzate sono idonee a migliorare la situazione?

Sarebbe più promettente pensare ad ampliare la sfera di partecipazione dei genitori all’indirizzo e alla programmazione della vita scolastica, rafforzando il patto di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia che si concretizza nel POF, come detto nel DPR 275/99, oppure prevedendo l’istituzione di Consiglio degli studenti e Consiglio dei genitori come nella proposta Napoli.

Competenze, composizione e funzionamento dell’Organo di GovernoIl Consiglio di amministrazione fin nel nome prefigura un profilo di scuola

abbastanza distante da quello da noi richiamato in premessa, che affonda le radici nel dettato costituzionale.

Si apprezza che l’intervento centrale in merito sia circoscritto all’essenziale, lasciando il resto alla regolamentazione delle singole istituzioni scolastiche, ma non

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aver affrontato il problema del rapporto numerico fra le componenti interne ed esterne all’istituzione scolastica lascia margini troppo ampi a composizioni di comodo, con il rischio di svuotare l’organo del suo significato primario.

Non convince l’enfasi sul dirigente scolastico che lo presiede, lo convoca e fissa l’ordine del giorno, non solo perché agisce in assoluta solitudine, ma anche perché non sembra congruente con la separazione, esplicitamente e positivamente posta, fra compiti di indirizzo e programmazione e compiti di gestione e di coordinamento. Non si riscontra, inoltre, consonanza con l’esigenza, pienamente condivisa, di recuperare una leadership educativa.

Si comprende la volontà di superare la conflittualità attuale fra Presidenza del Consiglio d’Istituto e Presidenza della Giunta esecutiva, ma la soluzione prefigurata rischia di svuotare di contenuti concreti la partecipazione di alcune componenti.

Pare significativo, nella proposta De Pasquale, aver previsto che il livello di partecipazione effettivamente esercitato rientri fra gli indicatori di qualità di una istituzione scolastica. Su questa linea, però, andrebbero individuati gli standard di tale livello per evitare interpretazioni disparate non confrontabili tra loro.

Competenze, composizione e funzionamento dell’Organo tecnico (Collegio dei docenti)…

È opportuno lasciare alle scuole la facoltà di decidere come gestire il proprio Collegio docenti è, però, indispensabile ribadire, proprio per il valore intrinseco del termine “collegio” e cioè “comunità”, “insieme di colleghi”, che tutte le decisioni relative al funzionamento dell’istituzione scolastica si fondino sull’effettiva pratica del valore della “collegialità”, che deve tradursi ed esercitarsi nell’accesso ed acquisizione delle fonti informative e di documentazione, nella partecipazione ai processi decisori iniziali, in itinere e finali, nella “corresponsabilità” su tutti i versanti formativi, educativi e gestionali con i quali si è a contatto.

Le opportunità di articolazione del CD in dipartimenti, gruppi di lavoro, commissioni, staff o altro sono da accogliere sul piano organizzativo, ma solo come momenti di un processo istruttorio di pratiche o proposte di decisioni da assumere, che non devono, in alcun modo, bypassare la fase della discussione collegiale e del confronto democratico in merito alle decisioni finali che saranno vincolanti per il buon andamento delle istituzioni scolastiche.

Principi generali per l’istituzione da parte delle scuole di organi di partecipazione degli studenti e delle famiglie

La scuola realizza compiutamente la sua funzione quando offre agli alunni/studenti un percorso che conduce alla formazione della capacità di scegliere, fattore fondamentale per la corresponsabilità educativa.

L’istituzione di organismi di partecipazione degli studenti e delle famiglie è elemento interno alla dimensione comunitaria della formazione, ma è anche elemento intrinseco di ogni processo educativo intenzionale. L’assioma non si impara da soli, induce a dire che neppure ci si educa alla partecipazione, alla corresponsabilità, alla cittadinanza solidale da soli.

Su questa base, gli organismi dovranno avere come finalità quella di rafforzare legami, creare integrazioni o opportunità strutturali di comunicazione fra entità distinte, ma che possono convergere o riannodarsi verso un’azione o tensione condivisa: il riconoscimento, cioè, della educazione come impresa comune; il riconoscimento della libertà come diritto e della solidarietà come compito; il riconoscimento delle differenze e la loro accoglienza dentro un orizzonte comune di riferimento.

In questo modo si viene a valorizzare l’autonomia scolastica, viene riconosciuto agli studenti il ruolo di protagonisti che loro aspetta, si riattiva nei fatti la fondamentale responsabilità delle famiglie, nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà.

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Si tratta di principi essenziali per una scuola educativa su cui è importante insistere; l’attivazione di forme organizzate di presenze studentesche e genitoriali non può che essere salutare per sperimentare la difficile via della democrazia, della tolleranza e del rispetto reciproci. Se questa è l’intenzione sottesa alla costituzione di tali organismi, non ci pare appropriata la collocazione dell’art. 9 della PdL Aprea inserito fra due articoli che trattano altro: organi di valutazione collegiale degli alunni (art.8) e nuclei di valutazione del funzionamento dell’istituto (art. 10). Parrebbe logico spostare l’art. 9 dopo l’attuale art. 7 per avere un quadro più coerente degli organismi che nella scuola vengono attivati.

Competenze, composizione e funzionamento degli organi di valutazione degli studenti

Valutare è azione indispensabile di ogni processo. È tenere sotto controllo e riorientare il percorso, è capacità di discernere l’essenziale dal marginale. Ciò implica un orientamento che dia la direzione di marcia poiché, a seconda di quest’ultimo, potremmo avere un’azione valutativa selettiva o promozionale, di quantità o di qualità.

Nella PdL Aprea il breve art. 8 lascia alcuni punti nodali in sospeso o crea interrogativi. Un primo interrogativo si pone quando, e giustamente, si riconferma la collegialità della valutazione, ma dove reperiamo la sede di questa collegialità dal momento che alcuni organismi, ancora presenti anche se rivisitati in altre proposte (es: consiglio di classe e di interclasse), qui sono scomparsi? Come si concilia questa doverosa collegialità con i recenti regolamenti e circolari in cui si parla di maestro unico o prevalente? Riguardo poi alla certificazione dei livelli di competenza (parola che qui pare usata nella riduttiva accezione di performance) quali sono i parametri nazionali di riferimento per i livelli di apprendimento? Se si dovesse pensare ad affidare alle scuole la loro determinazione, rischieremmo un non promettente “fai da te” con la conseguente erosione del valore legale dei titoli di studio.

Rimanendo sulla tematica della valutazione, si comprende la necessità di prevedere nuclei di valutazione di istituto. Ed è opportuno che vi sia un organismo dedicato, anche con presenze esterne mantenute, come previsto, in numero ridotto, come pure significativa la finalità di tale valutazione strettamente connessa con il POF. Ciò implica, però, un investimento per sostenere sia la cultura autovalutativa sia quella documentale.

Possibilità per le scuole di trasformarsi in fondazioniCirca la possibilità per le istituzioni scolastiche di trasformarsi in fondazioni,

l’Associazione ha – e non da ora – sollevato perplessità. Infatti gli innegabili vantaggi da un punto di vista operativo e soprattutto economico-finanziario trovano preponderante controbilanciamento nei rischi di un assoggettamento, possibile e prevedibile, del centrale interesse dei protagonisti dell’apprendimento all’interesse esplicito o meno dei finanziatori. Inoltre tale previsione chiederebbe, perlomeno, di essere equilibrata con dispositivi garanti la perequazione fra scuola e scuola (primaria e secondaria, ad esempio) e fra zona e zona del Paese. La via dell’aziendalizzazione delle istituzioni scolastiche non sembra condizione certa di miglioramento.

Ci chiediamo, infatti: è proprio vero che la trasformazione in fondazioni garantisce di avere partners pubblici e privati che contribuiscono ad innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualità complessiva dell’istituzione scolastica.? E cosa succede dove non ci sono industrie o partners danarosi, specie nella prospettiva di federalismo che avanza? È proprio vero che la fondazione favorisce una maggiore libertà di educazione?

B. Stato giuridico dei docenti

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Contrattazione (area contrattuale autonoma)Si potrebbe definire il problema come un Giano bifronte. Il possibile vantaggio:

tener conto della specificità della professione docente. Il possibile rischio: perdere di vista la visione d’insieme, accentuare “rivendicazioni” di categoria parcellizzate, determinando una ricaduta problematica all’interno delle istituzioni scolastiche in cui, in un clima di autonomia, il “bene comune” costituisce l’orientamento che deve essere condiviso dai diversi soggetti impegnati con ruoli e funzioni diversificate a concorrere alla realizzazione del mandato costituzionale

Su questo sfondo pare necessario segnalare due punti “nevralgici” che devono trovare chiarimento e soluzione fino dall’eventuale entrata in atto della proposta:

- di fronte a un “contratto chiaro e snello” assume maggiore rilievo la contrattazione integrativa che potrebbe dar luogo a una serie di contenziosi e/o degenerare in situazioni sperequanti. Occorre allora prevedere e promuovere spazi di dialogo tra contrattazione del comparto scuola e rappresentanza sindacale unitaria dei docenti a livello regionale;

- la coerente integrazione fra due parametri: merito e anzianità.Articolazione della professione docente, formazione in servizio e valutazione

La necessità di rivedere alla luce dei cambiamenti il profilo professionale dei docenti è innegabile. Non è però condivisibile il percorso professionale delineato (art. 17) che va verso una sostanziale gerarchizzazione funzionale: anziché rilanciare nei docenti motivazione, credibilità, positiva rappresentazione, si formalizzano meccanismi e procedure che potrebbero trasformare giuste istanze di valorizzazione in una sorta di corsa a ostacoli. Le forme di articolazione della funzione docente, necessarie ad una scuola caratterizzata dalla complessità, si traducono in profili di carriera fortemente differenziati e segmentati che indirettamente veicolano il messaggio che il livello di qualità della prestazione può, in qualche modo, essere variabile. In realtà nella scuola la qualità piena dovrebbe venire garantita ad ogni ragazzo.

Uno sviluppo professionale basato sulla “domanda” di valutazione del merito, ripropone il problema del diritto a cui non necessariamente si associa un dovere. Per assurdo un docente potrebbe anche decidere di rimanere per sempre allo stesso livello! Potrebbe altresì prolungare la sua permanenza in un livello per la mancanza di posti per i quali concorrere. Si può affidare all’iniziativa personale e/o all’incidenza di variabili di contesto, lo sviluppo professionale dei docenti?

Un percorso articolato e progressivo non può essere ingessato nei suoi passaggi, ma sempre ri-valutabile allo scopo di promuovere la professione con esperienze e azioni di miglioramento. A livello di insegnante esperto, poi, non è prevista alcuna forma di valutazione come se ci fosse una specie di “esenzione” contrastante con l’idea di fondo di una formazione in servizio continua e progressiva. Sembra riproporsi, nel livello di docente esperto, il problema di “mutazione genetica” che si verificava nell’unico sbocco professionale che vedeva l’insegnante trasformato in dirigente. La prevista modifica della “specifica responsabilità professionale” porta l’insegnante esperto a ridurre i tempi della relazione educativa, tratto caratteristico della docenza, e ad aumentare quelli dedicati al suo ruolo di formatore o sostituto del dirigente scolastico.

Accanto a queste forti perplessità, due positività da segnalare: il superamento di una “concezione burocratica del ruolo dei docenti” e l’apertura all’utilizzo del “portfolio del docente” come strumento di autoanalisi e autovalutazione della propria professionalità in fieri.

Associazionismo professionaleL’attenzione posta all’associazionismo professionale è un primo apprezzabile

riconoscimento del ruolo che esso ha svolto, svolge e potrà continuare a svolgere per la formazione dei professionisti di scuola e, quindi, per la qualità del servizio.

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Non vi è dubbio che legittimarne la libera espressione anche all’interno delle istituzioni è un salto di qualità che può facilitarne la concreta e costante interazione là dove la professione vive, consentendo promettenti canali comunicativi.

La consultazione e la valorizzazione della propositività dello associazionismo nei diversi livelli di articolazione del sistema scolastico è altra positiva apertura. Sarebbe però opportuno, fino nella proposta, declinare in modo più concreto le funzioni riconosciute all’associazionismo stesso perché ciò che viene affermato sia sottratto al rischio di una pura dichiarazione di intenti. Il termine “consultare” ha significati plurimi: ascolto quando lo si ritiene opportuno? Parere obbligatorio, ma non vincolante? Parere con peso reale sulle decisioni successive? Non sono dettagli di poco conto che andrebbero almeno fatti intravedere fino dalla proposta di legge.

Ancora: quale ruolo nella formazione permanente? Non è prevedibile un apporto specifico nel periodo di prova? Come pure crediamo che l’associazionismo possa essere, opportunamente regolamentato, un soggetto snodo nel processo valutativo dei docenti in particolare nella validazione delle loro competenze.

C. Percorsi di formazione iniziale, abilitazione all’insegnamento e modalità di reclutamento

La stagione dell’autonomia esige professionisti con competenze mirate per sapere gestire quelle potestà che sono riposte nelle loro mani. C’è bisogno di promuovere una diversa tipologia di formazione degli insegnanti per una nuova professionalità docente. Si apprezza che la PdL affronti questo annoso tema, ma le modalità prospettate non sembrano particolarmente rispondenti alla finalità di riscattare la figura del docente da una idea impiegatizia.

La formazione iniziale è rimasta strettamente incardinata nella Università e non è dato reperire una apertura verso una partenrship con la scuola almeno per il tirocinio. È vero che questa parte del percorso è allocata in un contesto altro rispetto a quello accademico, ma la scuola-comunità non svolge un ruolo attivo. Il coinvolgimento riguarda il solo docente che si fa carico del tirocinante.

Non essendo più abilitante la laurea, è conseguente l’inserimento di un Esame di Stato di cui andranno ben dettagliate le modalità e i soggetti coinvolti. Certamente, però, è responsabilità tenere presente la lunghezza e complessità di un percorso punteggiato da numerosi passaggi non semplici: la laurea, l’esame di Stato, l’anno di inserimento al termine del quale è prevista una relazione/discussione documentata sulle attività svolte e oggetto di giudizio, infine un concorso. Un iter di questo genere, legittimato da un’idea alta di professione, per essere scelto e intrapreso richiede interventi di rivalutazione della professione stessa sia sul piano di stima sociale che di remunerazione economica.

Riguardo alla costituzione di Albi nazionali/regionali, l’Associazione esprime parere del tutto negativo per tre motivi:

- non è certo attraverso l’istituzione dell’albo che passa il riaccreditamento della professione;

- l’idea dell’albo richiama la libera professione, mentre quella di scuola ha di per sé bisogno di esprimersi “in” e “con” una comunità professionale;

- la scena internazionale registra una certa retromarcia su questo versante ed appare pertanto strano che proprio ora si voglia imboccare tale strada.

Infine, relativamente alle prove concorsuali, l’Aimc esprime una posizione negativa qualora queste venissero espletate dalle e nelle singole scuole. Ne deriverebbe come minimo un insopportabile aggravio di lavoro, ma soprattutto si introdurrebbero criteri differenziati e probabilmente sperequanti.

La via concorsuale, anche se poco innovativa, rivista nei modi e nei contenuti rimane la più praticabile e forse la più garante nei confronti dei singoli e della scuola. È pensabile una nuova edizione a livello regionale, purché dentro criteri comuni ed uniformi per tutto il territorio nazionale.

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*****Volendo far credito alla valorizzazione prevista dalla PdL dell’associazionismo,

come prima concreta azione di riconoscimento del suo ruolo specifico sarebbe coerente, nella fase di stesura del nuovo stato giuridico dei docenti, creare contesti di ascolto e confronto con tempi più distesi che consentano di argomentare le diverse posizioni per una vera ricerca di ciò che può essere il meglio per le attese e le esigenze della scuola di domani e le legittime istanze professionali di quanti lavorano per realizzare una scuola di qualità, secondo Costituzione.

Dal CN e CPR

Pronunciamento del Consiglio nazionale Aimc8 febbraio 2009

Il CN Aimc, riunitosi in Roma nei giorni 7-8 febbraio u.s., si è interrogato sullo “stato d’animo” della scuola in questo momento e sui segnali per il prossimo futuro.

Quanto emerso, viene qui organizzato intorno a tre nuclei, con una struttura comune: il senso del nucleo, la sua argomentazione anche attraverso esemplificazioni, la postazione associativa e il suo ruolo ora problematizzante, ora propositivo.

Clima che si vive (il presente ossia il “dove” operiamo)Incertezza e confusione sono termini che connotano l’attuale momento della

scuola e che determinano una sorta di destabilizzazione anche nei suoi professionisti. Gli elementi/indicatori di maggior rilievo possono essere sinteticamente indicati

nei seguenti:- immersione in un cambiamento senza fine, ben diverso da una positiva

innovazione graduale e condivisa;- mancanza di standard nazionali di riferimento che assicurino un minimo di

tenuta del sistema;- espansione e consolidamento della tendenza a considerare il criterio

organizzativo dominante rispetto alle finalità della scuola; un esempio per tutti: il tempo scuola prestabilito che condiziona quello su cui centrare l’apprendimento invece di stabilire l'essenziale da apprendere e determinare poi, di conseguenza, il tempo occorrente per realizzarlo.

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Ne derivano alcune conseguenze di non poco conto che vanno a consolidare un trend di questi ultimi anni poco promettente, che contribuisce alla delegittimazione del ruolo istituzionale della scuola e all’erosione, nell'opinione pubblica, del credito sociale dei professionisti di scuola.

Chiave di lettura (quali chiavi di lettura per interpretare gli eventi)Il CN ha individuato come chiave di lettura, al fine della comprensione e

interpretazione di quanto segnalato, una sorta d’incapacità a “reggere” la complessità con conseguente ricorso a categorie e strategie di semplificazione e riduzione, per cui c’è da chiedersi se i punti di approdo siano realmente in grado di risolvere il problema.

Fra le tematiche emerse, che vanno a supportare tale affermazione:- la complessità della valutazione che viene affrontata attraverso la

reintroduzione del voto con il rischio, magari non voluto ma possibile nei fatti, di perdere di vista il processo e mirare solo all'esito espresso in termini di prestazioni predefinite;

- l’unitarietà dell’apprendimento, che rimanda all'unitarietà della persona e della cultura, che si presuppone venga garantita dall’unicità del docente, mentre nei fatti si realizza solo grazie a una progettazione coerente attenta alla personalizzazione e alla pluralità dei percorsi formativi di ciascuno, capace di muoversi nelle dinamiche proprie dell’elaborazione culturale e sociale dando essenziali coordinate di senso;

- la ricchezza del modello pedagogico e didattico non riconducibile alla sola questione del tempo scuola, un’affermazione che trova conferma nell’idea di pensare di garantire il tempo pieno solo attraverso le 40 ore di tempo scuola;

- l’autonomia delle istituzioni scolastiche che pare percepita come esito del semplice accostamento dell'autonomia dei singoli soggetti, più che come attenzione ai legami propri dell’interazione fra di loro e con la comunità sociale;

- l’innovazione vista come esito finale di tanti e notevoli cambiamenti che non sono mai stati sistematicamente valutati, con la conseguente mancata capitalizzazione dei passi di avanzamento realizzati;

- la compresenza assimilata al solo spreco di risorse e non colta come elemento di qualità, nell’assicurare la centralità dell’apprendimento. È importante invece considerare cosa non si riuscirà più a realizzare in favore degli alunni perché le opportunità formative introdotte in questi anni costituiscono la vera novità delle ultime riforme.

Le conseguenze che ne derivano:- il prospettare una visione “velata”, quasi “virtuale” (staccata dalla realtà) della

scuola, che perde la connotazione, per l'Aimc irrinunciabile, di comunità educativa;- l’esasperazione del localismo, che può anche essere di eccellenza (se misurato

secondo il rispetto degli standard nazionali), ma che comunque rompe i legami di sistema.

Una visione di scuola OGM? (quale futuro per la scuola?)Si avverte da tempo l'esigenza di un quadro normativo di riferimento che superi

l’approccio “a frammento” (presa in carico di singoli aspetti, non interrelati); assuma il nuovo rapporto Stato/Regioni/Enti e autonomie locali contestualizzando l’autonomia scolastica in termini educativo-formativi e istituzionali, non alienabili ad altri soggetti; ridisegni uno stato giuridico, ormai obsoleto, dei docenti.

Fra le proposte di legge in campo, la 953, firmataria l'on. Aprea, sembra la sola a presentare un disegno organico di autogoverno della scuola e stato giuridico dei docenti. Per decidere se la si può considerare strumento contenente potenzialità per valorizzare la scuola e i suoi professionisti, è opportuno esaminarla alla luce di una idea-guida che faccia da chiave di lettura: il diritto all'educazione di cui l' alunno-persona è portatore, ossia il diritto a una scuola che assicuri a ciascuno il pieno sviluppo e educhi progressivamente a quella competenza di vita che fa sentire responsabili della comunità e del mondo in cui si vive. In rapporto a questo diritto

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primario sono da considerare anche i diritti di cui sono portatori i professionisti di scuola. Tutto ciò che è favorente in tal senso è da accettare (anche se costa impegno, fatica di “cambiare”, rischio di esporsi alla valutazione sociale) e tutto ciò che ostacola è da respingere (anche se più comodo, più gratificante, meno rischioso), pur assicurando il dovuto rispetto della normativa.

Esaminando la proposta di legge Aprea attraverso questa chiave di lettura, riscontriamo:

- l’uso di una terminologia e la scelta di soluzioni che richiamano l'idea di una scuola centrata più sulla dimensione amministrativa che su quella comunitaria, con il rischio di limitare il senso di appartenenza e di cittadinanza della scuola e dei soggetti che la compongono. Occorre una proposta che contemperi partecipazione della comunità territoriale nell'organo di governo della scuola, tutela della natura della scuola stessa, garanzia della legittimità degli atti;

- l’accentuazione di una prospettiva economicistica che va ben al di là dell’esigenza del risparmio indotta dalla congiuntura del momento, che rischia di svuotare una visione pedagogico-educatica garante della natura propria del mandato costituzionale dell'istituzione scolastica;

- lo schiacciamento della scuola primaria (che pure insieme a quella dell'infanzia è riconosciuta di eccellenza in campo internazionale) ad opera del modello della scuola secondaria, con una visione estremamente riduttiva della primarietà; quasi una scuola piccola per bambini piccoli, che hanno bisogno solo delle strumentalità del “leggere, scrivere e far di conto”. Come arginarlo? È da coltivare anzitutto nella mentalità e nell'atteggiamento dei professionisti, perchè non si riconsegnino a questa logica apparentemente rassicurante, come avverrebbe ad esempio enfatizzando la proposta di articolazione del Collegio docenti in dipartimenti disciplinari o sottovalutando il valore e la dignità della cultura di scuola.

Uno spazio percorribile è quello della riqualificazione del tirocinio nel corso di laurea in termini di autentico partenariato università-scuola e non semplicemente università-docente accogliente, riprendendo, aggiornandola, la ricca elaborazione associativa a suo tempo portata avanti in proposito.

L’Associazione intravede tre aspetti, in particolare, che preoccupano e necessitano di attenzione, in quanto segni del debole profilo che la professione assumerebbe se la proposta di legge andasse in porto così com’è e che rischia di render ancor meno allettante la scelta di dedicarsi all'insegnamento. Una linea di sviluppo della professione che, nonostante le dichiarazioni contrarie, si verrebbe a profilare comunque gerarchizzata, perché i tre “livelli” previsti non configurano solo una progressione economica, ma l'attribuzione di compiti e la possibilità di accesso a funzioni che, di fatto, pongono alcuni in posizione sovraordinata rispetto ad altri. Non si vuole certo sostenere l'omogeneità professionale ed è giusto che chi lavora di più e meglio abbia di più; non sembra, però, promettente che la progressione verso il livello di “esperto” avvenga prevalentemente attraverso compiti e funzioni che allontanano dalla diretta relazione educativa. Siamo coscienti di un contesto di mobilità professionale che comporta l’esigenza di confrontarsi con i criteri di sviluppo della professione applicati per lo meno in altri Paesi dell'Occidente europeo, ma l'uso stesso della terminologia proposta potrebbe ingenerare nelle famiglie interrogativi inquietanti: ogni bambino/ragazzo ha diritto alla qualità alta e intera dell'insegnamento, che si potrebbe leggere invece presente in “quote diverse” nell'insegnante iniziale e in quello esperto. Una evidente debolezza del Collegio dei docenti riscontrabile nelle scarne righe dedicate alle sue potestà e funzioni, che sembrano privilegiare aspetti tecnico-funzionalistici nonostante a tale organo competa l'elaborazione del Pof. In particolare, non è mai affermato che i processi decisionali riguardanti la scuola nel suo divenire devono essere collegiali. Occorre mantenere la collegialità nell'intera linea decisionale, lasciando alle articolazioni (la cui composizione va affidata al regolamento di ciascuna scuola) compiti istruttori. Il Collegio va potenziato senza renderlo, però, l'unico

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organismo "politico" e contemperando le sue potestà con l'esigenza di salvaguardare la partecipazione delle famiglie e della comunità. Una proposta praticabile potrebbe essere il rendere vincolanti le linee di indirizzo del Consiglio che il Collegio deve assumere e tradurre nell'elaborazione del Pof, così che l'unico elemento per non adottarlo da parte del Consiglio stesso sia il mancato rispetto di tali linee. Un vuoto pesante: la mancanza di un momento/contesto/organismo di autotutela della professione che garantisca la possibilità di accesso alle procedure concorsuali previa “validazione” del possesso delle competenze che caratterizzano l'insegnante. Chi può certificare che l'aspirante al concorso è un professionista? L’Organismo tecnico regionale, composto di rappresentanti della professione, potrebbe intervenire in sede di discussione e formulazione del giudizio con attribuzione del punteggio da parte della commissione di valutazione, per portare a compimento (sulla base di indicatori nazionali della “qualità” del lavoro d’aula) il processo sia di autovalutazione che di valutazione della comunità professionale locale. Va tenuto presente che l'aspetto più problematico per una seria valutazione del docente è proprio quello relativo al lavoro d'aula, fatto anche di modalità comunicative e relazionali, clima collaborativo costruito, coinvolgimento dei soggetti in apprendimento… aspetti non direttamente rilevabili attraverso gli esiti di apprendimento degli alunni e per i quali occorre condividere necessari indicatori. Relativamente alla formazione in servizio, si ritiene giunto il momento di chiedere con forza che essa, in qualsiasi momento della “carriera”, torni ad essere un dovere e non solo un diritto dei docenti e sia legata in percentuale consistente agli obiettivi che l'istituzione scolastica di appartenenza dichiara nel Pof.

Infine, l’Aimc segnala una carenza registrabile in tutte le proposte in campo. Non si fa mai riferimento a un organismo che possa dirimere eventuali conflitti. Non vorremmo leggere questo come poca stima e attenzione ai processi decisionali che sono il cuore pulsante dell'autonomia. Se ci crediamo, occorre pensare anche a chi e come possano essere gestite prevedibili conflittualità affinché la scuola non diventi campo di inutili diatribe da risolversi di caso in caso.

Dal Documento programmatico XIX Congresso nazionale 2-5 gennaio 2010“Per educare a vivere. L’Aimc scommette sul professionista di scuola”

(…)

L’Aimc per il professionista di scuola

L’Aimc è convinta di potere/dovere contare su una persona collocata hic et nunc, sempre più consapevole della propria identità professionale, del senso di appartenenza che caratterizza l’operare quotidiano, del vivere un ruolo sociale, culturale e laicale significativo per la comunità scolastica e per la realtà pubblica.

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L’Associazione sceglie di credere nel futuro e richiama l'attenzione sul difficile compito svolto oggi da docenti e dirigenti, sul loro contribuire alla realizzazione di quel progetto di vita unico e irripetibile al quale ciascuno è chiamato.

Il professionista di scuola si caratterizza

√ come persona che favorisce il successo formativo: il suo compito risulta determinante nell’aiutare la piena realizzazione della persona.

Scegliere il successo formativo come chiave di senso per orientare il proprio agire richiede al professionista di scuola di coniugare le esigenze della comunità scolastica con i bisogni formativi di ciascuno.

Per l’Aimc, ciò presuppone l’atteggiamento del prendersi cura che si esplica nell’attenzione ai vissuti e ai contesti socio-ambientali per favorire la valorizzazione dei talenti personali in un’ottica di equità formativa. In tale ambito, il concetto di competenza diviene generativo se collocato nell’orizzonte di senso del progetto di vita.

Pertanto, l’Aimc si impegna a concorrere a determinare la centralità del successo formativo di ciascun alunno

nelle scelte professionali che vengono adottate nelle scuole; considerare la valutazione come diritto dell’alunno al riconoscimento delle

proprie potenzialità e competenze al fine di orientarlo verso la consapevole realizzazione del proprio progetto di vita;

vigilare affinché a ogni alunno sia garantito il diritto di vivere in una società praticante i valori della Costituzione e di acquisire una formazione culturale e umana adeguata all’integrazione nella società e all’esercizio della cittadinanza attiva;

sensibilizzare le comunità scolastiche nel ricercare alleanze con famiglia e territorio per un efficace patto di corresponsabilità educativa;

√ come persona che promuove innovazione: il suo compito risulta determinante nel contribuire ai processi di ricerca e cambiamento.

L’innovazione può avere nel singolo il momento dell’ideazione, trova il suo naturale terreno di coltura nella comunità professionale e ha bisogno di condizioni di governance favorenti. L’innovazione necessita di saperi professionali consolidati, di flessibilità, di libertà d’azione e rimanda all’esercizio dell’autonomia.

Per l’Aimc, si tratta dunque di elaborare la cultura, di promuovere l’educazione al pensiero e di vedere il professionista come animatore di speranza.

Pertanto, l’Aimc si impegna a contribuire a formare professionisti competenti in “saperi e umanità”

individuando e sperimentando differenti modalità di ricerca, innovazione, documentazione e rendicontazione in contesti di riflessività tra pari;

sostenere la necessità della formazione in servizio come dovere professionale ricorsivo, promuovendo ambiti specifici di confronto finalizzati alla ricerca di modelli operativi;

implementare sinergie collaborative con le università per contribuire a sviluppare percorsi formativi di accesso alla professione con particolare riferimento alle attività di laboratorio e tirocinio;

supportare in modo continuativo i dirigenti scolastici, affinché coltivino spazi associativi e di raccordo con colleghi e territorio per lo sviluppo di una leadership educativa;

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coinvolgere i dirigenti tecnici nella ricerca di linee pedagogico-didattiche, organizzative e istituzionali a sostegno dello sviluppo dell’associazionismo professionale e dell’autono-mia scolastica;

√ come persona che esercita responsabilità professionale: il suo compito risulta determinante nel garantire la qualità del servizio pubblico scolastico.

L’esercizio della responsabilità si esplica nelle singole aree dei saperi disciplinari, dei saperi psico-pedagogici, della mediazione metodologico-didattica, della comunicazione e relazione, dell’organizzazione, della ricerca e dello sviluppo, permettendo, contemporaneamente, di mantenere l’unitarietà dell’intero processo.

Per l’Aimc, costituiscono fattori significativi di professionalità il progettare e governare il processo di insegnamento-apprendimento, il negoziare tra bisogni istituzionali oggettivi e bisogni soggettivi, il riflettere individualmente e collegialmente sul proprio lavoro, il costruire identità e appartenenza ad una comunità. In tal modo, la responsabilità professionale condivisa favorisce l’elaborazione della cultura della scuola.

Pertanto, l’Aimc si impegna a contribuire a declinare il profilo del professionista di scuola in un’ottica di

sviluppo professionale, di validazione delle competenze e di differenziazione delle funzioni formulando ipotesi operative;

partecipare al dibattito sulla valutazione del professionista di scuola in ordine alla legittimazione sociale dei tratti identitari, coniugando modalità autovalutative con modelli di valutazione esterna;

√ come persona che costruisce relazioni cooperative: il suo compito risulta determinante per la realizzazione della comunità educante.

La dimensione collaborativa del professionista di scuola si sviluppa in un gruppo di persone che diviene strumento fondamentale di crescita, di sostegno e di supporto professionale. Il vivere nella corresponsabilità e nella condivisione fa dell’appartenenza alla comunità una risorsa per l’elaborazione e l’attuazione del progetto educativo.

Per l’Aimc, la collegialità è indispensabile in un sistema formativo che si colloca in contesti diversificati e sempre più complessi. Essa valorizza i talenti di ciascun professionista e, nel contempo, permette di affrontare e gestire situazioni inedite.

Pertanto, l’Aimc si impegna a rilanciare l’azione collegiale come partecipazione ai processi decisori nella

corresponsabilità gestionale del far scuola, contribuendo anche a elaborare proposte di revisione degli organismi collegiali;

riaffermare la centralità della scuola dell’inclusione, come contesto ove si realizza il processo di insegnamento-apprendimento attraverso modalità di lavoro cooperativo e di valorizzazione delle diversità;

√ come persona che testimonia presenza sociale, politica, ecclesiale: il suo compito risulta determinante per l’esercizio della cittadinanza e della testimonianza laicale.

La presenza sociale e politica del professionista di scuola si esplica nel tessere relazioni positive e significative all’interno della comunità scolastica, con le istituzioni civili ed ecclesiali, rispondendo agli inderogabili doveri di solidarietà che derivano dall’appartenenza ad una società. Sul versante ecclesiale si tratta di discernere i segni dei tempi nella consapevolezza di un progetto che trascende l’uomo e di diffondere una proposta fondata sul valore della persona nella sua integralità.

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Per l’Aimc, il professionista che ha scelto di aderire all’Associazione si caratterizza come laico cristiano che vive la missione della Chiesa impegnandosi nella scuola per l’educazione delle nuove generazioni.

Pertanto, l’Aimc si impegna a coltivare il confronto e il dialogo quali modalità privilegiate per costruire

solidarietà e promuovere il bene “possibile” tra soggetti sociali, istituzionali e politici; porsi come autorevole punto di riferimento per la professionalità dei docenti e

dei dirigenti che intendono coniugare Vangelo e vita sul terreno concreto della propria esistenza;

approfondire il tema della laicità, proposto dalla riflessione conciliare, dal Magistero e dalla Dottrina sociale della Chiesa, per crescere in testimonianza di santità laicale.

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