Download - Dispensa di diritto amministrativo - Corso Lexfor - Alta …. Amministrativo.pdf · 2017-04-04 · 3 Selezione giurisprudenziale 1- ORGANISMI DI DIRITTO PUBBLICO: Consiglio di Stato,

Transcript

1

Dispensa di diritto amministrativo

2

Indice

1- ORGANISMI DI DIRITTO PUBBLICO: Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 108

del 2017;

2- TERMINE RAGIONEVOLE ART. 21 NONIES L.N. 241 DEL 1990: Tar

Abbruzzo I sentenza n. 86 del 2017;

3- RISARCIMENTO E ART. 1227 C.C.: Tar Calabria n. 113 del 2017;

4- RESPOSABILITÀ PRECONTRATTUALE DELLA P.A. : Tar Bari sentenza n.

1260 del 2016

3

Selezione giurisprudenziale

1- ORGANISMI DI DIRITTO PUBBLICO: Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 108 del 2017;

La nozione di bisogno non industriale o commerciale rientra nel diritto comunitario e non può essere

modificata discrezionalmente dal legislatore nazionale; e che la nozione di organismo di diritto pubblico deve

essere in ogni caso estensivamente intesa, essendo funzionale alla liberalizzazione dei mercati e della

concorrenza, concludendo che servizi mortuari o di pompe funebri rispondono a bisogni di interesse generale

ma l’eventuale esistenza di una concorrenza articolata consente di concludere per l’insussistenza di un bisogno

di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale.

(omissis)

4. Come si evince dalla narrativa che precede, la questione centrale ai fini della presente decisione consiste nello

stabilire se, in considerazione di tutte le circostanze rilevanti nel caso in esame, l’ACI Global s.p.a. sia

qualificabile quale ‘organismo di diritto pubblicò ai sensi della pertinente disciplina eurounitaria e

nazionale.

4.1. I primi Giudici hanno ritenuto che la richiamata qualificazione dovesse essere esclusa in ragione della carenza

del c.d. ‘secondo requisito Mannesmann'(ci si riferisce al fatto che l’organismo della cui natura si discute sia stato

istituito “per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o

commerciale”).

Essi hanno ritenuto dirimente ai fini del decidere il fatto che “nel comparto del soccorso stradale sussiste un

mercato concorrenziale [ragione per cui] l’ACI Global non poteva in alcun modo essere considerata un

organismo di diritto pubblico”.

Per ragioni analoghe a quelle appena richiamate il T.A.R. ha altresì escluso che la giurisdizione del G.A. potesse

essere affermata alla luce dell’articolo 32, lettera c) del decreto legislativo n. 163 del 2006 (a tenore del quale le

disposizioni del previgente ‘Codicé si applica(va)no “[ai] lavori, servizi, forniture affidati dalle società con capitale

pubblico, anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro

attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati

sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del

decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”).

Sotto tale aspetto si è ritenuta dirimente la circostanza per cui “ACI Global produce una serie di servizi, quale il

servizio di soccorso stradale, destinati ad essere collocati sul mercato in regime di concorrenza”.

5. L’appello è fondato dovendo ritenersi – in senso contrario a quanto opinato dai primi Giudici – che sussistano

i presupposti per qualificare ACI Global come ‘organismo di diritto pubblicò (con quanto ne segue in ordine alla

sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo).

6. Va in primo luogo osservato che non sussistono dubbi in ordine alla sussistenza in capo ad ACI Global

del primo e del terzo ‘requisito Mannesmann'(ci si riferisce, rispettivamente: i) alla titolarità della

personalità giuridica; ii) al fatto che la relativa attività “sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato,

dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure [che la] gestione sia

soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza

sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o

da altri organismi di diritto pubblico”).

Ci si deve domandare, quindi, se sussista altresì il c.d. ‘requisito teleologico.

Ad avviso del Collegio deve ritenersi che il requisito in parola sia certamente sussistente nel caso in

esame, non potendo pervenirsi a conclusioni opposte sulla base della sola esistenza di un mercato

concorrenziale nel comparto del settore stradale.

4

6.1. La giurisprudenza eurounitaria si è domandata sovente nel corso degli anni se il fatto che l’Organismo

della cui natura si discute opera in un mercato aperto alla concorrenza rappresenti di per sé solo un

circostanza idonea ad escludere il richiamato requisito teleologico (ossia, la finalizzazione al

soddisfacimento di esigenze aventi carattere non industriale o commerciale), e quindi se sia idoneo ad

escludere la configurabilità dell’o.d.p.

Al riguardo, l’evoluzione della giurisprudenza comunitaria può essere suddivisa essenzialmente in tre fasi.

6.1.1. Nel corso di una prima fase, la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE sembrava orientata a fornire

al quesito una risposta – per così dire – pancomunitaria (ossia, volta alla massima espansione applicativa della

categoria dell’o.d.p.).

In particolare, con la sentenza BFI Holding del 10 novembre 1998, la Corte di Lussemburgo affermò che la

circostanza per cui un determinato organismo operasse in un mercato tendenzialmente aperto alla concorrenza di

altri operatori non fosse di per sé sufficiente ad escludere la natura di o.d.p.

Al contrario, secondo la Corte, tale circostanza avrebbe – al più – potuto costituire un mero indizio circa il fatto

che il bisogno perseguito avesse carattere non industriale o commerciale.

A tal fine, tuttavia, l’indagine avrebbe dovuto essere completata attraverso il ricorso ad indici ulteriori, come ad

esempio la possibilità che l’organismo di cui trattasi si lasciasse guidare, nell’adottare le proprie scelte, da

considerazioni diverse rispetto a quelle puramente economiche.

In tal caso, l’organismo in questione avrebbe potuto essere comunque considerato come di diritto pubblico, a ciò

non ostando la sua operatività in un mercato aperto alla concorrenza.

6.1.2. In una seconda fase (contrassegnata dalla sentenza Ente Fiera di Milano del 10 maggio 2001) la Corte di

Giustizia sembrò segnare una sorta di inversione di tendenza nell’espansione applicativa dell’istituto dell’o.d.p.

Con la pronuncia in questione, la CGUE ebbe ad escludere la configurabilità dell’Ente Fiera quale o.d.p. ai sensi

della pertinente disciplina comunitaria proprio per la ritenuta carenza del richiamato requisito teleologico.

Sotto tale aspetto, secondo la Corte, la circostanza per cui l’Ente Fiera operasse in un mercato concorrenziale

rappresentava un indizio sostanzialmente determinante al fine di escludere il carattere non industriale o

commerciale dei bisogni perseguiti e, in via mediata, la sua configurabilità quale o.d.p.

6.1.3. Nella terza (e più recente) fase, la Corte ha ritenuto che l’esistenza di un mercato in concorrenza

rappresenti solo un indice nel senso dell’assenza del requisito teleologico (dovendo tale circostanza essere

integrata da ulteriori elementi e configurandosi come una sorta di presunzione semplice).

Si è affermato al riguardo che il diritto dell’UE non richiede affatto che, affinché si qualificabile come o.d.p.

l’organismo della cui natura si tratta debba on radicale assenza di concorrenza (ragione per cui i bisogni

soddisfatti dall’o.d.p. non potrebbero essere parimenti soddisfatti anche da imprese private).

All’opposto, la circostanza per cui esista una concorrenza nello specifico settore «non è sufficiente ad escludere la

possibilità che un ente finanziato dallo Stato, dagli enti territoriali o da altri organismi di diritto pubblico si lasci

guidare da considerazioni di carattere non economico. Così, ad esempio, un ente di tal genere potrebbe essere

indotto a perseguire perdite economiche al fine di perseguire una determinata politica di acquisti dell’ente da cui

dipende strettamente. Inoltre, essendo difficile immaginare attività che non possano essere in alcun caso svolte

da imprese private, la condizione che non vi siano imprese private che possano provvedere a soddisfare bisogni

per i quali l’ente di cui trattasi sia stato creato rischierebbe di svuotare di sostanza la nozione di organismo di

diritto pubblico di cui all’art. 1 lett. b) della direttiva n. 92/50/CEE» (in tal senso la richiamata sentenza sul caso

BFI Holding e la giurisprudenza successiva).

6.2. In definitiva, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha chiarito che, se in linea generale i bisogni non

aventi carattere industriale o commerciale si caratterizzano di norma per il fatto di non trovare una

adeguata “risposta” nell’offerta degli operatori sul mercato, è nondimeno possibile che in alcuni casi

detti bisogni possano presentare una qualche rilevanza economica, sì da indurre anche operatori

economici privati a collocarsi nel settore (e senza che ciò incida sulla possibilità di qualificare

l’organismo della cui natura si controverte come o.d.p.).

Si è in tal modo ammessa la non incompatibilità tra (da un lato) lo svolgimento di attività di impresa e

l’operatività in settori contrassegnati a un’economia di mercato e (dall’altro) la qualificabilità dell’ente come

5

organismo di diritto pubblico (in tal senso: CGUE, sentenza 9 giugno 2009 in causa C-480/06, Commissione c.

Germania).

Ne consegue la non condivisibilità della tesi (peraltro richiamata dalla ACI Global) secondo cui per poter

riconoscere a un Organismo la qualificazione di o.d.p. sarebbe sempre e comunque necessario verificare (in

negativo) che lo stesso operi in settori non concorrenziali, ovvero (in positivo) che lo esso operi in regime di

sostanziale privativa.

6.3. La giurisprudenza della CGUE ha poi offerto un criterio ermeneutico generale idoneo a risolvere i

casi dubbi (nel cui ambito, come si è detto, il solo fatto di operare in un settore aperto al mercato non

fornisce ex se elementi dirimenti per escludere la qualificabilità come o.d.p.).

Si è anzi osservato al riguardo che “[la nozione di] bisogno non industriale o commerciale rientra nel diritto

comunitario e non può essere modificata discrezionalmente dal legislatore nazionale; e che la nozione di

organismo di diritto pubblico deve essere in ogni caso estensivamente intesa, essendo funzionale alla

liberalizzazione dei mercati e della concorrenza, concludendo che servizi mortuari o di pompe funebri

rispondono a bisogni di interesse generale ma l’eventuale esistenza di una concorrenza articolata consente di

concludere per l’insussistenza di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale»

(in tal senso: CGUE, 27 febbraio 2003, in causa C-373/00, GmbH v. Bestattung Wien GmbH).

6.4. Ebbene, riconducendo i principi appena richiamati alle peculiarità del caso in esame deve ritenersi: i) che la

circostanza per cui il settore del soccorso stradale sia aperto alla concorrenza non depone ex se nel senso della

non qualificabilità di ACI Global come o.d.p.; ii) che, al contrario, prevalenti indici fattuali e sistematici

depongono nell’opposto senso di qualificare la società in parola come o.d.p. (con quanto ne consegue in punto di

giurisdizione del G.A.).

7. Occorre, quindi, svolgere un’indagine in ordine alla sussistenza nel caso in esame di specifiche

“esigenze di interesse generale”, il cui “carattere non industriale o commerciale” non può coincidere

tout-court con l’impossibilità di ottenerne il soddisfacimento attraverso il ricorso al mercato.

(omissis)

2- TERMINE RAGIONEVOLE ART. 21 NONIES L.N. 241 DEL 1990: Tar Abbruzzo I sentenza

n. 86 del 2017;

1) L’art. 21 nonies, comma1, della legge 241/1990, così come modificato dal d.l. n. 133 del 2014, convertito

dalla legge n. 164 del 2015, prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo possa essere annullato

d’ufficio entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei

provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione dei vantaggi economici. La novella del 2015 ha cioè

eliminato il riferimento al termine ragionevole e ha introdotto uno sbarramento temporale di diciotto mesi

all’esercizio del potere di autotutela.

2) L’art. 21 nonies, comma 1, della legge 241/1990, prima della riforma del 2015, nel prevedere il limite

temporale del “termine ragionevole”, ha introdotto un parametro indeterminato ed elastico, finendo così per

lasciare all’interprete il compito di individuarlo in concreto, in considerazione del grado di complessità degli

interessi coinvolti e del relativo consolidamento, secondo il canone costituzionale di ragionevolezza.

3) Sono illegittimi, per violazione dell’art. 21 nonies della Legge 241/1990, gli atti di annullamento d’ufficio

basati anche su pretese violazioni di norme del Codice dei Contratti Pubblici – quali la mancata indizione

della gara e l’approvazione di varianti ex art. 132 d.lgs. 163/2006 - se non adottati entro un termine

ragionevole dall’adozione degli atti annullati.

6

(omissis)

4. Passando all’esame dei motivi di ricorso, la società ricorrente ha dedotto, con un primo articolato gruppo di

censure, violazione degli artt. 3, 7, 11 e 21 nonies della legge n. 241del 1990, dell’art. 11 del d.l. n. 398 del 1993

convertito dalla legge n. 493 del 1993, del DM 12.2.2001, nonché eccesso di potere sotto diversi profili.

Ad avviso di parte ricorrente, infatti, mancherebbero i presupposti per l’esercito del potere di annullamento in

autotutela.

In primo luogo, mancherebbe il rispetto di un termine ragionevole dall’adozione dell’atto ritirato e comunque del

termine perentorio e tassativo di 18 mesi.

In particolare, l’adozione degli atti gravati è avvenuta a distanza di un periodo compreso tra i 5 e i 10 anni di

distanza dall’adozione degli atti annullati, nonché a distanza di 12 anni dall’approvazione del PRU e del progetto

di Contratto di quartiere II e degli esiti della selezione pubblica indetta dal Comune di Avezzano.

In proposito, osserva il Collegio quanto segue.

L’art. 21 nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990, che disciplina l’annullamento d’ufficio, è stato

modificato dal d.l. n. 133 del 2014, convertito dalla legge n. 164 del 2015, e successivamente dalla legge

n. 124 del 2015.

A seguito di questa novella, è previsto che il provvedimento amministrativo illegittimo possa essere

annullato d’ufficio “entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal

momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.

La novella del 2015 ha cioè eliminato il riferimento al termine ragionevole e ha introdotto uno

sbarramento temporale di diciotto mesi all’esercizio del potere di autotutela.

Parte ricorrente ha lamentato la violazione dell'art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 proprio perché i

provvedimenti di autotutela sono stati adottati nel 2016, pur essendo stati adottati gli atti annullati tra il

2005 e il 2011, e quindi oltre il termine di diciotto mesi previsto, ai fini dell'esercizio del potere di

annullamento, dalla sopra citata disposizione normativa.

La censura è infondata, in quanto il termine in questione è stato introdotto dalla legge 7 agosto 2015, n. 124,

mediante modifica dell'art. 21 nonies della legge n. 241 deò 1990, per cui, pur applicandosi in virtù del principio

tempus regit actum alla fattispecie in esame, la sua decorrenza non può che coincidere con l'entrata in vigore

della novella e, quindi, il potere di ritiro risulta nel caso di specie esercitato entro diciotto mesi dalla sopravvenuta

operatività della nuova disciplina normativa.

Tuttavia, la società ricorrente ha lamentato comunque la non ragionevolezza del termine entro cui gli atti di

autoannullamento gravati sono stati adottati, indipendentemente dal mancato rispetto del termine di diciotto

mesi di cui si è detto.

In proposito, osserva il Collegio come la prevalente giurisprudenza amministrativa, prima della riforma

del 2015, aveva rilevato che l'art. 21 nonies citato, nel prevedere il limite temporale del “termine

ragionevole”, ha introdotto un parametro indeterminato ed elastico, finendo così per lasciare

all'interprete il compito di individuarlo in concreto, in considerazione del grado di complessità degli

interessi coinvolti e del relativo consolidamento, secondo il canone costituzionale di ragionevolezza (ex

multis, Tar Lazio, Roma, n. 11008 del 2015; Tar Campania, Napoli, n. 4529 del 2013).

Peraltro, ancorché la novella del 2015 non sia applicabile ratione temporis al caso di specie, essa rileva

pur sempre ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti, soprattutto in

presenza di un affidamento particolarmente qualificato in ragione del lungo tempo trascorso (Cons.

Stato n. 5625 del 2015).

Il decorso del tempo, infatti, contribuisce al consolidamento della posizione del privato ed alla perdita

di attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell'atto (Cons. Stato, n. 816 del 2016).

(omissis)

Gli atti di annullamento impugnati, pertanto, sono illegittimi per violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241

del 1990, per essere stati adottati a distanza di un periodo compreso tra gli 11 e i 5 anni dalle delibere e dalle

determinazioni annullate e, quindi, entro un termine non ragionevole.

7

La valutazione degli interessi pubblici che vengono in considerazione, ossia la tutela delle risorse economiche

pubbliche, e la loro comparazione con l’affidamento della Irim Srl nella legittimità degli atti annullati, tutelabile ad

avviso dell’Amministrazione comunale tramite l’indennizzo ex art. 2041 c.c. nei limiti in cui risulterà dovuto, non

giustificano il superamento di un termine ragionevole nell’adozione degli atti di ritiro gravati.

Ciò anche in considerazione del fatto che il Comune di Avezzano dispone senz’altro di altri strumenti per

tutelare l’interesse pubblico, facendo valere eventuali inadempienze, sul piano esecutivo, della Irim Srl, quali la

sospensione dei lavori sin dal 2012, la loro eventuale mancata ultimazione (fissata dalla convenzione del 2006 per

quanto concerne il palazzo comunale e le opere di urbanizzazione in tre anni), la realizzazione di un edificio

(corpo A) non funzionale.

Da ultimo, non può non rilevare il Collegio che le giustificazioni addotte dalla difesa comunale, quali la

sostituzione della persona fisica del RUP e il cambiamento del vertice politico dell’Amministrazione, sono del

tutto irrilevanti e ininfluenti al fine della valutazione della legittimità dell’operato della stessa.

5. Alla luce delle considerazioni svolte, la delibera consiliare n. 12 del 2016, la delibera di Giunta n. 142 del 2016

e la determinazione dirigenziale n. 5120 del 2016 del Comune di Avezzano vanno annullate, in quanto illegittime.

6. (omissis)

3- RISARCIMENTO E ART. 1227 C.C.: Tar Calabria n. 113 del 2017;

1) La responsabilità della p.a., in materia di contratti pubblici, è di tipo oggettivo, essendo sufficiente la

ravvisata illegittimità dell’atto per dedurre la colpa presunta della stazione appaltante, senza possibilità di

controprova circa la scusabilità dell’errore.

2) Il danno da perdita di chance può quantificarsi nella misura del 10% del prezzo a base d’asta, diviso

tuttavia per il numero di imprese che hanno partecipato alla gara medesima.

3) Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa non

abbia potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili per l’espletamento di altri servizi, dovendosi

tener conto dell’aliunde perceptum vel percipiendum, cosicché in difetto di prova specifica a cura di parte

istante, l’importo quantificato deve pertanto esse decurtato e equitativamente rideterminato nel 5% dell’importo

a base d’asta.

4) I costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima

esclusione e chieda il mero danno da esclusione, atteso che in tal caso viene in considerazione il diritto

soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Per converso, nel caso in cui l’impresa

ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della chance di aggiudicazione)

mancano i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che

mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe

dall’aggiudicazione.

5) L’aggiudicazione di un appalto pubblico accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la

possibilità di conseguire ulteriori e futuri appalti, derivandone che l’impresa illegittimamente privata della pur

sola chance di esecuzione dell’appalto, può rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della

possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale.

6) Secondo i principi ormai consolidati in materia di risarcimento del danno da contratti pubblici -anche a

seguito della nota decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3/2011-, la mancata tempestiva attivazione degli

opportuni rimedi cautelari rientra sicuramente tra gli sforzi diligenti che gravano sul danneggiato-creditore,

entro il limite dell’apprezzabile sacrifico, al fine di contenere le conseguenze dannose.

8

(omissis)

4. Deve dunque essere esaminata nel merito la domanda risarcitoria proposta in via residuale dall’esponente.

Dagli atti di causa e dalle dichiarazioni rese in udienza emerge infatti che l’appalto de quo è stato aggiudicato ed

eseguito da tempo e che dunque la domanda di MTS si concentra, in via residuale, sull’anelato risarcimento del

danno patito a seguito della (dichiarata illegittima esclusione) nonché per effetto della privata possibilità di

partecipare alla gara e finanche di aggiudicarsela.

Viene dunque in rilievo un lamentato danno da illegittima esclusione e da perdita di chance.

Ciò posto, il Collegio ricorda che, a seguito della nota sentenza Graz Stadt resa dalla Corte di Giustizia in data 30

settembre 2010, la responsabilità della PA, in materia di contratti pubblici è di tipo oggettivo, essendo sufficiente

la ravvisata illegittimità dell’atto per dedurre la colpa presunta della Stazione Appaltante, senza possibilità di

controprova circa la scusabilità dell’errore.

Pertanto, dichiarata l’illegittimità della clausola del bando sulla base della quale la ricorrente è stata esclusa dalla

procedura, deve dedursi la responsabilità dell’Amministrazione comunale, causativa del pregiudizio siccome

derivante dalla illegittima esclusione e dalla impossibilità di ambire all’aggiudicazione dell’appalto ovvero alla

possibilità di aggiudicarselo.

5. Quanto alla determinazione del danno – conseguenza, si osserva che la ricorrente ha chiesto genericamente

risarcirsi il danno costituito dalla mancata aggiudicazione ovvero dalla mancata acquisizione della commessa nei

termini programmati.

Tale richiesta risarcitoria, non articolata nelle singole voci e proposta cumulativamente, può essere intesa e

declinata come ricomprendente anzitutto il danno da lucro cessante e cioè l’utile economico che sarebbe derivato

all’impresa dall’esecuzione dell’appalto.

5.1 A tal riguardo, essendo stata l’istante esclusa illegittimamente, spetta, più precisamente, ad MTS il

danno da perdita di chance e cioè il pregiudizio costituito dalla perdita della possibilità di aggiudicarsi

la gara, il quale può quantificarsi nella misura del 10% del prezzo a base d’asta (non avendo potuto

MPS depositare la propria offerta), diviso tuttavia per il numero di imprese che hanno partecipato alla

gara medesima.

Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può tuttavia essere risarcito per intero se e in quanto

l’impresa non abbia potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili per l’espletamento di altri

servizi, dovendosi tener conto dell’aliunde perceptum vel percipiendum.

5.2 In difetto di prova specifica a cura di parte istante, l’importo quantificato sub 5.1 deve pertanto esse

decurtato e equitativamente rideterminato nel 5% dell’importo a base d’asta (TAR Toscana Sez. I n.

562/2016; TAR Veneto Sez. II n. 279/2016; nonché si veda CdS Sez. VI n. 2751/2008 circa l’onere della prova

contraria a carico del danneggiato stesso).

5.3 Non possono essere liquidate le spese di partecipazione alla gara, posto che, in caso di domanda di

risarcimento danni per mancata aggiudicazione ovvero per perdita di chance di aggiudicarsi la commessa, dette

spese dovevano comunque essere sostenute dall’impresa, difettando così la riconducibilità del costo all’area del

danno (v. CdS Sez. V n. 3634/2016 e 1904/2016).

Invero, come la giurisprudenza ha avuto pure modo di precisare, i costi di partecipazione si colorano come

danno emergente solo qualora l’impresa subisca una illegittima esclusione e chieda il mero danno da

esclusione, atteso che in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non

essere coinvolto in trattative inutili. Per converso, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del

danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della chance di aggiudicazione) mancano i

presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che

mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che

deriverebbe dall’aggiudicazione (v. CdS, Sez. VI n. 2751/2008).

5.4 Nell’ambito del chiesto danno può altresì riconoscersi presuntivamente il danno curriculare, posto che

il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la possibilità

di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti, derivandone che l’impresa illegittimamente privata della pur sola chance

9

di esecuzione dell’appalto, può rivendicare a titolo di lucro cessante anche la perdita della possibilità di arricchire

il proprio curriculum professionale (Cds Sez. VI n. 4283/2015).

Quanto alla liquidazione di tale voce di danno, per natura estremamente difficoltosa trattandosi di danno non

surrogabile patrimonialmente, il Collegio ritiene che esso possa, equitativamente determinarsi nella misura

dell’1% dell’importo liquidato a titolo di lucro cessante (Cds Sez. VI n. 5611/2015).

Deve infatti osservarsi che tale danno si collega alla mera chance di aggiudicazione e dunque ad una situazione in

cui non vi è certezza di vittoria nella procedura, ridondando tale incertezza sulla minor individuazione della

relativa percentuale.

6. Così quantificato complessivamente il danno – conseguenza, deve tuttavia osservarsi che il relativo

importo va opportunamente ridotto in ragione della percentuale dell’ 80 %, in coerente applicazione

della regola sulla limitazione del danno consacrata nell’art. 1227 2° comma c.c..

Secondo i principi ormai consolidati in materia di risarcimento del danno da contratti pubblici (anche a seguito

della nota decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3/2011), la mancata tempestiva attivazione degli opportuni

rimedi cautelari rientra sicuramente tra gli sforzi diligenti che gravano sul danneggiato – creditore,

entro il limite dell’apprezzabile sacrifico, al fine di contenere le conseguenze dannose.

Tanto più ciò deve essere valorizzato nel caso di specie, posto che l’esponente ha contestato una

clausola del bando che poneva un requisito di partecipazione oltremodo sproporzionato e dunque,

esperendo l’apposito rimedio cautelare, avrebbe potuto verosimilmente limitare il pregiudizio

successivo sin da subito, ottenendo il bene della vita costituito dalla possibilità di partecipare alla

selezione.

(omissis)

Ad avviso del Collegio, il pronto esperimento del rimedio cautelare, considerati gli sviluppi successivi del ricorso

straordinario e la palmare fondatezza dello stesso come ritenuta nel parere n. 4325/2012 reso dal Consiglio di

Stato, avrebbe comportato una tutela immediata con un alto grado di probabilità, che il TAR stima pari alla

percentuale dell’80 % di accoglimento.

Dal che la riduzione della somma complessiva come individuata al superiore punto 5, in ragione della percentuale

sopra citata.

(omissis)

4- RESPOSABILITÀ PRECONTRATTUALE DELLA P.A. : Tar Bari sentenza n. 1260 del 2016

1. Secondo l’insegnamento della giurisprudenza civilistica la responsabilità precontrattuale

costituisce species di quella di cui all’art. 2043 c.c., ed è regolata dagli stessi principi a quest’ultima

applicabili. Perché possa affermarsi che ci si trovi innanzi ad un danno risarcibile, in ossequio ai

principi generali in tema di sussumibilità della condotta nel paradigma di cui all’art. 2043 c.c., occorre

che si pervenga al positivo riscontro della compresenza dell'elemento soggettivo e degli elementi oggettivi,

individuati in una condotta posta in essere in violazione di una norma giuridica ("in iure") e in un

danno conseguente qualificabile come ingiusto ("contra ius"), nonché un nesso eziologico che leghi il

fatto come descritto al danno.

2. La omessa stipula del contratto non è imputabile – almeno non solo e non in modo decisivo -

all’operato del Consorzio resistente, dovendosi piuttosto riconoscere che la condotta dell’impresa

aggiudicataria abbia inciso in modo determinante anche sul nesso di causalità, rilevando quale fattore

interruttivo della catena causale (tra condotta del soggetto della cui responsabilità si tratta ed evento), in

grado di deviare lo sviluppo normale di quest'ultima.

10

(omissis)

8.- Nel merito il ricorso è, tuttavia, infondato.

8.1.- La ricorrente propone azione risarcitoria per il danno dipendente dalla mancata sottoscrizione del

contratto d’appalto.

La fattispecie configura una forma di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell'art. 1337 c.c., che

non discende dalla violazione delle norme di diritto pubblico che disciplinano l’agire autoritativo della

pubblica amministrazione, ma deriva dalla violazione delle regole comuni – in particolare, del principio

generale di buona fede in senso oggettivo – che trattano del comportamento precontrattuale, ponendo in

capo alla pubblica amministrazione stessa doveri di correttezza e di buona fede analoghi a quelli che

gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali.

8.2.- Con specifico riferimento ai procedimenti ad evidenza pubblica può ravvisarsi, accanto ad una

responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo derivante dalla illegittimità degli atti o dei

provvedimenti relativi al procedimento amministrativo di scelta del contraente, una responsabilità di tipo

precontrattuale, per violazione di norme imperative che pongono regole di condotta, da osservarsi durante

l’intero svolgimento della procedura (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 4674 del 15.9.2014).

Secondo costante giurisprudenza (cfr. Cass. SS.UU. 12 maggio 2008, n. 11656, richiamata da Cons. St., sez.

VI, sentenza n. 633 del 1° febbraio 2013), la responsabilità precontrattuale è una responsabilità da

comportamento, non da provvedimento, che incide non già sull’interesse legittimo pretensivo

all’aggiudicazione, ma sul diritto di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali e, pertanto, sulla

libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui

scorrettezza.

In sostanza, anche i soggetti pubblici, sia nell’ambito di trattative negoziali condotte senza

procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di procedure di gara, sono tenuti ad improntare la

propria condotta al canone di buona fede e correttezza scolpito nell 'art. 1337 c.c., omettendo di

determinare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero di tradire, senza giusta

causa, affidamenti legittimamente ingenerati.

Tale canone si specifica in una serie di regole di condotta, tra le quali l'obbligo di valutare diligentemente le

concrete possibilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte

dell'eventuale esistenza di cause ostative rispetto a detto esito (TAR Lazio, sez. II^, sentenza n. 488 del

19.1.2011; cfr. anche, Cons. St., A.P., 5 settembre 2005, n. 6; Cass. S.U. 12 maggio 2008, n. 11656).

Come rilevato dalla sentenza dal Tribunale di Bari con la sentenza n. 2955 del 30 maggio 2016, tale forma

di responsabilità appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo che trova fondamento

sia nella non intervenuta stipulazione (da ritenersi la linea ideale di confine tra fase procedimentale

autoritativa e fase contrattuale da cui origina un rapporto di natura paritetica tra contraenti), sia

nell’essere volta la domanda alla tutela risarcitoria di una posizione giuridica soggettiva che ha

natura di interesse legittimo in quanto si esplica in una fase - quella antecedente alla stipulazione

del contratto - governata dal potere autoritativo dell'Amministrazione (T.A.R. Lombardia,

sent.1918/2015).

Le controversie aventi, inoltre, ad oggetto l’appalto per l’esecuzione di lavori sono devolute alla

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per effetto del combinato disposto degli artt.

133, comma 1, lett. e), n. 1 e 30, ultimo comma, c.p.a. (T.A.R. Lazio, sez. II, sent. 9704/2016).

8.3.- Con riguardo alla quantificazione del danno risarcibile, è costante l’orientamento per cui in caso di

responsabilità precontrattuale spetta il solo interesse negativo, essendosi verificata la lesione

dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative (non alla lesione del contratto); il danno

risarcibile è quindi unicamente quello consistente nella perdita derivata dall’aver fatto affidamento nella

conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni

contrattuali perdute (interesse negativo). La differenza in negativo del patrimonio attiene all’interesse a

non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose , non già all’interesse alla positiva esecuzione dei

doveri contrattuali.

11

In tale prospettiva, non possono essere risarcite le voci di danno che fanno riferimento all’interesse

positivo in quanto esse attengono, appunto, alle utilità e ai vantaggi che sarebbero derivati dall'esecuzione

del contratto.

L’interesse negativo include poi sia il danno emergente (per le spese sostenute ai fini della partecipazione

alla gara e in previsione della stipulazione del contratto), sia il lucro cessante, dovuto alla perdi ta di

ulteriori occasioni contrattuali, sfumate a causa dell’impegno derivante dall’aggiudicazione, non sfociata

nella stipulazione, o, comunque in ragione dell’affidamento nella positiva conclusione del procedimento

(cfr. Cons. St., sez. V^, sentenza n. 6406 del 29.12.2014).

8.4.- Perché sussista una tale responsabilità precontrattuale occorre però, da un lato, che il

comportamento tenuto dalla P.A. risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede

di cui all´art. 1337 del cod. civ.; dall’altro, che lo stesso comportamento abbia ingenerato un danno

del quale appunto viene chiesto il ristoro .

8.5.- La giurisprudenza ha escluso l'idoneità dell'atto di aggiudicazione ad instaurare ex se una relazione

negoziale tra stazione appaltante e privato aggiudicatario, ritenendo che tale atto abbia esclusivamente

natura di provvedimento amministrativo ampliativo della sfera soggettiva del destinatario che, per effetto

della stessa, così come diviene titolare di un interesse legittimo oppositivo alla sua conservazione, diviene

al contempo titolare di un interesse legittimo pretensivo alla stipulazione del contratto, sicché nessuna

posizione di diritto soggettivo a detta stipula può essere riconosciuta all'impresa aggiudicataria.

8.6.- Va ancora aggiunto in termini generali che, laddove la stipulazione non avvenga nel termine previsto,

ove l'aggiudicatario intenda ancora conseguire la stipulazione del contratto, vi è la possibilità di ricorrere

avverso il silenzio ex art. 31, c.p.a., ovvero di impugnare in sede di giurisdizione generale di legittimità

eventuali atti di autotutela nel frattempo intervenuti (Cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, sent. 9704 del 14.09.2016,

sent. n. 12400 del 3.11.2015).

9.- Delineati i principali caratteri della responsabilità precontrattuale, con specifico riferimento ai

procedimenti ad evidenza pubblica, occorre verificare se, nel caso in esame, tale fattispecie sia

configurabile.

Secondo l’insegnamento della giurisprudenza civilistica (si veda Cassazione civile , sez. I, 26 maggio 2006,

n. 12629 secondo la quale “la posizione dell'imprenditore che abbia fatto legittimo affidamento nella aggiudicazione

dell'appalto e nella successiva stipulazione del contratto e che ne ignorasse, senza sua colpa, una causa di invalidità è

specificamente presa in considerazione dall'art. 1338 c.c.”) potrebbe astrattamente ricorrere una ipotesi di

responsabilità rientrante nel paradigma della responsabilità precontrattuale: essa costituisce speciesdi quella

di cui all’art. 2043 cc, ed è regolata dagli stessi principi a quest’ultima applicabili.

Perché possa affermarsi che ci si trovi innanzi ad un danno risarcibile, in ossequio ai principi generali in

tema di sussumibilità della condotta nel paradigma di cui all’art. 2043 cc., occorre che si pervenga al

positivo riscontro della compresenza dell'elemento soggettivo, costituito dalla colpa o dal dolo dell'agente,

e degli elementi oggettivi, individuati in una condotta posta in essere in violazione di una norma giuridica

("in iure") e in un danno conseguente qualificabile come ingiusto ("contra ius"), ossia che leda una situazione

giuridica altrui, e non che si traduca nell'esercizio di un proprio diritto, nonché un nesso eziologico che

leghi il fatto come descritto al danno. Il rapporto di causalità si ritiene escluso per il sopravvenire di un

fatto che, pur non agendo del tutto indipendentemente dalla condotta del soggetto della cui responsabilità

si controverte, giacché altrimenti darebbe luogo ad una serie causale autonoma, si pone come fattore

interruttivo della catena causale, in grado, cioè, di deviare lo sviluppo normale di quest'ultima. (Consiglio

Stato, sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4309; sez. V, 08 marzo 2006, n. 1228).

La Sezione non ignora che dottrina e giurisprudenza hanno in passato elaborato il principio per cui il

potere dell'amministrazione di non dare corso all'aggiudicazione con la stipula del contratto incontra un

limite insuperabile nei principi di buona fede e correttezza alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la

p.a. e nella tutela dell'affidamento ingenerato. Da quanto precede deve ritenersi sussistente la colpa

dell'amministrazione che addiviene alla conclusione di una procedura di affidamento lavori senza mai

stipulare il relativo contratto a causa dell'omessa verifica e vigilanza sulla sussistenza della relativa

12

copertura finanziaria, in quanto tale comportamento, ingenerando nelle parti un falso affidamento in

ordine alla positiva conclusione della vicenda, deve considerarsi divergente rispetto alle regole cui tenuta

anche la p.a. nella fase precontrattuale.

Si tratta, quindi, di verificare, nel caso in esame, se l’amministrazione si sia comportata da corretto

contraente, senza ingenerare falsi affidamenti e rispettando i legittimi affidamenti comunque creati e

naturalmente senza coinvolgere in trattative che, successivamente, siano colposamente poste nel nulla.

L’esame giudiziale ha in sostanza ad oggetto la correttezza del comportamento assunto dall’ente pubblico

alla luce del dovere di buona fede (Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2009 n. 5245).

10. – (omissis)