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Le società di capitali

Definizione

Le società di capitali sono definite “di capitali” proprio in ragione del fatto che

l'elemento capitalistico ha una prevalenza concettuale e normativa rispetto

all'elemento personale rappresentato dai soci (si vedano, a tale proposito, le

considerazioni svolte in tema di società di persone).

La partecipazione dei soci al capitale sociale può essere rappresentata da azioni o da

quote a seconda della specifica tipologia societaria.

Le caratteristiche delle società di capitali sono:

1.   personalità giuridica e autonomia patrimoniale perfetta  (la società

risponde soltanto con il suo patrimonio). Fanno eccezione le s.a.p.a., dove i soci

accomandanti sono obbligati soltanto nei limiti della quota del capitale socialesottoscritta, mentre i soci accomandatari rispondono solidamente e

illimitatamente.

2.  responsabilità limitata dei soci per le obbligazioni sociali: i soci

rispondono per le obbligazioni assunte dalla società nei limiti delle azioni o quote

sottoscritte; in caso di insolvenza della società i creditori non possono rivalersi sul

patrimonio personale dei singoli soci.

3.   potere di amministrazione svincolato dalla qualità di socio: il socio può

solo esercitare funzioni di controllo e di partecipazione ad utili e perdite e

contribuire, con il suo voto proporzionale alle azioni/quote possedute, a

nominare gli amministratori.

4. 

tendenziale trasferibilità delle partecipazioni sociali 

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5.  organizzazione “corporativ a”, con organi definiti dalla legge (sia nella

tipologia che nelle funzioni: assemblea dei soci, amministratori, collegio sindacale)

Le società di capitali si dividono in:

-  società per azioni (SpA);

-  società in accomandita per azioni (Sapa); 

-  società a responsabilità limitata (Srl). 

 A tali società si aggiungono le società cooperative  che sono

società caratterizzate da uno scopo diverso da quello meramente lucrativo (c.d.

scopo mutualistico).

 Tale scopo consiste - a seconda del tipo di cooperativa - nell'assicurare ai soci il

lavoro, o beni di consumo, o servizi, a condizioni migliori di quelle che

otterrebbero dal libero mercato.

Le cooperative sono regolate dalle norme specifiche presenti nel Codice civile,

dall'articolo 2511 all'art. 2548, e, in quanto compatibili, dalle disposizioni sulla

società per azioni (art. 2519 primo comma).

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La società per azioni - Costituzione e conferimenti

Caratteristiche

-  Principale tipo di società

-  Predisposta per le imprese che richiedono l’apporto di ingenti capitali e notevoli rischi 

-  Il vincolo tra socio e società è impersonale: l’elemento personale scade di fronte alla prevalenzadel capitale.

Personalità giuridica e responsabilità limitata

Personalità giuridica:-  Si acquista con l’iscrizione nel Registro delle Imprese (2331). Da questo momento la società

diventa un soggetto distinto dalle persone dei soci e gode di autonomia patrimoniale perfetta

Responsabilità limitata:-  Per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio (2325)

-  Il socio è obbligato solo ad eseguire il conferimento determinato nel contratto sociale

 Azioni: -  Esprimono la misura della partecipazione di ciascun socio alla società

Capitale sociale

-   A seguito della riforma non può essere inferiore a 120.000 euro (2327)

-  Costituisce un correttivo, a garanzia dei creditori sociali, della responsabilità limitata dei soci, percui la società non può costituirsi se non con un minimo di capitale proprio ed è destinata alloscioglimento se, nel corso dell’attività, detto capitale scende al di sotto del minimo legale 

Condizioni per la costituzione

 Attività necessarie:

Stipulazione dell’atto costitutivo 

-  Iscrizione nel registro imprese

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 -  Non più prevista la necessità di una pluralità di soci (2328)

Condizioni per la costituzione

che sia sottoscritto per intero il capitale sociale;

-  Il versamento di almeno il 25% dei conferimenti dei soci o, nel caso di spa unipersonale, delloro intero ammontare;

-  che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per lacostituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto.

Stipulazione dell’atto costitutivo 

L’atto costitutivo consta di due documenti 

-   Atto costitutivo in senso stretto, in cui si manifesta la volontà di dare vita ad un rapporto sociale

-  Statuto, nel quale sono consacrate le norme per il funzionamento della società e che, pur secontenuto in un atto separato, si considera parte integrante dell’atto costitutivo 

Forme della stipulazione

-  Stipulazione simultanea o istantanea

-  Mediante comparizione avanti al notaio e redazione dell’atto pubblico.

***

Stipulazione per pubblica sottoscrizione

-   Al termine di una complessa fase di raccolta delle sottoscrizioni (2333-2336):o 

Compilazione programma e suo depositoo   Adesione dei sottoscrittori e versamento dei conferimentio  Convocazione assemblea dei sottoscrittori e deliberazionio  Stipulazione dell’atto costitutivo e successivo deposito 

***

Forma e contenuto atto costitutivo: Contratto o atto unilaterale

-  La spa deve costituirsi per atto pubblico (2328) a pena di nullità (2332). L’a tto

costitutivo deve contenere:o  il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di

costituzione,

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o  il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori, nonché ilnumero delle azioni assegnate a ciascuno di essi;

o  la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le sedi secondarie;o  l'oggetto sociale;o  l'ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato;

il numero e valore nominale azioni, caratteristiche e modalità di emissione ecircolazione;o  il valore attribuito ai crediti e beni conferiti in natura;o  le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti;o  i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori;o  il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri,o  il numero dei componenti il collegio sindacale;o  la nomina dei primi amministratori e sindaci e, quando previsto, la revisione legale dei

conti;o  l'importo globale delle spese per la costituzione poste a carico della società;o  la durata della società ovvero, se la società è costituita a tempo indeterminato, il periodo

di tempo, comunque non superiore ad un anno, decorso il quale il socio potrà recedere.

Iscrizione nel registro delle imprese

La legge pone a carico del notaio (e, in via sussidiaria, a carico degli amministratori)l’obbligo amministrativamente sanzionato di depositare l’atto costitutivo entro 20 gg., presso il Registro Imprese

- o   Allegati:

  i documenti comprovanti l’avvenuto versamento della percentuale deiconferimenti in denaro;

  Relazione giurata di stima dei beni conferiti in natura e dei crediti   Autorizzazioni eventualmente richieste dalla legge

 Attività anteriore alla costituzione-  La SpA esiste giuridicamente solo se iscritta nel registro impreseo  Conseguenze della mancata iscrizione:

  La società non può emettere azioni  La società non può compiere operazioni economiche  Per le operazioni compiute prima dell’iscrizione sono illimitatamente e

solidalmente responsabili coloro che hanno agito, nonché il socio unico (Spaunipers.) e quelli tra i soci che hanno deciso, autorizzato o consentito ilcompimento dell’operazione. 

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La società per azioni: iscrizione nel registro delle imprese e nullità della società

Come si è precedentemente rilevato, per la valida ed efficace costituzione di una S.p.a. è necessaria lastipulazione dell'atto costitutivo.

 Tuttavia la sola stipulazione dell'atto costitutivo non è sufficiente per consentire alla S.p.a. di acquistarela personalità giuridica. A tale fine è necessario porre in essere un adempimento ulteriore: iscrivere lasocietà presso il registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della società.

L’art. 2330 c.c. prevede una procedura alla quale abbiamo già fatto cenno e che può essere sintetizzatacome segue:

-  redazione del contratto sociale (atto costitutivo e statuto);

-  entro 20 gg., il notaio o gli amministratori provvedono al deposito dell’atto costitutivo e dellostatuto presso il registro imprese;

-  il registro delle imprese, verificata la sola regolarità formale delle documentazione, provvede allaiscrizione della società.

È proprio l'iscrizione che fa acquistare personalità giuridica alla S.p.a. (efficacia costitutiva) e rendeopponibile (efficacia dichiarativa) ai terzi il contenuto del contratto sociale.

L’iscrizione ha anche un importante effetto indiretto, poiché incide sulla disciplina della nullitàdella società.

***

Nullità della società per azioni

 Art. 2332 c.c.

“ Avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese  , la nullità  della società può essere pronunciata soltanto  nei seguenti casi:1) mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico ;2) illiceità dell'oggetto sociale ;3) mancanza nell'atto costitutivo   di ogni indicazione riguardante la denominazione   della società, o iconferimenti  , o l'ammontare del capitale sociale  o l' oggetto sociale .La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel registrodelle imprese.I soci non sono liberati dall'obbligo di conferimento  fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali.

La sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori.La nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata  e di tale eliminazioneè stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese.

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Il dispositivo della sentenza che dichiara la nullità deve essere iscritto, a cura degli amministratori o dei liquidatorinominati ai sensi del quarto comma, nel registro delle imprese.” 

N.B.: Nullità della società

-  In caso di invalidità dell’atto costitutivo si applica la disciplina generale dell’invalidità deicontratti (1418 c.c.)

-   A seguito dell’iscrizione nel registro delle imprese la nullità della società può essere dichiaratasolo nei casi tassativi del 2332 c.c.:

o  L’atto costitutivo non è stato redatto per atto pubblico   Illiceità dell’oggetto sociale   Mancanza, nell’atto costitutivo, di ogni indicazione con riferimento a:

  Denominazione, conferimenti, capitale sociale e oggetto sociale

***

Effetti della nullità-   Art. 2332 2° comma

o  la dichiarazione di nullità della società per azionio  «non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel

registro delle imprese» (efficacia ex nunc, e non ex tunc)

-   Art. 2332 3° comma

«i soci non sono liberati dall'obbligo dei conferimenti fino a quando non sonosoddisfatti i creditori sociali», né ovviamente hanno diritto di ripetere i conferimenti giàeseguiti.

o  La nullità della società non tocca attività già svolta ed opera come causa di scioglimentoo  - liquidatori nominati dal tribunale

-   Art. 2332 5° commao  la nullità della società iscritta «non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata

eliminata e di tale eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delleimprese», prima che sia intervenuta la sentenza dichiarativa di nullità.

NB: si tratta di una nullità sanabile !

NB: si tratta fi una nullità pronunciabile solo in ipotesi tassative ! (ovvero, solo nei casi indicatinell’art. 2332 c.c.), mentre l’art. 1418 c.c. prevede anche le c.d. nullità virtuali 

Ma permangono alcuni caratteri “classici” della nullità di diritto comune (i.e. in materia di contratti): 

l'azione di nullità è imprescrittibile (art. 1422 c.c.).

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-  la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata diufficio dal giudice (art. 1421 c.c.)

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Spa unipersonale

- Art. 2328, 1° comma:

a) è consentita la costituzione della società per azioni con atto unilaterale di un unico socio fondatore

b) anche nella società per azioni unipersonale per le obbligazioni sociali di regola risponde solo la

società col proprio patrimonio, salvo alcuni casi eccezionali.

Sia in sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del capitale sociale, l'unico socio è tenuto

a  versare integralmente,  al momento della sottoscrizione, i conferimenti in danaro (e non solo il

 venticinque per cento come previsto per la società pluripersonale).

La violazione di tale disciplina impedisce che operi la regola della responsabilità limitata

dell'unico socio.

Pubblicità:

Per consentire ai terzi di conoscere agevolmente se la società è uni-personale, negli atti e nellacorrispondenza (ma non nella denominazione sociale) della società deve essere indicato se

questa ha un unico socio

-  Nel contempo, per consentire l'agevole identificazione dell'unico socio i dati anagrafici dello

stesso (cognome e nome, data e luogo di nascita, domicilio e cittadinanza) devono essere iscritti

nel registro delle imprese a cura degli amministratori

-   Anche l'omissione di tale pubblicità impedisce che operi per l'unico socio il beneficio della

responsabilità limitata.

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La disciplina dei conferimenti

Cosa sono?

Contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società

Hanno tre funxioni essenziali

-  Funzione: dotare la società del capitale di rischio (funzione produttiva)

-  Funzione vincolistica

-  Funzione organizzativa

La disciplina dei conferimenti è ispirata dalla finalità di:

-  garantire che i conferimenti promessi dai soci vengano effettivamente acquisiti dalla società

-  garantire che il valore assegnato dai soci ai conferimenti sia veritiero

Esiste una disciplina diversa per i conferimenti in danaro (ipotesi normale) e per gli altri conferimenti

***

I conferimenti in danaro

Nella società per azioni, se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente i conferimenti devono

essere effettuati in danaro

-  N.B.: obbligo di versamento immediato presso una banca di almeno il 25% dei conferimenti in

danaro o dell'intero ammontare se si tratta di società unipersonale

Costituita la società, gli amministratori sono liberi di chiedere in ogni momento a soci i versamenti

ancora dovuti.

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Dal titolo azionario devono risultare i versamenti ancora dovuti e in caso di trasferimento delle azioni

l'obbligo di versamento dei conferimenti residui grava sia sul socio attuale (acquirente delle azioni), sia

sull'alienante

La responsabilità dell'alienante è però limitata nel tempo (tre anni) dall’iscrizione del trasferimento nel

libro dei soci ed ha carattere sussidiario

Il socio in mora: effetti

Il socio in mora nei versamenti non può esercitare diritto di voto.

 Art. 2344 in luogo della normale azione giudiziaria per la condanna all’adempimento, la società può

avvalersi di una più celere procedura di vendita coattiva delle azioni del socio moroso

-  la società deve offrire le azioni agli altri soci, in proporzione della loro partecipazione e per un

corrispettivo non inferiore ai conferimenti ancora dovuti.

-  In mancanza di offerte, la società può far vendere le azioni a mezzo di una banca o di un

intermediario autorizzato.

Se la vendita coattiva non ha esito, gli amministratori possono  —   sempre in alternativa allanormale azione giudiziaria  —   escludere il socio dalla società, trattenendo i conferimenti già

 versati e salvo il risarcimento dei maggiori danni.

-  Le azioni del socio escluso entrano a far parte del patrimonio della società e questa può ancora

tentare di rimetterle in circolazione entro l'esercizio, e in caso di esito negativo deve annullare le

azioni rimaste invendute riducendo per ammontare corrispondente il capitale sociale

***

I conferimenti diversi dal danaro

Nelle società per azioni «non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di

servizi»

È tuttavia possibile effettuare

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-  conferimenti in natura

-  conferimento di crediti

tanto se effettuati in sede di costituzione della società quanto se effettuati in sede di aumento del

capitale sociale (art. 2440), devono formare oggetto di uno specifico procedimento di valutazione

regolato dall’art. 2343 (parzialmente modificato dalla riforma del 2003 ed ulteriormente modificato in

tempi più recenti).

Si vuole assicurare una valutazione oggettiva e veritiera di tali conferimenti e soprattutto evitare che agli

stessi venga complessivamente assegnato un valore nominale superiore a quello reale.

Procedimento di valutazione

-  Chi effettua conferimento deve presentare relazione giurata di stima di un esperto designato dal

tribunale nel cui circondario ha sede la società (2343 c.c.) 

-  La stima deve contenere una serie di indicazioni e in particolare deve attestare che

o  «il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della

determinazione del capitale sociale e dell’eventuale soprapprezzo».

La relazione deve essere allegata all’atto costitutivo e, completato il procedimento dicostituzione, deve restare depositata presso l’ufficio del registro delle imprese. 

La verifica della stima

Il valore assegnato dalla relazione di stima ha carattere provvisorio:

-  Entro centottanta giorni dalla costituzione della società, gli amministratori (ma non più anche i

sindaci) devono controllare le valutazioni contenute nella relazione di stima e, se sussistono

fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima

Fino a quando le valutazioni non siano state controllate le azioni corrispondenti sono inalienabili e

devono restare depositate presso la sede della società

Effetti

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Se il valore dei beni o dei crediti conferiti è inferiore di oltre un quinto la società deve ridurre

proporzionalmente il capitale sociale e annullare le azioni che risultano scoperte

Il socio può:

-   versare la differenza in danaro mantenendo inalterato il numero delle azioni sottoscritte

oppure

-  recedere dalla società, con conseguente diritto alla liquidazione del valore attuale delle azioni

sottoscritte con diritto alla restituzione in natura del bene conferito, qualora ciò sia possibile in

tutto o in parte. Il che implica di regola la necessità di conguagli in denaro (a carico della società

oppure del socio, a seconda dei casi) per pareggiare il valore del bene con il valore di

liquidazione della partecipazione.

Per le ragioni sopra esposte, i risultati della revisione devono essere preventivamente comunicati al

socio in modo da consentirgli l’esercizio di tali scelte alternative, nonché per permettergli di impugnare

di fronte all’autorità giudiziaria la revisione operata dagli amministratori fermo restando che, nell’inerzia

del socio, la riduzione della sua partecipazione si produrrà solo con la deliberazione dell’assemblea

straordinaria che riduce il capitale e annulla le azioni rimaste scoperte

L’atto costitutivo può tuttavia prevedere che, intervenuto l’annullamento delle azioni , quelle residue

siano diversamente ripartite fra i soci, nel rispetto del principio che il valore complessivo dei

conferimenti non può essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale (artt. 2346, commi 4o e

5o, e 2343, comma 4o).

Esenzioni

-  Non si fa ricorso al procedimento di stima:

o  per i titoli quotati nel mercato dei capitali (c.d. valori mobiliari, come azioni od

obbligazioni)

o  per gli strumenti quotati nel mercato monetario (titoli di debito pubblico, certificati di

deposito, ecc.), purché il valore del conferimento compreso il sovrapprezzo non superi il

prezzo medio ponderato al quale tali strumenti finanziari sono stati negoziati nei sei

mesi precedenti il conferimento;

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o  quando il valore equo (fair value) del conferimento in natura è ricavabile dal bilancio

approvato di una società soggetta a revisione legale dei conti purché tale bilancio sia

stato approvato da non oltre un anno e la relazione del revisore non esprima rilievi

proprio in ordine alla valutazione dei beni oggetto del conferimento.

o  quando il valore equo dei beni o crediti da conferire risulta da una valutazione di stima,

non anteriore di oltre sei mesi e il conferimento è conforme ai princìpi e criteri di

 valutazione generalmente riconosciuti.

 Anche in questi ultimi due casi, l’esenzione è concessa a condizione che il valore attribuito al

conferimento compreso il sovrapprezzo non superi la valutazione dei beni conferiti risultante dal

precedente bilancio o dalla precedente stima

NB: Gli amministratori possono richiedere che si proceda ad una nuova valutazione del conferimento

in natura, qualora ritengano inattendibile il valore ad esso attribuito:

-  perché fatti eccezionali (ad esempio, una improvvisa mancanza di liquidità del mercato) hanno

sensibilmente modificato il valore degli strumenti finanziari alla data effettiva del conferimento

rispetto al prezzo medio di quotazione dei precedenti sei mesi

-  oppure, perché dopo la data di riferimento del bilancio o della precedente stima sono

intervenuti fatti nuovi che hanno sensibilmente alterato il valore equo dei beni o crediticonferiti;

-  o infine perché l’esperto che ha effettuato la stima non era dotato di adeguati requisiti di

professionalità ed indipendenza (art. 2343-quater).

 Tali accertamenti devono essere espletati entro trenta giorni dall’iscrizione della società

-  se conducono alla contestazione del valore del conferimento, la nuova stima dovrà essere

effettuata secondo la normale procedura di valutazione disciplinata dall’art. 2343, con

conseguente necessità di chiedere la nomina dell’esperto da parte del tribunale.

Se non c’è contestazione 

-  gli amministratori nel medesimo termine iscrivono nel registro delle imprese una dichiarazione

nella quale:

o  descrivono i conferimenti in natura sottratti al procedimento di stima e la loro

 valutazione

danno atto delle circostanze che giustificano l’esenzione 

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o  attestano che il valore dei beni o crediti conferiti è almeno pari a quello loro attribuito ai

fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo 

Fino all’iscrizione di tale dichiarazione le azioni corrispondenti sono inalienabili e devono restare

depositate presso la sede della società

Le regole di organizzazione interna della SpA: statuto e patti parasociali

Come abbiamo anticipato, lo statuto della spa (e, più in generale, delle società) è il documento daredigersi all’inizio dell’attività della società (di regole insieme all’atto costitutivo) in cui i socicristallizzano le regole sull’organizzazione societaria e, in particolare, disciplinano il funzionamentodegli organi societari.

La società, attraverso gli organi  e con le modalità stabilite dalla legge o dallo statuto stesso, può nelcorso della propria esistenza modificare lo statuto. Nel caso delle società per azioni è a tal fine richiesta

la deliberazione dell'organo collegiale che riunisce tutti i soci (i.e. l'assemblea dei soci ).

Le modificazioni dello statuto

Per modificazione dello statuto si intende ogni mutamento del contenuto oggettivo del contrattosociale, rappresentato nei due distinti atti sociali dell'atto costitutivo e dello statuto.

Le modifiche possono consistere nell'inserimento, nella modifica o nella soppressione di determinatoclausole ovvero nella modifica di particolari elementi indicati nell'atto costitutivo o nello statuto (adesempio, oggetto sociale o durata della società).

 Tradizionalmente, quando si parla di modifiche statutarie si suole distinguere tra:

-  modifiche soggettive; e

-  modifiche oggettive.

 Tuttavia, ancorché nell'atto costitutivo della spa sia necessario indicare i nomi dei soci fondatori (si vedal’art. 2328, n. 1, c.c.), il mutamento della compagine societaria non comporta una modifica dell'atto

costitutivo, posto che la partecipazione azionaria si trasferisce con la medesima regola per i titoli dicredito e, comunque, trova applicazione la disciplina del consenso traslativo.

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Per quanto riguarda la disciplina dettata dal c.c. per le modifiche statutarie della spa è necessario tenerepresente come essa riguardi solo le modifiche oggettive, ovvero le modifiche inerenti gli elementi e lecondizioni indicate nell'atto costitutivo e nello statuto, che possono essere relativi all'impresa in sé (ades. trasformazione) o a singoli aspetti dell’organizzazione interna alla spa (struttura organizzativa, regoledi funzionamento, capitale sociale).

Organo competente a deliberare le modificazioni dello statuto

La competenza a modificare l'atto costitutivo o lo statuto spetta all'assemblea dei soci in sedestraordinaria (art. 2365 c.c.). E' peraltro possibile che il contratto sociale conferisca all'organoamministrativo la delega per deliberare direttamente alcune particolari tipologie di modifiche: particolaricasi di fusione, istituzione o soppressione sedi secondarie, aumento del capitale sociale a pagamento,riduzione per recesso del socio e trasferimento sede all'interno del territorio nazionale.

***

Le regole contenute nello statuto della spa sono le uniche regole che possono lecitamente vincolare la condotta dei soci?

No.

Esistono altre “convenzioni” idonee a regolare i rapporti tra i soci in modo difforme o complementarerispetto a quanto previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto delle società (Cass. 23.11.2001, n. 14865)

Si tratta dei c.d. patti parasociali, accordi con la forza di un contratto che:

 valgono solo tra i sottoscrittori (i.e. solo tra i soci che li abbiano sottoscritti);

-  sono ritenuti accessori rispetto al contratto sociale e distinti da questo.

 Art. 2341-bis - Patti parasociali

“I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:  

a)  hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto  nelle società per azioni o nelle società che le controllano;b)  pongono limiti al trasferimento delle relative azioni  o delle partecipazioni in società che le controllano;c)  hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante  su tali società,non possono avere durata superiore a cinque anni  e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno

 previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza .

 Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso dicentottanta giorni.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione onello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo.” 

Tipologie di patti parasociali

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-  sindacato di voto: Patto tra i soci che regola il loro comportamento nelle votazioni in unorgano collegiale della società

-  sindacati di blocco: Patto con cui i soci si impegnano reciprocamente a non vendere le proprieazioni per un certo periodo di tempo o a venderle solo a determinate condizioni

 patti di preventiva consultazione: Gli aderenti devono discutere preventivamentel’orientamento del voto, che rimane comunque libero, s volgendo una funzione formativa.

-  Patti aventi ad oggetto o come effetto l’esercizio anche congiunto di una influenzadominante su una società: l’influenza dominante all’interno di una società è quella posizionein forza della quale uno, due o più soci sono in grado di influenzare in modo determinante lescelte economico e gestionali della società attraverso le detenzioni di partecipazioni congiuntemaggioritarie.

-  Patti relativi alla distribuzione di utili e perdite : i soci aderenti stabiliscono una diversadistribuzione degli utili e delle perdite rispetto a quanto previsto dallo statuto;

-  Patti relativi alle cariche sociali: attraverso i quali i soci determinano le modalità di nomina diamministratori e sindaci della società (c.d. sindacati di gestione);

-  Patti relativi alle azioni: i soci si obbligano a sottoscrivere azioni ed a collocarle sul mercatoconcordando condizioni e tempi (c.d. sindacati di emissione o di collocamento ) 

DURATA

-  Tempo determinato: la scadenza coincide con il giorno dell’assembla che approva il bilancio 

Tempo indeterminato: deve prevedere la possibilità di recedere dal o indicare le ipotesi al cui verificarsi il socio è liberato contratto

Durata massima di 5 anni (art. 2341 bis  c.c.): i patti che hanno per oggetto o per effetto l'esercizioanche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinqueanni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore

***

I patti parasociali nel Tuf

 Art.122 D.lgs. 58/1998 (Patti parasociali)

“1. I patti, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle societàcon azioni quotate e nelle società che le controllano entro cinque giorni dalla stipulazione sono:

a) comunicati alla Consob;

b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana;

c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sua sede legale;

d) comunicati alle società con azioni quotate.

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2. La Consob stabilisce con regolamento le modalità e i contenuti della comunicazione, dell'estratto edella pubblicazione.

3. In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal comma 1 i patti sono nulli.

4. Il diritto di voto inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti

dal comma 1 non può essere esercitato. In caso di inosservanza, si applica l'articolo 14, comma 5. L'impugnazione può essere proposta anche dalla Consob entro il termine indicato nell'articolo 14,comma 6.

5. Il presente articolo si applica anche ai patti, in qualunque forma stipulati:

a) che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l'esercizio del diritto di voto nelle societàcon azioni quotate e nelle società che le controllano;

b) che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o di strumenti finanziari che attribuisconodiritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse;

c) che prevedono l'acquisto delle azioni o degli strumenti finanziari previsti dalla lettera b);

d) aventi per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un' influenza dominante su tali società;

d-bis) volti a favorire o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di un'offerta pubblica di acquisto odi scambio, ivi inclusi gli impegni a non aderire ad un'offerta.

5-bis. Ai patti di cui al presente articolo non si applicano gli articoli 2341-bis e 2341-ter del codice civile.

5-ter. Gli obblighi di comunicazione di cui al comma 1 del presente articolo non si applicano ai patti, inqualunque forma stipulati, aventi ad oggetto partecipazioni complessivamente inferiori alla sogliaindicata all' articolo 120, comma 2.

***

Pubblicità

libertà di forma : nella maggior parte dei casi

MA

nelle società quotate (o società che controllano queste ultime) :  devono essere comunicati alla Consob,

  pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana

  e depositati nel Registro delle Imprese

-  nelle società aperte:

  devono essere comunicati alla società e devono

  essere dichiarati in apertura di ogni assemblea

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***

Efficacia del patto e conseguenze dell’inadempimento: 

I diritti nascenti dai patti parasociali sono soggetti alla prescrizione ordinaria decennale

Il patto non è opponibile:  ai soci non sottoscrittori

  alla società

  ai terzi non sottoscrittori

Inadempimento:

società non subisce conseguenze negative e non si verifica alcuna invalidità degli gli atti da essacompiuti.

Il socio partecipante al patto, che sia inadempiente, può essere chiamato a risarcire i danni derivanti dalsuo inadempimento agli altri aderenti al patto.

Spa e diritto di recesso

Il recesso (e la relativa liquidazione della partecipazione sociale) e le modalità di esercizio del diritto direcesso sono disciplinate, per le s.p.a., dagli artt. 2437 e ss. c.c.

Il diritto di recesso è, sostanzialmente, un diritto al disinvestimento del socio  che vienericonosciuto agli azionisti in presenza di particolari circostanze (ad es. agli azionisti “non consenzienti”,ovvero agli azionisti assenti, dissenzienti o astenuti in una serie di deliberazioni, o all’avverarsi dideterminate cause previste statutariamente, che hanno come comune denominatore quello di alterare inmodo profondo le condizioni di rischio presenti al momento dell’adesione del socio alla società.

Si tratta, dunque di strumento di tutela che può essere attivato in presenza di situazionispecifiche considerate a rischio per il socio in quanto alteranti la struttura, l’oggetto o altri elementidella società in modo rilevante rispetto a quanto previsto in sede di costituzione.

Le cause di recesso

Le principali ipotesi al ricorrere delle quali il socio di una s.p.a. è legittimato a recedere sono previsteall’art. 2437 c.c. 

 Tradizionalmente si suddividono nelle seguenti fattispecie:

-  cause di recesso legali inderogabili;-  cause di recesso legali derogabili;-  cause di recesso statutarie.

Le cause legali inderogabili

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Hanno diritto di recedere i soci che «non hanno concorso alle deliberazioni» in merito a (art. 2437,comma 1, c.c.):

-  modifica dell’oggetto sociale quando consente un cambiamento significativo dell’attività dellasocietà;

-  trasformazione della società;

trasferimento della sede sociale all’estero; -  revoca dello stato di liquidazione;-  eliminazione di una o più cause di recesso derogabili ovvero previste dallo statuto;-  modifica dei criteri di determinazione del valore delle azioni in caso di recesso;-  modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

Cause legali derogabiliLe cause di recesso dispositive, previste per legge ma derogabili statutariamente (art. 2437, comma 2,c.c.): sono:

- la proroga del termine- l’introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari. 

Cause statutarie

L’art. 2437, comma 4, c.c. consente di inserire nello statuto ulteriori cause diverse da quelle sopraesposte; tale facoltà è riservata alle sole società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,in considerazione delle difficoltà che numerosi e facili recessi potrebbero causare in società con unelevato numero di azionisti, quali quelle quotate (aspetto determinante), nonché in funzione di tuteladella stabilità dei mercati e dei terzi che abbiano rapporti giuridici con tali società (inoltre, nelle società

quotate, l’interesse del socio al disinvestimento è tutelato dalla presenza di un mercato regolamentatoche gli consente la cessione dei titoli)

 Altre cause previste dall’ordinamento al di fuori dell’art. 2437 cod. civ. 

Esistono altre ipotesi particolari previste dal codice civile, al ricorrere delle quali il socio puòugualmente esercitare il diritto di recesso, sono:

-  società, non quotate, costituite a tempo indeterminato (art. 2437, comma 3, cod. civ.);-  società quotate che deliberano il delisting della società-  esistenza di clausole di mero gradimento ovvero di limitazione al trasferimento mortis causa

delle azioni (art. 2355-bis);-  società soggette ad attività di direzione e coordinamento ex art. 2497-quater

I soci legittimati al recesso

 Ai sensi dell’art. 2437, comma 1, c.c. i legittimati a recedere sono i «soci che non hanno concorso alledeliberazioni».

Il legislatore conferisce specifico rilievo non solo alla volontà contraria del socio rispetto alla deliberama anche al fatto che lo stesso non abbia partecipato alla formazione della deliberazione (con laconseguenza che sarebbe così legittimato a recedere, oltre al socio dissenziente, anche quello assente,astenuto o che non abbia potuto esercitare il diritto di voto perché non spettante).

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 ***

Modalità e termini per l’esercizio del recesso

Le modalità e i termini del diritto di recesso sono disciplinati dall’art. 2437-bis c.c.

L’esercizio avviene mediante lettera raccomandata (atto unilaterale) che deve contenere: -  le generalità del socio recedente;-  il domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento;-  il numero e la categoria delle azioni per le quali si esercita il recesso.

I termini entro il quale il socio è legittimato a esercitare il recesso differiscono a seconda che tale dirittosia l’effetto di una delibera assembleare o sia causato da un fatto.

In caso di delibera:-  la raccomandata deve essere spedita entro quindici giorni dall’iscrizione della delibera che dà

diritto al recesso nel registro delle imprese;

nel caso in cui il diritto di recesso sorga in considerazione di un mero “fatto”:-  il termine per la comunicazione è di trenta giorni dalla data in cui il socio viene a conoscenza di

detto fatto.

La liquidazione delle azioni

[1] Gli amministratori offrono in opzione le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili, il diritto diopzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio.

[2] L'offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalladeterminazione definitiva del valore di liquidazione. Per l'esercizio del diritto di opzione deveessere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell'offerta.

[3] Coloro che esercitano il diritto di opzione , purché ne facciano contestuale richiesta, hannodiritto di prelazione nell'acquisto delle azioni che siano rimaste non optate.

[4] Qualora i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente, gli amministratori possono collocarle presso terzi; nel caso di azioni quotate in mercati regolamentati, il lorocollocamento avviene mediante offerta nei mercati medesimi.

[5] In caso di mancato collocamento entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso,le azioni del recedente vengono rimborsate mediante acquisto da parte della societàutilizzando riserve disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell'art. 2357. 

[6] In assenza di utili e riserve disponibili, deve essere convocata l'assemblea straordinaria perdeliberare la riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società.

[7] Alla deliberazione di riduzione del capitale sociale si applicano le disposizioni del comma secondo,terzo e quarto dell’art 2445 c.c.; ove l'opposizione sia accolta la società si scioglie.

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***

Determinazione del valore delle azioni (nelle s.p.a. non quotate)

Fulcro centrale del recesso è la determinazione del valore delle azioni del socio recedente. L’art. 2437 -ter, comma 2, stabilisce che nelle s.p.a. non quotate «il valore delle azioni è determinato dagliamministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile,tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonchédell’eventuale valore di mercato delle azioni». 

Gli amministratori, tenuto conto del parere degli organi di controllo, devono quindi valutare le azioni

sulla base di due elementi:-  la consistenza patrimoniale;-  le prospettive reddituali.

Inoltre, gli amministratori possono tener conto dell’eventuale valore di mercato delle azioni.  Tuttavia quest’ultimo elemento, residuale, potrà essere utilizzato in situazioni molto particolari (peresempio, in caso di offerte di acquisto già ricevute), al di fuori delle quali potrebbe anche non essereoggettivamente rilevabile nel momento in cui gli amministratori procedono alla valutazione

Criteri alternativiL’art. 2437-ter, comma 4, prevede che lo statuto possa stabilire anche diversi criteri di stima. In tali casi,

lo statuto deve indicare:-  gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che devono essere rettificati rispetto ai valori

contabili;-  i criteri di rettifica;-  gli altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.

 Azioni e diritti del socio

Nella società per azioni la qualità (o status  ) di socio si acquista per effetto dell’acquisto della

proprietà delle azioni della società.

L’azione è, pertanto, l’elemento tipico utile a distinguere la s.p.a. dagli altri modelli societari

(salvo la s.a.p.a). Il capitale di una s.p.a. si caratterizza, infatti, proprio per il fatto di essere

ripartito in azioni (emesse dalla società).

Nonostante il fatto che sia ormai possibile che non vi sia una “materiale” emis sione di titoli

azionari, la caratteristica tipica della divisione del capitale di s.p.a. in azioni non è mutata nelcorso del tempo: il capitale è così suddiviso un valore nominale diviso in azioni e da esse

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rappresentato (sia che tali azioni esistano materialmente, sia che esse non esistano

materialmente). L’eventuale non emissione delle azioni, come si dirà, incide esclusivamente

sulle modalità di trasferimento delle azioni.

***

L’azione è quindi definibile come un titolo di partecipazione, in quanto at tribuisce la qualità

di socio e, di conseguenza, la titolarità della situazioni giuridiche attive e passive ad essa

collegate, mutuando poi dalla disciplina dei titoli di credito –  oggetto di successive lezioni –  la

propria legge di circolazione.

In questo senso, l’azione si identifica nel concetto di “partecipazione sociale”. Attraverso le azioni si determina la misura della partecipazione di ciascun socio alla

società. Tale rapporto è retto dalle seguenti regole:

1.  a ciascuna azione corrisponde un determinato valore nominale. Esso può

essere indicato o meno sull’azione. Nel caso di indicazione, il valore nominale è sempre

uguale e non possono essere emesse azioni per un valore nominale differente. Nel caso

di mancata indicazione, invece, le azioni avranno comunque un valore nominale, ma

esso, anziché leggersi sull’azione, si desume, dato un determinato ammontare delcapitale sociale, in base al rapporto tra il numero delle azioni possedute ed il totale di

quelle emesse;

2.  ciascun socio ha diritto ad un numero di azioni proporzionale al

conferimento sottoscritto. Tale regola, tuttavia, essenziale prima della riforma del 2003,

non è più tale oggi, cosicché è possibile vi sia una diversa attribuzione delle azioni non

proporzionale. Resta fermo però che, anche in caso di attribuzione delle azioni nonproporzionale al conferimento “il valore dei conferimenti non può essere

complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale” (art. 2346, co. 5,

c.c.)

3.  le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti. E’ possibile tuttavia la

creazione di particolari categorie di azioni con diritti parzialmente diversi, ad es. circa la

partecipazione del socio alle perdite. Resta però fermo che le azioni della medesima

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categoria non possono attribuire diritti differenti. (si parla quindi oggi di “uguaglianza

relativa”). 

4.  le azioni sono indivisibili. In caso di comproprietà i diritti ed asse afferenti

sono esercitati da un rappresentante comune e i comproprietari sono solidalmente

responsabili per le obbligazioni derivanti dalla titolarità dell’azione. 

***

Sotto altro angolo visuale, l’azione può essere anche descritta come documento che incorpora

tale partecipazione (titolo di credito nominativo).

L’art. 2354  c.c. provvede ad individuare specificamente cosa deve essere indicato sul

certificato azionario:

a. la denominazione e la sede della società;

b.  la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione nonché l’ufficio del registro

delle imprese presso cui la società è iscritta;

c. il valore nominale o, in mancanza, l’ammontare del capitale e il numero complessivo

di azioni emesse. (la mancata indicazione snellisce peraltro talune procedure,

consentendo ad es. in caso di operazioni sul capitale di non intervenire sui titoli emessi

e di non doverne emettere di nuovi);

d. 

l’ammontare dei versamenti parziali per le azioni non integralmente liberate; 

e. i diritti e gli obblighi particolari inerenti l’azione; 

f. l’indicazione di eventuali limitazioni alla circolazione delle azioni; 

g.  la sottoscrizione, anche meccanica, di uno degli amministratori.

***

Si è detto che collegata al concetto di azione è quello di titolo di credito, pur non potendo

operarsi una netta assimilazione tra i due. Un punto di contatto lo si ritrova certamente con

riguardo alla distinzione delle

azioni in nominative e azioni al portatore.

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L’art. 2354 c.c. prevede che, a scelta del socio, le azioni possano per l‘appunto essere

emesse in una delle due “modalità”. 

Rinviando allo studio dei titoli di credito va precisato allora che la distinzione di rivela

soprattutto con riferimento al regime di circolazione applicabile nelle due diverse ipotesi. A

parte ciò, è evidente che le azioni nominative, proprio perché tali non possono essere

anonime, consentendo dunque tanto alla società quanto agli altri soci di conoscere

l’allocazione delle quote di capitale. Anche in ragione di tale conclusione, e, quindi, della

maggiore tutela che realizza il regime di nominatività, nel tempo si è imposta tale soluzione.

Oggi, infatti, leggi speciali impongono il regime di nominatività obbligatoria,

residuando la possibilità di emettere azioni al portatore per le sole azioni di

risparmio.

Quanto poi alla legge di circolazione, mentre le azioni al portatore, ove consentite, si

trasferiscono mediante il semplice possesso, le azioni nominative, che pure si trasferiscono

con il semplice consenso, sono cedute mediante la girata, dovendosi poi iscrivere il

trasferimento nel libro dei soci al fine di renderlo opponibile alla società: il giratariopossessore del titolo in base ad una serie continua di girate ha diritto ad esercitare i diritti

collegati alla partecipazione sociale. Nel solo caso di azioni nominative  –   e di titoli

dematerializzati come vedremo a breve  –  lo statuto può prevedere che il trasferimento delle

azioni sia vietato per il termine massimo di cinque anni dalla costituzione della società.

***

 Accanto ai titoli nominativi o al portatore vanno poi considerati i cd. titoli dematerializzati.

E’ possibile infatti che la società non emetta alcun titolo, svincolando così   la circolazione

della partecipazione sociale dal trasferimento del titolo cartolare. L’azione, quindi, circola

mediante annotazioni su appositi registri dai quali, quindi, è possibile desumere la sua

titolarità. L’esigenza di dematerializzare il titolo si realizza infatti in particolar modo quando

le azioni di una determinata società sono frequentemente cedute, cosicché la mancanza deltitolo rende tale trasferimento più agevole. Questo accade ad es. nel caso in cui la cessione

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delle azioni non avvenga mediante rapporto diretto tra venditore e acquirente, ma mediante

l’intervento di un intermediario che cura la vendita di un più ampio complesso azionario. E’ il

caso della cd. gestione accentrata dei titoli, una volta riservata alla Monte titoli s.p.a. di

proprietà della Banca d’Italia, di seguito consentita anche ad altre società di gestione che

rispettino determinati requisiti (capitale mimino, onorabilità…..) sottoposti alla verifica della

Consob.

***

Sotto il profilo della finzione organizzativa e vincolistica (sulla quale si tornerà con riferimento alladisciplina del capitale delle spa), Le azioni sono:

»  di identico ammontare»

  attribuiscono identici diritti

>> distinte e autonome anche quando sono in mano alla stessa persona»  indivisibili

>> se intestate a più persone --> rappresentante comune

»  circolano similarmente ai titoli i credito nominativi

Il valore delle azioni.

Le azioni rappresentano un’identica frazione del capitale sociale nominale [identico ammontare] 

Le azioni possono essere:

a.  con valore nominaleSono insensibili alle variazioni patrimoniali della società.

Il valore può essere modificato solo a causa di modificazione dell’atto costitutivo con unfrazionamento o raggruppamento di azioni che va a modificare il valore nominale

b.  senza valore nominalelo statuto indica solo capitale sociale e numero di azioni.

La partecipazione sarà espressa non in numero d’azioni ma in una % del numero di azioni emesse. 

Le azioni possono assumere vari valori:

 Valore d’emissione 

In nessun caso il valore complessivo dei conferimenti può essere inferiore all’ammontare delcapitale sociale. Le azioni possono essere emesse al loro valore nominale rappresentato dal rapportotra il capitale sociale e il numero delle azioni emesse

 Valore di bilancio 

Rappresentato dal rapporto tra il patrimonio netto e il numero delle azioni emesse

 Valore di mercato

Equivalente prezzo di scambio delle azioni o dal valore di quotazione se la società sia quotata

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***

Diritti del socio di spa

Ogni azione costituisce una partecipazione sociale e attribuisce diritti:

»  amministrativi (es. diritto di intervento e di voto in assemblea, di impugnazionedelibere)

»  Di natura patrimoniale (es. diritto agli utili e quota di liquidazione)»

  Di natura patrimoniale e amministrativa insieme (es. diritto di opzione)

 Art. 2348: le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti. 

 Tale uguaglianza può essere:

»  Relativa: si possono creare categorie di azioni fornite da diritti diversi .»  Oggettiva: si hanno alcuni diritti indipendentemente dal numero di azioni possedute ma

per il solo fatto di essere azionisti (diritto di partecipazione all’assemblea). »  Disuguaglianza soggettiva: una quota di partecipazione più ampia attribuisce al

possessore di tale quota maggiori diritti e in particolare capacità di controlloCategorie di azioni

Le azioni non possono essere emesse per una somma inferiore al loro valore nominale, al fine di evitareche il capitale sociale sia soltanto apparente, e devono indicare:

 –  la denominazione, la sede e la durata della società; –  la data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione;  –  il loro valore nominale e l’ammontare del capitale sociale;  –  i diritti e gli obblighi particolari ad esse inerenti; –  la sottoscrizione di uno degli amministratori.

L’azione attesta la qualità di socio e pertanto ha: –

 una funzione di legittimazione, in quanto chi la possiede può esercitare i diritti di socio;

 –  una funzione di trasferimento, in quanto chi trasmette il documento trasferisce la qualitàdi socio

Quanto al valore dell’azione, possiamo distinguere:  –  un valore nominale, corrispondente alla parte di capitale sociale che essa rappresenta; –  un valore effettivo (o valore di borsa, per le azioni quotate), che consiste invece nel

 valore di mercato dell’azione. 

Caratteri essenziali delle azioni•  Devono essere di eguale valore (2348, co 1)

 –  Regola generale è che le azioni conferiscono uguali diritti ai loro possessori

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•  Come vedremo, è ora possibile creare categorie diverse di azioni, ma le azionidella stessa categoria devono conferire uguali diritti

Caratteri essenziali delle azioni

•  Sono indivisibili (2347) –  Nel caso di comproprietà: rappresentante comune secondo le modalità previste dagli

articoli 1105 e 1106. –  Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni

fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. –  I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa

derivanti –  Caratteri essenziali delle azioni

• 

Possono essere emesse senza l’indicazione del valore nominale –  Il valore nominale è il risultato della divisione del capitale sociale per il numero delle

azioni. La funzione è quella di rappresentare in termini numerici ed assoluti la parte dicapitale rappresentata da ogni azione.

•  con l’indicazione del valore nominale (impresso sull’azione)•  senza indicazione del valore nominale: il valore è sempre quello che deriva dalla

divisione del capitale sociale per il numero delle azioni emesse ma non èimpresso sull’azione ed è rappresentato da una percentuale (ciò consente di faread es. operazioni come l’aumento gratuito, realizzando un aumento del capitalesenza variare il numero delle azioni)

Categorie di azioni

•  L’ordinamento concede all’autonomia contrattuale dei soci di società per azioni di diversificarele proprie posizioni all’interno della società mediante la creazione statutaria di categorie specialidi azioni ex art. 2348 c.c.

 –  «l’obiettivo di ampliare gli strumenti disponibili alle società per attingere a fonti difinanziamento» .

 –  anche essere create per «realizzare e comporre delicati equilibri contrattuali» –  per «introdurre nello statuto organizzativo della società ‘misure antiscalata’».

Il codice civile prevede la possibilità di emettere diverse categorie di azioni, le più importanti sono: –  le azioni ordinarie (sono quelle che attribuiscono i diritti visti prima);

 –  le azioni privilegiate (prevedono utili maggiori, precedenza nella distruzione degli utili) ;

 –  le azioni senza diritto di voto o con voto limitato (non possono superare la metà delcapitale sociale );

 –  le azioni di risparmio (emesse solo dalle società quotate, sono senza diritto di voto edhanno dei privilegi previsti nello statuto) ;

 –  le azioni con prestazioni accessorie (prevedono attività aggiuntive come prestazioni dilavoro);

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  –  azioni a favore di prestatori di lavoro (assegnate ai prestatori di lavoro in sostituzione di

aumenti salariali).

***

Dove sono disciplinate?

•   Talvolta le categorie speciali di azioni sono già definite e disciplinate dal legislatore. –  azioni di risparmio di cui agli artt. 145 ss. t.u.f. , –  alle azioni privilegiate di cui all’art. 2350, 1° co., c.c., –  alle azioni postergate di cui al 2° co. dell’art. 2348 c.c., –  alle azioni correlate di cui al 2° co. dell’art. 2350 c.c., –  alle azioni, anche non privilegiate, senza diritto di voto, con diritto di voto limitato a

particolari argomenti o con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolaricondizioni non meramente potestative di cui al 2° co. dell’art. 2351 c.c.

 – 

alle azioni riscattabili ex art. 2437 sexies c.c. .

O «dove» non lo sono

•  La disciplina in tema di categorie di azioni così come modificata dalla riforma del 2003 sicaratterizza per l’affermazione del principio dell’atipicità delle categorie azionarie: il 2° co.dell’art. 2348 c.c. rappresentando «il primo e fondamentale ‘pilastro’ sul quale l’autonomiastatutaria è chiamata ad edificare la nuova struttura finanziaria delle società per azioni»

 Azioni di risparmio D.lgs. n.58/1998 artt. 145-147•  possono essere emesse solo dalle società quotate•  non danno diritto al voto ma possono partecipare all'assemblea ordinaria•  sono dotate di particolari privilegi di natura patrimoniale stabiliti nell'atto costitutivo•  gli azionisti di risparmio hanno una loro assemblea speciale dove nominano un rappresentante

comune –  il rappresentante comune ha gli stessi poteri e obblighi del rappresentante degli

obbligazionisti ex art. 2418 c.c.•  possono essere al portatore, ma solo se interamente liberate, mentre

 –  Se appartenenti agli amministratori, ai sindaci e ai direttori generali devono essere

nominative•  è possibile attribuirgli il diritto di opzione anche su una diversa categoria di azioni

 Azioni di godimento art. 2353 c.c.•  Le azioni di godimento sono azioni che vengono assegnate ai soci ai quali sono state rimborsate

le proprie azioni –  (ad esempio perché è stato ridotto il capitale sociale in quanto esuberante rispetto al

conseguimento dell’oggetto della società) •   Ai soci, le cui azioni sono state rimborsate, possono essere assegnate delle azioni di godimento

che attribuiscono al possessore il diritto a partecipare al riparto degli utili dopo che alle azioniordinarie è stato assegnato un dividendo pari all’interesse legale. In caso di scioglimento della

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società, danno diritto a partecipare al riparto del patrimonio, dopo che le altre azioni sono stateintegralmente rimborsate.

•  Queste azioni, dunque, non rappresentano quote del capitale sociale dell’impresa e attribuisconodei diritti ai loro possessori, sono dopo che sono stati soddisfatti quelli dei possessori delle altrecategorie di azioni.

 Azioni con prestazioni accessorieart. 2345 c.c.

•  la prestazione accessoria non deve consistere in denaro•  l'atto costitutivo deve determinare il contenuto la durata le modalità ed il compenso•  le azioni non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori

 Azioni riscattabili 2437 sexies c.c.•  Si tratta di azioni che, se alienate, possono essere riscattate dalla società o dai singoli soci.•  Ne parliamo in questa sede per comodità espositiva, perché non si tratta di una vera e propria

categoria di azioni. –  Il diritto di riscatto, infatti, può essere attribuito a una qualsiasi categoria di azioni, come

ci conferma lo stesso articolo 2437 sexies.•  Queste azioni si sono rivelate di particolare utilità in particolari circostanze, come quelle in cui la

partecipazione del socio si spiega alla luce di rapporti extrasociali, per esempio di lavoro o difornitura.

•  Si è precisato in proposito, al fine di tutelare il capitale sociale, che il loro valore di riscatto èdeterminato secondo i criteri previsti per l'ipotesi di recesso e che resta salva l'applicazione delladisciplina dell'acquisto di azioni proprie.

 Azioni postergate 2348 c.c.•  La nuova formulazione dell'art. 2348 c.c. ha riconosciuto la possibilità delle c.d. azioni

postergate. –  Si tratta di azioni che si caratterizzano per la diversa incidenza nei confronti delle

perdite. – 

Si può stabilire, infatti, che le perdite incideranno su questo tipo di azioni solo dopo cheabbiano inciso sulle altre categorie di azioni. –  Le azioni postergate si sono rivelate strumento utile per il finanziamento dell'impresa

sociale, specialmente nell'ambito di processi di ristrutturazione e tentativi disuperamento di situazioni di crisi.

 Azioni correlate 2350 co 2•  azioni che forniscono diritti correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore,

 – 

come, ad esempio, nel caso di una società che si occupi della produzione di vestiti abbiaun settore dedicato all'alta moda; queste possono risultare un ulteriore strumento, oltre a

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quelli previsti con i patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui all'art. 2447 bis, peraccedere a finanziamenti finalizzati.

•  Nello statuto si stabiliscono i criteri di individuazione di costi e ricavi imputabili al settore, oltreai diritti da attribuire a tali azioni e le eventuali condizioni e modalità per la conversione diqueste azioni in altre di una diversa categoria

 Si è poi precisato, all'ultimo comma dell'art. 2350, che non possono essere pagati dividendi aipossessori di tali azioni se non nei limiti del degli utili risultanti dal bilancio della società.

 Azioni ai prestatori di lavoro 2349•   Azioni e strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro

 –  Se lo statuto lo prevede, l'assemblea straordinaria può deliberare l'assegnazione di utili aiprestatori di lavoro dipendenti dalla società o di società controllate mediante l'emissione,per un ammontare corrispondente agli utili stessi, di speciali categorie di azioni daassegnare individualmente ai prestatori di lavoro, con norme particolari riguardo allaforma, al modo di trasferimento ed ai diritti spettanti agli azionisti. Il capitale sociale

deve essere aumentato in misura corrispondente. –  L'assemblea straordinaria può altresì deliberare l'assegnazione ai prestatori di lavoro

dipendenti della società o di società controllate di strumenti finanziari, diversi dalleazioni, forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il votonell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso possono essere previste normeparticolari riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti, alla possibilità ditrasferimento ed alle eventuali cause di decadenza o riscatto (c. 23514 , 25255).

 Azioni a voto limitato 2351•  Ormai sappiamo che ogni azione attribuisce il diritto di voto.

 – 

Ma lo statuto può prevedere la creazione•  di azioni senza diritto di voto,•  con diritto di voto limitato a particolari argomenti, c•  on diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non

meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamentesuperare la metà del capitale sociale (c. 23695).

 –  Limiti•  Non possono emettersi azioni a voto plurimo.•  Le azioni a voto limitato non possono complessivamente superare la metà del

capitale sociale – 

In più•  Gli strumenti finanziari (2346 e 2349, secondo comma) possono essere dotati

del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare puòessere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di uncomponente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio disorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si applicano lemedesime norme previste per gli altri componenti dell'organo cui partecipano

Capitale e patrimonio

Capitale sociale

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•  Secondo l’art. 2247 del codice civile, per la costituzione di una società, è necessario che i socidestinino alcuni beni per lo svolgimento dell’attività sociale;

•  tali beni (i conferimenti) costituiscono quindi le prestazioni che i soci si impegno a eseguire erappresentano i beni messi a disposizione della società per l’avvio delle attività.

• 

Sono la dotazione iniziale della società che viene comunemente definita “capitale sociale”.

Il capitale sociale è:

 –  un valore numerico fisso, che può essere modificato durante la vita della società solocon particolari procedure assembleari;

 –  indicato negli atti costitutivi delle società

 –  conoscibile dai soggetti che entrano a contatto con la società stessa (clienti, fornitori,terzi).

Funzione del capitale sociale

•  “ vincolistica”, posto che i soci si sono impegnati, con il conferimento, a porre a disposizionedella società, un insieme di beni o di somme di denaro pari al valore del capitale sociale, a

prescindere dalle vicende sociali, ed in anche in assenza di debiti.•  “organizzativa”; per comprendere –   la questione, naturalmente, presenta numerosi profili di

complessità  –   se la società abbia, durante un dato periodo, conseguito utili o perdite, èindispensabile partire dall’ammontare del capitale sociale.

 –  La società, infatti, ha conseguito utili se dal bilancio risulta che i ricavi hanno superato le perdite, allequali va sommato il capitale sociale. 

 –  Nel bilancio, infatti, il capitale sociale è iscritto tra le perdite, così che per accertarel’eventuale presenza di utili (ossia, di ricavi che possono essere distribuiti) è necessariosommare il capitale sociale alle perdite, e sottrarre tale importo ai ricavi.

Requisiti minimi di capitale

•  120.000,00 per il capitale delle società per azioni

•  10.000,00 per la società a responsabilità limitata

•  non sono previsti minimi per le società di persone

•  normative speciali fissano limiti di capitale minimi per determinate attività (ad esempio, per lesim:, è stabilito, a seconda dei servizi prestati in euro 120.000,00 o 385.000,00 o in 1.000.000,00)

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***

Patrimonio sociale

 L’insieme delle attività e passività delle società e, più in generale, il complesso di tutte lesituazione giuridiche attive e passive che alla società fanno capo;

•  del patrimonio sociale, quindi, fanno parte certamente i crediti, ma anche i debiti della società.

Inizialmente patrimonio sociale e capitale sociale coincidono, perché all’inizio l’insieme dei

conferimenti –  ossia il capitale sociale –  è l’unico patrimonio di cui dispone la società;

Successivamente mentre il capitale rimane fisso, il patrimonio sociale muta, in aumento –  se visono ricavi –  o in diminuzione (se vi sono perdite).

Si definisce “patrimonio netto”, invece, la differenza tra attività e passività.

***

Le riserve

• 

I fondi di riserva o riserve «sono quelle immobilizzazioni di utili imposti dalla legge, dallo statuto oppuredall'assemblea per assicurare la stabilità del capitale sociale di fronte alle oscillazioni dei singoli esercizi e perdotare la società di nuovi mezzi finanziari in funzione dei suoi prevedibili sviluppi » (Ferri).

Le riserve. Tipologie

•  Legali

•  Facoltative o straordinarie

•  Statutarie

•  (riserve da sovrapprezzo di azioni)

2430. Riserva legale

•  Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesimaparte di essi per costituire una riserva, fino a che questa non abbia raggiunto il quinto delcapitale sociale.

•  La riserva deve essere reintegrata a norma del comma precedente se viene diminuita perqualsiasi ragione.

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2431. Soprapprezzo delle azioni

•  Le somme percepite dalla società per l'emissione di azioni ad un prezzo superiore al loro valorenominale, ivi comprese quelle derivate dalla conversione di obbligazioni, non possono essere

distribuite fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite stabilito dall'articolo 2430.

Modificazioni del capitale sociale

•  Costituiscono modificazioni dell’atto costitutivo. Le modifiche possono essere

 –  Reali:

•   Aumento a pagamento (nuovi conferimenti)

•  Riduzione per esuberanza (rimborso ai soci)

 –  Nominali:

•   Aumento gratuito (utilizzando valori già esistenti nel patrimonio)

•  Riduzione per perdite (adeguamento della cifra del capitale sociale nominaleall’attuale minor valore del capitale reale) 

 Aumento di capitale•   A pagamento

 –  Conferimento di nuove attività da parte dei vecchi soci o dei terzi

•  Gratuito

 –   Trasferimento di riserve o altri fondi iscritti a bilancio (ove disponibili)

2438. Aumento di capitale a pagamento

•  Nuovi conferimenti

•  Un aumento di capitale non può essere eseguito fino a che le azioni precedentemente emessenon siano interamente liberate

•  In caso di violazione gli amministratori sono solidalmente responsabili per i danni arrecati aisoci ed ai terzi.

2442. Passaggio di riserve a capitale

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•  L'assemblea può aumentare il capitale, imputando a capitale le riserve e gli altri fondi iscritti inbilancio in quanto disponibili.

•  In questo caso le azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche di quelle incircolazione, e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da

essi già possedute.•  L'aumento di capitale può attuarsi anche mediante aumento del valore nominale delle azioni in

circolazione

2441. Diritto di opzione

•  Le azioni di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte inopzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute.

•  Se vi sono obbligazioni convertibili il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, inconcorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio.

•  L'offerta di opzione deve essere depositata presso l'ufficio del registro delle imprese. Salvoquanto previsto dalle leggi speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati,per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trentagiorni dalla pubblicazione dell'offerta.

Riduzione del capitale sociale

•  Riduzione reale:

 –  si decide di ridurre il capitale indipendentemente dall'esistenza di perdite. Normalmentesi avrà questa riduzione quando il capitale è ritenuto esuberante per il conseguimentodell'oggetto sociale. La riduzione è facoltativa  

•  Riduzione del capitale per perdite (o nominale):

 –  quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite. Lariduzione è obbligatoria  

Gli effetti delle perdite

•  La presenza di perdite produce comunque due effetti:

 –  Impedisce la distribuzione di utili fino a che il capitale non è reintegrato o ridotto;

 –  Se la perdita è superiore ad un terzo non è possibile aumentare il capitale se non previariduzione dello stesso.

La riduzione per perdite

• 

Perdite sotto il terzo del capitale:

 –  riduzione facoltativa;

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•  Perdite oltre il terzo, ma senza intaccare il minimo legale:

 –  Gli amministratori devono ex 2446 attivarsi: convocando l’assemblea perché prendaprovvedimenti e stilando una relazione sulla situazione patrimoniale: non c’è obbligo didiminuzione, ma se le perdite non rientrano entro l’esercizio successivo la riduzione del

capitale diventa obbligatoria

La riduzione per perdite

•  Perdite oltre il terzo e sotto il minimo del legale:

 –  Riduzione obbligatoria e successivo aumento.

•  Perdita dell’intero capitale: 

 –  Riduzione obbligatorie (i.e. si azzera il capitale e si esegue successivo aumento)

•  Perdite superiori al capitale:

 –  Successivi aumenti e riduzioni fino a ristabilire il minimo legale; oppure

 –   Versamenti a fondo perduto

Le obbligazioni 

 Abbiamo analizzato la spa e le azioni che rappresentano il capitale di tale modello societario.

 Tuttavia, la società può emettere, oltre alle azioni (e alle varie categorie di azioni che abbiamoanalizzato) altri strumenti finanziari. La categoria “strumenti finanziari” rappresenta un genus che èandato ampliandosi nel corso del tempo e che oggi ricomprende le azioni stesse, le obbligazioni e glialtri titoli “atipici”. 

 Tipizzazione dei titoli = i titoli vengono predefiniti dalla legge a garanzia dei risparmiatori

Liberalizzazione (atipicità dei titoli) = i titoli vengono determinati liberamente dalle società secondo leloro necessità: metodo statunitense ampiamente imitato dalla riforma italiana del 2003.

Capitale sociale: azioni. Esse sono distribuite ai soci in modo proporzionale al conferimento, salvoderoghe.

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 Azione (quota ideale o titolo)  = frazione minima del capitale sociale che occorre sottoscrivere oacquistare per diventare socio. Misura la partecipazione di ogni socio alla società (art. 2346 c.1), èindivisibile (art. 2347) e può avere un valore nominale se indicato nell’atto costitutivo (art. 2346 c. 2,3);può essere materialmente rappresentata da un titolo nelle società che non fanno ricorso al mercato delcapitale di rischio (art.. 2346 c.1) per le quali è stata attuata la dematerializzazione dal dlgs 213/1998.

Società non quotate in Borsa: possibile distribuzione di certificati = titoli di credito

Società quotate in Borsa o non quotate ma con azioni diffuse tra il pubblico in modo rilevante: dematerializzazione. Le azioni in questo caso sono quote ideali  non rappresentate da titoli di credito (d.lgs.213/1998).

Le obbligazioni

Quote ideali di un mutuo contratto dalla società con gli obbligazionisti (coloro che acquistano leobbligazioni emesse dalla società e ne diventano creditori.

Per l’esercizio dell’attività d’impresa la società può procurarsi i mezzi finanziari oltre che con iconferimenti, mediante cioè il capitale di rischio, anche mediante il ricorso al credito.

 Attraverso l’emissione di obbligazioni la società accede al finanziamento esterno.

L’emissione di obbligazioni è tradizionalmente consentita alle società per azioni e alle società inaccomandita per azioni. Con la riforma del 2003 si è poi prevista la possibilità anche per la società aresponsabilità limitata di emettere titoli di debito, con funzione simile alle obbligazioni.

Chi sottoscrive un’obbligazione corrisponde una somma alla società e questa si impegna a restituirgliela,normalmente maggiorata di interessi, a una data scadenza.

Diversamente dalle azioni, il cui rendimento è legato alle sorti dell’impresa, le obbligazioni, cheevidentemente non attribuiscono la qualità di socio, costituiscono dunque un credito certo.

-  (tuttavia l’art. 2411 c.c. ammette la possibilità di postergare il rimborso delleobbligazioni ad latri crediti, nonché il collegamento del rendimento delle stesseall’andamento dell’impresa).

Per evitare squilibri tra il capitale di rischio e il “capitale” ottenuto sotto forma di prestitoobbligazionario l’art. 2412 c.c. dispone che:

“La società può emettere obbligazioni  al portatore o nominative per somma complessivamente non eccedenteil doppio del capitale sociale  , della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancioapprovato. I sindaci attestano il rispetto del suddetto limite”.

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 Tale limite deve rimanere inalterato per tutta la durata dell’operazione. E’ fatta salva la possibilità diridurre il capitale in caso di perdite, salvo l’obbligo in tal caso di vincolare gli utili futuri al reintegro delcapitale e delle riserve fino alla meta dell’ammontare delle obbligazioni.

 Tale limite è superabile quando:

-  le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitoriprofessionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successivacircolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società neiconfronti degli acquirenti che non siano investitori professionali.

-  l'emissione di obbligazioni sia garantita da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà dellasocietà, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi.

-  l'emissione di obbligazioni è effettuata da società con azioni quotate in mercati regolamentati.

ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale.

Si dispone altresì, anche a seguito degli scandali finanziari che hanno interessato il nostro paese, che talidisposizioni si applicano anche alle obbligazioni emesse all'estero da società italiane ovvero da lorocontrollate o controllanti, se negoziate nello Stato, nei limiti stabili con regolamento del Ministrodell'economia e delle finanze e del Ministro della giustizia, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3,della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta della Commissione nazionale per le società e la borsa; inquesto caso la negoziazione ad opera di investitori professionali nei confronti di soggetti diversi deve, apena di nullità, avvenire mediante consegna di un prospetto informativo contenente le informazioni

stabilite dalla Commissione nazionale per le società e la borsa, anche quando la vendita avvenga surichiesta dell'acquirente.

***

Natura giuridica delle obbligazioni

Si tratta di titoli di credito, di massa, emessi in serie, caratterizzati da una letteralità incompleta, integrata

dalla delibera che ne ha disposto l’emissione. Possono essere:-  nominative; o

-  al portatore (e circolano quindi secondo il relativo regime) e devono indicare:

o  1) la denominazione, l'oggetto e la sede della società, con l'indicazionedell'ufficio del registro delle imprese presso il quale la società è iscritta;

o  2) il capitale sociale e le riserve esistenti al momento dell'emissione;

o  3) la data della deliberazione di emissione e della sua iscrizione nel registro;

4) l'ammontare complessivo dell'emissione, il valore nominale di ciascuntitolo, i diritti con essi attribuiti, il rendimento o i criteri per la suadeterminazione e il modo di pagamento e di rimborso, l'eventuale

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subordinazione dei diritti degli obbligazionisti a quelli di altri creditori dellasocietà;

o  5) le eventuali garanzie da cui sono assistite.

o  6) la data di rimborso del prestito e gli estremi dell’eventuale prospetto

informativo.

o  In caso di obbligazioni nominative devono indicarsi anche le generalità deltitolare.

L’emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori, e deve risultare da un verbale redattoinnanzi ad un notaio da depositarsi per l’iscrizione presso il registro delle imprese. In tale delibera sideve inoltre indicare anche la data del termine dell’operazione di rimborso delle obbligazioni emesse.

***

Gli obbligazionisti:

Gli obbligazionisti possono dotarsi di due organi rappresentativi:

-  l’assemblea; e

-  il rappresentante comune.

 Ai sensi dell’art. 2415 c.c. l’assemblea delibera:

sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune;-  sulle modificazioni delle condizioni del prestito;

-  sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato;

-  sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessie sul rendiconto relativo;

-  sugli altri oggetti d'interesse comune degli obbligazionisti.

Per la modifica delle condizioni di emissione delle obbligazioni è necessario, anche in secondaconvocazione, il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentano almeno la metà degliobbligazionisti.

 Ai sensi dell’art. 2418 c.c. il rappresentante comune deve:

-  provvedere all'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea degli obbligazionisti;

-  tutelare gli interessi comuni di questi nei rapporti con la società e assistere alleoperazioni di sorteggio delle obbligazioni.

-  assistere all'assemblea dei soci.

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Inoltre, per la tutela degli interessi comuni degli obbligazionisti il rappresentate ha la rappresentanzaprocessuale.

***

Le obbligazioni convertibili

-  attribuiscono al loro possessore il diritto di scegliere, in luogo del rimborso, lasottoscrizione di azioni della società o di altra da questa indicata.

-  Ne può essere deliberata l’emissione solo in caso di capitale sociale interamente versato e, a tutela dell’effettiva possibilità di conversione, l’art. 2420 bis c.c. dispone

che la società deve deliberare l'aumento del capitale sociale per un ammontarecorrispondente alle azioni da attribuire in conversione.

-  Inoltre, fino a quando non siano scaduti i termini fissati per la conversione, lasocietà non può deliberare né la riduzione volontaria del capitale sociale, né lamodificazione delle disposizioni dello statuto concernenti la ripartizione degli utili,salvo che ai possessori di obbligazioni convertibili sia stata data la facoltà, medianteavviso depositato presso l'ufficio del registro delle imprese almeno novanta giorniprima della convocazione dell'assemblea di esercitare il diritto di conversione neltermine di trenta giorni dalla pubblicazione.

***

Strumenti finanziari partecipativi

Sono previsti dall’art. 2346 c.c.. Si tratta di strumenti forniti di diritti patrimoniali o anche di d irittiamministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.

Lo statuto della società disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, lesanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.

I contratti bancari

Il codice civile detta una disciplina di alcuni tipi contrattuali diffusi nella prassi (artt. 1834-1860 c.c.),

qualificati come contratti bancari e nei quali immancabilmente uno dei contraenti viene indicato come

«banca».

 Tipici contratti d’impresa, stipulati dall’imprenditore per lo svolgimento dell’attività economica; di qui

un’esigenza di uniformità e standarizzazione. 

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La scarna disciplina codicistica è stata nel tempo, in un primo momento, integrata attraverso numerosi

modelli standardizzati di contratti predisposti dall’A.B.I. (Associazione Bancaria Italiana), mediante

l’elaborazione di schemi contrattuali tipo denominati «Norme Bancarie Uniformi», vale a dire

«condizioni generali di contratto» (art. 1341 c.c.) comuni a tutte le banche; quindi, su impulso del

legislatore comunitario, con l’entrata in vigore di nuove disposizioni tese a favorire la trasparenza delle

condizioni contrattuali in un’ottica di sempre maggiore ricerca dell’effettiva tutela del rispa rmiatore e

dell’investitore. Di qui un intero titolo (VI) di regole contenute agli artt. 115 ss. del T.u.b.

Le innovazioni concernono in particolare la pubblicizzazione in ciascun locale delle banche e degli

intermediari finanziari operanti al pubblico dei tassi di interesse, dei prezzi, delle spese per le

comunicazioni alla clientela e ogni altra condizione economica relativa alle operazioni e ai servizi offerti,

ivi compresi gli interessi di mora e la valuta applicata per l’imputazione degli interessi: c.d. informazione

precontrattuale (art. 116 T.u.b.).

Per quanto concerne i contratti, l’art. 117 T.u.b., ne impone la forma scritta (pena la nullità) e la

consegna di un esemplare ai clienti. I contratti devono in ogni caso indicare il tasso di interesse e ogni

altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso

di mora.

Le modifiche unilaterali da parte della banca delle condizioni contrattuali devono essere comunicate

espressamente al cliente al quale viene riconosciuta la possibilità di recedere dal rapporto.

L’inosservanza delle disposizioni concernenti le variazioni contrattuali, ne comporta l’inefficacia. 

Con una significativa disposizione, volta principalmente alla tutela dei depositanti, il 4° comma dell’art.

118 T.u.b. stabilisce che «le variazioni dei tassi di interesse conseguenti a decisioni di politica monetaria

riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori e si applicano con modalità tali da

non recare pregiudizio al cliente».

La disciplina dei contratti prevista dal T.u.b. trova applicazione anche agli intermediari finanziari nonbancari.

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Fra i vari profili concernenti i rapporti banca-cliente assume un ruolo di rilievo l’introduzione nel

nostro ordinamento della l. 7 marzo 1996, n. 108 (così come modificata dalla l. 28 febbraio 2004, n. 24),

che, da un lato, ha svincolato il reato di usura dalla sussistenza o meno dell’approfittamento di uno

stato di bisogno, dall’altro, ha fissato per legge il limite oltre il quale gli interessi devono in ogni caso

qualificarsi come usurari. La legge ha delegato il Ministro dell’economia a rilevare trimestralmente il c.d.

«tasso soglia» il cui superamento fa scattare la fattispecie usuraria, con conseguente nullità delle clausole

contrattuali (art. 1815, comma 2°, c.c.). Inoltre, al fine di prevenire il fenomeno dell’usura, l’art. 16 della

l. n. 108/1996, ha riservato l’attività di mediazione o di consulenza nella concessione di finanziamenti

da parte di banche o di intermediari finanziari ai soggetti, in possesso dei requisiti di onorabilità, iscrittiin apposito albo ora tenuto dalla Banca d’Italia. 

Parimenti significativo rilievo assumono le decisioni delle Sezioni Unite della Cassazione in tema di

anatocismo, che hanno definitivamente statuito, dopo un ampio dibattito sulla validità della clausola

anatocistica nei contratti bancari, l’inesistenza di un uso normativo idoneo a legittimare la

capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sui saldi di conto corrente (art. 1283 c.c.).

La libertà d’iniziativa e quindi di organizzazione della banca come impresa ha un contemperamento e

un limite nelle esigenze di protezione delle controparti-clienti, con conseguenti connotati imperativi

della disciplina contrattuale, funzionali alla tutela del mercato del risparmio e dell’investimento. 

I contratti bancari –  seconda parte

Il deposito bancario

Il deposito bancario (artt.1834-1837 cod. civ.) rappresenta il più tradizionale e il principale strumento di

raccolta del risparmio fra il pubblico.

Il codice civile non dà una nozione di deposito bancario, ma si limita a stabilire che nei depositi di una

somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella

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stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante, con

l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi (art. 1834, comma 1, cod. civ.). 

•  Il deposito bancario è un contratto:

 –  reale, in quanto si perfeziona con la consegna alla banca della somma;

 –  unilaterale perché le prestazioni che ne derivano sono a carico della sola banca che è

obbligata alla restituzione della somma ed alla corresponsione degli interessi nella

misura dovuta o altrimenti in quella legale;

 –  di durata, in quanto l’interesse delle parti non viene soddisfatto da prestazioni

istantanee, ma naturalmente destinate a durare nel tempo;

 –  gratuito perché il depositante acquista il vantaggio di conservare la disponibilità delle

somme depositate, sulle quali la banca corrisponde anche un interesse, mentre il

 vantaggio della banca si realizza al di fuori della struttura del singolo contratto e non ha

influenza per determinarne la onerosità.

La restituzione delle somme depositate può avvenire a vista, cioè a semplice richiesta del depositante; a

tempo (nei cd. depositi vincolati), cioè alla scadenza di un termine prefissato oppure dopo un lungo

preavviso (termine e preavviso sono da considerarsi a favore di entrambi le parti ex art. 1184 cod. civ.).

Il deposito bancario

•   Tipi:

 – 

Il deposito semplice, è quello in cui la banca rilascia una ricevuta di cassa (o una letteradi accreditamento) della somma depositata, la quale viene restituita in unica soluzione -

alla scadenza pattuita oppure a vista o ancora senza scadenza, ma con preavviso - non

avendo il depositante la possibilità di effettuare prelievi parziali, né di alimentare la

provvista con successivi versamenti.

 –  Il deposito a risparmio o fruttifero si caratterizza per il rilascio di un libretto di deposito

(che può essere al portatore o nominativo), cioè un documento che la banca rilascia al

depositante al momento dell’accensione del rapporto (in coincidenza con il primo

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 versamento), ove vengono annotati i versamenti ed i prelevamenti e, ad ogni

operazione, il saldo.

 –  Il deposito in conto corrente è quello con cui il depositante si riserva di modificare, nel

corso del rapporto, l’entità del deposito con successivi versamenti e prelevamenti: questiultimi si attuano non solo direttamente agli sportelli, ma anche mediante ordini alla

banca e mediante emissione di assegni.

Il contratto di deposito si estingue se il depositante ritira l’intera somma depositata o dà ordine di

trasferirla ad altro stabilimento della stessa banca, restituendo il libretto.

In caso di morte del depositante il diritto alla restituzione si trasmette agli eredi.

 Trattandosi però di depositi a risparmio con libretto nominativo, la banca ritiene risolto il rapporto, egli eredi dovranno provvedere alla costituzione di un nuovo rapporto.

Si evidenzia, invero, che il deposito in conto corrente è praticamente in disuso, essendo sostituito dal conto

corrente. 

L'apertura di credito

L’apertura di credito viene definita dal codice come il contratto col quale la banca (accreditante) si obbliga a

tenere a disposizione del cliente (accreditato) una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato

(art. 1842 cod. civ.).

 –  L’accreditato sarà tenuto alla restituzione delle somme utilizzate solo alla cessazione del

rapporto.

 – 

L’apertura di credito costituisce una forma del mutuo, diretta a soddisfare esigenze di

natura simile alle quali però lo schema rigido del mutuo non può piegarsi.

•  Infatti, mentre il mutuatario ha bisogno immediato di denaro, l’accreditato ne ha

bisogno in tempi diversi, in momenti successivi non predeterminati, ma di volta

in volta determinati dalle esigenze dei propri affari.

 –  L’apertura di credito è perciò caratterizzata dalla creazione a favore dell’accreditato di

una disponibilità, cioè della messa a disposizione, per un periodo di tempo determinatoo indeterminato, di una certa somma che, per quanto rimanga nelle casse della banca,

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egli può considerare, dal punto di vista economico, come propria perché sarà lui a

determinare il momento nel quale la somma passerà in sua proprietà.

 –   A fronte di questo impegno della banca, il cliente si obbliga a riconoscerle un

corrispettivo sotto forma di commissione.

I caratteri peculiari del contratto di apertura di credito

•  L’apertura di credito è:

 –  contratto consensuale: si perfeziona mediante l’accordo delle parti;

 – 

ad effetti obbligatori: a carico della banca tenuta a mantenere a disposizione del clientela somma accreditata e ciò fino alla scadenza del termine prefissato o fino al recesso di

una delle due parti e con correlativi obblighi del cliente;

 –  a prestazioni corrispettive: da un lato quella della banca di tenere a disposizione la

somma e dall’altro quella dell’accreditato di corrispondere la provvigione, in caso di

utilizzazione di interessi;

 –

 oneroso: la banca riceve un corrispettivo (provvigione e interessi) in cambio di ciò cheresta (messa a disposizione della somma) e l’accreditato acquista un’utilità avente valore

economico (disponibilità della somma) in cambio della sua prestazione;

 –  ad esecuzione continuata: è insito nella sua funzione il protrarsi dell’adempimento per

una certa durata; contratto a tempo determinato /o indeterminato a seconda della

 volontà delle parti.

L’apertura di credito, inoltre, può essere semplice o in conto corrente: è semplice quando l’accreditato

ha il diritto di utilizzare il credito una sola volta anche se con successivi prelevamenti parziali; l’apertura

di credito è in conto corrente quando l’accreditato ha il diritto di effettuare rimborsi totali o parziali

delle somme prelevate e di utilizzare nuovamente il credito così ricostituito. L’art.1843 cod. civ. dispone

che se non è convenuto diversamente, l’accreditato può utilizzare in più volte il credito, secondo le forme d’uso e può

con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità.

L’apertura di credito in conto corrente è disciplinata dalle disposizioni che regolano le operazionibancarie in conto corrente.

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Per quanto riguarda il recesso dal contratto, bisogna distinguere se l’apertura di credito è a scadenza o

senza, nel caso la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza, salvo giusta causa (art.

1845, comma 1, cod. civ.).

Il recesso della banca comporta la revoca del fido e le seguenti conseguenze.

•   Tra esse: il divieto di ulteriore utilizzazione del conto e l’ordine di rientro, cioè di restituzione

delle somme utilizzate, degli interessi e delle spese bancarie.

L'anticipazione bancaria

L’anticipazione bancaria è un contratto tipico che trova un’espressa disciplina negli artt.1846 -1851 cod.

civ. e nelle Norme bancarie unif ormi sull’anticipazione bancaria. 

Con l’anticipazione bancaria, la banca mette a disposizione del cliente (anticipato) una somma di

denaro, ottenendo in garanzia il pegno di titoli o merci. In sostanza, la banca anticipa al proprio cliente

parte del valore di merci o titoli che vengono contestualmente consegnati in pegno alla banca stessa,

con facoltà del cliente di ritirarli previo rimborso proporzionale delle somme anticipate, in modo tale da

mantenere sempre costante il rapporto tra il valore dei beni detenuti in garanzia ed il credito

restitutorio.

•  La differenza tra apertura di credito e anticipazione bancaria, sta:

 –  nel fatto che nell’apertura di credito non è previsto che vengano dati in pegno titoli o

merci.

 –  Inoltre, nell’anticipazione bancaria ci de ve essere corrispondenza tra la somma

anticipata ed il valore delle merci o dei titoli dati in pegno, corrispondenza che,

nell’apertura di credito, può anche non esserci. 

L’anticipazione, quindi, costituisce un vero e proprio prestito, ove il denaro diviene di proprietà del

cliente e non è semplicemente messo a disposizione di quest’ultimo. 

Si è detto che la somma anticipata diviene di proprietà del cliente e questo si obbliga a restituirne una

quantità corrispondente.

Si evidenzia, ancora, che l’anticipazione può essere fatta su pegno regolare oppure su pegno irregolare:

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 –  1. è fatta su pegno regolare (anticipazione bancaria propria) quando le cose ricevute in

pegno sono individuabili (ad es. un certo numero di azioni o obbligazioni della Beta

S.r.l.): in questo caso la banca non ne può disporre ed alla scadenza deve restituire

esattamente le stesse cose ricevute. L’obbligo della restituzione comporta che la banca

provveda alla custodia delle cose ed, eventualmente, alla loro assicurazione. Al termine

del rapporto, la banca ha diritto oltre al corrispettivo dell’anticipazione (interessi e

competenze), anche al rimborso delle spese di custodia;

 –  2. è fatta su pegno irregolare quando la garanzia è costituita da depositi di denaro, o da

titoli o merci non individuabili. In tal caso la banca può liberamente disporre dei beni

avuti in pegno.

L’anticipazione bancaria dà origine ad un rapporto di regola a termine, cioè a tempo determinato e

destinato ad estinguersi allo scadere del termine iniziale.

***

Lo sconto bancario

Lo sconto è il contratto con il quale la banca, dopo aver trattenuto gli interessi, anticipa al cliente l’importo

di un credito di questi verso terzi in cambio della cessione salvo buon fine del credito stesso.

Il credito non deve essere scaduto e viene ceduto salvo buon fine :

 –  ciò significa che il cliente deve garantire oltre all’esistenza del credito, anche il suo

pagamento da parte del debitore. Se questi non paga, la banca ha diritto di ottenere il

pagamento dal cliente.

Si noti che la banca, nell’effettuare lo sconto, non corrisponde al cliente l’esatto ammontare del credito

ceduto, ma un importo inferiore, dove sono stati sottratti gli interessi per il periodo tra lo sconto e la

scadenza del credito a titolo di corrispettivo.

Il tasso calcolato per l’interesse è detto appunto tasso di sconto. 

L’esigenza che tale contratto soddisfa è quella di liquidità del cliente, attraverso lo smobilizzo di crediti

non ancora esigibili: lo sconto consente, infatti, ad un imprenditore di ottenere moneta attuale

utilizzando un bene futuro.

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Unitamente alle figure dell’anticipazione bancaria e dell’apertura di credito bancario lo sconto rientra in

quell’ampia categoria che il Testo unico bancario definisce prestiti. 

Il fatto poi che le banche a sua volta possano riscontare dalla Banca d’Italia (al tasso di interesse oggi

stabilito dalla BCE) i crediti che a loro volta hanno scontato alla clientela, dimostra come la cessione deicrediti non avviene a scopo di garanzia, bensì a fine di pagamento del debito di restituzione, mediante il

passaggio della titolarità del credito ceduto a favore della banca scontante.

***

Il mutuo fondiario

Il mutuo fondiario disciplinato dal Testo unico bancario, è un cd. mutuo di scopo.

Il mutuo di scopo è il contratto in forza del quale una parte appresta all’altra mezzi finanziari per la

realizzazione di uno scopo pattiziamente (mutuo di scopo volontario) o legislativamente prefissato

(mutuo di scopo legale) e l’altra si obbliga a restituire la somma ed a svolgere l’attività necessari a al

raggiungimento dello scopo secondo i modi e i tempi prestabiliti.

Parte della dottrina sostiene che il mutuo di scopo non abbia natura diversa dal mutuo ordinarioprevisto dagli artt.1813 e segg. cod. civ., in quanto il fine ulteriore perseguito dalle parti non snatura il

contratto, ma viene ad inquadrarsi nell’ambito dei motivi: di conseguenza esso rileva solo quando è

elevato a livello di condizione dalle parte o dalla stessa legge ovvero quando costituisce motivo illecito

comune ad entrambi i contraenti (art.1345 cod. civ.).

La dottrina prevalente e la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., Cass.Civ. 10 giugno 1981 n. 3752)

sostengono che si tratti di un contratto diverso dal mutuo ordinario: lo scopo cui la somma è destinata,

arriva ad avere una vera e propria valenza causale, tale da snaturare il tipo ordinario del contratto dimutuo.

La realizzazione dello scopo, infatti, è considerata una vera e propria obbligazione a carico del

mutuatario, che si pone in un nesso di sinallagmaticità con la prestazione del mutuante.

Nel mutuo di scopo il mutuante non si limita a trasferire una somma di denaro al mutuatario, perché

questi ne abbia la disponibilità ed il godimento, ma acquista rilevanza causale anche l’obbligazione del

mutuatario di realizzare una determinata finalità .

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 Attesa la autonomia giuridica del mutuo di scopo, si rileva che esso ha natura giuridica diversa dal

mutuo tipico: a differenza di quest’ultimo, infatti, non è un contratto reale, ma un contratto

consensuale, perché in mancanza di una norma espressa per il suo perfezionamento è sufficiente il

semplice consenso e non è necessaria la datio rei.

Ne consegue che la consegna rappresenta solo l’adempimento di un’obbligazione consensualmente

assunta dal mutuante, il quale potrà in caso di inadempienza, essere condannato ad erogare la somma,

essendosi il contratto già perfezionato col semplice accordo.

•  Il D.lgs.385/1993, agli artt.38 e segg., prevede una serie di operazioni caratterizzate da

particolari deroghe al sistema di diritto comune ed in particolare alla disciplina del contratto di

mutuo caratterizzate dalla peculiare destinazione del finanziamento: il primo tipo di contratto di

credito speciale che si incontra è il mutuo fondiario, il quale costituisce una forma speciale di

mutuo ipotecario (ossia garantito da ipoteca).

•  finanziamento a medio o lungo termine erogato da una banca e garantito da ipoteca di primo

grado su immobili il cui valore superi di una certa percentuale l’importo del mutuo. 

•  Per il soggetto finanziato è riconosciuta la possibilità di estinguere anticipatamente il mutuo

pagando un compenso omnicomprensivo che deve essere pattuito contrattualmente findall’inizio del rapporto (art. 40 TUB) .  

•  L’elemento che costituisce eccezione alla regola è che il mutuatario è agevo lato anche se

inadempiente:

 –  infatti, in caso di ritardato pagamento la banca può chiedere la risoluzione del contratto

e la restituzione del finanziamento in un'unica soluzione (cfr., Delibera CICR 9 febbraio

2000 “Credito fondiario: disciplina dell’estinzione anticipata dei mutui ex art.40, comma1, T.U.B.) solo se il tardivo pagamento si è verificato per almeno sette volte anche non

consecutive (è considerato tardivo se l’inadempimento avviene tra il trentesimo ed il

centottantesimo giorno dalla scadenza della rata).

Il contratto di assicurazione

Nozione e funzione

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 Ai sensi dell’art. 1882 c.c. “L'assicurazione è il contratto con il quale l'assicuratore, verso pagamento di

un premio, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un

sinistro ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.

La definizione riproduce la tradizionale distinzione tra:

-  assicurazione contro i danni; e

-  assicurazione sulla vita

La struttura del rapporto prevede che una parte (l’assicurato) esegua una prestazione (  premio ), mentre

l'assicuratore si obbliga ad una controprestazione che viene indicata alternativamente: (i) nel

risarcimento di un danno; o (ii) nel pagamento di un capitale; o (iii) di una rendita.

Il contratto di assicurazione è disciplinato:

-  dagli art. 1882-1932 c.c.,

-  dalle norme sui contratti in generale e sui contratti del consumatore,

-  e dagli art. 165-181 del codice delle assicurazioni.

Il contratto di assicurazione è un contratto:

-  consensuale;

-  aleatorio (ovvero rientra in quella categoria di contratti in cui il diritto alla prestazione o alla

controprestazione dipende circostanze esterne alle parti. L’elemento fondamentale dei contratti

aleatori è, appunto, l'alea, il rischio);

-  che richiede un regime di forma scritta ad probationem e con l’obbligo, per l’assicuratore, di

rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto.

***

Rischio e premio sono elementi essenziali del contratto.

Il rischio costituisce l’oggetto del contratto di assicurazione e consiste nella possibilità che si verifichi un

determinato evento futuro e incerto.

Il premio è il corrispettivo dovuto dall’assicurato all’assicuratore. Esso è calcolato sulla base di   dati

probabilistici. Il premio, infatti, è nella prassi determinato non in funzione del rischio assunto con ilsingolo contratto di assicurazione, ma con riferimento a tutti i rischi dello stesso tipo assunti

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dall'assicuratore (è questo, in altre parole, il “rischio assicurato”, con ciò intendendosi non un singolo

rischio pendente sull’assicurato, ma il “tipo” di rischio).

L’essenzialità del rischio e del premio nel contratto di assicurazione 

Il rischio è l’elemento fondamentale del contratto di assicurazione:

-  il contratto è nullo se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione

del contratto; e

-  la cessazione del rischio nel corso del contratto ne comporta lo scioglimento (artt. 1895-1896

c.c.).

In termini naturalistici, il rischio è la possibilità di un evento futuro e incerto.

L’evento può essere incerto sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo (ad es., non può

escludersi la validità dell’assunzione da parte dell’assicuratore di un rischio verificato, qualora il sinistro

sia ignoto ad entrambe le parti. Si veda, a tale proposito, l’art. 514 c. nav).

 Tuttavia il rischio non deve essere cessato, cioè deve esistere al momento della conclusione del

contratto di assicurazione e deve permanere per tutta la durata del contratto. L’art. 1895 c.c. sancisce la

nullità del contratto se il rischio è cessato prima della sua conclusione (con la conseguenza che non èassicurabile un rischio cessato, ma è assicurabile un rischio che si è verificato prima della conclusione

del contratto, se questo non ha comportato la cessazione del rischio assicurato; si tratta della cosiddetta

“assicurazione retroattiva”).

Un altro, ovvio, limite all’assicurabilità di un rischio è rappresentato dall’art. 1900 c.c., il quale dispone

che non è assicurabile il fatto doloso del contraente, dell'assicurato o del beneficiario. Funzione del

divieto è quella di evitare che la garanzia assicurativa crei l'interesse alla produzione dell'evento. Il

divieto quindi non si estende al fatto doloso di soggetti diversi da coloro che hanno un interesse alla

prestazione assicurativa, anche se si tratta di persone delle cui azioni l'assicurato è responsabile (art.

1900, co. 2, c.c.). Per lo stesso motivo l'assicuratore è sempre obbligato per i sinistri conseguenti ad atti

del contraente, dell'assicurato o del beneficiario compiuti per dovere di solidarietà umana o nella tutela

di interessi comuni allo stesso assicuratore (v. art. 1900, co. 3, , c.c.). Il divieto nelle assicurazioni sulla

 vita è limitato al fatto doloso del contraente o del beneficiario. L'art. 1927 c.c., in considerazione della

particolare natura dell'evento, comprende nel rischio assicurabile il suicidio dell'assicurato.

Il premio

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Il premio, che costituisce il corrispettivo del rischio assunto dall’assicuratore. Secondo l’insegnamento

della giurisprudenza, anche costituzionale, il premio è il valore della contribuzione a carico di ciascun

assicurato per partecipare alla “comunione dei rischi” assunti dall’assicuratore. Ciò spiega la dis ciplina

peculiare del premio (si vedano gli artt. 1890, 1897, 1898, 1901, 1918 e 1926 c.c.):

-  il premio deve essere pagato anticipatamente (anche se, come noto, la legge consente che sia

pagato periodicamente e che possa essere rateizzato), perché è dalla massa dei premi raccolti

che l’assicuratore trae le somme necessarie per fare fronte alle prestazioni dovute a coloro nei

confronti dei quali si verifica l’evento assicurato. 

-  Inoltre, il premio è dovuto per l’intero periodo  per il quale è stato calcolato anche se il

contratto è annullato o si scioglie prima della scadenza del periodo ( indivisibilità del premio )

e i premi pagati sono irripetibili anche in caso di annullamento del contratto ( irripetibilità del premio ).

L’assicurazione contro i danni 

Nell'assicurazione contro i danni l'assicuratore si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti,

del danno ad esso prodotto da un sinistro.

L'assicurazione contro i danni copre i rischi cui sono esposti determinati beni o diritti, anche di credito

dell'assicurato (assicurazione di cose); può coprire anche il rischio cui è esposto l'intero patrimonio

dell'assicurato, come si verifica nell'assicurazione della responsabilità civile verso terzi (assicurazione di

patrimonio). È infine opinione prevalente che nella categoria rientrino anche le assicurazioni contro i

danni alla persona per infortuni e malattie (assicurazione dì persone), anche se la disciplina del

risarcimento dei danni è parzialmente diversa da quella dettata per le assicurazioni di cose e di

patrimonio, non trovando puntuale applicazione il principio indennitario. La disciplina specificadell'assicurazione contro i danni è infatti dominata, sia pure non senza possibilità di deroghe

convenzionali, da tale principio, volto ad evitare che l'assicurazione diventi per l'assicurato fonte di

arricchimento e di speculazione a danno dell'assicuratore.

Il principio indennitario si articola nelle seguenti regole. Può validamente assicurarsi solo chi ha un

interesse economico esposto al rischio dedotto in contratto. Il contratto di assicurazione contro i danni

è infatti nullo se, nel momento in cui l'assicurazione deve avere inizio, non esiste un interesse, anche

futuro, dell'assicurato al risarcimento del danno.

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L'assicuratore è tenuto a risarcire soltanto il danno effettivamente, subito dall'assicurato in conseguenza

del sinistro. Ed il danno risarcibile e di regola costituito solo dalla perdita subita, non anche dal mancato

guadagno.

 Ancora, l'indennizzo non può superare il valore che le cose perite o danneggiate hanno al tempo del

sinistro.

Le regole da ultimo esposte non sono però inderogabili. È ammessa l'assicurazione del profitto sperato.

Inoltre, il valore risarcibile può essere fissato preventivamente mediante stima accettata per iscritto da

entrambe le parti. In tal caso l'assicuratore non potrà contestare in sede di indennizzo che il valore reale

è inferiore al valore di stima. Non equivale però a stima la semplice

dichiarazione di valore contenuta nella polizza od in altro documento.

 Al di fuori del caso di polizza stimata, le conseguenze dell'assicurazione per somma superiore al valore

reale della cosa sono diverse a seconda che vi sia stato o meno dolo da parte dell'assicurato.

In caso di dolo il contratto é invalido (annullabile), fermo restando il diritto dell'assicuratore al premio

in corso se è in buona fede. Se invece non vi è stato dolo, l'assicuratore dovrà risarcire il danno nei

limiti del minor valore assicurabile ed il contraente ha diritto di ottenere per il futuro una proporzionale

riduzione del premio.

Può anche verificarsi l'ipotesi opposta che la cosa assicurata abbia al momento del sinistro un valore

superiore a quello dichiarato nel contratto. Si applica in tal caso la regola proporzionale.

Non solo i danni eccedenti la somma assicurata restanti a carico dell'assicurato, ma l'assicuratore sarà

tenuto a risarcire solo una parte proporzionale del rischio coperto. Anche la disposizione in esame non

ha carattere inderogabile e per evitare che in periodi di inflazione monetaria l'assicurato sia costretto ad

aggiornare continuamente la copertura assicurativa, si può pattuire che l'assicuratore è tenuto a risarcire

integralmente il danno fino a concorrenza del valore assicurato.

Frequenti sono anche le clausole che pongono a carico dell'assicurato una parte del danno subito per

prevenire il pericolo di un totale disinteresse dello stesso nei confronti del sinistro. Espressione del

principio indennitario sono anche due istituti tipici dell'assicurazione contro i danni collegati al

 verificarsi del sinistro:

-  l'obbligo dell'assicurato di dare pronto avviso all'assicuratore del sinistro (di regola entro tre

giorni), onde consentirgli il tempestivo accertamento delle cause e dell'entità del danno;

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-  l'obbligo dello stesso assicurato di fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno,

ponendo però le relative spese a carico dell'assicuratore.

L'inosservanza dolosa degli obblighi di avviso e di salvataggio comporta la perdita del diritto

all'indennità. Se invece vi è stata solo colpa dell'assicurato, l'assicuratore ha diritto di ridurre l'indennità.

L'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare della stessa,

nei diritti dell'assicurato verso gli eventuali terzi responsabili del sinistro. E ciò al fine di evitare che, in

contrasto col principio indennitario, l'assicurato possa cumulare l'indennizzo corrispostogli

dall'assicuratore con il risarcimento del danno dovutogli dal terzo responsabile.

L'assicuratore acquista il credito dell'assicurato verso l'autore del danno a titolo derivativo: a lui sono

perciò opponibili tutte le eccezioni che il terzo poteva opporre all'assicurato-danneggiato.

L'assicurato è inoltre responsabile verso l’assicuratore del pregiudizio arrecato al diritto di surrogazione.

L'assicuratore non può comunque ripetere dal terzo più di quanto abbia legittimamente pagato

all'assicurato.

Il principio indennitario opera anche quando sono suite stipulate più assicurazioni presso diversi

assicuratori per la copertura dello stesso rischio. In tal caso l'assicurato deve rendere noti a ciascun

assicuratore i contratti stipulati con gli altri e può chiedere a ciascuno l'indennità dovuta secondo i

rispettivi contratti, ma la somma complessivamente riscossa non può superare l'entità del danno.

L'assicuratore che ha pagato ha regresso verso gli altri, per ripartire l'indennità corrisposta, in

proporzione delle somme assicurate presso ciascuno. Figura diversa dalla pluralità di assicurazioni è la

coassicurazione. Essa si ha quando più assicuratori, di regola con un unico contratto, assumono

ciascuno una quota del rischio assicurato.

 Ad essa si ricorre quando si tratta di assicurare rischi molto ingenti che nessun assicuratore potrebbe da

solo accollarsi.

Nella coassicurazione ciascun assicuratore risponde nei confronti dell'assicurato nei limiti della quota

assunta ed e quindi tenuto al pagamento dell'indennità solo in proporzione della rispettiva quota. Si ha

quindi un'obbligazione parziaria e non solidale come nell'assicurazione plurima, benché il contratto sia

formalmente unico. L'alienazione delle cose assicurate non comporta di per sé lo scioglimento del

contratto di assicuratone contro i danni. La regola è che i diritti e gli obblighi dell'assicurato passano

all'acquirente della merce. Tuttavia sia l'acquirente sia l'assicuratore possono liberamente recedere Ilcontratto di assicurazione dal contratto entro dieci giorni, salvo che la polizza non sia stata emessa

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all'ordine o al portatore. In quest'ultimo caso la copertura assicurativa è intatti di per sé destinata a

circolare.

Salvo che non si tratti di polizza all'ordine o al portatore, l'alienante resta obbligalo a pagare i premi se

non comunica all'assicuratore l'avvenuta alienazione delle merci ed all'acquirente l'esistenza del

contratto di assicurazione.

 Assicurazione sulla vita

Il contratto di assicurazione sulla vita ha una funzione diversa da quella delle altre assicurazioni. Di

solito, si rinviene nel contratto di assicurazione vita una duplice funzione: previdenziale e di risparmio.

In questo caso, le somme assicurate possono essere liberamente determinate dalle parti e l’interesse alla

stipulazione è rinvenibile nei motivi soggettivi che spingono gli assicurati che stipulano il contratto:

-  sia che assicurato sia il contraente o persona diversa dal contraente (art. 1919, co. 2, c.c.); o

-  che il beneficiario sia il contraente o l’assicurato (se persona diversa dal contraente) o un terzo

liberamente indicato dal contraente.

Peraltro, il beneficiario può essere indicato nel contratto o con successiva comunicazione

all’assicuratore (ciò, si badi, può avvenire anche attraverso una disposizione testamentaria ai sensi degli

artt. 1920-1922 c.c.).

Dalla disciplina in esame emerge il favore del legislatore nei confronti dell’assicurazione sulla vita,

giustificato probabilmente dalla funzione previdenziale di questo contratto (si pensi, in particolare, alle

norme sul del pagamento del premio, che consenteno di interrompere in qualsiasi momento il

pagamento dei premi).

***

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 Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti

Con il decreto legislativo n. 209 del 7 settembre 2005 (Codice delle assicurazioni private) si è introdotto

un generale riassetto delle norme vigenti in materia di assicurazioni private attuando una

semplificazione e delegificazione.

Il testo incide su tutta la disciplina delle assicurazioni e adegua le disposizioni dell’ordinamento italiano

agli indirizzi europei.

Particolarmente innovativa la disciplina prevista per le assicurazioni obbligatorie e, in particolare, per i

nuovi sistemi di indennizzo nella responsabilità civile autoveicoli (RCA).

Non si tratta di un semplice riordini normativi: negli ultimi anni una serie di disposizioni hanno incisola materia nel tentativo di portare avanti un processo di liberalizzazione e di velocizzazione delle

liquidazioni dei danni nel campo della RCA (si pensi, in particolare, al c.d. “indennizzo diretto”,

consistente nella possibilità di essere risarciti direttamente dalla propria compagnia di assicurazione).

Titoli di credito

“Innovazione” del codice civile del 1942 

Nel vigore del vecchio codice di commercio ne esistevano solo alcune figure particolari

Disciplinati nel c.c. agli articolo 1992 e ss

Nozione

Non esiste definizione espressa

Definizione … 

•  Documento contenente la promessa unilaterale di effettuare una data prestazione a favore di chi

lo presenterà al debitore

•  Secondo FERRI:

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 –   documento contenete una dichiarazione con duplice funzione:

•  Mezzo necessario e sufficiente per l’esercizio del diritto che nel documento è

menzionato

•  Mezzo tecnico di circolazione del diritto stesso

•  Secondo CAMPOBASSO:

 –   documento destinati alla circolazione che attribuiscono il diritto ad una determinata

prestazione.

•  Secondo ASQUINI:

 –   documento la cui proprietà attribuisce il diritto letterale ed autonomo in esso

menzionato ed il cui possesso, nelle forme di legge, è necessario a legittimare

all’esercizio e al trasferimento di tale diritto. 

Tipologie

•  Documenti destinati alla circolazione che attribuiscono il diritto ad una determinata prestazione:

 –    Titoli di credito in senso stretto (pagamento di una somma di denaro; i.e. cambiale,

assegno, obbligazioni)

 –    Titoli rappresentativi di merci (diritto alla riconsegna di merci depositate o viaggianti; i.e.

fede di deposito, polizza di carico)

 –    Titoli di partecipazione (rappresentano una situazione giuridica complessa; i.e. azioni,

quote di partecipazione in fondi comuni di investimento)

Funzione

•  Il documento, comunque, rappresenta un credito:

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 –   Basta trasferire il documento perché si attribuisca ad altri il diritto alla prestazione in

esso indicata

•  Funzione: mobilizzazione della ricchezza, favorire cioè la circolazione dei diritti di credito,

rendendola più semplice e sicura, sia nello spazio che nel tempo, e tutelando l’acquirente controi rischi insiti nel ricorso allo strumento generale della cessione del credito (1260)

Differenze con la cessione dei crediti

•  Cessione del credito:

 –   Il cessionario acquista la stessa posizione giuridica che aveva il cedente (se questi non

era l’effettivo titolare del diritto, anche all’acquirente possono essere opposte le

eccezioni relative)

 –   Il cessionario deve fornire la prova del suo acquisto

•  Se il credito viene incorporato in un documento (“titolo di credito”), gli svantaggi di cui sopra

sono superati in base al principio di cui al 1153 per cui il possesso di buona fede vale titolo

Titolo di credito

 –   L’acquirente del documento acquista un diritto autonomo rispetto al precedente titolare,

per cui non subirà alcun pregiudizio dalla mancanza di titolarità del cedente o

dall’esistenza di diritti altrui a lui ignoti 

 –  

Il possessore del titolo, per ottenere la prestazione dal debitore, dovrà solo esibire a

questi il documento.

Caratteri dei tioli di credito

•  Incorporazione

• 

Letteralità (della promessa)

•   Autonomia (del diritto incorporato)

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•  Cartolarità

•  (Astrattezza)

Incorporazione

Incorporazione: il diritto è incorporato nel titolo (“veicolo del diritto”): 

 –   Per provare l’esistenza del diritto è necessario il documento, in quanto il diritto è

immedesimato in esso

 –   Per ottenere la prestazione è necessaria la presentazione del documento (1992 c.c.)

 –   La distruzione del documento può importare la perdita del diritto (salvo

ammortamento)

 –   Qualsiasi vincolo sul diritto (pegno, sequestro, etc) non ha effetto sul credito

incorporato se non colpisce anche il titolo (1997 c.c.)

 –   Con il trasferimento del documento si trasferisce anche il diritto

Letteralità

il contenuto e la portata della promessa sono solo quelli che risultano dal contesto letterale del titolo

 –   Le risultanze del documento rappresentano i limiti della pretesa azionabile dal portatore

•  Il titolare non può pretendere una prestazione diversa

•  Il debitore non può disconoscere le obbligazioni inserite nel titolo

La letteralità può essere:

•  Diretta: il documento contiene tutti gli elementiatti ad individuare il contenuto

della pretesa (cambiale)

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•  Indiretta il documento rimanda ad altri documenti, purchè soggetti a pubblicità

legale o comunque accessibili (azioni)

 Autonomia

•  La posizione di ciascun portatore del titolo è indipendente da quella del portatore precedente:

 –   Sia sotto il profilo della titolarità

 –   Sia sotto il profilo del contenuto

•  Il debitore, di regola, non può opporre all’ultimo possessore del titolo le eccezioni personali

riguardanti i rapporti con i precedenti possessori (1993, 3 c.)

Cartolarità

•  Il credito cartolare si contrappone al credito cd. chirografario, in cui il documento ha solo

efficacia probatoria ed il diritto è del tutto indipendente dal titolo che lo prova

***

Creazione ed Emissione dei titoli di credito

•  “Nascita” di un titolo di credito. Esistono due teorie: 

 –   Creazione: redazione materiale

 –   Emissione: effettiva consegna del titolo

Il problema, infatti, è quando venga ad esistenza un titolo di credito?

 –    Teoria dell’emissione 

 –    Teoria della creazione: questa concezione è dominante nel nostro ordinamento per il

 principio di tutela della circolazione di buona fede dei titoli di credito 

“Rapporto fondamentale” e “Rapporto cartolare” 

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•  La creazione e l’emissione di un titolo di credito trovano giustificazione in un preesistente

rapporto fra emittente e primo prenditore (“rapporto fondamentale ”) 

•  Il rilascio del titolo costituisce mezzo di rafforzamento della situazione del creditore oltre che

agevole mezzo di soddisfacimento dell’obbligazione

•  In tale nesso di strumentalità fra la creazione del titolo e il rapporto sottostante si ravvisa la

causa del titolo di credito

Classificazione titoli di credito

•  In base al rapporto fondamentale:

 –    Titoli causali (nei quali, insieme alla promessa, è indicato il rapporto sottostante)

•   Azioni e obbligazioni

•  Obbligazioni di enti pubblici

•  Fede di credito

  Titoli rappresentativi di merci

 –    Titoli astratti (in cui il rapporto fondamentale non è enunciato)

•  Cambiale

•   Assegno circolare

Per entrambi vige la regola dell’insensibilità del credito cartolare alle vicende del rapporto

fondamentale, a meno che non si tratti del primo prenditoreLa rilevanza della distinzione sta nel fatto che solo per i titoli causali potrà farsi capo al rapporto

fondamentale

Classificazione titoli di credito: in relazione al regime di circolazione

 –    Titoli nominativi

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•  intestati ad una determinata persona (risultante sia dal titolo che dal registro

dell’emittente) 

•  Il trasferimento avviene mediante l’annotazione del nome dell’acquirente sul

titolo e nel registro dell’emittente (o col rilascio di nuovo titolo) 

 –    Titoli all’ordine 

•  L’intestazione risulta solo dal titolo 

•  Il trasferimento avviene mediante consegna del titolo accompagnata da girata

 –    Titoli al portatore

•  Non intestati

•  Il trasferimento avviene mediante consegna

***

legittimazione all’esercizio del diritto incorporato nel titolo: 

 –    Titoli nominativi: dal possesso accompagnato dall’intestazione 

 –    Titoli all’ordine: dal possesso del titolo derivante da una serie ininterrotta di girate 

 –    Titoli al portatore: mero possesso

I titoli all’ordine possono circolare come titoli al portatore se la girata anziché piena sia in bianco

Classificazione titoli di credito: in relazione ai diritti enunciati nel titolo:

•   Titoli di pagamento

•  Danno diritto ad una prestazione pecuniaria (cambiale, assegno)

•   Titoli rappresentativi

•   Attribuiscono un diritto diverso dal diritto ad un pagamento: in genere un diritto

reale (fede di deposito, polizza di carico)

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•   Titoli di partecipazione

•   Attribuiscono uno status giuridico (azioni)

***

Classificazione titoli di credito: in relazione alla natura dell’emittente: 

•   Titoli di credito pubblici

•   Titoli di credito privati

Classificazione titoli di credito: in relazione al modo in cui sono creati ed emessi

•   Titoli individuali: creati di volta in volta in relazione ad ogni singola operazione

•   Titoli di massa: (cd titoli in serie) vengono creati con un’unica operazione (azioni). NB: i

titoli di massa sono tutti causali

•   Titoli atipici

Il codice ne esclude la libertà di emissione nel solo caso di titoli al portatore aventi per oggetto

l’obbligazione di pagare una somma di denaro (2004 c.c.) 

•  Esempi:

•   Warrants:

 –  

speciali buoni di sottoscrizione che danno diritto al detentore diacquistare ad un prezzo prefissato ed entro un lasso di tempo stabilito

un certo numero di azioni;

 –   Può essere legato ad un’obbligazione e, pur avendo analogie con

l’obbligazione convertibile, è diverso perché può circolare separatamente

dall’obbligazione. 

 Certificati di fondo comune di investimento

•  Certificati di depositi d’oro 

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•  Certificati rappresentativi di quote di associazione in partecipazione

***

Eccezioni opponibili al debitore cartolare

•  Chi è debitore in base ad un tiolo di credito non può emersi dal pagarlo invocando eccezioni

che derivano da rapporti intercorrenti con i precedenti portatori del titolo stesso.

•   Al portatore del titolo possono essere opposte solo le eccezioni:

•   A lui personali (es. compensazione)

•  Reali o assolute, che il debitore può opporre a qualsiasi possessore

Eccezioni reali o assolute (1993 c.c.)

•  le eccezioni di forma

•  (quando la legge richiede una forma particolare, es. cambiale)

•  quelle che sono fondate sul contesto letterale del titolo

•  (es. alterazione del documento)

•  quelle che dipendono da falsità della propria firma

•  da difetto di capacità o di rappresentanza al momento dell'emissione

•  dalla mancanza delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione

•  (il titolo non è scaduto, prescrizione, l’azione di regresso cambiaria non è stata

preceduta dal protesto)

Eccezioni personali

•  Eccezioni personali in senso stretto

 –   Es. Difetto di titolarità del diritto cartolare, opponibile al possessore del

titolo che ne ha acquistato la proprietà (mancanza di un valido negozio)

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 –   Il pagamento al non titolare del diritto è liberatorio solo se il debitore

adempie senza dolo o colpa grave

•  Eccezioni fondate sui rapporti personali

•  Eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale (opponibili al solo primo

prenditore)

•  Eccezioni fondate su altri rapporti personali: si possono opporre solo se l’attuale

possessore ha agito intenzionalmente in danno del debitore (1993, 2)

***

Deterioramento

•  non sia più idoneo alla circolazione,

•  ma tuttora sicuramente identificabile,

Il possessore ha diritto di ottenere dall'emittente un titolo equivalente, verso la restituzione del primo e

il rimborso delle spese.

 Ammortamento

•  Nei casi di smarrimento, sottrazione o distruzione di titoli all’ordine o nominativi: 

•   Ammortamento: procedimento volto

 –   eliminare l’efficacia del titolo smarrito 

 –   Concedere all’originario possessore un duplicato 

 Ammortamento: procedimento

•  il possessore può farne denunzia al debitore e chiedere l'ammortamento del titolo con ricorso al

presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile.

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•  Il presidente del tribunale pronunzia con decreto l'ammortamento e autorizza il pagamento del

titolo dopo trenta giorni dalla data di pubblicazione del decreto nella Gazzetta ufficiale della

Repubblica

 Ammortamento: opposizione

•  Il presidente del tribunale pronunzia con decreto l'ammortamento … purché nel frattempo non

sia fatta opposizione dal detentore

•  L'opposizione del detentore deve essere proposta davanti al tribunale che ha pronunziato

l'ammortamento (entro 30 gg dalla pubblicazione del decreto), con citazione da notificarsi al

ricorrente e al debitore.

***

Smarrimento, distruzione etc

 Titoli al portatore

 Il possessore del titolo al portatore, che ne provi la distruzione, ha diritto di chiedereall'emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente.

•  non è ammesso l'ammortamento dei titoli al portatore smarriti o sottratti:

 –   Tuttavia chi denunzia all'emittente lo smarrimento o la sottrazione d'un titolo al portatore e gliene

 fornisce la prova ha diritto alla prestazione e agli accessori della medesima, decorso il termine di

 prescrizione del titolo. 

La cambiale

Fonte: R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669, la c.d. “legge cambiaria” (oltre, ovviamente, al codice civile) 

Cambiale, definizione

 Titolo di credito la cui funzione tipica è quella di differire il pagamento di una somma didenaro.

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-   Titolo all’ordine, formale ed astratto, che attribuisce al possessore legittimo il diritto

incondizionato di farsi pagare una somma di denaro determinata alla scadenza indicata

La cambiale è un:

-   Titolo all’ordine: pertanto requisito naturale di essa è la possibilità di circolare mediante girata

-  Titolo formale: perché la forma prescritta è un elemento essenziale per l’esistenza del titolo

stesso

-  Titolo completo: deve contenere tutti i requisiti richiesti sul foglietto cambiario, che non

possono essere desunti, pertanto da altri documenti

-  Titolo astratto: perché nella cambiale manca qualsiasi riferimento al rapporto fondamentale

-  Titolo esecutivo: se sono state osservate le disposizioni di carattere fiscale della legge

 Ammette il confluire in essa di più obbligazioni aventi il medesimo oggetto . Infatti,

all’obbligazione originaria si aggiungono quelle di ogni successivo girante e dell’avallante: obbligazioni

autonome e valide indipendentemente dalle altre, ma tutte legate dal vincolo della solidarietà

 Assistita da un particolare rigore processuale: nei giudizi cambiari, se le eccezioni proposte sono dilunga indagine, il giudice deve emettere sentenza di condanna con riserva, rinviando ad un secondo

momento la cognizione delle eccezioni

Cambiale tratta

La tratta o cambiale in senso stretto contiene l’ordine  che una persona (traente) dà ad un’altra persona

(trattario) di pagare ad un terzo (prenditore) una somma di denaro

È, dunque, un ordine di pagamento, perché:

-  Il traente dà l’ordine e per legge garantisce l’accettazione ed il pagamento del titolo 

-  Il trattario  che è il destinatario dell’ordine di pagamento e diventa obbligato cambiario ed

obbligato principale solo in seguito ad accettazione

-  Il prenditore che è il beneficiario dell’ordine di pagamento 

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Struttura della cambiale tratta

-  Rapporto di valuta: (intercorrente tra traente   e  prenditore  ) che dà causa all’emissione o

negoziazione del titolo (es. vendita di merce da cui scaturisce l’obbligo di pagamento del

prezzo)

-  Rapporto di provvista: (intercorrente tra traente  e trattario ) in virtù del quale il traente ordina al

trattario di pagare la somma portata dal titolo al prenditore o ad un suo giratario.

Il vaglia cambiario (o pagherò)

Contiene la promessa, fatta da una persona (emittente), di pagare una somma di denaro ad una

determinata scadenza

-  L’emittente, promette il pagamento assumendo la veste di obbligato cambiario principale

Il prenditore è il beneficiario della promessa di pagamento

NB:

Tanto la tratta quanto il vaglia cambiario sono negozi giuridici unilaterali.

Tuttavia, mentre per il vaglia cambiario il contenuto della dichiarazione cambiaria è

certamente una promessa unilaterale; per la tratta si discute se sia una assegnazione (Jacob),

una promessa del fatto di un terzo (Ascarelli), o una delegazione (Asquini). 

***

Requisiti della cambiale

-  Redatta in forma scritta

Carattere autonomo: non può ritenersi valida una cambiale inserita nel contesto di un altrodocumento

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-  Per la redazione si fa uso, di regola, di appositi fogli bollati messi in vendita

dall’Amministrazione finanziaria dello Stato per un importo corrispondente alla “tassa graduale di

bollo” (la cambiale non bollata sin dall’origine non ha efficacia di titolo esecutivo ma è valida

solo come “ promessa di pagamento”, 1988 c.c.) 

Requisiti essenziali (artt. 1 e 100 l. camb.)

-  Denominazione “cambiale” 

-  L’ordine incondizionato  o promessa incondizionata di pagare una somma determinata (è

consentita la promessa di interessi solo nella cambiale pagabile a vista: il tasso di interesse, in tal

caso, deve essere indicato nella cambiale)

-  Nome, luogo e data di nascita (ovvero CF) di chi è designato a pagare (trattario o emittente)

-  Nome del primo prenditore (tratta) o di colui al quale deve farsi il pagamento (vaglia cambiario)

-  Data e luogo di emissione

-  Sottoscrizione dell’emittente o del traente 

NB:

L’assenza di uno dei requisiti fa sì che il documento non valga più come cambiale, ma come

semplice attestazione di credito  

Elementi accidentali

-  Luogo di pagamento (se manca: per la tratta si intende il domicilio del trattario; per il vaglia

quello dell’emittente)

-  Data di scadenza:

o   A giorno fisso;

o   A vista: in tal caso è pagabile al momento della presentazione al debitore;

o   A certo tempo vista: la cambiale scade dopo un certo tempo dalla presentazione;

o   A certo tempo data: la cambiale scade dopo un certo tempo dall’emissione 

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NB:

Se non c’è indicazione di scadenza, la cambiale si considera pagabile a vista. 

Cambiale incompleta e in bianco

I requisiti cambiari devono sussistere al momento della presentazione per il pagamento (al momento

dell’emissione sono suf ficienti firma e denominazione)

La cambiale che circola sprovvista di uno o più requisiti, può essere:

-  Incompleta: quando il rilascio del titolo avviene senza un accordo per il suo successivo

riempimento;

-  In bianco: quando sussiste un “contratto di riempimento successivo”: 

Se gli accordi non vengono rispettati: eccezione di abusivo riempimento (che tuttavia non può essere

eccepita al terzo portatore di buona fede)

La facoltà di riempimento è sottoposta ad una decadenza di tre anni dall’emissione del titolo (art. 14 l.

camb.)

***

 Autonomia delle obbligazioni cambiarie

Esistono due categorie di obbligati al pagamento:

o  Obbligati principali: emittente nel pagherò, accettante nella tratta;

Obbligati in via di regresso (ossia nel caso di rifiuto dell’obbligato principale): traentee avallante.

L’avallante assume la posizione di obbligato principale se dà avallo per un obbligato principale,

altrimenti è obbligato in via di regresso

 Alla scadenza della cambiale, se l’obbligato principale rifiuta il pagamento, l’attuale portatore legittimo

del titolo può rivolgersi ad uno qualunque, a sua scelta, tra gli altri obbligati cambiari: l’obbligato di

regresso poi può pretendere il rimborso di quanto ha pagato dai giranti che lo precedono, dal traente e

dai loro avallanti.

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***

Capacità e rappresentanza cambiaria

-   Tutte le persone giuridicamente capaci possono assumere obbligazioni cambiarie (art. 9 e 10 l.c.)

-  Le dichiarazioni cambiarie possono essere compiute anche a mezzo di rappresentante:

-  Dalla dichiarazione o dalla sottoscrizione deve apparire che il dichiarante si obbliga in nome del

rappresentato stesso (art. 11 e 12 l.c.)

 Accettazione della tratta

È l’atto negoziale con cui il trattario entra nel rapporto cambiario e si obbliga a pagare la somma

indicata nel titolo (apposizione delle parole accettato, visto o sigla)

Fino a che la tratta non è accettata non sorge un’obbligazione cambiaria né vi è un debitore principale

cambiario (a differenza del pagherò) ed il traente, gli eventuali giranti e loro avallanti, sono solo

obbligati di regresso

Prima dell’accettazione il portatore della cambiale non vanta alcun diritto né può esperire l’azionecambiaria o l’azione causale 

 Ad accettazione avvenuta il trattario assume l’obbligazione di pagare come obbligato principale 

La girata

La cambiale, di regola, si trasferisce mediante girata

Non c’è definizione di girata ma, la prassi indica che si tratta di un negozio giuridico cartolare (i.e.

risultante dal titolo), unilaterale ed astratto, contenente un ordine di pagamento.  

È, in pratica, una dichiarazione scritta sul titolo con la quale il girante ordina al debitore cartolare di

effettuare il pagamento del titolo ad un altro soggetto (giratario)

La formula: “per me pagate a…”  

-  Deve essere incondizionata

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-  Gli effetti sono diversi da quelli della cessione del credito: il cessionario acquista lo stesso diritto

del cedente, il giratario acquista un diritto originario, autonomo ed immune dai vizi inerenti al

diritto del girante

Tipi di girata

Piena oppure in bianco

-  Piena: “Per me pagate al Sig. X” 

-  In bianco (senza indicazione del giratario):

il giratario può riempirla col suo nome o con quello di altra persona

o   Trasmettere la cambiale a un terzo senza riempire la girata in bianco o senza girarla. In

questo caso la cambiale circola come un titolo al portatore.

Girata per procura (o per incasso)

Es. è la girata dei clienti che scontano un effetto presso la propria banca o glielo trasmettono affinché

ne curi l’incasso 

Il giratario diviene un mandatario del girante, come tale potrà esercitare i diritti del girante ma non

potrà girarla ulteriormente a terzi

Girata in garanzia

Con questa il girante costituisce a favore del giratario (che è anche suo creditore) per garantirgli la

solvibilità del proprio debito, un pegno sul credito rappresentato dal titolo.

Il giratario assume la posizione di un creditore pignoratizio e non può girare la cambiale se non per

procura

Legittimazione del portatore

La persona che può esercitare i diritti nascenti dalla cambiale si individua in base a due elementi:

Possesso della cambiale

-  Girata

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o  Se le girate sono più d’una, occorre che la serie sia continua 

o  Se l’acquisto avviene a non domino, il possesso di buona fede attribuisce la titolarità: chi

detiene la cambiale è tenuto a verificare la continuità delle girate ma non la loro

autenticità.

***

La cambiale (seconda parte)

Pagamento

Il portatore deve presentare la cambiale al debitore per il pagamento.

o  Cambiale tratta: presentazione al trattario accettante

o   Vaglia cambiario: all’emittente. 

 Termini:

-  Cambiale a data fissa o a certo tempo data o vista: presentazione alla scadenza o in uno dei due

giorni feriali successivi (43 l.c.)

-  Cambiale a vista: deve essere presentata entro l’anno dalla data di emissione (a pena di perdita di

ogni azione cambiaria; 39 l.c.)

 Avallo

L’avallo è una dichiarazione con la quale taluno garantisce cambiariamente il pagamento della cambialeper uno degli obbligati cambiari

-   Traente;

-  Emittente; o

-  Un girante.

Si tratta di un obbligazione autonoma di garanzia: diversa dalla fideiussione poiché non ha la

caratteristica dell’accessorietà: l’avallo è indipendenti dall’obbligazione cambiaria per cui è dato 

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Caratteristiche dell’avallo 

- L’avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo è stato dato 

- L’avallante è obbligato in solido con l’avallato 

- L’avallo è indipendente dall’obbligazione cambiaria per cui è dato (ciò lo differisce dalla fideiussione) 

- L’avallante non può pretendere che il portatore escuta preventivamente l’avallato 

- L’avallante che effettui il pagamento della somma cambiaria acquista in modo autonomo i diritti

inerenti alla cambiale, accresciuti degli interessi e delle spese, nei confronti dell’avallato e di coloro che

sono obbligati cambiariamente verso quest’ultimo 

- L’avallante (poiché assume la medesima obbligazione dell’avallato) non può assoggettare il proprio

obbligo a condizioni

- È ammesso, però, l’avallo parziale, dato cioè per una sola parte della somma cambiaria 

***

Le azioni cambiarie

Il portatore di una cambiale, qualora il pagamento venga rifiutato dal trattario (tratta) o dall’emittente

(pagherò) può pretendere il pagamento da tutti gli obbligati cambiari e a tal fine può:

-  Iniziare l’esecuzione forzata sul patrimonio del debitore servendosi della cambiale come titolo

esecutivo

-  Promuovere un ordinario giudizio di cognizione

-   Avvalersi del procedimento ingiuntivo (poiché esso consente di iscrivere sollecitamente ipoteca

giudiziale).

In ogni caso l’azione cambiaria può essere: 

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-  Diretta: contro tutti gli obbligati principali (l’accettante e i suoi avallanti nella rìtratta, l’emittente

e i suoi avallanti nel pagherò)

-  Di regresso: contro gli obbligati di regresso (traente, girante e loro avallanti nella tratta; giranti e

loro avallanti nel pagherò)

NB:

-  Nei confronti degli obbligati in via diretta :

o  l’azione non è subordinata a formalità o termini di decadenza  

L’azione di regresso è subordinata al protesto e può esercitarsi:  

o  Se il pagamento non ha avuto luogo alla scadenza stabilita;

o  Se l’accettazione della tratta sia stata rifiutata in tutto o in par te

o  In caso di fallimento del trattario

o  In caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile

***

Protesto (63-73 l.c.)

-  Nei confronti degli obbligati in via diretta: l’azione non è subordinata a formalità o termini

di decadenza

-  L’azione di regresso è subordinata al protesto e può esercitarsi: 

o  Se il pagamento non ha avuto luogo alla scadenza stabilita; 

o  Se l’accettazione della tratta sia stata rifiutata in tutto o in parte 

o  In caso di fallimento del trattario 

o  In caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile 

Le azioni extracambiarie

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1.   Azione derivante dal rapporto fondamentale:

-  Questa azione permane nonostante l’emissione o trasmissione della cambiale 

-  È legata al rapporto fondamentale sottostante

-  L’esercizio è subordinato al protesto, cioè al mancato buon fine della cambiale

-  Esiste a carico del portatore l’onere di restituire la cambiale e di depositarla in

cancelleria, onde evitare rischi di duplicazione del pagamento

2.   Azione di arricchimento

-   Azionabile quando il danneggiato non può esperire né l’azione cambiaria, né altra azione

causale, ( carattere residuale  ) può essere esercitata l’azione di ingiustificato arricchimento

(art.2041 c.c. e 67 l.c.), la quale impedisce che il portatore resti danneggiato dalle

decadenze e prescrizioni cambiarie

***

Prescrizione delle azioni

-  Le azioni cambiarie contro accettante ed emittente: 3 anni dalla scadenza della cambiale

-  Le azioni del portatore contro i giranti e contro il traente: 1 anno dalla data del protesto

-  Le azioni dei giranti gli uni contro gli altri o contro il traente: 6 mesi dal giorno in cui il

girante ha pagato la cambiale

L’azione causale ha il termine di prescrizione del rapporto fondamentale 

-  L’azione di arricchimento si prescrive in un anno dal giorno della perdita dell’azione

cambiaria

***

La cambiale finanziaria

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Nozione : è un titolo di credito all’ordine, emesso in serie ed avente una scadenza non inferiore a tre

mesi e non superiore a 12 mesi dalla data di emissione

Funzione : Raccogliere denaro dai risparmiatori per investirlo nell’attività dell’emittente 

Caratteri :

1.   Titolo emesso in serie

2. 

 Titolo causale

3.  Rapporto fondamentale è quello di mutuo

4.  Deve contenere la denominazione cambiale finanziaria

L’assegno bancario 

Che cosa è un assegno bancario? Si tratta di uno strumento di pagamento. Come tale, esso rientra inuna categoria che nella prassi e nella realtà economica (prima ancora che giuridica) è in continua e

costante espansione.

Sono, tra gli altri, strumenti di pagamento:

-  L’assegno bancario 

-  L’assegno circolare 

-  La cambiale

-  Le carte di credito e di debito

-  I bonifici bancari

L’Assegno bancario

L’assegno bancario, tuttavia, è anche un titolo di credito. Esso costituisce al contempo uno strumento

di pagamento utilizzabile da chi abbia fondi disponibili presso una banca.

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Come vedremo, il contenuto di tale titolo di credito è un ordine incondizionato, rivolto dal traente ad

una banca (trattario), di pagare una somma determinata in favore di un determinato soggetto

(prenditore).

Come tale, l’assegno bancario è strettamente legato al deposito bancario che il traente ha presso labanca trattaria: sotto questo profilo è un servizio bancario accessorio al deposito regolato in

controcorrente.

Il traente (che di norma è un soggetto titolare di un conto corrente bancario) deve:

-  avere le somme disponibili presso il trattario/banca ( c.d. “rapporto di provvista”) 

-  poter disporre di tali somme a mezzo di assegno (è questa, invece, la “convenzione di

assegno”) 

***

Requisiti essenziali dell’assegno bancario 

L’assegno bancario deve contenere i seguenti requisiti:

La denominazione di “assegno bancario” -  L’ordine incondizionato di pagare la somma specificata

-  L’indicazione della banca trattaria 

-  Indicazione del luogo di pagamento

-  La data e luogo di emissione

-  La sottoscrizione autografa del traente/cliente

Regime di circolazione dell’assegno bancario 

L’assegno bancario può essere emesso «all’ordine» o «al portatore»: 

-   Assegno «all’ordine»: trasferimento mediante girata cui deve accompagnarsi la consegna del

titolo

-   Assegno «al portatore»: solo consegna del titolo

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Clausola non trasferibilità

 Tale clausola può (e, in alcuni casi deve) essere apposta sull’assegno, che in tale modo acquista maggiore

certezza nella successiva circolazione (che, per tale via, viene limitata al solo beneficiario dell’asseg no):

-  La clausola “non trasferibile” rende l’assegno non girabile, né cedibile.

o  Es.: se rubato o smarrito, il ladro o ritrovatore non possono esigere somma.

-  è obbligatoria per assegni di importo uguale o superiore a 1.000,00 € (decreto 201 Salva

Italia 06/12/11 art.12)

Nella prassi, peraltro, tale clausola è generalmente prestampata. Per evitarne l’automatica operatività iltraente deve espressamente chiederlo alla banca (e solo per importi fino a 1.000,00 con indicato codice

fiscale traente oltre che firma, comportano imposta di bollo € 1,50). 

***

L’assegno circolare

L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine, formale, emesso da un istituto di credito autorizzato

contenente la promessa di pagare –  a vista –  al prenditore, presso uno qualsiasi dei recapiti indicati, la

somma su di esso indicata.

Funzione è di consentire pagamenti senza il rischio dello spostamento materiale della moneta, cui

l’assegno circolare è equiparato perché incorpora un credito di sicura esigibilità.

L’emissione dell’assegno circolare deve essere correlata all’esistenza di somme disponibili pressol’istituto emittente (provvista); l’assegno deve essere all’ordine, cioè intestato a una persona determinata. 

La provvista è costituita g eneralmente con il versamento in contanti nelle casse dell’istituto di credito

per un importo corrispondente a quello indicato nell’assegno (copertura garantita) 

Quali altri strumenti di pagamento si sono diffusi nella prassi (con l’effetto di sostiuire i

 pagamenti in denaro e/o di dilazionare l’effettivo pagamento)? 

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1. 

Carte di credito

Le Carte di credito permettono al titolare di acquistare (tramite POS = Point of Sale) beni e/o servizi

presso qualsiasi esercizio aderente al circuito al quale la carta è abilitata o di prelevare contante (tramite

 ATM = Automatic Teller Machine) con addebito posticipato.

Le operazioni prevedono generalmente un massimale di utilizzo (  plafond  ) definito nel contratto.

Il titolare della carta, a seconda del contratto e del tipo di carta, pagherà in un’unica soluzione, di solito

ogni mese con addebito su conto corrente (carta di credito classica) oppure a rate, con gli interessi

(carta di credito revolving  )

2.  Carte di debito

Le Carte di debito permettono al titolare, in base a un contratto con la propria banca, di acquistare

(tramite POS) beni e/o servizi presso qualsiasi esercizio aderente al circuito al quale la carta è abilitata o

di prelevare contante (tramite ATM = Automatic Teller Machine) con addebito immediato sul conto

corrente collegato alla banca.

Le carte più diffuse sono le carte Bancomat e Postamat.

3.  Internet banking

Le operazioni effettuabili tramite piattaforme di internet banking offrono la possibilità di accedere a

servizi bancari e servizi complementari a quelli bancari da un personal computer (es. bonifici,

pagamenti utenze e bollettini postali, dichiarazioni su modello unificato F24, trading online, ecc.)

La sicurezza è garantita da: credenziali di accesso (codice utente + pw) + dispositivo di firma digitale

per confermare le operazioni (PIN).

PIN = Personal Identification Number

Una delle operazioni più frequenti sull’internet banking è il bonifico, con il quale si trasferiscono le

somme da un conto corrente all’altro, anche di banche diverse. Chi invia la somma è l’ordinante,

mentre chi la riceve è il beneficiario. Quando il trasferimento avviene tra conti della stessa banca, il

bonifico si chiama giroconto.

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Per effettuare un bonifico via internet banking è necessario avere, oltre alle credenziali, il dispositivo di

firma digitale e le coordinate bancarie del beneficiario o IBAN.

IBAN

Le coordinate bancarie (IBAN) 

Dal 1 gennaio 2008 è in uso e, dal 30 giugno 2008 è obbligatorio per effettuare bonifici, il codice IBAN 

( International Bank Account Number  ), cioè la codifica internazionale che permette di identificare

univocamente a livello internazionale un conto bancario (rappresentano l’”indirizzo” del conto).

Il sistema è in uso nei Paesi della zona Euro, in Svizzera, Islanda, Danimarca e Gran Bretagna. L’Iban è

un codice alfanumerico definito a livello internazionale e consiste in:

Sigla Internazionale rappresentante la nazione (2 lettere) (IT = Italia)

Numeri di controllo (2 cifre)

CIN (Control Internal Number ) = è un codice di controllo che viene generato dai codici CAB, ABI

e dal numero di conto corrente

 ABI (Associazione bancaria Italiana) = è un codice composto da 5 cifre con il quale l’ABI individua

la banca (non la singola filiale, bensì l’azienda bancaria). 

CAB (Codice di Avviamento Bancario) è un numero composto da 5 cifre e rappresenta l’agenzia o la

filiale della banca.

Numero di conto corrente (c/c) = è un codice alfanumerico, composto da 12 caratteri, che identifica

il conto corrente presso la filiale. Se il numero di conto si compone di meno di 12 caratteri, il codice

deve essere preceduto da zeri.

IBAN (International Bank Account Number)

In Italia il codice IBAN è lungo 27 caratteri.

Il codice BIC ( Bank Identifier Code  ) è un codice utilizzato nei pagamenti internazionali per identificare la

banca del beneficiario per effettuare trasferimenti di denaro mediante bonifico internazionale (SWIFT).

Il BIC si compone di 8 - 11 caratteri alfanumerici (es. CREGIT10C).

Procedure concorsuali - Introduzione

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Il “diritto fallimentare” è quella branca del diritto commerciale che riguarda l’insieme delle norme che

regolano le cd. procedure concorsuali:

-  il fallimento,

-  il concordato preventivo,

-  la liquidazione coatta amministrativa; e

-  l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, nonché, fino al 15-7-2006,

l’amministrazione controllata, ora abrogata dal D.Lgs. n. 5/2006. 

Le procedure concorsuali sono disciplinate dal R.D. 16-3-1942, n. 267 (cd. legge fallimentare) che hasubito, nel corso del tempo, innumerevoli modificazioni

***

I principi generali del diritto fallimentare

Prima di analizzare le singole procedure concorsuali, è opportuno richiamare i principi che informano

la materia fallimentare nel suo complesso:

-  responsabilità patrimoniale del debitore

-   par condicio creditorum.

La responsabilità del debitore

Come noto, il Titolo III del Libro VI del codice civile (“La tutela dei diritti”) è dedicato alla

responsabilità patrimoniale, alle cause di prelazione e alla conservazione della garanzia patrimoniale.

Si tratta di disposizioni volte a tutelare il diritto del creditore di soddisfarsi sui beni del debitore in caso

di inadempimento e si apre con l’enunciazione dei due principi fondamentali che governano la materia: 

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-  l’art. 2740 c.c., come noto, stabilisce che “il debitore risponde dell’adempimento delle

obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.

È questo il principio della responsabilità patrimoniale, che può essere definito come la soggezione del

patrimonio del debitore al diritto di soddisfacimento coattivo dei creditori (Bianca), che si attuaattraverso l’espropriazione forzata; 

Inoltre:

-  il successivo art. 2741 c.c. stabilisce che “i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui

beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i

privilegi, il pegno e le ipoteche”.

È questo il principio della par condicio creditorum (parità di trattamento dei creditori), che sanciscecome i creditori abbiano tutti eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore.

 Alla luce di queste disposizioni, se un debitore ha più creditori:

- questi devono essere soddisfatti attraverso un procedimento che soddisfi la parità di trattamento;

- ma implica anche che ove il patrimonio di un debitore sia insufficiente a soddisfare il credito di tutti,

ciascun creditore deve rinunciare a una parte del proprio diritto a vantaggio degli altri, in quanto tutti i

creditori devono essere soddisfatti in proporzioni uguali (fatte salve, ovviamente, le cause legittime diprelazione).

***

Quando il debitore non esegue spontaneamente la prestazione dovuta al creditore, quest’ultimo può

proporre un’azione giudiziaria al fine di ottenere la realizzazione forzata del proprio diritto.

 Tale azione detta “esecutiva” perché è diretta a conseguire l’adempimento della prestazione anchecontro la volontà del debitore, attraverso il pignoramento dei beni del debitore e la successiva vendita

forzata degli stessi (volta ad ottenere una somma di denaro che possa soddisfare il credito non

adempiuto).

L’azione esecutiva del creditore insoddisfatto, è di regola, un’azione individuale: essa viene promossa

dal creditore (individualmente) nei confronti del debitore. Essa, in quanto tale, giova infatti al creditore

che l’ha promossa. Tuttavia, l’azione individuale, può eventualmente giovare anche agli altri creditori

che, venuti a conoscenza dell’azione, decidano di intervenirvi nel processo esecutivo.

Caratteri dell’azione individuale 

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-  può essere proposta solo dal creditore munito di un titolo esecutivo (ad esempio, una sentenza

che abbia accertato un credito nei confronti di un debitore inadempiente, decreto ingiuntivo,

cambiale bollata);

- non colpisce tutti i beni del debitore ma solo uno o più beni specifici “aggrediti” dal creditorestesso (ad esempio, un bene immobile o il conto corrente del debitore)

***

Caratteristiche  completamente diverse hanno, invece, le cd.  procedure concorsuali, le quali sono

dirette a tutelare i creditori di un’impresa insolvente, cioè di un’impresa che non è in grado di pagare

regolarmente i propri debiti.

 Tali procedure sono dette concorsuali  proprio  perché coinvolgono tutti i creditori

dell’imprenditore, i quali concorrono sul patrimonio di questo. In tal modo, si cerca di attuare la parità

di trattamento dei creditori prevista dall’art. 2741 c.c.: i creditori saranno soddisfatti tutti integralmente

o, se ciò non è possibile, tutti nella stessa proporzione (nelle esecuzioni individuali, invece, vale il

principio della priorità: chi agisce per primo si soddisfa integralmente).

Quali sono le differenze tra una procedura esecutiva individuale e le procedure concorsuali?

1.  la procedura individuale è rivolta al soddisfacimento di un singolo creditore, mentre la

procedura concorsuale tende ad assicurare la soddisfazione di tutti i creditori in misura eguale

(  par condicio creditorum  ) tenendo conto delle legittime cause di prelazione;

2.  l’avvio di una procedura concorsuale non consente né l’inizio né la prosecuzione di azioni

esecutive individuali, che rimangono assorbite in quella concorsuale;

3.  l’esecuzione collettiva investe l’intero patrimonio del debitore, ad eccezione dei beni dichiarati

impignorabili, mentre l’esecuzione individuale colpisce solo determinati beni del debitore e fino

all’integrale soddisfacimento del credito; 

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4.  per promuovere l’esecuzione individuale è sufficiente l’iniziativa del creditore munito di titolo

esecutivo, mentre l’esecuzione collettiva può avere inizio, anche su iniziativa di un solo

creditore, ma solo previa emanazione di un provvedimento (di norma, di carattere

giurisdizionale) che accerti la sussistenza dei presupposti di legge;

***

Le singole procedure concorsuali

Le procedure concorsuali previste dal R.D. 16-3-1942, n. 267 (cd. legge fallimentare) e da altre

disposizioni speciali sono:

-  il fallimento 

è la procedura concorsuale con la quale si realizza la liquidazione del patrimonio del debitoreinsolvente allo scopo di dividere il ricavato fra tutti i creditori;

-  il concordato preventivo,

consiste in un accordo tra l’imprenditore e i suoi creditori, concluso sotto il controllo e con

l’approvazione del Tribunale, attraverso il quale il primo può superare un momento di crisi

dell’impresa, evitando nel contempo la dichiarazione di fallimento; 

- la liquidazione coatta amministrativa 

una procedura concorsuale a carattere amministrativo, nel senso che la liquidazione dell’impresa

è attuata da organi amministrativi e non da organi giudiziari. Si tratta di una procedura che si

applica a una serie di imprese indicate da leggi speciali (imprese bancarie, imprese assicurative,

società cooperative etc.) le quali, anche se in misura e secondo modalità diverse, sono tutte

assoggettate ad un’attività di vigilanza da parte della pubblica amministrazione, giustificata dalla

particolare importanza collettiva che riveste l’attività da esse svolta;

-  l’amministrazione controllata 

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(abrogata dal D.Lgs. n. 5/2006, che tende ad evitare la liquidazione dell’impresa consentendo,

all’imprenditore che si trovi in uno stato di temporanea difficoltà, di proseguire la propria

attività per un periodo non superiore a due anni, sotto il controllo di un commissario giudiziale

e del giudice delegato.

-  L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi

La L. 3-4-1979, n. 95 aveva introdotto un’ulteriore procedura concorsuale, l’amministrazione

straordinaria delle grandi imprese in crisi, successivamente riformata con il D.Lgs. 8-7-1999, n.

270, nella quale si ritrovano elementi del fallimento ed elementi della liquidazione coatta

amministrativa, in quanto la finalità di liquidazione si coniuga con quella di conservazione delle

grandi imprese

Il fallimento

Sono presupposti della dichiarazione di fallimento le regole che delimitano la cd. area della fallibilità, 

individuando le ipotesi in cui la crisi dell’impresa debba essere gestita sotto il controllo giurisdizionale.

Si distingue, tradizionalmente, tra presupposti:

- oggettivi e

- soggettivi.

I presupposti soggettivi 

 Art. 1 l. fall. “Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo” 

“Sono soggetti   alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che

esercitano una attività commerciale  , esclusi gli enti pubblici.

Non sono soggetti  alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo  gli imprenditori  di cui al

 primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti :

a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti  la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se

di durata inferiore, un attivo patrimoniale   di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro

trecentomila ;

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b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o

dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non

superiore ad euro duecentomila ;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti  non superiore ad euro cinquecentomila .

I limiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del

 Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie

di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento”. 

*** 

L’art. 1, comma 2°, l. fall., (modificato dal d.lgs. 9.1.2006, n. 5 e dal d.lgs. 12.9.2007,  n. 169), stabilisce

dei parametri quantitativi ai fini della individuazione dell’imprenditore sottoponibile a fallimento.

Falliscono, quindi, solo gli imprenditori che superino tali parametri.

La norma non utilizza più la precedente espressione di “piccolo imprenditore”. L’art. 1 l. fall. del 1942

escludeva i piccoli imprenditori dall’ambito dei soggetti sottoposti al fallimento, e ciò per l’ovvia

considerazione che la procedura di fallimento, con i suoi costi e la sua complessa organizzazione,

appariva, inadeguata alla gestione della crisi delle piccole imprese. Originariamente, per definire il del

piccolo imprenditore (ai sensi della l. fall.) venivano poi individuati due parametri, uno di carattere

fiscale (il minimo imponibile dell’imposta di ricchezza  mobile), l’altro quantitativo (capitale investito

pari a lire 900.000). Il primo criterio venne meno già nel 1973 con la riforma tributaria, che abolì

l’imposta di ricchezza mobile; il secondo, divenuto esiguo a seguito della svalutazione monetaria, venne dichiarato incostituzionale nel 1989, ma era già di fatto da tempo disapplicato da numerosi tribunali.

 Anche l’art. 2221 c.c. prevedeva che non fossero soggetti al fallimento ed al concordato preventivo i

piccoli imprenditori, e che l’art. 2083 c.c. conteneva l’unica definizione di piccolo imprenditore presente

nel nostro ordinamento, il criterio ivi indicato, quello della «prevalenza del lavoro proprio e della

propria famiglia» sul lavoro altrui e sul capitale investito, è stato quello utilizzato, sino alla riforma del

2006, dai tribunali fallimentari per individuare la «soglia minima» di fallibilità dell’imprenditore

commerciale. Con la conseguenza di generare da un canto una assoluta disomogeneità dicomportamenti tra i vari tribunali, vista la genericità della formulazione dell’art. 2083 c.c., ma

soprattutto di causare, dall’altro, la dichiarazione di fallimento di imprese di piccole dimensioni,

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fallimenti quindi antieconomici e spesso assolutamente inutili. Da qui l’esigenza del legislatore della

riforma di sganciare definitivamente i presupposti di fallibilità dall’art. 2083 c.c., dettando criteri certi,

omogenei e di facile applicabilità.

***

I criteri quantitativi dell’art. 1, co. 2, l. fall. 

- L’attivo patrimoniale   (lett. a  ) è un parametro specifico, identificabile nell’attivo dello stato

patrimoniale di cui all’art. 2424 c.c. (immobilizzazioni ed attivo circolante).

 Tale attivo di bilancio non deve superare l’ammontare complessivo annuo di euro trecentomila.

- I ricavi lordi (lett. b) : questo parametro è sembrato funzionale a riservare la procedura

fallimentare solo a imprese che abbiano una certa rilevanza nel mercato. Il dato dei ricavi lordi

si desume dai dati di conto economico di cui all’art. 2425 c.c.. La nozione non coincide

necessariamente con quella di fatturato (non sembra, infatti, logico tenere conto di eventualiricavi straordinari realizzati in un particolare esercizio a causa, ad esempio, dell’alienazione di

cespiti ed immobilizzazioni non rientranti nella tipica attività d’impresa).

- L’esposizione debitoria (lett. c)  è stata introdotta quale criterio ulteriore dal d. lgs. 12.9.2007,

n. 169, in base alla considerazione che per valutare le ridotte dimensioni dell’impresa ai fini della

fallibilità non è sufficiente il dato patrimoniale positivo dei ricavi lordi, ma è necessario il datodell’indebitamento, potendo certamente ipotizzarsi che una impresa commerciale, pur priva nel

triennio precedente di ricavi significativi, abbia dimensioni rilevanti desumibili da un

significativo indebitamento.

***

L’opzione di utilizzare parametri oggettivi/quantitativi ha risolto molti problemi interpretativi.

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 Tuttavia, qualche problema si pone ancora nell’ipotesi in cui l’imprenditore insolvente sia un

imprenditore individuale: mentre le società esauriscono il loro patrimonio, attivo e passivo, nei rapporti

aziendali, e solo in relazione ad esso va valutata la presenza o meno dei requisiti di fallibilità, gli

imprenditori individuali hanno un patrimonio anche estraneo ed ulteriore a quello tipicamente

riconducibile all’attività d’impresa (il loro patrimonio personale) che peraltro viene anch’esso coinvolto

nella procedura fallimentare. I criteri dell’art. 1, co. 2 vanno applicati all’intero patrimonio

dell’imprenditore o solo a quello d’”impresa”?

La dottrina dominante ritiene che i tre criteri, con esclusione forse solo di quello dei ricavi lordi, vadano

applicati all’intero patrimonio dell’imprenditore individuale (Sandulli).

Si veda Cass., sez. I, 04-06-2012, n. 8930.

“ Ai fini della sussistenza del pr esupposto dell’insolvenza, l’ordinamento italiano non distingue

tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della natura civile o commerciale di essi,

in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa

alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del

debitore al fallimento; solo l’alterità soggettiva (ad esempio, in caso di impresa gestita tramite

una società di capitale unipersonale) introduce un criterio diverso di imputazione dei rapporti

obbligatori, in base al principio dell’autonomia patrimoniale perfetta  (nella specie, la suprema corte harigettato il motivo di ricorso avverso la sentenza, che aveva ritenuto raggiunto il limite di indebitamento richies to dall’art. 1

l.fall., nonostante la dedotta natura civile e non commerciale del debito costituito da fideiussioni rilasciate prima dell’in izio

dell’attività imprenditoriale).” 

***

La prova

L’art. 1 l. fall. ha stabilito che non sono soggetti al fallimento gli imprenditori commerciali che dimostrino  il

 possesso congiunto dei tre requisiti di non fallibilità. L’onere della prova grava sull’imprenditore insolvente.

L’imprenditore, per evitare il fallimento, deve quindi dimostrare documentalmente di trovarsi “al di

sotto” dei tre parametri. 

Si veda, a tale proposito, Cass., sez. I, 23-07-2010, n. 17281:

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“In tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, l’art. 1, 2º comma, l.fall., nel testo modificato dal d.leg. 12

settembre 2007 n. 169, pone a c arico del debitore l’onere di provare di essere esente dal fallimento,

così gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei parametri ivi

 prescritti  , mentre il potere di indagine officiosa è residuato in capo al tribunale, pur dopo l’abrogazione dell’iniziativa

d’ufficio e tenuto conto dell’esigenza di evitare la pronuncia di fallimenti ingiustificati, potendo il giudice tuttora assum ere

informazioni urgenti, ex art. 15, 4º comma, l.fall., utilizzare i dati dei ricavi lordi in qualunque modo essi risultino e

dunque a prescindere dalle allegazioni del debitore, ex art. 1, 2º comma, lett. b), l.fall., assumere mezzi di prova officiosi

ritenuti necessari nel giudizio di impugnazione ex art. 18 l.fall.; tale ruolo di supplenza, volgendo a colmare le lacune delle

 parti, è però necessariamente limitato ai fatti da esse dedotti quali allegazioni difensive ma non è rimesso a presupposti

vincolanti, richiedendo una valutazione del giudice di merito competente circa l’incompletezza del materiale probat orio,

l’individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonchè la sua concreta acquisibilità e rilevanza

decisoria.”  

***

Il presupposto oggettivo

L’art. 5 l. fall. si occupa del presupposto oggettivo del fallimento, stabilendo che:

“L'imprenditore che si trova in stato d'insolvenza è dichiarato fallito.

Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore

non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni ”. 

Presupposto oggettivo del fallimento è una situazione di difficoltà economica riguardante l’impresa, che

genera l’impossibilità di far fronte “regolarmente” alle obbligazioni assunte. 

Si ritiene comunemente che tale situazione non debba essere momentanea e transitoria, ma che debba

consistere in una condizione ormai patologica dell’impresa, tale da non consentirle di onorare le

obbligazioni assunte con mezzi ordinari.

Si vedano, sul punto:

Cass., sez. I, 07-06-2012, n. 9253

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“Lo stato di insolvenza dell’i mprenditore commerciale deve essere accertato, ai fini della

dichiarazione di fallimento, attraverso una valutazione globale, sia quantitativa che qualitativa,

dei suoi debiti e dei suoi crediti ed a prescindere dalle cause che l’hanno determinato   (in

applicazione di questo principio, la suprema corte ha ritenuto corretta la decisione di merito, la quale, nel dichiarare il

 fallimento, ha ritenuto irrilevante che l’attività imprenditoriale fosse stata ridimensionata dall’assoggettamento ad un

sequestro, disposto illegittimamente dall’autorità giudiziaria)”. 

***

Cass., sez. I, 08-08-2013, n. 19027:

“Lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale, consistendo, anche prima della riforma

della legge fallimentare   (nella specie inapplicabile ratione temporis) introduttiva delle soglie di fallibilità, nella

impossibilità per quest’ultimo di soddisfare regolarmente le sue obbligazioni, non suppone, necessariamente,

l’esistenza di inadempimenti, né è da essi direttamente deducibile, essendo gli stessi, se

effettivamente riscontrati, equiparabili agli altri fatti esteriori idonei a manifestare quello stato,

con valore, quindi, meramente indiziario, da apprezzarsi caso per caso, e con possibilità di

escludersene la rilevanza ove si tratti di inadempimento irrisorio ”. 

***

Lo stato di insolvenza non si identifica, quindi, con un inadempimento (l’imprenditore che non

adempie un’obbligazione, pur avendo disponibilità patrimoniali “non liquide” non è “insolvente”).

L’insolvenza è una condizione più grave, che si manifesta quando l’imprenditore sia incapace di far

fronte alle proprie obbligazioni mediante l’utilizzo delle risorse economiche prodotte dall’impresa.

***

La dichiarazione di fallimento

l fallimento può essere dichiarato:

- su ricorso dello stesso imprenditore/debitore;

-su ricorso di uno o più creditori;

- su richiesta del pubblico ministero

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(e, non più, d'ufficio dal tribunale).

Competente a decidere sul ricorso per la dichiarazione di fallimento è, a norma dell'art. 9 l.fall. il

tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa, e lo stesso art. 9 specifica che

"il trasferimento della sede intervenuto nell'anno antecedente all'esercizio dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento

non rileva ai fini della competenza ". In tal modo il legislatore ha posto una presunzione che rende “fittizi” ex

lege tutti i trasferimenti di sede attuati in detto periodo, a vantaggio della velocizzazione della

procedura.

ll procedimento per la dichiarazione di fallimento segue il rito camerale ed è disciplinato dall'art. 15 l.

fall. nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.

La notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento è a cura del ricorrente. Con le modifiche

introdotte dal D.L. n. 179 del 2012, convertito nella legge n. 221 del 2012, a decorrere dall'1.1.2014:

"Il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, all'indirizzo di posta elettronica certificata del

debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle

imprese e dei professionisti. L'esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all'indirizzo di posta

elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito

 positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell'articolo107, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal

registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito

dell'atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito

stesso. L' udienza è fissata non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso e tra la data della comunicazione o

notificazione e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni ".

Notificato il ricorso, ha luogo una fase istruttoria (art. 15 l. fall., c.d. “istruttoria prefallimentare”).

 Alla conclusione del procedimento istruttorio (volto ad accertare i presupposti del fallimento),

l’eventuale sentenza che dichiara il fallimento è notificata (art. 17 l. fall.) al debitore ed è comunicata per

estratto al pubblico ministero, al curatore ed al richiedente il fallimento.

La sentenza è altresì annotata presso l'ufficio del registro delle imprese ove l'imprenditore ha la sede

legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la

procedura è stata aperta.

Il fallimento

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Gli organi del fallimento del fallimento sono:

1.  Tribunale:competente è quello dove l’impresa in crisi ha la sede principale (che può anche non coinciderecon quella legale), è l’organo che dichiara il fallimento, nomina il Giudice Delegato ed ilcuratore, di cui sorveglia l’operato e dispone la chiusura della procedura. 

2.  Giudice Delegato:è l’organo che dirige l’intero fallimento, operando in stretto contatto con il curatore, assicura lapar condicio creditorum.

3.  Curatore:è l’organo al quale compete l’amministrazione della procedura concorsuale, si occupa dellacustodia e della successiva liquidazione delle attività fallimentari seguendo le istruzioni del

Giudice Delegato.

4.  Comitato dei creditori:rappresenta tutti i creditori concorsuali, svolge funzioni consultive con pareri facoltativi,obbligatori o vincolanti. Inoltre, esercita anche specifici poteri di ispezione e controllosull’operato del curatore e del fallito. 

Quale è il rapporto fra detti organi?

•  Gli organi giudiziari sono sovraordinati al curatore, sul quale esercitano la vigilanza.• 

 Al curatore sono attribuiti poteri in parte sovraordinati anche il comitato dei creditori.•  Il curatore compie atti e negozi come organo esterno della procedura, gli altri organi

compiono atti amministrativi che esauriscono la loro efficacia all’interno della procedura 

***

Il Tribunale fallimentare (art. 23 l. fall.)

 –   È investito dell’intera procedura, 

 –  

Nomina, revoca o sostituisce giudice delegato e curatore. –   Decide sui reclami contro i decreti del giudice delegato.

 –   Provvede sulle controversie relative alla procedura stessa che non sono di competenza delgiudice delegato.

 –   Può in ogni tempo sentire in camera di consiglio il curatore, il fallito e il comitato dei creditori.

 –   Il giudice delegato deve riferire al tribunale.

 –   Il tribunale che ha dichiarato il fallimento e' competente a conoscere di tutte le azioni che nederivano, qualunque ne sia il valore (art. 24 l.f.). Occorre stabilire se l’azione deriva dalfallimento od apparteneva alla posizione del fallito.

 –   ***

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Il Giudice delegato

 –    Vigila e controlla il curatore ed il comitato dei creditori. La vigilanza del GD riguarda la

regolarità della procedura e non si estende al merito. In particolare –   Inoltre (art. 25, 1° co., l. fall):

o  1) riferisce al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento delcollegio;

o  2) emette o provoca dalle competenti autorità i provvedimenti urgenti per laconservazione del patrimonio, ad esclusione di quelli che incidono su diritti di terzi cherivendichino un proprio diritto incompatibile con l'acquisizione;

o  3) convoca il curatore e il comitato dei creditori nei casi prescritti dalla legge e ogniqualvolta lo ravvisi opportuno per il corretto e sollecito svolgimento della procedura;

o  4) su proposta del curatore, liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico

conferito alle persone la cui opera e' stata richiesta dal medesimo curatore nell'interessedel fallimento;o  5) provvede, nel termine di quindici giorni, sui reclami proposti contro gli atti del

curatore e del comitato dei creditori;o  6) autorizza per iscritto il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto.

L'autorizzazione deve essere sempre data per atti determinati e per i giudizi deve essererilasciata per ogni grado di essi. Su proposta del curatore, liquida i compensi e disponel'eventuale revoca dell'incarico conferito ai difensori nominati dal medesimo curatore;

o  7) su proposta del curatore, nomina gli arbitri, verificata la sussistenza dei requisitiprevisti dalla legge;

o  8) procede all'accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali vantati dai terzi.

Inoltre, il Giudice delegato:o  Ha un limitato potere di autorizzazione di atti del curatore. Autorizza esercizio

provvisorio, affitto d’azienda e di una serie di ulteriori atti tra cui la costituzione in

giudizio. Autorizza gli atti di straordinaria amministrazione di ammontare superiore ad

un certo importo e le transazioni.

o  Decide sui reclami contro gli atti e le emissioni del curatore e del comitato dei creditori.

o  Si sostituisce al comitato dei creditori nell’emanazione delle autorizzazioni (non dei

pareri) di competenza di quest’ultimo in caso di inerzia, di impossibilità di costituzioneper insufficienza di numero o indisponibilità dei creditori o di funzionamento del

comitato o d’urgenza. 

o  Riceve le relazioni del curatore ex art. 33 LF.

o  Il giudice delegato non può trattare i giudizi che abbia autorizzato, né può far parte del

collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti (art. 25, 2° co., lf).

***

Il curatore

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 –   Il curatore è nominato con la sentenza di fallimento, o in caso di sostituzione o di revoca, con

decreto del tribunale (art. 27).

 –   Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore (art. 28, 1° co.):

avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;o  studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse

abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all'atto dell'accettazione

dell'incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;

o  coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società

per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia

intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento

 – 

 

Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado delfallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell'impresa durante i due anni anteriori

alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il

fallimento (art. 28, 2° co.).

 –   Il curatore deve, entro i due giorni successivi alla partecipazione della sua nomina, far pervenire

al giudice delegato la propria accettazione (art. 39, 1° co.).

 –   Se il curatore non osserva questo obbligo, il tribunale, in camera di consiglio, provvede

d'urgenza alla nomina di altro curatore (art. 39, 2° co.).

o  Il curatore, per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni, è pubblico ufficiale (art. 30

l. f.)

 –    Al curatore è affidata l’amministrazione del patrimonio fallimentare (art. 31, 1° co.), è l’organo

propulsivo della procedura alla cui iniziativa è condizionata la conservazione e la liquidazione

del patrimonio del debitore.

 –   E’ l’organo che rappresenta la procedura. 

 –   Dispone di un’ampia autonomia nella gestione liquidativa, che non è condizionata dalla

disciplina del c.p.c., fermo restando che le scelte del curatore vanno inserite nel programma di

liquidazione (entro 60 gg. dalla redazione dell’inventario) che deve essere approvato dal

comitato dei creditori.

 –   Non è necessaria un’autorizzazione per ogni atto, ma vi è un’autorizzazione globale da parte del

GD dopo l’approvazione del programma da parte del comitato dei creditori (art. 104 ter, ult.

co.).

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 –   Il curatore può scegliere autonomamente i collaboratori (compresi i difensori) e della banca o

ufficio postale presso cui aprire il conto della procedura.

 –   Le attribuzione del curatore hanno carattere personale, derogabile, per specifiche operazioni

con l’autorizzazione del comitato dei creditori (art. 32, 1° co.). Non sono comunque derogabili:la redazione degli elenchi creditori e titolari di diritti reali (art. 89), la redazione del progetto di

stato passivo e la partecipazione all’udienza di accertamento (art. 95), l’avviso ai creditori e agli

interessati (art. 92), la comunicazione dell’esito del procedimento di accertamento dello SP (art .

97), la redazione del programma di liquidazione (art. 104 ter). L’onere per il compenso del

delegato, liquidato dal GD, è detratto dal compenso del curatore (art. 32, 1° co., lf).

 –   Il curatore non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato, salvo che in

materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti alfallimento, e salvo che nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del

tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore (art. 31, 2° co.).

 –   Il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento (art.

31, 3° co.).

 –   Il curatore può essere autorizzato dal comitato dei creditori, a farsi coadiuvare da tecnici o da

altre persone retribuite, compreso il fallito, sotto la sua responsabilità. Del compenso

riconosciuto a tali soggetti si tiene conto ai fini della liquidazione del compenso finale del

curatore (art. 32, 2° co.)

La relazione del curatore (art. 33 l. fall.)

 –   Il curatore, entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento, deve presentare al giudice

delegato una relazione particolareggiata (1° co.):

sulle cause e circostanze del fallimento,o  sulla diligenza spiegata dal fallito nell'esercizio dell'impresa,

o  sulla responsabilità del fallito o di altri

o  e su quanto può interessare anche ai fini delle indagini preliminari in sede penale.

 –   Se si tratta di società, la relazione deve esporre i fatti accertati e le informazioni raccolte sulla

responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo, dei soci e, eventualmente, di

estranei alla società (3° co.).

 –  

Il curatore deve inoltre indicare gli atti del fallito già impugnati dai creditori, nonché quelli che

egli intende impugnare (2° co.).

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 –   Il giudice delegato ordina il deposito della relazione in cancelleria, disponendo la segretazione

delle parti relative alla responsabilità penale del fallito e di terzi ed alle azioni che il curatore

intende proporre qualora possano comportare l’adozione di provvedimenti cautelari, nonché

alle circostanze estranee agli interessi della procedura e che investano la sfera personale delfallito (4° co.).

 –   Copia della relazione, nel suo testo integrale, è trasmessa al pubblico ministero (5° co.).

Inoltre

 –   Il curatore, ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione, redige altresì un rapporto

riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni raccolte dopo

la prima relazione, accompagnato dal conto della sua gestione (6° co.).

Il comitato dei creditori (art. 40 l. fall.)

 –   Il comitato dei creditori è nominato dal giudice delegato entro trenta giorni dalla sentenza di

fallimento sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori che, con la

domanda di ammissione al passivo o precedentemente, hanno dato la disponibilità ad assumere

l'incarico ovvero hanno segnalato altri nominativi aventi i requisiti previsti. La composizione del

comitato può essere modificata dal giudice delegato in relazione alle variazioni dello statopassivo o per altro giustificato motivo (art. 40, 1° co., lf).

 –   Il comitato è composto di tre o cinque membri scelti tra i creditori, in modo da rappresentare in

misura equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di

soddisfacimento dei crediti stessi (art. 40, 2° co., lf).

 –   Il comitato, entro dieci giorni dalla nomina, provvede, su convocazione del curatore, a

nominare a maggioranza il proprio presidente (art. 40, 3° co., lf).

 –  

Il componente del comitato che si trova in conflitto di interessi si astiene dalla votazione (art.

40, 4° co., lf).

 –   Il presidente convoca il comitato per le deliberazioni di competenza o quando sia richiesto da

un terzo dei suoi componenti (art. 41, 2° co., lf).

 –   Le deliberazioni del comitato sono prese a maggioranza dei votanti, nel termine massimo di

quindici giorni successivi a quello in cui la richiesta é pervenuta al presidente. Il voto può essere

espresso in riunioni collegiali ovvero per mezzo telefax o con altro mezzo elettronico o

telematico, purché sia possibile conservare la prova della manifestazione di voto (art. 42, 3° co.,

lf).

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 –   Dispone di un potere di autorizzazione degli atti del curatore.

 –   Poteri:

- di iniziativa: può proporre reclamo contro i decreti del GD (art. 26, 2° co, LF) e

chiedere la revoca del curatore (art. 37, 1° co., LF),- ispettivi e di informativa: ogni membro può ispezionare le scritture contabili e dei

documenti della procedura e chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito (art.

41, 5° co., LF),

- consultivi: esprime il proprio parere quando lo richiede la legge o è richiesto dal

 Tribunale o dal GD (art. 41, 1° co.),

- di vigilanza sulla gestione del curatore (art. 41, 1° co.),

-di autorizzazione: della delega di attribuzione da parte del curatore (art. 32, 1° co.), dellanomina dei coadiutori (art. 32, 3° co.), degli atti di straordinaria amministrazione (art.

35, 1° co.), del subentro nei contratti in corso di esecuzione (art. 72, 1° co.).

 –    Ai membri del comitato dei creditori spetta il rimborso delle spese. L’assemblea dei creditori

può attribuire un compenso in misura non superiore al 10% di quello liquidato al curatore.

 –   Nella designazione si deve procedere tenendo conto delle dichiarate disponibilità all’assunzione

dell’incarico (art. 40, 1° co.). 

 –  

Il Giudice delegato si sostituisce al comitato dei creditori in caso di inerzia, impossibilità di

funzionamento o di urgenza ed in caso di impossibilità di costituzione per insufficienza di

numero o indisponibilità dei creditori (art. 41, 4° co.).

 –   I membri del comitato possono delegare l’espletamento delle funzioni, ma solo a soggetti in

possesso dei requisiti per nomina a curatore (ar. 40, ult. co.).

 –   Le deliberazioni possono essere adottate, oltre che con il metodo collegiale, anche attraverso

referendum con l’utilizzo di mezzi telematici.

 –    Ai componenti del comitato dei creditori si applica, in quanto compatibile, l'art. 2407, primo e

terzo comma, del codice civile (art. 41, 7° co.).

 –   L'azione di responsabilità può essere proposta dal curatore durante lo svolgimento della

procedura (art. 41, 8° co.).

 –   Con il decreto di autorizzazione il giudice delegato sostituisce i componenti del comitato dei

creditori nei confronti dei quali ha autorizzato l'azione (art. 41, 9° co.).

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L’assemblea dei creditori 

 –   Non è un organo istituzionalizzato, ma ha un ruolo nella designazione del curatore e dei

componenti del comitato dei creditori.

 –  

Una volta conclusa l’adunanza dei crediti per l’esame dello stato passivo e prima delladichiarazione di esecutività i crediti che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi

possono:

1.  effettuare nuove designazione in ordine di ai componenti del comitato dei creditori,

2.  chiedere la sostituzione del curatore indicando al tribunale le ragioni della richiesta e un

nuovo membro.

 –    A entrambe le sostituzioni provvede il tribunale (art. 37 bis, 1° co.).

 –  

La sostituzione dei membri del comitato non può essere rifiutata purché siano rispettati i criteri

di cui all’art. 40 LF. 

Quella del curatore può essere rifiutata quando il nominativo richiesto non possieda i

requisiti di cui all’art. 28 LF e quando risultano infondate le ragioni della richiesta di

sostituzione

Gli effetti del fallimento

Dalla dichiarazione di fallimento discendono molteplici effetti.

Seguendo l’indicazione normativa, possiamo distinguerli in quattro categorie:

effetti per il fallito;-  effetti per i creditori;

-  effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori;

-  effetti sui rapporti giuridici preesistenti.

***

 Ai sensi dell’art. 42 l.fall.: 

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La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla su a data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità

dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento.

Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività

incontrate per l ’acquisto e la conservazione dei beni medesimi.

Con il fallimento, dunque, tutti i beni del debitore sono appresi alla procedura e sono

univocamente destinati al soddisfacimento dei creditori, il che, d’altra parte, concreta la

stessa finalità della procedura, ed è in definitiva della clausola di applicazione generale data

dall’art. 2740 cc. ai sensi del quale il debitore è responsabile per le obbligazioni contratte contutti i propri beni presenti e futuri.

L’ultimo comma della norma detta un principio particolare: si dispone infatti che il curatore,

previa, autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che

pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro

acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni

stessi.

L’art. 44 l. fall. si preoccupa poi di dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal fallimento dopo la

dichiarazione di fallimento. E infatti, con l’apertura della procedura il fallito perde sia

l’amministrazione che la disponibilità dei suoi beni, (si parla di spossessamento).

E’ chiaro dunque che egli non può continuare ad operare dopo il fallimento e che se lo fa

ugualmente gli atti compiuti non possono che essere colpiti da inefficacia nei confronti dei

creditori.

 Va precisato tuttavia che l’effetto di spossessamento non comporta la perdita della proprietà

dei beni e che esso non riguarda tutti i beni del fallito. Ve ne sono infatti taluni che, per il loro

carattere personale, sono sottratti a tale regime. L’art. 46 provvede ad individuarlispecificamente. Essi sono:

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1) i beni ed i diritti di natura strettamente personale;

2) gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito

guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e

della famiglia;

3) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo

patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile. 

4) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

La norma si completa poi con la previsione dell’art. 47 ai sensi del quale: 

Se al fallito vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore ed il comitato dei

creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia.

La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della suafamiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività.

Sempre collegato allo spossessamento è la conseguenza che il fallito non può stare in giudizio

né come attore né come convenuto per le cause relative ai rapporti patrimoniali compresi nel

fallimento. In tali ipotesi starà in giudizio il curatore.

Infine, sempre con riguardo agli effetti nei confronti del fallito, e in particolare per quelli di

natura personale, si dispone che questi debba consegnare al curatore la propria

corrispondenza nonché comunicare ogni variazione della sua residenza.

 Anteriormente alla riforma del 2007 si prevedeva poi che gli imprenditori falliti fossero iscritti

in un apposito registro dal quale erano cancellati a seguito della procedura di riabilitazione.

Oggi si è invece disposta l’abrogazione sia della riabilitazione che del registro, soppiantate per

molti aspetti dalla procedura di esdebitazione di cui si darà conto nel prosieguo.

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Resta invece valido che la dichiarazione di fallimento rende applicabili al fallito talune

fattispecie di reato caratterizzati dal dolo dell’imprenditore. Si tratta della bancarotta, semplice

e fraudolenta, e del ricorso abusivo al credito.

***

Effetti per i creditori

Passando ora agli effetti per i creditori, l’art. 52 dispone  che con il fallimento si apre il

concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. Con l’apertura della procedura concorsuale,

infatti, si realizza una sorta di trattamento unitario di tutti i creditori, che sono dunqueconsiderati non più nella loro individualità ma in quanto parte del ceto creditorio. La finalità di

tale scelta è difatti quella di realizzare il trattamento paritario di tutti i creditori, o, come si dice,

la par condicio creditorum, dando a ciascuno di essi la medesima possibilità di ottenere uguale

soddisfacimento, quanto meno, nella stessa percentuale.

 Tali affermazioni di principio si concretano in talune specifiche disposizioni. Innanzitutto,

l’art. 51 ai sensi del quale: 

Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento

nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il

fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.

 Ancora, in quelle che dispongono che per la partecipazione alla ripartizione dell’attivo

fallimentare è necessario che ciascun creditore faccia accertare giudizialmente il proprio

credito nelle forma a tal uopo stabilite.

Si fa riferimento cioè alla procedura diformazione dello stato passivo, finalizzata per

l’appunto ad accertare quali siano i creditori dell’imprenditore fallito e quale sia la

consistenza della pretesa vantata da ciascuno di loro.

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 Anche nell’ambito del fallimento, peraltro, restano valide le distinzione dei creditori operanti

fuori del fallimento, in particolare tra creditori muniti di garanzia o meno, ma ad tali figure se

aggiunge una ulteriore costituita dai crediti della massa, composta cioè da coloro chediventano creditori dopo l’apertura del fallimento per atti legalmente compiuti dagli organi

fallimentari.

È possibile distinguere tra:

-  crediti di massa

crediti privilegiati-  crediti non muniti di garanzia o privilegio, anche detti crediti chirografari.

 Tale ripartizione peraltro incide anche sul diritto di ciascun creditore di essere soddisfatto con

moneta fallimentare, nel senso che in base all’appartenenza all’una o all’altra categoria muta la

possibilità di essere pagati. Ed infatti per i crediti della massa vale il principio della

prededuzione, nel senso che essi sono pagati prima di ogni altro credito. Per i crediti

privilegiati continua a valere la garanzia esistente prima del fallimento (pegno, ipoteca,privilegio….) per cui essi saranno pagati con quanto ricavato dalla realizzazione della

garanzia. Per i crediti chirografari vale infine il principio che essi saranno pagati, tutti nella

medesima percentuale, con il residuo eventualmente ancora esistente dopo il pagamento dei

crediti prededucibili e privilegiati.

Per tutti i crediti infine si prevede che l’apertura del fallimento ne determini a quella data la

scadenza nonché l’interruzione degli interessi che su di essi gravano.

***

 A seguito della dichiarazione di fallimento notevoli sono gli effetti anche per quanto concerne

gli atti pregiudizievoli ai creditori. Per quanto difatti abbiamo detto che il fallimento è

finalizzato alla soddisfazione di questi ultimi, abbiamo anche aggiunto che una volta avviato il

concorso tutti i creditori hanno diritto di essere soddisfatti in modo paritario. Con la

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dichiarazione di fallimento si accentua pertanto l’esigenza di evitare che il compimento di

eventuali atti abbia il risultato di distogliere da quella che si è definita come la  par condicio

creditorum , principio che si è detto reggere l’intero impianto delle procedure concorsuali.

Normalmente c’è sempre un periodo di tempo che intercorre tra il sopraggiungere

dell’insolvenza e l’effettiva dichiarazione di fallimento. E’ possibile, dunque, che in questo

periodo di tempo il debitore realizzi determinati atti finalizzati a depauperare il proprio

patrimonio, nel tentativo cioè di sottrarre alcuni suoi beni dalla garanzia dei creditori e, in

definitiva, dall’attivo fallimentare. Il legislatore, quindi, si preoccupa di predisporre taluni

“strumenti” al fine di rendere inefficaci questi atti, o rendendo applicabili anche nel fallimento

i rimedi tipicamente previsti a tutela del credito o offrendo un rimedio caratteristico dellaprocedura di fallimento, esercitatile solo nel corso di tale procedura.

Esaminiamo allora i diversi casi.

Il primo rimedio posto a tutela dei creditori e che colpisce quindi atti a questi pregiudizievoli e

l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. Tale azione, dunque, normalmente esercitatile a

tutela del credito è allora possibile anche nell’ambito del fallimento, con la sola differenza che

è in questo caso intrapresa dal curatore nell’interesse di tutti i creditori.

Il discorso è un po’ più articolato per quanto riguarda l’azione revocatoria fallimentare, come

si diceva strumento tipico del fallimento e possibile solo laddove intervenga tale procedura.

Principio ispiratore della revocatoria fallimentare è che gli atti che l’imprenditore ha posto in

essere nel periodo in cui versava in stato di insolvenza, contraendo peraltro con soggetti che

di tale stato erano a conoscenza, sono per ciò solo dannosi per i creditori. Fatta tale

osservazione, quindi, il legislatore ritiene opportuno che quegli stessi atti siano resi inefficaci

rispetto ai creditori, in modo che questi non siano costretti a sopportarne le conseguenze

pregiudizievoli. L’azione revocatoria fallimentare è per l’appunto lo “strumento” mediante il

quale il creditore ha la possibilità di far dichiarare questa inefficacia.

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Si distingue allora tra atti a titolo gratuito e atti a titolo oneroso.

Per gli atti a titolo gratuito, l’art. 64 dispone che: 

Sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di

 fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d'uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale

o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante.

Essi, dunque, sono “accompagnati” da una presunzione assoluta, e cioè che avendo carattere

gratuito, e non avendo perciò l’imprenditore avuto alcun vantaggio dal loro compimento,

hanno certamente effetto pregiudizievole ai creditori. La conseguenza pertanto è che

indipendentemente da qualsiasi altra indagine, se compiuti nei due anni anteriori alla

dichiarazione di fallimento devono essere revocati.

Quanto invece agli atti a titolo oneroso, l’art. 67 dispone che: 

Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del

debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le

prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a

lui è stato dato o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri

mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;

3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di

fallimento per debiti preesistenti non scaduti;

4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla

dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

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Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del  

debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di

un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei

mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Come si vede si opera una netta differenza tra atti anormali, elencati al primo comma, e atti

normali, indicati al secondo comma. E tale differenza si ritrova in particolare per quantoriguarda la distribuzione dell’onere della prova. Gli atti anormali, p roprio perché hanno tale

carattere, sono revocati salvo che l’altra parte provi di non aver conosciuto lo stato di

insolvenza dell’imprenditore. Per gli atti normali, invece, tale prova è rimessa al curatore.

Con la recente riforma il legislatore ha poi ulteriormente precisato quali atti debbano rimanere

esclusi dalla revoca. Si prevede così che:

Non sono soggetti all’azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera

consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile,

i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a

giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione

principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;

d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in

esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione

debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui

ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nei revisori contabili e che abbia i

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requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del

codice civile;

e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo,

nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis;

f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri

collaboratori, anche non subordinati, del fallito;

g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di

servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.

Se l’azione revocatoria va a buon fine, e dunque è accolta la richiesta di revoca da parte del

tribunale, l’atto impugnato rimane valido ma è dichiarato inefficace rispetto alla massa dei

creditori ammessi al passivo del fallimento.

Il termine di prescrizione per la sua proposizione è di tre anni dalla dichiarazione di fallimento

e, comunque, di cinque anni dal compimento dell’atto.

Il terzo contraente dell’atto revocato ha diritto ad insinuarsi al passivo per quanto

eventualmente versato ad esecuzione dello stesso.

Effetti del fallimento (segue)

Proseguendo nell’esame degli effetti del fallimento dobbiamo ora dare conto di quanto accade

con riferimento ai contratti in corso di esecuzione. E’ naturale, infatti, dal momento che

l’imprenditore per l’esercizio della propria attività stipula molteplici contratti, che alcuni di essi

all’atto del fallimento non abbiano ancora avuto integrale esecuzione e siano pertanto ancora

in atto. Il legislatore dunque, si preoccupa di stabilire quale sia la sorte di questi contratti,

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cercando in particolare di contemperare le aspettative della massa dei creditori con quelle di

cui è titolare il contraente non fallito.

Si detta così una disciplina di carattere generale disponendo poi specificamente con

riferimento a talune categorie contrattuali.

Quanto ai profili generali, l’art. 72 l.fall. dispone che: 

Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti

quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte

salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore,

con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo

del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei

contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.

Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un

termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.

La disposizione di cui al primo comma si applica anche al contratto preliminare salvo quanto

previsto nell’articolo 72-bis.

In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente

al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.

L’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte

inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti,

l’efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia

di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno,

deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V della l.fall..

Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal

fallimento.

In caso di scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto ai sensi

dell'articolo 2645-bis del codice civile, l'acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nelpassivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui

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all'articolo 2775-bis del codice civile a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto

preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.

Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita

trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad usoabitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini

entro il terzo grado.

Come si vede si rimette quindi la scelta al curatore che pertanto può decidere, previa

autorizzazione del giudice delegato, se subentrare nel contratto al posto dell’imprenditorefallito, o se sciogliersi da esso.

Quanto invece ai casi particolari, si dettano disposizioni specifiche per quanto riguarda i

contratti di finanziamenti destinati ad uno specifico affare, leasing, contratti ad esecuzione

continuata o periodica.

Si individua poi un gruppo di contratti per i quali, indipendentemente da qualsiasi scelta del

curatore, con il fallimento interviene necessariamente lo scioglimento di diritto. Si tratta dei

contratti di borsa a termine, dell’associazione in partecipazione, dei contratti di conto

corrente, mandato e commissione. A questi poi va affiancato il contratto di appalto che si

scioglie a meno che il curatore non dichiari entro sessanta giorni dal fallimento di volervi

subentrare offrendo però in tal caso idonee garanzie.

 Vi sono infine alcuni contratti per i quali, salvo patto contrario, vale la regola opposta, e cioè

che essi non si sciolgono con il fallimento perché ritenuti vantaggiosi per i creditori. E’ il caso

del contratto di locazione di immobili, di assicurazione contro i danni, di edizione, di

factoring, e, in parte, del contratto di affitto di azienda, che non si scioglie salvo che una delle

parti non receda entro sessanta giorni versando all’altra parte un equo indennizzo.

***

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Collegato alla tematica relativa alla sorte dei contratti pendenti è lo studio dell’ipotesi di

esercizio provvisorio dell’impresa.

Con la dichiarazione di fallimento normalmente l’attività di impresa si ferma, e i beni aziendali

sono univocamente destinati alla soddisfazione dei creditori. Può accadere tuttavia che,

sempre nell’ottica di non arrecare pregiudizio ulteriore ai creditori che già hanno visto fallire il

proprio debitore, si ritenga opportuno non interrompere bruscamente l’attività, ma

proseguirla, anche al fine di evitare che gli stessi beni aziendali a seguito del mancato utilizzo

perdano di valore e, quindi, consentano di ricavare un introito minore.

Si prevede allora innanzitutto che già in sede di istruttoria prefallimentare il tribunale, su

istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio

dell’impresa, provvedimento che pur avendo hanno un’efficacia limitata alla durata del

procedimento istruttorio possono però essere confermati dalla sentenza che dichiara il

fallimento.

 Ancora con la sentenza dichiarativa, è possibile poi, secondo il disposto dell’art. 104 l.fall.,

che:

il tribunale disponga l’esercizio provvisorio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami

dell’azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio

ai creditori.

Successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del

comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea

dell’esercizio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, fissandone la

durata.

Durante il periodo di esercizio provvisorio, il comitato dei creditori è convocato dal curatore,

almeno ogni tre mesi, per essere informato sull’andamento della gestione e per pronunciarsi

sull’opportunità di continuare l’esercizio. 

Se il comitato dei creditori non ravvisa l’opportunità di continuare l’esercizio provvisorio, il

giudice delegato ne ordina la cessazione.

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Ogni semestre, o comunque alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio, il curatore

deve presentare un rendiconto dell’attività mediante deposito in cancelleria. In ogni caso il

curatore informa senza indugio il giudice delegato e il comitato dei creditori di circostanze

sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell’esercizio provvisorio. 

Il tribunale può ordinare la cessazione dell’esercizio provvisorio in qualsiasi momento laddove

ne ravvisi l’opportunità, con decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo sentiti il

curatore ed il comitato dei creditori.

Durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non

intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli. 

I crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi

dell’articolo 111, primo comma, n. 1). 

 Al momento della cessazione dell’esercizio provvisorio si applicano le disposizioni di cui alla

sezione IV del capo III del titolo II.

E’ questo uno dei ridottissimi casi in cui il parere del comitato dei creditori è vincolante.

***

E’ invece del tutto nuova l’ipotesi di affitto di azienda o di suoi rami particolari disciplinata ora

dall’art. 104 bis l.fall. Secondo il disposto di tale norma:

 Anche prima della presentazione del programma di liquidazione di cui all’articolo 104-ter su

proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori,autorizza l’affitto dell’azienda del fallito a terzi anche limitatamente a specifici rami quando

appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa. 

La scelta dell’affittuario è effettuata dal curatore a norma dell’articolo 107, sulla base di stima,

assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli

interessati. La scelta dell’affittuario deve tenere conto, oltre che dell’ammontare del canone

offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività

imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali.

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Il contratto di affitto stipulato dal curatore nelle forme previste dall’articolo 2556 del codice

civile deve prevedere il diritto del curatore di procedere alla ispezione della azienda, la

prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell’affittuario derivanti dal contratto e

dalla legge, il diritto di recesso del curatore dal contratto che può essere esercitato, sentito il

comitato dei creditori, con la corresponsione all’affittuario di un giusto indennizzo da

corrispondere ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1). 

La durata dell’affitto deve essere compatibile con le esigenze della liquidazione dei beni. 

Il diritto di prelazione a favore dell’affittuario può essere concesso convenzionalmente, previaespressa autorizzazione del giudice delegato e previo parere favorevole del comitato dei

creditori. In tale caso, esaurito il procedimento di determinazione del prezzo di vendita

dell’azienda o del singolo ramo, il curatore, entro dieci giorni, lo comunica all’affittuario, il

quale può esercitare il diritto di prelazione entro cinque giorni dal ricevimento della

comunicazione.

Il procedimento: accertamento del passivo

 Tutte le pretese creditorie che vengono fatte valere sul patrimonio acquisito all'attivo della

procedura di fallimento devono essere accertate mediante il procedimento per l'accertamento

del passivo.

Il procedimento implica la necessaria partecipazione ed il contraddittorio di tutti i creditori,nel rispetto della concorsualità anche nella fase di cognizione.

Questo è il principio della esclusività dell'accertamento del passivo (art. 52 l. fall., comma

2°).

 Tutti i crediti, in linea di massima, vanno accertati con il rito fallimentare, sia:

-  che il creditore sia munito di un titolo già esecutivo (una cambiale, un titolo giudiziario

passato in giudicato o provvisoriamente esecutivo, ecc.);-  che abbia un titolo negoziale non esecutivo (un contratto);

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-  che non abbia un titolo precostituito dovendosi il credito determinare in corso di

giudizio (risarcimento danni).

Il procedimento si svolge avanti al giudice delegato, che costituisce la fase necessaria in quantoindispensabile, cui può seguire la fase eventuale delle impugnazioni in forma collegiale

camerale.

La prima fase è ancora impostata sul principio della domanda, per cui vanno esaminate

soltanto le posizioni dei creditori che hanno presentato domanda di insinuazione (e, infatti,

l’eventuale assenza di domande di insinuazione ex art. 118, n . 1, è causa di chiusura del

fallimenti).

La domanda di partecipazione al passivo

Con la sentenza che dichiara il fallimento, viene nominato un giudice delegato alla procedura e

un curatore e viene fissato il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame

dello stato passivo (udienza di verifica).

Il curatore comunicherà ai creditori questi dati, nonchè ogni altra utile informazione per

agevolare la presentazione della domanda.

La trasmissione di questi dati avviene, ora per effetto dell'entrata in vigore del D.L. n. 179 del

2012, convertito nella legge n. 221 del 2012, a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo

che il curatore reperirà dal registro delle imprese o (quando sarà in funzione) dall'Indice

nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti;

soltanto se il relativo indirizzo del destinatario non risulta da questi registri o elenchi, il

curatore potrà fare ricorso alla trasmissione a mezzo lettera raccomandata o telefax presso la

sede dell'impresa o la residenza del creditore (alternativa, si ribadisce, consentita soltanto per

questo primo atto).

 A seguito sempre della citata normativa, il curatore deve indicare in questo avviso anche tutti

quei dati che permettono il passaggio dal sistema cartaceo a quello della corrispondenza in via

telematica diretta senza passare per la cancelleria. E cioè deve:

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-  comunicare il proprio indirizzo PEC (Posta Elettronica Certificata) specifico per

quella procedura per consentire l'inoltro delle domande di ammissione al passivo e dei

documenti in via informatica,;

-  avvertire i destinatari che le domande, sia quelle tempestive che quelle tardive o

supertardive, vanno presentate, unitamente ai relativi documenti, esclusivamente al

curatore (e non in cancelleria) mediante trasmissione telematica all'indirizzo di posta

elettronica comunicato;

-  invitare il destinatario a fornire il proprio indirizzo PEC al quale intende ricevere le

successive comunicazioni, ed a segnalare eventuali successive variazioni, posto che

tutte le successive comunicazioni dovranno essere effettuate a mezzo posta

elettronica;

avvertire il destinatario che, in mancanza di indirizzo PEC, le successive

comunicazioni saranno effettuate esclusivamente mediante deposito in cancelleria.

La domanda di ammissione al passivo si propone con ricorso, che può essere sottoscritto

anche personalmente dalla parte, da trasmettere almeno trenta giorni prima dell'udienza

fissata per l'esame dello stato passivo all'indirizzo di posta elettronica certificata del

curatore.

 Al ricorso deve essere allegata la documentazione giustificativa del credito.

***

Nella nuova disciplina non è (più) il giudice a predisporre lo stato passivo provvisorio, ma

è il curatore che esamina le domande, espone le sue osservazioni sulla fondatezza diciascuna domanda ed oppone tutti i " fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere,

nonchè l'inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa

azione " (art. 95).

In questo modo, il curatore può svolgere tutte quelle attività di difesa e sollevare tutte le

eccezioni, in senso stretto o lato, per paralizzare le pretese azionate, tra cui rientra la

possibilità di eccepire la revocatoria in via incidentale al fine della non ammissione, in

tutto o in parte, di un credito o di una garanzia perché fondati su operazioni caducabilisecondo le previsioni degli attuali art. 66 e 67 l.fall.

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Terminato l'esame delle domande, il curatore forma il progetto di stato passivo e

lo deposita in cancelleria, unitamente alle relative domande, almeno quindici

giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo e nello stesso

termine lo trasmette ai creditori i quali, così come il fallito, possono esaminare il

 progetto e presentare al curatore, mediante trasmissione all'indirizzo di poste

elettronica comunicato, osservazioni scritte e documenti integrativi fino a cinque

giorni prima dell'udienza.

L'udienza di verifica

In questa sede si realizza il contraddittorio incrociato non solo con il curatore ma tra tutti i

creditori tra loro, che costituisce l'essenza della procedura “concorsuale”.

La decisione del giudice.

-   Ammissione

-   Ammissione con riserva

-  Inammissibilità

 Alla fine il giudice delegato decide su ciascuna domanda, con decreto "succintamente

motivato", nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del

curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri creditori, in una

posizione di giudice terzo e imparziale risolutore di conflitti nel contraddittorio tra le parti,

privo di poteri ufficiosi di indagine.

La decisione del giudice può essere di inammissibilità (quando sia omesso od

assolutamente incerto uno dei requisiti richiesti dai nn. 1, 2 e 3 del terzo comma dell'art.

93), di accoglimento, di rigetto- totale o parziale- o di ammissione con riserva.

Le ammissioni con riserva non sono generalizzate, ma possono essere disposte soltanto

nei casi indicati dall'art. 96, al di fuori dei quali la riserva è atipica e si ha come non

ammessa. In particolare sono ammessi al passivo con riserva:

-  i crediti condizionati e quelli indicati nell'ultimo comma dell'art. 55;

-  i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al

creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice;

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-  i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in

giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore puo'

proporre o proseguire il giudizio di impugnazione.

Esecutività dello stato passivo

 Terminato l'esame delle domande e presa la decisione su ciascuna, il giudice delegato

"forma" lo stato passivo, che dichiara esecutivo con decreto che deposita in cancelleria,

con ciò terminando il suo compito nel procedimento di accertamento del passivo (il

giudice delegato non, successivamente, intervenire nè modificare le decisioni prese).

Il curatore, immediatamente dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, ne dà

comunicazione trasmettendo una copia a tutti i ricorrenti, informandoli del diritto di

proporre opposizione in caso di mancato accoglimento della domanda. Così è stato

modificato, e semplificato dal D.L. n. 179 del 2012 l'art. 97, che ora prevede, così come

per il progetto di stato passivo, la comunicazione dell'intero documento contenente lo

stato passivo all'indirizzo PEC comunicato da ciascun creditore, che comunque potrà

consultare lo stesso sul portale a lui dedicato.

L'opposizione allo stato passivo

La riforma del 2006 ha completamente rimodellato il sistema delle impugnazioni che sono

ora concentrate nel novellato art. 98, che tratta dell'opposizione allo stato passivo, della

impugnazione dei crediti ammessi (in precedenza ne trattava l'art. 100 ora abrogato) e

delle revocazione dei crediti ammessi (in precedenza nell'art.102 ora è dedicato ad altra

materia); la finalità delle stesse è rimasta identica, ma è mutato il rapporto con la fase

necessaria ed è cambiata radicalmente la disciplina processuale.

L'opposizione è l'impugnazione che possono proporre i creditori soccombenti in quanto

la loro domanda non è stata in tutto o in parte accolta.

Il procedimento è regolato - ai sensi dell'art. 99 l. fall., novellato dal d.lg. n. 169 del 2007 -

dal principio dispositivo, come qualunque ordinario giudizio di cognizione a natura

contenziosa e da tanto la Cassazione ha tratto la rilevante conseguenza che nel giudizio di

opposizione a stato passivo, diversamente da quello di opposizione a sentenza dichiarativa

di fallimento - nel quale il fascicolo della procedura è acquisibile d'ufficio, in ragione dellanatura inquisitoria del procedimento che porta all'apertura del fallimento e del quale

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l'opposizione costituisce la prosecuzione  –  il materiale probatorio è quello prodotto dalle

parti o acquisito dal giudice, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c. ed è solo quel materiale che

ha titolo a restare nel processo e, conseguentemente il tribunale non è tenuto ad acquisire

d'ufficio i documenti contenuti nella domanda di insinuazione al passivo e non versati dal

creditore, gli uni e l'altra, nel giudizio di opposizione allo stato passivo.

Il collegio provvede in via definitiva sull'opposizione, impugnazione o revocazione con

decreto motivato entro sessanta giorni dall'udienza o dalla scadenza del termine assegnato

alle parti per il deposito di memorie; decreto che è comunicato dalla cancelleria alle parti

che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione.

Effetto dello stato passivo

Il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito

dei giudizi di cui all'art. 99 l.fall., producono effetti soltanto ai fini del concorso.

Questa è la chiara dizione dell'ult. comma dell'art. 96, il che significa che, una volta chiuso

il fallimento, sia i creditori che il fallito possono rimettere in discussione le risultanze dello

stato passivo, che, al di fuori del fallimento, possono essere utilizzate soltanto come prova

scritta per ottenere un decreto ingiuntivo, giusto il disposto dell'ult. comma dell'art. 120

(effetto endofallimentare dello stato passivo).

Insinuazioni tardive e supertardive

Le domande presentate oltre il termine di dodici mesi (prorogabile fino a diciotto) dal

deposito del decreto di esecutività dello stato passivo- qualificate nella prassi come

supertardive o ultratardive- per essere esaminate devono superare il vaglio di ammissibilità

che richiede che l'istante fornisca la prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non

imputabile.

Per realizzare la completa concorsualità anche nell'esame delle domande tardive, l'attuale

art. 101 ha riprodotto, con i dovuti aggiustamenti, per l'esame delle domande tardive la

medesima disciplina dettata per l'accertamento dei crediti e per l'esame dei diritti dei terzi

tempestivamente presentate; allo scopo il giudice delegato fissa per l'esame delle domande

tardive una udienza ogni quattro mesi, salvo che sussistano motivi di urgenza.

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la ripartizione dell’attivo e la chiusura del fallimento 

 Ai sensi dell’art. 110 l.fall.: progetto di ripartizione

Il curatore, ogni quattro mesi presenta un prospetto delle somme disponibili ed un progetto diripartizione delle medesime, riservate quelle occorrenti per la procedura.

Nel progetto sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive ecautelari di cui all'art. 51.

I creditori, entro il termine perentorio di quindici giorni dalla ricezione della comunicazione delcuratore, possono proporre reclamo al giudice delegato contro il progetto di riparto. Decorso taletermine, il giudice delegato, su richiesta del curatore, dichiara esecutivo il progetto di ripartizione (se sono proposti reclami, il progetto di ripartizione è dichiarato esecutivo con accantonamento dellesomme corrispondenti ai crediti oggetto di contestazione).

Ordine di distribuzione delle somme (v. art. 111 l.fall.) 

Le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo sono erogate nel seguente ordine:

1) per il pagamento dei crediti prededucibili;

2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnatodalla legge;

3) per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell'ammontare del credito per cuiciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori indicati al n. 2, qualora non sia stata ancora realizzatala garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa.

Sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, equelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali debitisono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1). 

Crediti assistiti da prelazione. 

I crediti assistiti da privilegio generale hanno diritto di prelazione per il capitale, le spese e gli interessi(nei limiti di cui agli articoli 54 e 55 l.fall.), sul prezzo ricavato dalla liquidazione del patrimoniomobiliare, sul quale concorrono in un'unica graduatoria con i crediti garantiti da privilegio specialemobiliare, secondo il grado previsto dalla legge.

I crediti garantiti da ipoteca e pegno e quelli assistiti da privilegio speciale hanno diritto di prelazione

per il capitale, le spese e gli interessi, (nei limiti di cui agli articoli 54 e 55 l.fall.) sul prezzo ricavato daibeni vincolati alla loro garanzia.

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Partecipazione dei creditori ammessi tardivamente. 

I creditori ammessi tardivamente concorrono soltanto alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione in

proporzione del rispettivo credito, salvo il diritto di prelevare le quote che sarebbero loro spettate nelleprecedenti ripartizioni se assistiti da cause di prelazione o se il ritardo è dipeso da cause ad essi nonimputabili.

***

Ripartizioni parziali. 

L’art. 113 l.fall. consente che si dia luogo a ripartizioni parziali 

Nelle ripartizioni parziali, che non possono superare l'ottanta per cento delle somme da ripartire,devono essere trattenute e depositate, nei modi stabiliti dal giudice delegato, le quote assegnate:

1) ai creditori ammessi con riserva;

2) ai creditori opponenti a favore dei quali sono state disposte misure cautelari;

3) ai creditori opponenti la cui domanda è stata accolta ma la sentenza non è passata in giudicato;

4) ai creditori nei cui confronti sono stati proposti i giudizi di impugnazione e di revocazione.

Le somme ritenute necessarie per spese future, per soddisfare il compenso al curatore e ogni altrodebito prededucibile devono essere trattenute. Devono essere altresì trattenute e depositate nei modistabiliti dal giudice delegato le somme ricevute dalla procedura per effetto di provvedimentiprovvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato. 

Pagamento ai creditori 

Il curatore provvede al pagamento delle somme assegnate ai creditori nel piano di ripartizione nei modistabiliti dal giudice delegato, purché tali da assicurare la prova del pagamento stesso.

Se prima della ripartizione i crediti ammessi sono stati ceduti, il curatore attribuisce le quote di riparto aicessionari, qualora la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazioneche attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l'intervenuta cessione.In questo caso, il curatore provvede alla rettifica formale dello stato passivo. Le stesse disposizioni siapplicano in caso di surrogazione del creditore.

Rendiconto del curatore 

Compiuta la liquidazione dell'attivo e prima del riparto finale, nonché in ogni caso in cui cessa dallefunzioni, il curatore presenta al giudice delegato l'esposizione analitica delle operazioni contabili e della

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attività di gestione della procedura. Il giudice ordina il deposito del conto in cancelleria e fissa l'udienzache non può essere tenuta prima che siano decorsi quindici giorni dalla comunicazione del rendiconto atutti i creditori.

Dell'avvenuto deposito e della fissazione dell'udienza il curatore dà immediata comunicazione ai

creditori ammessi al passivo, a coloro che hanno proposto opposizione, ai creditori in prededuzionenon soddisfatti, con posta elettronica certificata, inviando loro copia del rendiconto ed avvisandoli chepossono presentare eventuali osservazioni o contestazioni fino a cinque giorni prima dell'udienza. Alfallito, se non è possibile procedere alla comunicazione con modalità telematica, il rendiconto e la datadell'udienza sono comunicati mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Se all'udienza stabilita non sorgono contestazioni o su queste viene raggiunto un accordo, il giudiceapprova il conto con decreto; altrimenti, fissa l'udienza innanzi al collegio che provvede in camera diconsiglio.

 Approvato il conto e liquidato il compenso del curatore, il giudice delegato, sentite le proposte del

curatore, ordina il riparto finale secondo le norme precedenti.

Nel riparto finale vengono distribuiti anche gli accantonamenti precedentemente fatti. Il giudicedelegato, nel rispetto delle cause di prelazione, può disporre che a singoli creditori che vi consentonosiano assegnati, in luogo delle somme agli stessi spettanti, crediti di imposta del fallito non ancorarimborsati.

Per i creditori che non si presentano o sono irreperibili le somme dovute sono nuovamente depositatepresso l'ufficio postale o la banca.

Decorsi cinque anni dal deposito, le somme non riscosse dagli aventi diritto e i relativi interessi, se non

richieste da altri creditori, rimasti insoddisfatti, sono versate a cura del depositario all'entrata del bilanciodello Stato per essere riassegnate, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, ad appositaunità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia.

La chiusura del fallimento e l’esdebitazione 

La chiusura del fallimento

La procedura fallimentare si conclude, ai sensi dell’art. 118 l.fall.: 1.  in caso di mancata presentazione di domande di insinuazione al passivo, non rilevando la

proposizione di domande tardive;2.  quando siano stati integralmente pagati o altrimenti estinti tutti i crediti concorrenti e i c. d.

crediti della massa;3.  quando sia stata comunque eseguita la ripartizione finale dell’attivo, sia stata essa satisfat toria

oppure no;4.  quando l’insufficienza dell’attivo sia tale da rendere inutile la prosecuzione della procedura. 

Ove si verifichi alternativamente una delle prime due ipotesi contemplate dalla disposizione in

commento, è necessario comunque, ai fini della chiusura del fallimento, che risultino integralmentepagati tutti i debiti e le spese da pagare in prededuzione, ivi compresi il compenso al curatore e le spesedi procedura, dovendo, in caso contrario, la procedura stessa continuare per assicurare il pagamento di

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dette spese. A tale conclusione peraltro si poteva pervenire già nel vigore della precedente normativa,aderendo ad un’interpretazione estensiva della vecchia formulazione dell’art. 118 L.FALL. 

Giova precisare, peraltro, che tutte le ipotesi descritte di chiusura del fallimento non sono ostacolatedall’esistenza di cause pendenti. 

Inoltre il citato art. 118 l.fall., come recentemente modificato, stabilisce che, in caso di fallimento dellesocietà, il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese, con contestuale chiusura anchedella procedura estesa ai soci, salvo che sia stata aperta nei confronti di questi anche una proceduracome imprenditori individuali.

Legittimati a proporre l’istanza di chiusura del fallimento sono sia il cur atore che il debitore fallito,fermo restando che la chiusura può essere disposta anche d’ufficio. 

Peraltro, ai sensi dell’art. 119 l.fall., nuova formulazione, contro il decreto che dichiara la chiusura o nerespinge la richiesta è ammesso reclamo alla Corte di Appello, la quale, a propria volta, provvede quindia convocare in camera di consiglio il reclamante, il curatore ed il fallito. Il decreto di chiusura, dunque,

una volta divenuto definitivo, determina la cessazione degli effetti della sentenza fallimentare sulpatrimonio del fallito, il quale, pertanto, riacquista la propria disponibilità giuridica e materiale delproprio patrimonio, che, nel caso residui parzialmente, gli deve essere restituito.

In base alla disciplina attualmente vigente, inoltre, il decreto in commento comporta la cessazioneimmediata degli effetti a carattere personale prodotti dalla sentenza di fallimento, essendo venuto menol’istituto della riabilitazione civile, che faceva conseguire nuovamente al fallito la propria capacità personale, sia sul piano sostanziale che su quello processuale, solo dopo il decorso di cinque anni dalladichiarata chiusura della procedura fallimentare ed a condizione che il Tribunale ravvisasse una buona

condotta dello stesso fallito. La riabilitazione è dunque da ritenersi abrogata per le procedura instauratesuccessivamente al 16 gennaio 2006, data di entrata in vigore della riforma.

La chiusura del fallimento, inoltre, allo stato attuale, fa cessare nei confronti dei creditori il blocco delleloro azioni per il soddisfacimento dei rispettivi diritti. A tale riguardo, tra l’altro, l’art. 120, comma 3,nuova l.fall., prevede che il decreto o la sentenza con la quale il credito è stato ammesso al passivocostituiscano prova scritta ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo di cui all’art. 634 c.p.c 

L’esdebitazione del fallito 

L’unico caso in cui non scatta la ripresa delle azioni individuali in favore dei creditori è quello in cui

trova applicazione il nuovo istituto dell’esdebitazione del deb itore, ai sensi degli artt. 142 e seguenti

l.fall., nuovo testo.

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In virtù di tali disposizioni il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti

residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, purché ricorrano le seguenti condizioni:

1.  abbia cooperato con gli organi della procedura;

2. 

non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;

3.  non abbia violato l’obbligo di consegna della corrispondenza al curatore; 

4.  non abbia usufruito di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti;

5.  non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti o comunque non abbia reso

gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio;

6.  non sia stato condannato con sentenza definitiva per bancarotta fraudolenta o altri delitti

compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa. 

L’esdebitazione non opera comunque se non sono stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori

concorsuali. Restano esclusi dall’esdebitazione gli obblighi  di mantenimento e alimentari, nonché i

debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale. Quanto, poi, al procedimento di

esdebitazione, l’art. 143 L. F., nuova formulazione, prevede che il tribunale, con il decreto di chiusura

del fallimento oppure su ricorso del debitore presentato entro l’anno successivo, sentito il curatore ed il

comitato dei creditori e vetrificata la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 142 L. F. come sopra

individuate, dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non

integralmente soddisfatti.

La riapertura del fallimento

 Tale istituto nella pratica viene applicato molto raramente. Esso presuppone che la procedura

fallimentare sia stata chiusa per la ripartizione di un attivo insufficiente al soddisfacimento dei creditiinsinuati o per l’inutilità della prosecuzione del fallimento, stante l’effettiva inconsistenza della massa

fallimentare.

La riapertura è dunque ammissibile nei casi in cui, entro cinque anni dal decreto di chiusura del

fallimento, risulti che nel patrimonio del debitore sia venuto ad esistenza un attivo suscettibile di

rendere utile la riapertura stessa (in tal caso l’iniziativa potrà essere assunta dal debitore o dai creditori,

 vecchi e nuovi) oppure il debitore sia in grado di garantire il pagamento non inferiore al dieci per cento

dei creditori chirografari vecchi e nuovi ed il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati (è alloralegittimato il solo debitore).

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I titolari dei crediti sorti successivamente alla chiusura del fallimento devono previamente insinuarsi al

passivo e sottoporsi alla verificazione dello stato passivo; tale passaggio non è invece necessario per i

crediti anteriori al decreto di chiusura, i quali sono già stati sottoposti ad accertamento. I termini per

l’esperimento delle azioni revocatorie decorrono dal deposito della sentenza di riapertura. 

Il Concordato fallimentare

Il concordato fallimentare è una delle forme di chiusura del fallimento grazie alla quale si realizza la

soddisfazione in misura paritaria dei creditori senza ricorrere alla fase della liquidazione dell'attivo. La

proposta di concordato può essere presentata dal fallito, da uno o più creditori o da un terzo. La

proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi che tengano in considerazione in modo

omogeneo gli interessi economici da essi vantati, trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a

classi diverse senza comunque alterare l'ordine dei diritti di prelazione, la “ristrutturazione” di debiti e la

soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma. La proposta è sottoposta al voto dei creditori ed è

approvata se riceve il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti

ammessi al voto. Il Curatore presenta al Giudice Delegato una relazione sull'esito delle votazioni e se la

proposta è approvata il Giudice Delegato dispone che ne sia data immediata comunicazione alle parti

interessate e fissa un termine entro il quale presentare eventuali opposizioni. Decorso tale termine senza

che vengano presentate opposizioni il Tribunale omologa il concordato con decreto motivato. Quandopassa in giudizio la sentenza di omologazione il fallimento si chiude.

La dichiarazione di avvenuta esecuzione del concordato fallimentare, rilasciata dal Tribunale, è titolo

idoneo per annotare la cancellazione del fallimento essendo il concordato fallimentare una procedura di

chiusura del fallimento.

Il concordato fallimentare è una delle cause di cessazione del fallimento: si tratta di uno strumento

diretto a realizzare, nel rispetto del principio della par conditio creditorum, il soddisfacimento di tutti icreditori mediante l’omologazione giudiziale di un accordo raggiunto tra il fallito e i creditori mediante

il pagamento (parziale) dei loro crediti.

Chi può presentare la domanda di concordato fallimentare? 

Secondo l’art. 124 l.fall. la proposta di concordato può essere presentata: 

1. 

Da uno o più creditori o da un terzo assuntore, anche prima del decreto che rende esecutivo lostato passivo. purché sia stata tenuta la contabilità da parte del fallito e i risultati consentano al

curatore di predisporre un elenco dei creditori da sottoporre all’approvazione del giudice

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delegato. Se la proposta è formulata da un terzo assuntore le attività fallimentari verranno a lui

cedute, assumendosi in proprio il rischio di liquidazione.

2.  Dal fallito, ma solo dopo un anno dalla dichiarazione di fallimento e entro 2 anni dal decreto di

esecutività dello stato passivo.

La proposta deve essere presentata al giudice delegato, sottoscritta dal ricorrente o da un suo

rappresentante. La proposta può prevedere:

  la suddivisione dei creditori in classi: secondo posizione giuridica e interessi economici

omogenei;

  trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse: purché sia rispettato il

principio secondo il quale non è possibile alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione; 

  la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma: anche

mediante cessione di beni, accollo o altre operazioni straordinarie.

Il giudice delegato, sentito il parere del curatore con specifico riferimento ai presumibili risultati della

liquidazione e delle garanzie offerte nella proposta stessa, e del comitato dei creditori, ordina che la

proposta venga comunicata ai creditori attraverso l’indirizzo PEC, nella quale deve essere indicato un

termine, non superiore a 30 giorni e non inferiore a 20, entro il quale gli stessi possono fare pervenire le

loro dichiarazioni di dissenso, presso la cancelleria del tribunale. I creditori che non fanno pervenire lacomunicazione si considerano consenzienti.

 Approvazione della proposta da parte dei creditori

La proposta di concordato è approvata quanto ottiene il voto favorevole della maggioranza dei crediti

ammessi al voto. Se il concordato prevede la suddivisione dei creditori in classi, è necessario ottenere

 voto favorevole da parte della maggioranza delle classi. Inoltre, i creditori muniti di privilegio, pegno o

ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento, non hanno diritto di voto se nonrinunciano al diritto di prelazione.

Il giudizio di omologazione 

Decorso il termine per le votazioni il curatore presenta al giudice delegato una relazione sul loro esito e,

se i creditori hanno approvato la proposta, il giudice dispone che sia data immediata comunicazione al

proponente affinché questi ne chieda l’omologazione. Il giudice con decreto fissa un termine tra 15 e 30

giorni nei quali è possibile proporre eventuali opposizioni.

7/17/2019 Diritto Commerciale - corso progredito

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Effetti ed esecuzione –  Dal momento in cui scadono i termini per opporsi la proposta di concordato

acquista piena efficacia, producendo 2 effetti fondamentali:

1.   Vincola il fallito o l’assuntore all’adempimento degli obblighi assunti; 

2. 

Rende obbligatorio il concordato a tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento, compresi

anche quelli che non abbiano presentato domanda di ammissione al passivo.

Con l’omologazione del concordato non decadono gli organi della procedura fallimentare, ma restano

in funzione per sorvegliare l’adempimento del concordato stesso, secondo quanto stabilito nel decreto

di omologazione.

N.B.: Il concordato può essere risolto o annullato, con conseguente riapertura della procedura

fallimentare quando:

  è risolto, se le garanzie promesse non vengono costituite o se gli obblighi assunti non

adempiuti. La domanda di risoluzione può essere proposta con ricorso da ognuno dei creditori;

  è annullato, se si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, o sottratta o dissimulato

una parte rilevante di attivo. L’annullamento è proponibile entro 6 mesi dalla scoperta del dolo. 

***

Il Concordato preventivo

 All'imprenditore commerciale che si trovi in stato di insolvenza, o semplicemente “in stato di crisi”, è

concessa la possibilità di evitare il fallimento e tutte le gravi conseguenze che esso comporta, attraverso

un preventivo accordo con i creditori finalizzato alla liquidazione dei beni del debitore e al successivo

soddisfacimento dei creditori. Gli scopi che tale procedura si prefigge di raggiungere sono molteplici,

in particolare:  –  soddisfare l'interesse del debitore ad ottenere una “paralisi” delle azioni esecutive nei

suoi confronti conservando, al tempo stesso, la disponibilità e l'amministrazione della sua impresa  –  

tenere in considerazione l'interesse dei creditori ad evitare una lunga e dispendiosa attività liquidatoria

fallimentare raggiungendo il soddisfacimento delle proprie ragioni in tempi brevi  –  garantire continuità,

nell'interesse pubblico, a un'impresa a patto che questa abbia dimostrato di possedere ancora

potenzialità produttive degne di fiducia

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Il concordato preventivo si fonda su un ricorso proposto dall'imprenditore al Tribunale in cui l'impresa

ha la propria sede principale: la domanda deve essere accompagnata da opportuna documentazione a

pena di inammissibilità. Inoltre, è possibile suddividere i creditori in classi e prevedere trattamenti

differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse. A seguito della mancata approvazione il

 Tribunale deve dichiarare immediatamente il fallimento, mentre in caso di accordo con i creditori il

 Tribunale, previo controllo della legittimità e del merito, provvede alla omologazione del concordato.

La sentenza di omologazione viene emessa in presenza di determinati presupposti:  –   iscrizione nel

Registro delle Imprese da almeno 2 anni  –  non essere stato dichiarato fallito o ammesso al concordato

preventivo nei 5 anni precedenti –  non essere stato condannato per bancarotta o reati simili

Il decreto di ammissione al concordato è pubblicato ai sensi dell'art. 17 della legge fallimentare anche

mediante trasmissione telematica dell'estratto del decreto al registro delle imprese. L'ammissione allaprocedura non determina lo spossessamento del debitore che conserva l'amministrazione dei suoi beni

e l'esercizio dell'impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale nominato dal Tribunale. Gli atti di

straordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del Giudice Delegato sono però

inefficaci nei confronti dei creditori concorsuali. La procedura di concordato preventivo si chiude con il

decreto di omologazione. Successivamente il commissario giudiziale sorveglia l'adempimento del

concordato secondo le modalità stabilite dal decreto: in caso di mancato adempimento degli obblighi

assunti il concordato può essere revocato, mentre nel caso in cui il debitore abbia dolosamente

esagerato il passivo o sottratto una parte rilevante dell'attivo il concordato può essere annullato.

La disciplina di legge riguardante il concordato preventivo è stata oggetto di profonde modifiche sin dal

2005.

 Verosimilmente tale maggiore interesse e il “favor” per soluzioni della crisi di impresa alternative al

fallimento, hanno portato il legislatore ad intervenire nuovamente, in modo sostanziale, sulla normativa

che regola tale istituto con il Decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, cd. “Decreto Sviluppo” (pubblicato

nella Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2012 n. 147) convertito, con rilevanti modifiche, nella Legge 7

agosto 2012 n. 134 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2012). 

Una delle novità più significative di riforma alla Legge Fallimentare apportate da tale intervento

normativo è costituita dall’introduzione, attraverso l’inserimento del comma VI all’art. 161 L.F., del cd.

concordato “in bianco”, istituto che dovrebbe favorire la pronta emersione della crisi d’impresa. 

In generale la domanda di concordato “in bianco” presenta le seguenti caratteristiche. 

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L’imprenditore deposita un ricorso contenente la domanda di concordato e i bilanci relativi agli ultimi

tre esercizi. Il termine entro il quale deve essere prodotta l’ordinaria documentazione di cui all’articolo

161, commi secondo e terzo, L.F., e cioè principalmente la proposta dettagliata, il piano economico con

cui si intende che questa venga realizzata e la relazione di attestazione del piano, è fissato dal giudice tra

60 e 120 giorni  –  nel caso di pendenza di procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine è

necessariamente di 60 giorni -, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre 60 giorni.

La norma peraltro prevede che entro il termine concesso dal Tribunale il debitore possa depositare

alternativamente domanda di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, comma primo, L.F..

In tale arco di tempo, sino a quando cioè il Tribunale non si sia pronunciato sulla domanda di

concordato, così come integrata e completata di tutti gli elementi necessari, l’imprenditore mantiene la

gestione ordinaria dell’attività mentre gli atti urgenti di straordinaria amministrazione devono essere

autorizzati dal Tribunale, previa eventuale assunzione di sommarie informazioni (art. 161, comma VII,

L.F., introdotto ex novo). Con lo stesso decreto con cui stabilisce il termine entro il quale deve essere

integrata la domanda di concordato il Tribunale “ dispone” anche gli obblighi informativi periodici che

il debitore deve assolvere sino allo scadere del termine stesso.

 A decorrere dalla data di pubblicazione del ricorso, contenente la domanda, nel registro delle imprese, il

debitore gode degli effetti protettivi tipici del procedimento di concordato di cui all’articolo 168 dellalegge fallimentare. La legge 134 del 2012 ha modificato anche questa disposizione, specificando,

nell’ultimo capoverso, introdotto “ex novo”, del secondo comma , che le ipoteche giudiziali iscritte nei

novanta giorni che precedono la predetta data di pubblicazione sono inefficaci rispetto ai creditori

anteriori al concordato, ed estendendo la sanzione di nullità, già prevista dal primo comma per le azioni

esecutive, anche a quelle cautelari promosse o proseguite sul patrimonio del debitore successivamente

alla citata data di pubblicazione.

In generale il procedimento si conclude o con la declaratoria di inammissibilità della proposta, ex art.

162 L.F., ovvero con il decreto del tribunale di ammissione alla procedura ex art. 163 L.F; nel caso di

deposito di domanda ex art. 182 bis L.F., il procedimento si potrà concludere parallelamente con

decreto di inammissibilità e/o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. 

La liquidazione coatta amministrativa

7/17/2019 Diritto Commerciale - corso progredito

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Per legge, alcune particolari categorie di imprese, non sono assoggettabili al fallimento, bensì a

questa particolare procedura che è concorsuale a carattere amministrativo. Tali categorie di

imprese sono quelle sottoposte al controllo dello Stato: banche, imprese di assicurazione, le

società cooperative, gli istituti per le case popolari, ecc. La liquidazione presenta diverse

particolarità: innazitutto non viene disposta dall'Autorità Giudiziaria, ma da un organo

amministrativo; inoltre non presuppone uno stato di insolvenza ed ha come finalità la

cessazione dell'impresa attraverso la definizione dei suoi rapporti di tipo debitorio e di altra

natura. Tale procedimento non preclude la possibilità di accertare lo stato di insolvenza, nel

qual caso si applicheranno le norme relative alla revocatoria fallimentare per gli atti

pregiudizievoli ai creditori. La caratteristica della liquidazione coatta amministrativa è la

maggiore libertà nella liquidazione dell'attivo: non ci sono vincoli per l'esecuzione della

procedura ordinaria. La finalità della liquidazione coatta amministrativa è evitare che la

liquidazione dell'impresa possa influire sul sistema dove questa agisce. E' una procedura

liquidatoria nel senso che tende a sottrarre l'azienda all'imprenditore tentando una

riallocazione della stessa (vendita in blocco) che garantisca il mantenimento dei posti di

lavoro. Successivamente si propone il piano di ripartizione dell'attivo. La procedura si può

chiudere anche con concordato, ma questo deve essere omologato dal Tribunale. Si tratta,

comunque, di una procedura selettiva che si applica solo a talune imprese che hanno

determinati requisiti.La trascrizione del decreto che ordina la liquidazione coatta amministrativa è innammissibile.

Infatti, la legge fallimentare, quando ha inteso prescrivere la pubblicità di atti o provvedimenti

delle procedure che la riguardano, lo ha stabilito espressamente. Per il decreto l'art. 197 della

legge fallimentare prevede la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione nel

Registro delle Imprese. Tuttavia, tale provvedimento amministrativo può rappresentare titolo

idoneo per l'annotazione della perdita di possesso, ai fini della sospensione del pagamento

della tassa automobilistica, nel caso in cui dallo stesso si evinca lo spossessamento del veicolo

conseguente all'acquisizione del bene nella massa fallimentare.

***

L'amministrazione controllata

L'imprenditore può trovarsi in uno stato di difficoltà ad adempiere ai propri impegni senza

per questo essere insolvente; in tale circostanza gli viene concessa la possibilità di richiedere

l'amministrazione controllata, procedura prevista per prestare soccorso alle imprese che sitrovano in situazioni di crisi temporanee e superabili ed in presenza di concrete possibilità di

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un conveniente risanamento dell'impresa. A questo proposito occorre predisporre un

programma di risanamento con validità economica e finanziaria che si realizzi entro 2 anni. Il

debitore, salvo diverso avviso del Tribunale, conserva l'amministrazione dei beni e l'esercizio

dell'attività sotto la vigilanza del Giudice Delegato, ma il Tribunale può sostituire il debitore

con il commissario giudiziale. Per gli atti di straordinaria amministrazione occorre

l'autorizzazione del Giudice Delegato. Se il Tribunale ammette la domanda di ammissione alla

procedura fa votare i creditori; se, invece, la procedura non ha successo si arriva al concordato

preventivo o al fallimento. La procedura non è soggetta ad omologazione e non può durare

più di 2 anni. Per la trascrizione del provvedimento di ammissione all'amministrazione

controllata non è previsto il pagamento dell'I.P.T. rientrando questa fattispecie nei casi di

esenzione da ogni imposizione fiscale.

***

 Amministrazione straordinaria

Questa procedura sostanzialmente ricalca la disciplina e lo schema della liquidazione coatta

amministrativa e mira a mediare il soddisfacimento dei creditori dell'imprenditore insolvente

con la salvezza del complesso produttivo e della sua forza lavoro. Si tratta di una procedurarecente, introdotta nel '79, per evitare l'assoggettamento al fallimento di imprese con

particolari caratteristiche dimensionali, cioè aventi un numero di dipendenti maggiore di 200

unità. Infatti, applicare il fallimento a queste imprese causerebbe problemi di natura

economica e sociale. Caratteristica della procedura è la redazione di un piano di risanamento

della struttura aziendale che può prevedere la continuazione dell'esercizio dell'impresa per un

tempo massimo di 2 anni. Il Tribunale può: –  decidere che l'azienda non è assoggettabile a tale

procedimento e quindi dichiarare il fallimento –  dichiarare l'idoneità e quindi dare apertura alla

procedura dettando gli opportuni provvedimenti per la prosecuzione dell'impresa la cui

gestione è affidata al commissario giudiziale Sono vietate tutte le azioni esecutive individuali

per fare in modo che non si turbi il procedimento. C'è la possibilità di esercitare azione

revocatoria solo nel caso di liquidazione dei beni, ma non nel caso della ristrutturazione. La

chiusura della procedura, disposta anch'essa con decreto, può avvenire per soddisfacimento

dei creditori, per impossibilità di continuazione (in questo caso segue la dichiarazione di

fallimento), per risanamento totale o parziale dell'impresa e per l'approvazione di una

proposta di concordato che può provenire anche da terzi.

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La trascrizione del decreto di sottoposizione ad amministrazione straordinaria non è

ammissibile e non può, quindi, essere eseguita se il titolo non viene prodotto nelle forme

dell'atto pubblico, della scrittura privata autenticata o della sentenza intesa nel senso più ampio

di provvedimento del giudice idoneo a produrre gli effetti previsti per quei fini, reso in copia

conforme all'originale (art. 2657 C.C.).

 Accordi di ristrutturazione e piani di risanamento

Come si è più volte rilevato, la legge fallimentare è stata negli ultimi anni oggetto di diversi

interventi legislativi (si fa riferimento ai vari interventi operati dalla legge n. 80/2005, dal d.lgs.

5/2006, dal d.lgs. 169/2007 alla più recedente legge 134/2012), per cercare di rendere la

disciplina prevista per la crisi dell’impresa –  pensata e codificata nel 1942  –  più attuale ed in

linea con l’attuale sistema economico, anche con l’introduzione di nuovi istituti e con la

profonda rivisitazione da altri già esistenti. Si è cercato, in particolare, di fornire

all’imprenditore una serie di strumenti per far sì che in presenza di una crisi dell’impresa sia

possibile rivitalizzare, in qualche modo, le sorti dell’attività, cercando di favorire la

composizione giudiziale o stragiudiziale del contenzioso in essere con i creditori ed evitare di

giungere ad una soluzione che comporti la mera dissoluzione dell’impresa per ripianare i debiti

contratti; in altri termini, si è cercato di rendere più facile, da un lato, la prosecuzione

dell’attività di impresa, favorendo contestualmente la soddisfazione dei creditori, anche conuna riduzione dell’importo agli stessi riconosciuti.

In tale prospettiva, si inserisce l’art. 182-bis (Accordi di ristrutturazione dei debiti) della

legge fallimentare: tale disposizione, in estrema sintesi, prevede che l’imprenditore in stato di

crisi possa domandare al tribunale l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti

stipulato con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti; unitamente

alla domanda, deve essere depositata una dettagliata relazione redatta da un professionista

sulla fattibilità o meno dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad

assicurare il regolare pagamento dei creditori.

Il tribunale, nella fase di omologazione, non entra nel merito del giudizio espresso dal

professionista che ha redatto la relazione, ma si limiterà a valutare la coerenza e completezza

dell’iter procedimentale ed argomentativo del professionista, con la conseguenza che

l’omologazione dell’accordo non implicherà l’accertamento giudiziale della sua fattibilità. In

altri termini, il controllo del tribunale sarà di minore intensità in assenza di opposizioni  –  che

possono essere proposti da creditori che non si ritengono soddisfatti della percentuale loro

riconosciuta - sul presupposto che, trattandosi un accordo tra privati, il tribunale debbasoltanto verificare la fattibilità giuridica dell’accordo siglato; qualora, invece, siano presentate

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opposizioni, il tribunale, senza entrare nel merito delle scelte, dovrà anche verificare la

attendibilità sul piano fattuale del programma concordato, con particolare attenzione a quanto

illustrato nella relazione.

L'accordo di ristrutturazione dei debiti, nella sua versione originaria poi modificata, prevedeva

due precisi requisiti senza i quali non sarebbe stato possibile ottenere l'omologazione del

tribunale: l’accordo deve approvato dai creditori che rappresentino almeno il 60% dei debiti

complessivi dell'azienda e deve assicurare il pagamento degli altri creditori che non hanno

preso parte o non hanno accettato l'accordo. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese

e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Le eventuali modifiche all’accordo di

ristrutturazione dei debiti successive all’omologazione che, sulla base di una relazione

integrativa dell’attestatore ai sensi dell’art. 182 bis, 7º comma, l.fall., non pregiudichino né

l’attuabilità dell’accordo omologato, né il regolare pagamento dei creditori estranei, non

richiedono una nuova omologazione da parte del tribunale.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, quindi, sono caratterizzati da due fasi: quella

propriamente stragiudiziale, nella quale il debitore negozia con i creditori la propria situazione

debitoria e nella quale, in sostanzia, è rimesso all’autonomia delle parti trovare, qualora sia

possibile, un accordo; e quella giudiziale, in cui l'accordo necessita dell'omologazione

dell'autorità giudiziaria per essere produttivo di ulteriori effetti legali: omologa che, come visto

sopra, può essere concessa sulla base di una valutazione discrezionale di attendibilità del pianodi riorganizzazione dell’impresa come illustrato nell’apposita relazione.

Per quanto riguarda i debiti oggetto dell'accordo di ristrutturazione, l'azienda ed i creditori

hanno la più ampia discrezionalità nello stabilire nel dettaglio le modalità di accordo, potendo

prevedere, ad esempio, nuovi piani di rimborso o differimento delle scadenze.

Non è certamente possibile ipotizzare un contenuto tipico di tali accordo, che non è precisato

dalla legge fallimentare ma, normalmente, esso può avere ad oggetto dilazioni di pagamento;

riduzione o eliminazione degli interessi; cessione di una parte dei beni dell’imprenditore ai

creditori; remissione di alcuni debiti in cambio di nuovi accordi commerciali; acquisizione di

nuove garanzie in favore dei creditori.

Nella formulazione originaria, uno dei principali punti di debolezza degli accordi di

ristrutturazione dei debiti –  tale da renderne l’applicazione assai sporadica - era la necessità di

pagare regolarmente i creditori estranei all’accordo: regolarità da intendersi sia come

pagamento integrale sia nel pieno rispetto delle scadenze già programmate. Tale vincolo

condizionava pesantemente l’imprenditore in difficoltà che, seppur desideroso di riorganizzare

i propri debiti, si trovava costretto a destinare una parte importante delle proprie risorse alsoddisfacimento dei creditori non aderenti, a discapito di quelli che, invece, avessero accettato

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la ristrutturazione del debito. Del resto, ai creditori conveniva non aderire al piano di

ristrutturazione, in quanto così essi mantenevano ferma la totalità del proprio credito, senza

concedere dilazioni o sconti.

L’art. 182-bis, nella sua nuova formulazione come risultante dalla modifiche introdotte dalla

legge n. 134/2012, ha ora rimosso questi vincoli, introducendo una moratoria coattiva per i

creditori che non aderiscano all’accordo di ristrutturazione dei debiti. Dalla data della

pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data, infatti,

non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore.

Sempre con finalità di rendere maggiormente appetibile l’istituto in questione, il legislatore ha

da ultimo previsto una regime particolare per i crediti degli istituti che finanziano la

realizzazione dell’accordo. In forza di tale previsione, in caso di fallimento del debitore che ha

presentato il piano di ristrutturazione dei debiti, il finanziatore che ha elargito la “nuova”

liquidità a sostegno del piano finanziario, sarà rimborsato anticipatamente rispetto a tutti gli

altri creditori facenti parte della massa fallimentare, sia creditori chirografari che privilegiati.

Questo mette, dunque, il credito dei finanziatori sullo stesso piano dei crediti che spettano ai

professionisti che si occupano di gestire la procedura e permette ai finanziatori di avere

maggiori garanzie sul recupero del proprio credito.

L’accordo di ristrutturazione dei debiti presenta alcune affinità con il concordato preventivo,

tanto più che, oltre ad essere inseriti entrambi del titolo terzo della legge fallimentare - titoloterzo intitolato, appunto, “Del Concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione” –  

alcuni autori hanno prospettato il dubbio se gli accordi di ristrutturazione costituiscano una

semplice modalità dei realizzazione del concordato preventivo una semplice modalità di

realizzazione del concordato preventivo, quasi una sorta di concordato “minore”, oppure un

istituto autonomo, caratterizzato da maggiore elasticità nella fase dei contenuti e da un

controllo non particolarmente approfondito, in punto sostanziale, da parte dell’autorità

giudiziaria nella sua esecuzione.

Secondo la prevalente giurisprudenza, l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182

bis ha natura esclusivamente privatistica e non può essere assimilato a nessuna delle procedure

che regolano la soluzione dei conflitti aperti dal concorso dei creditori; l’istituto in questione,

pertanto, non solo è del tutto indipendente dal concordato preventivo ma neppure può essere

inquadrato nel genus delle procedure concorsuali in quanto: i) non prevede una fase di

ammissibilità e, dunque, la pronuncia di un provvedimento di apertura di una procedura o la

nomina di organi concorsuali; ii) non realizza alcuna forma di spossessamento e di limitazione

dei poteri di direzione e gestione dell’attività dell’impresa, i quali rimangono sottratti anche ad

un regime meramente autorizzatorio, così come rimane libera anche la fase esecutiva; iii)

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 vincola, in applicazione di principi di natura contrattuale, soltanto i creditori aderenti e non

comporta l’applicazione del principio di concorsualità sistemizzata tipico delle procedure

concorsuali vere e proprie, con la conseguenza che i creditori non aderenti sono comunque

liberi di aggredire ed escutere il patrimonio del debitore anche dopo l’omologazione

dell’accordo e le parti contraenti sono libere di prevedere trattamenti diversificati tra creditori

di pari rango anche in assenza di omogeneità giuridica e di interessi economici; iiii) può

comportare le alterazione delle cause legittime di prelazione con l’ulteriore conseguenza che ai

crediti che nascono dopo l’omologazione degli accordi di ristrutturazione non è di regola

applicabile il regime della prededuzione.

***

I piani di risanamento

La Legge Fallimentare prevede la possibilità per le imprese in crisi, che dimostrino elementi su

cui fare affidamento per il recupero dei propri crediti, di adottare anche altre misure idonee a

favorire la ricostituzione della stabilità economico-finanziaria dell’impresa ed evitare

l’instaurazione di una procedura fallimentare. 

In particolare, nella prassi, a seconda della gravità della situazione di crisi aziendale e

prescindendo da ipotesi liquidatorie o concordatarie, una società “in crisi” può disporre, oltreche dei menzionati accordi di ristrutturazione anche dell’istituto del “ piano di risanamento

industriale ex articolo 67, comma 3, lettera d) della Legge Fallimentare”. 

La scelta di optare per un piano di risanamento industriale ex articolo 67, comma 3, lettera d)

della Legge Fallimentare, in genere, presuppone che lo stato di crisi aziendale possa essere

risolto in un arco temporale limitato (solitamente tra i tre e i cinque anni) mediante

l’alleggerimento del proprio indebitamento finanziario (e ventualmente mediante la

sottoscrizione di accordi bilaterali o congiunti con i vari creditori) ed attraverso l’adozione di

talune politiche di riassetto della gestione operativa e strategica dell’impresa comprendendo,

eventualmente, la dismissione di determinati beni non indispensabili per la “continuità

dell’attività aziendale” (peraltro, requisito ritenuto indispensabile da consolidato orientamento

per l’adozione di un piano di risanamento ai sensi articolo 67, comma 3, lettera d) della Legge

Fallimentare).

La legge non prevede particolari requisiti in relazione alla predisposizione di un piano di

risanamento. Il citato articolo 67, comma 3, lettera d) della Legge Fallimentare, stabilisce

soltanto che lo stesso debba apparire “idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione

debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”, sulla base

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di un parere di un professionista indipendente abilitato che attesti “la veridicità dei dati

aziendali e la fattibilità del piano”. 

In caso di un eventuale fallimento dell’azienda, gli atti compiuti in esecuzione del piano di

risanamento non sarebbero soggetti a revocatoria fallimentare.

I reati previsti dalla legge fallimentare

Per reati concorsuali , disciplinati dagli artt. 216-237 L.F., si intendono tutti quei fatti costituenti illecito

penale che il fallito o terzi possono commettere in pendenza di una procedura concorsuale.

L'esistenza di una procedura concorsuale è elemento caratteristico ed essenziale di questi tipi di reati.

Infatti, venuta meno per qualsivoglia motivo l'esistenza della procedura stessa, automaticamente

 vengono meno anche le ipotesi delittuose.

Fra i principali reati concorsuali si possono menzionare:

 A.  La bancarotta semplice (art. 217 L.F.):

È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che:

1. 

ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizioneeconomica;

2.  ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o

manifestamente imprudenti;

3.  ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;

4.  ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del

proprio fallimento o con altra grave colpa;

5.  non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o

fallimentare.

La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di

fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha

tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera

irregolare o incompleta.

Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, lacondanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad

esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.

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B.  La bancarotta fraudolenta (art. 216 L.F.):

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che:

1. 

ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beniovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto

passività inesistenti;

2.  ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé

o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre

scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del

patrimonio o del movimento degli affari.

3.  La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura

fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente

ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

4.  È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la

procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi,

esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

5.  Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la

condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci

anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la

stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

C.  Il ricorso abusivo al credito, disciplinato dall'art. 218 L.F., per il quale:  gli amministratori, i

direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un'attività commerciale che ricorrono o continuano a

ricorrere al credito, anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti, dissimulando il dissesto o lo stato

d'insolvenza sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni .

D.  Denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze da parte del fallito (art. 220 L.F.),

in tal caso:  È punito con la reclusione da sei a diciotto mesi il fallito, il quale, fuori dei casi prevedutiall'articolo 216, nell'elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare

l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli articoli

16, nn. 3 e 49. Se il fatto è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno.

I reati concorsuali, come sopra accennato, possono essere commessi anche da persone diverse dal

fallito, e precisamente da:

  Curatore (artt. 228, 229 e 230 L.F.);

   Amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori di società dichiarate fallite (artt.

223-226 L.F.);

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  Institori (art. 227 L.F.);

  Creditori (artt. 232, 233 L.F.).

Il mercato finanziario e gli strumenti finanziari

Quando si utilizza il termine mercato, anche e soprattutto quando il riferimento ricade sul

mercato finanziario, ci si riferisce ad una categoria più che a un termine, categoria che può

essere intesa in una pluralità di accezioni.

Ci si può infatti riferire ad un luogo fisico, ad una istituzione o in generale all’insieme degli

scambi o alla loro organizzazione. Comunque lo si voglia interpretare il termine rimandasempre ad una organizzazione della quale partecipano soggetti. E’ necessario che ci siano

parti con interessi diversi ma allo stesso tempo congruenti perché si realizzi uno scambio.

In termini economici si dice che è necessaria la presenza di domanda e offerta perché si

crei un interesse allo scambio e dunque si crei un mercato. E quindi sul mercato

finanziario emergono, in via di prima approssimazione, due interessi rappresentati da due

parti:

coloro i quali emettono strumenti finanziari e-  coloro che investono negli stessi.

Ma questo non basta a creare un mercato efficiente. Affinché domanda e offerta di

strumenti finanziari si incrocino sarebbe infatti necessaria la coincidenza fra le propensioni

dei risparmiatori e le esigenze degli operatori che cercano risparmio per finanziare le loro

attività. Che queste condizioni si verifichino è sicuramente possibile, ma molto

improbabile. Proprio per questo motivo sono nate nel settore imprese specializzate nellaprestazione dei servizi necessari all’incontro fra domanda e offerta del risparmio: soggetti

che vengono definiti intermediari finanziari.

L'individuazione di una pacifica definizione di “intermediario finanziario” presenta non

poche difficoltà. Difficoltà dovute in primo luogo al silenzio del legislatore sul punto, ma

anche, e soprattutto, discendenti dall’assenza di una chiara definizione di attività finanziaria;

nozione presente in diversi testi normativi, a partire dall’art. 10 comma 3 del TUB, ma che

continua ad avere contorni sfumati. In termini economici gli intermediari sono soggetti che,

come abbiamo visto, agevolano il collegamento tra emittenti e risparmiatori, ma la loro

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qualificazione giuridica deve essere ricostruita a partire dal quadro normativo che presenta

complessità e stratificazioni che non agevolano l’interprete. L’art. 1 della legge 2 gennaio

1991, n. 1 parlava di “attività di intermediazione mobiliare”. In seguito, e nel più recente

passato, il legislatore ha mutato la sua terminologia fino ad attestarsi con il d.lgs. n. 58/1998

(Testo Unico della Finanza) sulla nozione di servizio di investimento. Per servizi di

investimento si devono intendere quelle attività necessarie per agevolare l’incontro fra

domanda e offerta di risparmio e quelle finalizzate all’investimento ottimale delle risorse. I

soggetti deputati a prestare questi servizi sono definibili intermediari finanziari.

 Ad una prima conclusione, finalizzata almeno a delimitare l’ambito dei soggetti che

operano come intermediari sui mercati finanziari, si può giungere attraverso la lettura

dell’art. 18 comma 1 del TUF che stabilisce:

“l'esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi di investimento è riservato alle imprese di

investimento e alle banche ”.

Dunque sono intermediari finanziari le imprese di investimento e le banche. Resta da

precisare quali siano in concreto i soggetti che possono essere ricompresi nella categoria

“impresa di investimento”. A questo scopo soccorre l’art. 1 lett. h) del medesimo TUF che

statuisce che sono imprese di investimento le SIM e le imprese di investimento comunitarie

ed extra-comunitarie. In definitiva sono intermediari finanziari i soggetti che svolgono la funzione distributiva e di collegamento tra emittenti e risparmiatori  che la legge riconosce alle SIM,

alle imprese di investimento comunitarie ed extra-comunitarie e alle banche.

Oltre ai soggetti menzionati, tuttavia, ne esistono altri che possono prestare alcuni servizi di

investimento: le società di gestione del risparmio, che possono prestare il servizio di gestione di

portafogli di investimento su base individuale; agli intermediari finanziari, iscritti nell'elenco

previsto dall'art. 107 del d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, che possono svolgere il servizio di

negoziazione per conto proprio di strumenti derivati e il servizio di collocamento distrumenti finanziari; gli agenti di cambio che, ai sensi dell'art. 201 del TUF, possono offrire

taluni servizi di investimento; le società fiduciarie iscritte nella sezione speciale dell'albo delle

Sim, che possono prestare il servizio di gestione su base individuale di portafogli di

investimento; e le Poste Italiane S.p.A. che, ai sensi dell'art. 12 del d.PR 14 marzo 2001, n.

144, possono svolgere nei confronti del pubblico il servizio di negoziazione per conto terzi;

il servizio di collocamento, con o senza preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero

assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente; e il servizio di ricezione e trasmissioneordini nonché di mediazione, oltre che alcuni tra i servizi accessori.

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Le pretese definitorie potrebbero condurre l’interprete a sovrapporre al termine

“intermediari finanziari” quello di “soggetti abilitati”, nozione rubricata nel TUF art. 1,

lett. r), ma si tratterebbe di un errore di interpretazione della lettera della legge in quanto

da un lato la nozione di soggetto abilitato non ricomprende la varietà delle imprese

finanziarie su menzionate, dall’altro contiene alcuni soggetti che svolgono anche l’attività

di gestione collettiva del risparmio (che come si accennava non può essere considerata un

servizio di investimento).

 Ai fini di una tesi che si preoccupa di indagare quale sia la disciplina degli intermediari

finanziari, con particolare riguardo alle regole di condotta degli stessi, sembra opportuno

limitarsi ad utilizzare la nozione di intermediario finanziario come soggetto che svolge

quei servizi di investimento finalizzati a mettere in contatto domanda e offerta di

strumenti finanziari, a fornire un utile strumento alla ricerca di investimenti dei

risparmiatori e, di riflesso, a consentire che il mercato in esame sia efficiente, stabile e

integro. I soggetti che, concretamente, nel nostro ordinamento svolgono la generalità dei

servizi di investimento sono le Società di intermediazione mobiliare (SIM), le imprese di

investimento comunitarie e non, e le banche: sarà pertanto a questi soggetti che ci

riferiremo quando si parlerà genericamente di “intermediari finanziari” 

La nozione di “strumento finanziari0” 

La nozione di strumenti finanziari è stata introdotta nel nostro ordinamento dal d.lg. 23 luglio 1996 n.

415 (art.1), in attuazione della direttiva comunitaria n. 22 del 10.5.1993 relativa ai servizi di

investimento.

Gli strumenti finanziari fanno parte della categoria dei prodotti finanziari (insieme ai mezzi di

pagamento e alle altre forme di investimento finanziario, che non sono strumenti finanziari: artt. 1.4 e

1.1 lett. u, TUF).

 Attualmente la definizione di strumenti finanziari è contenuta dell’art. 1 comma 2 del TUF che riporta

un elenco (pressoché identico a quello del d.lgs 415/1995), suddiviso in titoli di massa e contratti

derivati

Gli strumenti finanziari costituiscono l’insieme dei mezzi di investimento di natura finanziaria. 

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Essi sono elencati nel Testo Unico della Finanza (d.lgs n. 58/1998) all’articolo 1, comma 2 e sono: 

a) valori mobiliari, con i quali si intendono tutte le categorie di valori negoziati nel mercato dei capitali.

Si tratta quindi di:

- azioni (o altri titoli equivalenti) e certificati di deposito azionario;

- obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i certificati di deposito relativi a tali titoli;

- qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquisire o di vendere i valori mobiliari

indicati alle precedenti lettere;

- qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori

mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a

misure.

b) strumenti del mercato monetario, con i quali si intendono le categorie di strumenti normalmente

negoziati nel mercato monetario, quali, ad esempio, i buoni del tesoro, i certificati di deposito e le carte

commerciali;

c) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio (ad es., quote di fondi comuni di

investimento);

d) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi

 per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute,

tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie chepossono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in

contanti;

e) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi

 per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento

avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di

una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro eventoche determina la risoluzione del contratto;

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f) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap» e altri contratti

derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che

sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;

g) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», ontratti

a termine («forward») e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire

attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati alla lettera f), che non hanno

scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra

l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono

soggetti a regolari richiami di margini;

h) strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;

i) contratti finanziari differenziali;

j) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap»,

contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche,

tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il

cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal

modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a

inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti

derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere

precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro,

se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono

compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari

richiami di margini. 

NB: Non sono invece strumenti finanziari tutti i mezzi di pagamento. 

Servizi e contratti di investimento

I servizi di investimento

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Con il contratto di cui all’art. 23 del Tuf, i soggetti abilitati alla prestazione di servizi di investimento

(cioè gli intermediari finanziari: banche, SIM ed altri) mettono in relazione domanda e offerta di

strumenti finanziari.

In particolare, “l’intermediario pone la sua organizzazione d’impresa a disposizione del cliente”, ossia si

impegna a prestare uno o più servizi d’investimento. Il legislatore non ha fornito una definizione

generale di tali servizi, limitandosi ad elencarli e a darne una sintetica descrizione. L’elencazione

(ampliabile dal Ministro dell’economia e delle finanze con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia

e la Consob) è tassativa, per cui si tratta di servizi tipici. Occorre segnalare che il T.U.F., dopo l’entrata

in vigore del d. lgs. 164 del 2007, non discorre più soltanto di “servizi” ma anche di “attività  

d’investimento”. Tale mutamento, giustificato dal legislatore dall’inclusione nell’elenco di cui all’art. 1c.5 del T.U.F. della “gestione di sistemi di negoziazione”, è stato criticato dalla dottrina. Si è rilevato

che, sebbene anche la direttiva MIFID distingua “servizi” ed “attività”, ciò è giustificato da una loro

diversa regolamentazione. Al contrario, “nel nostro ordinamento non è prevista una disciplina diversa

per le attività e per i servizi (…) per cui non è dato individuare una realtà fenomenica (…) diversa”. 

L’art. 1 c. 5 del T.U.F. individua i seguenti tipi di servizi: 

a) negoziazione per conto proprio;

b) esecuzione di ordini per conto dei clienti;

c) sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei

confronti dell'emittente;

c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente;

d) gestione di portafogli;

e) ricezione e trasmissione di ordini;

f) consulenza in materia di investimenti;

g) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.

I successivi commi 5-bis, 5-quinquies, 5-sexies, 5-septies, 5-octies contengono la descrizione sintetica

soltanto di alcuni dei servizi sopraelencati. Si tratta dei servizi di: negoziazione per conto proprio,

gestione di portafogli, ricezione e trasmissione di ordini, consulenza ed infine gestione di sistemi

multilaterali di negoziazione. L’introduzione di tali definizioni, operata dal d. lgs. 164 del 2007, ha

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risolto alcuni dubbi sorti riguardo la portata dei servizi d’in vestimento. In assenza di esse la

giurisprudenza di merito aveva di fatto ampliato il novero di attività rientranti nel campo dei servizi

finanziari e la Consob aveva dovuto emettere comunicazioni tese a restringere la loro interpretazione.

Per “negoziazione per conto proprio” l’art. 1 c. 5-bis intende “l’attività di acquisto e vendita distrumenti finanziari, in contropartita diretta e in relazione a ordini dei clienti, nonché l’attività di market

maker”, definita dal successivo c. 5-quater come l’attività di chi “si propone sui mercati regolamentati e

sui sistemi multilaterali di negoziazione, su base continua, come disposto a negoziare in contropartita

diretta acquistando e vendendo strumenti finanziari ai prezzi da esso definiti”. Tale servizio costit uisce

una particolare modalità di quello di “esecuzione di ordini per conto dei clienti”, in quanto

l’intermediario soddisfa le esigenze d’investimento e disinvestimento della clientela attraverso gli

strumenti finanziari presenti nel proprio portafoglio. Ciò comporta che per poter prestare il servizio in

esame l’intermediario dovrà essere autorizzato anche per il servizio di esecuzione di ordini per conto

dei clienti. Una volta ricevuto un ordine dal cliente, l’intermediario può internalizzarlo soltanto n el

rispetto della regola della best execution. L’intermediario che negozia per proprio conto assume la veste

di venditore o di acquirente, per cui il suo guadagno è rappresentato dalla differenza tra i prezzi di

 vendita e di acquisto degli strumenti finanziari.

Quando presta il servizio di “esecuzione di ordini per conto dei clienti”, l’intermediario assume

l’impegno di acquistare o vendere strumenti finanziari non presenti nel proprio portafoglio, ma

disponibili presso mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione. La scelta della sede di

negoziazione deve essere compiuta in modo da poter perseguire nel modo migliore l’interesse del

cliente. Non essendo in questo caso controparte contrattuale, l’intermediario guadagna mediante la

provvigione corrisposta dal cliente.

 Altro tipo di servizio di investimento che l’intermediario può prestare è quello di sottoscrizione e/o

collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente o

di collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente. Si

tratta di un servizio prestato nei confronti delle società interessate a che gli intermediari distribuiscano

presso i risparmiatori i loro titoli (che possono essere di nuova emissione o meno come emerge dai

termini utilizzati dal legislatore di “sottoscrizione e/o collocamento”) . L’impegno assunto

dall’intermediario è più o meno gravoso a seconda che sottoscriva interamente i titoli del cliente o

comunque garantisca l’acquisto dei titoli rimasti invenduti (in questi casi l’intermediario dovrà

adempiere specifici obblighi posti per evitare conflitti d’interesse) oppure si limiti a ricercare investitori

senza alcun tipo di rischio del buon esito dell’operazione.

Il servizio di “ricezione e trasmissione di ordini” consiste in un’attività di mediazione, in quanto

l’intermediario autorizzato a prestare tale servizio non esegue gli ordini dei clienti, ma li trasmette agli

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intermediari autorizzati alla prestazione dei servizi di negoziazione. La Consob ha chiarito che i clienti

non entrano in contatto con l’intermediario negoziatore , ma soltanto con quello incaricato della

trasmissione degli ordini. Per l’investitore la convenienza di affidarsi ad un “trasmettitore” di ordini

anziché direttamente ad un intermediario autorizzato ad eseguirli, consiste nella possibilità di usufruire

dell’esperienza e della professionalità dell’intermediario “trasmettitore” nella scelta del negoziatore in

grado di assicurare il miglior risultato possibile al risparmiatore . La Consob ha ammesso la possibilità

della “doppia raccolta di ordini”, ossia l’inoltro dell’ordine del cliente da parte dell’intermediario ad altro

intermediario autorizzato allo svolgimento del medesimo servizio di ricezione e trasmissione di ordini .

Il servizio di consulenza in materia di investimenti è definito dal c. 5-septies dell’art. 1 del T.U.F. come

“la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del

prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento

finanziario”. Il legislatore ha avuto cura di precisare che “la raccomandazione è personalizzata quando è

presentata come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente. Una

raccomandazione non è personalizzata se viene diffusa al pubblico mediante canali di distribuzione”. La

consulenza in materia di investimenti è tornata ad essere configurata come servizio d’investimento

(come lo era nel sistema della l. n. 1/1991) dopo che il T.U.F. l’aveva qualificata come servizio

accessorio. La configurazione della consulenza come servizio “appare opportuna, in quanto proprio la

possibile combinazione di un servizio di esecuzione di ordini (regolamentato, ma con livello di tutela

minimo) e del servizio di consulenza (non regolamentato) aveva di fatto creato, negli ultimi dieci anni,

una sorta di zona franca per la quale finivano per transitare le operazioni più pericolose, con un

meccanismo estremamente semplice: si consigliava al cliente un investimento ad alto rischio e il cliente

ordinava all’intermediario di eseguirlo, così inconsciamente abdicando al sistema di tutele previsto

dall’ordinamento” . È invece ricompresa nei servizi accessori la consulenza alle imprese in materia di

struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni connesse, nonché la consulenza su

concentrazioni e acquisto di imprese , in quanto si tratta di attività non aventi direttamente ad oggetto

un’operazione relativa a strumenti finanziari. Parte della dottrina ritiene che il servizio di consulenzaaccompagni ogni altro tipo di servizio d’investimento. Tale tesi è argomentata sulla base

dell’affermazione della Consob per la quale “non è escluso, in via astratta, che i serviz i di collocamento

o di ricezione e trasmissione ordini (o di esecuzione di ordini o negoziazione per conto proprio) siano

posti in essere senza essere accompagnati da consulenza” . Tale ricostruzione non convince per diverse

ragioni: innanzitutto perché la Consob non esclude che i servizi d’investimento possano essere prestati

senza il servizio di consulenza ma, anzi, consapevole della contiguità dei servizi, detta delle linee guida

affinché l’intermediario possa prestare il servizio richiesto senza dare raccomandazioni personalizzate ;

in secondo luogo è da rilevare che se la consulenza accompagnasse ogni tipo di servizio, non avrebbe

senso distinguere tra “valutazione di adeguatezza” (richiesta per il servizio di consulenza e gestione di

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portafogli) e “valutazione di appropriatezza” (richiesta per tutti gli altri servizi), dato che in ogni caso

dovrebbe essere compiuta soltanto la prima; in terzo luogo ritenere che il servizio di consulenza

accompagni ogni tipo di servizio significa anche imporre al cliente ulteriori oneri finanziari. In definitiva

la ricostruzione criticata, seppure animata dall’intento di evitare il c.d.“suicidio economico

dell’investitore” si pone in netto contrasto con il sistema di tutele predisposto dal nostro ordinamento .

Per "gestione di sistemi multilaterali di negoziazione" si intende a norma del c. 5-octies dell’art. 1 del

 T.U.F. “la gestione di sistemi multilaterali che consentono l’incontro, al loro interno ed in base a regole

non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari in

modo da dare luogo a contratti”. I sistemi multilaterali svolgono la stessa funzione dei mercati

regolamentati, ma a differenza di questi possono essere gestiti non solo da società di gestione di mercati

regolamentati, ma anche da banche e SIM che siano state autorizzate alla prestazione del servizio.

Il contratto di gestione di portafogli

La gestione di portafogli non costituisce soltanto un servizio d’investimento, ma anche un contratto

nominato e tipico. Esso può esser definito come “un contratto a titolo oneroso, con cui il cliente

incarica l’intermediario di adottare entro margini di discrezionalità più o meno ampi, decisioni di

investimento mediante operazioni su strumenti finanziari finalizzate alla valorizzazione del patrimonio

gestito, i cui risultati positivi o negativi ricadono direttamente sul patrimonio del cliente stesso” . La

nominatività e la tipicità del contratto derivano dalla sua disciplina, la quale è contenuta: nell’art.  24 del

 T.U.F. (dove sono enunciate le principali norme applicabili al rapporto di gestione); nell’art. 38 del reg.

intermediari (che indica gli ulteriori elementi che il contratto di gestione deve contenere rispetto a quelli

già descritti nell’art. 37); negli artt. 54-55 del reg. intermediari (nei quali trovano disciplina gli obblighi direndicontazione). Solo in via residuale ( e in mancanza di disposizioni di settore) si ritiene possano

applicarsi le norme sul mandato professionale . D’altronde il mandato costituisce l’archetipo della

gestione di portafogli, grazie da un lato alla sua duttilità e dall’altro al suo oggetto tipico: l’attività

gestoria. La sua disciplina, tuttavia, sembra aver oggi perso gran parte della sua capacità integrativa delle

lacune, a causa del progressivo processo di tipizzazione che ha contraddistinto il contratto di gestione di

portafogli .

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 L’art. 1 c. 5-quinquies del T.U.F. definisce il servizio di gestione di portafogli come “la gestione, su

base discrezionale e individualizzata, di portafogli di investimento che includono uno o più strumenti

finanziari”.

Dalla lettura della disposizione emergono due tratti caratterizzanti la fattispecie: la “discrezionalità” e la“personalizzazione”. Quest’ultimo profilo differenzia la gestione di portafogli individuali dalle gestioni

collettive, in quanto in queste il patrimonio è gestito in monte. Inoltre, pur essendo entrambi i tipi di

gestione caratterizzati dalla formazione di un patrimonio “distinto” rispetto a quello del gestore e

rispetto agli altri patrimoni gestiti dallo stesso intermediario, nella gestione individuale i conferimenti

danno vita ad un “patrimonio separato”, mentre nelle gestioni collettive, data la pluralità di conferenti,

danno vita ad un “patrimonio autonomo” . La differenza consiste nel fatto che mentre il patrimonio

autonomo è “un patrimonio a sé stante e nuovo con un proprio soggetto collettivo”, il patrimonio

separato continua a far capo al titolare del patrimonio di provenienza, differenziandosi da esso soltanto

per “determinati e limitati effetti” . Dato il carattere dematerializzato di gran parte degli strumenti

finanziari (dematerializzazione obbligatoria per i titoli quotati o diffusi e facoltativa per gli altri) “l’unica

 via verso la separazione (patrimoniale) è la contabilità” . In entrambi casi, a garanzia dei conferenti, non

sono ammesse sul patrimonio “distinto” azioni dei creditori del soggetto abilitato.

È da notare come nelle gestioni individuali il legislatore utilizzi il termine “patrimonio” soltanto all’art.

22 del T.U.F., allorché stabilisce il suo carattere “distinto” rispetto a quello d’intermediario, mentre nel

 vigore della legge Sim era utilizzato frequentemente come oggetto del contratto di gestione. Nelle altre

disposizioni il T.U.F. utilizza il termine “portafogli”, introdotto a partire dal decreto Eurosim (d.lgs.

415/1996). Si tratta di una variazione terminologica legata alla necessità di adeguare l’ordinamento

nazionale alla direttiva 93/22/CE che ad ogni modo non sembra modificare l’oggetto della fattispecie

anche perché, come si è già osservato, lo stesso legislatore continua ad utilizzare il termine

“patrimonio”. L’unico elemento che sembrerebbe differenziare il “portafoglio” rispetto al “patrimonio”

potrebbe consistere nel fatto che il primo riuscirebbe a liberare i beni che lo costituiscono dallo schema

della proprietà. In tal modo i beni costituenti il portafoglio possono anche non appartenere al cliente,

bastando che questi ne abbia il legittimo possesso . Quanto alla composizione del portafoglio

d’investimento, l’art. 1 c. 5-quinquies del T.U.F. prevede che esso includa “uno o più strumenti

finanziari”. Chiaramente il portafoglio del cliente potrà contenere anche il denaro necessario all’acquisto

degli strumenti finanziari o derivante dalla loro vendita. Si ritiene inoltre che i portafogli possano

contenere anche prodotti finanziari e depositi bancari . Il denaro e gli strumenti finanziari sono immessi

rispettivamente in un conto corrente ed in un deposito titoli a custodia ed amministrazione che

possono essere accesi sia presso l’intermediario, sia presso un terzo, a condizione che l’intermediario

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abbia il potere di movimentare il portafogli. È rimessa all’autonomia delle parti stabilire se e con quali

modalità, il cliente possa disporre dei valori costituenti il portafoglio d’investimento. 

L’altra principale caratteristica del servizio è la discrezionalità dell’attività del gestore. Essa evidenzia il

carattere fiduciario del rapporto scaturente dal contratto in quanto l’intermediario ha facoltà dicompiere investimenti o disinvestimenti con la finalità di “valorizzare un determinato patrimonio” .

Occorre rilevare però che la discrezionalità di cui gode il gestore non è assoluta, in quanto, secondo il

disposto dell’art. 24 c. 1 lett. a) del T.U.F., “il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle

operazioni da compiere”. L’imperatività di tale disposizione risulta dalla previsione per la quale

l’eventuale patto contrario contenuto nel contratto di gestione è nullo e la nullità può essere fatta valere

solo dal cliente . Le modalità attraverso cui le istruzioni vengono impartite sono indicate nel contratto

di gestione a norma dell’art. 37 c. 2 lett. c) del reg. intermediari.

Ulteriori limiti alla discrezionalità dell’intermediario si rinvengono, per il solo contratto stipulato con il

cliente al dettaglio, nell’art. 38 del reg. intermediari, secondo cui esso deve indicare: “i tipi di strumenti

finanziari che possono essere inclusi nel portafoglio del cliente e i tipi di operazioni che possono essere

realizzate su tali strumenti, inclusi eventuali limiti;… gli obiettivi di gestione, il livello del rischio entro il

quale il gestore può esercitare la sua discrezionalità ed eventuali specifiche restrizioni a tale

discrezionalità;… se il portafoglio del cliente può essere caratterizzato da effetto leva… la possibilità

per l’intermediario di investire in strumenti finanziari non ammessi alla negoziazione in un mercato

regolamentato, in derivati o in strumenti illiquidi o altamente volatili; o di procedere a vendite allo

scoperto, acquisti tramite somme di denaro prese a prestito, operazioni di finanziamento tramite titoli o

qualsiasi operazione che implichi pagamenti di margini, deposito di garanzie o rischio di cambio”.

Il carattere discrezionale dell’attività convive quindi con la capacità del cliente di incidere sulla gestione

del patrimonio affidato all’intermediario, sia nel momento della stipulazione del contratto di gestione

(attraverso la fissazione degli elementi indicati dagli artt. 37 e 38 del reg. intermediari) sia in costanza del

rapporto, impartendo istruzioni vincolanti. Questa capacità del cliente rappresenta un ulteriore

elemento discretivo rispetto alle gestioni collettive. In queste ultime infatti i soggetti abilitati gestiscono

il patrimonio conferito da una massa di risparmiatori in piena ed assoluta autonomia.

È opportuno allora cercare di individuare il punto di equilibrio tra la “personalizzazione” del servizio e

la discrezionalità del gestore. È evidente al riguardo che, se la facoltà di impartire istruzioni vincolanti in

ordine alle operazioni da compiere fosse esercitata dal cliente con frequenza e con caratteri tali da

rilegare l’attività dell’intermediario a quella di un mero esecutore, il servizio prestato non sarebbe più

quello di gestione, ma quello di “ricezione e trasmissione di ordini” . Tale situazione peraltrocomporterebbe l’applicazione di sanzioni nei confronti dell’intermediario che, autorizzato a prestare il

servizio di gestione di portafogli, non lo sia anche con riferimento al servizio di ricezione e trasmissione

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. La facoltà del cliente di impartire istruzioni, deve quindi (se si vuole rispettare la natura gestoria

dell’attività ) “inserirsi all’interno di un servizio, bensì “personalizzato”, ma pur sempre “pensato” e

proposto dal gestore” . Occorre rilevare che la personalizzazione del rapporto tra intermediario e

cliente risulta nella prassi pressoché inesistente , dato che normalmente il servizio in questione è

prestato nei confronti dei clienti al dettaglio, i quali non avendo adeguate competenze, si affidano alle

scelte dell’investitore. Ne consegue che la standardizzazione accomuna non solo le gestioni collettive,

ma anche quelle individuali, almeno nei confronti dell’insieme dei clienti di ogni intermediario . I

soggetti abilitati sono infatti soliti predisporre delle cc.dd. “linee di gestione” descritte normalmente in

fogli allegati al contratto.

Risulta controversa la legittimità delle cc.dd. gestioni con “preventivo assenso”, ossia dei rapporti

gestori nei quali ogni operazione d’investimento, per essere eseguita, deve ottenere la preventiva

autorizzazione del cliente. Parte della dottrina ha ritenuto un tale tipo di gestione contrastante con il

carattere discrezionale dell’attività dell’intermediario . Al contrario, il preventivo assenso dell’investitore

non sembra incompatibile con il servizio in questione “ a condizione che l’investimento sia scelto e

proposto (…) dal gestore, il quale poi si limiti a verificarne il gradimento” . D’altronde , come è stato

osservato, la facoltà di impartire istruzioni vincolanti è stata prevista al fine di assicurare all’investitore la

possibilità di mantenere la propria autonomia decisionale in relazione alle scelte riguardanti la gestione

del proprio portafoglio .

Nell’ipotesi in cui l’intermediario ritenga che l’ordine impartito dal cliente non sia consono al progetto

gestorio, si ritiene che, fermo restando il dovere di non eseguire operazioni non adeguate, il soggetto

abilitato possa recedere dal contratto . L’art. 24 c. 1 lett. b) del T.U.F. prevede infatti che

l’intermediario possa recedere dal contratto di gestione ai sensi dell’art. 1727 del c.c. Tale articolo

disciplina la rinunzia del mandatario distinguendo a seconda che il mandato sia a tempo determinato o

indeterminato: nel primo caso, consente la rinunzia solo se sussiste un’ipotesi di giusta causa; nel

secondo, invece, stabilisce soltanto il dovere di darne congruo preavviso. In ogni caso la rinunzia deve

essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa provvedere altrimenti, salvo il caso di

impedimento grave da parte del mandatario. A differenza dell’intermediario, l’art. 24 del T.U.F.

dispone che il cliente può recedere dal contratto in ogni momento e che l’eventuale patto contrario è

nullo e la nullità può esser fatta valere solo dal cliente.

I mercati finanziari e il sistema di vigilanza

La direttiva di massima armonizzazione 2004/39/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, datata 21 aprile2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (Markets in Financial Instruments Directive, nel seguito:

MiFID), ha confermato, arricchendone il disegno, la scelta per la creazione di mercati regolamentati fondati sul

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modello privatistico, già effettuata dal legislatore europeo con le precedenti direttive 93/22/CEE e 93/6/CEE,

relative ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari e all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di

investimento e degli enti creditizi.

Il suo recepimento dunque, mediante il d.lg. 17 settembre 2007, n. 164, consolida la struttura del testo unico delle

disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58 (nel seguito: testo unico o

t.u.f.).

Diverse, e profonde, sono per contro le modifiche introdotte nel testo unico in materia di strumenti finanziari e

servizi di investimento, ove la novella ha comportato anche significativi mutamenti dell’impianto normativo. 

Prendendo le mosse dalla disciplina dei mercati, va detto che essa si ritrova, anche dopo la novella, nel titolo I

della parte III del t.u.f., ora però articolata in un capo I (artt. 60 ter-77), dedicato ai mercati regolamentati, in un

capo II (artt. 77 bis-79), dedicato ai sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamentati, e in un capo II bis

(artt. 79 bis-79 ter) contenente disposizioni comuni.

Come noto, il t.u.f. aveva al riguardo recepito  –  senza apportarvi innovazioni significative –  la regolamentazione

introdotta dal d.lg. 23 luglio 1996, n. 415 (nel seguito: decreto Eurosim), che aveva dato attuazione nel nostro

ordinamento alle direttive 93/22/CEE e 93/6/CEE.

Una delle novità di maggior rilievo introdotte dal decreto Eurosim era certamente stato  –   lo si è detto  –   il

passaggio da un modello di mercato pubblico, istituito e gestito dalla pubblica autorità, a un modello privatistico,

incentrato sull’iniziativa dell’autonomia privata e sottoposto all’autorizzazione e alla vigilanza pubblica.

 Alla base della scelta effettuata dal nostro legislatore vi era la convinzione che il superamento della visione

pubblicistica dei mercati mobiliari costituisse un passaggio obbligato nel processo di integrazione internazionale

dei mercati, risultante dall’emanazione delle direttive comunitarie sopra menzionate, le quali avevano sancito il

principio di liberalizzazione dei servizi di investimento in ambito comunitario e il mutuo riconoscimento dei

mercati .

L’assetto normativo previgente era invece contraddistinto, come è noto, dalla concezione –  risalente al modello

francese del periodo napoleonico –  secondo la quale il mercato regolamentato costituisce un pubblico servizio e

trova la sua origine in un atto della pubblica autorità, alla quale spettano altresì le competenze relative

all’organizzazione e al funzionamento del mercato medesimo .

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Un opposto modello è presente, per contro, nell’esperienza angloamericana, nella quale le borse e, più in

generale, i mercati organizzati, sono tradizionalmente disciplinati come imprese e organismi autoregolati (self-

regulatory organizations), integrati da elementi di regolazione pubblica .

L’impostazione che caratterizza la disciplina dei mercati è rispecchiata dall’art. 61, 1° co., t.u.f., il quale dispone

che «l’attività di organizzazione e gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari ha carattere di impresa

ed è esercitata da società per azioni, anche senza scopo di lucro» .

La norma chiarisce come l’attività di organizzazione e di gestione dei mercati non costituisca un pubblico

servizio, ma un’attività economica, ai sensi dell’art. 2082 c.c. , esercitata da un soggetto di diritto privato (società

per azioni), sottoposto allo statuto dell’imprenditore commerciale, ivi compresa la soggezione a fallimento, in

caso di insolvenza (art. 75 t.u.f.) . Tale scelta è altresì resa evidente dalla circostanza che la società di gestione ha

naturalmente uno scopo di lucro, sebbene quest’ultimo non sia essenziale e possa essere escluso.

Dal testo dell’art. 61, 1° co., t.u.f., si desume, inoltre, che l’adozione del modello privatistico ha comportato il

superamento della struttura monopolistica dei mercati finanziari. La distinzione tra «mercato» e «società di

gestione» comporta, infatti, la possibilità della compresenza di più mercati regolamentati, gestiti da diverse società

in concorrenza tra loro.

Il coinvolgimento di un interesse pubblico  –   riconducibile alla tutela del risparmio, di cui all’art. 47 Cost. –  

nell’esercizio dell’attività in parola, peraltro, giustifica, come si avrà modo di osservare, la sottoposizione

dell’attività medesima a controlli e ad autorizzazione da parte della Consob e del Ministro dell’economia.

Il decreto Eurosim prevedeva la costituzione di una o più società per azioni, alle quali affidare la gestione della

borsa valori, del mercato ristretto e del mercato dei “derivati”. Al Consiglio di borsa era stato demandato il

compito di procedere alla privatizzazione dei mercati regolamentati esistenti, mediante la costituzione –  per atto

unilaterale e previa approvazione del relativo progetto da parte della Consob –  delle società di gestione, secondo

le modalità stabilite dall’art. 56 d.lg. n. 415/1996 .

Le modalità seguite per la “privatizzazione” hanno condotto alla creazione di una società per azioni (Borsa

italiana s.p.a.), avente finalità lucrativa, alla quale è stata affidata l’organizzazione e la gestione dei mercatiregolamentati di strumenti finanziari, in conformità a un regolamento deliberato dall’assemblea ordinaria della

società medesima.

Conseguenza della privatizzazione del soggetto che gestisce i mercati è stata, pertanto, la sostituzione delle fonti

legislative e regolamentari di disciplina dei mercati con fonti di natura privatistica.

 A norma dell’art. 62 t.u.f., infatti, l’organizzazione e la gestione dei mercati sono disciplinate da un regolamento

deliberato dall’assemblea ordinaria o dal consiglio di sorveglianza della società di gestione, regolamento che

altresì può attribuire al consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione il potere di dettare disposizioni di

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attuazione. Tale regolamento deve essere reso pubblico secondo le modalità stabilite dalla Consob e ha un

contenuto minimo prestabilito dalla legge. Tra le materie che devono in ogni caso essere previste dal

regolamento vi sono le condizioni e le modalità di ammissione, di esclusione e di sospensione degli operatori e

degli strumenti finanziari dalle negoziazioni; le condizioni e le modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e

gli eventuali obblighi degli operatori e degli emittenti; le modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione deiprezzi; i tipi di contratti ammessi alle negoziazioni e i criteri per la determinazione dei quantitativi minimi

negoziabili.

Il regolamento ha natura di atto di autonomia privata, diretto a regolare i rapporti tra la società di gestione, gli

intermediari ammessi alla negoziazione e gli emittenti. In considerazione della predisposizione unilaterale del

regolamento, troveranno applicazione le norme codicistiche in materia di contratti per adesione (artt. 1341-1342)

.

Dalla riconosciuta natura privatistica dei rapporti originati dall’adesione al regolamento dovrebbe desumersi,inoltre, la devoluzione alla cognizione del giudice ordinario delle eventuali controversie che dovessero insorgere

tra i soggetti sopra menzionati. In tal senso è orientata la prevalente dottrina , anche se taluni Autori hanno

ritenuto di poter desumere la competenza del giudice amministrativo dal disposto dell’art. 33, 1° co., d.lg. 31

marzo 1998, n. 80, a norma del quale «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le

controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni,

al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14

novembre 1995, n. 481» .

Secondo questo orientamento, dalla disposizione sopra riportata sarebbe altresì possibile trarre argomenti per

ricondurre la società di gestione alla categoria del «privato incaricato di pubblico servizio», anche in

considerazione della stretta connessione tra l’attività svolta e il pubblico interesse alla tutela del risparmio.

Siffatta soluzione interpretativa è stata, peraltro, contestata, osservandosi che, già a partire dal quadro normativo

introdotto dal decreto Eurosim, poi confermato dal t.u.f., anche dopo il recepimento della direttiva MiFID,

emerge che la società di gestione è dalla legge considerata un imprenditore che fornisce un servizio di mercato

perseguendo, di regola, uno scopo lucrativo. Il pubblico interesse alla tutela del risparmio, pertanto, costituirebbe

un vincolo esterno all’attività esercitata dalla società di gestione; tale vincolo non inciderebbe sulla naturaprivatistica del soggetto che la esercita, pur giustificando la presenza di controlli pubblici sull’attività e la necessità

di un’autorizzazione all’esercizio, così come avviene per altre attività –  quali quella bancaria o assicurativa –  non

riconducibili al concetto di pubblica funzione o di servizio pubblico .

La disciplina delle società di gestione del mercato contenuta nel t.u.f. si colloca, pertanto, nel contesto di

un’avvenuta privatizzazione dei mercati e detta, conseguentemente, una regolamentazione in chiave privatistica .

L’autorità pubblica non esercita un’attività di gestione, ma d i mera vigilanza esterna, diretta a garantire la

trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori (art. 74, 1° co.,t.u.f.). Alla Consob è, peraltro, riconosciuto, nei casi di necessità e di urgenza, un poter e d’intervento sostitutivo,

circoscritto al conseguimento degli obiettivi sopra menzionati (art. 74, 3° co., t.u.f.).

7/17/2019 Diritto Commerciale - corso progredito

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Le società di gestione.

Il legislatore italiano ha ritenuto che la forma giuridica più appropriata per l’esercizio dell’attività di ge stione dei

mercati fosse quella della società per azioni. Si è in presenza, peraltro, di una società di diritto speciale,

contraddistinta dalla possibile assenza di uno scopo lucrativo e dalla soggezione a particolari controlli, motivati

dall’esigenza di salvaguardia degli interessi pubblici coinvolti (pubblico interesse alla tutela del risparmio) .

L’oggetto sociale delle società di gestione è limitato da disposizioni di legge, le quali prevedono che le società in

parola non possano esercitare attività che non siano «connesse» o «strumentali» all’organizzazione e alla gestione

dei mercati. Spetta alla Consob il compito di stabilire in concreto quali attività connesse e strumentali possono

essere esercitate dalle società di gestione [art. 61, 2° co., lett. b), t.u.f.]. L’elencazione di tali attività è oracontenuta nell’art. 4 del regolamento «mercati» (adottato con delibera n. 16191/2007 e successive modifiche e

integrazioni).

Norme particolari sono dettate dall’art. 61 per quanto riguarda i requisiti degl i esponenti aziendali della società di

gestione e dei soggetti che partecipano in misura rilevante al capitale, nonché per il trasferimento di

partecipazioni significative.

 Alle società di gestione dei mercati sono stati inoltre conferiti poteri di autoregolamentazione e di intervento sul

funzionamento dei mercati stessi .Le competenze della società di gestione in relazione all’organizzazione e al funzionamento del mercato sono

elencate dall’art. 64 t.u.f. La norma individua le competenze in oggetto con riferimento al corretto

funzionamento del mercato e alla vigilanza sull’osservanza del regolamento .

 Alla prima categoria appartengono la predisposizione delle strutture, la fornitura di servizi necessari al

funzionamento del mercato e la determinazione dei corrispettivi a essa dovuti per l’utilizzazione delle strutture

apprestate e la fruizione dei servizi forniti [1° co., lett. a)]. L’elencazione delle competenze in materia di

organizzazione e funzionamento del mercato è completata da una clausola generale, la quale attribuisce alla

società di gestione il potere di adottare «tutti gli atti necessari per il buon funzionamento del mercato» [lett. b)].

La società di gestione ha, inoltre, il potere di disporre l’ammissione, l’esclusione e la sospensione deg li strumenti

finanziari e degli operatori dalle negoziazioni [lett. c)].

Degne di nota sono le competenze in materia di vigilanza, le quali vengono ad aggiungersi  –  non senza il rischio

di possibili sovrapposizioni  –   a quelle proprie della Consob, dirette a garantire la trasparenza, l’ordinato

svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori .

 Alla società di gestione la legge attribuisce il potere di predisporre e mantenere dispositivi e procedure efficaciper il controllo del rispetto del regolamento [lett. b), ult. parte] e impone di comunicare alla Consob le violazioni

del regolamento medesimo, segnalando le iniziative assunte [lett. d)].

7/17/2019 Diritto Commerciale - corso progredito

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 Accanto a competenze originarie, la società di gestione può essere delegata dalla Consob ad espletare altri

compiti [lett. f)]. Tra questi ultimi assumono particolare rilevanza i compiti in materia di informazione societaria,

che consistono nella gestione e diffusione al pubblico delle informazioni e dei documenti indicati nei regolamenti

emanati dalla Consob per dare attuazione all’art. 114 t.u.f. , e quelli inerenti al controllo del prospetto per offerte

riguardanti strumenti finanziari comunitari ammessi alle negoziazioni ovvero oggetto di domanda di ammissionealle negoziazioni in un mercato regolamentato, nel rispetto dei principi stabiliti dalle disposizioni comunitarie

(art. 94 bis, 3° co., t.u.f.).

Il ruolo delle autorità pubbliche nella gestione dei mercati.

Il riconoscimento della natura imprenditoriale dell’attività di organizzazione e gestione dei mercati non haeliminato il ruolo di vigilanza della Consob, la quale mantiene incisivi poteri sia sulla società di gestione, sia sui

mercati. Determinati compiti sono affidati, inoltre, al Ministro dell’economia.

Il potere di vigilanza sulle società di gestione investe diversi profili e si colloca su più livelli.

È innanzi tutto previsto un controllo preventivo di tipo prudenziale, che concerne le risorse finanziarie delle

società e i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di

amministrazione, direzione e controllo, nonché i requisiti di onorabilità dei soggetti che partecipano in misura

rilevante al capitale della società di gestione (art. 61).Per il primo profilo è competente la Consob, la quale ha stabilito che la società di gestione deve disporre al

momento dell’autorizzazione e continuativamente di risorse finanziarie sufficienti per rendere possibile il

funzionamento ordinato dei mercati regolamentati gestiti, tenendo conto della natura e dell’entità delle

operazioni concluse nei mercati, nonché della portata e del grado dei rischi ai quali essi sono esposti (art. 3 del

regolamento «mercati»).

 Al Ministro è stato invece demandato il compito di determinare, sentita la Consob, i requisiti di onorabilità e

professionalità degli esponenti aziendali (art. 61, 3° co., t.u.f.), nonché i requisiti di onorabilità dei soggetti che

partecipano al capitale della società di gestione (art. 61, 5° co., t.u.f.) .

Sempre con riferimento alle partecipazioni nella società di gestione, si osserva come l’art. 61, 6° co., disponga che

gli acquisti e le cessioni di partecipazioni  –  effettuati direttamente o indirettamente –  devono essere comunicati

dall’acquirente, entro ventiquattro ore, alla società di gestione, unitamente alla documentazione attestante il

possesso, da parte degli acquirenti, dei requisiti di onorabilità prescritti a norma del 5° co. del medesimo articolo.

Il medesimo articolo, al co. 6-bis, lett. a), prevede che la Consob disciplini con regolamento contenuto, termini e

modalità di comunicazione, da parte della società di gestione, delle informazioni relative ai partecipanti al

capitale, individuando la soglia partecipativa rilevante a tale fine e ai fini del possesso dei requisiti di onorabilità di

cui al 5° co. e delle comunicazioni di cui al 6° co.

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Non è richiesta l’autorizzazione preventiva da parte della Consob, la quale è chiamata a effettuare una verifica

successiva in ordine alla sussistenza dei requisiti. Ove questi ultimi manchino, ovvero in assenza della prescritta

comunicazione, si ha la “sterilizzazione” del voto, relativamente alla partecipazione eccedente la soglia di cui al

co. 6-bis.

L’esercizio del voto in spregio del divieto di cui sopra è sanzionato con l’annullabilità della deliberazione adottata

con il voto determinante dei soci che si sarebbero dovuti astenere e con l’ampliamento dei soggetti legittimati ad

agire per l’annullamento alla Consob, la quale può agire entro sei mesi dalla data della deliberazione, ovvero

dell’iscrizione nel registro delle imprese, ove tale obbligo sussista .

I requisiti prescritti dall’art. 61 assumono rilievo anche in sede di modifiche statutarie. A norma dell’art. 73, 3°

co., infatti, la Consob è chiamata a verificare che le modifiche non contras tino con i requisiti previsti dall’art. 61.

La verifica da parte dell’Autorità di controllo costituisce condizione per l’iscrizione nel registro delle imprese

della deliberazione che adotta le modifiche statutarie.

Un secondo livello di vigilanza  –  anch’esso di competenza della Consob  –  attiene all’accertamento dell’idoneità

del regolamento emanato dalla società di gestione ad assicurare il conseguimento di obiettivi di natura

pubblicistica, individuati nella trasparenza del mercato, nell’ordinato svolgimento delle negoziazioni e nella tutela

degli investitori [art. 63, 1° co., lett. b), t.u.f.].

L’accertamento della sussistenza dei requisiti sopra menzionati è condizione per ottenere l’autorizzazione della

Consob all’esercizio dei mercati regolamentati, unitamente alla conformità del regolamento alla disciplina

comunitaria (art. 63, 1° co., t.u.f.). A tale conclusione si perviene in considerazione dell’assenza nell’art. 63 di unanorma analoga a quella contenuta nell’art. 73 per le modifiche statutarie. Il silenzio della legge è stato interpretato

nel senso che l’accertamento della sussistenza dei requisiti in oggetto non rappresenti una condizione per la

costituzione della società, ma soltanto per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività .

Relativamente alla qualificazione dell’autorizzazione di cui all’art. 63 è stato sostenuto –   già con riferimento

all’analoga disposizione contenuta nell’art. 48 del decreto Eurosim –  che il provvedimento abilitativo all’esercizio

dell’attività di organizzazione e gestione dei mercati è incentrato sul mero riscontro della sussistenza dei requisiti

richiesti dalla legge per l’esercizio dell’attività. Ne discenderebbe che l’autorità pubblica godrebbe sul punto di un

ristretto margine di discrezionalità (c.d. discrezionalità vincolata) e dovrebbe accordare l’autorizzazione, ove

ricorrano i requisiti tassativamente previsti dalla legge. Conseguenza ulteriore sarebbe che l’autorizzazione non

potrebbe essere negata ad altre società che, avendone i requisiti di legge, intendano esercitare la medesima

attività, dando vita a tanti mercati quante sono le società di gestione .

 Altri ha per contro rilevato come l’autorità pubblica, pur essendo vincolata sul punto al rispetto del principio di

legalità –  e non potendo, pertanto, negare l’autorizzazione in presenza dei requisiti richiesti dalla legge –  goda di

un elevato margine di discrezionalità, soprattutto in relazione all’accertamento della conformità del regolamento

del mercato alla disciplina comunitaria e la sua idoneità «ad assicurare la trasparenza del mercato, l’ordinatosvolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori» [art. 63, 1° co., lett. b)] .

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L’autorizzazione costituisce il presupposto per l’iscrizione del mercato regolamentato in un elenco pubblico; alla

iscrizione provvede la Consob, «curando l’adempimento delle disposizioni comunitarie in materia» (art. 63, 2°

co.). Quest’ultima precisazione fa riferimento alla comunicazione dell’iscrizione dei mercati regolamentati alle

autorità di controllo degli altri Stati comunitari, al fine di consentire alla società di gestione di beneficiare del

diritto al mutuo riconoscimento previsto dall’art. 47 della direttiva 2004/39/CE.

Una volta iscritta nell’elenco, la società di gestione è sottoposta al controllo della Consob, la quale è chiamata ad

approvare le modificazioni del regolamento del mercato e, si ritiene, ha il potere di disporre la cancellazione

dall’elenco, nel caso in cui vengano meno i requisiti che hanno condotto all’abilitazione .

L’attività di vigilanza della Consob si esplica, altresì, nella fase successiva di funzionamento del mercato.

L’art. 74, 1° co., t.u.f. riconosce alla Commissione un generale potere di vigilanza sui mercati regolamentati,

diretto ad «assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori». Come

è stato osservato, la disposizione riconosce alla Consob un potere di vigilanza di secondo grado, in quanto

presuppone la competenza di carattere generale della società di gestione per quel che concerne l’organizzazione,

la gestione ed il funzionamento dei mercati (art. 64), che si estende, peraltro, a un controllo di merito .

Il 2° co. dell’art. 74 attribuisce alla Consob il potere di chiedere alla società di gestione la comunicazione anche

periodica di dati, notizie, atti e documenti, nonché di eseguire ispezioni presso la società e richiedere l’esibizione

di documenti e il compimento degli atti ritenuti necessari.

Particolarmente penetranti sono i poteri di «amministrazione attiva» riconosciuti alla Commissione dal 3° co.

della disposizione in esame. In particolare, si segnala il potere di intervento sostitutivo nei casi di «necessità ed

urgenza», per il perseguimento delle finalità indicate nel 1° co. Siffatto intervento non presuppone

necessariamente l’inerzia della società di gestione e per ciò pone problemi di compatibilità con il riconoscimento

dell’autonomia della società di gestione. Al riguardo si è osservato che le norme in oggetto sembrano attribuire

alla Consob un vero e proprio potere di indirizzo e di intervento diretto nei riguardi della società di gestione, con

effetti vincolanti per quest’ultima, benché siffatto potere sia circoscritto al perseguimento delle finalità di

 vigilanza sopra richiamate .

Il sistema di vigilanza sui servizi di investimento

Quello descritto nella lezione precedente è il sistema di vigilanza sui mercati.

Differente è, invece, il sistema di vigilanza sugli intermediari e, in generale, sull’offerta di servizi di investimento.

In questo caso, infatti, il legislatore italiano ha scelto l’approccio c.d. per finalità, sottoponendo la vigilanza degli

intermediari che operano sul mercato finanziario ad autorità distinte, ciascuna posta a presidio di un determinato

obiettivo, senza che rilevi la categoria di soggetti vigilati ovvero il settore di riferimento. In particolare, il testo

unico affida ad autorità distinte la vigilanza sulle condizioni di stabilità del mercato e di ciascun intermediario, la

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 vigilanza sulla trasparenza del mercato finanziario, con particolare riferimento ai rapporti tra intermediari e

clienti, e quella sulla concorrenza su tutto il mercato finanziario e tra gli intermediari.

Siffatta impostazione è stata a suo tempo preferita alle altre possibili sistemazioni, seguite da altri ordinamenti: (i)

il modello c.d. istituzionale (o per soggetti), in cui la vigilanza è esercitata su ciascuna categoria di operatori

finanziari ovvero su ciascun mercato e affidata a una distinta autorità; (ii) il modello per attività o per funzioni,

incentrato sulla distinzione tra le diverse attività di intermediazione svolte dai soggetti che operano sul mercato

finanziario e sulla corrispondente ripartizione del potere di vigilanza tra distinte autorità, ciascuna competente

per una determinata attività, senza che rilevi la natura giuridica del soggetto vigilato; (iii) il modello c.d.

accentrato, che prevede l’esistenza di un’unica autorità di vigilanza, competente su tutti i settori del mercato

finanziario e su tutti gli operatori in esso operanti, con riguardo a tutti gli obiettivi della regolamentazione.

Quando fu scelto il modello di vigilanza per finalità, si trattava del sistema al tempo più diffuso. Il nostro

legislatore non ha, però, ritenuto di modificare l’impostazione originaria, neppure quando la maggioranza degliordinamenti europei ha corretto il tiro, adottando sistemi di vigilanza accentrati, sulla base della sempre più

diffusa tendenza alla “multisettorialità” degli intermediari e alla progressiva integrazione dei mercati, che rende

difficile una netta distinzione tra i tradizionali settori in cui si articola il mercato finanziario, anche in

considerazione della costituzione di gruppi finanziari “conglomerati”. 

 Va detto, peraltro, che il sistema italiano di vigilanza è comunque in qualche misura ibrido¸ in ragione dello

stratificarsi, largamente casuale, di elementi di legislazione successivi e scomposti, particolarmente nel settore

assicurativo e dei fondi pensione.

 Al momento, comunque, in Italia sono due le autorità di vigilanza principali sugli intermediari mobiliari: la Banca

d’Italia e la Consob. 

L’art. 5 t.u.f., individua gli obiettivi generali della vigilanza, comuni a entrambe. Si legge, infatti, nella norma che

“l’attività di vigilanza ha per obiettivi: a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario; b) la tutela degli

investitori; c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario; d) la competitività del sistema

finanziario; e) l’osservanza delle discipline in materia finanziaria”. Sotto questo profilo, la nuova disciplina

richiama alla mente l’art. 5 del testo unico bancario del 1993, dedicato –   come noto  –   alle “finalità della

 vigilanza”, che individua complessivamente gli obiettivi delle “autorità creditizie” . 

Ciò detto, alla Banca d’Italia si attribuisce la competenza per contenimento del rischio, stabilità patrimoniale e

sana e prudente gestione (art. 5, comma 2) e alla Consob la competenza per trasparenza e correttezza dei

comportamenti (art. 5, comma 3). Si è dunque scelto, in principio, il modello di vigilanza per finalità.

 Tuttavia, elementi di contaminazione “istituzionale” sono recati da altri testi legislativi. Così la vigilanza sulle

banche è affidata alla competenza della Banca d’Italia mentre, nel settore assicurativo, il controllo e la vigilanz a

sulle imprese di assicurazione spettano all’ISVAP, sia per quel che concerne il controllo della gestione delle

imprese sul piano finanziario, patrimoniale e contabile, sia per gli aspetti che riguardano la vigilanzaregolamentare (cfr. d.lgs. settembre 2005, n. 209, c.d. codice delle assicurazioni private), residuando peraltro

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competenze anche in capo al Ministero delle attività produttive. Quanto ai fondi pensione, competente, è la

COVIP. Sì che appare corretto identificare in (almeno) quattro le autorità di vigilanza sui mercati finanziari,

nonostante –  è il caso di dirlo –  la previsione dell’art. 5 t.u.f. . A esse si aggiunge, peraltro, l’Autorità Garante per

la concorrenza e il mercato, competente per gli aspetti relativi alla disciplina della concorrenza.

La vigilanza regolamentare

L’art. 6 t.u.f. disciplina la ripartizione della potestà regolamentare fra la Banca d’Italia e la Consob, nel rispetto del

criterio di ripartizione delle competenze per “finalità” di cui si è detto, ma senza rinunciare a imporre a ognuna

delle autorità di vigilanza di “sentire” comunque l’altra prima di emanare i regolamenti.

 Alla Banca d’Italia è demandato di disciplinare adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio e

partecipazioni detenibili.

Compete, inoltre, alla Banca d’Italia anche l’individuazione delle modalità di deposito e subdeposito degli

strumenti finanziari e del denaro di pertinenza della clientela. Non è chiarissimo perché il legislatore abbia scelto

lo strumento del regolamento per la disciplina di questi aspetti, atteso che il “deposito” quale strumento di

garanzia (dell’integrità del patrimonio) della clientela non ha un ruolo centrale nel testo unico: non vi è un

obbligo di deposito del patrimonio conferito dai clienti presso un soggetto terzo, avente particolari requisiti di

solidità patrimoniale e sottoposto a vigilanza amministrativa, bensì esclusivamente una generica previsione che

“gli strumenti finanziari e il denaro dei singoli clienti a qualunque titolo detenuti dalla impresa di investimento”  

costituiscono “patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti” (art.

22 t.u.f.). Invero, poco può fare la Banca d’Italia per integrare una disposizione così debole e di scarsa utilità per

la clientela di fronte ad episodi di mala gestio: si potranno solo dettare generali regole di separazione contabile.

 Al riguardo non va dimenticato come l’art. 22, comma 2, t.u.f. già detti una disciplina di separazione per le ipotesi

di deposito presso terzi (ovvero di sub-deposito) degli strumenti finanziari e del denaro, sancendo l’inapplicabilità

del principio della compensazione legale e giudiziale e la nullità della eventuale compensazione

convenzionalmente pattuita in ordine ai crediti del depositario nei confronti dell’intermediario (e del sub-

depositario nei confronti del depositario).Quanto alla Consob, la norma le attribuisce potestà regolamentare in punto di trasparenza, ivi compresi obblighi

informativi, comunicazioni pubblicitarie e rendicontazione, e di correttezza dei comportamenti, ivi comprese le

 valutazioni di adeguatezza e appropriatezza, gli obblighi relativi alla c.d. best execution e le regole sulla

percezione di “incentivi”. 

Rientrano, invece, fra le regole organizzative e di comportamento a disciplina congiunta (dei due organi di

 vigilanza) quelle volte a gestire il rischio di conflitti di interesse, quelle relative alle procedure di controllo interno

e quelle relative ai requisiti generali dell’organizzazione . 

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La vigilanza informativa

L’art. 8 t.u.f., dedicato alla “vigilanza informativa”, riunisce in una sola norma di portata generale le diverse

disposizioni contenute nella legislazione anteriore al t.u.f., che prevedevano, da un lato, poteri di richiedere

informazioni in capo alle autorità di vigilanza e, dall’altro, obblighi a carico degli intermediari. La relazione

ministeriale giustamente sottolinea, al riguardo, come siffatta sistemazione della materia ne abbia ancheconsentito una significativa delegificazione.

La Banca d’Italia e la Consob possono richiedere agli intermediari vigilati dati, notizie, atti e documenti,

fissandone modalità e termini di comunicazione. Non si è mantenuta la previsione, consueta nella disciplina

dell’informazione societaria, che siffatte richieste possono essere anche “a carattere periodico”, ma ciò è per vero

implicito nell’ampia dizione adottata. 

Non è richiesto che le due autorità si “sentano”, né che procedano “d’intesa”. In alcune ipotesi è, però, previsto

che determinati atti siano trasmessi a entrambi gli organi di vigilanza: ciò si richiede per le comunicazioni del

collegio sindacale che accertino irregolarità (comma 3) e per le segnalazioni della società di revisione concernenti

gravi irregolarità o comunque elementi ostativi al rilascio della certificazione del bilancio (comma 4).

In tutti gli altri casi le due autorità di vigilanza operano separatamente  –   non però a “compartimenti stagni”,

dovendo collaborare fra loro, “anche mediante scambio di informazioni” e non potendo opporsi il segreto di

ufficio (art. 4, comma 1)  –  richiedendo documenti ciascuna per le materie “di rispettiva competenza”. Siffatte

materie “di competenza” vanno, caso per caso, individuate dalle singole norme del testo unico, quando non si

tratti di materie rientranti nell’ambito della vigilanza regolamentare. E va avvertito che vigilanza regolamentare e

 vigilanza ispettiva non sono equiestese, sì che la possibilità di richiedere informazioni travalica certamente gliambiti attribuiti alla normativa subprimaria.

Merita di essere notato, infine, che il potere di richiesta di informazioni è esteso pienamente ai soggetti incaricati

della revisione legale dei conti (art. 4, comma 2). Ciò giustifica anche la scelta sistematica di collocare l’obbligo di

revisione contabile in una norma (l’art. 9 t.u.f.) inserita nel capo dedicato alla vigilanza. 

7/17/2019 Diritto Commerciale - corso progredito

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Gli interventi sui soggetti abilitati

L’art. 7 t.u.f. prevede una serie di interventi autoritativi sugli intermediari sottoposti a vigilanza. Anche in questo

caso, come ricorda la relazione ministeriale, la norma “ricalca le analoghe previsioni del testo unico bancario”. Tuttavia, essa si distacca –  dal punto di vista sistematico –  dal modello, in quanto nel testo unico bancario siffatti

“interventi” sono collocati all’interno della “vigilanza regolamentare” (art. 53, comma 3), mentre nel t.u.f. sono

portati fuori dalla ricordata tripartizione e finiscono per costruire un corpo a sé, sospeso fra vigilanza

regolamentare e vigilanza ispettiva.

 Al di là della scelta di sistema, i poteri attribuiti agli organi di vigilanza, sempre “nell’ambito delle rispettive

competenze”, sono esattamente gli stessi del testo unico bancario: convocazione di amministratori, sindaci e

dirigenti; ordine di convocazione di organi collegiali; convocazione degli organi collegiali in caso di

inottemperanza all’ordine. La compressione della libertà di impresa, connessa a così pervasivi interventi

sull’organizzazione societaria, consiglia una applicazione prudente della norma, come d’altronde è certamente

avvenuto in questi anni. Per la stessa ragione non appaiono in alcun modo proponibili letture “estensive” del

dettato normativo. L’organo di vigilanza può solo provocare la convocazione dell’organo sociale ed

eventualmente fissare l’ordine del giorno della riunione, ma non può poi “coartare” la volontà dell’organo sociale

stesso, che deve sempre formarsi in via autonoma .

Infatti, qualora l’organo sociale, così convocato, non assuma le decisioni auspicate dall’autorità di vigilanza –  e

che questa può solo “suggerire”, confidando in un effetto di moral suasion –  e dunque permanga la situazione diirregolarità di crisi gestionale, altri sono gli strumenti che l’ordinamento appresta, e vanno rinvenuti negli artt. 51

ss. t.u.f., dedicati alla disciplina dei provvedimenti ingiuntivi e delle “crisi”. A proposito della moral suasion, è da

notarsi che la norma in commento non riproduce un inciso dell’art. 53 t.u.b., secondo il quale la Banca d’Italia

può “proporre l’assunzione di determinate decisioni” agli organi collegiali societari.

L’assenza del richiamo –  forse di poco momento, nella misura in cui disegnare l’ordine del giorno di una riunione

di fatto equivale a “suggerire” l’assunzione di una decisione –   vale comunque a enfatizzare i limiti che l’autorità di

 vigilanza necessariamente incontra ove voglia sostituirsi alla volontà sociale .

L’art. 7, infine, attribuisce alla sola Banca d’Italia –  e questa è l’unica disparità di trattamento fra le due autorità,

per il resto trattate in modo equanime dalle norme in commento  –   il potere di emanare, “a fini di stabilità”,

“disposizioni di carattere particolare”. Il rinvio non è (del tutto) in bianco, perché le disposizioni particolari –  che

sono particolari, appunto, perché non generali, e dunque trovano applicazione solo in determinate ipotesi  –  

devono avere a oggetto le materie disciplinate dall’art. 6, comma 1, lettera a). Si tratta, anche qui, di norma che

riprende il t.u.b., ove peraltro la disposizione ispiratrice (art. 53, comma 3, lettera d) è più chiara, parlando

espressamente di “provvedimenti specifici nei confronti di singole banche”. Tuttavia, come detto, non è dubbio

che la “disposizione particolare” dell’art. 7 t.u.f. vada interpretata allo stesso modo. 

7/17/2019 Diritto Commerciale - corso progredito

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La vigilanza ispettiva

L’articolo 10 t.u.f. tratteggia l’ultimo “settore” della vigilanza, quello ispettivo. Il primo comma, in particolare,

attribuisce alle autorità di controllo poteri molto ampi, sempre per le materie di “rispettiva competenza”:possono effettuare ispezioni presso i soggetti abilitati e richiedere l’esibizione di documenti.

La norma, però, dice anche qualcos’altro: la Banca d’Italia e la Consob possono richiedere altresì “il compimento

degli atti ritenuti necessari”. Questa previsione, completamente ignorata dalla relazione ministeriale, sembra per

 vero andare ben al di là della vigilanza ispettiva. Altro infatti è ispezionare, altro è imporre il compimento di atti.

Così scritta, la norma meglio sarebbe stata collocata nell’art. 7, dedicato agli “interventi” sui soggetti vigilati. Ed è

interessante notare che la norma che ne ha costituito il modello (l’art. 54 t.u.b.) si limita a consentire all’organo di

 vigilanza di “effettuare ispezioni presso le banche e richiedere a esse l’esibizione di documenti e gli atti che

ritenga necessari”. Non è contemplata la possibilità di imporre il compimento di atti.

Ora, se è vero che l’art. 7 t.u.f. prevede particolari “compressioni” della libertà di impresa, che è ragionevole

ritenere non estensibili per via analogica, è facile capire quali rischi siano insiti in una norma “in bianco” come

quella in esame. Appare dunque necessario dare di essa una lettura rigida e restrittiva, connettendola con la ratio

della vigilanza ispettiva, e dunque affermare che gli organi di vigilanza possano imporre soltanto il compimento

di quegli atti di cui potrebbero chiedere l’esibizione. Di atti, cioè, il cui compimento costituisce obbligo per

l’intermediario in forza di altra disposizione di legge. Diversamente ragionando, si finirebbe per attribuire

all’autorità amministrativa poteri illimitati, potendosi per tale via  –   in astratto  –   anche ipotizzare non solo laconvocazione forzosa degli organi sociali (come previsto dall’art. 7), bensì anche la eterodeterminazione del

contenuto delle delibere di questi.

 Altro spunto interessante è offerto dal comma 2 dell’art. 10, a mente del quale ciascuna autorità “comunica”

all’altra le ispezioni disposte, e l’autorità che ha ricevuto la comunicazione può richiedere all’autorità che procede

all’ispezione “accertamenti su profili di propria competenza.” E videntemente, la comunicazione deve essere

preventiva, giacché altrimenti non avrebbe senso che una autorità chiedesse all’altra accertamenti particolari, che

ben potrebbe eseguire autonomamente. La norma sembra allora rispondere a un principio di “economia” degli

atti amministrativi.

Il sistema di vigilanza (finanziaria) in Europa

La crisi finanziaria iniziata nella seconda metà del 2007, e tuttora in corso, ha gravemente danneggiato

l’economia mondiale e minato la credibilità della maggior parte dei sistemi e delle autorità di vigilanza.

Le cause della crisi sono molteplici. Fra di esse alcuni autori annoverano l’eccessivo ricorso al credito

dovuto a tassi di interesse molto bassi per lunghi periodi di tempo, l’eccessivo indebitamento di molte

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istituzioni finanziarie, l'esistenza di “bolle” speculative nel settore immobiliare, in quello delle materie

prime e nei mercati azionari.

I primi fenomeni critici, capaci di colpire la finanza globale, si sono verificati negli Stati Uniti nel 2006,

ma la reale portata della crisi è emersa solo nel corso dell’agosto del 2007. Nel 2008, la crisi originata

negli USA e rapidamente sbarcata nel Regno Unito, ha iniziato a riguardare anche l’Europa continentale

che, in un primo momento, era apparsa meno esposta al contagio.

Si può affermare che le cause della crisi, così come le modalità attraverso le quali essa si è propagata,

siano note. In ogni caso, un’indagine di questo tipo esulerebbe dai propositi di questo lavoro.

Ciononostante, una brevissima ricognizione degli accadimenti degli ultimi cinque anni (2007-2012) può

essere utile per comprendere quale impatto la crisi abbia avuto sull’Unione Europea e, di conseguenza,

sull’ordinamento della stessa.

La cronologia della crisi globale dei mercati finanziari è stata semplificata da alcuni autori , fino

all’individuazione di tre fasi principali.

La prima fase della crisi, quella dei “titoli tossici” , ha avuto inizio negli Stati Uniti e si è diffusa in

Europa attraverso quelle imprese di investimento per le quali questo tipo di strumenti finanziari, ad alto

rendimento e ad alto rischio , rappresentava una quota importante dell’attività di intermediazione

finanziaria. La diffusione di tali titoli è avvenuta specialmente attraverso: “una rete di veicoli creati

appositamente per commercializzare questi prodotti. Questa rete è divenuta col tempo un vero e

proprio sistema bancario ombra operante al di fuori della supervisione delle autorità di vigilanza” .

Come è stato osservato, la scintilla della crisi può ricondursi anche ad alcune  –   ormai note  –  

innovazioni finanziarie capaci di trasferire il rischio di credito, connaturato al rapporto tra mutuante e

mutuatario, sul mercato . Si è trattato di una fase della crisi in cui hanno sofferto molto le imprese

bancarie che, come noto, hanno dovuto richiedere interventi di sostegno da parte dei governi .

La seconda fase della crisi, iniziata nel 2009, si è caratterizzata per la forte recessione di tutte le attività

economiche , non solo finanziarie. Per contrastare la recessione, la politica monetaria della BCE è

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divenuta fortemente espansiva e misure di sostegno fiscale sono state introdotte in quasi tutti i paesi

della UE . I paesi dell’Unione europea con la maggiore solidità dal punto di vista dei conti pubblici

(come la Germania) sono riusciti a fronteggiare la crisi e, a partire dal 2011, sono stati in grado di

intraprendere nuovi percorsi di crescita attraverso misure di sostegno all’economia reale. 

La terza fase della crisi, nella quale la UE ancora si trova, ha avuto inizio con la “scoperta” della grave

situazione della finanza pubblica in Grecia all'inizio del 2010 e con il contagio che si è rapidamente

esteso a gran parte del mercato del debito sovrano europeo. Nonostante le misure assunte dalla BCE,

dagli Sati membri dell’Unione Economica e Monetaria e dall’Unione europea stessa, le tensioni

continuano a manifestarsi, alimentate da speculazioni finanziarie che ipotizzano la bancarotta di questo

o quello Stato sovrano, la scomparsa dell'Euro, la fine dell’UE. La differenza di q uesta terza fase

rispetto alle precedenti è che l'impatto degli eventi critici è stato  –  e continua ad essere  –  diverso da

paese a paese. I tassi di interesse sui titoli di Stato sono diminuiti in Germania e sono aumentati a livelli

record in Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e, dalla seconda metà del 2011, in Italia.

Questa recente esperienza dimostra che il diritto dell’Unione europea, pur avendo giocato un ruolo

fondamentale nella creazione di un mercato unico –  anche dei servizi finanziari, bancari e assicurativi – ,

non si è dotato di strumenti adeguati a prevenire e gestire questo tipo di fenomeni.

Eppure, l’influenza del diritto dell’Unione sul diritto interno in materia di mercati finanziari è stata

decisiva, soprattutto nell’ultima decade. A conf erma di tale assunto, basti ricordare che la dottrina

italiana, con riferimento alle iniziative regolamentari dell’Unione in questo ambito dell’ordinamento, ha

parlato di “alluvione normativa” e di “incessante opera del legislatore comunitario” . Negli ultimissimi

anni questo trend ha addirittura conosciuto un’accelerazione. E’ dunque legittimo domandarsi il motivo

per cui le misure volute dal legislatore europeo non si siano rivelate adeguate a fronteggiare la crisi.

Qualcuno individua la causa del problema nella nota dicotomia tra sistema di regolazione e sistema di

 vigilanza finanziaria . Fino a tempi molto recenti, la vigilanza sul mercato finanziario era affidata

esclusivamente alle autorità degli Stati membri, mentre la regolazione (salvo rari casi) era quasi

interamente demandata al legislatore europeo . Tale incongruenza comprometteva l’efficacia della

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 vigilanza sul mercato unico dei servizi finanziari: basti pensare agli effetti dello scarso coordinamento

tra autorità degli Stati membri negli ultimi anni di crisi di dimensione globale.

La riforma della struttura della vigilanza europea è forse destinata a correggere, o almeno a

ridimensionare, questa incoerenza di fondo nel segno di una maggiore, e forse migliore, integrazione tra

ordinamenti. L’integrazione tra ordinamenti finanziari degli Stati membri non è, certamente, una novità.

In una prospettiva storica, si può sostenere che il processo di integrazione europea nel settore

finanziario sia passato attraverso l’utilizzo di quattro strumenti principali . Si tratta di tecniche di

legislazione che possono definirsi “classiche” per il diritto comunitario (oggi, dell’Unione), che hanno

trovato largo impiego anche in altri settori di intervento del legislatore comunitario: (i) l’apertura del

mercato; (ii) l’armonizzazione minima ; (iii) il mutuo riconoscimento ; e (iv) la vigilanza basata sul

principio dell’home country control .

Per quanto interessa la disciplina dei mercati finanziari, è indubbio che princìpi quali il mutuo

riconoscimento ed home country control abbiano consentito alle autorità nazionali di sviluppare un

primigenio sistema di vigilanza “integrata” a livello europeo. Ciò è stato possibile anche grazie alla

dottrina dell’equivalenza che consente di riconoscere come valide ed efficaci le regole e gli atti prodotti

negli altri nazionali Stati membri dell’UE.

 Tuttavia, l’uso delle richiamate tecniche di armonizzazione non ha mai posto efficace rimedio ad alcuni

problemi strutturali del sistema. Il dibattito europeo in tema di coordinamento tra ordinamenti nel

campo dei mercati finanziari può essere retrodatato al luglio 2000, quando la constatazione delle

carenze strutturali del sistema di regolazione e vigilanza indusse il Consiglio dei Ministri dell’economia e

delle finanze dell’Unione a  conferire ad un comitato di saggi, presieduto dal barone Alexandre

Lamfalussy, l’incarico di valutare tali carenze e proporre contromisure. 

Come è noto, la soluzione ideata dal comitato suggerì di articolare il processo di formazione ed

applicazione del diritto europeo su quattro livelli . La procedura era guidata dall’azione dei comitati di

“terzo livello” ed era finalizzata a rendere armonica e coordinata la produzione normativa in tema di

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mercato bancario, mobiliare e assicurativo. Il metodo Lamfalussy innovò profondamente il processo di

formazione della legislazione europea. L’iter di approvazione delle direttive e il loro recepimento negli

Stati membri divenne più rapido, sia perché l’attività consultiva dei comitati era preziosa in sede di

elaborazione delle disposizioni, sia perché la presenza di meccanismi di consultazione con gli operatori

del mercato favoriva la predisposizione di regole più condivise .

 Tuttavia, anche il metodo Lamfalussy presentava anche elementi discutibili. Alcuni critici ne hanno

evidenziato la scarsa democraticità, poiché nel processo di elaborazione e approvazione delle regole

non era previsto nessun potere di intervento sostanziale per il Parlamento europeo e, in ogni caso, in

sede di trasposizione delle norme, i Parlamenti degli Stati membri non avevano spazio di manovra

(dovendo astenersi il più possibile dall’aggiungere regole nazionali a quelle concordate a livello europeo)

. Altri critici si sono concentrati sul ruolo dei comitati di terzo livello, contestando che gli stessi, pur

elaborando precetti di carattere non vincolante, finissero con il dettare regole che poi venivano recepite

dai legislatori nazionali senza che vi fosse un reale “controllo” parlamentare. La questione ha radici

antiche e si inserisce nel più ampio dibattito sulla legittimità democratica dello strumento della

“comitologia” nell’elaborazione di norme generali e astratte . Il metodo Lamfalussy ha, peraltro,

ricevuto anche censure di segno opposto. Alcuni Autori hanno individuato una delle carenze del

metodo proprio nel carattere non direttamente vincolante delle linee guida elaborate dai comitati di

terzo livello . In altri termini, uno dei deficit del metodo andrebbe rintracciato nella natura di strumento

di soft law, ovvero di strumento che necessita un recepimento formale ed ulteriore da parte degli Stati

membri attraverso provvedimenti di carattere legislativo o regolamentare .

Le carenze che si sono evidenziate hanno creato i presupposti per porre nuovamente in discussione la

struttura del processo decisionale europeo in materia di mercati finanziari. Tuttavia, solo con l’avvento

della crisi finanziaria del 2007 la questione è divenuta nuovamente centrale nel dibattito politico.

Peraltro, l’intervento della crisi, ha fatto sì che l’approccio al problema della regolazione finanziaria si

spostasse dal “come regolare” al “come vigilare”. L’attenzione del legislatore europeo e di quelli

nazionali, nell’ultimo lustro, si è concentrata più sull’adozione di meccanismi coordinati di vigilanza

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 volti a consentire una migliore applicazione delle regole piuttosto che sulle modalità attraverso le quali

creare nuove regole. In particolare, si è detto come sia ormai chiaro che uno dei problemi principali

risiede nelle difficoltà che un sistema di vigilanza frammentato deve affrontare in un contesto

sovranazionale, soprattutto perché un’attività di vigilanza condotta su base nazionale non può che

rivelarsi inidonea a prevenire e gestire crisi di natura sistemica. La questione è stata ufficialmente posta

al centro del dibattito dalla Commissione europea, la quale, nell’ottobre del 2008, ha dato mandato a un

gruppo di esperti indipendenti, presieduto da Jacques de Larosière, a presentare proposte di riforma del

sistema di coordinamento dell’attività di regolazione e vigilanza finanziaria .

L’assunto da cui ha mosso il gruppo de Larosière nell’elaborazione delle sue proposte viene ravvisato

nella necessità, per l’Unione europea, di dotarsi di strumenti di coordinamento della vigilanza fra Stati

membri più incisivi ed efficaci .

Oltre all’asimmetria tra regolazione (europea) e vigilanza (nazionale), il Rapporto de Larosière individua

altre deficienze specifiche della vigilanza europea. In primo luogo, in relazione agli aspetti

macroprudenziali della crisi, il Rapporto sottolinea come non sia più sufficiente un’attività di vigilanza

microprudenziale basata esclusivamente sull’home country control e sul coordinamento fra autorità.

Secondo i redattori del Rapporto, l’esperienza economica dimostra che esistono fattori di rischio di

carattere generale che sfuggono ai controlli delle singole autorità degli Stati membri e che possono

essere gestiti solo attraverso un maggiore coordinamento a livello europeo. Si tratta del c.d. “rischio

sistemico”, che si manifesta in occasione di una contestuale esposizione di molte istituzioni finanziarie

agli stessi fattori di rischio . Per fronteggiare questo problema, il Rapporto ha proposto l’istituzione di

un comitato europeo per la stabilità finanziaria cui affidare il compito di vigilare per prevenire i possibili

elementi di crisi nel funzionamento dei mercati e degli intermediari. In secondo luogo, il Rapporto ha

evidenziato i limiti strutturali dei comitati Lamfalussy di terzo livello raccogliendo alcune delle già

richiamate perplessità della dottrina. In particolare, le critiche hanno riguardato la scarsa effettività delle

decisioni –  non vincolanti  –  assunte dai comitati stessi, discendente anche dalla natura solo volontaria

della cooperazione fra autorità di vigilanza degli Stati membri. Al fine di correggere le mancanze del

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sistema di vigilanza europeo, il Rapporto ha proposto che i tre comitati di terzo livello (CEBS, CEIOPS

e CESR) fossero trasformati in vere e proprie autorità, secondo il modello delle agenzie europee .

2. Il nuovo sistema europeo di vigilanza

Sulla scorta delle proposte avanzate dal Rapporto de Larosière, e a seguito di una procedura di

consultazione degli operatori di settore , la Commissione europea ha adottato una serie di progetti

legislativi volti a rafforzare la vigilanza sul settore finanziario in Europa. Il pacchetto legislativo , in

estrema sintesi, ha previsto che con regolamenti dell’UE si procedesse:

(i) all’istituzione di un sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (European System of

Financial Supervisors o ESFS) composto dall'insieme delle autorità nazionali di vigilanza e da tre nuove

autorità europee di vigilanza (European Supervisory Authorities o ESAs), create attraverso la

trasformazione dei comitati Lamfalussy CESR, CEBS e CEIOPS. Si tratta dell'Autorità europea deglistrumenti finanziari e dei mercati (European Securities and Markets Authority o ESMA), con sede a

Parigi, che sostituisce il CESR; dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e

professionali (European Insurance and Occupational Pension Authority o EIOPA), con sede a

Francoforte, che sostituisce il CEIOPS; e dell'Autorità bancaria europea (European Banking Authority

o EBA), con sede a Londra, che sostituisce il CEBS. L’obiettivo dichiarato di qu esta trasformazione

consiste nel conseguimento di un duplice vantaggio: da un lato realizzare un quadro unico europeo di

 vigilanza finanziaria, dall’altro mantenere le competenze delle autorità di vigilanza degli Stati membri

con riferimento all’attività di controllo microprudenziale; e

(ii) all’istituzione di un comitato europeo per il rischio sistemico (European Sistemic Risk Board o

ESRB), avente il compito di prevenire o attenuare i rischi sistemici alla stabilità finanziaria nell'Unione

europea che derivano da sviluppi interni al sistema finanziario. A tal fine all’ESRB è attribuita la

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funzione di segnalare possibili rischi sistemici e, laddove necessario, quella di raccomandare l’adozione

di provvedimenti per far fronte a tali rischi.

Le proposte della Commissione sono state trasformate in Regolamenti dell’Unione europea e le nuove

autorità operano dal 1 gennaio 2011 . I Regolamenti istitutivi delle tre autorità, ESMA, EBA e EIOPA,

nonché il Regolamento istitutivo dell’ESRB, sono stati adottati dal Parlamento Europeo il 22 settembre

2010 . Con riferimento alle tre autorità di nuova istituzione si deve aggiungere la direttiva 2010/78/UE

relativa ai poteri delle stesse autorità di vigilanza .

Il nuovo sistema di vigilanza comprende anche due organi composti dalle tre autorità o da

rappresentanti delle stesse: il “comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza” e la

“commissione ricorso” . 

Come è inevitabile che accada con riferimento a qualsiasi esercizio che implichi la traduzione di

proposte di riforma in atti di diritto dell’Unione, alcuni aspetti delle disposizioni contenute nei

Regolamenti e nella Direttiva rappresentano soluzioni di compromesso. Tuttavia, rispetto agli standard

del legislatore europeo, l’attuazione della riforma della vigilanza europea sul mercato finanziario è stata

realizzata attraverso un procedimento piuttosto rapido: dalla redazione del Rapporto de Larosière alla

creazione delle nuove autorità è intercorso poco più di un anno.

 Appello al pubblico risparmio

L’appello al pubblico risparmio è una particolare forma di offerta al pubblico avente ad oggetto la

 vendita, l’acquisto o lo scambio di prodotti finanziari.

Sul presupposto della estrema delicatezza del rapporto che interviene proprio tra l’investitore, specie se

non esperto, e l’operatore qualificato, la circolazione dei prodotti e degli strumenti finanziari è

presidiata dalla normativa speciale (D.lgs n°58/1998 c.d. t.u.f.) integrata, per gli aspetti di dettaglio, dai

regolamenti attuativi Consob (regolamento emittenti ed intermediari ) .

La procedura di appello al pubblico risparmio, in particolare, è scandita da una serie di attività

predeterminate tese a regolamentare, in un’ottica di tutela della parte più debole del rapporto, le

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modalità attraverso le quali l’offerta e la domanda e di prodotti e strumenti finanziari possano entrare in

contatto.

Il nostro ordinamento conosce due tipi di appello al pubblico risparmio: l'offerta al pubblico di prodotti

finanziari e l'offerta pubblica di acquisto o di scambio .

L’offerta al pubblico di vendita o sottoscrizione di prodotti finanziari è definita, dall’ art. 1,1°co., lett. t,

t.u.f. come: “ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo che

presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell'offerta dei prodotti finanziari offerti così da

mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari” . 

La seconda, è definita dall’ art. 1,1°co. lett.v, t.u.f.: come: “ogni offerta, invito a offri re o messaggio

promozionale, in qualsiasi forma effettuati, finalizzati all'acquisto o allo scambio di prodotti finanziari e

rivolti a un numero di soggetti e di ammontare complessivo superiori a quelli indicati nel regolamento

previsto dall'art. 100, 1°co., lett.b e c, ossia ad un numero di soggetti pari a 100 e per un ammontare

pari o superiori a 2.500.000 euro”.

Delle due tipologie di appello la prima presenta senz’altro un grado di pericolosità per il pubblico dei

risparmiatori maggiore della seconda perché mentre nell’offerta pubblica d’acquisto (c.d. O.P.A.), come

anche nell’offerta pubblica di scambio (c.d. O.P.S.), agli oblati è proposto di vendere, ovvero di

scambiare, prodotti o strumenti finanziari già noti in quanto di loro appartenenza, nell’offerta di vendita

o sottoscrizione viene viceversa proposto ai risparmiatori di investire i propri averi in prodotti

sconosciuti, le cui caratteristiche, in termini di redditività e di sicurezza, rappresentano delle incognite.

Come è agevole evincere dalla lettura delle definizioni contenute nell’art. 1 del t.u.f., norma che nel suo

complesso rappresenta senz’altro l’impianto definitorio di riferimento dell’intera disciplina di rango

primario dedicata al diritto dei mercati finanziari, dal legislatore è assegnata un’importanza preminente

all’informazione, vero ago della bilancia su cui oscillano i delicati equilibri delle negoziazioni aventi ad

oggetti prodotti e strumenti finanziari.

Proprio in ragione di quanto esposto, la maggiore pericolosità dell'offerta al pubblico di prodotti

finanziari è stata contrastata da diverse misure tese a ridurre, quanto più possibile, il gap informativo

naturalmente esistente tra offerenti ed oblati.

 Tra le misure in parola spicca, quanto ad incisività, l’obbligo di pubblicazione del prospettoinformativo, documento che deve essere redatto secondo uno schema predefinito dalla Consob e che,

prima della diffusione, deve essere approvato dallo stesso organo di vigilanza.

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E’ netta, sul punto, la differenza tra le due tipologie di appello al pubblico risparmio: nell’O.P.A. (così

come nella O.P.S.) la pubblicazione del documento d’offerta non è subordinata ad alcuna

autorizzazione da parte dell’organo di vigilanza che, in ogni caso, può richiedere che vengano fornite al

pubblico, in relazione all’offerta, ulteriori o diverse informazioni rispetto a quelle divulgate attraverso la

pubblicazione del documento d’offerta. 

L’attenzione, rispetto alle modalità di realizzazione dell’appello al pubblico risparmio nelle due forme

previste dal T.U. è massima, tanto che, all’art.101 del t.u.f., il legislatore detta una specifica disciplina

riguardante gli annunci pubblicitari “a latere”, ovvero quegli annunci o messaggi promozionali che pur

non avendo ad oggetto la conclusione di un contratto, riguardino, o anche solo si riferiscano, ad una

offerta al pubblico di prodotti finanziari dotata delle caratteristiche descritte dall’art.1 lett. t del t.u.f. . 

 Anzitutto, a norma dell’art.101 t.u.f., nei momenti antecedenti la pubblicazione del prospettoinformativo, è vietata la diffusione di qualsivoglia documentazione relativa all’offerta, anche se legata ad

un annuncio non avente le caratteristiche di proposta vincolante. Solo a seguito della pubblicazione del

prospetto tale documentazione potrà essere diffusa ma dovrà contestualmente essere trasmessa alla

Consob, alla quale, anche con riferimento allo svolgimento dell’attività pubblicitaria, sono attribuiti, dal

 T.U. poteri ispettivi, sospensivi ed interdittivi.

Inoltre, gli annunci pubblicitari riguardanti le offerte al pubblico di prodotti finanziari diversi dagli

strumenti finanziari comunitari, dovranno essere redatti: “secondo i criteri stabiliti dalla Consob conregolamento in conformità alle disposizioni comunitarie e, in ogni caso, avendo riguardo alla

correttezza dell' informazione e alla sua coerenza con quella contenuta nel prospetto, se è già stato

pubblicato, o con quella che deve figurare nel prospetto da pubblicare” (art. 101 3° co. t.u.f). 

Come si avrà modo di esaminare nel corso della trattazione, sovente il legislatore distingue, sul piano

della disciplina, l’appello al pubblico risparmio avente ad oggetto prodotti finanziari comunitari emessi

da società già note, dalle procedure d’appello riguardanti prodotti non diffusi ovvero emessi da società

che non hanno mai emesso titoli quotati in mercati regolamentati comunitari .

Quanto agli “attori” dell’appello al pubblico risparmio, possono distinguersi tre soggetti che rivestono,

nell’ambito della procedura , tre diversi ruoli: quello dell'emittente, quello del proponente e quello degli

intermediari - collocatori.

Il proponente può coincidere, ma anche non coincidere, con il soggetto emittente.

La funzione degli intermediari collocatori, nell’ambito dell’appello al pubblico risparmio, è invece quella

di concludere i contratti di acquisto o di vendita dei prodotti finanziari.

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E’ bene premettere che alcune norme riguardanti l’appello al pubblico risparmio si applicano

all’emittente in quanto tale , a prescindere dall’eventuale, ulteriore, ruolo di proponente, mentre talune

altre regole valgono in via esclusiva per i proponenti e per i collocatori .

L'adesione all’appello infine, sia nel caso della sollecitazione sia nelle ipotesi di O.P.A./O.P.S., èeffettuata mediante la sottoscrizione del modulo predisposto dall'offerente.

Offerta al pubblico di vendita o sottoscrizione di prodotti finanziari.

Occorre preliminarmente considerare che l’intera disciplina predisposta dal legislatore a tutela degli

investitori nel caso di offerta al pubblico di prodotti finanziari, non trova applicazione allorquando non

siano rinvenibili quelle stesse ragioni di tutela che hanno reso necessaria la predisposizione di una

disciplina speciale a tutela degli stessi investitori privati in presenza di un’attiv ità sollecitatoria.

Già il t.u.f., all’art.100, prevede cause di inapplicabilità della disciplina che afferiscono la ristretta portata

economica dell’offerta, l’esiguo numero dei destinatari, l’ eccezionale sicurezza dei titoli , ovvero laparticolare natura, o qualifica, degli oblati.

La norma di rango primario lascia poi all’autorità di vigilanza il compito di specificare il dettato

legislativo. In ossequio a quanto precede la Consob, nell’esercizio del proprio potere regolamentare, ha

stabilito (art. 34 ter regolamento emittenti) che non avrà luogo l’applicazione della disciplina speciale,

in quanto non si considerano offerte al pubblico:

a) quelle rivolte ad un numero di soggetti inferiori a cento;

b) quelle di ammontare complessivo inferiore a 2.500.000 euro, da calcolarsi nell’arco di un

periodo di dodici mesi;

c) quelle aventi ad oggetto prodotti finanziari per un corrispettivo totale di almeno 50.000 euro per

investitore e per ogni offerta separata;

d) quelle aventi ad oggetto prodotti finanziari di valore nominale unitario minimo di almeno50.000 euro.

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Del pari non costituiscono offerte al pubblico di prodotti finanziari quelle rivolte esclusivamente ad

investitori qualificati (banche, imprese di assicurazione, S.G.R. , SICAV, Governi nazionali ,

amministrazioni regionali, fondazioni bancarie).

Proprio questa ultima causa di esenzione meriterà un ampio approfondimento nel corso dei successivi

paragrafi per via sia dell’ampio ricorso, riscontrato negli ultimi anni, a tale procedura agevolata, sia

anche per l’introduzione, nel nostro ordinamento, di una disciplina apposita tesa a ridurre, quanto più

possibile, i rischi connessi ad una rivendita sistematica, da parte degli investitori qualificati, di titoli

acquistati da questi ultimi in totale esenzione dalla disciplina speciale posta a tutela dei risparmiatori.

 Al di fuori delle ipotesi sopra descritte, nel caso dunque di offerta di prodotti o strumenti finanziari

destinata a raggiungere il pubblico dei risparmiatori, gli emittenti e gli intermediari responsabili del

collocamento, saranno tenuti ad osservare gli obblighi per le offerte al pubblico (art.94 ss.), così come,

gli stessi soggetti, soggiaceranno alle regole di condotta predisposte dal t.u.f. e dai regolamenti attuativi

predisposti dalla Consob.

La disciplina in parola è stata fortemente innovata dal recepimento, avvenuto in Italia con il D. lgs. n.

51 del 28 marzo 2007, della direttiva n. 2003/71/CE (c.d. Direttiva Prospetti) e del successivo

regolamento di attuazione n. 809/2004/CE ; norme comunitarie che, nel loro complesso, hanno

definito regole comuni volte alla tendenziale armonizzazione, a livello europeo, delle procedure di

redazione, controllo e pubblicazione del prospetto informativo.

In ossequio a tale normativa il procedimento di emissione si caratterizza, come detto, per essere

scandito da una serie preordinata di atti.

L’art. 94 comma 1° t.u.f. stabilisce infatti che: “coloro che intendono effettuare un’offerta al pubblico

pubblicano preventivamente un prospetto a tal fine, per le offerte aventi ad oggetto strumenti finanziari

comunitari nelle quali l’Italia è Stato membro d’origine e per le offerte aventi ad oggetto prodotti

finanziari diversi dagli strumenti finanziari comunitari, ne danno preventiva comunicazione alla Consob

allegando il prospetto destinato alla pubblicazione. Il prospetto non può essere pubblicato finché non è

approvato dalla Consob”; al 2° comma la stessa disposizione insiste sulla forma del documento

informativo, prevedendo che il prospetto debba essere facilmente analizzabile e comprensibile e debba

altresì contenere “tutte le informazioni che possano consentire agli investitori di pervenire a un fondato

giudizio sulla situazione, sui risultati e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché

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sui prodotti finanziari e sui relativi diritti”, ed introduce poi la distinzione fra prospetto e nota di sintesi

(quest’ultima da allegare al prospetto).

Il comando di legge si pone volutamente come un precetto dal contenuto “aperto”, volto t uttavia a

stabilire una precisa finalità: quella di far pervenire gli oblati ad un fondato giudizio sugli emittenti e suiprodotti emessi, attraverso la comunicazione, mediante lo strumento-veicolo del prospetto, di una

quantità di informazioni aventi un contenuto descrittivo tale da poter soddisfare tale esigenza.

La nota di sintesi è invece un documento, di agile consultazione, che viene allegato al prospetto e che

deve contenere, in forma stringata ed asciutta, le caratteristiche dell’offerta nonché in formazioni,

sommarie, sull’emittente; dati questi ultimi che possano concorrere a consentire, all’oblato, una rapida

 valutazione sulle caratteristiche principali dell’offerta prospettata, potendo egli fondare il proprio

giudizio anche sulla “provenienza” dei titoli offerti.

La disciplina di rango primario, quanto ai contenuti del prospetto e della nota di sintesi, deve essere

raccordata con quanto stabilito dal regolamento Consob (regolamento emittenti) a mente del quale “la

comunicazione prevista nell’articolo 94, comma 1, del testo unico è redatta in conformità al modello in

allegato 1A, contiene la sintetica descrizione dell’offerta e l’indicazione dei soggetti che la promuovono”

(art. 4 reg. emittenti). Dal tenore della norma che precede può comprendersi quanto “blindato” sia il

contenuto del prospetto in relazione ai contenuti obbligatori che, ai fini del via libera alla pubblicazione,

tale documento deve descrivere.

Per i prodotti finanziari diversi dagli strumenti comunitari spetta alla Consob stabilire, su richiesta

dell'emittente o dell'offerente, il contenuto del prospetto, ove questo non sia già stato determinato in

 via generale in conformità alla normativa comunitaria richiamata nel successivo art. 95, 1° comma, lett.

b.

Fino alla chiusura definitiva dell'offerta, inoltre, fatti nuovi o sopravvenuti, errori materiali o

imprecisioni che attengano alle informazioni contenute nel prospetto, dovranno essere comunicati in

un apposito supplemento. In tali ipotesi i termini di adesione all’offerta subiranno una proroga, mentre

gli investitori che hanno già concordato di acquistare o sottoscrivere i prodotti finanziari potranno

revocare l'accettazione entro il termine indicato nel supplemento (comunque non inferiore a due giorni

lavorativi).

In ossequio al comando di legge, il prospetto deve dunque essere preventivamente comunicato alla

Consob, la quale l’approva, così permettendone la successiva pubblicazione. 

Le offerte pubbliche di acquisto.

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Offerte volontarie e offerte obbligatorie

La disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio (OPA) persegue, fondamentalmente, due finalità.

In primo luogo, essa intende assicurare ai destinatari dell’offerta, quali soggetti “passivi” di un’operazione di

massa, un’adeguata trasparenza delle condizioni contrattuali e il corretto svolgimento della fase prenegoziale,

all’uopo articolata in un procedimento sottoposto alla vigilanza della Consob (art. 101-ter) . Ciò al fine di supplire

all’impossibilità di una trattativa diretta tra l’offerente e gli oblati, evitando che l’asimmetria informativa tra il

primo –  che ha unilateralmente predisposto l’operazione di investimento o di disinvestimento –  e i secondi sia

fonte di abusi a danno di questi ultimi.

Il Testo Unico della Fiananza ha, dunque, opportunamente collocato la disciplina dell’offerta al pubblico di

sottoscrizione o vendita e quella dell’offerta pubblica di acquisto o di scambio nel titolo secondo della parte

quarta, concernente l’appello al pubblico risparmio. In un medesimo titolo sono state co sì raggruppate tutte le

possibili forme di sollecitazione pubblica del risparmio.

Quando l’offerta ha per oggetto l’acquisto di azioni (quotate) che attribuiscono il diritto di voto emerge la

possibilità di utilizzare l’offerta pubblica quale strumento per l’acquisizione (anche “ostile”) del controllo,

mediante il “rastrellamento” di una partecipazione sufficiente a esercitare un’influenza dominante in assemblea.

In queste ipotesi, accanto all’esigenza di proteggere i destinatari di un’operazione standardi zzata e di massa,

emergono interessi ulteriori, che riguardano la “tutela selettiva” di una particolare categoria di investitori e, più in

generale, il “mercato del controllo societario”. 

La considerazione della “doppia anima” dell’istituto si rivela utile anche per la comprensione delle regole speciali

che disciplinano l’offerta obbligatoria, nelle quali si apprezza appieno la strumentalità dell’opa rispetto alla tutela

dell’interesse a una consapevole ed efficiente gestione dell’operazione di investimento, per approdare,

eventualmente, a un “disinvestimento informato”. La previsione dell’obbligo di offerta, in effetti, attribuisce al

socio una sorta di “diritto di ripensamento”, in presenza di un mutamento significativo delle condizioni nelle

quali egli aveva destinato il proprio risparmio al finanziamento di un’impresa, acquistando un “prodotto”, il cui

 valore di scambio nel mercato regolamentato dipende anche da quel “pregio latente”, che emerge allorché si

prospetti una “scalata” e, per contro, viene eroso dalla perdita di contendibilità della società.

Quanto sin qui osservato trova un riscontro normativo nella suddivisione del capo relativo alle offerte pubblichedi acquisto o di scambio in due sezioni, dedicate, rispettivamente, alle “disposizioni generali”, comuni a tutte le

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offerte pubbliche, e alle offerte obbligatorie. La disciplina “speciale” è applicabile soltanto alle società italiane con

titoli ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani (art. 105 T.U.F.) .

L’ambito di applicazione delle disposizioni generali è delimitato dall’individuazione della fattispecie “offerta

pubblica di acquisto e di scambio”. Questa comprende “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale,

in qualsiasi forma effettuati, finalizzati all’acquisto o allo scambio di prodotti finanziari e rivolti a un numero di

soggetti e di ammontare complessivo superiori a quelli indicati nel regolamento previsto dall’articolo 100, comma

1, lett. b) e c) (art. 1, co. 1, lett. v) .

La norma di rango primario, dunque, definisce solo parzialmente la fattispecie, rinviando per il suo

completamento alle disposizioni di attuazione dettate dalla Consob in tema offerta al pubblico di sottoscrizione e

 vendita e, in particolare, alle norme che individuano i casi di inapplicabilità della relativa disciplina, isolando,

però, due soli parametri, consistenti nel numero di destinatari dell’offerta e nell’ammontare complessivo

dell’offerta medesima (indicati, rispettivamente, in 100 soggetti e 2.500.000 Euro dall’art. 34-ter, co. 1, lett. a, c,regolamento emittenti); parametri, si noti, che devono ricorrere congiuntamente perché sussista la fattispecie

offerta pubblica di acquisto o scambio.

In principio, dunque, rientra nella fattispecie in esame anche l’offerta rivolta esclusivamente a investitori

qualificati, purché ricorrano le due condizioni sopra indicate, contrariamente a quanto previsto per il caso di

offerte pubbliche di sottoscrizione e di vendita (art. 100, co. 1, lett. a, T.U.F.). Il regolamento emittenti, peraltro,

prevede l’inapplicabilità (parziale) della disciplina per le offerte rivolte esclusivamente a investitori qualificati (exart. 34-ter, lett. b) e aventi a oggetto prodotti finanziari diversi da “titoli” (art. 35-bis, co. 3).

Nel caso in cui un soggetto intenda acquistare o scambiare strumenti finanziari diversi da “titoli”, l’offerta

pubblica costituisce una mera opportunità, una tecnica per semplificare la negoziazione con una pluralità di

soggetti . Se, però, l’aspirante acquirente decide di ricorrer vi, sarà obbligato a rispettare la relativa disciplina e, in

particolare, le regole di correttezza, trasparenza e parità di trattamento degli oblati. Quando oggetto dell’offerta

sono “titoli”, per contro, può esservi un obbligo di promuovere l’offerta, all e condizioni stabilite dalla legge, sia

per quel che riguarda il quantitativo di titoli da acquistare, sia per quel che concerne il prezzo da corrispondere

(infra, par. 4).

Disposizioni generali.

La disciplina di rango primario traccia le linee essenz iali del procedimento, la condotta dell’offerente e della

società emittente in pendenza dell’offerta e i poteri della Consob in relazione allo svolgimento dell’offerta. La

sezione dedicata alle disposizioni generali si chiude con l’importante disciplina delle “difese” (artt. 104-104-ter),

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che assume rilevanza soprattutto nelle ipotesi di offerte “ostili” per il controllo. Proprio la considerazione degli

interessi protetti ha indotto il legislatore a circoscriverne l’ambito di applicazione alle sole offerte (volontarie o

obbligatorie) aventi a oggetto “titoli” emessi da società italiane quotate (art. 101-bis, co. 3).

Per quel che concerne lo svolgimento dell’offerta, il Testo Unico si limita a stabilire alcuni principi fondamentali,

quali la irrevocabilità dell’offerta, l’obbligo di assicurare parità di condizioni a tutti i titolari dei prodotti finanziari

che formano oggetto dell’offerta, l’inammissibilità di limiti al numero di rilanci che possono essere effettuati fino

alla scadenza del termine massimo (art. 103, T.U.F.). Le norme di dettaglio sono, invece, contenute nel

regolamento di attuazione emanato dalla Consob (artt. 37-44, regolamento emittenti) .

Il principio della irrevocabilità dell’offerta comporta l’inefficacia di qualunque dichiarazione di revo ca. Corollario

del principio è la regola che proibisce la previsione di condizioni di efficacia dell’offerta, il cui verificarsi dipenda

dalla mera volontà dell’offerente (art. 40, co. 1, reg. emtittenti), poiché la natura meramente potestativa della

condizione si porrebbe in contrasto con la “serietà” dell’obbligazione assunta mediante la comunicazionedell’offerta . Può essere ricondotta al principio in esame, infine, anche la regola che proibisce la riduzione del

quantitativo richiesto (art. 43, comma 2, reg. emittenti), che condurrebbe, di fatto, a una revoca parziale

dell’offerta originaria. Il corrispettivo offerto può essere aumentato, purché l’offerta di aumento sia comunicata

in conformità con la disciplina prevista nel regolamento emittenti (art. 36) e sia pubblicata entro il giorno

antecedente la data prevista per la chiusura del periodo di adesione, che dovrà essere prorogato, se necessario per

assicurare il rispetto del termine di tre giorni dalla data della modifica (art. 43).

L’obbligo di assicurare parità di trattamento ha quale corollario, innanzi tutto, il divieto di pattuire condizioni

“discriminatorie” tra gli oblati che siano titolari di una medesima categoria di prodotti finanziari, distinguendo, ad

esempio, sulla base del quantitativo di prodotti finanziari da ciascuno posseduto ovvero sulla base di situazioni

particolari di un determinato titolare. Al principio in esame sono altresì riconducibili la regola del riparto

proporzionale tra i destinatari dell’offerta, nel caso di accettazion i eccedenti il quantitativo richiesto, e

l’estensione del maggior prezzo conseguente ad offerte in aumento anche a chi abbia aderito all’offerta originaria. 

La comunicazione e il documento di offerta.

La prima fase del procedimento di offerta è incentrata sulla trasmissione alla Consob di due documenti, la

“comunicazione” e il “documento di offerta” .

La decisione di promuovere un’offerta pubblica di acquisto e di scambio deve essere comunicata “senza indugio”

alla Consob e contestualmente resa pubblica, secondo le modalità stabilite dalla stessa Consob con regolamento.

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L’immediata comunicazione è altresì prevista allorché si verifichi un evento che determini il sorgere dell’obbligo

di promuovere l’offerta (art. 102, T.U.F.). 

Entro venti giorni dalla comunicazione, l’offerta deve essere promossa, presentando alla Consob il documento di

offerta, destinato alla pubblicazione.

La Consob, nei quindici giorni successivi alla presentazione, approva il documento, purché esso sia “idoneo a

consentire ai destinatari di pervenire a un fondato giudizio sull’offerta”. In sede di approvazione, la Commissione

può indicare agli offerenti informazioni integrative da fornire e particolari modalità di pubblicazione del

documento di offerta o, ancora, particolari garanzie da prestare. Ove si renda necessario richiedere all’offerente

informazioni supplementari, il termine è sospeso fino alla recezione delle informazioni medesime.

Il documento di offerta, eventualmente integrato sulla base delle richieste della Consob, è trasmesso senza

indugio all’emittente agli intermediari incaricati, nonché “diffuso” secondo le modalità previste dal regolamento

emittenti (art. 36). L’offerente e gli intermediari incaricati devono consegnarne copia a chiunque ne faccia

richiesta (art. 38, reg. emittenti).

Con la pubblicazione e la consegna all’emittente e agli intermediari incaricati del documento di offerta termina la

fase preparatoria del procedimento.

Il periodo durante il quale è possibile aderire all’offerta (periodo di adesione) ha inizio dopo che siano trascorsicinque giorni dalla diffusione del documento di offerta, al fine di consentire all’emittente di diffondere un

comunicato recante tutte le informazioni utili per l’apprezzamento dell’offerta nonché la propria valutazione

sull’offerta medesima (art. 103, co. 3, T.U.F.). Nel caso in cui l’offerta sia stata in qualche modo concordata tra

l’offerente e la società emittente, il documento di offerta potrà già contenere il comunicato dell’emittente e,

pertanto, non troverà applicazione il differimento del termine iniziale sopra indicato (art. 40, co. 5, reg. emittenti).

Il comunicato dell’emittente.

L’emittente deve diffondere un comunicato “contenente ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e la

propria valutazione sull’offerta” (art. 103, T.U.F.). Il comunicato deve essere trasmesso alla Consob almeno tre

giorni prima della data prevista per la sua diffusione ed è reso noto al mercato  –   integrato con le eventuali

richieste della Consob –  entro il primo giorno del periodo di adesione.

L’istituto ha una chiara finalità di protezione dei destinatari dell’offerta, che dovrebbero trarre beneficio, in

termini di attendibilità e completezza delle informazioni, dal confronto dialettico tra offerente e amministratori

della società emittente in merito alla convenienza dell’offerta .

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L’apporto conoscitivo del comunicato sarà particolarmente evidente nel caso di offerte di acquisizione ostili, là

dove nel caso di offerte concordate è ragionevole attendersi una sostanziale coincidenza di giudizi da parte

dell’offerente e degli amministratori della società emittente, i quali raccomanderanno agli azionisti di aderire

all’offerta. In ogni caso, il comunicato deve precisare se la valutazione del consiglio di amministrazione in merito

all’of ferta è stata espressa con deliberazione assunta a maggioranza, indicando il numero dei dissenzienti e inominativi di quelli tra essi che ne abbiano fatto richiesta .

L’apporto conoscitivo del comunicato dell’emittente è stato reso più incisivo dalla prev isione di un parere

espresso dagli amministratori indipendenti. In effetti, nelle offerte aventi ad oggetto “titoli”, promosse da

soggetti aventi, anche in virtù dell’adesione a un patto parasociale, una partecipazione superiore alla soglia del

trenta per cento ovvero da amministratori o consiglieri di gestione o di sorveglianza dell’emittente o, infine, da

soggetti che agiscono di concerto con le persone sopra indicate, è imposta, prima dell’approvazione del

comunicato dell’emittente, la redazione di un parere motivato, da parte degli amministratori indipendenti che

non siano parti correlate dell’offerente, ove presenti. Il parere deve contenere una valutazione dell’offerta e della

congruità del corrispettivo, anche con l’ausilio, a spese dell’emittente, di  un esperto indipendente. Il parere degli

amministratori indipendenti, ove non integralmente recepito dall’organo di amministrazione, e l’eventuale parere

dell’esperto indipendente sono resi noti con le modalità previste per il comunicato (art. 39-bis reg. emittenti).

Oltre a contenere una valutazione motivata sull’offerta, il comunicato deve rendere nota l’eventuale decisione di

convocare l’assemblea per deliberare in merito all’autorizzazione a compiere atti od operazioni che possono

contrastare l’offerta  o, comunque, fornire le informazioni rilevanti in merito alla “strategia difensiva”

dell’emittente (art. 39, comma 1, lett. i-k, reg. emittenti).

Il contenuto del comunicato dell’emittente, infine, è stato “arricchito” in sede di recepimento della Dirett iva opa,

con la valutazione degli effetti che l’eventuale successo dell’offerta avrà sugli “interessi dell’impresa, nonché

sull’occupazione e la localizzazione dei siti produttivi” .

Lo svolgimento dell’offerta.

La pubblicazione del documento di offerta produce l’effetto tipico della proposta contrattuale di attribuire aglioblati il potere di accettare, determinando in tal modo la conclusione del contratto.

La durata del periodo di adesione può variare tra un minimo di quindici e un massimo di venticinque giorni per

le offerte obbligatorie e tra un minimo di quindici e un massimo di quaranta giorni per tutte le altre offerte, ad

eccezione delle offerte aventi a oggetto obbligazioni o altri titoli di debito, per le quali la durata minima è ridotta

a cinque giorn . Entro questi limiti, la durata è, di volta in volta, concordata dall’offerente con la società di

gestione del mercato e, nel caso di offerte aventi a oggetto strumenti finanziari non quotati, con la Consob.

Quest’ultima ha facoltà di concedere una proroga –  sentiti l’offerente e la società di gestione del mercato –  fino a

un massimo di cinquantacinque giorni, con provvedimento motivato da esigenze di corretto svolgimentodell’offerta e di tutela degli investitori (art. 40, co. 2, reg. emittenti) . 

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Le norme di attuazione contenute nel regolamento emittenti contemplano, in alcuni casi, il differimento del

termine iniziale del periodo di efficacia dell’offerta (art. 40, co. 3). Il periodo di adesione non può avere inizio se

non siano state rilasciate le autorizzazioni previste dalla disciplina di settore per l’acquisto di partecipazioni al

capitale di banche o di intermediari autorizzati alla prestazione di servizi di investimento e, nel caso di offerte

pubbliche di scambio o miste, se non sia stata assunta la deliberazione di emissione degli strumenti finanziariofferti in scambio (art. 40, co. 3, reg. emittenti).

Per la modalità di adesione sono previste norme particolari, che impongono la forma scritta e un contenuto

predefinito della dichiarazione di accettazione e la cui inosservanza comporta senz’altro l’inefficacia

dell’accettazione (art. 40, commi 6 e 7, reg. emittenti e Allegato 2B). 

Il procedimento si conclude con la pubblicazione dei risultati dell’offerta, che rende noto l’avvenuto

perfezionamento del contratto di compravendita (o di permuta) tra l’offerente e i destinatari dell’offerta. 

Modifiche dell’offerta e offerte concorrenti.

Durante il periodo di efficacia dell’offerta possono tuttavia intervenire alcuni eventi, che hanno l’effet to di

“complicare” il procedimento.

È possibile, innanzi tutto, una modifica dell’offerta originaria da parte dell’offerente, che dovrà essere resa nota

con le medesime formalità previste per la comunicazione dell’offerta originaria fino a tre giorni prim a della data

prevista per la chiusura del periodo di adesione. La regola della modificabilità dell’offerta deroga in parte a quella

della irrevocabilità; nella modifica di un’offerta è implicita una parziale revoca della proposta originaria. La

materia è stata rimessa alla regolamentazione della Consob (art. 103, co. 4, lett. d, T.U.F.). Le modifiche ammesse

sono quelle che arrecano esclusivamente vantaggi agli oblati o in termini di aumento del corrispettivo ovvero in

termini di più agevole alienazione deg li strumenti finanziari. Qualora altri soggetti promuovano un’offerta

concorrente sui medesimi strumenti finanziari, promettendo un corrispettivo più elevato ovvero condizioni più

 vantaggiose, tutte le precedenti adesioni all’offerta originaria diventano automaticamente revocabili, onde

consentire agli oblati di beneficiare dell’opportunità di scelta tra le offerte concorrenti. Al contempo l’offerente

originario avrà la possibilità di “rilanciare”, ossia modificare l’offerta originaria, alla luce di quella (o di quelle)

concorrente, senza poter tuttavia ridurre il quantitativo di strumenti finanziari richiesto.

Un altro evento che può alterare il normale corso del procedimento di offerta è la convocazione di un’assembleada parte della società emittente per deliberare sulle materie previste dall’art. 104, T.U.F.. Ove la data della

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riunione assembleare cada negli ultimi dieci giorni del periodo di adesione, questo è automaticamente prorogato

in misura tale da assicurare un termine di ulteriori dieci giorni dalla data della riunione assembleare.

La posizione dell’emittente in pendenza dell’offerta: passivity rule e break -through rule.

Le società italiane quotate i cui titoli costituiscono oggetto di offerta devono astenersi dal compiere “atti od

operazioni che possono ostacolare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta” (c.d. passivity rule). L’obbligo di

astensione può essere tuttavia rimosso mediante un’autorizzazione deliberata dall’assemblea dei soci –   in sede

ordinaria o straordinaria, in base alla regole generali  –   con il voto favorevole di tanti soci che rappresentano

almeno il trenta per cento del capitale sociale, anche nelle convocazioni successive alla prima (art. 104, T.U.F.).

La disciplina in esame regola la condotta della società destinataria di un’offerta di acquisizione, tentando di

contemperare l’interesse dell’offerente al buon esito dell’operazione con quello della società a proseguire la

gestione dell’impresa. L’assunto implicito nella scelta del legislatore è che il lancio di un’OPA costituisca un

evento che giustifica la previsione di deroghe alla normale ripartizione di competenze tra assemblea e

amministratori e alla dialettica interna all’organo assembleare, tra “maggioranza” e “minoranze” .

L’ambito di applicazione dell’istituto non è limitato alle offerte “ostili”, ma è evidente l’importanza che le norme

in oggetto assumono soprattutto in questa ipotesi, in ragione della verisimile contrapposizione, all’interno della

compagine sociale, tra il socio o la coalizione di controllo e i soci intenzionati ad agevolare il mutamento degliassetti di potere esistenti. In questo contesto, anche operazioni che rientrano nella normale gestione dell’impresa

possono produrre gli effetti di “misure difensive”, perché oggettivamente idonee a compromettere il successo

dell’offerta . Di qui la scelta di sottoporre all’assemblea la valutazione in merito all’opportunità di intraprendere

l’operazione, ferma restando la responsabilità degli amministratori (anche verso la società) per il compimento

degli atti e delle operazioni autorizzati. Coerentemente con la ratio sopra illustrata, l’autorizzazione è richiesta

anche per l’attuazione di ogni decisione presa prima dell’inizio del periodo di offerta, che non sia stata attuata, in

tutto o in parte, che non rientri nel corso normale delle attività della società e la cui attuazione possa contrastare

il conseguimento degli obiettivi dell’offerta. Non rientra fra le operazioni “oggettivamente difensive” la meraricerca di un’altra offerta, che ha l’effetto di stimolare un’asta fra una pluralità di contendenti. 

Il legislatore ha rinunciato a fornire un’elencazione tassativa o esemplificativa degli atti e delle operazioni da

sottoporre ad autorizzazione, preferendo ricorrere a una clausola generale, incentrata sull’effetto dell’atto o

dell’operazione .

L’istituto è ispirato al modello britannico del City Code on Take-overs and Mergers, contraddistinto da un

atteggiamento di tendenziale “sospetto” nei confronti degli amministratori della società destinataria dell’off erta,

per la presenza di un possibile conflitto di interessi, derivante dal timore di essere estromessi dalla gestione, a

seguito del mutamento del controllo. Donde la regola di “passività”, superabile soltanto con un’autorizzazione

assembleare .

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Una diversa impostazione caratterizza, per contro, il modello statunitense, che consente agli amministratori di

contrastare offerte ritenute dannose per l’interesse sociale, salva la possibilità di un successivo sindacato

giudiziario sulla condotta dei gestori. Le corti, peraltro, si astengono dal valutare il merito della decisione degli

amministratori, limitandosi a esaminare la correttezza del procedimento che a quella decisione ha condotto,

accertando, in particolare, se gli amministratori hanno agito nella ragionevole convinzione di dover proteggere lasocietà e i suoi azionisti. Ne risulta un criterio di valutazione che impone di apprezzare l’operato degli

amministratori sotto il duplice profilo della “ragionevolezza” e della “proporzionalità”. 

Una soluzione decisamente più “salomonica” è stata alla fine accolta in sede comunitaria, pur muovendo

dall’enunciazione di un principio chiaramente ispirato al modello britannico, che, tuttavia, ha incontrato forti

resistenze durante la travagliata gestazione della Direttiva. La regola generale, che impone l’autorizzazione

assembleare per l’adozione di misure “difensive” è integrata, sempre in un’ottica di salvaguardia del “mercato del

controllo societario”, la c.d. break -through rule (art.11), il cui effetto è quello di rendere inefficaci (donde la

“neutralizzazione”) nei confronti dell’offerente eventuali misure difensive di carattere “preventivo”, consistenti

in limiti (statutari o parasociali) al trasferimento dei titoli o all’esercizio del voto ovvero nell’attribuzione di diritti

speciali ai soci attuali . Le regole di “passività” e di “neutralizzazione”, tuttavia, possono essere, in tutto o in

parte, derogate in sede di attuazione dagli Stati membri (c.d. opt-out statale), purché, in tal caso, gli statuti

societari siano lasciati liberi di adottarle (c.d. opt-in statutario). Il sistema comunitario è completato dalla “regola

di reciprocità”, in virtù della quale le società prive di “difese” –  per scelta dello Stato di appartenenza ovvero per

opzione statutaria  –   possono essere “esonerate” dalla relativa applicazione, se (i loro titoli sono) oggetto di

offerta da parte di una società che abbia adottato misure difensive (art. 12, co. 3) .

Il legislatore italiano aveva mantenuto, in sede di recepimento della Direttiva, l’or iginario atteggiamento

favorevole alla contendibilità delle società domestiche, recependo la regola di neutralizzazione (art. 104-bis) e

limitandosi a “temperare” il rigore della disciplina con la regola di reciprocità (art. 104-ter) . Nel contesto degli

interventi “straordinari” adottati per far fronte alla crisi che ha travolto i mercati finanziari alla fine del 2008, la

“nuova” disciplina è stata frettolosamente modificata, rendendo meramente “opzionali” le regole di passività e di

neutralizzazione, probabilmente nel timore di “scalate” ostili su società italiane, in qualche modo agevolate dal

deprezzamento del corso dei titoli . Re melius perpensa, il recente d. lgs. n. 146/2009 ha ripristinato la passivity

rule “temperata”, offrendo un ulteriore saggio del “nichilismo giuridico”, che contraddistingue il diritto delmercato finanziario . Gli statuti possono, però, derogare, “in tutto o in parte”, alla regola, pur se con un obbligo

di pubblicità delle deroghe adottate, verisimilmente con finalità dissuasiva (art. 104, co. 1- ter). L’adozione della

regola di neutralizzazione (art. 104-bis) è, invece, rimasta affidata all’autonomia statutaria . Permane la regola di

reciprocità (art. 104-ter).

Le tipologie di OPA

Le offerte obbligatorie

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L’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto trova, storicamente, la sua giustificazione

nell’acquisizione (o nel consolidamento) di una partecipazione di controllo ovvero nella riduzione del flottante al

di sotto della soglia minima per assicurare la regolare negoziazione dei titoli. In questo secondo caso, come si

 vedrà, l’obbligo di offerta (c.d. residuale) è stato sostituito da un obbligo di acquisto. 

 A norma dell’art. 106 T.U.F., chiunque, a seguito di acquisti, venga a detenere una partecipazione superiore alla

soglia del trenta per cento , è tenuto a promuovere, entro venti giorni, un’offerta pubblica di acquisto rivolta a

tutti i “possessori di titoli” per la totalità dei titoli, ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato. Per

ciascuna categoria di titoli, l’offerta è promossa a un prezzo “non inferiore a quello più elevato” pagato

dall’offerente e da persone che agiscono di concerto con lui, nei dodici mesi anteriori alla comunicazione

dell’offerta, per acquisti di titoli della medesima categoria .

Il Testo Unico, dunque, prevede l’obbligo di offerta pubblica di acquisto come conseguenza dell’avvenuta

concentrazione di una partecipazione significativa in capo a un unico soggetto (o a una coalizione, ex art. 109

 T.U.F.) . Questa circostanza di fatto è vista dall’ordinamento come una alterazione rilevante della situazione nella

quale gli investitori avevano posto in essere la scelta di investimento e, pertanto, come il presupposto per

accordare loro una opportunità di ripensamento, a condizioni, quanto meno, non penalizzanti rispetto

all’andamento del mercato. Lo “strumento” a tal fine predisposto consiste, per l’appunto, nella previsione di un

obbligo di offerta totalitaria in capo al soggetto che ha determinato l’alterazione del mercato .

Il “fatto nuovo” consiste, sostanzialmente, nell’acquisizione (o nel consolidamento) del controllo di una societàquotata. La legge, peraltro, non considera  –   come nel regime previgente  –   l’acquisizione del controllo un

elemento costitutivo della fattispecie, ma, semmai, la sua mancata acquisizione, nonostante l’acquisto rilevante,

una ragione per escludere l’obbligo di offerta. Tanto si desume da una lettura sistematica della norma che regola

la “fattispecie base” e delle norme che, in taluni casi, escludono l’obbligo di offerta, nonostante l’avvenuto

superamento della soglia rilevante, proprio perché a quest’ultimo evento, in realtà, non consegue quell’alterazione

degli assetti di controllo, che giustifica l’obbligo di offerta . 

Diversa è l’alterazione rilevante che determina l’obbligo di acquisto, di cui all’art. 108 T.U.F. Il primo comma

contempla l’obbligo di acquisto “successivo” a un’opa totalitaria, disponendo che l’offerente che venga a

detenere, a seguito di un’offerta pubblica totalitaria, una partecipazione almeno pari al novantacinque per cento

del capitale rappresentato da titoli in una società italiana quotata ha l’obbligo di acquistare i restanti titoli da

chiunque ne faccia richiesta. L’obbligo di acquisto “sostitutivo” dell’opa residuale è, invece, disciplinato dal

secondo comma dell’art. 108 e ha quale unico presupposto la “detenzione” di una partecipazione al capitale

rappresentato da titoli superiore al novanta per cento, senza che rilevi il titolo che ha condotto a questa

concentrazione rilevante.

Non identico è, nelle due fattispecie, il “bisogno di tutela” che giustifica l’intervento del legislatore. Nella prima, il“fatto nuovo” che giustifica la compressione dell’autonomia privata, a tutela degli investitori, è rappresentato dal

“successo” di una precedente offerta totalitaria, che ha portato l’offerente a una soglia di partecipazione almeno

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pari al novantacinque per cento. Agli azionisti che non hanno aderito viene, in tal caso, concessa una sorta di

seconda opportunità di accettare, che probabilmente si inquadra nella logica  –   studiata soprattutto dalla

letteratura gius-economica –  dei c.d. problemi di azione collettiva e, in particolare, in quella che è stata chiamata

la “coazione a vendere” (pressure to tender) . Nell’ipotesi contemplata dal  secondo comma, per contro, il

problema che si presenta all’ordinamento del mercato finanziario è quello della perdita di un “mercato” del titolo,

a causa di una concentrazione rilevante, comunque raggiunta. Tanto si desume dalla previsione di una “facoltà  

alternativa” per il destinatario dell’obbligo, consistente nel ripristinare un flottante sufficiente ad assicurare il

regolare andamento delle negoziazioni, in tal modo garantendo comunque l’interesse dell’investitore alla

“fluidità” del mercato e, dunque, a un “attendibile” canale di disinvestimento. L’obbligo di acquisto ex art. 108,

2° co., T.U.F., dunque, tutela l’investitore rispetto alla perdita definitiva di un mercato dei titoli. 

L’acquisto indiretto e il consolidamento della partecipazione. 

La fattispecie base delineata dall’art. 106, T.U.F., non esaurisce tutte le situazioni nelle quali può sorgere un

problema di disciplina dell’acquisizione del controllo di una società quotata. Quest’ultimo, in effetti, può essere

conseguito anche, indirettamente, mediante l’acquisto di una partecipazione nella società controllante . In tal caso

l’obbligo di OPA totalitaria sorge nel caso di acquisto, anche di concerto, di una partecipazione che consenta di

detenere più del trenta per cento delle azioni con diritto di voto sugli argomenti indicati nell’art. 105, T.U.F., di

una società quotata o il controllo di una società non quotata, qualora l’acquirente venga così a detenere,

indirettamente o per effetto della somma di partecipazioni dirette e indirette, più del trenta per cento dei “titoli”

(ex art. 105 T.U.F.) in una società quotata. Per partecipazione indiretta deve intendersi, in questo contesto, la

detenzione di azioni di una società, il cui patrimonio sia costituito in prevalenza da partecipazioni in società

quotate o in società che detengono in misura prevalente partecipazioni in società quotate .

L’obbligo di offerta può sorgere anche a carico di chi già detenga la partecipazione superiore alla soglia del trenta

per cento, ma non la maggioranza dei dir itti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria, allorché questi

incrementi la partecipazione, in misura significativa (cinque per cento) .

Le esenzioni.

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In determinati casi il superamento della soglia di cui all’art. 106, co. 1 non comporta l’obblig o di promuovere

un’offerta pubblica di acquisto totalitaria successiva.

Una prima esenzione dall’obbligo di promuovere l’OPA successiva sussiste nell’ipotesi in cui la soglia rilevante

sia conseguita in presenza di altri soci che detengono il controllo, nel qual caso, evidentemente, viene meno

quella presunzione di controllo di fatto della società emittente, che il Testo Unico ha ricollegato alla detenzione

di una partecipazione superiore al trenta per cento.

Il superamento della partecipazione rilevante non determina l’obbligo di OPA anche nel caso in cui sia

determinato da operazioni dirette al salvataggio di società in crisi, ovvero dal trasferimento di azioni ordinarie tra

soggetti legati da rilevanti rapporti di partecipazione, o da cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente, o,

infine, da operazioni di carattere temporaneo o di fusione o scissione (art. 106, co. 5).

Il legislatore ha demandato alla Consob il potere di regolare nel dettaglio le fattispecie esenti (art. 49 regolamento

emittenti). L’Autorità di vigilanza ha, altresì, il potere di disporre, con provvedimento motivato, che il

superamento della soglia rilevante non comporti l’obbligo di offerta, con riferimento a ipotesi riconducibili a

quelle indicate dalla legge, ma non espressamente previste, in termini generali, in sede di regolamento (art. 106,

co. 6).

Le offerte preventive.

Meritevoli di autonoma considerazione sono le fattispecie dell’offerta preventiva totalitaria (art. 106, co. 4,

 T.U.F.) e dell’offerta preventiva parziale (art. 107, T.U.F.), che pure hanno l’effetto di esimere il soggetto che

abbia superato la soglia rilevante dall’obbligo di procedere a offerta successiva totalitaria. 

L’obbligo di offerta non sussiste se la partecipazione superiore alla soglia rilevante è raggiunta a seguito di

un’offerta pubblica di acquisto o di scambio rivolta a tutti i possessori di titoli per la totalità dei titoli in loro

possesso, purché, nel caso di offerta di scambio, siano offerti titoli quotati in un mercato regolamentato di uno

Stato comunitario o sia offerto come alternativa un corrispettivo in contanti (art. 106, co. 4, T.U.F.). La ratio

dell’esenzione è, verisimilmente, da ricercare nella circostanza che, nell’ipotesi in considerazione, l’acquisizione

del controllo avviene nel rispetto di un procedimento che dovrebbe assicurare la trasparenza e la parità di

trattamento degli azionisti . In realtà la disciplina in esame accorda una tutela soltanto parziale, in quanto non

attribuisce alcuna rilevanza alle condizioni di prezzo alle quali l’offerta è promossa. Il che significa che gli oblati

potranno trovarsi nella condizione di dover scegliere se aderire all’offerta alle condizioni decise dall’offerente –  

che potrebbero essere non particolarmente vantaggiose rispetto all’andamento delle quotazioni –  ovvero restare

nella società, correndo il rischio di una depressione del prezzo delle azioni a seguito del mutamento del controllo

.

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L’altra ipotesi di offerta preventiva esimente è regolata dall’art. 107, T.U.F., ai sensi del quale l’obbligo di offerta

non sussiste se la partecipazione rilevante viene a essere detenuta a seguito di un’offerta pubblica di acquisto o di

scambio avente a oggetto almeno il sessanta per cento dei titoli di ciascuna categoria, ove ricorrano

congiuntamente determinate condizioni . L’istituto realizza un compromesso tra l’esigenza di consentire

l’acquisizione del controllo di società quotate, senza dover passare necessariamente per l’acquisto della totalità

delle azioni rilevanti per l’esercizio del controllo, e quella di proteggere gli azionisti esterni dal pericolo di

“pressione a vendere”.

L’acquisto di concerto. 

La regola che impone l’obbligo di offerta totalitaria (o di acquisto) si presta, in astratto, a essere elusa, attraverso

l’escamotage del frazionamento dell’acquisto rilevante tra una pluralità di soggetti, formalmente distinti, ma, in

realtà, appartenenti a una coalizione. L’istituto dell’acquisto di concerto mira a prevenire questa elusione della

legge.

La prova di un’azione concertata può, per vero, rivelarsi tutt’altro che agevole in concreto. L’impostazione

originaria del Testo Unico attenuava queste difficoltà probatorie, ricorrendo a un’elencazione di situazioni tipiche

di acquisti rilevanti, posti in essere da parte di più soggetti, in qualche modo “aggregabili” nella locuzione“acquisto di concerto”, e rinunciando a fornire una (sempre infida) definizione. Nella sua versione originaria,

l’art. 109, ancorché rubricato “acquisto di concerto”, non attribuiva alcun valore normativo alla “azione d i

concero”, limitandosi a imporre una sommatoria di partecipazioni riferibili a diversi soggetti, al fine di

determinare la base di calcolo per un eventuale successivo incremento rilevante, in termini di obbligo (solidale) di

opa .

La disciplina dell’acquisto di concerto è stata novellata, in sede di recepimento della Direttiva OPA (d. lgs. n.

229/07), con un successivo intervento “correttivo”, ad opera del d. lgs. n. 146/09. 

La riforma dell’istituto si segnala, innanzi tutto, per il tentativo di fornire una definizione di “persone che

agiscono di concerto” (art. 101-bis, co. 4, T.U.F.), ricorrendo a una clausola generale  –  mutuata dalla Direttiva

comunitaria (art. 2, co. 1, lett. d) –, alla quale segue la consueta elencazione dei “concertanti ex lege”, per i quali

l’appartenenza alla categoria è predicata “in ogni caso” (art. 101-bis, co. 4-bis).

La clausola generale contenuta definisce “persone che agiscono di concerto” “i soggetti che cooperano tra di loro

sulla base di un accordo, espresso o tacito, verbale o scritto, ancorché invalido o inefficace, volto ad acquisire,

mantenere o rafforzare il controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di

un’offerta pubblica di acquisto o di scambio”. 

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Un primo aspetto che emerge dalla lettura della “definizione” è l’esplicitazione della ratio sottesa alla disciplina

del concerto, chiaramente inquadrato nella regolamentazione degli assetti proprietari e, in particolare, del

problema “classico” dell’acquisizione, del mantenimento e del trasferimento del controllo, nel cui contesto si

colloca  –   entro i limiti sopra chiariti  –   la regolamentazione delle offerte obbligatorie. Il legislatore sembra

considerare rilevante l’azione di concerto soltanto allorché essa risulti attuazione di un accordo, “volto a”

incidere sul controllo di un emittente, per acquisirlo, mantenerlo, o rafforzarlo ovvero diretto a contrastarne

l’acquisizione, mediante opa.

La legge richiede ora, in termini generali, l’esistenza –   e, dunque, l’accertamento –   di un accordo; il che

sembrerebbe costituire una presa di posizione contro l’ipotizzata sufficienza di una mera condotta “convergente”

di due o più soggetti . Certo, l’accordo non richiede alcuna formalità e assume rilievo come mero fatto giuridico,

a nulla rilevando il profilo negoziale, dell’idoneità a produrre gli effetti giuridici programmati. Ma un accordo

deve, comunque, essere ricostruibile e, per di più, non nel senso, del tutto generico, di (reciproca) “condivisione”

dell’altrui condotta, ma in un’accezione assai più pregnante, dovendo avere un oggetto determinato, come sopra

osservato . La definizione parrebbe, dunque, escludere la possibilità di un “concertiste malgré soi” , dovendosi, in

ogni caso, procedere a un’operazione di qualificazione della fattispecie, al fine di valutare se tra due o più soggetti

sia stato effettivamente concluso un contratto, pur in assenza di “una formale stipulazione” . 

Il successivo comma 4-bis individua le “persone che agiscono di concerto” “in ogni caso” (corsivi aggiunti).  I

“concertanti per elencazione” sono (i) gli aderenti a un patto parasociale ex art. 122 T.U.F., ancorché nullo ; (ii)

un soggetto e le società da esso controllate ; (iii) le società sottoposte a comune controllo; (iv) una società e i suoi

amministratori o direttori generali. Per questi soggetti, dunque, parrebbe non necessario l’accertamento di unacooperazione attuativa di un accordo, essendo sufficiente il riscontro della “situazione” descritta.

 Apparentemente nulla di nuovo, rispetto all’approccio orig inariamente seguito dal legislatore del Testo Unico, il

quale, peraltro, aveva coerentemente espunto dall’articolato normativo l’azione di concerto, limitandosi ad

applicare una disciplina in presenza di determinate situazioni, che davano luogo ex lege a un “acquisto di

concerto”. 

 Alla luce di quanto sin qui osservato sembra potersi affermare che la nuova disciplina sia incentrata su due regole

generali. La cooperazione attuativa di un accordo avente le caratteristiche previste dall’art. 101 -bis, co. 4, T.U.F.,

comporta la qualificazione in termini di “concertanti” e giustifica l’aggregazione di cui all’art. 109 T.U.F.

L’appartenenza a una delle “categorie” elencate nell’art. 101-bis, com. 4-bis, T.U.F., è equiparata alla

cooperazione e comporta le medesime conseguenze, pur in assenza (della prova) di un’azione concertata. Si noti,

peraltro, che la concertazione, quando rilevante, non ha per oggetto un acquisto di azioni, bensì la “gestione” del

controllo societario ovvero il contrasto di un’offerta di acquis izione. Parrebbe permanere, dunque, la regola in

 virtù della quale i “concertanti” –  per legge o per l’effettiva cooperazione rilevante –  sono solidalmente tenuti

all’obbligo di offerta, se pongono in essere un acquisto che comporta l’incremento significat ivo della

partecipazione aggregata, anche se a seguito di un comportamento non concertato e, probabilmente, anche se,

per così dire, “dissonante”.

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In realtà l’ultimo comma (4-ter) dell’art. 101-bis introduce un’eccezione, la cui ampiezza e indeterminatezza

rischia di sgretolare ogni certezza esegetica. L’eccezione parrebbe circoscritta alle sole “persone che agiscono di

concerto” in virtù di un’effettiva cooperazione (co. 4), con esclusione dei “concertanti ex lege” (co. 4-bis).

Depone in tal senso l’incipit della disposizione (“fermo restando il comma 4-bis”).

Il Testo Unico ha demandato alla Consob il compito di individuare con regolamento “a) i casi per i quali si

presume che i soggetti coinvolti siano persone che agiscono di concerto ai sensi del comma 4, salvo che provino

che non ricorrono le condizioni di cui al medesimo comma”; (b) i casi nei quali la cooperazione tra più soggetti

non configura un’azione di concerto ai sensi del comma 4”. La disposizione non si segnala per la chiarezza della

formulazione. Il legislatore parrebbe aver voluto agevolare l’attività di vigilanza, consentendo alla Consob di

prevedere, sia pure in termini generali e astratti, fattispecie di presunzioni (semplici) di cooperazione rilevante, e

addossando ai presunti concertanti l’onere di provare l’insussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie

(dunque: l’accordo e il suo oggetto). Parimenti, la Commissione ha il potere di individuare fattispecie astratte

nelle quali, pur sussistendo una cooperazione, questa non è r ilevante, ai fini della qualificazione dei “cooperanti”

in termini di “persone che agiscono di concerto” (art. 44-quater, co. 2, reg. emittenti ).

Diritto di acquisto.

L’offerente che, a seguito di un’offerta totalitaria (anche volontaria), si trovi a detenere una partecipazione pari ad

almeno il novantacinque per cento del capitale rappresentato da titoli in una società quotata italiana, ha un diritto

di acquisto dei titoli residui (art. 111 T.U.F.) . Condizione per avvalersi del diritto in parola è che l’offerente abbia

dichiarato la sua intenzione nel documento di offerta (si veda anche l’art. 50 reg. emittenti). Il corrispettivo e la

forma che esso deve avere sono determinati secondo le modalità previste dalle norme che regolano l’obbligo di

acquisto (art. 108, commi 3, 4, 5, nonché art. 50 reg. emittenti). Il diritto di acquisto può essere esercitato entro

tre mesi dalla scadenza del termine per l’accettazione dell’offerta che ha determinato il raggiungimento della

soglia sopra indicata e il trasferimento dei titoli ha efficacia dal momento della comunicazione alla società

emittente dell’avvenuto deposito del prezzo di acquisto presso una banca. La società provvede alle conseguenti

annotazioni nel libro dei soci.

L’istituto presenta qualche analogia con  il retrait obligatoire del diritto francese, sotto il profilo

dell’«espropriazione» delle partecipazioni degli azionisti di minoranza . L’istituto francese, peraltro ha quale

presupposto una precedente offerta pubblica, all’esito della quale i titoli “residui” non rappresentino più del 5%

del capitale o dei diritti di voto, là dove il diritto di acquisto in esame sorge a seguito di un’OPA totalitaria, non

necessariamente residuale, e trova la sua giustificazione, principalmente, nell’opportunità di consent ire al socio

ormai quasi totalitario di sottrarsi a possibili “interferenze” da parte dei soci “minimi”. 

Disposizioni sanzionatorie.

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Pur nella diversità di opinioni circa la giustificazione dell’obbligo di offerta, una conclusione che sembra

confortata dal dato positivo è che l’istituto costituisca uno strumento di tutela dei soggetti che abbiano investito

in particolari categorie di strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati. L’individuazione di una finalità

di “tutela degli investitori” rende legittimo l’interrogativo circa il grado di effettività della protezione accordata e,

dunque, orienta l’indagine verso l’approfondimento degli strumenti di reazione predisposti dall’ordinamento, nel

caso di inosservanza della disciplina da parte dei soggetti destinatari degli obblighi di legge.

Il Testo Unico reca un apparato sanzionatorio incentrato, fondamentalmente, sulla frustrazione del “programma

contrattuale” perseguito con l’acquisto contra legem. Il che avviene non già invalidando l’atto di autonomia

privata , ma “demolendone” gli effetti, con la dismissione coatta della partecipazione eccedente e l’inibizione

dell’esercizio del potere acquisito in seno all’organizzazione societaria (art. 110 T.U.F.) . 

L’approccio del legislatore appare coerente con l’idea che il meccanismo dell’opa totalitaria a un prezzo “equo”

costituisca un presidio dell’interesse degli investitori a una consapevole destinazione del risparmio nel mercato

regolamentato, accordando l’opportunità di riconsiderare l’investimento iniziale, allorché mutino circostanze

rilevanti, rispetto alla (e alla luce della) scelta iniziale di investimento. Può dirsi congruo, a fronte di questo assetto

di interessi, un apparato sanzionatorio di carattere “ripristinatorio” dello status quo ante e di inibizione, medio

tempore, delle prerogative acquisite illegittimamente (il “potere di voto”), poiché il loro esercizio potrebbe

condurre a un’ulteriore (e potenzialmente irreversibile) alterazione della “situazione” dell’emittente e, dunque, del

“valore” dell’investimento, inteso, appunto, quale finanziamento di un’attività produttiva da altri gestita. 

In sede di recepimento della Direttiva opa, l’art. 110 T.U.F. è stato novellato, con l’aggiunta di un secondo

comma, a mente del quale “in alternativa all’alienazione di cui al comma 1 la Consob può imporre, con

provvedimento motivato, la promozione dell’offerta di cui all’articolo 106 al prezzo da essa stabilito, anche

tenendo conto del prezzo di mercato dei titoli”. La norma –  che si segnala per gli ampi margini di discrezionalità

che parrebbe attribuire all’Autorità di vigilanza –   regola pur sempre l’apparato sanzionatorio di settore,

prevedendo una sorta di singolare esecuzione in forma specifica, rimessa alla discrezionalità della Consob, che

dovrà esercitare il potere a essa attribuito in un’ottica di tutela degli investitori e del mercato nel suo complesso

(art. 91 T.U.F.), anche alla luce degli eventi sopravvenuti. E ciò sebbene non sfugga la presenza anche di unalogica, in qualche misura, risarcitoria, pur se sottratta  –   a conferma della natura degli interessi protetti  –  

all’iniziativa dei potenziali beneficiari dell’offerta. 

La prospettiva “settoriale” del Testo Unico non esime, però, l’interprete dal valutare la possibilità di un raccordo

fra le sanzioni previste dalla legislazione speciale e i princìpi generali desumibili dal diritto delle obbligazioni .

In proposito giova richiamare quanto già osservato circa la centralità della disciplina del procedimento, anche nel

caso di offerta obbligatoria. La conclusione del contratto di compravendita (o di permuta), anche in questo

contesto, costituisce soltanto un esito eventuale di un procedimento imposto. L’obbligatorietà di una condottaattiva (la promozione dell’offerta, secondo le modalità puntualmente scandite dalla legge), è funzionale ad

attribuire a soggetti determinati un’opportunità, consistente nel pervenire a una consapevole decisione circa

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un’operazione di disinvestimento e, eventualmente, nel realizzare quella operazione, con la cooperazione (anche)

del soggetto (che diventa allora) obbligato ad acquistare, in un contesto alternativo rispetto al mercato . Al

contenuto positivo dell’obbligo gravante sul soggetto che abbia superato la soglia rilevante sembra, dunque, fare

riscontro l’attribuzione ai beneficiari della condotta imposta dalla legge di una “pretesa giuridicamente tutelata”,

secondo lo schema del rapporto obbligatorio . L’inattuazione del rapporto, pertanto, pone il problema della

responsabilità da inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Certo, in concreto, la responsabilità potrà essere esclusa, ove risulti che dall’inadempimento non è conseguito

alcun danno, eventualmente anche per effetto della tempestiva applicazione delle sanzioni. Ma a questa

conclusione si potrà pervenire esclusivamente applicando le regole di cui agli artt. 1223 ss. c.c., non già

invocando la “esaustività” delle sanzioni previste dall’art. 110 T.U.F. E ciò per la semplice, ma decisiva, ragione

che quelle norme regolano un diverso tipo di problema, rispetto alla perdita dell’opportunità di riconsiderare

l’investimento iniziale, per approdare, eventualmente, a un “disinvestimento informato”, a condizioni che meglio

riflettono la valutazione di mercato dei titoli, a seguito dell’acquisto rilevante.