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VOJO IS NOT DEADLa Bora di carta sarà trimestrale, come le stagioni.

Scriverà di impegno civico, proporrà progetti per il territorio. Un viaggio a favor di vento.

Per tutti, per noi.

Nicolò Giraldi

primavera 2015

QUANTE VITE POSSIEDEUNA BICICLETTA?

Diego Manna ci porta a fare un giro con lui, lungoquei momenti che contraddistinguono le due ruote

Il giocoHo imparato ad andare in bici un po’ come tutti, da piccolo, per gioco. La mia bici bonsai rossa aveva solo il freno davanti. Mi lanciavo in discesa e lo tiravo, finendo ogni volta a capriole sulla ghiaia. I segni che riportavo a casa mi valevano il “ferite di guerra!” esclamato da mio nonno, cosa che mi rendeva decisamente fiero.

Poi, arrivò lei, la mitica Bmx. Blu e gialla. La chiamai Kitt. Poco dopo comparvero le prime mountain-bike e mi regalarono Legolas. Le scampagnate domenicali divennero sempre più lunghe, tra i paesi del Carso, il mare e sentieri inesplorati.

E poi arriva quell’età. L’adolescenza. Quella in cui preferisci altri giochi, altri svaghi, altri giri. La bici piano piano perde il suo fascino, la sua complicità, fino a diventare qualcosa di inutile, di lento, qualcosa da lasciare in cantina, perché per lei non c’è più spazio nella tua nuova vita.

Il viaggioIl bello della bicicletta è che lei non si offende. Lei è lì, in attesa. Non appena tornerai nella cantina, lei sarà pronta, per vecchie o nuove avventure. E così, dopo dieci anni di attesa, ecco che spunta l’idea, la nuova avventura. Paolo Rumiz con il suo "Tre uomini in bicicletta” fa da apripista alla scoperta di un nuovo uso della bici, la dimensione viaggio.

L’idea è partire per Berlino. Entro i 30 anni, perché da giovani si pensa che quello sia il confine della libertà, salvo poi accorgersi che in realtà non cambia niente, il confine della libertà si trova da tutt’altra parte. E l’occasione arriva, subito dopo la laurea. Esame di stato o Berlino? La seconda, senza alcuna esitazione.Legolas resta a casa però, perchè ora c'è lei, Arlandria.

Che mi porterà a Berlino, a Praga, sul Glossglockner, a Monaco, Budapest, Bratislava, Cracovia, Mostar, Dubrovnik e Cattaro.

La cittàFinché, un giorno, ad uno dei miei più cari compagni di viaggio, Michele Zazzara, non viene l’idea di andare al mare a Duino. In bici. In bici? Perché? Così, per fare un giro. Parto da Servola, passo per la città, incontro persone, arriviamo a Duino, pranziamo, e dopo qualche clanfa prendiamo la via del ritorno. Saltiamo il traffico, “parcheggiamo” esattamente a un metro da dove vogliamo arrivare, senza lo stress della ricerca di un posto libero.

Da quel giorno è scattata una molla. E’ incominciata la nuova avventura da ciclista urbano. Servola - città: 20 minuti tondi. In auto 7. Ai quali vanno aggiunti i 15 per cercare parcheggio e i 10 per camminare dal parcheggio alla meta, quando va bene. Senza contare la benzina. E la solitudine di quell’inibitore sensoriale a quattro ruote che ti separa da ciò che ti circonda e che potresti invece vivere. Conti alla mano, il risparmio in benzina è di 100 euro al mese. Senza contare il beneficio fisico e il piacere di incontrare persone e poterti fermare a condividere con loro anche una piccola parte della tua giornata. E così la bicicletta si riconquista anche il suo fascino quotidiano, la complicità persa di un tempo, chiudendo il cerchio.

La moraleNon so se questa sia la normale evoluzione di un rapporto con la bicicletta, ma di sicuro noto che ultimamente la bicicletta non è più vista solamente come uno strumento di svago, ma si è finalmente e definitivamente guadagnata la dignità di mezzo di trasporto, anche in una città difficile come Trieste.“Trieste no xe per bici” ormai ha senso solo se non si vuole guardare cosa sta effettivamente succedendo per strada.

FARE È CONTRARIO DI CRITICARE

Paolo Stanese ci guida nel mondo di chi ha voglia di migliorare il posto dove si vive e perché no, anche per estirpare il morbo dell’immobilismo culturale

Il No se pol incarna lo spirito peggiore della triestinità, quella fossile, irritabile e criticona. Quella che intasa le colonne delle Segnalazioni al “Piccolo” e occupa le sedie dietro gli sportelli di troppi uffici. Quella che critica ma non prende mai posizione o non agisce a favore.

Chi si dà da fare, in progetti per i giovani, per il carso, per i rioni della città, ama rovesciare quella frase, spesso dicendo “Se pol”. Ma questo rovesciamento è troppo piccolo, per dare atto alla nuova voglia di fare che ha di recente contagiato molti giuliani.

Primo, perché il No se pol non ha soggetto: è una forza impersonale, un destino ineluttabile cui rassegnarsi. Mentre chi crede in un sogno, in un progetto, ci mette la faccia, il nome, tutto se stesso. Secondo, perché Se pol annuncia solo una possibilità, le azioni concrete sono ancora lontane.

Se pol non fa abbastanza per opporsi al No se pol. E il Just do it della Nike è troppo individualista. Il vero contrario, sarà un caso, l’ho sentito tempo fa: è Bon dei, femo. È accogliente, attivo, parla al presente, ed è alla prima persona plurale.

È in questo noi attivo, impegnato e accogliente, lontano dalle polemiche e dai partiti presi che mi piace riconoscermi. Ed è questo l’invito che rivolgo a tutti quelli che sentono il bisogno di agire qui e ora: non obiettate, non criticate e basta. Rimboccatevi le mani, e unitevi a chi vede lo stesso problema che vedete voi. Per agire, e contribuire a rendere migliore il posto in cui vivete.

TRIESTE CITTÀ A MISURA DI VIANDANTE?Viandanza significa molto di più della parola trekking. Luigi Nacci riflettesul tema con una proposta

Pensa a Slataper quando scrive, ne Il mio Carso, «camminando guardavo tutto con affetto fraterno». Chiediti: puoi ancora camminare a Trieste? Lo puoi fare con affetto fraterno verso te stesso e verso chi incontri per la strada? A te che vai a piedi, e ti smarrisci nei vicoli, la gente rivolge mai un saluto? Ti sorridono con gentilezza? Se perdi la strada, qualcuno ti aiuta a ritrovarla? E i marciapiedi come sono, accoglienti? Dimmi, caro lettore, quand’è l’ultima volta che hai attraversato questa magnifica striscia di terra da Lazzaretto alle foci del Timavo?

Supponiamo che tu l’abbia fatto, dimmi, quanto asfalto ti è toccato in sorte, quanti sentieri? E quando si è fatta sera e dovevi tornare a casa, un autobus l’hai trovato? O ti sei trovato a vagare come un orso al crepuscolo, sull’altipiano? Avevi sete e hai cercato una fontana: l’hai trovata? Se non c’era hai

bussato a una casa: ti hanno aperto la porta? Si sono fidati? Dimmi, in piena sincerità: questa città, questa provincia, sono fatte a misura di viandante?

Questa rubrica vorrebbe tentare di rispondere a queste e ad altre domande. Parlare di “viandanza” non significa parlare di trekking, c’è molto di più. Ragionare su Trieste città della viandanza, ragionarci senza fretta, significa pensare ad una città accessibile prima di tutto a chi è disabile, anziano, bambino, a chi per qualsiasi ragione si sposta nello spazio con altri ritmi e specifiche esigenze. Una città in cui una persona in carrozzina o un ipovedente si possono muovere agevolmente e in cui un bambino può andare da solo a piedi a scuola è una città a misura di tutti. Il passo successivo è quello di immaginare un turista che possa camminare da Lazzaretto alle foci del Timavo per 4-5 giorni trovando segnaletica, luoghi di ristoro e alloggi adatti al tipo di esperienza che sta facendo. L’ultimo passo è quello di imparare ad accogliere.

Trieste è stata una vera città cosmopolita. Forse, aprendosi ai viandanti, potrebbe tornare ad esserlo.

SI POTREBBEFARE UNACICLABILE

DA TRIESTEFINO A ZARA?

Ivan Curzolo ci spiega come, accompagnandoci nel mondo del

V Interreg Italia – Slovenia 2014 - 2020

La bicicletta, si sa, piace e molto all’Unione Europea. Oltre che d’amore il matrimonio è pure d’interesse perché l’uso della due ruote a pedali è considerato sì comportamento virtuoso ma soprattutto contributo qualificato al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa2020 che punta alla crescita intelligente, sostenibile e solidale di tutte le regioni del nostro continente.

In questo senso, la bicicletta è “smart” perché può essere veicolo di mobilità urbana alternativo ai mezzi a motore e come tale contribuire alla riduzione dei consumi di energia prodotta da fonti non rinnovabili e quindi delle emissioni di CO2 oppure strumento di accessibilità, pratico e adatto ad una fruibilità del territorio più lenta e consapevole, delle sue risorse naturali e culturali ed incentivo, alla fine, ad un suo sviluppo sostenibile.

Il ragionamento di cui sopra trova ampio spazio nel percorso di costruzione della strategia del Programma di Cooperazione

transfrontaliera INTERREG V Italia – Slovenia 2014 - 2020. Con un budget di circa 91 milioni di Euro da distribuire su 7 anni il Programma dovrebbe (il condizionale è d’obbligo considerato che il documento non è stato ancora approvato al momento in cui scriviamo) “promuovere l’innovazione, la sostenibilità e la governance transfrontaliera per creare una regione più competitiva, coesa e vivibile” mediante la costruzione di partenariati fra soggetti rappresentativi del territorio attraversato dal confine e l’attuazione congiunta di linee di azione condivise.

Per quel che ci riguarda, pare interessante la lettura dell’obiettivo specifico 2.1 “Promozione di strategie che combinino misure di efficienza energetica e che migliorino le capacità del territorio di pianificazione della mobilità a basse emissioni di carbonio anche nelle aree urbane” e di quello 3.3 “Conservazione, tutela, ripristino e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale anche al fine di sviluppare ulteriormente il turismo intelligente e sostenibile”. E’ evidente

che la definizione e preparazione di una pista ciclabile attrezzatta potrebbe contribuire in maniera sostanziale al raggiungimento di entrambi gli obiettivi.

A chi, correttamente, si chiede che cosa potrebbe finanziare un programma come INTERREG V Italia – Slovenia, rispondiamo: varie cose. La progettazione e attuazione di piccoli interventi infrastrutturali sia per il riattamento del percorso sia per eventuali punti di sosta, ristoro o parcheggio multimodale, la messa in opera di segnaletica tecnica, la promozione della pista e dei territori attraversati ai fini turistici.

E’ inoltre importante che ci sia consapevolezza di evitare duplicazioni o sforzi inutili, specialmente in un contesto di risorse pubbliche scarse e perciò preziosissime. Capitalizzare le esperienze e le attività già finanziate in precedenza, soprattutto dalla cooperazione territoriale deve essere una priorità. Ecco quindi che i risultati dei progetti come Interbike (http://www.adriabike.eu) o Iron Curtain trail (www.ct13.eu),

tanto per citarne due, devono costituire elementi importanti da cui partire.

Ciò che conta però è che da qui all’apertura dei termini per la presentazione di proposte progettuali (Primo bando) prevista indicativamente per l’autunno di quest’anno, si possa costruire una proposta condivisa attraverso il coinvolgimento dei soggetti istituzionali italiani (pensiamo alla Regione, Direzione mobilità in quanto competente per tema, ai comuni di Trieste, San Dorligo della Valle – Dolina, Muggia) e sloveni (Capodistria) e la consultazione di tutti gli stakeholder dell’area che potrebbero contribuire con idee e spunti utili alla definizione di un progetto realmente partecipato.

La pista potrebbe diventare anima e collante di altre iniziative - co-finanziate all’interno dello stesso progetto o con risorse diverse - per la valorizzazione del territorio attraversato, dei piccoli produttori agricoli insediati (pensiamo all’olio, al vino, al miele ma non solo) e costituire volano virtuoso di uno sviluppo armonico e sostenibile.

Ivan Curzolo, classe 1974, cresciuto a Chiarbola, fa la spola fra Trieste e Budapest. Si occupa di programmazione e progettazione europea con un occhio di riguardo alla cooperazione territoriale ed allo sviluppo locale. Ama viaggiare in treno, rilassarsi al Balaton e attraversare confini senza mostrare documenti.

ESISTE ANCORALA FRONTIERA?Da qualche tempo un uomo sta cercando di resistere agli interessi dei grandi capitali. Enrico Milic riassume il desiderio civico dell’esser “contro”

Salvate il soldato Lillini. Proviamo a crederci, a questi eroi, isolati nella deriva economica e istituzionale. Lillini ce lo può dire in che ordine economico e sociale stiamo andando a crescere i nostri figli e nipoti.

Tutto era iniziato quando la società Smart Gas nel corso del 2014 aveva presentato alle autorità statali le documentazioni per ottenere una Valutazione d’Impatto Ambientale positiva e l’Autorizzazione alla costruzione di un impianto di rigassificazione del gas liquido nel porto di Monfalcone. Andiamo con ordine.

22 settembre. Gavemo le carte: una quisquilia smilza e piena di timbri, firmate dall’Ufficio Opere Marittime Friuli Venezia Giulia, Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La firma è dell’ingegner Giorgio Lillini.Tre pagine dedicate all’incompletezza della documentazione di Smart Gas. Il funzionario del nostro Stato scrive che tutti gli elaborati presentati da Smart Gas per il rigassificatore di Monfalcone avrebbero dovuto «essere sottoscritti da un professionista abilitato per l’assunzione delle relative responsabilità» mentre non si capisce bene chi e con quale titolo abbia presentato tali documenti per conto di Smart Gas. L’ufficio di Lillini rileva che non si trova tra gli elaborati uno studio sull’impatto del rigassificatore sulle attività portuali, né un impatto sull’ambiente derivante dal dragaggio dei fondali, notoriamente pieni di mercurio. Nessuno studio rispetto al possibile impatto di azioni terroristiche.

8 gennaio 2014. Gavemo le carte: due pagine a cura del Dipartimento di Prevenzione, Struttura Operativa Complessa di Igiene Pubblica, Azienda Sanitaria Isontina. Per i dottori Mara Zerbin e Andrea Valantig, l’analisi dello scenario di incidenti potenziali, con protagonista un futuro rigassificatore di Monfalcone, valuta l’impianto come a rischio di «incidenti rilevanti» e «conseguenze letali».

Come a dire che il progetto è improvvisato.

L’approccio di Smart Gas per il rigassificatore di Monfalcone è esattamente lo stesso che era stato assunto dalla società spagnola Gas Natural per il progetto del rigassificatore da fare a Zaule tra Muggia e Trieste: anche quello carente.

Almeno fino ad oggi (scriviamo a fine febbraio): la Costituzione italiana prevede che le Regioni come anche il Friuli Venezia Giulia abbiano il diritto di dire la loro e eventualmente fermare la costruzione di impianti di produzione energetica. Così è arrivato più di dodici mesi fa lo ‘stop’ al progetto di Zaule, sull’onda delle proteste di un movimento civico.

E’in discussione in questi giorni e sembra verso l’approvazione una riforma della Costituzione che prevede di tagliare questi poteri regionali di interdizione alla costruzione di nuovi grandi impianti energetici.

Il cortocircuito di una società nazionale avviene oggi quando il governo passa lo steccato e va a braccetto con un capitalismo gasato. Quando la nostra classe politica nazionale migliore finisce con l’aprire il portone principale di casa, cioè dei nostri beni comuni. Quando apre la porta a progetti arraffoni e strafalcionati lievitati senza il contesto di una strategia energetica nazionale (non pervenuta), senza ricadute occupazionali per chi qua vive, contro lo sviluppo paesaggistico e quindi turistico del posto dove esistiamo.

L’ingegner Lillini, i dottori Valanting e Zerbin oggi hanno il potere di rappresentare la comunità locale ovvero hanno il potere di tutelarla, in virtù del sistema istituzionale in fase di smantellamento. Abbandonato il vecchio sistema costituzionale, entreremo nell’era del Far West di gas, denari, politica nazionale. Tutti alla conquista dell’ultimo territorio prima della frontiera, anche se è quello più lontano e con meno treni da Roma.

LA “TRUFFA” DELBIOLOGICO: NICCHIAO FURBA TENDENZA?Dai mercati rionali ai grandi discount. Sabina Viezzolisi è finta cliente e ha attraversato la città scoprendo

qualcosa di più di quello che sapevamo

Ciliegie e fragole in inverno. Sono in un discount. Studio la confezione di kiwi: arrivano dalla Nuova Zelanda, non proprio km0. Ogni volta che viaggio non manco di visitare i mercati. Perché a Trieste non ci vado mai? Lascio la fila ed esco per una spesa alternativa.

Tra le bancarelle in Ponterosso respiro un’aria diversa. Tutti si salutano e molti si conoscono per nome. Non manca nulla. Frutta e verdura di stagione, formaggi, uova, salumi e pesce. Poi miele, olio e conserve. Quasi tutto è venduto direttamente dal produttore, i prezzi sono buoni.

Vado poi a San Giacomo, tra le tende gialle di “Campagna Amica”, Coldiretti e altri venditori a km0. Al banco della verdura si discute di biologico; formalmente quelli non sono prodotti bio, ma il produttore assicura che lo sono più di quelli venduti nei grandi negozi specializzati.

Negli ultimi anni il biologico non è più di nicchia. Le aziende nel settore della grande distribuzione sono diventate simili alle tradizionali. Per produrre su larga scala ci si allontana dai princìpi di agricoltura e allevamento sostenibili: per essere “bio” basta rispettare i limiti di legge per pesticidi e antibiotici. Il marketing fa il resto. Cosa manca? Consapevolezza.

Comprare prodotti di qualità, locali e garantiti a Trieste se pol? Sì: dal mercato coperto a San Giacomo, da Piazza Goldoni a Piazza Vittorio Veneto passando per Ponterosso, i venditori sono presenti ogni settimana e in giornate diverse. Scomodo doverli raggiungere? No, perché si dovrebbe solamente lasciare la fila del supermercato per aprirsi all’incontro, per privilegiare le relazioni e riappropriarsi del valore di ciò che consumiamo.

Bah!

Ste robe che i ga dito fin desso, po'.

Bah, mi me par tute monade.

Ma cossa viz, ara che sti mati parlava per bon.

Apunto: bah! Sarà un motivo, no, se no se fa cussì. Desso riva lori e ghe ciapa el sghiribiz de cambiar el mondo.

Chi ziga?

Ma cossa mai, forsi una volta, ma desso no xe più cussì. Ah che bel che iera una volta, te se ricordi, che se comprava le robe in Ponterosso. E se rivava là e se ciacolava, e tuti iera

alegri e mai passion. E iera miseria, osteria. Nissun no gaveva fliche per comprarse auti, altro che monade.

“Se stava meo co se stava pezo” po', sempre dito mi! Inveze desso vara, xe tuto un remitur e un corerse drio.

Ma cossa mai, no sta ciorme pel daur! Se te scolti sti qua con tute ste monade finiremo solo che per star pezo po'.

No, perchè quel iera el pezo de una volta, de co se stava meo. Sto qua inveze saria un pezo pezo ancora, un

pezo a remengo, perchè sta andando tuta a remengo.

No sta dir monade. Resterà cussì e po bon, pezo e basta.

Gnente po, se no i gavessi za fato.

Lori po.

Lori dei, i soliti, quei che ne laga cazada in tuti sti anni.

Cossa?

Ma no, no ga scopo, se no i gavessi za fato.

Lori po, sempre lori, te go za dito.

Bah cossa?

Bon ma certe che i ga tirà fora iera cocole, dei.

Ma ovio, le spara per farse la ridada po', solito, sa che al triestin ghe piasi tirar el viz.

Orco tron, te disi? Ma no dei, xe tute robe che no ga scopo.

A posto semo, se i lo vol cambiar andando in bici, caminando come lole o scoltando le babe che ziga.

Le venderigole al mercato, le ziga po'.

Za, iera tuto più bel, iera tuto un volerse ben. E se cantava. Se stava meo, poco de dir.

Te sa sì. Ma speta un atimo, legendo un poco più meo, no xe che sti muli qua i sta disendo la stessa roba che disemo noi?

Quindi meo, come co se stava pezo, no?

Alora forsi se xe pezo do volte, o pezo a remengo, el diventa più meo ancora del pezo de prima, che iera meno pezo de desso.

E quindi cossa se pol far per tornar a star meo de desso che se sta pezo de co se stava pezo?

Chi?

Lori chi?

E se inveze de lori fazessimo noi?

No so, qualcossa per far meo del pezo.

Chi?

Te ga ragion. Coss'te bevi?