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Queste favole Queste favole Q sono nate sotto una buona stella. Raccon-tano fatti quasi veri i quali per essere totalmente con-Qtano fatti quasi veri i quali per essere totalmente con-Q

divisi avrebbero soltanto bisogno di essere testimoniati ver-Qdivisi avrebbero soltanto bisogno di essere testimoniati ver-Qbalmente dai loro protagonisti che, purtroppo, sono animali e quindi padroni, essi soltanto, delle loro forme espressive. Tante volte ci siamo chiesti quanto sarebbe stato bello co-noscere il linguaggio degli animali, perché, loro, soprattutto quelli della foresta, hanno modi di dire e di fare molto parti-colari: vivono come fossero padroni del tempo e dello spazio; del tempo, perché non hanno orari prestabiliti per mangiare o per dormire. Basta poco: se si avvicina loro, inconsapevole, una preda succulenta non indugiano due volte. Si precipitano addosso all’animale malcapitato e se lo divorano; dormono, di giorno o di notte, quando sono sazi, ma se qualcuno turba

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i loro sogni sono pronti ad azzannarlo e a farlo, come si è soliti dire, “in quattro”, cioè a dividersene le membra.

Ma su questo mondo c’è Ma su questo mondo c’è Ma su questo mondo c’ anche qualcosa di grande e di bel-lo che vince sempre: è il bene, l’amore, la solidarietà, l’amici-zia, quelli che gli umani chiamano sentimenti e che anche gli animali hanno, soltanto che noi, sempre per colpa del man-cato possesso del loro linguaggio, tardiamo a comprendere.

I racconti della foresta, allora, rappresentano un insieme di piccole cose che tornano giovevoli a chi li legge: grandi e piccini, mamme e bimbi. Le mamme perché, leggendole, aiutano i loro bimbi ad entrare in un universo fantastico ep-pure reale, comunque fi sicamente distante dal mondo di tutti i giorni; i bimbi perché da questi racconti traggono elementi di valore che si consolideranno nel tempo, in sintonia con la loro crescita, e contribuiranno a raff orzarne gli ideali e a rendere le loro giornate ricche di spunti creativi e di solleci-tazioni a fare del bene.

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I RACCONTI DELLA FORESTA

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CUORE DI MAMMA

Sono tanto fi tti gli alberi del bosco che il sole non sempre riesce a illuminare, in mezzo al fogliame,

la casetta di Sco Iattolino. Fortuna vuole che il pelo fi tto che lo ricopre completamente, come un ve-stitino, gli procura un calduccio che anche quando si muove da solo, alla ricerca di Sco Iattolina, non soff re il freddo. Piuttosto salta con un’agilità che sorprende gli altri animali del bosco. Corre velocis-simo e si arrampica sui tronchi, reggendosi con due sole zampette. Le altre due gli servono per cogliere le bacche che, assieme al fogliame intero, rinserra

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tra le labbra che si percepiscono appena, perché la sua boccuccia somiglia a quella di un topolino.

Sco Iattolina è sua amica, un animaletto altret-tanto scattante, perché ha un corpicino allungato, anch’esso coperto di una fi tta peluria color ciocco-lato. Malgrado il cognome sia identico al suo, non c’è parentela alcuna tra i due. Casomai c’è soltan-to una grande amicizia che, se non fosse per l’età ancora giovanissima, non tarderemmo a chiamare amore, come quello che si scambiano i grandi. Di-fatti nei loro giochi si avvinghiano l’un l’altro, si rincorrono sui tronchi e sui rametti che sporgono fi no a lambire le acque del fi ume. Spesso, piuttosto, aff ondano nella fi tta boscaglia, confondendosi con i cespugli che emergono dal prato erboso.

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La casa di Sco Iattolino è ricavata nel vecchio tronco di un albero secolare. C’è un buco all’altezza del terreno che fa pensare che tutto l’albero all’in-terno sia vuoto. Difatti c’è come una galleria che sbuca in alto e da lassù prende la luce. Essa è addi-rittura provvidenziale, perché se un altro animale, specialmente cattivo, entra nella cavità dell’albero alla ricerca di cibo per soddisfare la fame, Sco Iat-tolino sale, tutto d’un balzo, in cima alla galleria e scappa sui rami che reggono lui, così leggero ed affi lato, e non certo reggerebbero il predatore, che è costretto a desistere dall’inseguimento.

Una tarda mattinata, con il sole che scaldava la terra e perfi no l’acqua del fi ume che dissetava gli animali del bosco – perché si incuneava tra il ver-de fi no a formare una insenatura naturale con l’ac-qua quasi stagnante e tuttavia trasparente che a Sco

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Iattolino permetteva di fare ogni tanto un bagnet-to ristoratore – l’animaletto vide tra le foglie di un platano una fi gura bellissima di donna. Pensò su-bito ad una mamma, anche se non seguita da altri cuccioletti. Con molto rispetto e un po’ di timore provò a dirle: «Bella signora, avete dei fi gli con i quali io possa giocare?»

E l’altra replicò immediatamente: «Avevo un fi -glio che, peraltro, ho tanto amato. Ma non ha mai voluto ascoltare i miei consigli. Gli chiedevo di non allontanarsi da me, specialmente quando uscivo as-sieme a lui per cercare le bacche nel bosco e ri-portarle alle sue sorelline per il pranzo, ma lui o si fermava a scaldarsi al sole o ad osservare le rane del fi ume che gracchiavano tra loro facendo tanto ru-more da coprire e confondere anche i miei richia-mi. Così, un brutto giorno, mentre lui se ne stava

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fermo sul ciglio della strada, un pescatore avviò il motore del suo fuoristrada e, risalendo la scarpata, lo urtò sul musetto, aprendogli una ferita dalla qua-le usciva tanto sangue. Furono inutili le cure che gli praticammo. Dopo un paio d’ore, anche per il sangue che aveva perduto, morì, lasciando me, suo padre e le due sorelline tra le lacrime. So che tu co-nosci Sco Iattolina, che è la più piccina della fami-glia. Ma sia lei sia la sorellina maggiore, che segue sempre suo padre nella boscaglia più fi tta e che per questo adesso non vedi con me, sentiamo un gran vuoto. Ci manca moltissimo questo fi glio. Anzi, se mi ci fai pensare mi viene da piangere.

«Signora – aggiunse allora Sco Iattolino – non voglio che pianga. Lei è troppo bella, con i capelli neri che le coprono il volto, con quella bocca dol-cissima che lascia trasparire dei denti bianchissimi,

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con quel corpo che la fa sembrare una statua in car-ne e ossa, addirittura a me pare la Madonna, quella che io prego ogni giorno… Non può, Signora, di-struggere così, per quanto sia intenso il dolore che sente, la sua immagine pura e delicata».

«Sei molto gentile – rispose la donna. Ma le tue belle parole non placano il mio dolore, né attenua-no la mia tristezza».

«Io, Signora, sono solo. Cercavo Sco Iattolina per avere almeno una compagna di giochi. Ma se lei vuole io sarei felice di prendere il posto di suo fi -glio e colmare così il vuoto che le ha lasciato. Non chiedo nulla. Voglio soltanto volerle bene. E sarò felice se anche lei me ne vorrà. Sua fi glia Sco Iat-tolina, peraltro, sarà felice di avermi vicino. Io sarò altrettanto felice di aiutare la vostra famiglia a rac-

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cogliere le bacche così da averne tante e servircene anche per il prossimo inverno».

La Signora Sco Iattolona, il cui cognome era uguale a quello di Sco Iattolino, perché apparte-nente alla stessa specie, non ci pensò due volte: al-largò le zampe anteriori come in un abbraccio per accogliere Sco Iattolino che si precipitò felice tra le sue zampe. Si abbracciarono forte forte e poi, dopo essersi scambiati un sorriso che la diceva lunga sul-la lealtà dei loro sentimenti, uno dietro l’altra ri-presero la via del bosco, saltellando davanti ad ogni ostacolo e ogni tanto arrampicandosi sui tronchi, fi nché non giunsero nella nuova grande casa dove viveva l’intera famiglia.

Il sole era tornato a battere con insistenza sulla casa di Sco Iattolona, tanto che si rese inutile ac-cendere il fuoco per scaldarsi. Per mangiare gli Sco

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Iattoli si nutrirono di bacche fresche appena rac-colte che, ovviamente, non hanno bisogno di essere cotte.

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