Download - atti del convegno Nocera Inferiore 15apr2011

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S e z i o n e d i S a l e r n o

ISTITUTO NAZIONALE DI BIOARCHITETTURA®CAMPANIA – SEZIONE DI SALERNO

Via F. Solimena, 93 – 84014 Nocera Inferiore (SA) www.bioarchitettura.it – [email protected] - [email protected]

Ringraziamenti:Si ringraziano gli Enti Pubblici, gli Ordini di categoria e le Associazioni che attraverso il loro patrocinio hanno dato lustro alla manifestazione, i Partner e tutte le persone che hanno sostenuto l’iniziativa contribuendo alla perfetta riuscita della stessa. Un particolare ringraziamento ai relatori e al comitato scientifico che hanno reso possibile questo tavolo di confronto.Un grazie a tutti i partecipanti che ci hanno onorato con la loro presenza.

Comitato Scientifico:arch. Basilio De Martino, prof.ssa Dora Francese, ing. Gennaro Miccio, arch. Sergio Vitolo

Promotore dell’evento:arch. Basilio De Martino INBAR (Istituto Nazionale Bioarchitettura) Sez. Salerno - Delegato Area Nord Prov. Salerno Consigliere Nazionale FEDERARCHITETTI

Segreteria Organizzativa:arch. Imma Ugolino Sara Di Martino Fernanda Della Mura

Con il Patrocinio di:

Partner:

B. De Martino, Introduzione ai lavori del convegno

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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Introduzione ai lavori del convegno:

CENTRI STORICI. RIQUALIFICAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE (Nocera Inferiore, 15-04-11)

Basilio De Martino1

Introdurre i lavori di questo convegno è per me un onore, ma è soprattutto un

punto di arrivo e, al tempo stesso, un punto di partenza.

E’ il punto di arrivo di una peregrinazione esistenziale che, muovendo i primi

passi nella professione di architetto, mi ha portato a vivere e lavorare per un

decennio a Bolzano, Milano e Roma, senza mai distogliere lo sguardo dalla

mia città natale, e oggi proprio ad essa offrire l’impegno intellettuale di una

riflessione disciplinare sui problemi del vivere urbano.

Proprio questo mio peregrinare per l’Italia mi ha portato ad affrontare il tema

del progettare urbano con diverse scuole di pensiero, dall’architettura

partecipata con l’arch. Ugo Sasso2, a quella delle archistar con il gruppo

degli arch. Jean Pierre Buffì, Anna Giorgi ed altri.

Esperienza professionale significativa, inoltre, è stata anche quella presso la

Soprintendenza per i Beni e Attività Culturali della Provincia Autonoma di

Bolzano, durante la quale ho avuto modo di apprezzare importanti interventi

sul patrimonio edilizio esistente, nei quali la multidisciplinarità delle tematiche

affrontate, dalla tutela delle peculiarità architettoniche, all’aspetto socio-

1 Delegato Area Nord dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura (INBAR) Salerno e Consigliere Nazionale Federarchitetti 2 (Asmara, Eritrea - 13 gennaio 1947 – Isla Margarita, Venezuela 9 gennaio 2009) Fondatore dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura

B. De Martino, Introduzione ai lavori del convegno

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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economico, insieme con l’utilizzo delle tecniche ecosostenibili, è stato

fondamentale per il rilancio di numerosi ambienti urbani.

Come dicevo è anche il punto di partenza di una nuova trama di intenti,

esperienze, proposte che, con determinazione e umiltà, intendo tessere

intorno al nostro territorio ed alle sue problematiche grazie agli avanzamenti

delle conoscenze che convegni come quello di oggi ci offrono e grazie al

sempre maggiore coinvolgimento delle cittadinanze. Tanto più che nutro il

segreto auspicio di conferire all’evento di oggi il carattere periodico di incontro

interdisciplinare per continuare a discutere dei temi della città

contemporanea, del suo passato e del suo futuro, e, chissà, per costituire un

tavolo di elaborazione condivisa, un laboratorio di analisi e proposte aperto a

tutti.

Infatti, l’appuntamento di oggi è il primo di una serie di iniziative che l’INBAR

ha in programma sul territorio, collaborando in maniera sinergica con gli

Ordini Professionali di settore presenti sul territorio.

E’ noto che intervenire nei tessuti storici delle città del Sud, spesso di

stratificazione plurimillenaria, è particolarmente difficile.

A Napoli la città greca e la città romana corrispondono esattamente alla parte

più degradata del tessuto storico della città. A Salerno, sopra gli insediamenti

di Età romana e bizantina, la città “rifondata” nell’Ottavo secolo d.C. dal

principe longobardo Arechi II giace a molti metri di profondità tra il rilievo del

Plaium Montis e la costa. Eppure mentre in queste realtà, luogo di diverse

B. De Martino, Introduzione ai lavori del convegno

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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forme di disagio sociale, ci si scontra con le contrastanti necessità di contesti

popolosi e ancora dotati di un superstite tessuto microcommerciale, in molte

altre parti della Campania il territorio si è andato costellando di decine e

decine di paesi e cittadine definitivamente abbandonati a causa di eventi

traumatici, di pericolosi assetti idrogeologici, o semplicemente di errati

interventi urbanistici. E’ il caso, per esempio, di Apice, di Romagnano al

Monte, di Roscigno Vecchia, di Bisaccia3. Una perpetuazione del tema dei

Villages desértés tanto caro a storici e urbanisti francesi, ma anche una

grande risorsa di cui ci si potrebbe avvalere per una nuova progettualità sulla

sostenibilità ambientale degli interventi di restauro o come testimoni di

tecniche costruttive desuete da tesaurizzare in una più attuale prospettiva di

riduzione degli impatti, come ad esempio per la ricostruzione di Onna4 in

Abruzzo ad opera della dott.ssa Wittfrida Mitterer5.

Proprio il partire dall’antico per immaginare il nuovo mi fa, spesso, ripensare

al peculiare percorso intellettuale di figure del panorama internazionale

dell’ultimo dopoguerra come Roberto Pane. In particolare alla estrema

attualità di molte delle battaglie del Pane polemista e urbanista: l’aspra lotta

contro la speculazione edilizia a Napoli e contro il sindaco Lauro, lo sforzo di

inserire in tutti i documenti ufficiali i principi della “conservazione integrata”,

cioè conservazione delle preesistenze storiche, ma anche del loro contesto.

3 Nei giorni 8-10 settembre 2011 l’AISU Associazione Italiana di Storia Urbana, ha programmato a Roma il suo V Congresso sul tema Fuori dall’ordinario: la città di fronte a catastrofi ed eventi eccezionali 4 Cittadina dell’aquilano colpita dal sisma del 6 aprile 20095 Università di Innsbruck e Lumsa di Roma

B. De Martino, Introduzione ai lavori del convegno

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Se Pane, insieme a Piero Gazzola, non avesse promosso nel 1964 la Carta

del Restauro di Venezia, non sarebbero state possibili tante felici esperienze

di coesistenza di antico e nuovo nei Centri Storici italiani; non sarebbe stata

possibile la parabola espressiva di una figura del calibro di Carlo Scarpa !

Non so come avrebbe reagito Roberto Pane agli scempi che all’alba del 2011

si stanno perpetuando sul territorio nocerino, purtroppo in un contesto sociale

dove l’unico elemento che conta è il “cemento” e nel quale sembra difficile

invertire la rotta. Però in questo contesto è proprio l’amore per la mia terra e

la ricerca per il rilancio concreto e reale dei quartieri storici che mi hanno

spinto ad organizzare questo tavolo di lavoro.

I centri storici di Nocera, in quanto non vi è un unico aggregato urbano, sono

stati più volte sfigurati nella loro essenza con una cementificazione selvaggia,

incurante dello skyline della città e della tutela ambientale di numerosi

monumenti della stessa. Ancor oggi assistiamo impotenti alle negligenze di

alcuni amministratori sui vincoli ambientali, insensibili alla tutela del territorio

e che hanno lasciato che questo venisse nuovamente offeso con la

costruzione di un edificio attiguo e sovrastante l’edificio di epoca Borbonica

della Caserma Tofano.

L’utilizzo dell’antica vocazione delle corti dei palazzi come luogo naturale di

aggregazione, la delocalizzazione dei parcheggi, l’incentivazione di attività

commerciali e artigianali che puntino al rilancio delle produzioni tradizionali di

eccellenza, il recupero degli spazi e contenitori architettonici per attività

B. De Martino, Introduzione ai lavori del convegno

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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culturali e non ultimo il ritorno dell’arte dei giardini per un verde veramente

vivibile, possono diventare le basi per un progetto strategico a medio termine

per il rilancio di Nocera. Facendo si che quello che attualmente si sta

perpetuando come decontestualizzazione urbana – fenomeno nel quale il

nuovo centro commerciale prende il posto della strada porticata di tante

nostre cittadine – diventi un mero ricordo.

Credo che dovremmo reinterpretare in chiave moderna le peculiarità

commerciali del nostro patrimonio architettonico esistente, rivisitando

attraverso una attento recupero sostenibile le strutture esistenti.

I relatori chiamati a parlare in questo convegno – che qui ringrazio ancora

una volta – rappresentano, nei rispettivi ambiti disciplinari e operativi, un

quadro di approcci metodologici coerente e al tempo stesso alquanto

variegato per scala di osservazione dei fenomeni e finalizzazione delle

proposte. E’ stato sin dall’inizio dell’organizzazione del convegno mio preciso

intendimento garantire questo sostrato multidisciplinare ai temi da dibattere,

perché sono convinto che nel futuro degli studi sulla città, da una parte, ci

sarà sempre più bisogno di molteplici competenze e, dall’altra, di un forte

dispositivo di partecipazione per ricomporre studi, analisi ed indirizzi in un

quadro di unione chiaro e di reale applicabilità urbanistica.

M. Ricci, Contestualizzazione territoriale e ambientale dei centri storici. Processi di valorizzazione culturale  

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 201)

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Contestualizzazione territoriale e ambientale dei centri storici.

Processi di valorizzazione culturale

Manuela Ricci1

Negli anni più recenti, la rigenerazione dei centri storici, specie nelle pratiche e nelle

esperienze dei piccoli comuni, viene spesso connessa, se non addirittura incardinata, sulla

valorizzazione delle risorse culturali, risorse che non si esauriscono all’attenzione rivolta

ai centri storici veri e propri – ai quali spesso ci si riferisce col nome di “borghi” – ma che

si estendono anche alla scala vasta dei territori.

In tal senso, nei processi di rigenerazione, il termine “cultura” viene ad assumere un

significato particolare: non è la cultura che, in senso stretto, nasce e si sviluppa intorno al

patrimonio storico di natura fisica (alle diverse scale di importanza del monumento), ma

una cultura più ampia che investe, oltre a quelle del patrimonio fisico, le risorse

“immateriali”2, legate alle tradizioni e alle identità dei luoghi, e a quelle paesaggistiche.

Due importanti autori, già nel passato, hanno chiaramente mostrato la necessità di questo

ampliamento di scala della valorizzazione culturale.

R. Debray “L’abus monumental” rischia di far perdere il senso dell’eredità culturale

(1999)

B. Latariajet “L’aménagement culturel du territoire”: non si può promuovere il

patrimonio e i prodotti culturali qui s’y attachent isolandoli dal loro contesto,

perché questo tipo di promozione non interessa che una piccola percentuale degli

utenti potenziali (1992).

Sempre più, oggi, si cercano le radici per lo sviluppo dei centri storici nel loro territorio,

anche al fine di massimizzare il valore economico dei beni unici e non replicabili per

trasferirlo sui beni replicabili (esemplificativi in proposito sono quei marchi territoriali, ad

es. il Chianti o la Val d’Orcia , che attraverso il valore del patrimonio storico/territoriale

veicolano la qualità dei prodotti, come il vino).

Sempre più, dunque, prende piede il concetto di cultura legata al territorio, e i concetti

francesi di territoires cultivés, e in particolare di terroir (riferito in particolare al territorio

agricolo produttivo), sembrano particolarmente appropriati per indicare la cultura dei luoghi

attanagliata proprio al territorio.

                                                            1 Professore ordinario di Urbanistica, Direttore del Centro di ricerca FOCUS, Sapienza, Università di Roma, per la “Valorizzazione e gestione dei centri storici minori e relativi ambiti paesaggistico-ambientali”. 2 Con la legge n. 167 del 27 settembre 2007, l’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Unesco che tutela il “patrimonio immateriale”, già adottata dall’organismo dell’Onu nella seduta di Parigi del 17 ottobre 2003.

M. Ricci, Contestualizzazione territoriale e ambientale dei centri storici. Processi di valorizzazione culturale  

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Il terroir è uno spazio geografico delimitato dove una comunità umana ha costruito,

nel corso della storia, un sapere intellettuale collettivo di produzione, fondato su un

sistema di interazioni in un milieu fisico e biologico e su un insieme di fattori umani

nel quale gli itinerari socio-tecnici messi in gioco mostrano originalità, generano

tipicità.

L’importanza del territorio postula una necessità, quella di riferirsi nei processi di

rigenerazione a una scala vasta, che non sia né l’ambito confinato delle cosiddette “zone

A” (centro storico), codificato dalle norme urbanistiche, né il perimetro comunale, ma

piuttosto la scala dell’intercomunalità che trascina con sé la rilevanza dell’ambiente, dei

nuclei rurali storici e del paesaggio.

Connettere e integrare dunque la componente più propriamente storico-edilizia con quella

territoriale, ambientale e paesaggistica diventa centrale per l’avvio dei processi di

rigenerazione dei piccoli comuni, là dove questi hanno anche l’effetto (spesso indiretto,

non esplicitamente programmato) di “presidiare” l’ambiente. Non si dimentichi ,infatti, che

se, in Italia, la popolazione dei piccoli centri storici3 (entro i 10.000 abitanti, sono circa

6.500, l’80,3% dei comuni) assomma a poco più del 31% del totale, la loro superficie

arriva a coprire ben il 68% del territorio nazionale. Ciò significa che interventi di

rigenerazione dei territori storici a livello intercomunale contribuiscono a preservare e

difendere l’ambiente, anche soltanto consentendo alla presenza umana di “resistere” e,

ove possibile, di svilupparsi.

Di seguito si propone una riflessione su due strumenti d’intervento interessanti e

innovativi recentemente lanciati in Italia e in Francia, anche a scale diverse.

Il primo riguarda la scala vasta, con la promozione, da parte della Regione Puglia, di un

vero e proprio strumento operativo per la valorizzazione di Sistemi Ambientali Culturali

(SAC); si aggancia quindi a tutta la problematica sopra descritta. Il secondo si riferisce alle

variazioni apportate dalla cosiddetta legge Grenelle 24 , del 12/7/2010, alla ZPPAUP,

zones de protection du patrimoine architectural, urbain et paysager, che la legge trasforma

in AMVAP,aire de mise en valeur de l'architecture et du patrimoine.

I SAC spingono su percorsi strategici integrati, nei quali la Regione Puglia ravvisa

l’unica strada possibile per valorizzare il patrimonio ambientale e culturale al fine di

raggiungere anche vantaggi competitivi sul mercato internazionale, creando sviluppo

economico. L’azione integrata di salvaguardia e valorizzazione comporta l’abbandono

                                                            3 Comuni con almeno 20 edifici ad uso abitativo realizzati prima del 1919. 4 La legge, detta Grenelle 1, è stata promulgata il 3 agosto 2009. Composta di 57 articoli, riguarda misure relative ai settori dell’energia e delle costruzioni, dei trasporti, della biodiversità e dei contesti naturali, della governance e dei rischi per l’ambiente e la salute. La legge Grenelle 2, Engagement national pour l’environnement, che è stata promulgata il 13 luglio 2010, riguarda l’attuazione di una parte della Grenelle 1.

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di una visione di tradizione del patrimonio culturale, incidendo sulla capacità dei

territori di attrarre flussi di risorse — umane, produttive, finanziarie, tecnologiche,

artistiche — fondamentali per lo sviluppo territoriale.

L’ AMVAP si pone l’obiettivo di valorizzare il patrimonio costruito e gli spazi nel rispetto di

quello che i francesi chiamano sviluppo durable (sostenibile). Tale dispositivo, di natura

urbanistica, la cui scala di riferimento è variabile, si pone l’obiettivo di coniugare due temi

importanti di questo convegno, la riqualificazione/valorizzazione e l’ambiente.

1. I Sistemi Ambientali Culturali della Puglia

La Regione Puglia (Area Politiche per la Promozione del Territorio, dei Saperi e dei

Talenti ) ha avviato la costituzione dei Sistemi Ambientali e Culturali (SAC) del territorio

pugliese. La creazione di Sistemi integrati a livello territoriale, in cui strutturare un’offerta

qualificata per la fruizione sostenibile del patrimonio basata sul trinomio Ambiente,

Cultura e Turismo, è stata prevista dal Programma Pluriennale dell’Asse IV

(Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività e lo sviluppo) 5 .

L’avvio dei SAC segna il passaggio fondamentale dagli interventi di tutela e conservazione

alle attività, su scala locale, di valorizzazione integrata e gestione comune degli elementi

ambientali e culturali territoriali. Si passa, dunque, dalla pianificazione e gestione delle

singole “emergenze” a una gestione aggregata sia da un punto di vista dei servizi che

delle attività. In tale contesto, le risorse vengono messe in rete, integrate e valorizzate,

attraverso un programma di interventi, per promuovere l’attrattività, lo sviluppo economico,

la cooperazione fra istituzioni e l’iniziativa delle imprese. I Sistemi sono caratterizzati da

una idea forza originale e sostenibile di sviluppo e attrattività territoriale e da un progetto di

valorizzazione e gestione integrata. Sono riferiti ad aree sovracomunali e vengono

proposti da partenariati territoriali, che comprendono Enti Locali anche in forma associata,

Enti Parco, organismi di diritto pubblico, associazioni ed enti di promozione sociale,

culturale e turistica, Enti ecclesiastici, Fondazioni, rappresentanze imprenditoriali, altri enti

ed istituzioni. Le coalizioni territoriali esprimono dei soggetti capofila che svolgono funzioni

di coordinamento, di animazione del partenariato, di informazione e comunicazione.

I SAC vengono definiti attraverso una procedura negoziale tra Regione e territori

proponenti, che dovranno dimostrare di possedere requisiti in termini di significatività dei

                                                            5 Le caratteristiche dei SAC sono state definite, successivamente da due documenti, Comunicazione alla Giunta dell’ 11/01/2010 “Processo di concertazione plurifondo per una strategia integrata delle risorse culturali, ambientali e del turismo” e Nota metodologica curata dalla Direzione dell’Area. Con la delibera di Giunta n. 332 del 10/02/2010 “(..) Integrazione e attuazione strategie PPA. Asse IV (SAC) e Piani Integrati Plurifondo (PIP) la Direzione D’area ha avuto mandato a coordinare e porre in essere tutte le iniziative ed attività finalizzate all’attuazione dei SAC.

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beni da valorizzare, progettualità qualificata, articolazione della compagine partenariale,

capacità organizzativa e di gestione.

I territori di applicazioni sono costituiti da 10 aree vaste: vision 2020 (area Nord barese-

Ofantino), Valle d’Itria, Brindisi, Monti Dauni, Capitanata 2020, Taranto, la città murgiana,

basso salento, Lecce, Metropoli terra di Bari6.

I tavoli negoziali devono giungere alla condivisione del progetto di costituzione del SAC e,

in tempi brevi, alla definizione di progetti di integrazione e valorizzazione delle risorse

individuate, a valere sull’Azione 4.2.2 del PPA Asse IV7. I SAC dovranno dotarsi di Piani

di Gestione, che verranno realizzati, con la regia della Regione e sulla base di una

metodologia unitaria, da centri di particolare esperienza e competenza scientifica sul tema.

L’esecuzione dei Piani di Gestione dei SAC nei territori interessati sarà monitorata e

accompagnata dalla Regione, con l’obiettivo di ottenere effetti importanti in termini di

sostenibilità, attrattività e sviluppo territoriale8.

2. Le aree di valorizzazione dell’architettura e del patrimonio

L' aire de mise en valeur de l'architecture et du patri moine (AMVAP) è un dispositivo che

va a sostituire la ZPPAUP9, zones de protection du patrimoine architectural, urbain et

paysager , ai sensi della cosiddetta legge Grenelle 2 del 12/7/2010, mantenendone

inalterate alcune caratteristiche

Caratteristiche comuni della ZPPAUP e della AMVAP. Questa procedura si adatta

a tutti i tipi di luoghi (costruiti o naturali, grandi o piccoli, comunali o intercomunali) purché

siano dotati di un’identità patrimoniale. Può essere attivata sia nei centri storici che nei

quartieri della ricostruzione o degli spazi rurali, permettendo di preservare l’atmosfera

particolare dei luoghi e mettendo l’accento su alcune configurazioni generali. Consente di

cogliere nella loro diversità gli elementi del patrimonio collettivo locale: una serie di

facciate omogenee, la trama di un paesaggio, un insieme di carattere monumentale.

Caratteristiche della AMVAP Il dispositivo si pone l’obiettivo di promuovere la

valorizzazione del patrimonio costruito e degli spazi nel rispetto dello sviluppo durable. Il

suo oggetto è più “esteso” di quello della precedenti ZPPAUP. Il regolamento ne norma:

                                                            6 Il Programma Operativo FESR, ha individuato tra gli Organismi Intermedi le amministrazioni capofila delle dieci aree vaste in cui è stato articolato il territorio regionale a seguito di uno specifico avviso pubblico di procedura negoziale per interventi di pianificazione e progettazione innovativa di Area Vasta, di cui alla D.G.R. n. 262/2005. Al fine di garantire il più efficace raccordo e capacità di intervento dei territori di Area Vasta. 7 “Azioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale in grado di mobilitare significativi flussi di visitatori e turisti di cui sia valutata la domanda potenziale, anche ai fini di destagionalizzazione dei flussi di visita, dell’allungamento della stagione e di una maggiore attrazione di differenti segmenti di domanda”. 8 P.Montalbano e F. Palumbo , Asse del POR FESR Puglia, Nota metodologica per la definizione della procedura di integrazione attività territoriale e l’implementazione di sistemi ambientali e culturali regionali. 9 E’ un dispositivo creato dalla loi de décentralisation del 7 gennaio 1983, il cui campo d’interesse è stato esteso dalla loi « paysages » dell’8 gennaio 19932, e che costituisce, dopo il 24 febbraio 2004, l’articolo L642 del Code du patrimoine.

M. Ricci, Contestualizzazione territoriale e ambientale dei centri storici. Processi di valorizzazione culturale  

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- la qualità architettonica delle costruzioni così come la conservazione o la messa in

valore del patrimonio costruito e degli spazi naturali o urbani ;

- l’integrazione architettonica delle costruzioni e l’inserimento paesaggistico delle

costruzioni, opere o lavori che riguardano sia la gestione delle energie rinnovabili o le

economie di energia , sia la presa in conto degli obiettivi di environnement.

Questo dispositivo ha valore di servitù di utilità pubblica e viene elaborato dall’autorità

competente in materia di Plan locale d’urbanisme.

Confronto tra ZPPAUP e AMVAP. Le differenze sostanziali tra le due zone sono

riassumibili nello schema che segue

ZPPAUP AMVAP

Ha per oggetto la protezione dell’environnement dei monumenti storici e dei quartieri, dei siti e degli spazi da proteggere o da mettere in valore per motivi di ordine estetico, storico o culturale

Ha per oggetto la messa in valore del patrimonio costruito e degli spazi nel rispetto dello sviluppo sostenibile al fine di garantire la qualità architettonica delle costruzioni esistenti connessa alla gestione degli spazi

Rapporto di presentazione con obiettivi e poste

Rapporto di presentazione con obiettivi e poste, cui si aggiunge la diagnostica dell’architettura, del patrimonio e dell’ambientamento basata sul PADD10 del PLU

Quaderno di descrizioni e di raccomandazioni

Regolamento con prescrizioni, rispetto alla ZPPAUP in più: integrazione architettonica, inserimento paesaggistico delle costruzioni opere o lavori che riguardano sia la gestione delle energie rinnovabili o le economie di energia , sia la presa in conto degli obiettivi di environnement

Procedura di elaborazione Procedura di elaborazione rispetto alla ZPPAUP in più: costruzione del documento nel contesto di concertazione; monitoraggio della costruzione e della messa in opera delle regole all’applicabili alla AMVAP da parte di un tavolo di consultazione formato dagli enti locali

                                                            10 Il PLU è il Piano urbanistico locale (che può essere elaborato anche a livello intercomunale); il PADD (Projet d'Aménagement et de Développement Durable) è uno degli elementi costitutivo del Dossier del PLU.

D. Francese, Architettura sostenibile nei centri storici �

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Atti del Convegno Centri Storici.Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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Architettura sostenibile nei centri storici (Abstract)

Dora Francese1

Le azioni e gli interventi sul territorio e sull’architettura richiedono l’adeguata

considerazione delle differenze regionali; nella trasformazione del territorio è perciò

auspicabile porre altrettanta attenzione a quegli episodi unici e irripetibili che identificano

sia le regioni ambientali definite dagli elementi biotici e abiotici, sia quelle aree

artificialmente organizzate dall’uomo. Infatti la ricchezza della cultura dei popoli occidentali

risiede proprio nella consapevolezza delle diversità, e questa ricchezza « […] ha un senso

se ci serve per rendere partecipi le persone con appartenenze diverse incoraggiandole a

fruirne dandoci in cambio la loro esperienza, mettendo in comune il loro deposito

conoscitivo, etico, culturale»2. Senza i valori del dubbio, del dissenso, della diversità, i

popoli occidentali si sentono persi, spaesati.

Sia l’architettura ex novo come anche il rinnovo di interi quartieri, e soprattutto la

riqualificazione di importanti centri storici come quelli minori dell’Italia, deve attuare i

principi dello sviluppo sostenibile, già sintetizzati chiaramente da Hermann Daly (uno dei

padri dell’Ecological Economics), e cioè che:

1. le risorse rinnovabili devono essere consumate ad una velocità tale da permettere alla

natura di ripristinarle (principio del rendimento sostenibile);

2. che la produzione di beni non deve produrre scarti, rifiuti e inquinanti che non possano

essere assorbiti dal sistema in tempi ragionevolmente brevi; non ci devono essere effetti di

accumulo (principio della capacità di assorbimento).

La gestione del territorio andrebbe dunque rivisitata alla luce di questo nuovo modo

dell’agire umano, così che siano preferite le operazioni di recupero e riqualificazione

dell’esistente ogni volta che sia possibile, e al contempo garantire la conservazione

dell’identità artistica, storica e soprattutto di cultura materiale del tessuto edilizio diffuso.

Come sappiamo la vera protagonista della costruzione del Mezzogiorno è senz’altro

la pietra calcarea o vulcanica – a seconda delle disponibilità della zona – e infatti le

architetture in tufo o in dolomia delle nostre zone si configurano come le più

rappresentative del paesaggio meridionale, insieme ad un numero elevato di tecnologie e

di scelte strutturali uniformi3.

������������������������������������������������������������1 Università degli studi di Napoli Federico II2 Eugenio Scalfari, Perché l’Occidente non fa le crociate, «La Repubblica», 30 settembre 2001, p. 16 3 Cfr. D. Francese, Il benessere negli interventi di recupero edilizio, Padova 2002, p. 19

D. Francese, Architettura sostenibile nei centri storici �

��

Atti del Convegno Centri Storici.Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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La novità che emerge dai progetti di riqualificazione sostenibile dei centri storici è in

genere costituita dalla dimostrazione di come sia possibile migliorare la qualità

progettuale, ambientale, architettonica e sociale dell’edilizia a costi del tutto paragonabili a

quelli dell’edilizia tradizionale, garantendo anzi un consistente risparmio economico

durante la fase di utilizzo e di gestione4

������������������������������������������������������������4 C. Filagrossi, Social Housing sostenibile: esperienze in mostra, in L. Buoninconti, D. Francese, L’architettura sostenibile e le politiche dell’alloggio sociale, Milano 2010, pp. 23-29

C. Cirelli, E. Nicosia, Il Centro Storico, Centro Commerciale Naturale

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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Il Centro Storico, Centro Commerciale Naturale1

Caterina Cirelli2, Enrico Nicosia3

1. Introduzione La città postmoderna avverte sempre più la necessità di cercare nuove politiche per lo

sviluppo e la rigenerazione urbana. Le risposte più significative ci vengono date da quelle

città aperte a nuove sfide e a nuove idee, mosse dalla creatività, e dall’innovazione, nelle

quali, nuove classi sociali emergenti e produzione immateriale si sono associate alle

attuali esperienze di governance proiettate verso nuove forme di progettazione e gestione

dello sviluppo. La post-modernizzazione è un fenomeno così complesso che coinvolge

ogni aspetto della vita individuale e sociale, tanto da richiedere continui adeguamenti del

territorio e nuovi modelli di organizzazione economica e spaziale. Nell’ambito di tali

mutazioni del contesto territoriale anche la città è pervasa da un nuovo clima culturale e i

recenti cambiamenti hanno dato origine ad una trasformazione dell’assetto urbano e ad

un’evoluzione della spazialità. Quindi la città contemporanea, nei suoi recenti modelli

evolutivi, a causa dell’enorme accelerazione dei fattori di mobilità, che coinvolge tutti gli

elementi che compongono la realtà urbana, non può più essere pensata come un oggetto

spaziale definito che s’identifica in contrapposizione con altri spazi che rappresentano il

suo contrario, ma come un’entità in continua ed imprevedibile evoluzione che sfugge ad

ogni tentativo di delimitazione dei suoi confini e caratteri permanenti. Essa non è più il

luogo centrale, differenziato dal resto del territorio, le cui funzioni mirano alla produzione di

beni e servizi per il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini; si afferma un nuovo concetto

urbano in cui la città, pur mantenendo un ruolo strategico, abbandona lo zoning funzionale

ed adotta nuovi modelli d’uso del territorio e nuove centralità (Finocchiaro, 1999; Miani,

2001). Nuovi elementi hanno avviato il modellamento della città postmoderna dando così

vita ad uno scenario urbano che si configura nella città storica e nella città estesa non in

contrapposizione ma come diversa dimensione di una unica realtà territoriale (Potenza,

1997). I rapidi e profondi cambiamenti che hanno portato la diffusione dei caratteri urbani

in tutto il territorio, hanno affievolito i significati collegati alla polis ed eliminato i tradizionali

riferimenti alla città come luogo evocatore d’identità forti. Un processo che è stato favorito

dal diffondersi della mobilità, sia collettiva sia individuale, che ha attribuito una diversa

valenza all’accessibilità. Bisogna allontanarsi, quindi, dalla concezione che definisce la

città come una struttura unitaria e permanente, per orientare l’attenzione verso le pratiche

urbane in tutta la loro gamma, da quelle della vita quotidiana alle attività economiche, a

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quelle culturali e politiche, cioè verso quelle forme organizzative che grazie alle loro

complesse geografie spazio temporali, ai loro intrecci, alla loro continua dinamica, ma

anche, alla quotidiana routine rendono possibile il funzionamento ordinario della città e ci

permettono di riconoscerla come un luogo peculiare (Corna Pellegrini, 2004; Amin e Thirft,

2005). L’adattamento alle nuove esigenze comporta complessi modelli di gestione ed

interventi d’adeguamento e riuso in cui la città piuttosto che espandersi si trasforma. Una

trasformazione che tende al miglioramento della qualità della vita, attraverso politiche

urbane capaci di apportare valore aggiunto alla città, mirate ad un cambiamento sia

estetico e funzionale, sia sociale. Un complesso processo di riqualificazione che deve

coinvolgere le aree centrali, che pur mantenendo la loro vocazione di spazio catalizzatore

cederanno parte delle loro funzioni ai “nuovi centri”, per attirarne altre, prevalentemente

culturali, ricreative e residenziali, come le tante periferie che, a causa della dispersione

territoriale, hanno dato vita ad una forma urbana dilatata con scarsa capacità attrattiva.

Attraverso opportune strategie di riqualificazione, volte a ricostruire il significato che

l’immaginario collettivo attribuisce ai luoghi, si potrà ottenere il recupero compatto della

città e raggiungere l’ambizioso traguardo di una nuova forma urbana in cui i soggetti

potranno riattribuire identità agli spazi della vita quotidiana (Trono, 1996; Cirelli,

Mercatanti, Porto, 2002). Nella pianificazione urbana si afferma una linea strategica che

s’ispira all’idea di una città che sia un grande luogo d’incontro nel quale si confluisce tanto

per socializzare e scambiare conoscenze ed esperienze culturali, anche d’avanguardia,

quanto per acquistare e vendere beni e prodotti; una città in cui il cittadino oltre alle

opportunità di lavoro e d’incontro possa avere piacere di vivere. Si viene a delineare, così,

un nuovo paesaggio animato dai luoghi del loisir e dell’entertainment; questi nuovi spazi,

spesso ideati da progetti architettonici spettacolari, sono creati per assicurare nuovi ruoli

alla città, occupano una posizione fondamentale nella rigenerazione complessiva

dell’ambiente urbano e danno vita ad una fitta rete di relazioni sociali e culturali. La città

contemporanea, pertanto, al fine di adeguarsi ai mutamenti sociali in atto, si organizza ad

ospitare le attività di consumo piuttosto che quelle di produzione e si trasforma in un

contesto diverso da quello tradizionale, diviene luogo “speciale” a volte perfino “irreale o

fantastico” (Zukin, 1996) «... in cui lo spettacolo si associa all’arte, ai musei, ma anche allo

shopping: nascono nuovi luoghi che sostituiscono le piazze e le strade, dove è possibile

incontrarsi e socializzare come all’interno dei centri commerciali, degli spazi aeroportuali,

dei parchi a tema e in tutti quegli altri ambienti più o meno artificiali, ideati da una società

in continuo divenire» (Miani, 2001, p.48).. I luoghi e i tempi degli acquisti sono cambiati, i

tanti piccoli negozi di vicinato dei beni d’uso quotidiano si sono concentrati in un unico

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supermercato e ci consentono acquisti più veloci.

2. La riqualificazione urbana e l’attrattività dell’area commerciale Le trasformazioni sociali dello spazio urbano impegnano le città per adeguare le loro

funzioni alle nuove esigenze della modernità.

Nella crescente competizione tra le realtà urbane europee, tante sono le città che si sono

poste l’obiettivo della rivitalizzazione degli spazi cittadini e del potenziamento delle funzioni

economiche e dei servizi (Cirelli, 2001). Le politiche urbanistiche più recenti si orientano

sempre più sulla razionalizzazione e sul recupero dell’esistente, piuttosto che sulla

semplice espansione fisica della città, attraverso varie azioni. Queste, partendo dalla

struttura urbana consolidata, si indirizzano non solo a ridefinire la forma della città e a

migliorarne la vivibilità, dai centri storici alle periferie, ma soprattutto a creare occasioni di

sviluppo capaci di restituire qualità, identità e opportunità di rilancio economico. Pertanto,

considerando temporaneamente conclusa la fase espansiva della città, sia per una

migliore consapevolezza ambientale, sia per un generalizzato decremento demografico,

equilibrato solo dai flussi immigratori, il normale processo evolutivo della città

postmoderna deve concentrarsi sulla rigenerazione (Baldi, 1994; Arca Petrucci e Dansero,

1995). Una rigenerazione che, coinvolgendo contemporaneamente la città fisica come

quella sociale, deve tendere ad incidere sui modelli di vita degli abitanti. Gli obiettivi

devono essere capaci di interagire tra loro, con il sistema produttivo e con l’ambiente,

intendendo quest’ultimo sia come naturale che artificiale, ma soprattutto come milieu;

inoltre, il territorio non deve essere gestito in termini vincolistici, ma inteso come una

nuova opportunità di sviluppo e di rilancio della città.

Seguendo questa logica i concetti di riqualificazione, recupero e riuso hanno assunto

un’importanza determinante e rappresentano un orientamento diffuso e di rilievo per le

amministrazioni locali, che sono alla continua ricerca di progetti per rilanciare la città.

All’interno dei complessi programmi di riqualificazione urbana, un ruolo trainante è

attribuito al commercio, non solo per le opportunità economiche e occupazionali, ma

anche perché esso acquisisce valenze sempre più rilevanti che si estendono all’immagine

e all’identità urbana, alla qualità della vita, al risanamento e alla rigenerazione sociale ed

ambientale del tessuto residenziale e degli spazi pubblici e inoltre ha forti capacità di

attrarre il turismo. Tale ruolo strategico, nell’ambito della competizione globale tra le città,

è sostenuto dall’esperienza di tanti Paesi europei, come il Regno Unito, il Belgio (v. par.

5), la Francia, la Spagna, il Portogallo e la Germania, che mostra come i risultati più

evidenti si siano ottenuti là dove i programmi hanno puntato sullo sviluppo delle attività

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commerciali e per il tempo libero. Ad esempio in Gran Bretagna, la politica commerciale è

orientata a contrastare i processi di declino dei centri urbani con operazioni finalizzate al

miglioramento del contesto fisico; in Portogallo alle attività commerciali è stato riconosciuto

un ruolo determinante nella salvaguardia della “città storica”; in Francia gli attori locali

hanno promosso la redazione di “Schémas directeurs d’urbanisation commerciale”, veri e

propri “Piani Regolatori del Commercio”, come risultato di una intensa attività di

concertazione tra pubblico e privato (Morandi, 2003).

Un altro esempio importante è dato dai lifestyle center, ossia quel polo di attrazione,

concentrazione e rappresentazione delle energie urbane delle città metropolitane, nato

negli Stati Uniti negli anni Novanta del secolo scorso. Spesso collocato vicino ai quartieri

residenziali, ha una struttura open-air e tipicamente include almeno 5.000 mq di superficie

commerciale occupata da negozi specializzati di catene nazionali di alto livello. Ha

dimensioni che oscillano fra i 14.000 e i 45.000 mq di area commerciale affittabile, ma può

essere più grande o più piccolo. Può avere anche una o più ancore di tipo convenzionale o

legate al mondo della moda. Si caratterizza per il suo ruolo di destinazione multifunzionale

dedicata al tempo libero, che prevede ristoranti, luoghi di intrattenimento, ambienti di

design ed elementi decorativi come fontane e arredamenti urbani che richiamano l’idea

della main street. Alcuni esempi li riscontriamo in Germania a Lipsia e Ratisbona, dove il

centro storico è stato riqualificato e tutelato divenendo il cuore pulsante del commercio

urbano (Monheim, 2010). Anche in Italia stanno nascendo i primi lifestyle center, come il

“Venezia Lifestyle Center” che propone formati innovativi di retail e spazi di relazione:

alterna e coniuga nelle varie fasce orarie del giorno e della notte: convenience store e

farmers market, degustazione-ristorazione, formazione, eventi, spazi commerciali di

vendita, musica e intrattenimento (Loffi Randolin, 2009).

Le peculiarità dei singoli contesti, infatti, possono fornire utili indicazioni riguardo

all’efficacia dell’integrazione tra le funzioni commerciali e quelle d’intrattenimento, della

cultura, della ristorazione, dell’accoglienza e non sempre gli interventi di riqualificazione

realizzati in alcune città possono essere applicati in altre, perché la popolazione deve

ritrovare la propria identità appropriandosi dei nuovi spazi. A tal fine occorre potenziare i

differenti percorsi di aggregazione nello spazio urbano per farne non solo un luogo di

condivisione e di svago per i suoi abitanti, ma anche una fonte di opportunità e di impulsi

innovativi per i settori produttivi locali, accogliendo flussi commerciali e turistici esterni

(Morandi, 2003).

Nelle città, sempre più, si evidenzia un nuovo paesaggio urbano in cui alla concentrazione

di servizi commerciali, di attività di intrattenimento, di svago e di attrazione turistica

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dell’area centrale si affiancano ampi spazi periferici, dove sono nate e stanno nascendo

strutture commerciali medio-grandi dotate di spazi multifunzionali, in cui si rappresentano

funzioni proprie della scala urbana.

La pianificazione urbana, pertanto, deve svolgere un duplice ruolo agendo sia sulle nuove

infrastrutture periferiche, che devono tendere all’intermodalità, sia sullo studio di soluzioni

in grado di migliorare le condizioni di appetibilità e referenzialità commerciale delle aree

centrali e dei centri storici con l’obiettivo di contrastarne l’abbandono.

Però non basta solo un’azione volta al rinnovamento urbanistico ed ambientale, attraverso

le classiche strategie di piano, che prevedono il riordino delle infrastrutture, il recupero del

patrimonio edilizio e la rifunzionalizzazione delle aree abbandonate, ma è necessario

puntare alla riqualificazione socio-economica delle città indirizzando le politiche locali

verso grandi progetti di sviluppo urbano, capaci di restituire qualità, identità ed opportunità

di rilancio economico, evitando però che gli interventi, come è avvenuto in molte capitali

europee, siano fonte di nuovi conflitti economici e sociali (Oatley, 1998; Cirelli, 2001).

È soprattutto il raggiungimento di un equilibrio sociale che costringe coloro che, a livello

locale, devono pensare alla città del futuro ad abbandonare i vecchi concetti di zoning

funzionale per orientarsi verso un recupero in termini contemporanei dei valori delle città

del passato, basati sull’integrazione delle varie funzioni urbane. Una struttura policentrica

dove un mix di funzioni (residenziali, scolastiche, commerciali, culturali e ricreative) sia a

servizio degli abitanti e degli utenti esterni. Inoltre occorre riempire i vuoti urbani, creatisi

negli anni dell’espansione a tutti i costi, ristrutturare gli edifici e rigenerare le aree

dismesse o di cui è prevista la dismissione nel prossimo futuro. Riqualificare un quartiere o

in generale una città è soprattutto valorizzare le caratteristiche positive del sito, dotare

l’area di infrastrutture e servizi, migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti, farle

acquisire in pratica quei vantaggi competitivi che, attraverso opportune politiche di

marketing territoriale e di promozione dell’immagine, possano rilanciare la posizione della

città nell’ambito dei flussi economici internazionali (Capello e Hoffman, 1998; Porto, 2002).

Si tratta di rilanciare attrattività e vantaggi localizzativi per attività industriali innovative, di

terziario avanzato e soprattutto di turismo urbano. L’efficacia delle politiche urbane è

strettamente legata alla capacità di valorizzare il territorio in tutte le sue componenti

puntando sulla qualità della vita, soddisfacendo i bisogni dei cittadini (Cirelli, 2001). Una

qualità non solo fisica ed ambientale ma anche sociale, orientata ad applicare i principi

della sostenibilità. La qualità urbana, basata su elementi forti d’identità e specificità, è

pertanto divenuta il fattore determinante di un processo di sviluppo economico stabile e

duraturo capace di coinvolgere in maniera integrata le risorse pubbliche e private. Molti

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centri urbani, in sintonia con questi nuovi orientamenti, hanno cominciato a rivolgere la

loro attenzione al concetto di place marketing destinando ingenti risorse economiche alla

creazione di una nuova immagine ed alla promozione di un ambiente particolarmente

gradevole ed in grado, quindi, di attirare cospicue quote di capitale.

Il principio ispiratore delle politiche urbane è di fatto cambiato: esso non si basa sull’offerta

di servizi ai cittadini e sulla ricerca di strategie di crescita economica e funzionale, ma su

un crescente interesse verso la capacità della città di attrarre nuovi investimenti e creare

nuova occupazione. Solo grazie a tale capacità di attrazione la città potrà assicurarsi un

futuro nell’ambito della società globale. Oggi, infatti, le città metropolitane dedicano

sempre più attenzione a coltivare in modo consapevole la propria immagine esterna come

fattore di sviluppo in un contesto di crescente internazionalizzazione. A questo scopo sono

rivolte le strategie di marketing territoriale, anche attraverso la promozione di specifiche

agenzie svincolate dai contesti politici del momento (Finocchiaro, 1999).

3. Il Centro storico, centro commerciale naturale I profondi e radicali mutamenti legati al consumo e all’offerta commerciale sono ben visibili

dentro e fuori la città. Nell’organizzazione del territorio si sono costituiti due poli d’offerta di

servizi distributivi: dentro, il polo del commercio delle aree consolidate della città, in

particolare del centro storico, dove all’offerta dei tanti negozi e botteghe a conduzione

familiare si affiancano i mercati rionali, i grandi magazzini, i nuovi punti vendita dei

numerosi franchising; fuori, il polo degli insediamenti extraurbani costituito dai centri

commerciali, supermercati ed ipermercati e gli altri servizi complementari alla grande

distribuzione.

Nonostante la formazione di questa bipolarità sia un fatto quasi naturale, in quanto

esistono diverse vocazioni commerciali delle varie componenti del territorio urbano che

vengono automaticamente rispettate dalle imprese delle diverse tipologie garantendo una

migliore efficienza del sistema distributivo e vantaggi economici per il consumatore, alcuni

di questi cambiamenti hanno avuto effetti deleteri sull’organizzazione urbana, come la

scomparsa dei negozi di quartiere al dettaglio, soffocati dalla concorrenza dei

supermercati, la desertificazione economica di parti della città e la necessità di

spostamenti in automobile per raggiungere i centri commerciali esterni.

Nell’attuale fase di trasformazione si pone la questione del ruolo che svolgeranno le

strutture commerciali più tradizionali come quelle che distinguono i centri storici.

Nonostante questi ultimi siano, al momento, investiti da notevoli pressioni che spingono

verso un cambiamento più o meno radicale, esiste la possibilità che il particolare

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“paesaggio commerciale” che li caratterizza possa affermarsi come un nuovo modello di

sviluppo capace di promuovere ancora la cultura urbana, accanto al modello

funzionalistico, attualmente in espansione, orientato agli spazi periferici (Meini e Monheim,

2002). Si consolida quindi l’idea che la presenza del piccolo commercio nel centro

cittadino sia un elemento necessario per garantirne la vitalità.

Il commercio dei centri storici dovrebbe assumere un assetto sistemico non basato sulla

quantità dei negozi ma sulle relazioni che li legano tra loro caratterizzandosi non per

omogeneità bensì per le varie complementarietà, di luogo, d’offerta, di domanda ed anche

complementarietà aziendale e tipologica, relativa cioè alla varietà delle organizzazioni

imprenditoriali e delle loro formule che possono essere presenti nelle aree centrali (non

solo negozi storici, non solo franchising, non solo piccole imprese, non solo mercati, non

solo terziario ricreativo...) (Cuomo, 2001).

Alla diffusa standardizzazione dell’offerta, sia dei singoli articoli venduti sia dell’area

commerciale nel suo complesso (uniformità delle vetrine per esposizione, diminuzione dei

negozi storici con vendita di articoli caratterizzanti, diffusione delle filiali di catene nazionali

ed internazionali e del fenomeno del franchising), occorre contrapporre la tutela dei negozi

storici e delle vie specializzate, la diversificazione delle tipologie e delle formule di vendita,

l’integrazione con le attività della cultura e dell’intrattenimento e la qualità del contesto

fisico, tutti elementi che possono creare le condizioni per competere con le strutture

periurbane ed extra urbane e contenere l’evasione degli acquisti verso le aree esterne.

Si oppongono alla dinamica negativa le aggregazioni di piccoli e medi negozi nei centri

storici, che sempre più vanno caratterizzandosi come centri commerciali naturali a forte

attrazione per il richiamo culturale ed artistico che esercitano, ma anche per l’emergere di

forme integrative fra commercio e città. Tra i soggetti che operano nei centri storici, nelle

zone ad elevata densità di esercizi commerciali, sono sorte varie forme di aggregazione

per una gestione coordinata a valorizzare le attività economiche al loro interno, a

rafforzare l’attrattività della città e ad incrementare l’animazione e la vitalità dell’area.

L’idea è quella di creare una cultura d’impresa tra le Pmi commerciali e incrementare la

loro capacità di erogare servizi aggiuntivi al cliente in modo da riconquistare il “centro” in

contrapposizione ai poli periferici e rinvigorirne la densità commerciale. Un tipo di

associazionismo che punta alla valorizzazione commerciale non come fatto settoriale, ma

da far crescere parallelamente allo sviluppo ed al rilancio del ruolo della città. L’intento è di

favorire modelli organizzativi per l’adeguamento del commercio al dettaglio di vicinato alle

moderne dinamiche del mercato al consumo. Tra le forme di cooperazione più avanzate si

possono ricordare i centri integrati, i consorzi, le associazioni di via e di centro storico, le

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gallerie urbane. I vantaggi del superamento della logica individualistica determinano

l’innesco di un processo virtuoso di sviluppo che genera, mediante l’avvio di attività

comuni (marchio, servizi, economie di scala, strategie di sviluppo locale…), una serie di

importanti benefici. La spinta alla nascita ed allo sviluppo di tali forme di gestione unitaria

deriva dalla crescita della grande distribuzione, che ha portato i commercianti a rivedere le

loro “consolidate” posizioni nell’ottica di un servizio commerciale più efficiente. Il successo

di queste formule consiste nella capacità di offrire ai clienti, mediante un’offerta

merceologica diversificata e specializzata, un livello di servizi comparabile con quelli che si

possono trovare nei moderni centri commerciali extraurbani avendo un’arma in più, quella

di godere delle risorse artistiche e culturali di cui sono ricchi molti centri urbani, cioè di un

contesto paesaggistico inimitabile. L’obiettivo deve essere quello di far funzionare i Centri

Storici come “Centri Commerciali Naturali”: veri e propri centri commerciali integrati con gli

stessi fattori di sviluppo e di attrattività, sia negli aspetti si marketing sia in quelli

infrastrutturali. La chiave di successo delle imprese sta nel non competere col “grande”

della distribuzione moderna, ma specializzarsi in ciò in cui questo è carente con offerte

non rintracciabili nelle immediate vicinanze e che rispondano a precise strategie di

carattere commerciale e con un accurato servizio di assistenza. Occorre, inoltre, creare un

ambiente attrattivo, accogliente e favorevole alla sua frequentazione curando la qualità

architettonica degli interni, delle decorazioni, dell’illuminazione e della segnaletica.

Bisogna che la piccola e media bottega, se vuole restare in vita, capisca che non può

competere in termini di costi o di assortimento con il commercio moderno, ma può godere

dell’enorme vantaggio della localizzazione in aree dove la grande distribuzione non può o

non vuole collocarsi e cioè i centri storici e i piccoli centri di provincia (Miglietta, 1998;

Rossi, 1998).

È dunque a livello locale che possono attuarsi gli opportuni interventi per uno sviluppo

equilibrato del sistema del commercio al dettaglio, come risultato dell’incontro tra istanze

locali e input globali.

Un ruolo importante dovrebbe essere svolto dalla pianificazione urbana e commerciale sia

per quanto riguarda la tutela dell’area centrale sia per il controllo delle nuove scelte

localizzative. Gli interventi delle politiche locali dovrebbero essere diretti anche a

migliorare la mobilità e le condizioni di vita urbana attraverso la riorganizzazione del

traffico e delle aree di sosta dei mezzi di trasporto privati, l’introduzione di un servizio

capillare di bus e la pedonalizzazione delle vie e delle piazze più importanti, la cura

dell’illuminazione e dell’arredo urbano, gli interventi di ripavimentazione delle piazze e

delle strade, le nuove introduzioni di opere scultoree e di arredo artistico, la

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monumentalizzazione degli spazi. Il consumatore, nell’attuale società globalizzata, è

divenuto sempre più esigente, pretende sia la qualità del prodotto sia del servizio e

richiede soprattutto un assortimento sempre più ampio, la possibilità di far diventare il

tempo destinato agli acquisti non un dovere ma un piacere. L’obiettivo dello shopping oggi

non è solo comprare, ma vivere un’emozione, partecipare ad un evento divertente.

Sempre più si è disposti a spostarsi da casa per raggiungere un punto di vendita, se oltre

all’acquisto, è possibile provare esperienze coinvolgenti. La stessa esploratività

dell’acquisto non si risolve, il più delle volte, nella ricerca delle soluzioni più convenienti ed

efficienti, ma si svolge, per il nuovo consumatore flaneur, all’insegna del gioco e del

piacere, in cui l’inerzia, la fantasia, la trasgressione, il ludico, trovano ampio spazio

(Fabris, 2003). È importante creare il prodotto “shopping” mediante mirate strategie di

marketing per promuovere “la città degli acquisti” con la creazione di circuiti commerciali in

più aree della città, rivolti sia ai visitatori sia ai turisti, in modo da coinvolgere e valorizzare

le diverse offerte commerciali dal piccolo commercio, ai mercati e alla grande

distribuzione. È utile prevedere alcune facilitazioni per gli acquirenti come i buoni per il

parcheggio, gli sconti mirati e i servizi promozionali, l’istituzione di una city card per i turisti.

Tuttavia questi incentivi non possono essere sufficienti se non si prevedono strumenti per

coinvolgere gli operatori nella elevazione della qualità degli insediamenti commerciali su

tutti i fronti possibili (habitat esterno, arredi, vetrine, insegne…). Inoltre alla rete

commerciale si possono anche affidare compiti di promozione di prodotti tipici locali di

qualità e con standard di prezzo ottimali, in modo che questi vengano associati all’area.

4. Il format Centro Commerciale Naturale1

In Italia negli ultimi vent’anni si è assistito ad uno sviluppo esponenziale della grande

distribuzione, che ha saputo cogliere le opportunità derivanti dalla riduzione del potere

d’acquisto dei consumatori e dal peggioramento progressivo delle condizioni di

1 Il progetto di Centro Commerciale Naturale, è da intendersi come un sistema a rete di piccole imprese commerciali fondato su dinamiche auto-organizzative e su relazioni di tipo prettamente orizzontale (distinguendosi, così, dal commerciale organizzato che, al contrario, è il prodotto di una regia unitaria che gestisce il sistema mediante un modello relazionale tendenzialmente gerarchico), si propone come potenziale risposta a due esigenze richiamate dal decreto Bersani, n. 114/98 . La prima fa riferimento alla necessità di favorire un recupero di efficienza economica della piccola impresa commerciale, inserendola in un coordinato quadro di azioni di sistema e permettendole così di affrontare la sfida della GDO su un piano concorrenziale di mercato. La seconda esigenza, è invece connessa con la funzione di integrazione socio-culturale che il piccolo commercio ha tradizionalmente svolto: in questo caso, il CCN, essendo il prodotto storicamente determinato e irripetibile di un particolare contesto sociale-culturale-economico, si presenta naturalmente come lo strumento ideale per valorizzare l’identità e la specificità dei luoghi, in netta contrapposizione, dunque, con le spinte tendenzialmente standardizzanti prodotte dalla GDO. E ciò dovrebbe risultare vero sia per i CCN localizzati in ambienti cittadini, dove la presenza di un denso tessuto di piccole imprese commerciali è cruciale per evitare il degrado urbanistico e sociale, sia per i CCN sviluppatisi in località tendenzialmente rurali, dove, oltre a garantirela presenza di un livello minimo di servizi, potrebbero strutturarsi come il centro di una locale rete produttiva tradizionale,facendo da volano per l’attrattività turistica (Nicosia, 2008).

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accessibilità dei centri urbani, accentuando la fase recessiva del commercio dei centri

storici (Varaldo, 1998). Inoltre si è assistito ad una progressiva riduzione del peso relativo

del commercio urbano sul commercio complessivo e alla perdita di attrattività dei centri

urbani: nei quartieri più centrali, il complesso intrecciarsi di una serie di dinamiche si è

tradotto in una riorganizzazione del commercio attraverso una specializzazione passiva

caratterizzata da un paesaggio commerciale dominato dalla diffusione delle filiali di catene

nazionali ed internazionali e del fenomeno del franchising. Ne deriva un appiattimento

dell’offerta merceologica con conseguente riduzione degli effetti sinergici prima presenti

spontaneamente nel commercio urbano (Loda, Mancini, 2004, p. 450).

Le difficoltà in cui versano i centri storici e le attività commerciali in esso presenti non sono

imputabili esclusivamente alla diffusione della grande distribuzione; piuttosto, si ha

l’impressione che “dietro a questo alibi si nasconda una difficoltà reale di comprendere,

amministrare e progettare un luogo che vive di sottili e delicati equilibri, in cui abitare e fare

acquisti, incontrarsi e lavorare sono attività fortemente integrate che sfumano l’una

nell’altra” (La Varra , 1997, p. 53).

Pertanto, al fine di consentire il rilancio della rete commerciale urbana è necessario

procedere attraverso interventi di riqualificazione e rivitalizzazione in una logica integrata

che ne valorizzi la valenza di centro commerciale naturale, in modo da costruire nuove

condizioni per la ripresa economica e sociale di queste aree (Bullado, 2000). Il concetto di

commercio moderno non equivale necessariamente a quello di impresa di grande

dimensione: è l’organizzazione manageriale che distingue un’impresa appartenente alla

distribuzione moderna dall’impresa commerciale di tipo familiare. Tuttavia, anche

quest’ultima potrebbe esprimere un forte connotato di modernità nel momento in cui

mutasse il proprio posizionamento sul mercato attraverso forme di integrazione

commerciale orizzontale, in grado di aumentare l’attrattività del polo commerciale, con un

vantaggio competitivo difficilmente imitabile rappresentato dalla location unica dei centri

storici, soprattutto di quelli italiani, capaci di offrire itinerari paesaggistici e turistici non

riproducibili in nessun altro contesto.

Il progetto di centro commerciale naturale tende a valorizzare, mediante un processo di

integrazione, il rilancio del centro cittadino con l’affermazione e lo sviluppo del piccolo

commercio attraverso la creazione di una cultura di impresa nei negozianti e l’incremento

della loro capacità di erogare sevizi aggiuntivi al cliente soprattutto con il ricorso a forme di

aggregazione con altri operatori della zona (Miglietta, 1998, p. 247).

Concepire un CCN come un’aggregazione di aziende che si organizzano attraverso un

soggetto d’impresa comune, comporta inevitabilmente una serie di conseguenze tra cui la

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necessaria struttura giuridica e, quindi, la definizione, oltre che di statuti consortili studiati

ad hoc, anche di regolamenti che rendano compatibili l’autonomia di ogni singola azienda

consorziata con l’indispensabile osservanza di regole comuni al fine di dare certezze ai

consumatori e attrattività al CCN; la necessità di una direzione manageriale molto

professionale, ma anche dotata di sensibilità; la perimetrazione del CCN. Un CCN non

dovrebbe essere un territorio indefinito. E’ questo un passaggio molto delicato, perché in

pratica si tratta di operare una selezione del territorio e delle aziende che vi insistono. Le

indagini economico-territoriali servono anche a operare sulla base di criteri oggettivi.

Anche in questo caso, non tutte le situazioni sono uguali. Talvolta può facilitare la

conformazione fisica del territorio urbano, altre volte i PRG o i PIR, ma altre volte

occorrerà operare una selezione, e fare in modo che sia sostenuta da valide motivazioni di

ordine urbanistico-commerciale. E questo non solo per spiegare perché si è scelto un

determinato perimetro, ma anche perché un errore sulla perimetrazione porterebbe a

creare una impresa-consorzio basata su aspettative irrealizzabili e presupposti sbagliati.

Il vero punto di forza del centro commerciale naturale oggi è rappresentato dal gruppo di

coordinamento che si occupa della gestione, che deve essere improntata, al pari di un

centro commerciale pianificato, a logiche unitarie come se l’insieme delle piccole imprese

commerciali costituisse una realtà unica in grado di porsi in maniera unitaria nei confronti

dell’esterno. È necessario che il singolo commerciante o operatore presente nell’area da

valorizzare abbandoni la visione unitaria della propria attività per considerarla come parte

di un contesto organizzato e finalizzato a fornire al consumatore un’offerta completa e

accattivante e iniziative di promozione e valorizzazione dell’area compresa nel centro

commerciale naturale in modo da aumentarne la capacità di attrazione (Valente, 2004, p.

897; Tosca, 2005, p. 74).

Il merchandising mix dell’area, infatti, non può essere lasciato alla casualità e alla

spontaneità ma deve essere attentamente pianificato in modo da incoraggiare

l’insediamento o la riconversione di attività complementari a quelle esistenti per soddisfare

bisogni dei consumatori non ancora del tutto appagati. Senza questa attività tendente a

comporre un mix globale di offerta atta a soddisfare le aspettative del bacino d’utenza

potenziale, l’implementazione di attività di promozione e di richiamo sarebbe inefficace

(Aguiari, 1997, p. 397).

I vantaggi del superamento della logica individualista a favore di una logica orientata alla

collaborazione determina l’innesco di un virtuoso processo di sviluppo che può permettere

il raggiungimento, mediante l’implementazione di attività comuni, di importanti benefici

(Valente, 2004, p. 897).

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Ad esempio un marchio comune potrebbe portare una maggiore efficacia commerciale,

una maggiore visibilità ed un minor costo dell’investimento promozionale; dei servizi

comuni potrebbero generare un innalzamento del livello qualitativo del servizio erogato

alla clientela, un completamento della gamma di offerta, un’integrazione logistica e delle

economie di scala nell’acquisto dei servizi; infine delle comuni strategie di sviluppo locale

potrebbero assicurare un maggior potere contrattuale nei confronti delle istituzioni,

l’attivazione di investimenti esogeni ed un processo di riqualificazione territoriale.

Il fattore critico per il successo di un centro commerciale naturale, pertanto, risiede sulla

capacità di creare un’organizzazione capace di offrire al consumatore/visitatore un livello

di servizi comparabile con quello che si può trovare nei moderni centri commerciali

pianificati con il surplus in più rispetto alla grande distribuzione, consistente nella

localizzazione unica, ricca di risorse artistiche e culturali di cui sono pieni molti centri

urbani del nostro paese (Miglietta, 1998, p. 253).

L’aggregazione spontanea di esercizi commerciali presenti in determinate aree del centro

urbano deve essere gestita come se si trattasse di un centro commerciale pianificato,

specializzandosi laddove quest’ultimo è carente offrendo merceologie non rintracciabili

nelle immediate vicinanze con un accurato servizio di assistenza e personalizzazione

assente nelle grandi polarità commerciali extra-urbane. Il negozio tradizionale non può

competere, in termini di prezzi e di assortimento, con la grande distribuzione, ma può

sfruttare i suoi punti di forza al fine di ridurre il gap competitivo esistente con le grandi

superfici di vendita e porsi sullo stesso livello di efficacia del servizio commerciale

(Miglietta, 1998, p. 253; Cirelli et alii, 2006, p. 73).

Tra questi possiamo sicuramente annoverare: la tradizione, la cortesia, l’ordine, la qualità

e ricercatezza dei prodotti, la gradevolezza del centro cittadino e la “naturalità” dei luoghi,

la personalizzazione del servizio e il supporto e consiglio nella fase di acquisto.

Attraverso l’iniziativa di CCN è possibile realizzare efficaci sinergie tra gli esercizi

commerciali localizzati nel centro storico, garantendo un surplus di attenzione, qualità e

servizio rispetto all’offerta tradizionale. In linea con tali obiettivi, in alcuni Comuni sono

state condotte specifiche riflessioni sugli ambiti di intervento per la realizzazione di centri

commerciali naturali, che in Italia, anche per ragioni climatiche, possono rappresentare

un’occasione di sviluppo dell’attività commerciale tradizionale e moderna. Alcune iniziative

pilota di attivazione di centri commerciali naturali nei centri storici hanno raggiunto risultati

positivi evidenziando le potenzialità consentite e dimostrando che, dove le scelte e gli

indirizzi di sviluppo seguono direttrici innovative di politica distributiva, i risultati possono

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Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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essere eccellenti e in grado di garantire una concorrenza qualificata (Spigarelli, 2004, pp.

762-763).

Per i centri storici è arrivato il momento di invertire il trend attivando soluzioni in grado di

rendere più vivibili e fruibili le nostre commerciali, che costituiscono dei veri è propri centri

commerciali naturali, in funzione di esigenze di aggregazione, confort e vivacità.

Il connubio tradizione - modernità si può realizzare, in linea con le tendenze emerse nei

principali paesi europei, aprendo i centri storici alla grande distribuzione ed in particolare

all’insediamento dei centri commerciali pianificati rispettosi della cultura urbanistica del

luogo, che fungano da anchor per i centri storici delle nostre città.

5. Alcuni esempi internazionali di Centri Commerciali Naturali In Europa, si sono affermati negli ultimi decenni, alcuni sistemi di gestione dei centri urbani

aventi lo scopo di valorizzare i centri storici e le aree centrali delle città. A livello europeo in

Gran Bretagna, Svezia e più di recente in Belgio e Francia sono state avviate esperienze

di gestione unitaria delle attività terziarie localizzate in aree urbane centrali. L’esperienza

di Town Center Management britannica apre le porte in Europa ad uno strumento di

rivitalizzazione del commercio e del centro città che in poco tempo ha dimostrato la sua

efficacia diffondendosi in altri paesi europei (Aceto, 2004).

Letteralmente, Town Center Management definisce la gestione del centro città, ed è un

metodo sperimentato in Nord America a partire agli anni Sessanta del Novecento, dove si

è assistito all’implementazione dei “Business Improvement district” (BID) e alla creazione,

da parte del National Trust for Historic Preservation del programma di intervento “National

Main Street Program”. Questa gestione consiste in un’iniziativa coordinata e partecipata

volta a rendere il centro delle città, un luogo attrattivo e gradevole. Quasi in tutte le sue

forme presuppone la costituzione di un partenariato pubblico-privato, che medi e faccia

convergere un ampio ventaglio di interessi. Il risultato più ricorrente di queste attività è un

incremento dell’efficacia nella promozione e marketing di tali zone, che riescono così a

preservare il proprio ruolo di cuore della comunità (www.agecc.it).

Inizialmente il Town Center Management, invece, si focalizza soprattutto sulla soluzione di

problemi ambientali, di sicurezza e di marketing. Nelle forme più avanzate riesce ad

investire una visione condivisa e strategica del centro, fino ad attrarre investimenti e

residenti creando un ambiente vivace ed stimolante. Attualmente il modello Town Center

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Management continua ad evolversi e a differenziarsi in molteplici contesti per rispondere

alle nuove sfide e specificità dei centri cittadini.

Ci sono diverse forme nei diversi paesi europei di chiamare questo modello di gestione

partecipata:

Town center management in Gran Bretagna, Gestion des centres-villes in Belgio, Galerie

marchande à ciel ouvert o Centre commercial à ciel ouvert in Francia, Centro commerciale

naturale in Italia, Centros comerciales abiertos o Centros comerciales urbanos in Spagna

(www.atcm.org).

Si presentano qui i due modelli che hanno più forza in Europa, quello in Gran Bretagna e

quello in Belgio, anche se le esperienze francesi e spagnole rivestono grande interesse

poiché hanno delle caratteristiche più simili a ciò che esiste in Italia (Spigarelli, 2004).

Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, in Gran Bretagna, di fronte ad un

progressivo e rapido trasferimento del settore della distribuzione dalle aree urbane verso

nuove zone periferiche, i diversi soggetti coinvolti hanno iniziato ad interrogarsi sui

possibili modelli di gestione integrata delle aree in crisi. Questo sviluppo di ampie zone

commerciali periferiche portava ripercussioni notevoli sull’offerta commerciale rendendola

meno competitiva e soprattutto desertificazione di alcune arterie commerciali centrali. Di

fronte alla sempre più frequente apertura di centri commerciali centrali. L’idea è stata

quella di analizzare i punti positivi della gestione di questi complessi commerciali e

attraverso l’importazione dell’approccio manageriale, creare un’unita di gestione in centro

città. Inoltre, di fronte al modello americano, in cui si sono verificati sviluppi di grandi

polarità commerciali extraurbane causando la perdita dell’identità dei centri urbani

(doughnut effect), le amministrazioni centrali e locali britanniche hanno definito delle linee

guide di politica commerciale pubblica. La prima iniziativa di TCM in Gran Bretagna nasce

nel 1986 in una contea metropolitana di Londra, Red Bridge. In questo sobborgo,

nell’esecuzione di un progetto di rivitalizzazione del centro storico è stato nominato un

responsabile con il compito di coordinare le attività commerciali della città. Questo sistema

è stato creato al fin di evitare delle sovrapposizioni di competenze ed offrire uno sportello

unico d’informazione. In questo modello iniziale, la gestione rimaneva a carico della

Comunità locale, ma l’idea di un possibile partenariato era già in discussione. Tuttavia, è

soltanto a partire degli anni Novanta del secolo scorso che si assiste ad un vero sviluppo e

razionalizzazione di queste iniziative in Gran Bretagna.

Le politiche sopracitate avevano come obiettivo, limitare l’apertura di grandi superfici

distributive in periferia e il sostegno ai progetti di recupero e valorizzazione dei centri

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urbani. In particolare il “Planning Policy Guidance N. 6: Town centres and retail

development” sottolineava l’importanza dello sviluppo dei centri urbani (downtown).

L’idea di trasferire e utilizzare le tecniche che si sono rivelate efficaci nei centri

commerciali del settore privato al settore pubblico è attribuita a P.H. Spridell. Il concetto è

stato utilizzato per centralizzare in un’unica unità i servizi che necessitavano i centri urbani

come la manutenzione dei marciapiedi, la pulizia, la sicurezza, i parcheggi, l’illuminazione

pubblica, ecc..

Da questo primo progetto, il sistema è stato implementato in diverse città, e da queste

prime esperienze, il concetto e le teorie su cui si fondano si sono evolute e incrementate.

Nella legislazione inglese, la pianificazione settoriale è contenuta nella Planning Policy

Guidance (PPG4), mentre il PAN (Planning Advice Note) indica le modalità di applicazione

delle azioni contenute nelle PPG. Ma è solo dagli anni Novanta che la normativa sulla

pianificazione urbanistica ha esplicitamente collegato il commercio ai centri urbani,

stabilendo che il suo sviluppo è una priorità per la crescita delle città. Inoltre nel 1997, nel

PPG1, viene messo in risalto il concetto che il centro-città è il luogo dove le persone

possono, lavorare, vivere, avere luoghi di svago e possono anche fare lo shopping.

Queste esperienze si sono sviluppate in diverse città, da piccoli a grandi centri urbani e in

questo momento esistono oltre 300 TCM in Gran Bretagna. Con la sperimentazione di

questo modello è stata creata da più di 15 anni l’Associazione di Town Center

Management (Atcm). Quest’organizzazione non governativa è nata con lo scopo di

sostenere lo sviluppo dei centri urbani in Gran Bretagna, ma conta attualmente anche soci

di altri paesi.

Gli obiettivi fondamentali di queste iniziative sono in genere le stesse: promuovere la

partecipazione nella ricerca di soluzioni ai problemi delle diverse aree, favorire le attività di

marketing, che con il rafforzamento dell’immagine dell’area, sostengono l’attrattività delle

medesime, valorizzare le aree non solo per i consumatori ma anche per i residenti, e , per

ultimo ma non meno importante, migliorare l’offerta complessiva dei servizi in centro città.

Fig. 1 I diversi attori coinvolti in un’iniziativa di TCM (Fonte: www.agecc.it)

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In Belgio, invece, l’esperienza di Town center management è più recente rispetto a quella

inglese. La particolarità di questo modello è quella di essere una normativa, nata nella

Regione Vallone (Francofona). Nel 1998, il Governo Regionale Vallone, elaborò un “Piano

d’azione integrato per la gestione dei centri città al fine di trovare un’uscita al declino

economico di numerosi centri cittadini. Il Governo Vallone aveva l’intenzione, con questo

piano, di ristabilire l’equilibrio nelle città fra il centro e le periferie al fine di evitare che le

zone centrali continuassero a degradarsi economicamente, socialmente e strutturalmente.

Si creano in tal modo le cosiddette “cellules de gestion des centres-villes”. Queste “cellule”

o unità di gestione sono la struttura operativa attraverso cui si realizzano i progetti. Questo

modello di gestione mantiene intatto uno dei fattori principali delle esperienze di Town

Centre Management ovvero il partenariato pubblico-privato. Nel quale i posti chiave sono

equamente divisi tra il settore pubblico e quello privato.

I centri urbani che decidono di creare queste unità sono affiancati da una cellula di

riflessione e coordinamento di livello regionale, conosciuta come “Association du

management de centre-ville”, che ha un ruolo simile in quanto a lavoro in rete a quello

dell’associazione britannica, anche se in tale esperienza l’iniziativa è pubblica, e non

privata come in Gran Bretagna.

Le “cellules” si finanziano attraverso: contributi del Comune che variano fra il 20 e il 40%

del budget totale della cellule. A Mons, per esempio, il contributo è pari al 50 %. In certi

casi, il Comune assume i costi di una parte del personale come ad esempio gli “stewards

urbani”; contributi dei Partners: nella maggioranza dei casi, il contributo è volontario,

anche se tuttavia, per esempio, a Liège il contributo è obbligatorio per ogni partner

membro del Consiglio di Amministrazione pari a 5.000€ all’anno, che rappresenta più del

18% del budget della “cellula”. Contributi della Regione : che rappresentati da risorse

destinate al pagamento dei salari dei lavoratori della “cellula”. Nei comuni piccoli, il

contributo è pari al 65 % del budget totale, mentre nei comuni più grandi questa

percentuale diminuisce fino al 46%. Inoltre può accadere che certi commercianti in luogo

di versare la quota associativa contribuiscano con la sponsorizzazione di eventi o

comprando un pacchetto di attività fornite dalla “cellula”. Infatti molte cellule organizzano

delle attività promozionali che forniscono dei ricavi come ad esempio la cellula di gestione

di Charleroi, che ha istaurato la vendita di un “pacchetto di servizi e animazioni”, che viene

venduto annualmente ai commercianti con contributi che variano a seconda del numero di

dipendenti (dai 30 €/anno ai 1240 €/anno). In genere, le attività finanziate sono di tipo

ludico, sportivo o culturale.

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L’esperienza Vallone nasce e si sviluppa nella città di Charleroi, a seguito di un forum per

lo sviluppo futuro dei centri urbani in Belgio, dove vengono presentate le esperienze

internazionali di rivitalizzazione e gestione di tali aree.

(www.statigeneralidelcomercio.it/tcm-belgio)

In conclusione possiamo affermare che il Town Center Management è un sistema di

gestione integrata del centro storico che coordina i rapporti tra le attività del centro e la

città in modo da incrementare la capacità di attrazione dell’area perché in grado di

soddisfare le esigenze dei fruitori del centro urbano che, oltre un’offerta commerciale

completa, ricercano una serie di servizi aventi uno standard qualitativo elevato.

6. Il Centro Storico di Catania: un’ipotesi di centro commerciale naturaleI centri urbani sono luoghi importanti delle città. Negli ultimi anni, molte di queste aree

hanno subito una perdita di attrattività nei confronti della popolazione e delle attività

economiche, per cause complesse che coinvolgono una pluralità di fattori economici,

sociali e territoriali. Queste aree sono state tradizionalmente il punto fondamentale e

l’espressione massima di vitalità sociale, ed è in queste “aree centrali” che si sono

concentrati una moltitudine di attività e funzioni di tipo commerciale, culturale e

amministrativo.

Attualmente, una serie di fattori economici, demografici, sociali e culturali hanno modificato

il loro ruolo chiave nelle città, senza migliorare la qualità di vita dei suoi residenti, e

portando dei mutamenti che preoccupano Associazioni, Amministrazioni e altri diversi

stakeholders (Salvadore C., 2004). Il tema della rivitalizzazione commerciale dei centri

storici e delle aree urbane non investe solo il Nord Europa, ma in genere tutti paesi

occidentali interessati da intensi sviluppi di nuove forme di distribuzione commerciale di

grande dimensione, che hanno delle logiche e delle esigenze di ubicazione e

localizzazione diverse rispetto alle forme del commercio tradizionale. Anche a Catania

l’obiettivo è quello di fondere l’offerta commerciale e l’offerta culturale urbana in un tutt’uno

affinché la città possa tornare ad essere viva, vivace e moderna. In linea con le altre

Regioni d’Italia, anche a Catania2 è stato attivato un progetto di Centro Commerciale

Naturale che è nato nel tentativo di arginare gli effetti dannosi provocati dall’avvento dei

centri commerciali extraurbani, malgrado in altri paesi della penisola abbia apportato

innumerevoli vantaggi ai singoli imprenditori e al territorio circostante, il progetto di CCN

nella città di Catania, nonostante l’iniziale successo riscosso, è esistente solo sulla carta,

2 Il Comune di Catania, grazie ai finanziamenti del Ministero delle attività produttive, è stato inserito in un progetto pilota realizzato da Confesercenti in collaborazione con Cescot, per l’iniziativa riguardante il CCN “Io Centro”.

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poiché non vengono svolte attività di promozione e animazione da molto tempo (Cirelli et

alii, 2004, p.173) La zona di riferimento, gravita nell’area di Viale Ionio, che oltre ad essere

un importante asse commerciale si caratterizza per essere una rilevante zona

residenziale, ricca oltre che di insediamenti abitativi anche di attività turistiche, culturali e di

servizio. Le azioni rientranti nel progetto pilota hanno riguardato essenzialmente la

progettazione di elementi di arredo urbano, allestimento delle vetrine, animazione delle

vie, pubblicità delle iniziative attraverso i mezzi di comunicazione volte al rafforzamento

dell’identità commerciale dell’area, allo sviluppo del suo accreditamento e alla

fidelizzazione del consumatore.

L’iniziativa “Io Centro”, pur nascendo all’interno di un’area diventata un forte polo

d’attrazione, come evidenzia la crescita del livello dell’offerta commerciale avvenuta grazie

allo spostamento di alcuni negozi dal Centro Storico, non si è potuta sviluppare con

successo per una serie di fattori, tra cui l’elevato costo degli affitti degli immobili,

l’attrattività generalizzata, la limitata estensione dell’area e il ritardo dei lavori di apertura di

Piazza Galatea, punto nevralgico della futura rete metropolitana catanese, circostanze che

non hanno potuto permettere lo sfruttamento di economie di scala per l’implementazione

di attività promozionali e di marketing territoriale.

L’idea era quella di creare nella zona ad elevata densità di esercizi commerciali

un’aggregazione per una gestione coordinata a valorizzare le attività economiche presenti

e rafforzare l’attrattività della città e ad incrementare l’animazione e la vitalità dell’area.

Un’offerta variegata non basata sulla quantità dei negozi ma sulle relazioni che li legano

tra loro caratterizzandosi non per omogeneità bensì per le varie complementarietà, di

luogo, d’offerta, di domanda ed anche complementarietà aziendale e tipologica, relativa

cioè alla varietà delle organizzazioni imprenditoriali e delle loro formule che possono

essere presenti nelle aree centrali.

Un’altra ipotesi di CCN a Catania è quella che si sta cercando di sviluppare nell’ambito del

Centro Storico, con l’obiettivo di fondere l’offerta commerciale e l’offerta culturale della

città in un tutt’uno che la possa rendere più viva, vivace e moderna.

È opportuno distinguere le aree presenti all’interno del Centro Storico, non omogenee per

architettura prevalente, periodo di edificazione, struttura sociale, qualità della vita,

infrastrutture-servizi offerti e, per quanto concerne questo studio, funzioni commerciali.

All’interno del Centro Storico è possibile individuare quattro aree ben distinte:

1) La zona portuale, per decenni trascurata, è sottoposta negli ultimi vent’anni a

politiche di recupero e valorizzazione poiché ritenuta strategica per lo sviluppo locale e

regionale. L’obiettivo è quello di aumentare la portata delle funzioni del Porto di Catania,

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Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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infatti nei processi di rigenerazione particolare attenzione viene posta nella “riutilizzazione

del waterfront”, come è accaduto in numerose ed importanti città portuali ed industriali

come Barcellona, Glasgow, i Docklands di Londra, Rotterdam, Cardiff, Valencia e

Shanghai (sede dell’Expo 2010) che costituiscono i modelli di rilancio economico, culturale

e turistico da emulare. La vastità delle aree sulle quali i programmi di riutilizzazione sono

intervenuti, l’obiettivo di ridurre i rischi finanziari delle operazioni e quello di diversificare la

struttura dell’economia urbana, la necessità di risolvere i conflitti tra i diversi attori, hanno

fatto sì che nelle città europee la riutilizzazione del waterfront urbano sia passata per la

definizione di progetti che hanno previsto un mix di attività. Generalmente, le funzioni

implementate, così come è accaduto anche a Valencia, sono stati servizi, residenze di

lusso, turismo e tempo libero. Tra i fattori che hanno sostenuto la crescente attenzione da

parte delle autorità urbane verso lo sviluppo del turismo nel waterfront si possono

ricordare i seguenti: il dinamismo del turismo urbano/culturale; l’emergere di nuove

tendenze nel turismo di massa; la possibilità per le città di investire nella ricerca di una

maggiore diversificazione della propria struttura economica; la possibilità di migliorare la

qualità della vita urbana dei cittadini. Una dimensione importante di questo processo di

trasformazione è rappresentata dalla sempre maggiore attenzione prestata dagli attori

urbani, coinvolti nella promozione dei progetti di riutilizzazione, al place marketing

correlato all’organizzazione di eventi (Nicosia, 2009).

L’obiettivo prioritario dell’Amministrazione locale è quello di valorizzare la Civita e il Porto

consentendo la fruizione di quest’ultimo ai cittadini, dato che finora lo si è percepito come

luogo della città inaccessibile, non fruibile e lontano, un non luogo urbano.

2) L’area del Barocco (principalmente la Piazza Duomo, la Via Etnea cd. bassa e la

Via Crociferi) grazie alla quale Catania è stata inclusa nel 2002 in quel “Distretto del

Barocco” dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e di cui fanno parte altre sette

località siciliane . È proprio questa la zona che, nella percezione del cittadino, è intesa

quale Centro Storico. È questa l’area urbana che possiede la maggiore vocazione

turistica, non solo per la presenza della citata architettura barocca, ma anche perché

ospita i più importanti musei della città (Museo Civico Castello Ursino, Casa Museo

Vincenzo Bellini, Casa Museo Giovanni Verga, Museo Diocesano), il Teatro Massimo

Bellini, le più caratteristiche e suggestive riunioni mercatali (pescheria e mercato di Piazza

Carlo Alberto).

3) Le aree degradate e a rischio (San Cristoforo, Cappuccini, San Berillo), cresciute

negli anni in maniera disordinata con case fatiscenti e livelli di emarginazione e

microcriminalità elevati. Tali zone presentano un elevato grado di disagio sociale e negli

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Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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ultimi decenni sono divenute aree di residenza di immigrati, che abitano sovente edifici

malsani, spesso con alto indice di affollamento e senza servizi igienici adeguati. Catania

ha già avviato un processo di riqualificazione urbana grazie alle politiche locali che hanno

operato in diverse direzioni al fine di dare un volto nuovo alla città e investirla di un ruolo

più rilevante nel sistema competitivo a scala sovra-locale. La riqualificazione, partendo

dalla struttura urbana esistente, è stata indirizzata non solo a ridefinire la forma della città

e a migliorare la sua vivibilità, ma anche a creare occasioni per realizzare progetti di

sviluppo capaci di restituire qualità, identità ed opportunità di rilancio economico. Le

politiche locali si sono avvalse, degli strumenti di pianificazione e di programmazione

negoziata, dei finanziamenti delle iniziative comunitarie e del partenariato tra gli attori del

settore privato e quelli del pubblico (Fazzi, 1998, p.161). Tra i vari strumenti di

riqualificazione del territorio annoveriamo il Piano Regolatore Generale (PRG) e altri

strumenti complementari come il Patto Territoriale, il Programma PRUSST, il Programma

Urban, i PIT, i Contratti di Quartiere (Porto, 2002, p. 221).

4) Il quartiere commerciale centrale o Central Business District (CBD), che di storico

ha ben poco, rappresentando la Catania moderna, con edifici della seconda metà del XX

secolo, sorto dalle macerie di una parte dell’antico quartiere S. Berillo e oggi sede di

Banche, assicurazioni, studi professionali e fornitori di servizi in genere. Esso della città

moderna rappresenta una delle aree tipiche, da cui vengono irradiate le funzioni direzionali

e commerciali di più alto livello. Il CBD è, nelle grandi metropoli, sede delle principali

attività quaternarie: headquarter delle maggiori imprese, televisioni, giornali, uffici,

ambasciate, banche e assicurazioni. Nel caso catanese il CBD è abbastanza semplificato

dal punto di vista funzionale e in particolare esso è identificabile con la “zona delle

banche”. Sono in esso presenti infatti dodici sedi centrali e filiali di banche e sei sedi

principali di assicurazioni.

Tra le altre caratteristiche del Centro è che di storico esso mantiene ancor oggi il conflitto

tra pubblica amministrazione e commercianti. Questi hanno sempre opposto una ferma

avversità a tutte le modifiche dell’assetto viario, non ultimo il caso della contestata

chiusura della Piazza Duomo al traffico. Ma oggi si cerca di lavorare per un obiettivo

comune che deve essere quello di far funzionare il Centro Storico come “Centro

Commerciale Naturale”: un vero e proprio centro commerciale integrato con gli stessi

fattori di sviluppo e di attrattività, sia negli aspetti si marketing sia in quelli infrastrutturali.

La chiave di successo delle imprese sta nel non competere col “grande” della distribuzione

moderna, ma specializzarsi in ciò in cui questo è carente con offerte non rintracciabili nelle

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Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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immediate vicinanze e che rispondano a precise strategie di carattere commerciale e con

un accurato servizio di assistenza.

Occorre, inoltre, creare un ambiente attrattivo, accogliente e favorevole alla sua

frequentazione curando la qualità architettonica degli interni, delle decorazioni,

dell’illuminazione e della segnaletica. Bisogna che la piccola e media bottega, se vuole

restare in vita, capisca che non può competere in termini di costi o di assortimento con il

commercio moderno, ma può godere dell’enorme vantaggio della localizzazione in aree

dove la grande distribuzione non può o non vuole collocarsi e cioè i centri storici e i piccoli

centri di provincia (Miglietta, 1998; Rossi, 1998).

La proposta dovrebbe interessare un’ampia area che dal centro storico si estende verso la

nuova Area Centrale racchiusa tra: via Plebiscito, via Alcalà, via C. Dusmet, via Principe

Nicola, via Archimede, via F. Crispi, piazza Verga, piazza Trento, viale XX Settembre,

piazza Roma, via S. Tomaselli, via S. Maddalena.

L’idea è quella di creare nella zona ad elevata densità di esercizi commerciali

un’aggregazione per una gestione coordinata a valorizzare le attività economiche presenti

rafforzare l’attrattività della città e ad incrementare l’animazione e la vitalità della zona.

Il progetto dell’area commerciale nel centro storico di Catania, dovrebbe dar vita ad un

contesto dinamico dominato da forti spinte innovative grazie ai punti di forza di questa

zona che sono molti:

la presenza di importanti infrastrutture (la stazione FF.SS., la Metropolitana attualmente in

costruzione, le strade di collegamento con il resto della città, della provincia e della

regione) che rendono l’area luogo a forte vocazione non solo commerciale ma anche

turistica; il patrimonio storico, culturale e monumentale della zona e i forti poli di attrazione,

quali strutture universitarie, monumenti, Chiese, strutture sanitarie vicine al centro stesso.

Di contro ad ostacolare la creazione del centro commerciale naturale intervengono i

problemi di traffico e viabilità della zona, l’offerta turistica debole dovuta a scarsa capacità

ricettiva, mancanza di parcheggi, presenza di zone non illuminate adeguatamente,

differente regolamentazione degli orari di apertura/chiusura rispetto a quelli dell’hinterland.

Non si tratta semplicemente di misurare l’efficacia, quanto di fornire un commento alle

azioni e alle iniziative pianificate e da realizzare puntando sulle 4 A: Ambiente,

Accessibilità, Animazione e Attrattività.

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ACCESSIBILITA’

ATTRATTIVITA’ ANIMAZIONE

QUALITA’ AMBIENTALE

IL RIPOSIZIONAMENTODEL CENTRO STORICO

ACCESSIBILITA’

ATTRATTIVITA’ ANIMAZIONE

QUALITA’ AMBIENTALE

IL RIPOSIZIONAMENTODEL CENTRO STORICO

ACCESSIBILITA’

ATTRATTIVITA’ ANIMAZIONE

QUALITA’ AMBIENTALE

IL RIPOSIZIONAMENTODEL CENTRO STORICO

Fig. 2 Le 4 A (elaborazione su adattamento, da Bullado, 2009)

In definitiva bisogna agire sulla qualità ambientale ossia sui differenti piani qualificanti

l’assetto urbano della città al fine di individuare e realizzare quelle iniziative atte a

migliorare la percezione della qualità della vita di chi ci abita o lo frequenta.

Rientrano in questa tipologia di interventi quelli relativi alla qualità e funzionalità degli

spazi, ai servizi esistenti, all’arredo urbano.

Bisogna intervenire sull’accessibilità al Centro Storico per migliorarne la fruibilità non

significa proporre misure che incentivino la mobilità veicolare al suo interno; si tratta

piuttosto di organizzare e coordinare iniziative e servizi di supporto per facilitare il

raggiungimento del luogo.

L’attrattività dell’ambiente urbano è migliorabile non solo attraverso interventi sul

patrimonio edilizio, ma anche attraverso una proposta integrata di contenuti di servizio

aderenti alla domanda sociale propria degli utenti del luogo per stimolare la curiosità alla

frequentazione e per produrre sensazioni di interesse, divertimento e benessere durante la

permanenza nel luogo.

L’animazione è attuabile mediante una coordinata programmazione e gestione di eventi

capaci di rilanciare l’immagine della città e valorizzare le risorse presenti.

È importante creare il prodotto “shopping” mediante mirate strategie di marketing per

promuovere “la città degli acquisti” con la creazione di circuiti commerciali in più aree della

città, rivolti sia ai visitatori sia ai turisti, in modo da coinvolgere e valorizzare le diverse

offerte commerciali dal piccolo commercio, ai mercati e alla grande distribuzione.

Occorre prevedere azioni per facilitare, potenziare e modernizzare l’offerta commerciale al

fine di valorizzare la città nel suo insieme e di incentivare l’imprenditorialità e l’occupazione

per un recupero della funzionalità non solo commerciale ma anche sociale. La

riorganizzazione dell’offerta commerciale infatti, è correlata con la qualità della vita urbana,

in quanto la presenza di reti di esercizi di vicinato più o meno solide può svolgere un ruolo

cruciale nel determinare la vitalità dei diversi quartieri, specialmente di quelli periferici.

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Questo tipo di organizzazione commerciale dell’area centrale, integrata da opportuni

interventi di tipo amministrativo, urbanistico, edilizio, politiche del traffico, parcheggi, aree

pedonali può competere con il commercio extraurbano, in quanto capace di generare una

forza di attrazione di pari se non maggiore intensità, per la quantità di esercizi di diversa

natura ed un servizio distributivo più orientato al cittadino, fruitore della città, che al

consumatore fruitore di soli beni o servizi (Cirelli, 2007).

7. Conclusioni La creazione di un centro commerciale naturale nelle aree “storiche” delle città, oggi

rappresenta la volontà da parte del commercio tradizionale e dei suoi attori di contrastare

l’avanzare della grande distribuzione attraverso la gestione coordinata delle diverse

iniziative di valorizzazione dell’area al fine di creare quelle condizioni, insite nei centri

commerciali pianificati, finalizzate ad attrarre flussi di clientela nei centri urbani e

preservarli da un declino altrimenti inevitabile.

L’obiettivo deve essere quello di far funzionare i centri storici come centri commerciali

naturali, ossia veri e propri centri commerciali integrati con gli stessi fattori di sviluppo e di

attrattività, sia negli aspetti di marketing sia in quelli infrastrutturali. Questo implica il fatto

che il consumo attratto da un CCN non può essere incompatibile con il territorio, o

insostenibile per questo, non può né colonizzarlo né stravolgerlo, perché significherebbe

indebolire il maggior vantaggio competitivo di un CCN, e cioè l’identità del territorio in cui è

collocato. Per questo motivo le operazioni di recupero e rivitalizzazione urbana possono

dar vita a nuove attrazioni in grado di creare sviluppo nell’area dove vengono realizzate.

Un aspetto importante di questo processo di trasformazione è rappresentato dalla sempre

maggiore attenzione prestata dalla partecipazione degli attori urbani coinvolti nella

promozione dei progetti di rigenerazione. Si rende pertanto necessaria una più attenta e

mirata gestione della città che impegni gli attori della sfera politico istituzionale e quelli

della variegata e composita sfera sociale (la cosiddetta società civile, le associazioni di

categoria, i grandi gruppi economici e i movimenti di opinione) a convergere nell’uso delle

buone pratiche, atte a migliorarne la vivibilità ed a ottimizzare l’integrazione fra le funzioni

commerciali e quelle dell’intrattenimento, della cultura, della ristorazione e

dell’accoglienza, con l’obiettivo comune di realizzare progetti e creare esternalità positive.

Al tempo stesso, è indispensabile dare al consumatore la percezione che l’offerta di quel

territorio è ben organizzata, efficiente, ospitale, attrezzata con servizi moderni che gli

rendano facile e piacevole lo shopping. Con tali strategie i consumatori si recheranno in

centro per occupare piacevolmente il tempo libero, osservare le vetrine ed orientare gli

C. Cirelli, E. Nicosia, Il Centro Storico, Centro Commerciale Naturale

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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acquisti. Una forte partecipazione diretta della comunità locale alla costruzione di un piano

è la chiave di volta di un progetto che mira a delineare un preciso obiettivo, ma anche ad

incanalare in quella direzione risorse umane ed economiche, sviluppando la crescita di un

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1 Nonostante l’elaborazione comune i §§1,2,3 e 7, sono da attribuire a Caterina Cirelli, i §§ 4,5 e 6 a Enrico Nicosia. 2 Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi. 3 Università degli Studi di Macerata, Facoltà di Scienze della Formazione. 4 Le PPG sono circolari ministeriali contenenti indirizzi di governo in merito ai diversi aspetti della pianificazione e delle indicazioni che possono incidere profondamente sul rilascio delle “planning pernissions” (Patrizio V., 2003, pp. 79-80).

G. Miccio, Conservazione e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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Conservazione e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente (Abstract)

Gennaro Miccio1

L'esigenza di intervenire sul patrimonio edilizio esistente, dalla fine dell'800, ha sentito la

necessità di associare le modalità di intervento con la definizione di una specifica

terminologia con la quale identificare i diversi approcci con i quali, di volta in volta, si è

inteso giustificare talune scelte.

L'intervento farà dapprima una disamina, anche dal punto di vista terminologico, sui

concetti di restauro, conservazione e recupero, per poi procedere all'analisi delle prime

“Carte Internazionali del Restauro” fino a giungere agli aspetti più propriamente normativi

che si sono preoccupati di definire i vari interventi sul patrimonio edilizio. Tale disamina

dimostrerà anche quanto si siano modificati i concetti ed i significati di termini che oggi

potrebbero apparire fissi ed immodificabili. Altri concetti che si intenderà chiarire saranno

quelli riguardanti le tecniche di costruzione “tradizionali” oppure quelli relativi all'uso di

materiali “tradizionali”. Oggi, con tale termine non si è ben sicuri a cosa si faccia

riferimento, tenuto anche conto del fatto che sono scomparse numerose figure

professionali che rendevano possibile l'utilizzo di tali tecniche e materiali.

A tali concetti vanno associate anche le nuove spinte verso l'utilizzo di nuove tecnologie

che vanno oggi sotto la generica definizione di “bioarchitettura”. Tali chiarimenti,

probabilmente, potrebbero meglio definire le interconnessioni tra bioarchitettura e nuove

modalità di interventi compatibili nei centri storici.

Altro aspetto che andrà chiarito è il significato stesso di “centro storico”: come oggi esso è

inteso in rapporto alla città nel suo insieme. Gli esempi, anche vicini, di uso urbano di

questa parte di città non sono certamente confortanti. Non sembra, infatti, che le spinte

dell'attuale politica urbanistica siano orientate verso un ipotetico ripristino dell'immagine

ritenuta originaria del tessuto antico dei centri storici. La cosiddetta riqualificazione degli

spazi costruiti non sembra portare ad un utilizzo dell'edilizia esistente verso i tradizionali

concetti di recupero compatibile.

Per biocompatibilità e bioclimatica, probabilmente, si dovrebbe riconsiderare prima di ogni

cosa le vecchie modalità costruttive che, il più delle volte, riuscivano a fare a meno di

“condizionamenti” termici artificiali. Al momento, l'utilizzo di tecnologie per lo sfruttamento

di energie rinnovabili non sembrano offrire convincenti utilizzi nei nostri centri storici.

Riguardo alla ecosostenibilità, si vuole sottolineare che l'utilizzo di materiali un tempo

ritenuti tradizionali consente il loro riutilizzo pressochè indefinito rendendo necessario

1 Soprintendente per i B.A.P. di Salerno e Avellino

G. Miccio, Conservazione e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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unicamente interventi manutentivi e non sostitutivi.

Anche se le Soprintendenze non dovrebbero intervenire nel merito delle scelte

urbanistiche, di competenza degli enti locali, in realtà in molte circostanze è richiesto

l'intervento ed il parere dei Beni Culturali:

� per le nuove zone di ampliamento urbano quando queste ricadono in aree

sottoposte a tutela paesaggistica;

� nei centri storici, relativamente alle piazze, vie, strade ed altri spazi aperti urbani di

interesse artistico o storico, ai sensi dell'art.10 – comma 4 – del Decreto Legislativo

n. 42/04 (Codice dei Beni Culturali).

Da quanto sopra, è chiaramente deducibile che risultino di difficile applicabilità le

possibilità offerte dal piano casa, almeno nelle modalità finora rese note dal Regolamento

Regionale di Attuazione.

L. Tortoioli, I Programmi Urbani Complessi per la rigenerazione dei Centri Storici

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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I Programmi Urbani Complessi per la rigenerazione dei Centri StoriciLuciano Tortoioli1

1. La profonda trasformazione del territorio italiano negli anni del dopoguerra ha

interessato anche i centri storici che gradatamente hanno perso centralità, residenti,

attrattività, fino a volte a trasformarsi in periferie della città diffusa contemporanea.

Anche l’Umbria, come tutto il paese, è stata interessata da questo processo, ma la

ricchissima rete di centri storici di cui è dotata le ha consentito di resistere alle forti

pressioni della modernità e confermare tendenzialmente il rapporto storico tra

insediamenti di collina o di pianura e percorsi viari, mantenendo i valori funzionali su cui si

è strutturata la trama insediativa del passato, mentre l’urbanizzazione recente si è

addossata ai principali corridoi della mobilità.

Quindi ancora oggi i centri storici rappresentano uno dei principali valori dell’Umbria. Se ne

contano 1485 che occupano una superficie di 1391 ettari (1 ettaro circa a centro storico).

Tutti i 92 capoluoghi di Comune hanno il centro storico. Moltissimi conservano un tessuto

edilizio di pregio architettonico e ambientale. Tra questi spiccano delle eccellenze note nel

mondo, poli di attrazione turistica, catalizzatori di interessi religiosi, culturali, storici,

paesaggistici, con monumenti mirabili, ma anche con un tessuto edilizio minore ben

conservato: Assisi, classificato sito UNESCO, la stessa Perugia, ma anche Orvieto,

Gubbio, Spoleto, Todi, Amelia e molti altri.

Il valore identitario dei centri storici umbri viene trattato dal Piano Paesaggistico

Regionale, in corso di redazione, che individua 4 tipologie di contesto, espressione delle

diversità dei paesaggi associati agli insediamenti storici:

� centri storici di pianura, prevalentemente rurali,

� centri storici collinari, ancora in equilibrio tra le loro funzioni residenziali, produttive

e di servizio al territorio circostante;

� borghi rurali di antico impianto, generalmente in sofferenza per i processi di

abbandono;

� centri storici delle maggiori aree urbane, esposti al logorio dei processi di consumo

e spesso a rischio di svuotamento del proprio senso.

Per ciascuna tipologia il Piano Paesaggistico declina obiettivi di qualità specifici ed azioni

conseguenti, in relazione ai processi di sviluppo insediativi, alle strategie di rigenerazione

ambientale e paesaggistica, al mantenimento delle attività agricole periurbane, alla

riqualificazione delle parti compromesse o degradate al fine di recuperare i valori

1 Regione Umbria. Direttore della “Direzione Regionale Ambiente, Territorio e Infrastrutture”

L. Tortoioli, I Programmi Urbani Complessi per la rigenerazione dei Centri Storici

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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preesistenti, ai processi di abbandono nelle aree montane ove occorre favorire il

mantenimento delle funzioni di presidio antropico di paesaggi ad alta naturalità ed anche

al controllo degli usi del patrimonio che tenga conto delle funzioni di centralità

indispensabili per garantire un ruolo significativo sul territorio.

2. Non v’è dubbio che il buon livello di conservazione dei centri storici umbri è frutto di

un’azione efficace di tutela esercitata dallo Stato, attraverso la Soprintendenza e dalla

Regione.

Un ruolo determinante lo hanno però giocato anche le autorità locali che attraverso la

pianificazione urbanistica hanno attivato politiche di salvaguardia, limitando fortemente le

trasformazioni urbane. Fin dagli anni ’70 è stato compreso il valore strategico che poteva

assumere un centro storico ben conservato e vissuto nelle politiche di sviluppo di un

territorio ed in conseguenza sono stati avviati programmi e progetti di conservazione e

valorizzazione che hanno interessato in particolare i piccoli centri storici dell’appennino

umbro. L’azione di controllo svolta dalla pianificazione comunale è riuscita a

salvaguardare i centri storici preservandone gli aspetti monumentali insieme anche

all’architettura ordinaria e minore e le aree di prossimità, al contrario invece di ciò che è

avvenuto in altre situazioni dove, in un’ottica di feticismo storico, per dare maggiore

visibilità prospettica al monumento, sono state fatte operazioni di diradazione distruggendo

l’edilizia circostante, di contorno.

La tutela anche dell’architettura minore ha consentito invece di conservare il tessuto

urbano che, in qualche misura, costituisce un valore complessivo più elevato del singolo

monumento stesso.

In alcuni casi ci può essere stata qualche stridente inclusione di elementi costruiti con

tecniche o materiali moderni, dentro le parti storiche delle città.

Questo stridere può essere accentuato dal voler adattare materiali moderni a tipologie del

passato, conservando la pelle, l’involucro fisico esteriore, ma cancellando spazi e forme

interne che caratterizzano l’architettura dell’epoca di costruzione.

E’ capitato e potrebbe capitare ancora, anche in Umbria, ma sempre con frequenza

minore per la crescente sensibilità verso il mantenimento di un equilibrio tra il costruito e le

nuove espressioni dell’architettura contemporanea, che comunque non può essere

negata. In generale però le azioni di tutela e conservazione dell’edilizia esistente, dei

materiali, dell’architettura, hanno dato frutti soddisfacenti e sono state in grado di

“conservare la pelle” dei centri storici.

L. Tortoioli, I Programmi Urbani Complessi per la rigenerazione dei Centri Storici

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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Purtroppo non li hanno preservati dagli effetti negativi di una politica di espansione delle

città e di espulsione di residenti, di attività economiche e di servizi pubblici e privati dal

centro verso le polarità urbane esterne.

I nuovi poli di espansione con la loro vitalità hanno esercitato infatti un’attrazione fatale sui

residenti ed i frequentatori del centro storico che hanno finito per migrare verso aree più

accessibili, dotate di verde, spazi pubblici, servizi, in misura ben superiore a quella offerta

dai centri storici di stampo medioevale. Dopo il secondo conflitto mondiale nei centri dei

capoluoghi umbri abitava il 33,3% della popolazione, mentre oggi vi abita solo il 9,18%.

Questi numeri illustrano, meglio di ogni altra considerazione, il declino progressivo che

hanno subito i centri storici.

Nel complesso i nodi problematici riguardano:

� il perdurante consumo di suolo ad uso urbano, da contenere, favorendo il riuso di

aree e fabbricati, anche nei centri storici;

� la dispersione degli attrattori urbani che inducono un uso di massa del mezzo

privato a scapito di quelli pubblici e minano la possibilità di realizzare o consolidare

centri urbani vitali per la compresenza di molteplici funzioni, per la vivibilità degli

spazi urbani e di quelli per usi collettivi;

� la tendenza allo spopolamento dei centri storici, da affrontare con la ricerca di

nuove modalità e schemi progettuali di intervento appropriati al costruito antico: per

la residenza, il commercio, gli uffici, la cultura, i servizi e l’integrazione di tutte

queste funzioni;

� la crescita della segregazione sociale e della micro-conflittualità urbana, che

pregiudica lo scambio sociale, il dialogo tra le culture e la vivibilità stessa della città;

� l’emarginazione, nelle aree storiche, dei gruppi sociali che richiedono assistenza o

particolari servizi ed in generale di tutti i gruppi sociali senza facile accesso all’auto

privata, siano essi residenti che city-user, (bambini, famiglie giovani con figli,

anziani, soggetti con handicap);

� la scarsa accessibilità dei centri storici soprattutto collinari che, sebbene già

affrontata da molte Amministrazioni, richiede un originale impegno progettuale e

l’individuazione di soluzioni coordinate e ambientalmente compatibili per le nuove

connessioni, i centri di interscambio, la mobilità sostenibile, i parcheggi individuali e

collettivi.

3. Per tentare di sciogliere i nodi più problematici ed individuare soluzioni in grado di

invertire una tendenza generale in atto in tutto il paese, seppure con intensità diversa da

L. Tortoioli, I Programmi Urbani Complessi per la rigenerazione dei Centri Storici

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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regione a regione, sono state introdotte, nella legislazione umbra, alcune novità in materia

di pianificazione territoriale e di progetto integrato a scala urbana.

Nel 2009 è stata approvata la legge regionale 13 che ha introdotto la programmazione

strategica a scala regionale, avviando una reale semplificazione dei metodi e strumenti

dell’attività urbanistica, eliminando il livello di pianificazione territoriale regionale

rappresentato dal Piano Urbanistico Territoriale, sostituendolo con un documento

strategico territoriale (PUST) che disegna la “Visione futura” dell’Umbria mediante le linee

generali di sviluppo del territorio, coniuga la programmazione economica con quella

territoriale, concentra le scelte territoriali sui temi e sui progetti ritenuti strategici per la

crescita della competitività regionale.

La programmazione si attua mediante progetti strategici selezionati e calati sul territorio,

con azioni mirate e concrete, concertate con le autorità locali.

Tra i progetti strategici che caratterizzano il PUST emerge, ad esempio, quello denominato

“Rete di città e centri storici”, ove:

- le funzioni urbane primarie sono organizzate in un numero limitato di centralità

riconoscibili, da salvaguardare e valorizzare nel caso dei centri storici,;

- i restanti centri abitati, soli o tra loro associati, non definibili come centralità urbane

regionali, possono rivestire un ruolo, possibilmente primario, nelle reti interregionali

e in quella globale delle relazioni specializzate, puntando sulle proprie specificità,

livelli di competenza e competitività (economica, culturale, turistica, per

l’innovazione);

- ogni centro urbano è connesso agli altri con il servizio di mobilità pubblica e

innervato dalla rete della mobilità sostenibile alternativa all’auto, con le aree

circostanti residenziali, con gli spazi di vicinato, con le aree naturali per lo svago e

le attività sportive, con le fermate ed i centri di interscambio della mobilità;

- le politiche del social-housing sono rafforzate, soprattutto nelle aree urbane a forte

tensione abitativa, a domanda insoddisfatta e nei centri storici, puntando su nuovi

modelli di autosufficienza energetica.

In sintesi la visione strategica enunciata dal progetto “Rete di città e centri storici”

prefigura una realtà territoriale nella quale:

- le diverse e consistenti centralità urbane, antiche e recenti, possano entrare a far

parte di un’unica rete urbana regionale, entità complessa, ma coesa e riconoscibile;

- tutti i nodi urbani, grandi e piccoli, specialmente se associati tra loro, possano

assurgere ad una posizione primaria nelle sottoreti relazionali specializzate della

rete globale.

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Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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4. Prima ancora della legge 13/2009 che affermava la dimensione strategica e

programmatica della pianificazione attraverso il PUST, la Regione aveva approvato nel

2008 la legge n. 12 con importanti novità nelle politiche di intervento nei centri storici.

Innanzitutto veniva affrontato il tema “centri storici” con un approccio operativo, che nel

riconfermare il valore ambientale, culturale, storico, architettonico e paesaggistico, non si

limitasse ad indicare la strumentazione urbanistica propedeutica alla programmazione e

progettazione degli interventi , bensì sviluppasse forme di integrazione tra interessi

pubblici e privati capaci di stimolare azioni concrete di promozione, valorizzazione e

rigenerazione del centro storico.

Sostanzialmente ed in estrema sintesi alla L.r. 12/08 si devono tre importanti

innovazioni.

Le prime due sono rappresentate da:

� il “Quadro Strategico di Valorizzazione (Q.S.V.)”, un documento programmatico che

veicola un nuovo approccio al recupero ed alla riqualificazione dei centri storici;

� l’”Ambito di Rivitalizzazione Prioritario (A.R.P.)” che intende concentrare

l’attenzione sul recupero delle parti più degradate e marginali del centro storico e

favorire l’investimento privato, rispetto al recupero degli edifici proprio di un

approccio esclusivamente urbanistico.

La terza innovazione è invece propria dell’approccio di tipo integrato alle problematiche

complesse di un centro storico e dell’impiego di contributi pubblici, anche comunitari, per

attivare interventi di riqualificazione del centro storico, organizzati in “Programmi Urbani

Complessi” di seconda generazione (PUC 2) che, pur proseguendo sul filone sperimentato

fin dagli anni ’90 con più di cento progetti finanziati dalla Regione in comuni grandi e

piccoli, hanno segnato una svolta decisamente importante coniugando insieme interessi

edilizi ed urbanistici, espressione del pubblico e del privato, con richieste ed aspettative di

cittadini, operatori del commercio, dell’artigianato, del turismo e del sociale.

5. I Programmi Urbani Complessi di seconda generazioneI PUC 2 sono oggi lo strumento più importante per politiche integrate di rivitalizzazione dei

centri storici umbri. Per la prima volta sono stati utilizzati i fondi strutturali messi a

disposizione della UE, insieme ad altri finanziamenti del bilancio regionale per gli interventi

sulle residenze, dando seguito ad una consistente iniezione di risorse economiche

finalizzate a promuovere politiche fortemente integrate per rivitalizzare quartieri o interi

centri storici. Il 15% del POR FESR 2007-2019 (53 Ml di €) è stato riservato ad un bando

rivolto ai comuni con più di 10.000 abitanti che erano intenzionati a progettare un PUC

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caratterizzato da forte integrazione delle azioni, delle risorse e dei soggetti, frutto di una

puntuale condivisione tra enti pubblici, imprese, associazioni di categoria, cittadini, che

hanno investito tempo, intelligenze e risorse economiche nel proporre idee e costruire

progetti concretamente realizzabili. Al bando hanno partecipato 19 comuni; 10 di questi

sono stati ammessi a contributo, ma la qualità delle proposte è stata positiva oltre ogni

previsione. Gli obiettivi del bando erano quelli di costruire P.U.C. che mirassero al cuore

del problema: come riportare interessi legittimi, attenzione, vitalità all’interno di aree

urbane in declino sociale, economico, residenziale, produttivo.

Era richiesta una forte integrazione di politiche urbane, principalmente finalizzate a:

• riportare residenti ed attività economiche (commericiali, turistico-ricettive, artigianali)

che nel tempo si erano allontanate, nei centri storici minori; accrescere l’accessibilità

dei centri migliorando il sistema delle infrastrutture e della mobilità (trasporti soft,

mobilità alternativa);

• ricreare condizioni di gradevolezza e di interesse sociale, culturale, architettonico,

con la promozione di iniziative sul versante della cultura (teatri, mostre, musei),

dell’aggregazione sociale (in zone a forte presenza di immigrati o di anziani), del

recupero di edifici di valore storico-architettonico;

• promuovere l’immagine dei centri mediante un Piano di Marketing che valorizzasse

l’offerta integrata di beni e servizi, delle manifestazioni e degli eventi, anche

attraverso uno specifico “marchio”.

Le risorse messe in campo sono risultate ingenti (almeno per una regione come l’Umbria):

• 14 Ml di fondi per l’edilizia residenziale (Housing sociale);

• 53 Ml di fondi FESR per infrastrutture pubbliche ed attività economiche e culturali;

a cui si aggiungono cofinanziamenti dei comuni pari almeno al 15% dei fondi regionali e

dei privati per almeno il 30%.

La risposta altrettanto positiva:

• 19 PUC presentati di cui 17 di livello adeguato (con punteggio attribuito da una

apposita commissione tecnica > 40/100);

• 10 ammessi a finanziamento, rappresentati nella Tabella che segue:

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I 10 PUC, superata la fase di progettazione esecutiva, sono in piena attuazione sia per la

parte pubblica che per gli interventi dei privati.

Passare dalla redazione del programma alla realizzazione degli interventi richiede però un

impegno molto rilevante ai comuni, a volte superiore alle forze di cui dispongono.

Per attuare un PUC c’è bisogno di capacità organizzative, coordinamento, determinazione

non sempre riscontrabili negli enti locali, ma anche nel campo degli operatori privati.

E’ un banco di prova per tutti i comuni che devono misurarsi con difficoltà amministrative,

normative, procedurali e soprattutto con i tempi che, in programmi di così ampia portata,

non sono una variabile trascurabile.

Purtroppo avendo a che fare con i fondi UE e le regole del disimpegno automatico, i PUC

devono marciare speditamente, secondo una tabella di marcia ed un avanzamento della

spesa che non possono essere modificati, pena la perdita delle risorse economiche. La

Regione assiste e sostiene l’impegno dei comuni e finora il cronoprogramma è rispettato.

6. Il Quadro strategico di valorizzazione La legge regionale 12 stabilisce che i Comuni con popolazione maggiore di 10.000 abitanti

predispongano il Quadro Strategico di Valorizzazione (QSV) del centro storico, lasciando

invece la facoltà di approntarlo ai comuni minori.

Il Quadro Strategico di Valorizzazione, che non va confuso con un nuovo strumento

urbanistico, rappresenta una forma di compartecipazione pubblico-privato alla

programmazione di interventi integrati nel centro storico, costruita secondo le modalità di

un contratto tra cittadinanza ed amministrazione, che contiene gli impegni reciproci che

devono essere assunti per riportare funzioni vitali per la città dentro il centro storico,

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compatibili con la sua struttura edilizia ed urbanistica. Si può configurare più

semplicemente come un elenco di iniziative da intraprendere (in questo senso può definirsi

un Piano operativo) da parte di tutti i soggetti contraenti, con l’indicazione delle risorse

economiche effettivamente disponibili, i tempi per attuare i progetti, i soggetti, le attività

coinvolte, le trasformazioni possibili, gli spazi da riutilizzare e riqualificare, con una cabina

di regia che non fosse in mano al solo comune.

Il QSV è stato fortemente richiesto dalle associazioni di categoria che operano nei centri

storici e mantiene il carattere di programma economico cogente per i firmatari, ancor più

per il comune che, rivestendo un ruolo di propulsore, non può essere di ostacolo

all’attuazione dei progetti concordati.

La formazione dei QSV segna un percorso metodologico stabilito da precise Linee guida

approvate dalla Giunta regionale nel marzo 2010, che si compone principalmente di 4 fasi.

La fase1 o preliminare: esprime l’idea forza e l’organizzazione del QSV e si conclude con

la produzione di un dossier preliminare.

La fase 2 della concertazione: durante la quale, sulla base di una collaborazione di tutti i

soggetti attivi della società locale viene formulata la Visione strategica condivisa, siglato il

patto collettivo e prodotto il Documento strategico.

La fase 3 della negoziazione: viene definito il contenuto del QSV, formulato il piano di

azione con i vari assi di intervento, siglati contratti e sottoscritte convenzioni.

La fase 4 dell’attuazione: si realizzano le progettazioni esecutive, gli interventi e le azioni

previste, si effettua il monitoraggio con le conseguenti proposte di modifica e

aggiornamento del QSV. Inoltre già alcuni comuni hanno avviato la programmazione

strategica in termini consorziati.

Tra i 23 Comuni obbligati dalla legge alla redazione del QSV, 11 di essi (Bevagna,

Città di Castello, Foligno, Gualdo Tadino, San Giustino, Spello, Spoleto, Todi, Narni,

Orvieto e Terni) hanno terminato la prima fase (preliminare) e stanno completando la

seconda, quella della concertazione, per procedere alla stesura del documento finale.

Altri 7 Comuni tra quelli obbligati (Assisi, Bastia Umbra, Corciano, Magione,

Marsciano, Norcia e Perugia) hanno attivato il processo di formazione del QSV attraverso

la redazione del documento preliminare.

A questi si aggiungono 3 gruppi di Comuni che hanno avviato la programmazione

strategica in ambito intercomunale. Il primo gruppo (Acquasparta, Massa Martana, San

Gemini) è già alla seconda fase, gli altri due gruppi (Costacciaro, Fossato di Vico,

Scheggia e Pascelupo, sigillo) e (Montone, Pietralunga, Lisciano Niccone, Monte Santa

Maria Tiberina e Citerna) stanno avviando la redazione del documento preliminare. Inoltre

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2 Comuni non obbligati alla redazione del QSV (Nocera Umbra e Città della Pieve) hanno

comunque attivato il processo.

7. Le Aree di Rivitalizzazione Prioritaria Non tutti i centri storici sono di pari valore o livello di conservazione ed anche quelli che lo

sono necessitano, in alcune zone, quartieri o per alcuni edifici, di profondi interventi di

riqualificazione.

L’incuria, la scarsa manutenzione operata dai proprietari, la difficoltà di accesso, la

carenza di servizi ed infrastrutture possono accelerare processi di degrado sociale ed

economico che richiedono interventi onerosi e non sempre remunerativi, specie nel caso

di edifici che non siano abitati da residenti. Non c’è motivo che tali zone siano destinate a

deperire ulteriormente quando potrebbero tornare a svolgere funzioni importanti per

l’intera città purché venissero recuperate con interventi urgenti e rispettosi delle

caratteristiche architettoniche, storiche e paesaggistiche.

Purtroppo la sempre minore disponibilità di risorse pubbliche limita fortemente la

possibilità dei Comuni di ricorrere diffusamente ai PUC, come strumento di

compartecipazione di capitali pubblici e privati alla riqualificazione urbana.

Per ovviare quindi ad una condizione di impotenza a fronte invece di una richiesta

crescente di strumenti adeguati, la Regione ha introdotto nella legge12/08 il principio della

compensazione urbanistica per gli interventi di recupero che vengono eseguiti all’interno

delle Aree di Rivitalizzazione Prioritaria.

La legge prefigura un nuovo quadro di convenienze per i privati proprietari del patrimonio

edilizio nelle aree di minor pregio del centro storico che, in relazione all’investimento

finanziario previsto possono acquisire diritti edificatori da utilizzare in aree edificabili

esterne al centro storico, in aumento rispetto agli indici stabiliti dal PRG.

Le modalità definite dalla legge per attivare questo processo virtuoso affidano al comune

l’onere e l’opportunità di promuovere la perimetrazione dell’ARP che deve rispondere a

precise condizioni fissate dalla legge stessa e da successiva direttiva della Giunta

regionale. Si tratta di valutare, anche con parametri numerici, l’inadeguatezza funzionale,

manutentiva e tecnologica degli isolati ricompresi nell’ARP, di verificare la scarsa

accessibilità e sosta, l’obsolescenza delle infrastrutture, la perdita di famiglie residenti,

l’assenza o la forte diminuzione di attività economiche, la presenza di gravi situazioni di

declino sociale.

Una volta perimetrata l’ARP, i comuni possono approvare al suo interno programmi

urbanistici, piani attuativi o programmi urbani complessi che danno diritto a quantità

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Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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edificatorie premiali proporzionali al costo degli interventi di recupero previsti dal

programma urbanistico. In sede di approvazione del programma urbanistico, i comuni

approvano anche la destinazione del volume premiale, da utilizzare in aree esterne al

centro storico, escluse quelle agricole, la cui potenzialità edificatoria non può comunque

crescere più di un terzo.

Laboriosa e singolare è stata la definizione dei criteri per determinare il valore

convenzionale della quantità premiale da assegnare quale diritto edificatorio a seguito

della realizzazione degli interventi di recupero previsti nelle ARP in quanto si è dovuto

tenere conto di diversi parametri legati alla dimensione del centro storico, alla destinazione

d’uso degli edifici, alla qualità architettonica dell’immobile, alla presenza di aree di sosta

ed all’accessibilità del sito, al valore di mercato delle abitazioni.

Il processo avviato dalla 12 è particolarmente innovativo, esce dai canoni tradizionali di

approccio alle problematiche dei centri storici e solo dopo una prolungata

sperimentazione, sarà possibile valutarne l’efficacia. Indubbiamente l’applicazione potrà

essere favorita quando sarà approvato il disegno di legge regionale sulla perequazione e

compensazione urbanistica che dovrebbe modificare sostanzialmente le regole della

pianificazione comunale.

S. Vitolo, Centri Storici, ricerca storico-archeologica, paesaggio. I prodromi del dibattito in Italia e le istanze del nuovo ambientalismo

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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Centri Storici, ricerca storico-archeologica, paesaggio. I prodromi del dibattito in Italia e le istanze del nuovo ambientalismo

Sergio Vitolo

1. Una caratteristica dell’armatura urbana italiana – aspetto troppo spesso dimenticato – è

che essa, rispetto agli 8094 comuni italiani, è costituita da ca. 7000 centri precedenti il XVI

secolo. Settemila centri definibili “storici” la cui tutela ha animato per oltre un quarantennio

un dibattito che non ha avuto eguali in Europa.

E’ proprio nel ricostruire i momenti salienti del dibattito e i più importanti eventi del

confronto, al fine di meglio collocare le problematiche proposte dal tema di studio in un

quadro di riferimento – quadro che dovrebbe essere proprio per specificità d’indagine e

per ampiezza di angolazioni metodologiche – che si è delineato l’attuale avanzamento

degli studi. Avanzamento che si presenta parziale, almeno rispetto alle premesse di

quarant’anni fa, e contrassegnato da una generale caduta di interesse per il confronto

storiografico sui temi di più rilevante ampiezza. Ciò a tutto ed esclusivo vantaggio della

lettura, quasi sempre molto specialistica e talvolta riduttiva, delle maglie urbane e di tutti gli

aspetti morfologici e tecnici caratterizzanti il divenire fisico dell’insediamento, in

assoggettamento alle necessità della comunità degli urbanisti. Questi, dopo l’affievolirsi

del dibattito sui “centri storici”1 e sul restauro, dopo il disorientamento degli anni Ottanta e

Novanta del Novecento per la crisi della pianificazione, in questi ultimi anni hanno spostato

l’asse delle priorità disciplinari verso altre questioni, una volta considerate marginali: “I

vuoti” urbani, cioè quelle aree residuali dequalificate poste negli interstizi del tessuto

edificato, la “riconversione” a nuove funzioni di ampie aree o di edifici in disuso, la

“ricucitura” delle varie parti del tessuto attraverso interventi mirati di ristrutturazione edilizia

ed urbanistica. Tale spostamento, in sede di orientamento della ricerca storiografica, ha

comportato come conseguenza negativa la frammentazione degli indirizzi e delle

tematiche, cioè la rottura di quel “quadro operativo” della ricerca che, nei decenni

precedenti, si era considerato, a ragione, imperativo strategico garantire come “unitario”,

facendo leva sull’aver individuato nell’approccio interdisciplinare la strumentazione più

idonea al suo sostegno2. In aggiunta un ulteriore esito è stato il progressivo

1 Cfr. M.B. MIRRI, Beni culturali e centri storici, Genova 1996. Qui vengono analizzati origini e valenze dell’espressione “centri storici” e vengono ricostruiti criticamente i momenti più significativi, soprattutto dal punto di vista giuridico, del dibattito a partire dagli anni ‘50 2 Questa frammentazione, nei più recenti contributi, si manifesta attraverso l’adozione di direttrici tematiche e metodologiche alquanto differenziate. Osserviamo ricerche che, pur privilegiando gli strumenti consolidati dell’indagine storico-urbana, eleggono a oggetto dell’analisi parti estremamente circoscritte della città storica, cfr. C. DI BIASE, StradaBalbi a Genova, residenza aristocratica e città, Genova 1993; La piazza del duomo nella città medievale (nord e media

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Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

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allontanamento dalle tematiche dell’età classica e medievale a favore di quelle della città

moderna e contemporanea, pur essendo rimasti irrisolti molti nodi urbanistici che nei

decenni passati erano stati capaci di focalizzare un confronto culturale a livello nazionale.

Basti pensare alla polemica sui “Fori Imperiali” sviluppatasi, tra 1981 e 1985, intorno

all’assetto da dare al centro storico di Roma, che ha visto opposti storici e archeologi da

una parte e tecnici e urbanisti dall’altra, e che ha sancito una frattura culturale mai più

ricomposta rispetto alla quale i primi sono risultati ampiamente perdenti3. A Salerno,

seppure in un ambito problematico e culturale più circoscritto, con le stesse questioni sul

tavolo del confronto si è sviluppato un dibattito, avviatosi nel 1987 con il Convegno

Nazionale sul piano di recupero del centro storico, articolatosi, tra alti e bassi, fino al 1994,

anno delle Celebrazioni del cinquantenario di Salerno Capitale, durante il quale si è svolta

la mostra-proposta sul centro storico Divenire Nascosto4. Le questioni portate in evidenza

dalla mostra, tanto relative alle metodologie di indagine più idonee, quanto inerenti le

specificità storiche e fisiche della conformazione di Salerno nell’antichità e nel medioevo,

nonostante l’ampio consenso da parte del pubblico e della critica, come a Roma, non sono

state successivamente raccolte a indirizzo dell’azione degli amministratori, i quali in questo

caso hanno preferito “congelare” la situazione del centro storico, col risultato di

allontanare, quasi completamente, lo stesso interesse del mondo della ricerca dalla città

storica.

Italia, secoli XII-XVI), Atti della giornata di studio (Orvieto 4 Giu. 1994), a c. di L. Riccetti, (n. m. del «Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano» XLVI-XLVII, 1990-1991), Orvieto 1997; M. MORRESI (a c. di), Piazza S. Marco, Milano 1999; G. BOZZO, Il porto antico di Genova, Genova 1999; ricerche che si muovono sui consueti binari della storia politica ed istituzionale per ricostruire le manifestazioni architettoniche ed urbane di un evergetismo “illuminato”: P. BOUCHERON, Le pouvoir de batir. Urbanisme et politique édilitaire a Milan (XIVe-XVe siécles), (Collection de l’École francaise de Rome, 239), Roma 1998; oppure ricerche che ricorrono ancora a desuete categorie di matrice tipologistica per impostare, invece, indagini originali, scaturienti da percorsi metodologici informati dei più recenti sviluppi interdisciplinari e applicate, nella fattispecie, a temi poco sondati, cfr. E. CONCINA, Fondaci. Architettura, arte e mercatura tra Levante, Venezia e Alemagna, Venezia 1997; L. BIANCHI, Case e torri medievali a Roma, Roma 1998; G. MUSELLI, Oltre le facciate, Napoli 1998. A tali predominanti impostazioni si affiancano lavori dai più svariati impianti. Ad es. v. V. FRANCHETTI PARDO (a c. di), “Cola dove puosono il detto palazzo”. La territorialità urbana medievale italiana, Firenze 1992; Opera. Carattere e ruolo delle fabbriche cittadine fino all’inizio dell’età moderna, Atti della tavola rotonda (Firenze, Villa I Tatti, 3 Aprile 1991), a c. di M. Haines, L. Riccetti, (Harvard University Center, 13) Firenze 1996; B. LEPETIT, C. OLMO (a c. di), La città e le sue storie, Torino 1995, nel quale ultimo sono raccolti contributi di diversi studiosi, incentrati ognuno su aspetti particolari della storia della città: valori immobiliari, usi privilegiati, fiscalità, tipologie edilizie, poteri ed istituzioni; v. inoltre, per il singolare approccio alla città antica, A. USTARROZ, La leccion de las ruinas, Barcelona 1997, nel quale la città, sede di vestigia, fa solo da sfondo all’oggetto dello studio: le rovine e la loro secolare influenza esercitata sull’opera architettonica e sulla modificazione della città stessa 3 Per le proposte e le diverse posizioni cfr. Roma: continuità dell’antico. I Fori Imperiali nel progetto della città, Roma 1981; Archéologie et projet urbain, Catalogo della mostra (Paris, Lille, Rome, Strasbourg, Marseille, Nimes, Lyon, Luxenbourg, Reims, Montpellier, 1985-1987), a c. di J. Scheid et alii, Roma 1985 4 Cfr. G. VANNINI, Archeologia urbana e recupero dei centri antichi: due aspetti di uno stesso problema, in Tra storia e urbanistica, Atti del Conv. Naz. sul recupero del centro storico di Salerno (Salerno 30 Ottobre 1987), Salerno 1988, pp. 17-44; per la mostra - proposta Divenire nascosto, svoltasi nel periodo 15 Luglio-30 Agosto 1994 nei saloni di Via S. Benedetto annessi al Museo Archeologico Provinciale, v. la pubblicazione di alcuni contributi, presentati nelle singole sezioni tematiche, da parte dei rispettivi curatori: S. VITOLO, Aspetti e problemi dell’architettura medievale del salernitano,in «APOLLO. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano», X, (1994), pp. 59-89; L. MAURO, E. AULETTA, Il giardino a Salerno: alla ricerca del genius loci, ibid., pp. 103-114; F. CIFELLI, U. SANTORO, Il centro antico di Salerno attraverso l’analisi dell’ambiente fisico, in «APOLLO. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano», XI, (1995), pp.102-115

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Ciò che accomuna la gran parte di tali pur numerosi momenti di incontro e di discussione è

che, man mano, è venuta meno una delle premesse ritenuta culturalmente fondativa, e

cioè che la questione dei Centri Storici doveva rappresentare innanzitutto una occasione

di studio della città – studio fondato su ricerche originali tanto sulle fonti scritte che su

quelle materiali – e che come tale dovesse essere costituito anche come quadro organico

preliminare ad ogni atto pianificatorio e come strumento-guida degli interventi futuri.

Il dibattito di quarant’anni fa ha avuto incubazione in un definito ambiente culturale,

caratterizzato da una generale vivacità intellettuale e dalla partecipazione attiva

dell’opinione pubblica. In tale contesto il confronto precipuamente storiografico si veniva

realizzando sullo sfondo di un panorama di grande attenzione ai fenomeni sociali, di

sperimentazione metodologica attraverso nuovi modelli analitici settoriali, di rivalutazione

di fonti, in particolare quelle materiali, prima poco considerate.

Tutto ciò traeva spunto e alimento da varie concomitanze. Per molto tempo, forse troppo, il

dibattito storiografico sulla città si era fermato sulle ricerche e sulle posizioni di pochi

studiosi di inizio Novecento5. Inoltre la ricostruzione postbellica e la ripresa economica

provocavano imponenti fenomeni di squilibrio insediativo e quindi sociale nelle più

industrializzate regioni del Nord Italia6, focalizzando proprio sui problemi della città un

interesse diffuso.

Si delineano tesi interpretative riguardo al rapporto tra città antica e città moderna

divergenti, segnando uno spartiacque tra gli studiosi che durerà per decenni7, così

varando alcuni dei luoghi comuni storiografici che fino ai giorni nostri percorreranno, più o

meno silenti, il piano del dibattito tra continuisti e discontinuisti. Agli studi del Pirenne8, fin

troppo noti e dibattuti per essere qui discussi, al di là dell’essere unilaterali nella posizione

5 G. MENGOZZI, La città italiana nell’Alto Medioevo, Roma 1914; F. SCHNEIDER, Die Reichsverwaltung in Toscana von der Grundung des langobardenreiches bis zum Ausgang der Staufen (568-1268), Rom 1914; ID., Die Entstehung von Burg und Landgemeinde in Italien, Berlin 1924 6 Tra il 1951 e il 1971 i dati ISTAT registrano flussi di migrazione interna per oltre 28 milioni di trasferimenti di residenza,dei quali il 70% sono assorbiti da Lombardia, Piemonte, Liguria e da Roma. Recentemente la SIDES, Società Italiana di Demografia Storica, ha raccolto i contributi presentati al II Congresso Internazionale di Demografia Storica, svoltosi a Savona nel Novembre 1992, nei quali la fenomenologia è ampiamente storicizzata. Cfr. Disuguaglianze. Stratificazione e mobilità sociale nelle popolazioni italiane (dal sec. XIV agli inizi del sec. XX), a c. di C.A. Corsini, 2 voll., Bologna 1997 7 Cesare De Seta ancora nel 1985 sente la necessità di richiamare i problemi di periodizzazione di lungo periodo delle forme insediative in riferimento alla «dicotomia continuità / discontinuità»: C. DE SETA, Resistenze e permanenze delle strutture territoriali: questioni di dettaglio sulla lunga durata, in Storia d’Italia. Annali 8. Insediamenti e territorio, a c. di C. De Seta, Torino 1985, pp. XVII-XXXIII; cit. a p. XX. Nella mai sopita disputa si sono inseriti nell’ultimo decennio i numerosi dati provenienti da sistematiche campagne di scavo urbano, attraverso i quali si è pervenuti ad una lettura molto precisa delle fenomenologie caratterizzanti le specifiche realtà. Ma si è anche giunti a stabilire, per ora limitatamente all’Italia centro-settentrionale, che i modelli interpretativi sui quali vi è maggiore accordo, proprio grazie a queste letture molto precise, hanno un grado di generalizzabilità più ristretto rispetto a quanto prima ritenuto, e, soprattutto, rispetto all’ampiezza dei contesti geografici. Ad es. v. P. GALETTI, Una campagna e la sua città. Piacenza e territorio nei secoli VIII-X, Bologna 1994 e ID., Abitare nel Medioevo. Forme e vicende dell’insediamento rurale nell’Italia altomedievale, Firenze 1997 8 H. PIRENNE, Les villes du Moyen Age, Bruxelles 1927 (ed. it. Bari 1971) e ID., Mahomet et Charlemagne, Bruxelles 1937 (ed. it. Bari 1939)

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discontinuista perché sostanzialmente “studi a tesi”, bisogna comunque riconoscere alcuni

meriti. Innanzi tutto lo storico belga ha allargato l’ambito geografico a scala continentale,

inoltre ha arricchito l’analisi dell’urbanesimo medievale affiancando alle problematiche

giuridico-istituzionali altri temi come il commercio e l’economia, le componenti linguistiche

e sociali, il confronto tra religioni, la politica vescovile sul territorio. Certamente la storia qui

praticata per macrofenomeni, per ampie sintesi, ma senza il conforto di sufficienti dati ha

portato ad eccessive semplificazioni o a grossolani errori interpretativi. In Italia nel 1953 è

stato Cinzio Violante il primo studioso a misurarsi con le tesi del Pirenne nel noto studio

sulla società precomunale milanese9. Il panorama urbano e umano che ne risulta è in tutto

diverso dal disegno pirenneiano. Milano appare nei secoli IX e X un centro in espansione,

in un ambiente padano nel quale, da Pavia a Venezia, si aprono nuove vie al commercio

internazionale, in un contesto mediterraneo dove la penetrazione islamica non interrompe

la continuità di scambi. Questi piuttosto, dal modello di commercio lineare evolvono verso

quello di commercio circolare. Peraltro le città con i loro abitanti vengono trattate dallo

storico belga come semplici fondali scenici. La fisionomia di strade, piazze, mercati, le

fortificazioni, le relazioni dei gruppi sociali, come gli oggetti del quotidiano e i beni delle

transazioni commerciali restano nell’ombra, indefiniti, al punto che lo stesso Ovidio

Capitani, curatore dell’edizione italiana del volume del 1927, si chiederà: «Che cosa sono

allora queste città altomedievali, se non il trionfo dell’anonimato sociale?».

E’ sulla necessità di immettere nel dibattito storiografico proprio queste componenti

rimaste in ombra che si esprimono il Duprè Thesaider ed il Bognetti nel 1958, in occasione

della VI settimana di Spoleto10, avanzando considerazioni, per molti versi, precorritrici, che

vanno nella direzione dell’indagine della « città di pietra », delle « strade, piazze, zone di

verde», del «livello del suolo cittadino». E’ verso queste aperture che, progressivamente, il

confronto interdisciplinare si orienterà nei primi anni Settanta.

Nel 1961, anno del censimento che registra, nel decennio trascorso, un incremento della

popolazione di più di 2.700.000 abitanti, anno nel quale il Ministro dei Lavori Pubblici

Zaccagnini pone mano alla nuova legge urbanistica in un ambiente sociale agitato per la

scottante “questione della casa” e per la scandalosa pressione delle forze speculative

9 C. VIOLANTE, La società milanese nell’età precomunale, Roma 1953 (rist. Roma-Bari 1974). Il Violante ha recentemente dedicato uno studio di valutazione retrospettiva alla vicenda umana e storiografica del Pirenne, cfr. C. VIOLANTE, La fine della “grande illusione”. Uno storico europeo tra guerra e dopoguerra, Henri Pirenne (1914-1923). Per una rilettura della “Histoire de l’Europe”, (Monografie dell’Istituto Storico Italo-Germanico in Trento, 31) Bologna 1997. Da ultimo cfr. M.TANGHERONI, Fonti e problemi della storia del commercio mediterraneo nei secoli XI- XIV, in Ceramiche, città e commerci nell’Italia tardo-medievale, Atti del Convegno (Ravello 3-4 maggio 1993), a c. di S. Gelichi, (Documenti di archeologia, 12), Mantova 1998, pp. 11-22, in particolare p. 13 10 E. DUPRÈ THESAIDER, Problemi della città nell’alto medioevo, (pp.15-46), G.P. BOGNETTI, Problemi di metodo e oggetti di studio nella storia delle città italiane dell’alto medioevo, (pp.59-87), in La città nell’alto medioevo, Sett. di studio del CISAM, VI, (Spoleto 1958), Spoleto 1959

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sull’attività edilizia dei principali centri, viene fondata a Gubbio l’ANCSA, Associazione

Nazionale Centri Storico-Artistici, per la forte azione di Giovanni Astengo, un insigne

urbanista attento ai valori storici. Nel 1962 l’associazione Italia Nostra11, organizza a Roma

il convegno “Conservazione e vitalità dei centri storici” le cui denunce e conclusioni

registreranno un vasto consenso su tutti gli organi di stampa, dimostrando che per la

prima volta gli italiani, fino allora protesi alla conquista del benessere, mostravano

interesse per i temi della “qualità” dello sviluppo. Nel 1963 a Bruxelles prende avvio la

pubblicazione delle rassegne annuali della “Commission Internationale pour l’histoire des

villes” sul periodico «Cahiers Bruxellois», attraverso le quali si rendono disponibili i più

vasti repertori bibliografici mai compilati sul tema della storia della città12.Nell’aprile 1964

viene istituita dal Ministero della Pubblica Istruzione la commissione parlamentare

d’indagine “Franceschini” che sarà seguita, nell’aprile 1968 e nel marzo 1971,

dall’insediamento delle due commissioni “Papaldo”, le conclusioni delle quali costituiranno

l’istruttoria sulla quale Giovanni Spadolini giungerà nel Dicembre 1974 alla costituzione del

nuovo Ministero per i Beni Culturali e Ambientali13. Sempre nel 1964, al secondo

congresso internazionale degli architetti e tecnici dei monumenti, svoltosi a Venezia, viene

costituito l’ ICOMOS, International Council of Monuments and Sites, e viene approvata la

cosiddetta “Carta di Venezia”, la carta Internazionale per la conservazione ed il restauro

dei monumenti e dei siti14. Il 1968 è l’anno del terremoto del Belice, ma anche l’anno nel

quale Manfredo Tafuri pubblica Teoria e Storia dell’architettura e nel quale Gianfranco

Caniggia avvia lo studio della città murata di Como con una metodologia che, per la prima

volta in Italia e ben prima dell’affermarsi dell’archeologia medievale nelle indagini di

contesti urbani, cerca di sposare i metodi della topografia storica con la lettura tipologica

dell’edificato medievale, sulla base di un'attenta ricerca storica15. E’ l’anno della

11 E’ il caso di ricordare che tra le principali preoccupazioni dei sette intellettuali firmatari dell’atto costitutivo di “ItaliaNostra” il 29 Ottobre 1955, tra i quali Umberto Zanotti Bianco, Giorgio Bassani, Elena Croce, vi era una assurda proposta progettuale del Comune di Roma per la nuova viabilità il cui esito sarebbe stato lo sventramento di una vasta area tra il Tevere e Piazza di Spagna. Una delle innumerevoli proposte di disinvolta prassi urbanistica nel novero di quello che più tardi Antonio Cederna definirà il “Sacco di Roma”, cfr. A. CEDERNA, I vandali in casa, Roma-Bari 1956 e id., Mirabilia Urbis, Torino 196512 Nello stesso anno anche in Italia esce un primo tentativo di raccolta sistematica: M. MORINI, Atlante di storia dell’urbanistica, Milano 1963, nel quale però le notevoli semplificazioni, specchio dell’approccio tipologista allora molto in voga tra architetti e ingegneri, porteranno storici come Gina Fasoli e storici dell’architettura come Vittorio Franchetti Pardo a espressioni radicalmente dissenzienti 13 Cfr. A. EMILIANI, Una politica dei Beni Culturali, Torino 1974; S. CASSESE, I Beni Culturali da Bottai a Spadolini, in «Rassegna degli Archivi di Stato», XXXV, 1-3, (1975), p. 116; Ricerca sui Beni Culturali, (pubbl. della Camera dei Deputati), introduzione di M. S. Giannini, 2 voll., Roma 1975; G. SPADOLINI, Beni Culturali. Diario, interventi, leggi, Firenze 1976; I Beni Culturali dall’istituzione del ministero ai decreti delegati, (pubbl. del Min. BB. CC. AA.), introduzione di G. Spadolini, Roma 1976. Negli stessi anni Renato Bonelli per le pagine di Enciclopedia ’75, dell’Istituto Treccani, elaborava il fondamentale saggio La cultura italiana e la tutela dei centri storici. Per una più ampia valutazione v. L. BOBBIO (a c. di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna 1992; 14 Sul valore e sull’influenza avuti da questo documento v. La Carta di Venezia trenta anni dopo, «Restauro», XXIV, 131-132, (1995) 15 Cfr. G. CANIGGIA, La città murata di Como, Como 1970 e id. Strutture dello spazio antropico, Firenze 1976

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contestazione studentesca nelle università, che si manifesta particolarmente violenta

proprio nelle Facoltà di Architettura a causa di un vizio genetico, cioè il loro essere

modellate sulle vecchie accademie. Gli studenti avvertivano lo scollamento esistente tra gli

insegnamenti tecnici e quelli storici, peraltro evidenziato da una chiara contrapposizione in

seno al corpo docente. Scollamento che sottendeva una ben più grave frattura di indirizzo

metodologico nell’impostazione didattica: la “composizione”, cioè la formalizzazione

progettuale, risultava l’obiettivo primario, mentre la conoscenza uno strumento secondario.

Tutto ciò in un momento della nazione dove lo sforzo della ricostruzione mostrava tutte le

sue storture, e dove la conoscenza e la salvaguardia delle città storiche diveniva

argomento centrale dell’opinione pubblica. Le cause principali erano state individuate da

Renato Bonelli già un lustro prima, durante un’inchiesta condotta da Piero Pierotti per la

costituzione di una Facoltà di Architettura presso l’ateneo pisano. Lo storico

dell’architettura così si esprime sul “ vizio genetico”: « Questo deriva – è noto – dal modo

col quale queste Facoltà sono state fondate, nel 1920 circa, chiamando ad insegnarvi dei

grossi professionisti (culturalmente impreparati, digiuni di cultura storico-critica) i quali

hanno perpetuato il sistema, da allora, chiamando sempre altri come loro. Ancora oggi, a

quaranta anni di distanza, i concorsi per le cattedre delle materie “compositive” (che sono i

quattro quinti dei concorsi banditi) sono vinti da professionisti culturalmente analfabeti,

assolutamente impreparati ed incapaci dell’insegnamento universitario. Noi docenti delle

materie storiche ci troviamo isolati ed in grande disagio in questo ambiente da scuola

media professionale. Carenza organica, quindi, didattica, scientifica, culturale e

metodologica; mancanza di uomini e regime di mafia, che riesce a mantenere il

predominio di interessi professionali calpestando ed ignorando quelli della cultura»16.

Nello stesso tempo dopo la disastrosa alluvione di Firenze del 1966 e il continuo

aggravarsi del fenomeno dell’acqua alta a Venezia, venivano crescendo le

preoccupazione di storici dell’arte, restauratori, tecnici e intellettuali per le sorti delle città

d’arte il cui patrimonio appariva sempre più gravemente danneggiato dai fenomeni di

inquinamento ambientale. Il grado di arretratezza della comunità scientifica italiana rispetto

ai problemi del degrado delle opere d’arte e della città, ma anche la spinta a recuperare i

vuoti di conoscenza e di sperimentazione sono fedelmente registrati nella presentazione di

Cesare Gnudi alla mostra-convegno “Sculture all’aperto. Degradazione dei materiali e

16 Da una lettera del 13 Marzo 1963, da Roma, cit. da P. PIEROTTI, Gli studi di storia urbanistica nell’ambito delle discipline storico-architettoniche e storico-artistiche in Italia durante il secondo dopoguerra, in La storiografia urbanistica,Atti del 1° Convegno Internazionale di Storia Urbanistica Gli studi di Storia Urbanistica: confronto di metodologie e risultati (Lucca 24-28/9/75), a c. di R. Martinelli, L. Nuti, Lucca 1976, pp. 104-123; cit. a pp. 105-106

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problemi conservativi”, svoltasi a Bologna nel Giugno 196917. Intanto nel 1965 usciva per i

tipi dell’editore Einaudi la raccolta di saggi di Giuseppe Galasso Mezzogiorno medievale e

moderno nella quale spicca Le città campane nell’alto medioevo, saggio fondamentale per

avviare il discorso sulle peculiarità dell’evoluzione della vita urbana nel Mezzogiorno al

decadere dell’urbanesimo antico, sviluppato in una prospettiva storiografica innovativa, al

di là degli schemi del Pirenne, e nel quale non è difficile scorgere i riflessi della

partecipazione dell’A. al confronto politico-culturale che si andava svolgendo in quegli anni

dalle pagine di «Nord e Sud» sotto la guida di Francesco Compagna.

E’ questo un periodo particolarmente fecondo anche per l’attenzione portata dagli storici ai

risultati di altre discipline come l’archeologia, la geografia, l’antropologia. « Fu infatti Gian

Piero Bognetti che in un articolo comparso nel 1964 su I rapporti pratici tra storia e

archeologia pose con forza il problema del rapporto organico fra le due aree di ricerca

sottolineando fin dall’apertura del saggio che l’operare dell’archeologo presuppone un

corredo talvolta assai raffinato di nozioni storiche e aggiungeva che è di per sé, un

problema “storico” quello che spinge all’indagine archeologica; ed è la consapevolezza

storica che fornisce, nella più parte dei casi, i principali criteri per la valutazione di quanto

viene scoperto dall’archeologo. E Bognetti parlava facendo riferimento ad una esperienza

che lo aveva visto protagonista: egli infatti, che già fra le due guerre aveva individuato i

resti di Castelseprio (Varese), la cui rilevanza per la conoscenza dell’ Altomedioevo è

divenuta paradigmatica, si era fatto promotore di campagne di scavo nel sito

dell’insediamento medievale utilizzando una équipe di archeologi dell’ “Istituto di Storia

della Cultura Materiale” e aveva intrapreso, con lo stesso gruppo di studiosi, le ricerche

sulle origini di Venezia impiantando un cantiere a Torcello»18. Il “Centro Italiano di Studi

sull’Alto Medioevo” di Spoleto, che già aveva dedicato nel 1958 la VI settimana di studio al

tema La città nell’Alto Medioevo19, si costituiva tra i promotori degli scavi nell’insediamento

altomedievale di Invillino (Udine), nella valle del Tagliamento, diretti tra il 1962 e il 1965 da

Joachim Werner, direttore dell’Istituto di Preistoria dell’Università di Monaco. Michelangelo

Cagiano de Azevedo, dopo un voto unanime formulato nel 1965 alla XIII settimana di

17 Questo evento rappresenterà un punto di svolta in seguito al quale anche istituzioni internazionali come l’UNESCO, la Guggenheim Foundation, il J. Paul Getty Trust saranno attivamente partecipi del dibattito e, soprattutto, si proporranno in un’azione di sostegno economico e tecnico in molti progetti ed interventi restaurativi. Inoltre da Bologna nasceranno per gemmazione numerosi appuntamenti congressuali che cadenzeranno in poco più di un lustro l’inversione di tendenza, verso il segno positivo, nell’avanzamento delle ricerche italiane. Cfr. Problemi di conservazione, a c. di G. Urbani, Bologna 1973, The conservation of stone, Proceedings of the International Symposium (Bologna 19-21/6/75), Bologna 1975 18 R. FRANCOVICH, Premessa a Archeologia e Storia del Medioevo Italiano, a c. di R. Francovich, Roma 1987, pp. 9-20; cit. a p. 11 19 Continuando poi nel ’73: Topografia urbana e vita cittadina nell’alto Medioevo in Occidente, Sett. di st. del CISAM, XXI, (Spoleto 26/4 -1/5 / 1973), 2 voll., Spoleto 1974

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Spoleto, nel 1966 fece istituire la prima cattedra universitaria di Archeologia Medievale e

ne svolse il primo corso presso la Cattolica di Milano. A Genova ed a Pavia, attraverso

percorsi diversi, germinarono i primi approcci all’analisi diacronica della città storica

attraverso l’ausilio sistematico di saggi stratigrafici. A Genova Tiziano Mannoni, il più

brillante tirocinante dell’ “Istituto di Studi Liguri” diretto da Nino Lamboglia, già dal 1960

mette a punto, lentamente, un metodo di esplorazione del territorio urbano ed extraurbano

articolato attraverso numerosi saggi archeologici, spesso di piccola estensione e in

situazioni di emergenza. «Caratteristica di questa pratica archeologica è stata la tenace

capacità di collocare ogni osservazione, anche minuta, in rapporto con una rete

complessiva di osservazioni e conoscenze che si andavano accumulando, e che

consentiva di valorizzare al massimo dati di scavo in sé limitati e parziali. Inoltre l’ambito

delle ricerche non si arrestava all’alto Medioevo, ma si prolungava perfino al di là degli

stessi limiti convenzionali del Medioevo, seguendo l’evoluzione degli insediamenti fin

dentro l’età moderna. Negli orientamenti del gruppo genovese, il concetto di periodo

medievale tendeva a sfociare in quello di un’età post-classica e preindustriale di cui un

Medioevo prolungato costituiva il baricentro.

Un’altra caratteristica si può segnalare, cioè che la ricerca archeologica era disponibile a

collegarsi con più discipline nell’ambito delle scienze umane, come pure delle scienze

tecnologiche, integrandosi nei loro quadri d’assieme e nella loro problematica. Fra esse

emergono come qualificanti le ricerche di storia urbana genovese condotte attraverso la

ricerca d’archivio e l’analisi topografica e monumentale, e la geografia storica praticata da

Diego Moreno e Massimo Quaini, con i quali il gruppo di archeologi genovesi instaurò una

fruttuosa collaborazione interdisciplinare, che aveva per oggetto la morfologia

dell’insediamento umano nella regione, studiato attraverso la tipologia del presente, e

attraverso lo scavo del passato.»20

20 P. DELOGU, Archeologia medievale, in La storiografia italiana degli ultimi vent’anni, a c. di L. De Rosa, Atti del Convegno della Società degli Storici Italiani (Arezzo 2-6/6/86), 3 voll., I. Antichità e Medioevo, Roma-Bari 1989, pp. 311-332; cit. a pp. 316-317. Sulle prime ricerche in ambito urbano cfr. T. MANNONI, Le ricerche archeologiche nell’area urbana di Genova 1964-1968, in «Bollettino Ligustico», 19, (1967), pp. 9-32. L’approccio omnicomprensivo del Mannoni è programmaticamente esplicitato in T. MANNONI, Archeologia globale a Genova, in «Restauro e Città», 2, (1985), p. 45, ed esemplificato in A. BOATO (et alii), Esperienze di archeologia globale a Genova, in «POLIS. Idee nella città», 4, (1995), pp. 95-103. Già verso la fine degli anni ’60 entrarono in rapporti di collaborazione con i metodi della geografia storica di Diego Moreno, e con l’archeologia praticata da Tiziano Mannoni, altri due studiosi, Ennio Poleggi e Luciano Grossi Bianchi, provenienti dall’ambito storico-architettonico, ma successivamente sempre più impegnati sulle tematiche della storia urbana e del territorio, cfr. E. POLEGGI, T. MANNONI, Ricerche di archeologia medievale urbana a Genova, in «Notiziario di Archeologia Medievale», 5, (genn.1973), pp. 11-19. A loro si devono decine di ricerche su Genova e il territorio costiero ligure, cfr. E. POLEGGI, Strada Nuova. Una lottizzazione del Cinquecento a Genova, Genova 1968; L.GROSSI BIANCHI, E. POLEGGI, Una città portuale del Medioevo: Genova nei secoli X-XVI, Genova 1979; Il porto vecchio di Genova, Catalogo della mostra (Genova 1-15/6/85), a c. di E. Poleggi, L. Stefani, Genova 1985; Città portuali del Mediterraneo, storia e archeologia, Atti del Conv. Intern. (Genova 1985), a c. di E. Poleggi, Genova 1989. Il confluire di queste tante forze culturali ha fatto in modo che, nell’attuale panorama nazionale, Genova divenisse la città meglio scandagliata storiograficamente. Da ultimo v. La città ritrovata. Archeologia urbana a Genova 1984-1994, a c. di P. Melli, Genova 1996

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Negli stessi anni a Pavia Adriano Peroni, allievo d’eccellenza di Edoardo Arslan, nel

mentre avviava un lavoro vasto e pioneristico per la catalogazione dei materiali barbarici

del Museo Civico, svolgeva studi sull’architettura altomedievale lombarda applicando

analisi di tipo archeologico21, trovando, nell’ambiente pavese, un rilevante punto di

riferimento nell’attività di scavo che andava svolgendo l’archeologo medievista inglese

Peter Hudson22.

«Per queste vie divenne possibile un nuovo rapporto con interessi e problematiche

latamente storiografici; di una storiografia legata alle vicende del popolamento, del

rapporto uomo-ambiente, delle condizioni di vita soprattutto nei ceti subalterni, con

scansioni di lungo periodo e con riferimento alle società locali, anziché ai grandi soggetti

politico-culturali. Una storiografia, del resto, che negli anni Sessanta cominciava ad essere

praticata in Italia, per lo più da giovani studiosi, con riferimento agli studi sul paesaggio

agrario e l’insediamento che fiorivano in Francia. Quei ricercatori, sensibilizzati dal

movimento d’opinione già diffuso tra i medievisti, avvertivano l’importanza che la ricerca

archeologica poteva avere per una storia dell’insediamento attenta anche agli aspetti

materiali di esso. L’indagine sui villages désertés che negli stessi anni si sviluppava in

Francia, suscitando nuovi interessi e speranze, aveva sin dalle prime esperienze

teorizzato il ricorso all’archeologia come risorsa irrinunciabile per la conoscenza degli

insediamenti medievali.»23 In definitiva proprio in Francia si avvertiva, prima che in altri

contesti, che l’orizzonte della ricerca storica andava allargato e che attraverso

l’archeologia si sarebbe potuto svincolare, almeno in parte, la storia sociale dal legame di

dipendenza dalla storia economica.24 Anche altri storici italiani, nello stesso torno di tempo,

si mostravano interessati ai nuovi metodi di indagine. A Torino Giovanni Tabacco in un

saggio del 1967 aveva analizzato metodi tradizionali e prospettive dello studio degli

insediamenti anche con riferimento al supporto dell’archeologia.25 Due suoi giovani allievi,

Aldo Settia e Rinaldo Comba, stabilirono dei contatti personali con i ricercatori del gruppo

genovese che portarono a istituire comuni linee di ricerca con scambi metodologici e

21 A. PERONI, Problemi della documentazione urbanistica di Pavia dal Medio Evo all’età moderna, in Atti del Convegno di Studi sul Centro Storico di Pavia, Pavia 1968, pp. 103-110 22 P. HUDSON, Archeologia urbana e programmazione della ricerca: l’esempio di Pavia, Firenze 1981 23 P. DELOGU, Archeologia medievale cit., p. 317 24 Al volume Villages désertés et histoire économique, voluto e coordinato da J. Le Goff, uscito nel 1965 a Parigi, seguì la raccolta di vari autori, di taglio specificamente archeologico, Archéologie du village déserté, Paris 1970. Per gli sviluppi interni al dibattito in Francia, a cavallo fra i due decenni, v. le considerazioni di G. Duby (Le società medievali, Torino 1985, p. 103 e seg.) sull’archeologia medievale agli inizi degli anni ’70. Per meglio focalizzare il particolare rilievo storiografico assunto in Francia dagli studi sulla città, cfr. D. CALABI, Parigi Anni Venti. Marcel Poéte e le origini della storia urbana, Venezia 199725 G. TABACCO, Problemi di popolamento e di insediamento nell’Alto medio Evo, in «Rivista Storica Italiana», 79, (1967), pp. 67-110

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tematici. A Bologna Renato Zangheri avvia studi sistematici sui catasti26. A Firenze Elio

Conti già dai primi anni Sessanta, attraverso i suoi studi sulla struttura agraria del contado

fiorentino, aveva posto il problema di una maggiore correlazione tra ricerca d’archivio e

indagine sul campo, arrivando a prevedere l’allargamento del contesto d’indagine agli

ambiti urbanizzati, e delle metodiche d’indagine allo scavo archeologico27. Un suo allievo,

Riccardo Francovich, nei primi anni Settanta si avviava alla ricerca archeologica,

esordendo, sulla falsariga delle ricerche del Conti, con uno studio topografico sui siti

fortificati del contado fiorentino28, e continuando insieme con Guido Vannini attraverso

scavi archeologici a Firenze e a Prato. Com’è evidente risulta un fervore di iniziative,

un’ampliarsi delle prospettive di ricerca, un crescere delle aspettative culturali da parte

degli studiosi più giovani che può far mettere da parte errori di valutazione e

radicalizzazioni di atteggiamenti polemici che, certo, non sono mancati. Ma in definitiva

negli ambienti di ricerca si partecipava alle nuove istanze di ordine sociale emergenti dai

rivolgimenti in atto in tutta la società italiana attraverso la coltivazione di una speranza, e

cioè che fosse possibile fare ricerca storica in modo più completo, rispetto al passato,

senza gerarchie tra le fonti e tra i temi di studio; che fosse possibile analizzare con

completezza oggettiva la configurazione delle società urbanizzate senza disgiungerle

dall’originaria dialettica insediativa del territorio di appartenenza. Ma al volgere di questo

decennio emergono anche voci come quella di Ovidio Capitani che si interrogano con

lucidità, coinvolgendo tutta la comunità degli studiosi, sulle ragioni della crisi

epistemologica e sulla correttezza delle direttrici di ricerca imboccate29 .

Nella prima metà degli anni ’70 in Italia il dibattito sui centri storici, assunto il

superamento da parte degli urbanisti dell’ideologia dell’espansione urbana illimitata, dalle

posizioni di salvaguardia passiva si sposta progressivamente verso una visione più attiva,

che considera l’intera città esistente una risorsa da non sprecare. Pertanto, sia tra gli

urbanisti, sia tra i principali esponenti politici, emerge l’orientamento predominante, ma

non meno distorcente, che vede nel “restauro e riuso” del patrimonio edilizio storico

sottoutilizzato un agente di riequilibrio della perdurante questione della “fame di case”. In

questo clima le posizioni culturali tra interventisti pragmatici e conservazionisti ad oltranza

tendono ad estremizzarsi, mentre nella seconda metà del decennio le leggi di settore

26 Poi raccolti in R. ZANGHERI, Catasti e storia della proprietà terriera, Torino 1980 27 E. CONTI, La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino. I. Le campagne nell’età precomunale,Roma 1965 28 R. FRANCOVICH, I castelli del contado fiorentino nei secoli XII-XIII, Firenze 1973 29 Cfr. O. CAPITANI, Dove va la storiografia medioevale italiana?, in «Studi Medievali» III s., 8, (1967), pp. 617-662 e ID., Crisi epistemologica e crisi di identità: appunti sulla ateoreticità di una medievistica, in «Studi Medievali» III s., 18, (1977), 2, pp. 455-460, ora in ID., Medioevo passato prossimo. Appunti storiografici tra due guerre e molte crisi, Bologna 1979, rispett. pp. 211-269 e pp. 271-356

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emanate (regime dei suoli, equo canone, piano decennale per la casa) raccolgono, anche

se in modo contraddittorio, alcune delle istanze scaturite dal dibattito, con la ferma fiducia

che il «controllo rigoroso della mano pubblica» sarebbe bastato alla regolamentazione

delle dinamiche territoriali30. L’inadeguatezza di questi strumenti legislativi si profila

immediatamente sullo sfondo di un’altra crisi, ben più grave, che è quella degli strumenti di

pianificazione e programmazione; strumenti sui quali, quasi fideisticamente, si erano

appoggiati tutti gli interventi di regolamentazione statale e di assetto urbanistico. Un

evento traumatico come il terremoto dell’Irpinia del 1980 travolgerà in un sol colpo tutta

l’elaborazione culturale e legislativa prodotta fino allora, mettendo a nudo, oltre alle tante

lacune dell’intervento governativo, innanzi tutto la non conoscenza della geografia e della

storia di una vasta regione, conseguenza di decenni di totale abbandono anche da parte

delle istituzioni accademiche, e condizione distintiva di tutte le “aree interne” del

mezzogiorno31.

Nel 1973, a cavallo dell’emanazione della legge speciale per Venezia32, la GESCAL

organizza nella città lagunare il convegno “Aspetti giuridico-amministrativi dell’intervento

pubblico nei centri storici”, durante il quale gli amministratori di undici città illustrano gli

interventi di risanamento e di restauro avviati nei centri storici attraverso il sostegno

finanziario dell’ente promotore. Tra le casistiche presentate compaiono due sole città

meridionali: Molfetta e Palermo. Il Governo per il restauro del centro storico di Ancona,

danneggiato dal terremoto, affida gli studi ad una struttura costituita dal CENSIS, dallo

IUAV dell’Università di Venezia e dalla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Ancona,

inaugurando un indirizzo consultivo-predittivo, rispetto alla ricerca di base nei contesti

urbani storici, per allora inedito, anche se da una siffatta struttura, diversamente dai casi di

Pavia e Bologna, storici e archeologi sono esclusi. Nel 1974 due importanti appuntamenti

segnano, finalmente, l’ingresso delle problematiche delle città del Mezzogiorno nel

dibattito nazionale. L’ANCSA tiene il proprio convegno nazionale il 21 e 22 febbraio a

Salerno sul tema: “I centri storici del mezzogiorno”, ed un convegno regionale l’8 e 9

giugno a Barletta sul tema: “I centri storici della Puglia”. In una fase di stasi economica e di

congiuntura negativa dell’edilizia, a causa della crisi petrolifera scoppiata a livello mondiale

nel ’73, questi incontri fanno venire a galla tutte le contraddizioni intrinseche alla peculiare

strutturazione dell’ “armatura urbana” delle regioni meridionali, ed acquisiscono la

30 Cfr. P.L. RUSSO, Conservazione e Urbanistica nel dibattito parlamentare in Italia (1976-1979), in L’uomo ed i monumenti. Una politica per la vita, «Restauro», XXV, 136-137, (1996), pp.111-137 31 Cfr. Situazioni, problemi e prospettive dell’area più colpita dal terremoto del 23 novembre 1980, (Università degli Studi di Napoli, Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno, Portici), Torino 1981 32 L. 16 Aprile 1973, n°171, Interventi per la salvaguardia di Venezia

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necessità di non generalizzare l’applicabilità degli strumenti e dei modelli interpretativi fino

allora elaborati in quanto, in gran parte, basati su casistiche dell’Italia centrosettentrionale

e, quindi, storicamente poco confrontabili. Nel 1975 si svolge a Lucca quello che per gli

studiosi della città storica risulterà il più importante incontro del decennio, il 1° Convegno

Internazionale di Storia Urbanistica “Gli studi di Storia Urbanistica: confronto di

metodologie e risultati”33. La partecipazione di trentanove relatori specialisti, tra cui cinque

accademici stranieri, e la rappresentanza ampiamente interdisciplinare, rende conto dello

sforzo programmatico di apertura culturale compiuto. La relazione di Gina Fasoli in

apertura della sessione Storia urbanistica e discipline medievistiche è emblematica dello

stato degli studi e dei problemi da superare, riflettendo con chiarezza, peraltro, la generale

vicenda politico-culturale che l’Italia stava attraversando: «quando gli storici si occupano

più specificamente degli sviluppi dell’insediamento urbano, in relazione a quel fenomeno

ricorrente nel volgere dei secoli che è l’urbanesimo, fanno anch’essi storia urbanistica. Fra

la storia urbanistica degli storici e quella degli urbanisti si sono però manifestate e si

manifestano delle notevoli differenze per finalità, metodo e tono. La storia urbanistica degli

urbanisti ha come suo compito individuare quelle linee di tendenza che si sono definite nel

corso dei secoli e che incontrandosi con le nuove esigenze vitali della collettività umana

costituiscono la materia viva in cui deve inserirsi – tenendo conto delle une e delle altre –

qualsiasi programmazione che voglia essere organica e vitale, che non voglia essere una

sopraffazione violenta e distruttiva.

La storia urbana degli storici ha la sua finalità in se stessa: una finalità puramente

scientifica, rivolta a chiarire dove e come vivevano gli uomini del passato ed in quale

misura, in quale direzione, questo come e questo dove ne condizionavano il modo di

agire, di essere, di pensare, di sentire ed al tempo stesso come questo modo di agire, di

essere, di pensare, di sentire modificava l’ambiente. La storia urbanistica degli storici

è disancorata da ogni finalità pratica e operativa immediata, sebbene gli storici siano

convinti che le loro ricerche, anche quando si rivolgono ad un passato molto remoto,

giovano a mettere a fuoco i presupposti logici e materiali delle attività di oggi e di domani e

molto volenterosamente hanno – per esempio – dato il loro contributo alle indagini

richieste dai problemi della difesa dei centri storici. Gli storici lavorano con un metodo ben

preciso: fondano le loro indagini sulla documentazione scritta, cronache, documenti

d’archivio, iscrizioni, opere letterarie – minuziosamente raccolta ed analizzata, anche se

33 Cfr. La storiografia urbanistica…cit.; il convegno e gli atti sono frutto dell’attività del CISCU, Centro Internazionale per lo Studio delle Cerchia Urbane, costituitosi a Lucca nel 1967

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sempre più frequentemente ricorrono ad altri tipi di fonti, cioè ai dati offerti dalla linguistica,

dalla toponomastica, dalle tradizioni popolari e religiose e sempre più attentamente

considerano quelli che con espressione di comodo – in qualche caso un po’…irriverente –

possiamo indicare, tanto per intenderci, come avanzi manufatti, compresi gli aspetti

morfologici dei centri maggiori e minori, così come sono ora nella loro realtà pittoresca o

squallida, umile o monumentale, e come ce li mostrano antiche piante topografiche, antichi

disegni planimetrici o prospettici, come ce li presentano scavi e rinvenimenti archeologici.

[…] Gli storici si astengono però da quelle vaste panoramiche diacroniche che affascinano

gli urbanisti, i quali spaziano dall’antichità – addirittura dalla preistoria – ai nostri giorni,

sintetizzando letture storiche vaste e per lo più – ma non sempre – ben scelte e tuttavia

disparate, perché ogni autore, ogni studio storico, ha una sua problematica e si vale – per

necessità di cose – di quei tipi di fonte che ha a disposizione e derivarne un discorso

unitario è molto difficile, come sa chi tenta di fare storia comparata, se non conosce

direttamente la documentazione su cui sono fondate le varie ricostruzioni storiche. Gli

urbanisti […] non possono fare certe verifiche […] e le loro sintetizzazioni finiscono non di

rado per essere delle rielaborazioni puramente logiche, condotte sulle parole altrui; sono

assai spesso rielaborazioni ideologiche, e anacronisticamente polemiche, in quanto

prescindono da certi principi metodologici che per gli storici sono essenziali ed

imprescindibili». La studiosa così conclude il suo intervento, prefigurando alcune delle più

importanti linee di ricerche seguite negli anni a venire: « Si è constatato che nel

considerare i rapporti fra le città e le campagne non ci si è mai preoccupati molto

dell’azione delle città o delle autorità dominanti per aprire strade, costruire ponti, scavare

canali navigabili, realizzare bonifiche, regolare il disboscamento e il rimboschimento,

regolamentare la produzione agricola e via di seguito. Si è parlato e si parla molto

dell'inurbamento del contado, ma non si è mai parlato molto delle multiformi operazioni

finanziarie dei cittadini danarosi nei centri minori e nel contado. L’evoluzione storica

dell’artigianato rurale non ha mai attirato molta attenzione, mentre la storia dell’agricoltura

e dell’agronomia hanno prodotto saggi eccellenti, di valore esemplare. Parallelamente, le

ricerche sul popolamento e gli insediamenti medievali sono di grande attualità: ricerche

rivolte ad individuare anche gli spostamenti delle pievi rurali, l’abbandono di vecchie sedi e

la formazione di nuove, tentando di rintracciarne le motivazioni, al di là dei dati

archeologici. Le ricerche sui villaggi abbandonati stanno affascinando un po’ tutti, in tutti i

paesi d’Europa e coinvolgono storici, storici dell’economia e dell’agricoltura, aerofotografi,

archeologi, linguisti specializzati in dialettologia e toponomastica, studiosi di tradizioni

popolari, e molti altri, sulla base di una metodologia sempre più rigorosa e controllata. La

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stessa collaborazione di discipline diverse esige del resto…lo studio dei villaggi sempre

abitati, la cui continuità è sotto tutti i punti di vista un fatto storico di primaria importanza.

Allo stesso modo, gli studi sulle case rurali, superando la fase puramente descrittiva da cui

sono partiti, mirano a spiegare storicamente ubicazione e caratteri edilizi, inserendoli nella

storia agraria locale, considerata in tutta la sua multilaterale dimensione. Da tutto questo

lavorìo, fatto e da fare, scaturiscono però dei problemi storiografici piuttosto seri. La

distinzione dei campi di lavoro delle discipline tradizionali va progressivamente svanendo; i

diaframmi si sgretolano irresistibilmente; può essere un progresso, purché non venga

meno il rigore del metodo e purchè l’interdisciplinarità, che è approccio ad uno stesso

tema con tecniche diverse, in prospettive diverse, sia praticata per quello che deve essere

e non si risolva nella repentina improvvisazione di una competenza immaginaria. Ma al

tempo stesso le ricerche tendono a diventare capillari, a dilatarsi in centinaia di pagine per

centri piccolissimi, per aree ristrettissime ed assumono caso per caso angolature

ovviamente diverse, in relazione anche alla documentazione disponibile: nella loro

pluralità, queste ricerche sono storiograficamente un progresso, in quanto mettono in

evidenza la complessità, la varietà delle situazioni che si sono verificate nelle nostre

campagne nel corso dei secoli e che non possono essere assimilate le une alle altre, o

essere assunte come paradigmatiche, senza una previa, minuziosa verifica. Ne deriva

però il dubbio che si debba rinunciare a tentativi di ricostruzione unitaria, tenendo conto di

tutto, analogie e diversità, ricollegando il tutto a quei poli di azione e di attrazione che nel

corso dei secoli e dei millenni sono state le città, da cui è partito il nostro discorso. Così il

particolarismo storico sembra doversi risolvere in particolarismo storiografico. E’ un’

impasse da cui si vedrà forse come poter uscire quando gli studi sui centri minori e

sull’assetto dei territori rurali avranno più compiutamente dispiegato le loro possibilità e

tutto questo avrà il suo riflesso sulla storia urbana e sulla storia urbanistica, come la

intendono un certo numero di storici di mestiere».

In questo decennio si assiste alle prime forme di sistematizzazione delle nuove direttrici di

ricerca. In un fondamentale numero di «Quaderni Storici», dal titolo Archeologia e

Geografia del popolamento34, per la prima volta, assumevano compiutamente fisionomia

gli intendimenti e i programmi di ricerca interdisciplinare dei giovani ricercatori genovesi,

fiorentini, torinesi; questi stessi nel 1974 fondano la rivista «Archeologia Medievale» sulla

quale il sottotitolo «Cultura materiale, insediamento, territorio» definisce il campo di azione

caratterizzante la nuova disciplina. Anche al Sud le nuove direttrici di ricerca, attraverso

34 Archeologia e geografia del popolamento, «Quaderni Storici», VIII, 24, (Sett.-Dic. 1973)

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esperienze diverse, approdano alla istituzionalizzazione di eventi e strutture. A Bari il 28 e

29 Maggio 1973 si svolgono le prime giornate normanno-sveve, dando così concreto avvio

alle attività dell’omonimo centro di studi, costituito dal locale Ateneo già da un decennio.

L’iniziale impostazione metodologica, orientata all’analisi spazio-temporale lungo la

scansione segnata nel tempo da sovrani, governi, vicende istituzionali, ha via via lasciato

posto, come peraltro ha sottolineato di recente Salvatore Tramontana, a un preciso

interesse per l’analisi dell’interazione tra uomo e ambiente, per «i nessi tra gruppi umani e

territorio nel Mezzogiorno italiano e in Sicilia»35. Intanto nel periodo 1970-1982 si assiste

ad un cospicuo ampliarsi del sistema universitario meridionale con la creazione di quattro

nuove università: Calabria (1970), Basilicata (1982), Reggio Calabria (1982), Molise

(1982), e con la statizzazione, sempre nel 1982, di quella di Cassino e del complesso delle

università abruzzesi. L’ingresso di queste nuove sedi di ricerca, nel campo degli studi

medievistici, ha certamente segnato un arricchimento delle tematiche ed un maggiore

radicamento al territorio, liberando risorse fino allora vincolate dal ruolo centripeto

dell’ateneo federiciano di Napoli rimasto, fino al 1923, l’unica università del Meridione

continentale. L’azione lungimirante di alcuni storici come Carmelo Trasselli in Sicilia,

Nicola Cilento a Salerno, Benedetto Vetere e Ovidio Capitani nel Salento, Cosimo

Damiano Fonseca in Basilicata e Puglia, si fa creatrice di alcune iniziative fondamentali

per lo studio degli insediamenti medievali sulla base dei nuovi presupposti culturali e

metodologici, e per la creazione di strutture stabili di ricerca specializzata36. Di queste

nuove iniziative e dei risvolti disciplinari nell’ambito del dibattito storiografico Mario Del

Treppo traccia un profilo con luci e ombre nel 197737.

35 S. TRAMONTANA, Il Regno di Sicilia. Uomo e natura dall’ XI al XIII secolo, Torino 1999; cit. a p. XI 36 Carmelo Trasselli è il promotore delle campagne di scavo a Brucato, realizzate nei primi anni ’70 con una equipe di archeologi francesi diretta da J.M. Pesez, sotto gli auspici dell’ “Ecole Francaise de Rome”, (Histoire et archéologie d’un habitat médiéval en Sicilie, ed. p. J. M. Pesez, 2 voll., Rome 1984). Nicola Cilento tra il ’72 ed il ’76 si fa infaticabile ideatore di iniziative, volte all’analisi degli insediamenti medievali della Campania meridionale. Verso la fine del ’72 costituisce un’apposita struttura accademica: il “Centro per l’Archeologia Medievale”, la cui iniziale attività sarà presentata a Salerno nel 1975 nella mostra Medioevo scavato. Il “Centro” ancora oggi, sotto la direzione dell’archeologo Paolo Peduto, resta un polo qualificante dell’ateneo salernitano. Nel Settembre 1973, insieme a Witold Hensel e al gruppo di archeologi dell’Accademia Polacca delle Scienze di Varsavia, diretto da S. Tabaczynski, il Cilento avvia le campagne di scavo nel sito abbandonato di Capaccio Vecchia, nell’entroterra di Paestum, (cfr., Caputaquis medievale, I, Salerno 1976 e Caputaquis medievale, II, Napoli 1984). Dal Dicembre 1973 promuove vari incontri e costituisce il “Centro studi per i nuclei antichi e documenti artistici della Campania meridionale – Salerno – Avellino - Benevento”, il quale pubblicherà il «Bollettino di storia dell’arte»: v. Origine e strutture delle città medievali campane. Metodi e problemi,Atti del colloquio italo-polacco (Salerno 10/12/73), in «Bollettino di storia dell’arte», 2, (Gen.-Apr.1974). Benedetto Vetere e Ovidio Capitani, dopo una proficua collaborazione nell’Ateneo leccese, fondano a Nardò, verso la fine del ’75, il “Centro Salentino di Studi Medievali” sulla base di un programma aperto agli apporti interdisciplinari. Infatti frutto di una ricerca coordinata tra storici e architetti è il volume: Insediamenti rurali e strutture territoriali nel Neritino, Galatina 1976. C.D. Fonseca nel periodo 1971-1981, attraverso ben sette convegni internazionali, si fa promotore dell’interpretazione, approfondita in tutti i suoi aspetti, della civiltà rupestre medievale nel Mezzogiorno 37 Cfr. M. DEL TREPPO, Medioevo e Mezzogiorno: appunti per un bilancio storiografico, proposte per una interpretazione,in G. ROSSETTI (a c. di), Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, (Istituzioni e società nella storia d’Italia, I), Bologna 1977, pp. 249-284

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La svolta del decennio si apre per l’Italia in un momento di crisi generale. Nel 1981 la

divisa nazionale viene svalutata del 6% rispetto alle monete dello SME. Il censimento

propone dati dalla lettura alquanto contraddittoria. Se da una parte si registra che la

crescita demografica è fortemente rallentata, come pure la perdita di superficie agricola

utilizzata, dall’altra si osserva che in dieci anni le famiglie che coabitano sono aumentate

di un milione, pur essendo cresciuto considerevolmente il totale delle stanze d’abitazione.

Lo scandalo della gestione legislativa dell’edilizia è tutto in questo raffronto: Il totale delle

abitazioni (21.853.000) è cresciuto del 25,3%, ma il totale delle abitazioni non occupate

(4.343.000) è cresciuto del 103,1%.Il seminario “Bilancio e prospettive per il riuso dei

centri storici: oltre il recupero del patrimonio edilizio esistente”, organizzato dalla Regione

Umbria e dall’ ANCSA a Gubbio dal 23 al 25 ottobre, sancisce definitivamente il fallimento

delle politiche volte al “riuso” tout court come strategia riequilibrativa delle dinamiche

urbane e dei fabbisogni residenziali, e rileva lo spostarsi dell’attenzione dell’opinione

pubblica dai problemi di “quantità” verso quelli della “qualità”. In questa atmosfera nel 1981

esce in Italia per i tipi dell’editore Einaudi, a cinque anni dall’edizione londinese, il

fondamentale volume L’idea della città di Joseph Rykwert38, che suscita immediatamente

larghi consensi di critica e contribuisce a sollecitare un certo interscambio tra urbanisti e

archeologi. Tra il 1982 ed il 1992 le analisi di Bernardo Secchi e di altri urbanisti, apparse

sulla rivista «Casabella», registrano il riverberarsi della crisi sulla pratica urbanistica, sia in

rapporto allo specifico disciplinare, sia in riferimento alla generale tensione culturale man

mano indebolitasi39. Il ruolo trainante che il dibattito tra tecnici, politici, economisti fino ad

allora aveva avuto sul più ampio confronto culturale intorno la città e il suo studio storico,

viene progressivamente a mancare. Il punto di stallo del dibattito sui centri storici a causa

della irreversibilità di certe trasformazioni intervenute nella modificazione della

plurisecolare morfologia urbana è ben rappresentato dal volume I confini perduti.

Inventario dei centri storici, edito dalla Regione Emilia Romagna nel 198340. Questo

38 Cfr., J. RYKWERT, L’idea della città, antropologia della forma urbana nel mondo antico, Torino 1981 39 Cfr. B. SECCHI, Perché i piani, in «Casabella», 484, (Ott.1982), pp. 38-39; B. SECCHI, Analisi territoriale, in «Casabella», 495, (Ott.1983), pp. 38-39; M. MARCELLONI, Chi ha paura dell’urbanistica?, in «Casabella», 511, (Mar.1985), pp. 12-13; B.SECCHI, Il territorio abbandonato, in «Casabella», 512, (Apr.1985), pp. 18-19; B. SECCHI, Il territorio abbandonato 2, in «Casabella», 513, (Mag.1985), pp. 12-13; M.G. CUSMANO, Un ruolo per la città, in «Casabella», 519, (Dic.1985), pp. 18-19; B. SECCHI, Alcuni punti fermi, in «Casabella», 525, (Giu.1986), pp. 14-15; B. SECCHI, Domanda sociale, in «Casabella», 530, (Dic.1986), pp. 14-15; B. SECCHI, Piani di area vasta, in «Casabella», 538, (Set.1987), pp. 16-17. Un contributo molto importante per comprendere quali fenomenologie si stavano sviluppando sul territorio all’inizio degli anni ’90 è S. BOERI, A. LANZANI, Gli orizzonti della città diffusa, in «Casabella», 588, (Mar.1992), pp. 44-59, nel quale, attraverso l’analisi di alcune aree campione, si evidenziano le nuove tendenze insediative coinvolgenti soprattutto i centri minori e gli assetti storici della campagna. Tra le considerazioni conclusive emerge l’auspicio che una nuova stagione storiografica venga a suggerire diverse chiavi interpretative proprio sul tema, peraltro molto dibattuto nel passato, della dialettica città-campagna in età medievale e moderna 40 I confini perduti. Inventario dei centri storici: la forma urbis, passato e presente, (pubblicazione dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna), Bologna 1983. Per uno sguardo panoramico sull’attuale stato della riflessione sulla problematica dei centri storici cfr. I centri storici nella città contemporanea. Italia Nostra 1955-

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passaggio a contesti via via più delicati è ben rispecchiato dall’evoluzione delle tematiche

affrontate, pur nella coerenza della specifica programmazione, in seno all’Istituto Storico

Italo-Germanico di Trento, con il progressivo focalizzarsi dell’attenzione sulle strutture

organizzative del territorio e sui problemi di autoriconoscimento delle comunità cittadine41.

Quale il contesto e l’approdo dell’attuale discussione? Mai come ora il dibattito europeo ha

registrato posizioni tanto centrifughe42, rispecchiando d’altronde insicurezze intrinseche al

processo di unificazione, preoccupazioni per le proiezioni degli economisti, paure

ancestrali sollecitate dai progetti di apertura alle nazioni orientali. La radice propriamente

culturale delle preoccupazioni per gli assetti futuri del complesso euromediterraneo, e i

condizionamenti che tali preoccupazioni operano sulla libertà della ricerca, sono state di

recente analizzate con grande lucidità da Pedrag Matvejeviç.43 Negli ultimi anni, dagli

ambienti dell’urbanistica italiana più attenti e sensibili al valore strategico della lettura della

città storica sono venute precise sollecitazioni. Nel 1992 Vittorio Gregotti affermava che «

Il contrasto tra i riferimenti al modello della città quantitativa del XIX secolo ( fondata sul

trinomio strada, piazza, isolato, e sulla rigida separazione tra pubblico e privato, tra

monumento e tessuto), la città aperta del razionalismo (il blocco isolato e la separazione

delle funzioni), la città medievale (la città dei sistemi complessi, di situazioni ed

interconnessioni, nella relazione delle parti e nell’interrelazione tra pubblico e privato), la

città antica (come costituzione di grandi recinti accostati secondo la natura geografica dei

suoli e la gerarchia tra grandi sistemi di spazi pubblici e fittezza ed irregolarità dei tessuti),

o quella al presunto futuro (la città tecnologica della comunicazione e dell’architettura

come prodotto atopico disperso e frammentato), gioca un ruolo di attrazione importante

1995 quarant’anni dalla fondazione, Atti del Conv. Naz. (Napoli 1-3/12/95), Roma 1995; F. CHOAY, L’allegoria del patrimonio, a c. di E. D’Alfonso, I. Valente, Roma 1995, v. in part. il cap.I Gli umanesimi e il monumento antico, p. 24; L.FUSCO GIRARD, La conservazione dei beni culturali per l’umanizzazione delle città, in Tutela cosciente e umanizzazione,«Restauro», XXVI, 140, (1997), pp. 27-42; Riflessioni di fine millennio sul futuro dei centri storici, «Restauro», f.1, XXVII, 144,(1998) e f.2, XXVII, 145, (1998); Monumenti e siti in un mondo in crisi, Atti del Conv. Intern. (Napoli 15-16/5/99), «Restauro», XXVIII, 149, (1999), in part. v. i contributi della sessione La conservazione integrata dei valori umani nei centri storici europei del terzo millennio, pp. 41-122 41 Cfr. La città in Italia e in Germania nel Medioevo. Cultura, istituzioni, vita religiosa, (Quaderni, 8), a c. di R. Elze, G. Fasoli, Bologna 1981; Aristocrazia cittadina e ceti popolari…cit., Bologna 1984; L’evoluzione delle città italiane nell’ XI secolo, (Quaderni, 25), a c. di R. Bordone, Bologna 1988; Statuti, città, territorio in Italia e in Germania tra Medioevo ed età moderna, (Quaderni, 30), a c. di G. Chittolini, D. Willoweit, Bologna 1991; L’organizzazione del territorio in Italia e in Germania: secoli XIII-XIV, (Quaderni, 37), a c. di G. Chittolini, D. Willoweit, Bologna 1994; M. VALLERANI, La città e le sue istituzioni. Ceti dirigenti, oligarchia e politica nella medievistica italiana del Novecento, in «Annali», XX, (1994), Bologna 1995, pp. 165-230; inoltre Giorgio Chittolini e Peter Johanek, nei giorni 9, 10 e 11 novembre 2000, hanno coordinato a Trento il seminario di studio Aspetti e componenti della identità urbana in Italia e in Germania (secoli XIV-XVI) 42 C’è chi osservando le periferie urbane dell’Occidente industrializzato arriva a preconizzare una crisi irreversibile, individuandovi i luoghi della nuova schiavitù, cfr. A. SALZA, Atlante delle popolazioni, Torino 1998, e c’è chi osservando i caratteri distintivi delle più grandi città, dall’antichità greca e romana alla Londra della rivoluzione industriale, arriva a concludere che le più grandi e cosmopolite risulteranno ancora più vitali nell’economia della globalizzazione, cfr. P. HALL,Cities in civilization. Culture, innovation and urban order, London 1999 43 Cfr. P. MATVEJEVIÇ, Il Mediterraneo e l’ Europa. Lezioni al Collége de France, Milano 1998, e ID., Mediterraneo. Un nuovo breviario, Milano 1998

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nella concezione della Grossforme planivolumetrica»44. La rinnovata sensibilità ai valori

della storia sembra attualmente il precipuo contributo degli urbanisti italiani al dibattito sui

problemi della città.45 Tuttavia, dietro sollecitazioni di matrice anglosassone

tendenzialmente estremizzanti, anche in Italia sono emerse riflessioni di segno opposto,

basate sull’assunto che la condizione insediativa assumerà sempre più caratteri di

diffusione territoriale, di dispersione e riaggregazione, di assoggettamento a nuove

gerarchie territoriali nelle quali i centri urbani storicamente consolidatisi diverranno

elementi secondari46. Nel contempo è all’evidenza di tutti che da almeno un decennio si

registra una esigenza di ritorno ai mestieri, alla tradizione manuale, fenomeno tutt’altro che

folcloristico dal momento che proprio dalle più grandi città storiche proviene una forte

domanda di manutenzione e quindi di magisteri specializzati nel solco di una specifica

tradizione e, soprattutto, nell’ottica dello sviluppo sostenibile. E’ sul filo di quest’ultima

considerazione che Pier Luigi Cervellati, recentemente, ha posto come prioritaria, per

l’identità storica delle città, la questione dello studio e del recupero della conoscenza delle

tradizioni costruttive del passato47. Proprio il riconoscimento di questa identità storica è

oggetto della riflessione di Leonardo Benevolo48, il quale individua nella flagranza del

binomio “identità storica-bellezza” il carattere peculiare che emerge dalle stratificazioni

della città e del paesaggio italiani, e prefigura che solo dalla conoscenza approfondita di

questa identità è possibile supporre la rinascita di una cultura adeguata alle trasformazioni

attualmente in atto sulla scena urbana e territoriale49. In un recente volume curato dal

Brogiolo si può vedere una delle più concrete risposte a tali sollecitazioni e, soprattutto, a

quella mancanza di dialogo con gli storici più volte lamentata dagli urbanisti in questi

anni.50 E’ indubbio che in quest’ultimo ventennio gli indirizzi storiografici si sono ampliati

molto, spesso non facilitando il dialogo con urbanisti e tecnici. I principali nodi metodologici

e tematici, come individuati alla fine degli anni Ottanta del Novecento, sono sintetizzabili

44 V. GREGOTTI, Elementi di disegno urbano ordinati secondo i principi della modificazione critica, in «Casabella» 588, (Mar.1992), pp.2-3; cit. a p.2 45 Già dagli anni ’60, dopo l’uscita in Italia nel 1953 del fondamentale volume di Lewis Mumford La cultura delle città, un importante urbanista come Luigi Piccinato aveva tentato di porsi come tramite tra gli studiosi di storia della città e la comunità dei tecnici attraverso alcuni studi sulla città medievale e una posizione culturalmente orientata a proposte di trasformazione “guidate” dall’analisi storica dei tessuti urbani. Cfr. L. PICCINATO, Urbanistica medievale, Bari 19783

46 Cfr. G. DELLA PERGOLA, L’architettura come fatto sociale. Saggi sulla crisi della modernità metropolitana, Milano 1998 47 P. L. CERVELLATI, L’arte di curare la città, Bologna 2000 48 L. BENEVOLO, L’architettura nell’Italia contemporanea.Ovvero il tramonto del paesaggio,Roma-Bari 1998; sulla stessa linea v. recentemente A. ZANNINI, L’identità urbana in Toscana. Fine di una ricerca, inizio di una riflessione, in «SeS», 89, 2000, pp. 69-76; C. AYMONINO, Il significato delle città, Venezia 2000, e la raccolta di saggi sul tema della memoria P.MONTINI ZIMOLO (a c. di), Il progetto del monumento. Tra memoria e invenzione, Milano 2000; 49 Lo storico Alberto Grohmann, l’urbanista Romano Viviani e numerosi intellettuali ed esponenti politici il 5 aprile 2000 hanno dibattuto a Perugia, al convegno Città, storia, paesaggio: riflessioni e confronti sulla gestione del territorio, proprio sulla possibilità che i due strumenti di pianificazione territoriale della Regione Umbria, allora in itinere, potessero costituire momento popolare di conoscenza del territorio, attraverso la promozione e partecipazione di studi storici sulle città, sul patrimonio monumentale, sul territorio 50 Cfr. G. P. BROGIOLO (a c. di), Lo spessore storico in Urbanistica, Mantova 2001

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attraverso le parole di Daniela Romagnoli: « Tra questi, alcuni riguardano le conseguenze

dello straordinario ampliamento di confini della storia urbana, con l’allargamento del

campo d’indagine a una miriade di temi disparati, all’uso di strumenti e metodi di ricerca

altrettanto disparati e multiformi.

a) Il rischio dell’eccessiva dispersione, della frantumazione dell’oggetto, sì da offuscare

alla vista dello storico l’immagine complessiva, da ridurre quel grande e vitale organismo

che è la città a neutro e anonimo contenitore (Chittolini).

b) La tentazione di erigere la storia urbana a disciplina, quasi in premio per il suo

arricchimento tematico. L’unità della ricerca, però, non è data dalla disciplina, ma dalla

definizione e dall’analisi di un problema specifico. La disciplina non è che una raccolta di

strumenti. E in ogni caso è bene che su ogni problema individuato e studiato convergano

parecchie discipline. Al limite, si può credere allo statuto autonomo di una scienza della

città, nella quale essa sia oggetto di ricerca e di studio per l’insieme delle scienze umane e

sociali; non di una storia della città, di una storia urbana, che non può per natura essere

assimilabile agli ambiti della storia economica o sociale o delle mentalità singolarmente

presi (Le Goff).

c) Il rischio insito nella costruzione di modelli. La domanda: cos’è la città? è di fatto

ineludibile, ma rispondervi operando astrazioni dalle realtà storiche, in cerca di caratteri

generalizzabili – sia pure entro limiti determinati – può portare a percepire soprattutto le

analogie, lasciando in ombra i cambiamenti (Mazza), e addirittura, anziché scoprire cos’è

la città, togliere sostanza di realtà al concetto di città, causandone la dissoluzione. Donde

reazioni radicali del tipo: il problema della definizione di città non esiste, perché essa può

solo essere ridefinita storicamente di caso in caso (Martinotti). Donde anche il

riconoscimento del fatto che, al di là dell’impostazione weberiana, la pluralità tipologica è

un elemento connaturato alla città, considerata sia come struttura fisica che come

istituzione politica»51. Ad oltre vent’anni da questa analisi, pur di fronte ad un arricchimento

del panorama degli studi, bisogna rilevare che i punti salienti individuati dalla Romagnoli

conservano ancora in gran parte la loro intrinseca problematicità. Ma in riferimento alle

citate difficoltà di definizione di modelli bisogna registrare l’originale contributo, di marca

tutta italiana, pervenuto dall’ambito della speculazione filosofica. Nel 1984 esce il volume

di Rosario Assunto La città di Anfione e la città di Prometeo nel quale il noto studioso di

estetica, percependo la degradazione del paesaggio italiano inteso come la più vasta

51 D. ROMAGNOLI, Introduzione a Storia e storie della città, Atti della tavola rotonda e dei seminari organizzati dall’Istituto Gramsci di Parma con il titolo Temi e problemi di storia urbana (Parma, Ottobre 1986 - Aprile 1987), a c. di D. Romagnoli, Parma 1988, pp.7-15; cit. a p. 15

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costruzione di significato antropologico, si propone di rintracciare quelle intuizioni

archetipiche, o per meglio dire quei principi di bellezza insiti nelle diverse poetiche

fondative che, da una parte racchiudono nella figuratività urbana tutta l’esperienza della

realtà, del vissuto, dall’altra segnano l’irriducibilità della città ad un modello, nell’accezione

tradizionalmente classificatoria52. Nel 1987 vede la luce un volume curato da Pietro Rossi,

cattedratico di Filosofia della Storia, dal titolo Modelli di città. Strutture e funzioni politiche,

con la partecipazione di ben ventidue diversi specialisti. L’insieme dei contributi rompe una

volta per tutte la resistenza dell’Idealtypus weberiano sulla particolarità della città

occidentale e propone al dibattito, per la prima volta, modelli storici di città ricostruiti e

offerti alla comparazione in una prospettiva a vasto raggio, che dal Vicino Oriente antico

conduce, attraverso il continuo scorrere delle coordinate spazio-temporali, fino alla città

post-industriale contemporanea53.

Volendo estrarre dall’attuale situazione degli studi sugli insediamenti e sulla città quelle

che appaiono come le più avvertite questioni metodologiche, possiamo indicare i seguenti

punti:

- necessità da parte di urbanisti, architetti, resturatori di maggiore collaborazione da parte

di storici ed archeologi per la definizione della ricerca di base sui centri storici;

- evidente divaricazione tra gli archeologi e gli storici rispetto ai tentativi di sintesi degli

studi;

- difficoltà di esauriente applicazione alle diverse realtà geografiche degli studi di storia

economica e degli studi di demografia storica;

- convergenza degli studiosi nell’individuare nelle città dell’Italia meridionale il più

promettente terreno di ricerca;

Almeno per il periodo che va dal tardoantico all’altomedioevo, le più recenti acquisizioni

fornite dall’indagine archeologica hanno permesso già alcune valide sintesi. Purtroppo

mentre per l’Italia centro-settentrionale si può dire di disporre di contributi di sintesi

omogenei e geograficamente rappresentativi, tanto da far pensare al raggiungimento di

una ricostruzione sufficientemente articolata54, per l’Italia meridionale lo stato degli studi

offre un panorama molto più frammentato e parziale, con contributi validi ma limitati

all’ambito regionale e sub-regionale55. Tale situazione è conseguenza di vari fattori, ma,

52 R. ASSUNTO, La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano 1984 (Milano 1997) 53 P. ROSSI (a c. di), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, (Torino 1987) 2001 54 Cfr. P. DEMEGLIO, C. LAMBERT (a c. di ), L’urbanistica delle città italiane fra tarda antichità e altomedioevo, Torino 1992; G.P. BROGIOLO, S. GELICHI, La città nell’alto medioevo italiano. Archeologia e Storia, Roma-Bari 1998 55 Per la Campania centro-meridionale v. P. PEDUTO, Insediamenti longobardi del Ducato di Benevento, in Langobardia, a c. di S. Gasparri, P. Cammarosano, Udine 1990, pp. 338-343; per la Calabria v. E. ARSLAN, La dinamica degli insediamenti in Calabria dal tardoantico al medioevo, in L’Italia meridionale tra Goti e longobardi, in Atti del XXXVII Corso di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina, Ravenna 1990, pp.59-92; per Calabria e Basilicata v. G. NOYÈ, Villes,

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soprattutto, della estrema disparità delle forze applicate alla ricerca e della stentata

affermazione nel Mezzogiorno dell’archeologia urbana entro programmi pluriennali di

indagine sistematica56. Ma a ben vedere si comprende che la maggiore difficoltà è più a

monte, ed è l’ancora poco fattivo incontro di metodo e di prospettiva tra archeologia e

storia57, proprio in quel terreno elettivo che è la città medievale. Non che i tentativi non si

siano avuti, ne è esempio la Conferenza di Ravello del 1994, esito naturale di un confronto

cominciato nel 1988 con i convegni di Monte Barro, con la quale per la prima volta è stato

operato un allargamento delle analisi a scala continentale58. Ma difficilmente, nel breve

termine, sarà possibile pervenire a sintesi della vastità e del respiro di quella operata,

muovendo da diversa ottica, da Jacques Heers59. La messa in luce, fuori dai consueti

schematismi storiografici, delle componenti ambientali e antropologiche poste alla base

dell’urbanesimo antico hanno, comunque, permesso a Mariano Pallottini di pervenire ad

una valida sintesi.60 Inoltre bisogna considerare che in questi anni si è venuta costituendo

in forma autonoma l’archeologia dell’architettura, ambito disciplinare nel quale è confluita

l’ormai trentennale elaborazione dei metodi della stratigrafia archeologica applicata

all’analisi dell’architettura storica. Le metodologie specifiche di questo ambito spostano lo

studio delle componenti edilizie ad un livello di approfondimento analitico senza

économie et société dans la province de Bruttium-Lucanie du IVe au VIIe siecle, in La storia dell’altomedioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia, a c. di R. Francovich, G. Noyè, Firenze 1994, pp. 693-733; per la Puglia v. G. VOLPE,Contadini, pastori e mercanti nell’Apulia tardoantica, Bari 1996, ivi la più aggiornata bibliografia sulle città pugliesi alle pp. 85-145, e id., Paesaggi della Puglia tardoantica, in L’Italia meridionale in età tardo antica, Atti del 38° convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto 2-6/10/98), Taranto 1999, pp. 267-329 56 Mentre per le città del Meridione, con l’eccezione di Napoli e di pochi altri centri, la base di dati da cui poter partire rimane, in larga parte, quella costituitasi nel tempo negli archivi delle Soprintendenze attraverso schedature sintetiche e scarni disegni di scavi “di salvataggio”, e di ritrovamenti casuali, per l’Italia centro-settentrionale disponiamo di progetti edesperienze maturate continuativamente per un ventennio. Basti pensare, per es., al valore storico della documentazione prodotta dello scavo “totale” condotto da Daniele Manacorda a Roma nell’area della Cripta Balbi. L’archeologia urbana italiana si muove ormai sulla scena del confronto internazionale (R. FRANCOVICH, Archeologia urbana, in Ciudad y territorio en El-Andalus, a c. di L. Cara, Granada 2000, pp. 10-20), elabora strumenti come le “carte del rischio archeologico” fondamentali per la programmazione non invasiva degli interventi nel sottosuolo (Progettare il passato. Faenza tra pianificazione urbana e carta archeologica, a c. di C. Guarnieri, Quaderni di archeologia dell’ Emilia-Romagna 3, Firenze 2000), produce conoscenza storica anche attraverso il recupero di dati residuali o controversi ( A.VANNI DESIDERI, G. VANNINI, Il centro di Firenze. Elementi per una lettura archeologica delle stratigrafie urbane, in Geologia delle grandi aree urbane, Progetto strategico CNR, Atti del convegno, Bologna 4-5/11/97, Bologna 1999, pp. 26-34) 57 Proprio su questa difficoltà sono illuminanti alcune considerazioni di Paolo Delogu, Archeologia medievale, in La storiografia italiana…cit., Roma-Bari 1989, pp. 325-327. E’ il caso di ricordare che uno storico del rilievo di Arno Borst, portatore di una personale idea di sintesi storiografica, riguardo l’importanza della documentazione materiale si è mostrato piuttosto scettico: « il linguaggio è, per quanto ne dica la moda odierna, più variegato e multiforme, più umano di un reperto archeologico o di un qualsiasi dipinto» (A. BORST, Forme di vita nel Medioevo, Napoli 1988; ed. or. Frankfurt/M-Berlin 1973; cit. a p.20), e che più recentemente Peter Burke si è espresso in termini tendenti a minimizzare tale importanza (P. BURKE, Prologo: la nuova storia, passato e futuro, in La storiografia contemporanea, a c. di P. Burke, Roma-Bari 1993, pp. 3-29; in part. pp. 18-19). Cfr. anche P. ROSSI (a c. di), La storiografia contemporanea. Indirizzi e problemi, Milano 1987 58 Early medieval towns in the western Mediterranean, Proceedings of the Ravello Conference (Ravello 22-24 September 1994), a c. di G. P. Brogiolo, Mantova 1996 59 J. HEERS, La città nel Medioevo, Milano 1995, (ed. or. Paris 1990). Per una riflessione storiografica generale sulla questione della sintesi cfr. A. JA. GUREVIC, La sintesi storica, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2, 1997, pp.38-42 60 M. PALLOTTINI, Alle origini della città europea, Roma 1993

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precedenti. Per di più esse, operando attraverso l’individuazione delle relazioni e

concordanze fisico-temporali secondo tutti gli assi di riferimento spaziale, in ambiente

urbano possono restituire una ricostruzione diacronica tridimensionale delle compagini

virtualmente continua: dal sottosuolo al tetto e dalla facciata all’ultimo setto del comparto

urbano. Per la storia della città si aprirà, quindi, un nuovo modo di pervenire a sintesi

storiografiche, molto più articolato in senso interdisciplinare e molto meglio fondato,

considerando la qualità della base di dati sulle strutture materiali61.

Sulle difficoltà di applicazione degli studi storici di economica e di demografia ai

diversi contesti urbani bisogna rilevare, innanzi tutto, come ancora una volta si evidenzia

un forte squilibrio tra gli avanzamenti della ricerca al Nord ed al Sud. Nel campo della

storia economica ai problemi intrinseci dei filoni poggiati sulla storia dei prezzi e sulla

monetaristica, già sviscerati negli anni Sessanta da Ruggero Romano62 e riconducibili alla

parzialità delle fonti fino ad allora utilizzate ed alla eccessiva astrattezza dei modelli

economici di riferimento63, si sono via via sostituiti, negli ultimi anni con maggiore

chiarezza, problemi di ampia comparazione-contestualizzazione economica e di

riferimento dei dati alla ricostruzione dei quadri territoriali. Lo stesso Romano64, più

recentemente, ha posto l’attenzione proprio sulla rilevanza di problematiche di

“collegamento” quali, ad es., il peso economico della città italiana nel rapporto città-

campagna, l’influenza sul territorio del rapporto tra prerogative feudali e attività mercantile,

la diversificazione delle fonti storiche per la definizione dei valori in un dato contesto65. E’

proprio su questo terreno che gli studi sul Meridione sono in ritardo. Per Salerno, ad

esempio, nonostante decenni di importanti studi di numismatica medievale66 ancora

mancano analisi capaci di ricostruire l’effettiva titolarità ed entità della circolazione

monetale, di definire le modalità degli scambi economici, di rilevare il ruolo della città nelle

61 Cfr. L’archeologia del costruito in Italia e in Europa. Esperienze a confronto e orientamenti della ricerca, Atti della giornata di studi (Genova 10 Maggio 1996), in «Archeologia dell’Architettura», II, (1997), pp. 131-213; P. PIEROTTI, J.A.QUIROS CASTILLO, Archeologia dell’Architettura e Storia dell’Architettura: due discipline a confronto, in Atti del IICongresso Nazionale di Archeologia Medievale ( Brescia 28 sett.-1 ott. 2000), a c. di G. P. Brogiolo, Firenze 2000, p. 377 62 R. ROMANO, Introduzione, a I prezzi in Europa dal XIII secolo a oggi, a c. di R. Romano, Torino 1967, pp. XI-XLIV 63 Per es. La repubblica internazionale del denaro tra XV e XVII secolo, a c. di A. De Maddalena, H. Kellenbenz, (Quaderni dell’Istituto Storico Italo-Germanico in Trento, 20), Bologna 1986, ben rappresenta il superamento dell’Impasse cui si riferiva il Romano nel 1967 64 R. ROMANO, Linee di sintesi, in Storia dell’economia italiana, a c. di R. Romano, 3 voll., Torino 1990-1992, vol. I, IlMedioevo: dal crollo al trionfo, Torino 1990, pp. 287-295 65 Cfr. Aspetti della vita economica medievale, Atti del Convegno di Studi nel X anniversario della morte di Federigo Melis, (Firenze, Pisa, Prato 10-14/3/84), Firenze 1985; F. BOCCHI, Città e mercati nell’Italia padana, in Mercati e mercanti nell’alto Medioevo: l’area euroasiatica e l’area mediterranea, Sett. di St. del CISAM, XL, (Spoleto 1992), Spoleto 1993, pp. 139-185; Spazio urbano e organizzazione economica nell’Europa medievale, Eleventh international economic history congress. Proceedings of C23 Session, (Milan 12-16/9/94), a c. di A. Grohmann, Perugia 1994 66 Cfr. Ph. GRIERSON, La monetazione amalfitana nei secoli XI e XII, in Amalfi nel Medioevo, Atti del Conv. Internaz. (Amalfi 14-16/6/73) Salerno 1977, pp. 217-243; ID., La cronologia della monetazione salernitana nel secolo XI, in Later medieval numismatics (11th – 16th centuries), London 1979, pp. 157-158; L. TRAVAINI, I Tarì di Salerno e Amalfi, in «Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana» X, 19-20, (1990), pp. 7-71

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dinamiche sovraregionali, capaci, in definitiva, di ricondurre i dati al contesto, sforzo

quest’ultimo possibile solo sottoponendo al vaglio dati quali-quantitativi provenienti anche

da altre discipline67.

Altrettanto problematici rimangono per il Meridione la raccolta ed il trattamento statistico

dei dati demografici. Qui vengono a mancare intere classi di fonti come, ad es., i catasti,

decisivi per la storia delle città comunali, inoltre sono intervenute notevoli perdite e

dispersioni di fonti, pertanto si dovrebbero mettere a punto specifici metodi, i più calzanti

alle caratteristiche del popolamento. Ma attualmente appare ancora molto lontano il

metodo di lavoro elaborato da Paul Bairoch e dalla scuola svizzera che fa capo al

“Département d’histoire economique” dell’Università di Ginevra. Anche un lavoro

pubblicato pochi anni fa da uno studioso di geografia e demografia storica, Angerio

Filangieri, elaborando dati desunti dal Catalogus Baronum di età normanna e dalla

Generalis Subventio angioina, dimostra quanto la costituzione delle fonti documentarie

maggiormente utilizzabili per il Meridione mette in crisi, comunque, ogni tentativo di

pervenire a quantificazioni realistiche68. Proprio sul filo delle questioni poste dalla ricerca

demo-etno-antropologica Maria Ginatempo ha fornito, recentemente, alcune tra le più

significative riflessioni concettuali e teoriche sulla storia della città e del popolamento69.

Da più parti, in questi ultimi anni, è stato affermato che le città dell’Italia meridionale

rappresentano il più promettente terreno di ricerca per il futuro. Nel 1998 G.P. Brogiolo e

S. Gelichi hanno delineato alcuni temi di prioritaria importanza per la ricerca degli anni a

venire: «il primo concerne le città del centro-sud della penisola. Se qui il fenomeno

67 Se è già dagli anni ’70 che Carlo M. Cipolla ha dimostrato come tale approccio sia possibile e fecondo, più recentemente sono apparsi contributi capaci, su tale linea, di ricostruzioni a diverse scale di approfondimento metodologico e di sintesi territoriale, ad es. v. J.M. MARTIN, Economia naturale ed economia monetaria nell’Italia meridionale longobarda e bizantina (secoli VI-XI), in Economia naturale Economia monetaria, Storia d’Italia, Annali 6, Torino 1983, pp.179-219; D. AQUILANO, Insediamenti, popolamento e commercio nel contesto costiero abruzzese e molisano (sec. XI-XIV), in «MEFRM», t. 109, f.1, (1997), pp. 64-93. Grazie al lavoro di Alfonso Leone oggi disponiamo di un esauriente inquadramento dell’economia del Regno nel contesto continentale, ma soprattutto in materia di finanza e limitatamente al tardo medioevo (A. LEONE, Mezzogiorno e Mediterraneo. Credito e mercato internazionale nel XV secolo, Napoli 1988; ID., Ricerche sull’economia meridionale dei secoli XIII-XIV, Napoli 1994). Mancano ricerche di tale ampiezza che coprano i secoli precedenti e, soprattutto, che rendano conto, parallelamente, delle trasformazioni fisiche nelle strutture di lunga durata del territorio. Cfr. A. LEONE (a c. di), Ricerche sul Medioevo napoletano. Aspetti e momenti della vita economica e sociale a Napoli tra decimo e quindicesimo secolo, Napoli 1996 68 A. FILANGIERI, La struttura degli insediamenti in Campania e in Puglia nei secoli XII-XIV, in «ASPN», CIII, (1985), pp. 61-86. L’autore definisce la consistenza demica dei maggiori centri partendo dai carichi fiscali e giunge a minimizzare il reale peso delle istituzioni feudali sulle città, stabilendo che solo un sesto della popolazione delle due regioni in età normanna era direttamente coinvolta nella struttura feudale. Ciò che sembra inficiare la validità dell’encomiabile sforzo compiuto, relativamente alle conclusioni quantitative, è la reale retroattività dei dati demografici desunti dalla documentazione del 1320, e il silenzio delle fonti su quel vasto dominio statistico costituito dalle città e dai territori demaniali. Per il periodo seguente cfr. F. COZZETTO, Mezzogiorno e demografia nel XV secolo, Soveria Mannelli 1986 69 Cfr. M. GINATEMPO, L. SANDRI, L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento (secoli XIII-XVI),Firenze 1990. Sul contributo degli “stranieri” al popolamento urbano cfr., G. ROSSETTI (a c. di), Dentro la città: stranieri e realtà urbane nell’Europa dei secoli XII-XVI, Napoli 1989. Sui limiti strutturali della documentazione medievale per la demografia storica e per un bilancio aggiornato degli studi compiuti in questo settore è utile la raccolta di saggi di Ivan Pini, già apparsi tra 1976 e 1993: I.A. PINI, Città medievali e demografia storica. Bologna, Romagna, Italia (secc. XIII-XV), Bologna 1996

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dell’urbanesimo altomedievale ha prodotto risultati più modesti, almeno in termini

quantitativi, non significa che l’indagine archeologica sulle città non possa aiutarci a capire

meglio lo sviluppo, talora originale, di taluni di questi territori (come è stato peraltro rilevato

per la Calabria dalle ricerche della Noyè, 1994 e 1996 o per l’area centro-appenninica

dalla Migliario, 1995, 1997). L’aver rilevato, ancora per Napoli, l’esistenza di parametri

archeologici similari a quelli riscontrati nelle città del nord della penisola (Arthur 1994), non

ci autorizza, infatti, a generalizzare. Cosa sappiamo infatti di Amalfi che un cronista arabo

del X secolo definisce, forse un po’ enfaticamente, la città più ricca della Lombardia, la più

nobile e la più illustre per le sue condizioni, la più frequentata e la più opulenta (Citarella

1977, p. 3)? E di Palermo e delle altre città della Sicilia musulmana di X secolo, note quasi

esclusivamente dalle fonti narrative e cronachistiche (Maurici 1995, pp. 78-89)?»70. Ma

già nel 1984 Nicola Cilento, sommessamente, aveva lanciato suggerimenti d’indirizzo in tal

senso71. Resta semmai da vedere come meglio far emergere dalle fonti le ricostruzioni più

aderenti alle peculiarità delle città meridionali72, superando alcuni perduranti schematismi,

osservate, quindi, con un’ottica “dall’interno” e caso per caso. Analizzate senza

preoccuparsi di riferimenti e paragoni alle coeve realtà cittadine del nord, intese come

vettori di un “sistema”, perché la loro risultante, al confronto, apparirebbe sempre nel

segno positivo, e s'incorrerebbe nell’errore o di riesumare il pessimistico determinismo

geografico di Giustino Fortunato, o di creare inconsistenti topoi storiografici come nel caso

dell’equiparazione, anche solo simbolica, delle manifestazioni di coscienza cittadina tra

città del Regno e città comunali.

2. Non è certo qui il luogo per una analitica enunciazione di tutte le problematiche rimaste

all’ombra del dibattito o senza una concreta risposta da parte degli operatori. Difficilmente

si potrebbe comporre una rassegna esaustiva e lo sforzo soverchierebbe di gran lunga le

personali capacità. Ritengo piuttosto che, proprio grazie al viatico offertoci dalla riflessione

storiografica, sia qui il caso di avanzare solo qualche spunto rivolto verso la necessità di

superare certe ristrettezze prospettiche di fondo del dibattito, per come si è via via andato

70 G.P. BROGIOLO, S. GELICHI, La città nell’alto medioevo italiano…cit., Roma-Bari 1998, p. 7; i riferimenti presenti nel brano citato sono i seguenti: G. NOYÈ, Villes, economie et societè…cit., Firenze 1994, pp. 693-733, ID., Les villes des provinces d’Apulie-Calabre et de Bruttium-Lucanie du IVe au Vie siècle, in Early medieval towns….cit., Mantova 1996, pp. 97-120; E. MIGLIARIO, Uomini, terre e strade. Aspetti dell’Italia centroappenninica fra antichità e alto medioevo, Bari 1995, ID., Intervento al seminario di studio Visigoti e Longobardi: fisionomia della cultura romano-barbarica in Spagna e in Italia, Roma 1997; P. ARTHUR, (a c. di), Il complesso archeologico di Carminiello ai Mannesi. Napoli (scavi 1983-1984),Lecce 1994; A. O. CITARELLA, Il commercio di Amalfi nell’alto Medioevo, Salerno 1977; F. MAURICI, Breve storia degli arabi in Sicilia, Palermo 1995 71 Cfr. N. CILENTO, Città e società cittadina nell’Italia meridionale del Medioevo: origine, sviluppo e crisi nelle fonti e nel dibattito storiografico, in Aristocrazia cittadina e ceti popolari nel tardo Medioevo in Italia e in Germania, (Quaderni dell’Istituto Storico Italo-Germanico in Trento, 13), a c. di R. Elze, G. Fasoli, Bologna 1984, pp. 195-222 72 E’ quanto ci ha restituito Enrico Pispisa in un recente contributo, v. E. PISPISA, L’immagine della città nella storiografia meridionale del Duecento, relaz. a Storiografia della città in Italia nei secoli XI-XIII, IV Conv. dell’Assoc. per il Medioevo e l’Umanesimo latini (Palermo, Carini, Erice 23-26/10/89), pubbl. in «Quaderni Medievali», 30, (Dic. 1990), pp. 63-108.

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affievolendo verso la fine dello scorso millennio, non disgiuntamente dal raccogliere

alcune sollecitazioni che ci vengono offerte da studiosi, intellettuali, comunità locali.

In un recente saggio ho focalizzato l’attenzione sul peculiare contributo che la secolare

modellazione del paesaggio italiano ha offerto all’umanità e sulla necessità di ricostituire i

nessi originari tra paesaggio ed agricoltura, con lo sguardo rivolto ad un consumo

sostenibile dei prodotti della terra ed a una fruizione turistica rispettosa del territorio.73 In

continuità epistemologica riprendo quelle riflessioni per affermare che lo sforzo di

ricostituzione dei «nessi originari» deve necessariamente comprendere tutte le

componenti costitutive del paesaggio. E cosa sono i borghi collinari, le città murate, e tutta

l’ampia famiglia tipologica di tessuti urbani storicamente stratificati, come variamente

definiti, se non parti integranti di un paesaggio? Da questo diverso punto di osservazione

tutta la questione dei Centri Storici, come pervenutaci da decenni di dibattito, assume un

più radicale significato politico-programmatorio e si arricchisce di istanze sociali ben più

profonde ed urgenti. Probabilmente, dal punto di vista strettamente semantico, non è

nemmeno più corretto parlare di «questione dei Centri Storici» dal momento che le

questioni sono ormai pluristratificate a diversi livelli di incidenza e si sono annodate ad

altre di più ampia portata: il suolo come sistema fisico e la sua conservazione, l’acqua e la

sua corretta gestione pubblica, la riduzione dell’uso dei combustibili fossili, l’energia

rinnovabile, l’impego di materiali da costruzione e di pratiche a basso impatto ambientale,

l’espansione edilizia compatibile con la conservazione dell’esistente, l’inserimento non

invasivo delle infrastrutture per la mobilità, la necessità di strumenti perequativi nella

costituzione differenziale delle rendite immobiliari. Questi nodi per essere affrontati con

qualche speranza di successo avrebbero bisogno di una ampia partecipazione “dal basso”

dei cittadini alle scelte programmatorie e, nel contempo, di una comunità di pubblici

amministratori e di tecnici dotati di onestà intellettuale e lungimiranza, consci della ulteriore

difficoltà di dover “correggere”, per quanto possibile, gli errori materiali e di indirizzo dei

decenni passati. Proprio nella dialettica Città storica-Paesaggio si gioca nei prossimi

decenni quella che ormai è considerata una partita alla base della stessa identità

nazionale. E’ precisamente quanto è stato colto, in diverse forme, nei cinque saggi

introduttivi di Paesaggi rurali storici. Per un catalogo nazionale74, ed è quanto da tempo

afferma con forza Leonardo Benevolo75. Sempre di più si allarga in Italia la forbice tra

73 S. VITOLO, Beni culturali, enogastronomia, turismo e territorio. Dalla nozione alle carte internazionali del turismo culturale, in Studi in onore di Guglielmo dè Giovanni-Centelles, a c. di E. Cuozzo (SISAUS), Roma 2010, pp. 551-574 74 M. AGNOLETTI (a c. di) Paesaggi rurali storici. Per un catalogo nazionale, (Pubblicazione per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia), Roma-Bari 2011 75 Cfr. L. BENEVOLO, L’architettura nell’Italia contemporanea…cit., , Roma-Bari 20062; ID., La fine della città (intervista a c. di F. Erbani), Roma-Bari 2011

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coloro i quali si sforzano di portare anche nell’architettura e nell’urbanistica le buone

pratiche della sostenibilità76 – sforzo che solo può discendere dalla presa di coscienza

delle criticità culturali ed operative – e l’attenzione di politici e pianificatori verso le reali

necessità del territorio77. La realtà insediativa è ormai molto più complessa; le risorse

disponibili sempre più ridotte e, ancora, molti di noi sono dimentichi della lezione di oltre

un quarantennio fa del Club di Roma sui limiti dello sviluppo.

76 Cfr. Architetture per un territorio sostenibile. Città e paesaggio tra innovazione tecnologica e tradizione, a c. di M. Balzani, N. Marzot, (Premio internazionale di architettura sostenibile Fassa Bortolo. III), Milano 2011 77 E’ solo il caso di ricordare che, in seguito a recenti provvedimenti legislativi relativi all’ICI, ormai i Comuni finanziano gran parte del proprio bilancio con gli oneri di urbanizzazione, cioè i soldi incassati rilasciando permessi edilizi. Inevitabilmente essi sono deboli di fronte al proprietario di un suolo che chiede di poter costruire, anche se gli edifici che sorgeranno non sono finalizzati a rispondere alle reali esigenze abitative e lavorative della comunità, ma piuttosto ad accrescere la sua rendita. E gli urbanisti appaiono sempre più spesso schiacciati in questo meccanismo. Un circuito perverso che vede le istituzioni preposte al soddisfacimento delle necessità del vivere urbano, pur se nella salvaguardia del suolo agricolo e dei beni culturali, essere proprio gli agenti della loro progressiva cancellazione. Tra le voci più accorate sulle emergenze del momento v. C. PETRINI, Basta con le ruspe. Salviamo l’Italia, «La Repubblica», 18 gennaio 2011; G. VIALE, Quei profeti dell’ambiente, e C. PETRINI, L’azione quotidiana, «La Repubblica», 31 marzo 2011

G. Sasso, Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile (Abstract)

Giovanni Sasso1

Sono stato invitato a parlare di riqualificazione del territorio e suo sviluppo sostenibile in

qualità di vicepresidente dell'Istituto Nazionale di Bioarchitettura.

Quando si pensa alla sostenibilità a tutti corre subito il pensiero alle necessità energetiche.

Qualcuno pensa anche alle restanti problematiche ambientali. E qui si fermano i più.

In realtà il concetto di sostenibilità e molto ampio e ridurlo a esigenze energetiche e

ambientali è sempre riduttivo.

L'energia è sicuramente un fattore importante. Gli edifici non devono consumare più di

quanto necessario. E stando alle conoscenze attuali questa necessità è pressoché ridotta

a zero. In edilizia si parla di un fattore di riduzione 10: è possibile consumare 10 volte

meno rispetto al parco edilizio attuale2, in condizioni di servizio pari, se non migliori. Tutto

con i materiali e le tecnologie anche attualmente disponibili, solo attraverso migliore

attenzione e conoscenza delle questioni termiche. Gran parte della definizione di queste

conoscenze proviene dal centro Europa ed è calibrato su esigenze termiche tipicamente

invernali. Alla latitudine del centro-sud Italia le esigenze di isolamento esitivo sono

perlomeno altrettanto importanti di quelle invernali. Quello che stiamo vivendo è quindi una

fase di passaggio nella quale metodi mitteleuropei vanno appresi e declinati con esigenze

mediterranee.

Mi spiego: quando il problema è di mantenere il caldo all'interno di un ambiente, tutto ciò

di cui abbiamo bisogno è di isolare rispetto all'esterno. Quando il problema è invece di

mantenere il fresco all'interno degli ambienti, allora gli apporti di calore dati dalle fonti

interne (persone, illuminazione, elettrodomestici, impianti) e provenienti dall'esterno

attraverso le vetrate (sole) incidono in maniera preponderante. La coibentazione in questo

caso non ci aiuta: in quanto impedisce al calore di fuoriuscire dall'involucro. La soluzione

ben conosciuta e sperimentata nell'edilizia storica di tutti i paesi caldi e poco umidi è di

introdurre la massa. La massa consente di stabilizzare la temperatura interna smorzando i

picchi dati dalla temporanea presenza di persone e altri carichi termici, e avvicinare i valori

a quelli medi dell'aria esterna. Se valutiamo i valori di temperatura dell'aria medi mensili ci

accorgeremo che tanto più riusciamo ad avvicinarci ad essi, tanto maggiore sarà il comfort

abitativo e ridotto o annullato sarà il fabbisogno di climatizzazione meccanica.

Naturalmente il problema ambientale è molto più ampio e legato a molti altri fattori, quali 1 Vicepresidente Nazionale INBAR – Istituto Nazionale di Bioarchitettura 2 Passando dai 200 kWh/mqa del parco edilizio nazionale a meno di 20 kWh/mqa necessari per un'abitazione

progettata con opportuni criteri.

G. Sasso, Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

ad esempio l'inquinamento e le polveri sottili, la permeabilità dei suoli, quantità e qualità di

rifiuti e reflui, risorse idriche ecc.

Ma ciò che mi preme sottolineare è il messaggio che non possiamo ridurre le soluzioni al

preblema della sostenibilità a fatti tecnici. Occorre invece un cambio radicale di mentalità

per capire che la domanda che la nostra società si deve porre non è quanto risparmiamo

con la coibentazione o con il fotovoltaico, ma cosa facciamo di quel risparmio. Perché se

ogni volta che otteniamo un risparmio per unità di prodotto continuiamo ad incrementare i

consumi complessivi, alla continua ricerca di consumi, non traguardiamo l'obiettivo della

sostenibilità.

Così la sostenibilità non è qualcosa di esclusivamente tecnologico, ma qualcosa di

strettamente dipendente dall'atteggiamento e dalla visione dell'uomo.

Se i bisogni dell'uomo non sono appagati, se non è soddisfatto quella ricerca di qualità che

ci consente una vita soddisfatta con i beni materiali ed immateriali che ci sono dati,

sempre continuerà quella ricerca di soddisfazione che la nostra società consumistica vuole

ingenerare e sempre promette di appagare.

Così l'unico modo perché un territorio appaghi il bisogno di qualità dei suoi abitanti è che

sia in armonia con quel luogo e in continuità con la sua storia, rispecchiandosi in usi e

costumi e pensieri di quella comunità.

Il territorio è uno e continuo. Questo non vuole dire che non si po ssano e non vadano ad

un livello culturale e storiografico identificate le stratificazioni temporali di una città: lungi

da questo. Da sempre il tessuto di un territorio si è mosso, dilatandosi, spingendosi,

alzandosi e anche contraendosi nelle varie direzioni, con progressive stratigrafie sempre

abbastanza ben identificabili: la città greca, la città romana, quella medioevale,

rinascimentale barocca, ottocentesca e via dicendo.

Ma questa identificazione delle stratigrafie è qualcosa di per sé molto diverso dalla

parametrazione di zone di salvaguardia dell'urbanistica contemporanea, dove dentro sta la

tutela, fuori sta la libertà. Questa perimetrazione è una forzatura del tutto astratta che

deriva dalla nostra visione geometrico cartesiana del mondo, per cui per analizzare

scomponiamo progressivamente l'oggetto di analisi in sottoelementi via via più definiti,

perdendo progressivamente la visione dell'insieme e di come esso funzioni.

Questa impostazione analitica ci ha consentito enormi progressi nei secoli, ci ha

consentito di sorpassare società millenarie con impostazione opposta e molto più evolute

della nostra, come quella cinese, ha consentito il progresso scientifico, appunto soprattutto

in quelle materie dove da vantaggio la scomposizione del tutto in sottounità sempre più

G. Sasso, Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

analiticamente definibili.

Ma la progressiva cieca fiducia nel sistema cartesiano e la sua applicazione in tutti gli

ambiti di studio, proprio questa forzata necessità che sempre più sentiamo, di applicare

canoni analitici alla valutazione di tutte le questioni della nostra vita, la convinzione che

solo la dimostrazione analitica e quindi scientifica consenta la dimostrazione della verità, la

stessa parola “scientifico”, per i più essa stessa sinonimo di verità e di dimostrazione

inconfutabile se non attraverso altre ed ulteriori prove scientifiche, ebbene questa visione

del mondo, se bene si adatta alla meccanica e all'ingegneria, crea danni, forzature e

storture quando diviene l'unico canone nelle materie umanistiche quali la psicologia, la

medicina, l'architettura e l'urbanistica.

E' evidente che i progressi della chirurgia –dati proprio da questa particolare visione del

mondo e fiducia nella scomposizione analitico-scientifica- sono stati formidabili. E'

altrettanto evidente il limite della medicina quando il problema è invece psicosomatico, e

che seppure evidentemente sia la nostra psiche a guidare tutte le nostre scelte,

pochissimo sappiamo realmente riguardo a come interagire con essa ed eventualmente

guarirla. Questo proprio a causa del discredito gettato su tutte quelle materie che non

possono essere assolte unicamente con il metodo cartesiano-scientifico. Lo stesso

nell'architettura e nell'urbanistica, considerate a partire dall'800, secolo dell'ingegneria,

sorelle minori e logorate in un continuo sforzo di imitazione e di ricerca di quei canoni

scientifici a cui potersi affidare ciecamente.

Di qui a partire dai primi decenni del '900 il Bauhaus della casa-macchina abitativa, il

modernismo del sillogismo forma-funzione e per finire l'architettura contemporanea con il

suo lessico-energetico. Frotte di architetti si sono di volta in volta dedicati con tutte le loro

energie all'una o all'altra corrente di pensiero, per poi percepire intimamente

l'incongruenza di quello che facevano e sfociare in contro-movimenti caratterizzati

dall'esplosione della completa gratuità, dell'avulso dal contesto, dell'autoreferenzialismo

stile Gehry. Evidentemente l'architettura non è materia esclusivamente ed unicamente

tecnica: l'architettura ha a che fare con la comunicazione e deve interagire con le persone,

e la nostra percezione del mondo è organica -non analitica- quindi essenzialmente sul

piano organico funziona la comunicazione dell'architettura.

Allora l'intervento organico è quello omeopatico, che risolve il problema non guardando

solo alla sua manifestazione, ma ricercandone l'origine intima. E' quello che con poco -

nulla a detta dei meno attenti- ottiene un cambio di rotta agendo sui gangli invisibili e

quotidiani di un organismo.

G. Sasso, Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

Se l'obiettivo di tutti i nostri sforzi è la macchina abitativa, la casa univoca e perfetta, il

nostro sforzo sarà evidentemente inutile e disatteso. A partire dal dopoguerra abbiamo

perso i riferimenti geografici e storici con il contesto, anche grazie alla tecnologia a

disposizione, sempre più industrializzata e versatile. I mezzi a disposizione sono cresciti e

i parametri con i quali applicarli sono venuti meno. Possiamo realizzare strutture con un

grado di libertà molto maggiore di una volta, ma il risultato è peggiore. Il motivo va

ricercato proprio nella perdita di riferimenti. Se analizziamo un centro storico, la bellezza

degli edifici non sta nella soluzione ideata e messa in bella mostra da ogni singolo

progettista, ma nell'armonia dell'insieme degli edifici. E' proprio questo senso di dialogo

che è la forza di un tessuto urbano e che è andato perso. Siamo capaci di fare una bella

macchina, ma non siamo più capaci di fare una piazza, e i parcheggi sono la massima

espressione di degraio del nostro territorio. Siamo capaci di disegnare una bella tazza, ma

siamo in difficoltà a imbandire una bella tavola. Siamo tuttalpiù in grado di arredare una

stanza, ma in difficoltà rispetto al salotto di una città.

Quello che voglio dire è che il centro storico di Nocera è tale perché sta a Nocera, e da un

territorio circostante, geograficamente quanto storicamente inteso assorbe i suoi caratteri.

Pensare alla qualificazione del centro storico distinta e altra rispetto alla valorizzazione del

territorio circostante non è un'impresa che di per sé possa dare buoni frutti, e perciò

probabilmente neanche sostenibile nel lungo periodo. Voglio dire che la qualità di un

pezzo di territorio non può essere troppo diversa da ciò che vi sta intorno e che le

differenze tenderanno a compensarsi in positivo e in negativo per un naturale effetto

osmotico.

Valorizzare un centro storico significa quindi pensare alla valorizzazione di un intero

territorio, pensato in maniera sinergica a livello non solo urbanistico ed architettonico, ma

di sistema ambientale, sociale, culturale ed economico.

Valorizzare va inteso non tanto e solo come tutela, ma come sistema di valorizzazione e

incentivazione. La mera conservazione di uno status quo non è a lungo sostenibile se il

sistema non consente di seguire i movimenti e le istanze di una società, finendo alla lunga

per scollarsene e diventare, come già a volte accaduto in alcuni centri storici: ghetto

abbandonato in mano agli strati più poveri della società. Questo ultimo passo significa che

lo scollamento è tale, che la tutela e i vincoli -urbanistici, igienici- sono tali da rendere non

desiderabile ciò che invece per molti versi potrebbe esprimere canoni di qualità.

La questione del centro storico non riguarda il centro inteso come zona urbanistica A di

tutela. Non esiste un Io frequentatore di centri storici, che assorbe il bello e gode di un

G. Sasso, Riqualificazione e Sviluppo Sostenibile

Atti del Convegno Centri Storici. Riqualificazione e sviluppo sostenibile (Nocera Inferiore, 15 aprile 2011)

paesaggio urbano di qualità, gode di una convivialità, degli incontri occasionali, della

camminata, ed un Io altro, che di tutto questo non sa che farsene e quando attraversa i

restanti quartieri spegne i sensi e non interagisce con il territorio. No. Il territorio è uno e

continuo.

S e z i o n e d i S a l e r n o

ISTITUTO NAZIONALE DI BIOARCHITETTURA®CAMPANIA – SEZIONE DI SALERNO

Via F. Solimena, 93 – 84014 Nocera Inferiore (SA) www.bioarchitettura.it – [email protected] - [email protected]

NOTE

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Via F. Solimena, 93 – 84014 Nocera Inferiore (SA) www.bioarchitettura.it – [email protected] - [email protected]

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Atti del convegno “CENTRI STORICI. RIQUALIFICAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE”

c/o la Sala Polifunzionale della Galleria Maiorino – Via Matteotti, 19 84014 Nocera Inferiore (SA)

Indice

p. 1 arch. Basilio De Martino

p. 6

Prof.ssa arch. Manuela Ricci

p. 11Prof.ssa arch. Dora Francese (Abstract)

N p. 13Prof.ssa dott.ssa Caterina Cirelli, dott.Enrico Nicosia

p. 41Soprintendente Ing. Gennaro Miccio (Abstract)

p. 43Ing. Luciano Tortoioli

Arch. Sergio Vitolo p. 53 Arch. Giovanni Sasso (sostituto della prof.ssa Dora Francese) p. 79