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CAPITOLO 1 – LA QUALITA' DELLA REGOLAZIONE TRA OCSE ED UNIONE EUROPEA: INQUADRAMENTO STORICO E PRINCIPALI CLASSIFICAZIONI.

Miglioramento della regolazione e dibattito sulla governance – L'intento è quello di migliorare il contesto normativo, al fine di liberare l'economia da quei pesi che ne impediscono lo sviluppo e ne impediscono la crescita economica. La Gran Bretagna è uno dei primi paesi ad intervenire, utilizzando la formula “Lifting the Burden” che significa, per l'appunto, sollevamento o liberazione da un peso, esprimendo quell'esigenza di far correre l'economia, liberandola da quei pesi normativi ed amministrativi, mirando quindi ad accrescere, attraverso la deregolamentazione, la competitività del sistema. E' in quest'ambito che viene istituita l'Unità Centrale per la deregolazione, con l'ambizioso progetto di ridurre il carico normativo e migliorare qualitativamente la regolazione secondo il motto “fewer, simpler, better”. Trattasi di nuove forme di governance, in grado di avvicinare maggiormente le istituzioni pubbliche ai cittadini, rafforzare la democraticità, facilitare la vita di singoli ed imprese, favorire la crescita economica, promuovere lo sviluppo occupazionale e garantire assetti di mercato più concorrenziali. Competitività e miglioramento della regolazione diventano i due lati di una stessa medaglia, laddove la competitività presuppone un quadro normativo chiaro, che non ostacoli ma avvantaggi la crescita economica, che non disincentivi ma incoraggi gli investimenti.

Concetti di “Regulatory Reform”, “Regulatory Policy” e “Better Regulation”

Le prime due sono espressioni utilizzate dall'OCSE, l'ultima (migliore regolazione” è invece utilizzata dalla Commissione Europea, affiancata dall'espressione “Better Law Making” (legiferare meglio). “Regulatory Reform” è 'Riforma della regolazione', la cui finalità primaria è l'apertura dei mercati e la crescita economica. “Regulatory Policy” è 'Politica di regolazione', inteso come processo continuo, strategia unitaria, piuttosto che una serie di riforme ad-hoc. “Better Regulation” è, invece, l'azione svolta dal Cabinet Office per promuovere il 'miglioramento della regolazione', nata dapprima con un'impostazione assai ampia, ricomprendente 3 ambiti: a) la “regolazione economica” che interviene direttamente sulle decisioni di mercato; b) la “regolazione sociale” indicante gli interventi volti alla cura degli interessi pubblici prevalenti, quali salute e sicurezza dei lavoratori, la protezione ambientale e la tutela dei consumatori; 3) la “regolazione amministrativa”, ossia tutta quella serie di adempimenti imposti dai pubblici poteri. Questa definizione così ampia di regolazione è risultata inutilizzabile, per cui si è fatta strada una nozione più ristretta, di tipo più amministrativo.

In tale contesto si afferma il ruolo dell'OCSE, con la sua importante funzione di stimolo del confronto internazionale, la cui azione multilaterale si basa principalmente su indagini empiriche ed analisi tecniche.

Raccomandazione dell'OCSE del 1995 – Indicava alcune linee guida fondamentali circa le politiche, le istituzioni e gli strumenti di riforma della regolazione.

Country Reviews - Esami Paese, condotti dall'OCSE a partire dal 1998, sulle riforme della regolazione per verificare il grado di attuazione , da parte dei paesi membri, degli standards internazionali raccomandati dall'Organizzazione. Essi analizzano la situazione macro-economica, la capacità di produrre regolamentazione di qualità, grado di apertura del mercato, attuazione delle politiche di concorrenza, riforma della regolazione in settori quali telecomunicazioni, energia e trasporti. Queste Reviews sono accompagnate da Raccomandazioni finali, rivolte al Governo sottoposto ad esame, in cui si indicano le eventuali criticità e le possibili priorità di azione.

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Esami di monitoraggio – Attivati dal 2003, tesi a valutare il livello di recepimento delle Raccomandazioni, nonché lo stato di attuazione dei principi elaborati dall'OCSE.

Sul piano delle metodologie utilizzate, l'OCSE ha sviluppato strumenti avanzati di autovalutazione e mutua valutazione tra gli stati membri (Peer Reviews), ricorrendo a indicatori comparativi sulla regolazione e a questionari di autovalutazione.

Sulla base delle esperienza realizzate, nel 2005 l'OCSE ha emanato i nuovi “Guiding Principles for Regulatory Quality and Peroformance”, confermando sette principi guida e precisando meglio le esigenze di una regolazione di qualità, attraverso nuove raccomandazioni; principi guida, quali coordinamento fra i vari livelli di governo, valutazioni ex-ante delle misure proposte ed ex-post degli effetti delle norme introdotte, politica di concorrenza nel settore dei servizi ad interesse pubblico, apertura dei mercati, considerazione dei rischi; tutto ciò tenendo conto dell'evoluzione del ruolo dello Stato, da Stato ad intervento diretto a Stato regolatore, nonché considerando il mutamento degli obiettivi delle riforme nazionali che non mirano più solo alla riduzione delle dimensioni dell'apparato pubblico ed eliminare la regolazione inutile, ma anche a costituire un nuovo quadro normativo per le regolazione dei mercati e il bilanciamento degli interessi pubblici coinvolti.

Secondo l'Ocse 3 sono i pilastri per un sistema normativo efficace: 1) politica di regolazione esplicita, dinamica, continua e coerente, 2) responsabilità del programma conferita a specifici ministri ed adeguate strutture, possibilmente al centro del governo, 3) adozione e attuazione di strumenti efficaci, quali analisi di impatto della regolazione, semplificazione normativa ed amministrativa, consultazione degli interessati, misurazione degli oneri amministrativi.

Vengono introdotti i Piani d'Azione, misure-quadro, che accompagnino specifiche iniziative e che enuncino obiettivi chiari; quindi 'better regulation' come strategia ad ampio respiro, caratterizzata da continuità nei processi, tempestività e rigore nelle valutazioni, e un'autocorrezione puntuale e costante.

La politica comunitaria di 'Better Regulation' ha ricevuto un forte impulso nei Consigli europei di Edimburgo del 1992 e di Amsterdam del 1997, ma risultano decisive le conclusioni del Consiglio Europeo di Lisbona del 2000, che introduce il c.d. “metodo aperto di coordinamento”, dove gli stati membri stabiliscono obiettivi comuni, le politiche per attuarli e per diffondere le prassi migliori via via sperimentate, avviando quindi una stretta ed efficace collaborazione tra gli stati, tant’ è che, sempre nel 2000, viene istituito il c.d. Gruppo Mendelkern, composto da rappresentanti degli stati membri e dalla Commissione europea, con il compito di predisporre un approccio comune in materia di qualità della regolazione, fissando una serie di principi, quali necessità, proporzionalità, sussidiarietà, trasparenza, accessibilità e semplicità delle norme; sono stati, inoltre, individuati strumenti, quali considerazione di differenti opzioni regolatorie (compresa anche l'opzione zero, ossia non intervento), analisi d'impatto, consultazione, semplificazione, istituzione di strutture deputate; proprio tutto ciò ha consentito agli esperti del gruppo Menderlkern di individuare, in via preliminare, le c.d. “best practices regolatorie”.

Nella medesima direzione si collocano le conclusioni del Consiglio di Stoccolma del 2001, fino a delineare il Piano d'Azione del 2002, Action Plan che prevede una serie di azioni, tra cui vanno ricordate: la valutazione preventiva della legislazione comunitaria in rapporto al sistema economico sociale ed ambientale (impact assessment), più frequente utilizzo delle review clauses (clausole di valutazione), fissazione di standard minimi. Nel 2003 viene inoltre firmato l'Accordo Interistituzionale “Legiferare meglio” tra le Istituzione comunitarie dotate di potere

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legislativo, ossia il Parlamento Europeo, il Consiglio dell'Unione Europea e la Commissione, i cui obiettivi principali consistono nel promuovere la semplicità, la chiarezza e la coerenza delle norme comunitarie, in modo da favorirne il puntuale e tempestivo recepimento da parte degli ordinamenti nazionali- Tale intento di semplificazione della legislazione europea viene poi rafforzato dalla Commissione con il “rolling programme”, un programma periodico tenente conto delle priorità segnalate dagli stati membri e dei risultati delle consultazioni con gli stakeholders. Trattasi, quindi, di un vero e proprio 'partenariato' tra Unione Europea e stati membri, essendo questa la strada obbligata per pervenire ad un quadro regolamentare europeo più chiaro e semplice, che sia fattore di competitività e di crescita.

Comunicazione della Commissione Europea Presidenza Barroso del 2006 e Consiglio Europeo di primavera del 2007 – Tendono a rafforzare il dialogo costruttivo fra tutti i partecipanti al processo normativo sia europeo che nazionale, analizza i progressi compiuti e propone nuove iniziative, quali interventi preventivi per favorire il corretto recepimento delle direttive, riduzione degli oneri amministrativi del 25%, analisi d'impatto, in particolare sulle PMI.

Direttiva Servizi del 2006 – E' la Direttiva Bolkestein e prevede un ambizioso programma di semplificazione e informatizzazione delle PP.AA., attraverso l'istituzione di 'sportelli unici' per i prestatori di servizi, possibilità di espletare le procedure a distanza e per via elettronica, obbligo di istituire servizi di e-government entro la fine del 2009, rendere le informazioni e le procedure facilmente accessibili per i prestatori e i destinatari di servizi. A tal fine viene anche predisposto il Manuale sull'attuazione della Direttiva servizi.

Relazione strategica della Commissione Europea del dicembre 2007 – Essa, in pratica, adotta la proposta di un programma comunitario di Lisbona (PCL) 2008-2010, in cui sono fissati 10 obiettivi e le corrispondenti azioni a livello comunitario per i 3 anni successivi, prevedendo in particolare lo “Small Business Act”, un 'atto per le piccole imprese', contenente misure di semplificazione e di sostegno alle PMI.

Secondo esame strategico del programma di Better Regulation nell'Unione Europea e Consiglio europeo di primavera del 2008 – Si passano in rassegna i progressi realizzati e si segnalano i settori in cui sono necessari ulteriori sforzi, rilevando che il lavoro di semplificazione della legislazione europea la raggiunto la 'velocità di crociera' e dovrà mantenere questo ritmo, dando priorità ad iniziative a vantaggio delle PMI, di qui lo Small Business Act.

A partire dalla seconda metà del 2008, l'Unione Europea è chiamata a fronteggiare una gravissima crisi economica, con il crollo dei mercati finanziari e un allarmante aumento della disoccupazione. In questo contesto difficile prende vita il Programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2009 “Agire adesso per un Europa migliore”, dove si pongono, fra le priorità del 2009, la crescita e l'occupazione. Sempre in tal senso la Commissione vara anche il European Economic Recovery Plan 'Piano europeo di ripresa economica', che sollecita un accordo urgente per un incentivo finanziario di 200 miliardi, il rilancio della domanda, e un ambizioso programma di riforme strutturali in grado di fornire agli stati membri gli strumenti necessari per uscire più forti dalla crisi. Si insiste ancora sulla riduzione degli oneri amministrativi e normativi a carico delle imprese e si sollecitano iniziative volte alla riduzione dei tempi necessari all'avvio di un'impresa.

Terzo esame strategico del programma di Better Regulation nell'Unione Europea e Consiglio europeo di primavera del 2009 – La Commissione invita i leader europei a porre in atto azioni coordinate per contrastare la crisi economica e formula proposte volte a sostenere l'economia

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reale e l'occupazione, delineando il percorso per uscire dalla crisi attraverso un programma di riforme del settore finanziario, monitoraggio delle misure adottate per sostenere la domanda, crescita degli investimenti e dell'occupazione, sollecitando urgenti 'misure concrete' dirette ad eliminare le barriere allo sviluppo del mercato interno, limitando al massimo i pesi burocratici gravanti sui cittadini e sulle imprese.

CAPITOLO 2 – GLI STRUMENTI DI BETTER REGULATION IN AMBITO EUROPEO.

Per analizzare i principali strumenti di Better Regulation, ruolo strategico primario ha il Rapporto Mandelkern del 2001 che pone importanza sulla qualità della regolazione quale obiettivo da perseguirsi tramite una politica di tipo orizzontale, ossia non limitata a singole materie, ma più generale, e attraverso procedure innovative, quali:

• l'” IMPACT ASSESSMENT (AIR) o 'analisi di impatto della regolazione' , che deve costituire parte integrante del processo decisionale e non un mero passaggio burocratico;

• la CONSULTATION (Consultazione), che favorisce l'acquisizione di informazioni e la condivisione delle scelte;

• la SEMPLIFICATION (Semplificazione) della legislazione esistente, al fine di rendere le norme più chiare e comprensibili, allo scopo di favorirne il recepimento e l'applicazione da parte dei destinatari.

L' Action Plan del 2002 recepisce in pieno il Rapporto Mandelkern, tant’è che la maggior parte delle raccomandazioni contenute in quest'ultimo coincidono con le azioni proposte nel Piano d'Azione, per cui anche l'Action Plan fa leva sulla consultazione, l'impact assessment e la semplificazione, proponendo di aggiungere, a questo proposito, anche il c.d. “rimaneggiamento”, inteso come 'riordino', identificando attentamente i settori che potrebbero esserne interessati; inoltre, l'Action Plan 2002 sottolinea anche l'importanza del tempestivo e puntuale recepimento e applicazione del diritto comunitario, facendo leva con procedure d'infrazione.

Ma qual è lo strumento di regolazione migliore? Sarà proprio attraverso l'impact assessment che consentirà di identificare lo strumento più efficace, sia di ordine legislativo che non, quindi non si tratta più di scegliere solo tra regolamento, direttiva o raccomandazione, ma si considerano anche le c.d. 'alternative alla regolamentazione' , compresa l'opzione zero, ossia la possibilità di non intervenire sulla situazione normativa esistente. Ma quali sono queste forme alternative? Abbiamo:

• la co-regolamentazione, con cui si permette di rinviare l'attuazione degli obiettivi definiti dal legislatore alla competenza delle parti interessate;

• l'autoregolamentazione, ossia le regole comuni, i codici di comportamento, gli accordi volontari, ossia tutte quelle iniziative su base volontaria, con cui gli attori economici e sociali disciplinano e organizzano le proprie azioni;

• il metodo di coordinamento aperto, che prevede la collaborazione fra gli stati; • gli interventi finanziari; • le campagne d'informazione.

Quindi, sarà verificato di volta in volta se sia preferibile un atto legislativo o far ricorso a forme alternative, attraverso un'analisi approfondita delle diverse opzioni prima di stabilire se e come procedere nei riguardi di un'iniziativa.

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CAPITOLO 3 – LA STRATEGIA COMUNITARIA DI SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA.

Uno dei difetti più vistosi dei sistemi giuridici contemporanei è l' ipertrofia normativa o “ regulatory inflation” , ossia una crescita negli anni della normativa comunitaria e nazionale, creando una 'giungla di regole' dove è difficile districarsi, conducendo a notevoli danni, quali l'incrinarsi del principio di certezza del diritto, ciò ripercuotendosi sul sistema economico, quindi rallentando produttività e crescita.

Proprio per questo prende piede l'obiettivo fondamentale di far fronte a questa inflazione legislativa, prevedendo un quadro normativo chiaro, snello, che avvantaggi la crescita e incoraggi gli investimenti. Per realizzare tale obiettivo si rende necessaria una proficua collaborazione tra sistema socio-economico e sistema politico, valorizzando una multilevel regulatory governance, dall'alto e dal basso; quindi il sistema delle fonti di produzione normativa non è più monistico (solo statuale e gerarchico), ma pluralistico, riconoscendo l'integrazione con il diritto comunitario, nonché un ruolo primario anche alla normativa regionale.

Cos è il diritto comunitario? E' il diritto 'europeo', comune ai paesi membri, non rivolgendosi solo agli stati, ma anche ai loro cittadini, che diventano 'cittadini europei'. La Riforma del Titolo V della Cost. attuata con la legge costituzionale n. 3/2001, con il novellato art.117 Cost. ha introdotto il c.d. “vincolo comunitario”, prevedendo che la potestà legislativa avvenga nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Il diritto comunitario è, infatti, caratterizzato da 3 principi fondamentali:

• il “ primato” o preminenza del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale; • la “diretta applicabilità” delle norme comunitarie, che non richiedono alcun atto degli Stati

membri per entrare in vigore; • l'” efficacia diretta” della norma introdotta, fondando direttamente situazioni giuridiche

soggettive dei singoli, a cui i giudici nazionali devono assicurare tutela.

Nel sistema normativo comunitario è possibile distinguere:

• un 'diritto convenzionale' o primario (il diritto dei Trattati), che ha efficacia tra gli Stati membri ed efficacia diretta all'interno degli Stati), che va sempre più consolidandosi come “la fonte costituzionale” dell'ordinamento comunitario, un diritto superiore;

• un 'diritto derivato' (la c.d. Legislazione comunitaria), ossia gli atti normativi delle Istituzioni comunitarie, che trova la sua fonte regolatrice nell'art.249 del Trattato CE, e distingue tra atti vincolanti (regolamenti, direttive e decisioni) e atti non vincolanti (raccomandazioni e pareri).

I Regolamenti. - Sono l'equivalente della legge nei singoli Stati, in quanto costituiscono l'espressione più importante della potestà normativa delle Istituzioni comunitarie; hanno 3 requisiti tipici e fondamentali:

1. la “portata generale” delle norme; 2. l'” obbligatorietà in tutti i suoi elementi”, quindi completezza e vincolatività piena per i

destinatari, siano essi gli stati membri, i loro organi o anche privati; 3. la “diretta applicabilità” negli stati membri, senza bisogno di un ordine di esecuzione, ne

consegue pertanto l''efficacia diretta' della norma introdotta, capace quindi di creare in capo ai singoli diritti ed obblighi 'direttamente', senza una norma statale di recepimento.

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Le Direttive. - Anch'esse hanno 3 caratteristiche fondamentali:

1. non hanno portata generale, ma vincolano solo gli Stati membri destinatari; 2. obbligano solo per il risultato, per cui lasciano allo Stato una certa discrezionalità

nell'adeguamento; 3. non hanno diretta applicabilità, ma necessitano di misure di attuazione, entro un termine

vincolante fissato dalla stessa direttiva, laddove l'eventuale inosservanza comporta una violazione del Trattato e una procedura di infrazione; l'adattamento del diritto interno alle direttive avviene attraverso atti di esecuzione (rinvio recettizio) [nota: il rinvio recettizio implicante la riformulazione dell'atto comunitario recepito è stato la causa principale d'inadempienza dello Stato italiano nella ricezione degli atti comunitari, tant’è che, nel 1989, con la Legge La Pergola e la successiva Legge Buttiglione del 2005, l'attuazione nazionale della normativa comunitaria è stata garantita da un disegno di legge, da presentarsi entro il 31 gennaio di ogni anno, recante “disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee”, anche tramite delega al Governo, nonché tramite le Regioni (solo dal 2005) per le materie rientranti nella competenza regionale]

Quindi, la direttiva pone un obbligo (di risultato) a carico dello Stato solo dopo la sua trasposizione nel diritto interno. Però, a partire dagli anni '70, la Corte di Giustizia ha affermato la tesi dell'effetto diretto delle direttive, nonostante la mancata trasposizione, laddove la direttiva abbia un contenuto precettivo assimilabile a quello di un regolamento, soprattutto in 3 casi particolari: 1) direttive che pongano obblighi solo negativi, laddove è chiaro che il risultato imposto allo Stato non implica l'adozione di alcuna misura di attuazione, ma solo un 'non facere'; 2) direttive 'riproduttive o confermative' di obblighi già efficaci, ossia quelle in cui ci si limita a ribadire un obbligo già produttivo di effetti immediati in chiave interpretativa; 3) direttive 'particolareggiate' (self-executing), ossia così dettagliate da far ritenere superflua qualsiasi attività di applicazione, tali da escludere qualsiasi discrezionalità degli Stati destinatari.

Resta, comunque, il fatto che, mentre i regolamenti hanno rilievo sia in senso verticale che orizzontale (cioè sia nei rapporti tra i singoli e le autorità, che nei rapporti tra privati), le direttive producono effetti solo in senso verticale, e non orizzontale, per cui non consentono ai singoli tutela nei confronti di altri privati.

Programma triennale di semplificazione 2005 e le metodologie ex-ante ed ex-post.

Si riparla di semplificazione e si analizzano le metodologie adottabili. Tra le ex-ante, abbiamo: 1)inserimento di apposite clausole valutative o di caducità nei testi normativi; 2) ricorso maggiore ai regolamenti, anziché alle direttive, ovviamente a seconda delle esigenze e valutando caso per caso; 3) maggiore utilizzo delle alternative alla regolazione, quali co-regolazione, self-regulation; 4) esteso ricorso alle tecnologie dell'informazione, ai fini di accelerare le procedure amministrative e diminuirne i costi. Tra le metodologie ex-post, la Commissione dichiara di voler ricorrere a tecniche, quali: a) l'abrogazione, mirante all'eliminazione di norme obsolete o irrilevanti; b) la codificazione, mirante alla riduzione del volume della legislazione, attraverso la riunificazione delle disposizioni di un atto e le sue modifiche in un nuovo atto, favorendone quindi la leggibilità e l'accessibilità; c) il recasting, che mira sia a modificare che a codificare la normativa comunitaria.

Esame strategico del 2006. - Evidenzia lo stato di avanzamento delle strategie per la semplificazione del contesto normativo, indicando, prima ancora delle iniziative 'in corso', quelle 'completate', l'estensione del programma di semplificazione a tutti i settori.

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Programmi legislativi e di lavoro della Commissione Europea. - Rimarcano la politica di semplificazione e di snellimento del sistema normativo comunitario, mirano alla riduzione degli oneri amministrativi, e introducono 2 novità: la “consultazione on-line”, attraverso un sito Internet in tutte le lingue, a disposizione delle imprese che vogliano presentare qualsiasi suggerimento per la riduzione degli oneri amministrativi; e l'istituzione di un gruppo ad alto livello di esperti indipendenti, con funzione consultiva.

CAPITOLO 5 – L'ANALISI DI IMPATTO DELLA REGOLAZIONE IN AMBITO COMUNITARIO .

L' analisi di impatto (AIR) è uno degli strumenti cardine delle politiche di Better Regulation in ambito comunitario e i risultati di tale analisi confluiscono in un documento che si inserisce nel processo decisionale, prospettando quelli che possono essere i possibili effetti negativi e positivi dell'iniziativa che si intende intraprendere, di modo che si tratterà di una decisione politica 'informata', supportata dalla chiara consapevolezza ed evidenza dei possibili benefici e svantaggi che ne potranno derivare. Tale strumento viene considerato di importanza tale che, a partire dal 2003, viene ritenuto utile non solo per le proposte legislative, ma per tutte le iniziative, legislative, esecutive e per altri atti di indirizzo. L'imprimatur per il riconoscimento dell'importanza dell'AIR viene dai Consigli di Goteborg e di Laeken del 2001, ma viene introdotto concretamente nel 2002 con una Comunicazione della Commissione, fino a diventare sempre più rilevante, tanto da rielaborarne, nel 2005, le Linee Guida.

Le linee guida sull'analisi di impatto della Commissione Europea del 2005. - Pongono maggiore attenzione all'analisi economica, soprattutto riguardo agli effetti che le proposte legislative possono avere sulla competitività, e, inoltre, viene introdotta la misurazione dei costi amministrativi.

Le linee guida individuano un ' iter logico' per l'analisi d'impatto, che si articola in 6 fasi:

Fase 1) Individuazione del problema, dei soggetti interessati, delle cause del problema e della competenza ad agire nella materia oggetto dell'intervento;

Fase 2) Selezione degli obiettivi, che devono essere:

• 'specifici' , cioè descritti in maniera dettagliata e puntuale; • 'misurabili' , cui è quindi possibile attribuire un indicatore qualitativo e quantitativo; • 'comprensibili' , da parte di tutti i soggetti coinvolti nella medesima accezione; • 'realistici' , cioè realizzabili con gli ordinari strumenti tecnico-giuridici; • 'determinati nel tempo' , quindi riferiti ad un arco temporale.

Fase 3) Individuazione delle opzioni legislative, ossia le opzioni maggiormente idonee al raggiungimento dell'obiettivo, secondo criteri di efficacia, efficienza e adeguatezza (compresa l''opzione zero', non intervenire);

Fase 4) Individuazione del possibile impatto economico, sociale e ambientale, in ordine agli effetti diretti ed indiretti, i soggetti su cui essi si producono, gli indici qualitativi, economici e monetari di ciascuna opzione;

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Fase 5) Come comparare le diverse opzioni, individuando i costi e i benefici di ciascuna opzione;

Fase 6) Verifica e controllo del raggiungimento degli obiettivi, che è la fase successiva all'emanazione del provvedimento, per cui si dispone, già dall'inizio, il sistema che consentirà il monitoraggio costante dell'esecuzione e l'attuazione degli obiettivi.

Accordo interistituzionale su un approccio comune all'analisi di impatto

E' il Common Approach to Impact Assessment del 2005, documento di particolare rilievo perchè vede impegnate le tre massime istituzioni comunitarie, affinché l'analisi di impatto sia svolta in maniera rigorosa e completa e deve basarsi su dati accurati ed obiettivi, nonché pone l'accento sulla trasparenza del processo, tradotta nell'impegno delle tre Istituzioni a pubblicare le proprie analisi d'impatto sul portale internet dell'Unione Europea.

L'Impact Assessment Board. E' del 2006 e trattasi del Comitato per la valutazione d'impatto, un organo interno alla Commissione, alle dirette dipendenze del Presidente, con funzionari di particolare esperienza, provenienti dai Dipartimenti più direttamente coinvolti nei tre aspetti di analisi d'impatto (economico, sociale ed ambientale). Il compito del Board è quello di rendere pareri sulla qualità delle analisi di impatto effettuate e questi pareri, pur non essendo vincolanti, sono allegati alla proposta normativa, insieme alla scheda AIR. Sarà proprio il Board che, nell'esaminare 135 Impact Assessment nel corso del 2008, ha segnalato problematiche, quali: spiegazione chiara e incompleta della materia da regolare, analisi non sufficientemente dettagliata o non equilibrata, per cui si raccomanda di rafforzare il controllo sulla qualità delle AIR svolte; proprio a questo riguardo la Commissione Europea, nel suo 'Terzo esame strategico' indica una serie di possibili miglioramenti, attraverso analisi più mirate e rigorose, migliore consultazione delle parti interessate, migliore quantificazione degli oneri amministrativi, presentazione più chiara e sintetica dei risultati, valutazioni più approfondite, soprattutto riguardo agli impatti sulle PMI, sui consumatori e sulla salute pubblica.

CAPITOLO 6 – IL PROGRAMMA EUROPEO DI MISURAZIONE E RIDUZIONE DEGLI ONERI AMMINISTRATIVI.

Oltre all'Air, c'è un altro strumento di Better Regulation che valuta i soli 'costi amministrativi' , senza prendere in considerazione eventuali valutazioni sui benefici attesi, e questo strumento è noto come “Standard Cost Model” (SMC), riaffinato dalla Commissione Europea in c.d. “EU Standard Cost Model” (EU SCM), che rappresenta la 'summa' delle esperienze nel campo di vari paesi europei, più avanzati in materia (Paesi Bassi, Regno Unito e Danimarca, paesi che lo adottano per qualsiasi materia, mentre per il momento la Commissione guarda solo a specifici settori). E' uno strumento di semplificazione rivolto, in primis, alle imprese, ma in tempi recenti anche ai cittadini.

La procedura di misurazione parte innanzitutto dalla c.d. “mappatura”, ossia l'identificazione degli oneri informativi a carico delle imprese previsti dalle norme di regolazione; successivamente, l'onere informativo viene sezionato nei diversi adempimenti che lo compongono concretamente; dopodiché si procede alla misurazione vera e propria, attraverso delle indagini sul campo, per cui si stima il tempo necessario a un'impresa-tipo di assolvere ad ogni singolo adempimento; in ultimo, si perviene alla stima dell'onere amministrativo complessivo.

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Nel 2005, la Commissione ha forgiato un nuovo metodo per la valutazione dei costi amministrativi, denominato “SCM comunitario”, e in tale contesto assumono importanza il Documento di lavoro sulla “Misurazione dei costi amministrativi e riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione Europea” del 2006 e il “Programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione Europea” del 2007. Questi documenti contengono, innanzitutto, una definizione chiara dei costi amministrativi, i quali sono 'i costi sostenuti dalle imprese, dal settore del volontariato, dalle autorità pubbliche, e dai cittadini, per conformarsi all'obbligo giuridico di fornire informazioni sulla propria azione o produzione ad autorità pubbliche o a privati'. La Commissione opera una distinzione fra 'costi' ed 'oneri' amministrativi:

COSTI. Sono i “costi di conformità alla normativa” (o 'costi da adempimento'), tra cui si distinguono:

• 'costi di conformità tecnica' , che non riguardano il discorso europeo; • 'costi amministrativi' , oggetto del programma della Commissione. A loro vota, i costi

amministrativi si distinguono in 2 tipi di obblighi informativi: a) informazioni che le imprese raccoglierebbero anche in assenza della legislazione in questione; b) informazioni che non verrebbero raccolte in assenza di apposite disposizioni in materia. Questi ultimi sono, per l'appunto, gli ONERI amministrativi , che si distinguono in: 1) 'oneri necessari' , ossia essenziali agli obiettivi della normativa comunitaria (es. prospetti informativi banche o etichettatura prodotti in vendita), e 2) 'oneri inutili ' .

Il Programma d'Azione della Commissione ha proprio per oggetto: la misurazione dei costi amministrativi e la riduzione degli oneri amministrativi c.d. 'inutili ', perchè solo attraverso la riduzione di tali costi si potrà stimolare l'economia europea.

I principali tratti distintivi del SCM Modello Comunitario riguardano:

• i soggetti interessati dagli obblighi informativi (imprese, cittadini e terzo settore); • esclusione dei costi una tantum; • fissazione di una soglia di esclusione per gli obblighi di informazione; • evidenziazione del c.d. “goldplating”, ossia distinzione tra obblighi di fonte comunitaria da

quelli aggiunti in sede di recepimento; • valutazione dei 'costi netti', ossia i costi introdotti con il provvedimento, al netto di quelli

eliminati.

Il Consiglio Europeo di primavera del 2007 continua a porre l'accento sulla riduzione degli oneri amministrativi, ritenendo necessario uno sforzo congiunto e l'ausilio degli Stati membri, così:

• mentre per la legislazione europea vi è l'impegno congiunto di riduzione del 25% entro il 2012; • per la legislazione nazionale (statale e regionale), si invitano gli Stati membri a fissare entro il

2008 i loro target che abbiano 'livello di ambizione comparabile, tenendo conto delle diverse situazioni di partenza e tradizioni'.

CAPITOLO 8 - LE POLITICHE NAZIONALI DI SEMPLIFICAZIONE E QUALI TA' DELLA REGOLAZIONE .

Fino agli inizi degli anni Novanta l'Italia non aveva dato giusta considerazione ai problemi connessi alla qualità della regolazione, poi finalmente è maturata la consapevolezza che la

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qualità della regolazione è decisiva per migliorare la competitività del sistema economico e per accrescere la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle Istituzioni (come messo in evidenza sia da organismi sovranazionali, quali OCSE e Banca Mondiale, sia da importanti istituti di ricerca, quali IMD e World Economic Forum). In ogni caso, il nostro Paese risulta ancora arretrato in tal campo, tant’è che nell'Ease of doing Business (la graduatoria predisposta annualmente dalla Banca Mondiale elaborata sulla scorta delle informazioni circa regolamentazioni e vincoli dei vari Stati), l'Italia si è collocata al 53° posto nel 2008 e al 63° posto nel 2009, causa i tempi lunghi della nostra giustizia, il peso degli oneri burocratici ed economici, sia in materia fiscale che di permessi e licenze, difficoltà di accesso al credito, etc.

Le politiche di semplificazione degli anni Novanta: dalla legge n. 241 del 1990 alle leggi Bassanini. - Un primo avanzamento lento, ma progressivo, inizia ad aversi con la legge 241/90 relativa alla 'liberalizzazione delle attività economiche' e la 'modernizzazione delle PP.AA.', ispirandosi ai principi di semplificazione e democratizzazione dell'azione amministrativa, che dovrà essere: veloce ed efficiente, trasparente, efficace, economica e responsabile. Abbiamo 3 filoni di interventi: 1) una prima serie di interventi sul piano della “liberalizzazione”, con strumenti che agevolano le modalità di esercizio delle attività economiche private, quali D.I.A. (Denuncia Inizio Attività) e silenzio-assenso; 2) una seconda serie di interventi riguardano la “semplificazione” del procedimento amministrativo, riconducibile al principio di ' economicità dell'azione amministrativa' e 'divieto di aggravamento del procedimento' se non per motivate esigenze; inoltre, rientrano in questa seconda serie l'istituto della conferenza di servizi e il principio di certezza temporale della conclusione del procedimento; 3) un terzo filone riguarda la “delegificazione”, per cui si passa dalla legge al regolamento (fonte più agile e flessibile) per disciplinare l'attività e l'organizzazione amministrativa.

Prima Legge Bassanini n. 59/1997. - E' tra le innovazioni più importanti, in quanto introduce il meccanismo della ' legge annuale di semplificazione'; la prima legge di semplificazione è del 1999 ed introduce: a) forme stabili di consultazione delle organizzazioni produttive e categorie interessate, tradotte nella creazione dell'Osservatorio sulle semplificazioni, con finalità di verifica dello snellimento delle procedure burocratiche, analisi degli eventuali ostacoli, efficacia delle semplificazioni già avviate; b) l'AIR (Analisi d'Impatto della Regolazione) sull'organizzazione delle PP.AA. e sull'attività di cittadini e imprese; c) creazione del Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure, composto da 25 esperti ed una segreteria tecnica, struttura che ha il compito di dare attuazione ai processi di delegificazione, semplificazione e riordino. Significativa, oltre ad autocertificazione, DIA e silenzio-assenso, è anche l'adozione dello Sportello Unico, attraverso cui cittadini e imprese hanno un solo interlocutore per l'espletamento di pratiche che coinvolgono uffici e amministrazioni diverse. Giova, inoltre, l'ampio utilizzo delle nuove tecnologie, con strumento quali la carta d'identità elettronica, lo scambio di dati per via telematica e l'e-procurement.

Legge Frattini n. 137/2002. - Dispone: a) la soppressione del Nucleo e b) la creazione dell'Ufficio per l'attività normativa ed amministrativa di semplificazione delle norme e delle procedure, ossia un ufficio dirigenziale di livello generale alle dirette dipendenze del Ministro della Funzione Pubblica, c) la creazione di un Servizio, cioè un ufficio di livello dirigenziale ma non generale, specificatamente dedicato all'AIR, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Dalle leggi di semplificazione Bassanini del 1999 e del 2000 alla legga di semplificazione di Frattini/Mazzella del 2003 si assiste, innanzitutto, alla scomparsa della locuzione 'delegificazione', prendendo il posto la locuzione 'qualità della regolazione', quindi una politica più ampia, finalizzata all'obiettivo di una 'buona legge', chiara, comprensibile, completa,

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sistematica e necessaria (priva di alternative); si cerca, quindi, una 'normativa di qualità, coerente, chiara, essenziale e meno onerosa; non più 'qualità formale' delle regole, ma 'qualità sostanziale', ossia tali da garantire un elevato livello qualitativo del rapporto tra Autorità (da un lato) e cittadini e imprese (dall'altro lato).

La codificazione e il riassetto normativo (legge n. 229/2003 e legge n. 246/2005). - Con queste due leggi si assiste dapprima alla c.d. “codificazione”, infatti il “ codice” prende il posto del “ testo unico misto”, laddove quest'ultimo si limitava ad elencare le norme primarie e secondarie di un dato settore, mentre il codice è uno strumento più esaustivo, in cui vengono raccolte, in un'unica cornice normativa, tutte le norme primarie che regolano le singole materie, eliminando però le norme obsolete e innovando le altre, secondo sia criteri direttivi 'generali' (ossia riferiti a tutti i codici, quali massima riduzione dell'intervento pubblico, sostituzioni di autorizzazioni e licenze con DIA, etc.) sia criteri 'specifici' (riferiti alle singole materie). Quindi, mentre il testo unico non ha altro che 'consolidare la legislazione preesistente', i codici contengono materiale legislativo nuovo, in base a criteri di riduzione degli oneri per i cittadini e imprese e di deregolazione, pur condividendo con i testi unici l'obiettivo della creazione di una raccolta organica di tutte le norme relative a una determinata materia. Altra differenza tra i testi unici e i codici sta nella titolarità dell'iniziativa normativa, che, per i testi unici era demandata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (in particolare al Ministro per la funzione pubblica), per i codici la titolarità è dei ministri competenti per materia, attribuendo quindi alle Amministrazioni competenti un ruolo centrale, pur mantenendo la Presidenza del C.d.M. funzioni di impulso e coordinamento, nonché potere di sostituzione nel caso di inerzia delle amministrazioni.

Si spiega, così, anche il perchè si parla di “riassetto” normativo e non più di “riordino”, con la codificazione, proprio perchè cambia la portata “quantitativa” dell'intervento innovativo, con criteri di delega più ampi e decisivi. Trattasi, quindi, di un intervento più incisivo (e non conservativo come nel caso di riordino e testi unici). Il riassetto (attraverso la codificazione) fa fronte alla dispersione normativa. Tale riassetto deve riguardare ciascuna delle materie indicate annualmente dal Governo come prioritarie. Tra il 2003 e il 2006 prendono così vita tutta una serie di importanti c.d. “decreti legislativi di coordinamento” e codici, tra cui giova ricordare, in termini di semplificazione ed innovazione, il “Codice dell'Amministrazione digitale” del 2005 in materia di informatizzazione della P.A., nonché il d.lgs. 42/2005 che istituisce il Sistema Pubblico di Connettività e la rete internazionale della P.A.; ancora Codice del Consumo, Codice delle Assicurazioni private, Codice delle pari opportunità.

Il “taglia-leggi” (art. 14 della legge n. 246/2005). - Esso rappresenta senza dubbio il più drastico dei rimedi di sfoltimento dello stock normativo. In sintesi, trattasi di un meccanismo che mira all'abrogazione automatica di tutte le leggi anteriori al 1° gennaio 1970, per le quali non venga espressamente previsto il mantenimento in vigore attraverso appositi decreti legislativi, ad eccezione di quelle sottratte a questo meccanismo 'ab origine' dalla stessa legge. La procedura avviene per fasi: 1) prima il Governo è stato chiamato ad individuare, entro il 16 dicembre 2007, le disposizioni legislative vigenti, evidenziando eventuali incongruenze ed antinomie in un'apposita relazione finale da trasmettere al Parlamento; 2) nei due anni successivi il Governo procede ad individuare le disposizioni delle quali ritenga indispensabile la permanenza in vigore, previo parere di un'apposita Commissione bicamerale; 3) ultima fase è l'emanazione, nell'arco di ulteriori due anni, di decreti correttivi e integrativi.

Quindi, per questa 'ghigliottina legislativa' rimane essenziale il dialogo tra Parlamento e Governo, in più l'istituzione della “Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione”, chiamata ad esprimere i pareri sugli schemi dei decreti legislativi (entro 30 giorni

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dalla trasmissione) e a verificare periodicamente lo stato di attuazione del procedimento taglia-leggi.

L'analisi di impatto della regolazione (legge n. 229/2003 e legge n. 246/2005). - Alla prima norma, trattante l'AIR in Italia, non venne data attuazione, mentre con la legge 246/2005 (quarta legge di semplificazione) viene rilanciato l'AIR come strumento di qualità della regolazione e viene istituita la VIR (Verifica di Impatto della Regolazione), ossia la valutazione preventiva degli effetti di possibili interventi normativi ricadenti sulle attività di cittadini, imprese e PP.AA. Tale legge, però, innanzitutto, restringe l'ambito ai soli schemi normativi del Governo (escludendo i regolamenti ministeriali ed interministeriali), poi prevede una serie di 'casi di esclusione' e 'casi di esenzione', tutto rimesso al Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DAGL).

La consultazione. - La consultazione accresce la legittimazione democratica, genera consenso e condivisione degli obiettivi, avvicina 'i regolati ai regolatori'. Negli ultimi anni, la consultazione si è fatta largo anche in Italia, muovendosi dalla Legge 241/90 sul procedimento amministrativo, che ha introdotto il diritto di accesso e generalizzato la partecipazione del privato al procedimento. E' seguita, poi, la legge n. 150/2000, che ha promosso il diritto dei cittadini a essere correttamente informati sulla complessa attività dello Stato. Con la legge n. 229/2003 è stato, poi, attivato lo sportello telematico [email protected], attraverso cui i cittadini possono richiedere informazioni e chiarimenti sulle iniziative normative del Governo. E' ancora allo studio la sperimentazione circa la pubblicazione sul sito www.governo.it degli schemi di provvedimenti normativi del Governo, che dovrà prevedere la facoltà di far pervenire on line contributi personali dei soggetti interessati. Sono allo studio anche linee guida sulla consultazione, sulla scorta delle migliori prassi diffuse a livello internazionale, per una consultazione aperta, attraverso la disponibilità sul sito internet dell'amministrazione competente del documento di consultazione, accompagnato da una sua sintesi illustrativa, assegnando, poi, un termine finale per far pervenire osservazioni, segnalando eventuali punti critici; al termine del procedimento, l'Amministrazione dovrebbe mettere a disposizione del pubblico un documento informativo sintetico sull'esito della consultazione.

La semplificazione amministrativa (legge n. 229/2003, legge n. 15/2005 e legge n. 80/2005). - Anche l'Italia si allinea, con queste leggi, alle istanze dell'Unione europea sulla semplificazione amministrativa, mirante alla drastica riduzione degli oneri burocratici per cittadini e imprese, e alla riduzione dei tempi dell'attività amministrativa. E' merito di queste leggi la creazione di un Dipartimento per le innovazioni e le tecnologie, guidato da un ministro ad-hoc, espressione della tendenza a modernizzare l'Amministrazione Pubblica, sviluppando l'e-government. Viene varata l'iniziativa “dalle code al click” per l'erogazione di servizi on-line (in via telematica), con un notevole abbattimento dei tempi di attesa e dei costi a carico degli utenti.

E' della legge n. 229/2003 l'idea della formazione di un “registro informatico degli adempimenti amministrativi delle imprese”, che consenta di reperire, su un unico sito, tutte le informazioni e la modulistica necessarie per l'avvio e l'esercizio dell'attività d'impresa.

Segue il Codice dell'Amministrazione Digitale (Legge n. 82/2005) che sancisce l'obbligo per le PP.AA. e il relativo diritto per cittadini e imprese, di intrattenere rapporti per via telematica; si configura, inoltre, il “procedimento amministrativo informatico” e lo “sportello unico per le attività produttive” .

Sarà, poi, la legge n. 80/2005 a rafforzare gli strumenti della DIA e del silenzio-assenso, riformando la legge 241/1990, che già prevedeva il ricorso allo strumento del contratto per le

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PP.AA. e l'istituzione della conferenza di servizi; però la nuova legge 80/2005 va a modificare la disciplina della formazione della volontà all'interno della conferenza, laddove questa non risponde più a un criterio maggioritario (cioè il numero delle posizioni espresse dalle amministrazioni coinvolte), ma il peso, per cui viene attribuita una maggiore rilevanza alle posizioni che hanno una competenza preminente in relazione al provvedimento finale. Ciò anche perchè si tiene conto della nuova ripartizione di competenza tra Stato, Regioni ed autonomie locali e inoltre si considera la necessità di bilanciare tra loro interessi sensibili coinvolti nel procedimento.

Un ulteriore passo è proprio la conferenza di servizi elettronica, dove le varie PP.AA. coinvolte si incontrano e decidono in via telematica.

Sempre sul binario della semplificazione amministrativa si codifica anche il nuovo principio conservativo del c.d. “raggiungimento dello scopo”, per il quale un atto non può essere annullato se affetto da vizi formali quando l'amministrazione dimostra che il provvedimento, anche in assenza di tale vizio, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (per cui l'esito non sarebbe mutato).

La digitalizzazione della pubblica amministrazione. - Ha l'obiettivo di garantire una maggiore efficienza dei servizi pubblici, un sensibile risparmio di costi e di tempi procedimentali, nonché una maggiore trasparenza e radicale semplificazione degli atti amministrativi e delle procedure. Già durante la XIII Legislatura l'e-government aveva favorito la diffusione e l'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, anche attraverso la costituzione di un Comitato dei Ministri per la Società dell'Informazione. Ma è stata la XIV Legislatura a dare un ulteriore impulso con la realizzazione del Codice dell'Amministrazione Digitale, approvato con d.lgs. 82/2005, e con la legge 15/2005 sulla riforma del procedimento amministrativo. Il Codice, entrato in vigore il 1° gennaio 2006, contiene le disposizioni per cui vi è l'obbligo per le PP.AA. di snellire le procedure e rendere per via telematica tutti i servizi e le comunicazioni, interne ed esterne; di conseguenza sussiste il diritto per i cittadini e le imprese di usufruire on-line dei servizi delle PP.AA. (es. carta nazionale dei servizi, pagamenti on-line, etc.).

Mutamenti organizzativi. - Ben presto si è avvertita l'esigenza di rafforzare il coordinamento in materia di semplificazione e qualità della regolazione, e ciò ha portato alla creazione di 2 nuovi organismi:

1. uno di carattere tecnico, la Commissione per la semplificazione e la qualità della regolazione, presieduta dal Ministro per la Funzione Pubblica, composta dal Capo del Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi e da altri 20 membri, scelti tra professori universitari, avvocati dello Stato, magistrati amministrativi, contabili, funzionari parlamentari, dirigenti delle PP.AA. esperti di elevata professionalità;

2. uno di carattere politico, il Comitato Interministeriale per l'attività di indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione, dove l'obiettivo è passare ad una strategia unitaria; infatti, questo Comitato vuole essere una vera e propria “cabina di regia” con il duplice obiettivo sia di disegnare le politiche di semplificazione e qualità della regolazione, sia di assicurare che vengano attuate, messe in pratica e rese visibili, non in maniera episodica, ma periodicamente, con snellimento dell'attività amministrativa, riduzione degli oneri burocratici, dei tempi e dei costi a carico di cittadini e imprese.

Un Action Plan per la qualità della regolazione in ambito nazionale. - La prima attribuzione del Comitato Interministeriale si traduce nella predisposizione, entro il 31 marzo di ogni anno, di

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un 'piano di azione' annuale, approvato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso alle Camere, sentito il Consiglio di Stato; piano di azione da articolare su 7 direttrici fondamentali:

1) analisi di impatto della regolazione, quale supporto alle decisioni;

2) misurazione degli oneri amministrativi, adattando al contesto nazionale lo Standard Cost Model;

3) ricorso alla consultazione degli interessati, quali organizzazioni produttive e associazioni di categoria;

4) semplificazione normativa, attraverso la codificazione e il taglia-leggi;

5) semplificazione amministrativa, per ridurre i tempi dell'attività amministrativa e assicurare servizi di qualità;

6) digitalizzazione della P.A.;

7) coordinamento fra i vari livelli di governo, laddove la dimensione europea e quella regionale hanno assunto rilievo preminente su quella statale.

La centralità dello strumento dell'Action plan è dimostrata anche dal procedimento previsto per la sua approvazione, in quanto esso è:

• sottoposto al parere (obbligatorio ma non vincolante) del Consiglio di Stato, che ha il compito di valutare la coerenza del piano con gli altri atti normativi;

• poi approvato dal Consiglio dei Ministri, che si assume la responsabilità politica di quanto previsto nel piano;

• infine, trasmesso alle Camere, laddove si informa l'organo legislativo dei programmi governativi in materia, al fine di coordinare le iniziative dei due poteri dello Stato.

Il raggiungimento degli obiettivi del Piano è poi sottoposto al controllo del Comitato Interministeriale, che può ricorrere all'AIR.

PICO (Piano per l'Innovazione, per la Crescita e l'Occupazione) del 2005. - E' la risposta italiana alla richiesta dell'Unione Europea agli Stati membri di un piano nazionale per la competitività e la crescita, e il nostro PICO è stato considerato particolarmente valido proprio per la previsione delle misure da intraprendere in materia, quali semplificazione amministrativa, contenimento della spesa pubblica, taglia-leggi, legislazione sociale e del lavoro, misurazione degli oneri amministrativi, etc.

Le iniziative della XV Legislatura. - Con decreto legge n. 181/2006 si sopprime la Commissione per la Semplificazione e viene, invece, costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'” Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione” , ridisegnata soprattutto sul piano della sua collocazione istituzionale, con un diverso riparto delle competenze, laddove la materia della semplificazione 'normativa' e della qualità della regolazione viene affidata alle dirette dipendenze della Presidenza del CdM, mentre al Dipartimento della Funzione Pubblica restano le competenze in materia di semplificazione 'amministrativa'. La struttura dell'Unità è sostanzialmente quella della precedente Commissione, ma è coadiuvata da una 'conferenza permanente' di cui fanno parte i capi degli uffici legislativi dei Ministri componenti il Comitato Interministeriale. Il compito principale dell'Unità (come quello della Commissione) resta la

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predisposizione del Piano di Azione, ma questa volta l'attività dell'Unità risulta organizzata in aree operative che riflettono, per l'appunto, le aree di attività del Piano. Resta, invece, in vigore il Comitato Interministeriale nel suo ruolo di cabina di regìa, con funzioni di indirizzo, coordinamento ed impulso.

Governance della regolazione multilivello e costituzione del Tavolo Permanente per la semplificazione. - Nessuna strategia di semplificazione può risultare credibile ed efficace se condotta a livello esclusivamente statale, in assenza di meccanismi di coordinamento tra Stato, Regioni ed enti locali, che nel nostro ordinamento si basa sul sistema delle 'Conferenze'. Proprio per rafforzare questi meccanismi di coordinamento, con decreto P.C.d.M. dell'8 marzo 2007, viene istituito il Tavolo Permanente per la semplificazione, come sede stabile di consultazione delle Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane, categorie produttive e associazioni di utenti e consumatori; il Tavolo è presieduto dal Presidente del CdM, che può delegare le relative funzioni al Ministro per gli Affari regionali e le autonomie locali; esso si avvale del supporto tecnico dell'Unità per la semplificazione e opera in stretto raccordo con il Comitato Interministeriale.

Le iniziative del quarto Governo Berlusconi. - Qui la novità di grande rilievo è rappresentata dalla creazione di un Ministro per la semplificazione normativa, cui viene affidata la guida strategica delle politiche di Better Regulation in ambito nazionale, con ampia delega da parte del Presidente del CdM, tant’è che questo Ministro per la semplificazione normativa va a presiedere sia il Tavolo permanente per la semplificazione sia l'Unità per la semplificazione; ciò al fine di muoversi in un'ottica di continuità e di semplificazione della complessa organizzazione preesistente che prima vedeva le 3 strutture più importanti guidate da 3 diversi organi, con innegabili problemi di coordinamento e conseguenti ritardi nell'attività di impulso e propulsione delle varie iniziative che risultano gestite su tavoli diversi.

Proprio sul piano del coordinamento interistituzionale prende avvio un proficuo dialogo tra Governo e Parlamento, attraverso numerose audizioni nell'ambito della Commissione parlamentare bicamerale per la semplificazione della legislazione, che individua eventuali cause nel conseguimento di risultati apprezzabili in tema di semplificazione proprio nei continui 'cambi di maggioranza', nonché nel ruolo preponderante attribuito alle amministrazioni, con la conseguenza di un'eccessiva burocratizzazione.

CAPITOLO 9 – IL PIANO DI AZIONE PER LA SEMPLIFICAZIONE E LA QUALITA' DELLA REGOLAZIONE.

Ha visto la luce in Italia il 2007 ed è stato delineato dal Comitato Interministeriale e predisposto con il supporto tecnico dell'Unità, avvalendosi di una serie di contributi emersi in sede di consultazione svolta nell'ambito del Tavolo permanente per la semplificazione.

Gli Action Plans nei paesi europei. - Trattasi di documenti molto diversi tra loro per formato, finalità e concezioni, ma tutti accomunati da uno stesso presupposto, quello della necessità di ridurre gli oneri amministrativi per cittadini e imprese, in modo da garantire lo sviluppo delle attività economiche e favorire l'occupazione, in coerenza con gli obiettivi fissati a Lisbona.

OLANDA. Action Plan basato sullo strumento della misurazione dei costi amministrativi (tant’è che si parla del modello olandese dello Standard Cost Model SCM), per cui per ogni nuovo atto regolativo che introduce costi, i ministeri devono individuare risparmi compensativi in altri settori.

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FRANCIA. Punta sulla semplificazione, in linea con le iniziative adottate dall'Unione europea.

REGNO UNITO. Si basano sulla riforma della regolazione, con tutta una lista di proposte di semplificazione, accompagnate da una descrizione dei benefici per imprese, cittadini, settore pubblico e charities. Anche qui una particolare attenzione per la misurazione e la riduzione degli oneri amministrativi, identificando le aree in cui gli oneri a carico di imprese e terzo settore possono essere ridotti.

DANIMARCA. Anch'essa si basa sulla misurazione degli oneri amministrativi, attraverso lo SCM, e la riduzione degli stessi del 25% entro il 2010.

GERMANIA. Qui abbiamo: riduzione degli oneri amministrativi; costituzione di un Consiglio di Controllo delle norme; individuazione e misurazione dei costi con lo SCM; creazione di un Coordinatore per la riduzione della burocrazia e il miglioramento della regolazione; adozione di una legge sulle piccole imprese.

POLONIA. Essa delinea la sua azione in un Programma di Riforma della Regolazione nell'ambito del progetto SIGMA (Support for Improvement in Governance and Management), creando una Task Force interministeriale per una 'moderna regolazione economica'.

PORTOGALLO. Qui vi è il progetto SIMPLEX, che punta decisamente su azioni di semplificazione normativa e amministrativa e di e-government; il programma portoghese prevede la 'dematerializzazione' del procedimento legislativo, attraverso il ricorso a tecnologie informatiche e la riforma del Diario da Republica in edizione elettronica.

SLOVENIA. Opera su due ambiti: la rimozione delle barriere amministrative e la sistematica valutazione di tutte le nuove regolamentazione per impedire la creazione di nuove barriere amministrative.

FINLANDIA. Punta l'attenzione sulla semplificazione normativa e la qualità degli atti normativi, istituendo un Comitato di esperti con il compito di promuovere alternative, valutare progetti e iniziative.

NORVEGIA. Punta sulla riduzione dei costi amministrativi per le imprese.

Piano d'Azione per la semplificazione e la qualità della regolazione 2007: logica ispiratrice e profili di novità. - Il Piano d'azione italiano è una novità assoluta, per vari aspetti che lo caratterizzano:

• la policy di Better regulation deve essere un obiettivo perseguito con continuità, superando la logica degli interventi episodici;

• la Better Regulation deve essere una 'strategia organica', che colloca in un unico contesto i diversi strumenti operativi, attenta sia ai profili economici che a quelli giuridici, ricomprendendo tutti gli strumenti di miglioramento della regolazione (semplificazione, riduzione degli oneri, consultazione, AIR), e affiancando alla semplificazione normativa o giuridica anche quella amministrativa;

• è una 'multilevel policy', che richiede un costante raccordo tra i vari livelli di governo, tant è che il Piano si allinea con gli ambiziosi obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Bruxelles di riduzione degli oneri amministrativi derivanti dalla normativa comunitaria del 25%, ma non solo, si impegna a ridurre del 25% anche quelli derivanti dalla normativa nazionale;

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• vengono individuati dei 'livelli minimi essenziali di semplificazione' e dei 'livelli massimi di oneri burocratici'.

Purtroppo il Piano d'Azione 2007 nasce in un contesto politico particolare, quello della assai debole maggioranza del governo Prodi, per cui numerosi disegni di legge richiamati nel Piano vengono interrotti nel loro iter dalla fine anticipata della legislatura, per cui si sposta l'asse dell'azione politica su iniziative di semplificazione in via amministrativa e regolamentare, più che sulla normazione primaria.

La natura giuridica del Piano d'Azione e i rapporti con la legge annuale di semplificazione. - Circa la natura giuridica, esso va nel novero degli atti di indirizzo politico-amministrativo del Governo, anche per il suo particolare iter di approvazione, che prevede il parere obbligatorio del Consiglio di Stato, l'approvazione da parte del CdM, e la trasmissione alle Camere. Quanto ai rapporti con la legge annuale di semplificazione, essi hanno già natura giuridica diversa, in quanto la legge annuale è sì anch'essa un atto di indirizzo politico, ma ha carattere di fonte normativa e quindi ha portata innovativa, con disposizioni che entrano a far parte dell'ordinamento con forza vincolante e prevalgono sugli atti normativi di livello secondario, quali i regolamenti.

Il parere del Consiglio di Stato del 21 maggio 2007. - E' largamente favorevole, ravvisando che il Piano supera le due principali ragioni di difficoltà della politica di semplificazione in Italia: 1) non un approccio generalizzante e unitario alla semplificazione procedimentale e normativa, laddove è bene tenerle distinte perchè la semplificazione normativa è un'operazione tecnica, mentre quella procedimentale presuppone scelte di carattere politico; 2) un approccio multilivello, in grado di assicurare che anche Regioni ed Enti locali perseguano politiche di qualità della regolazione. L'unico aspetto problematico rilevato dal Consiglio di Stato riguarda l'assenza di iniziative di Better Regulation in relazione all'attività normativa e procedimentale delle Autorità territoriali indipendenti, quando invece dovrebbero prevedersi anche per queste dei livelli minimi essenziali della semplificazione.

Strumenti di semplificazione normativa. - Sono: la legge annuale di semplificazione, la delegificazione, la deregolamentazione, i testi unici, i codici, l'AIR e la VIR, il taglia-leggi.

Strumenti di semplificazione amministrativa. - Sono: la modernizzazione informatica, la l'autoregolamentazione, la riduzione degli oneri burocratici, attraverso DIA e silenzio-assenso.

Piano d'Azione 2007. - Si articola in 7 sezioni, che riguardano distinte aree tematiche, ciascuna delle quali suddivisa in specifiche linee d'azione, e sono:

1. la riduzione degli oneri amministrativi, preceduta dalla misurazione di tali oneri, sia quelli 'di origine statale' che quelli 'di origine regionale', consentendo così di identificare quali oneri sottoporre a riduzione, in quanto non necessari o eccessivi; tale misurazione avviene attraverso lo SCM olandese (che stima i costi amministrativi derivanti dagli obblighi informativi per un'impresa attraverso interviste a imprese rappresentative della categoria o settore di riferimento) e nelle c.d. 'aree prioritarie', che nel 2007 sono state la privacy, l'ambiente, il paesaggio e i beni culturali, la sicurezza civile, la previdenza; il focus si è concentrato sulle PMI private e le rilevazioni sono state effettuate dall'Istat, individuando un costo di circa 16 miliardi di euro; il piano introduce, allora, la “Comunicazione unica per la nascita dell'impresa”, ossia una comunicazione unica presso il Registro Imprese che sostituisce tutti gli adempimenti per l'inizio d'impresa; per la riduzione degli oneri per i cittadini viene introdotta la “Comunicazione unica dino” che consente di comunicare una volta sola alla PA i dati relativi a residenza, restando a

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carico della PA l'onere di trasmettere tali dati per via telematica; sempre sulla scia, viene introdotta la “Comunicazione obbligatoria per il lavoro”, nuova procedura che consente al datore di lavoro pubblico o privato di effettuare un'unica comunicazione ai centri per l'impiego, per via telematica, in sostituzione di tutte le altre comunicazioni in precedenza obbligatorie.

2. il miglioramento della qualità della regolazione, attraverso la semplificazione normativa, la riduzione del numero delle leggi, l'AIR semplificata e la consultazione telematica;

3. il controllo, la verifica e l'aggiornamento degli indicatori di qualità della regolazione, evidenziando quei c.d. “grumi di regolazione” che penalizzano particolarmente il nostro paese nei confronti di altri (i tempi della giustizia, permessi di costruzione, costi notarili, complessità del sistema fiscale);

4. la riduzione e la certezza dei tempi procedimentali, al fine di innalzare progressivamente gli standards di prestazione (eliminando fasi inutili ed eventuali ostacoli), in modo da accrescere le garanzie del cittadino; la certezza è perseguita con il risarcimento del danno e la previsione di una sanzione per inosservanza dei termini procedimentali (legge Nicolais), a carico delle PP.AA. responsabili di ingiustificati ritardi;

5. la reingegnerizzazione dei processi, attraverso l'innovazione tecnologica, con numerose iniziative inquadrabili in 3 tipologie: 1) quelle di immediata realizzazione, quali la Conferenza di servizi telematica, i pagamenti elettronici, l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero; 2) quelle 'di sistema', fra cui rientra la piena gestione elettronica dei documenti delle PP.AA. e l'eliminazione dei flussi cartacei tra amministrazioni centrali, attraverso l'utilizzo esclusivo della posta elettronica; 3) progetti di grande impatto per i cittadini e le imprese, quali fascicolo sanitario elettronico, automatizzazione di alcuni servizi sanitari (prenotazione, prescrizione e referto on-line), processo telematico;

6. la semplificazione normativa e amministrativa delle attività delle regioni e degli enti locali, quindi l'approccio multilivello, allo scopo di assicurare che anche le Regioni e gli altri enti locali perseguano politiche di qualità della regolazione e operino in maniera coordinata con lo Stato, nell'ambito di una strategia unitaria;

7. interventi di supporto all'attuazione del Piano, quali comunicazione, formazione e consultazione.

CAPITOLO 10 – LA SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA.

L'art.107 della legge finanziaria per il 2001 (Legge n. 388/2000). - Questo articolo recepisce quella che è ormai la convinzione sempre più diffusa che l'ipertrofia e la complessità dell'ordinamento italiano siano un grave problema che va a scardinare il principio di certezza del diritto, perchè quando il sistema diventa una 'giungla inestricabile', diventa impossibile la stessa conoscibilità delle norme, con gravissime conseguenze, poiché “ignorantia legis non excusat”, anche se la Corte Costituzionale, in occasione di una sentenza del 1988, ha precisato che 'è dovere fondamentale degli organi legislativi formulare norme chiare perchè il soggetto deve poter sapere in ogni momento cosa gli è lecito fare e cosa gli è vietato'. Quindi, le leggi devono essere chiare, accessibili ed intellegibili, tant’è che la stessa Corte Costituzionale si è occupata delle c.d. “norme intruse” (ossia l'inserimento di una norma riguardante una determinata materia in un testo relativo ad una materia diversa), configurandolo come 'esercizio non corretto di tecnica legislativa'.

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In Italia, per realizzare l'obiettivo della conoscibilità ed accessibilità dell'ordinamento si è fatto leva sulle nuove tecnologie e sull'informatica pubblica, infatti la legge finanziaria per il 2001 ha introdotto un programma finalizzato a promuovere l'informatizzazione e la classificazione della normativa vigente per facilitare la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini. Questa è senz'altro un'iniziativa apprezzabile, ma non basta, perchè va comunque operata un'operazione di vasta semplificazione normativa, tant’è che vi è, con la XVI legislatura, la creazione di un Ministro per la semplificazione normativa e la definizione del progetto “Normattiva” per agevolare la ricerca e la consultazione gratuita di tutta la normativa vigente da parte dei cittadini.

Il drafting . - Il fenomeno dell'inflazione legislativa è caratterizzato non solo dall'eccesso di regolazione, ma anche dal proliferare di norme frammentarie, disorganiche e poco chiare. Proprio per rimediare a tale problema vi è il c.d. “ drafting” (dall'inglese 'to draft', tracciare, che significa preparare una bozza, una minuta) che è lo strumento che comprende l'insieme delle regole e raccomandazioni per la migliore formulazione tecnica dei testi normativi; questo termine è quindi utilizzato generalmente per indicare l'attività volta a tradurre in termini tecnico-giuridici le scelte politiche operate dal legislatore; quindi, trattasi di regole attinenti la formulazione tecnica, che, pertanto, si affiancano ed integrano le comuni regole logiche e linguistiche, in modo da rendere il discorso giuridico puntuale e inequivoco. L'attività di drafting viene svolta sia in Senato che in Parlamento, laddove nel primo è svolta dal Servizio per la qualità degli atti normativi, e nel secondo dal Servizio per i testi normativi. Inoltre, con una direttiva del Presidente del Consiglio del 2008 l'ATN (Analisi Tecnico-Normativa) deve verificare anche il rispetto delle competenze delle regioni e delle autonomie locali, tener conto sia della giurisprudenza nazionale che comunitaria; sarà, poi, del 2009 l'introduzione , per la prima volta in Italia, dell'Agenda dei provvedimenti normativi, per la programmazione trimestrale delle iniziative di Governo da sottoporre al CdM.

Il taglia-leggi. - In questo contesto matura anche la convinzione di far ricorso allo strumento del taglia-leggi, quella 'ghigliottina legislativa' che vede la luce nel ns. ordinamento con la legge n. 246/2005, laddove il legislatore accoppia alle iniziative di codificazione e riassetto normativo una preliminare e drastica iniziativa di sfoltimento dello stock normativo; lo scopo è quello di semplificare l'ordinamento, riordinarlo per settori, attraverso l'adozione di codici nei quali confluiscano solo quelle norme veramente indispensabili.

Pur avendo registrato qualche diffidenza e qualche contrasto, la norma taglia-leggi è rimasta in vigore ed è stato costituito un apposito Comitato tecnico per il coordinamento dell'attività di perimetrazione delle norme esistenti, il cui risultato è stata la realizzazione della c.d. “banca dati informatica taglia-leggi” che raccoglie tutti i riferimenti legislativi censiti dalle Amministrazioni statali; da questa ricognizione il dato finale è di 21.000 atti, di cui 7.000 anteriori al 1° gennaio 1970 e, di questi, circa 5.000 da abrogare.

Il Ministro per la semplificazione normativa. - La creazione di un Ministro ad-hoc testimonia proprio l'importanza che il Governo riconosce alla politica di contenimento dell'inflazione legislativa, che fa da freno allo sviluppo delle attività produttive e riduce la competitività del paese. Le funzioni del Ministro sono: di coordinamento, di impulso, di indirizzo, promozione di iniziative normative, di vigilanza e verifica, e ogni altra funzione relativa alla semplificazione normativa; egli è anche alla guida del Comitato Interministeriale per le politiche di semplificazione e del Tavolo permanente per la semplificazione. Quindi, al Ministro per la semplificazione sono affidati tutti i compiti più importanti connessi allo sviluppo e all'attuazione delle politiche di Better Regulation (attuazione del taglia-leggi, predisposizione del disegno annuale per la semplificazione e il riassetto normativo, regolamenti di delegificazioni, accordi tra stato, Regioni e province autonome).

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Decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 e legge n. 69/2009. - Il primo riguarda la manovra finanziaria triennale 2009-2013 del Quarto Governo Berlusconi, convertito nella legge n. 133/2008, dove il Titolo I contiene le disposizioni su 'sviluppo economico, semplificazione e competitività', finalmente considerate congiuntamente, riconoscendo le misure di semplificazione come strumenti di crescita e di sviluppo economico; questo comprendeva misure di semplificazione, quali la riduzione dei tempi di conclusione dei procedimenti, accelerazione dei tempi dei processi, riforma dell'organizzazione delle PP.AA., misure di liberalizzazione e deregolazione, fino alle privatizzazioni.

Con la legge n. 69/2009, invece, un intero Capo II è intitolato alle semplificazioni, con una vastità di direttrici:

• chiarezza dei testi normativi, laddove le disposizioni in materia costituiscono principi generali e non possono essere derogate, modificate o abrogate; inoltre, prevede che il Governo deve provvedere a che: a) ogni norma che sostituisca, modifichi, deroghi o abroghi, una norma vigente, indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate; b) ogni rinvio ad ulteriori norme contenuto in disposizioni legislative o in regolamenti o decreti o circolari, contestualmente indichi, in forma integrale o sintetica e di chiara comprensione, il testo o la materia cui fanno riferimento o il principio che intendono richiamare;

• revisione periodica dei codici e dei testi unici, almeno ogni sette anni, prevedendone l'aggiornamento;

• riduzione dei tempi di operatività della ghigliottina legislativa ( far data dal 60° giorno dall'entrata in vigore del decreto-legge) e ampliamento della sua operatività, anche a leggi pubblicate successivamente al 1° gennaio 1970, tant’è che si parla di “abrogazione espressa” perchè gli estremi degli atti da abrogare (anziché quelli sottratti ad abrogazione) sono indicati cronologicamente in un apposito allegato, ricompresi quelli successivi al 1970; a questo proposito non sono mancate le critiche che hanno definito questa un'operazione 'inutile' o 'poco più che estetica', trattandosi di leggi che hanno ormai palesemente esaurito i loro effetti, o, a volte, leggi che si correlano con altre disposizioni (anche a rischio di creare un vuoto normativo); ecco perchè risulta necessario, oltre a tagliare le leggi, anche una vasta opera di riordino, di riassetto, nonché l'abrogazione anche dei regolamenti adottati sulla base delle norme non più vigenti, e ancora riordino anche della normativa a livello regionale ed europeo (tutto ciò vera infatti compiuto con il decreto-legge n. 200/2008, convertito nella legge n.9/2009);

• individuazione dei settori esclusi dalla ghigliottina legislativa; • introduzione del parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia su tutti gli

schemi di regolamenti di delegificazione, da esprimere entro 30 giorni dalla richiesta; • adozione di testi unici compilativi, in forma di decreti del PdR, previa deliberazione del CdM e

sentito il parere del Consiglio di Stato; • possibilità per il Governo di demandare la redazione degli schemi dei testi unici al Consiglio di

Stato, consentendo a quest'ultimo di avvalersi di esperti.

CAPITOLO 11 – LA SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA.

Tradizionalmente la semplificazione amministrativa consiste in semplificazione procedimentale, con l'obiettivo dello snellimento dell'attività amministrativa, attraverso l'accorpamento e la riduzione delle fasi procedimentali e la deregolamentazione, in modo da eliminare i procedimenti amministrativi superflui. D'altro canto, essa mira anche a snellire l'apparato organizzativo burocratico, operazione che deve essere senz'altro prodromica a quella dello snellimento dei procedimenti. Non sempre, infatti, si è proceduto di pari passo, con interventi di semplificazione procedimentale accompagnati da iniziative di ammodernamento dell'apparato burocratico, e ciò è

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stata proprio una delle difficoltà incontrate nel nostro paese che non ha ottenuto risultati significativi.

Legge n. 241/90. - La via italiana alla semplificazione amministrativa si è mossa dalla legge 241/90 relativa alla disciplina del procedimento amministrativo, che costituisce proprio la pietra angolare della modernizzazione del ns. sistema amministrativo, laddove il legislatore ha introdotto significative innovazioni, ispirate a 2 obiettivi principali:

1. la semplificazione dell'azione amministrativa, per renderla più efficiente, più veloce, meno burocratica e più responsabile di fronte al cittadino;

2. la democratizzazione dell'azione amministrativa, che risponde all'esigenza di rovesciare il principio di segretezza documentale degli atti, rendendo l'amministrazione una 'casa di vetro', favorendo la partecipazione e l'accesso agli interessati.

E' la cultura del 'servizio al cittadino', attraverso due direttrici: semplificazione e trasparenza.

Legge Cassese n. 537/1993. - Si muove sul solco della legge 241/90 e dà avvio ad una vasta riforma dell'apparato amministrativo, diretta a:

• il riordino e alla riduzione delle strutture pubbliche; • l'eliminazione di duplicazioni organizzative; • l'istituzione di organismi indipendenti per la regolazione dei servizi di rilevante interesse

pubblico: • modernizzazione dell'amministrazione pubblica; • semplificazione procedimentale, intesa come semplificazione 'giuridica' dei procedimenti,

riducendone i tempi e le fasi e, di conseguenza, i costi.

Lo strumento utilizzato è la “delegificazione”, che autorizza il Governo a disciplinare una materia con regolamento, per cui, attraverso questa 'dequotazione', il Governo diventa la guida delle iniziative di semplificazione amministrativa, e questo si presenta anche come rimedio contro l'inflazione legislativa, perchè vi è la sostituzione delle norme di legge con regole più flessibili, più facilmente e rapidamente modificabili, sebbene non produca una riduzione quantitativa delle norme vigenti. I principi e i criteri direttivi che ispirano i regolamenti di delegificazione sono:

1. semplificazione dei procedimenti amministrativi, in modo da ridurre il numero di fasi procedimentali, il numero delle amministrazioni intervenienti, e la previsione di atti di concerto e di intesa;

2. riduzione dei termini prescritti per la conclusione del procedimento; 3. regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo; 4. riduzione del numero dei procedimenti amministrativi e accorpamento di quelli che si riferiscono

alla medesima attività; 5. riforma radicale delle DIA (Denuncia di Inizio Attività), rovesciando la regola originaria che ne

faceva un'eccezione ammessa solo in casi tassativamente indicati, introducendo invece il principio generale, secondo il quale, salvo i casi in cui restano attribuiti alla P.A. Poteri di valutazione tecnica e discrezionale, non residuano altri margini per l'esercizio dei poteri di abilitazione.

Legge Bassanini n. 59/1997. - Con questa legge la semplificazione amministrativa viene ancorata non solo all'ammodernamento delle PP.AA., ma anche alla qualità della regolazione, e il primo grande intervento consiste nell'introduzione del meccanismo della “legge annuale di

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semplificazione” dell'attività amministrativa, che, quindi, la rende un fatto, non più episodico, ma stabile. I principi e criteri direttivi di questa legge sono:

1. semplificazione di singoli procedimenti amministrativi, mediante accorpamento e riduzione delle fasi procedimentali e dei centri di competenza;

2. eliminazione degli adempimenti superflui e deregolamentazione; 3. riduzione degli oneri burocratici, attraverso l'ampliamento della DIA e del silenzio-assenso; 4. trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e agli enti locali, in omaggio al

principio di sussidiarietà verticale.

Un primo bilancio a quindici anni dall'entrata in vigore delle Legge 241/90. - I risultati non sono stati apri alle attese, così come evidenziato anche da un'indagine condotta dall'Istat del 2005, da cui emerge che la legge ha avuto un'applicazione solo parziale e non uniforme, per cui si sono resi necessari interventi di riforma di tale legge, tra cui:

• la legge n. 15/2005, sempre sul procedimento amministrativo; • il Codice dell'Amministrazione Digitale d.lgs. n. 82/2005; • la legge n. 80/2005 nell'ambito del c.d. “Pacchetto Competitività”, con importanti modifiche

della DIA e del silenzio-assenso; • la quarta legge di semplificazione n. 246/2005, che prevede una delega al Governo per la

semplificazione degli adempimenti amministrativi e il rafforzamento dello sportello unico per le attività produttive.

I principi generali dell'attività amministrativa dopo la legge n. 15/2005. - Questa legge rappresenta un 'completamento organico e sistematico della legge 241/90', allo scopo di tracciare un primo abbozzo di codificazione del diritto amministrativo sostanziale. I principi generali sono:

• principio di imparzialità; • principio del buon andamento della P.A.; • principio di legalità dell'azione amministrativa; • economicità, efficacia e pubblicità; • efficienza, trasparenza e responsabilità.

I principi dell'ordinamento comunitario. - La legge 15/2005 richiama in modo esplicito i principi dell'ordinamento comunitario, in particolare:

• il principio di proporzionalità, che si ricollega al 'diritto a una buona amministrazione', ossia il diritto (sancito dall'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE) di ciascun cittadino comunitario a che 'le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole'; il principio di proporzionalità ne è infatti un'ulteriore declinazione e comporta che le situazioni di carattere privato non vengano sacrificate al di là di ciò che è strettamente necessario; trattasi, quindi, di un divieto di limitazione da parte delle PP.AA. della libertà dei privati, se non nei casi di stretta necessità, imponendo ai cittadini e alle imprese il minor onere possibile, quindi, proporzionalità della scelta rispetto alle possibili alternative e rispetto al fine di interesse pubblico da perseguire;

• il principio del legittimo affidamento, che riguarda l'istituto dell''annullamento d'ufficio (di un atto ritenuto illegittimo) e la legge 15/2005 stabilisce che l'annullamento può avvenire solo in presenza di specifiche ragioni di interesse pubblico, ma entro un termine ragionevole e

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tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, per cui per la prima volta la norma introduce un elemento di valutazione, ponendo sullo stesso piano l'interesse privato e l'interesse pubblico (che precedentemente da solo riempiva la scena), quindi l'interesse privato, laddove supportato dal 'legittimo affidamento', sia così forte da non consentire la realizzazione dell'interesse pubblico; ciò è supportato anche dalle previsione di un termine ragionevole (da valutare caso per caso), per cui, una volta trascorso un determinato periodo di tempo, le situazioni si siano consolidate e perciò non sia più possibile rimuoverle; analoga impostazione sussiste, con la nuova legge, per la 'revoca d'ufficio', che può essere esercitata solo in caso di sopravvenuti motivi di interesse pubblico, o per il modificarsi di una situazione di fatto, però si è anche previsto, in capo all'amministrazione, l'obbligo di provvedere all'indennizzo dei soggetti che, in conseguenza della revoca, abbiano subito pregiudizio;

• il principio di precauzione, che riguarda esclusivamente alcuni settori della P.A., quali politica ambientale, politica sanitaria, ossia quelli in cui si possono porre delle emergenze, per cui necessita un'azione preventiva cautelare.

L'ingresso delle norme di diritto privato. - La legge n. 15/2005 stabilisce che le PP.AA., salvo che nell'adozione di atti autoritativi, agiscono secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge non disponga diversamente; per cui si ribalta l'impostazione tradizionale secondo la quale il diritto comune delle PP.AA. sia il diritto amministrativo e il diritto privato sarebbe l'eccezione; adesso la regola diventa quella opposta e cioè che è il diritto amministrativo a dover essere espressamente previsto dalla legge, altrimenti le amministrazioni operano come soggetti di diritto comune con strumenti privatistici; in altre parole, lo strumento privatistico dovrebbe essere favorito rispetto a quello pubblicistico-autoritativo. Un discorso a parte vale per i soggetti titolari dei c.d. 'munera', quali i concessionari di servizi e lavori pubblici o gli attuatori di programmi finanziati dallo Stato o dall'UE, perchè in tal caso non si tratta di una sostituzione del privato ai pubblici poteri, ma di una concezione partecipativa (ispirata al principio di sussidiarietà orizzontale) e, in questi casi, bisognerà stabilire, di volta in volta, se le attività di questi soggetti siano di rilievo pubblico e quali invece poste in essere nell'ambito della loro autonomia privata (che non rientra nella sfera di operatività del nuovo principio).

Sempre in linea con il principio del 'favor' per l'adozione di strumenti privatistici, la legge 15/2005 ha stabilito che ora è sempre ammesso il ricorso ad accordi sostitutivi, salvo che la legge non lo vieti espressamente, al contrario di ciò che accadeva in precedenza (con la legge 241/90) dove il ricorso ad accordi sostitutivi poteva avvenire solo nei casi previsti dalla legge. Comunque, nel rispetto del principio di legalità, la stipulazione di accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento deve essere preceduta da una determinazione dell'organo competente all'adozione del provvedimento, proprio a garantire la serietà dell'accordo.

Il principio di economicità dell'azione amministrativa e l'abolizione della diffida ai fini del silenzio-inadempimento. - E' un'altra novità della legge 15/2005, per cui, proprio nel rispetto del principio di economicità, è stabilito che in caso di mancata adozione di un provvedimento entro un termine stabilito, ciò costituisce “silenzio significativo” che, in base alla specifica previsione normativa che lo qualifica in termini positivi o negativi, avrà valore di accoglimento o di rigetto. Nel caso in cui, poi, manchi una norma che qualifichi il silenzio dell'amministrazione, esso varrà come 'silenzio-inadempimento', per inerzia dell'amministrazione; quindi, si può dire che, mentre il silenzio- assenso (o rigetto) è un rimedio 'preventivo', che elimina a monte la possibilità di inerzia, il silenzio-inadempimento è un rimedio di tipo 'successivo', finalizzato a rimuovere gli effetti dell'inerzia. In passato, per la formalizzazione dell''obbligo di provvedere' si passava attraverso lo strumento della “diffida”, invece, con la legge 15/2005, il silenzio-inadempimento è immediatamente impugnabile o comunque entro un anno dalla scadenza del termine per provvedere, quindi la diffida non ha più ragione d'essere.

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La nuova disciplina della conferenza di servizi. - Si tratta di una modalità decisionale con finalità di coordinamento delle amministrazioni interessate al processo di formazione dell'atto che, attraverso l'”esame contestuale” degli interessi pubblici coinvolti dal medesimo procedimento, mira ad assicurare un'accelerazione dei tempi della procedura, per cui le amministrazioni coinvolte non valutano più, come avveniva in passato, in maniera 'separata' ed 'autonoma', ma in maniera 'contestuale', con notevoli risparmio di tempi. Inizialmente era necessario un consenso unanime e questo è stato infatti l'ostacolo principale delle prime esperienze applicative, tant’è che una prima riformulazione è avvenuta ad opera di Cassese nel 1993 che prevedeva, in caso di non raggiungimento dell'unanimità, la possibilità di delegare la decisione al Presidente del CdM. Nel 1995 l'operatività della conferenza di servizi viene estesa anche a 'su richiesta dell'interessato' e, nel 1997, anche ai procedimenti complessi, prevedendo inoltre che, in caso di dissenso motivato, sarà l'amministrazione procedente a determinare la decisione, dandone comunicazione al Presidente del CdM nel caso in cui l'amministrazione procedente o quella dissenziente sia un'amministrazione statale, negli altri casi la comunicazione è data al Presidente della Regione ed ai sindaci. La c.d. 'determinazione sostitutiva' del Presidente del CdM sopravvive solo nei casi di 'dissensi qualificati o rilevanti', ossia espressi da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistica, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute dei cittadini. Con la seconda legge si semplificazione n. 340 del 2000 vi è un'ulteriore riforma organica della conferenza di servizi che riguarda il termine della previsione dei lavori che non può superare i 90 giorni, superati i quali si decide sulla base della maggioranza delle posizioni espresse, e gli eventuali dissensi devono essere pertinenti (cioè non riferirsi a questioni connesse), costruttivi (cioè recare specifiche indicazioni sulle modifiche da porre per l'assenso) e congruamente motivati.

La legge n. 15/2005 conferma quest'ultimo impianto normativo, ma modifica il 'criterio della maggioranza' con il 'criterio della prevalenza' , volendosi intendere non più una maggioranza numerica, ma una maggioranza 'qualitativa', fondata sul consenso o dissenso delle amministrazioni 'più importanti' nel singolo caso. Inoltre, si prevede che lo svolgimento della conferenza di servizi possa avvenire anche con l'uso di strumenti informatici, previo accordo delle amministrazioni interessate. Altra aggiunta è la decisione rimessa alla Conferenza unificata quando il dissenso sin registra tra amministrazioni statali, o regionali, e amministrazioni locali.

Un meccanismo analogo ai 'dissensi qualificati' è previsto per i dissensi espressi da una regione o una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza legislativa, esclusiva o concorrente che sia; in questi casi il criterio della prevalenza è sostituito con quello della 'concertazione'; l''extrema ratio' resta sempre la rimessione della decisione al CdM.

La Denuncia d'Inizio Attività e il silenzio-assenso. - La DIA è uno strumento di semplificazione con cui si persegue l'obiettivo di liberalizzare tutte quelle attività economiche private prima sottoposte ad autorizzazione, al fine di consentirne l'esercizio senza l'intermediazione di un provvedimento abilitativo, quale titolo di legittimazione; così si riconosce la libertà di iniziativa economica privata perchè tali attività potranno essere avviate attraverso una denuncia in luogo dell'autorizzazione. Si assiste ad un'inversione della normale sequenza procedimentale, laddove le ordinarie verifiche per il rilascio di abilitazioni o autorizzazioni sono effettuabili dopo l'inizio dell'attività privata, quindi non è più tanto un procedimento di autorizzazione quanto un procedimento di mera verifica e controllo, per cui si alleggerisce la posizione del privato che può iniziare l'attività economica senza l'intermediazione di un titolo di legittimazione preventivo. In questo caso, alcuni parlano di “liberalizzazione” di alcune attività private, quindi un atto 'soggettivamente ed oggettivamente' privato.

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Un altro strumento di semplificazione è il silenzio-assenso che riguarda quelle attività private ancora sottoposte a regime autorizzatorio, e si traduce in una sanzione per l'inerzia dell'amministrazione protratta oltre il termine per provvedere. Nel caso di silenzio-assenso, anche qui il risultato si tradurrebbe in una forma di liberalizzazione in senso lato, tant’ è che si parla di “deformalizzazione”. Secondo altra tesi, nel caso della DIA, non si è di fronte ad uno strumento di liberalizzazione, ma solo ad una forma di semplificazione procedimentale, quindi la DIA non sarebbe un mero atto privato ma un'autorizzazione tacita, però se così fosse diventa difficile distinguere la DIA dal silenzio-assenso (perchè la DIA diventerebbe come un 'silenzio-assenso a formazione rapida'; proprio la dottrina più attenta parla di un''infelice formulazione legislativa', infatti non si dovrebbe parlare di 'atto di autorizzazione' ma di 'domanda di autorizzazione', quindi non si tratterebbe di un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma di un 'atto privato'.

La DIA . -Vediamo di tracciarne il profilo evolutivo: nell'originaria previsione della legge 241/90 la DIA era un istituto di carattere eccezionale, ammesso solo nei casi espressamente previsti dal regolamento, e se ne escludeva l'operatività in 3 casi:

1. quando il rilascio dell'assenso dipendeva dall'esperimento di prove, cioè da accertamenti sull'idoneità del soggetto o sulla qualità delle cose;

2. quando era previsto un limite o un contingente complessivo per il rilascio dell'atto stesso; 3. quando poteva derivare pregiudizio alla tutela dei valori storico-artistici e ambientali oppure per

la tutela del lavoratore sul luogo di lavoro.

Con la legge 537/1993, si eleva la DIA a regola generale in tutte quelle materie previamente soggette ad autorizzazioni vincolate, lasciando al regolamento il compito di fissare i casi eccezionali in cui l'istituto non trova applicazione, però erano fuori dall'ambito dell'applicazione della DIA quei casi in cui l'autorizzazione era frutto di discrezionalità amministrativa o discrezionalità tecnica, salvo nei casi che non si trattasse di 'mero accertamento tecnico', ossia non implicanti una valutazione; infatti, in tali ultimi casi, la verifica è basata su regole tecniche, dotate di 'certezza', cioè in base ad una scienza esatta, per cui trattasi di una verifica che porta ad un risultato 'univoco'; invece, nella discrezionalità tecnica c'è sempre 'un'attività di giudizio', che, a sua volta implica una 'valutazione', le cui regole sono 'elastiche', che presentano margini di opinabilità, non offrendo una soluzione certa e univoca, ma una 'gamma di soluzioni tecniche' tutte ugualmente praticabili e c'è facoltà di scelta tra le varie soluzioni prospettabili.

Con la legge n. 80 del 2005 si trasforma radicalmente l'istituto della DIA , sotto vari aspetti:

• l'ambito applicativo, che risulta ulteriormente ampliato sotto certi profili (qualsiasi provvedimento autorizzatorio può essere sostituito dalla DIA, a prescindere dalla forma che esso assume, e a prescindere se necessiti discrezionalità tecnica) e, al tempo stesso, ristretto entro limiti più angusti, infatti una doppia condizione limita l'operatività della DIA: 1) i provvedimenti sostituibili siano richiesti per 'l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale (laddove prima era qualsiasi attività privata, comprese quelle non a scopo di lucro), 2) che non sia previsto, per il rilascio, alcun limite o contingente complessivo (ad es. le farmacie) o la previa autorizzazione specifica del settore (ad es. cave e discariche); ma la limitazione che ha fatto più discutere riguarda i c.d. 'settori esclusi', per la tutela di interessi sensibili, fatti oggetto di un'elencazione espressa, tra cui figurano anche gli 'atti imposti dalla normativa comunitaria', infatti, se si volesse guardare solo al dato letterale, ciò sarebbe in contrasto con le finalità perseguite dalla legge, né si giustificherebbe la disparità di trattamento tra posizioni soggettive fondate sul diritto nazionale (beneficiarie della DIA) e quelle desumibili dal diritto comunitario (che ne sarebbero fuori);

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• il procedimento che il privato deve seguire, ossia la procedura di presentazione della dichiarazione, cui segue, da parte dell'amministrazione, la facoltà di richiedere informazioni o certificazioni solo se non siano già in suo possesso o non siano acquisibili presso altre amministrazioni; nel passato, la presentazione della denuncia consentiva l'avvio immediato dell'attività, adesso si devono attendere 30 giorni, che, una volta trascorsi, senza che l'amministrazione si sia espressa, il privato può comunicare l'inizio dell'attività e dare ad essa concreto avvio;

• il regime dei poteri dell'amministrazione, a cui vengono riconosciute forme di autotutela, infatti, durante i 30 giorni l'amministrazione può adottare un provvedimento motivato di divieto di prosecuzione e rimozione dei suoi effetti, ma anche trascorsi i 30 giorni vi è sempre la possibilità di autotutela repressiva della PA, attraverso la 'revoca', per 'sopravvenuti motivi di pubblico interesse', per un 'mutamento della situazione di fatto', per una 'nuova valutazione dell'interesse pubblico originario'; bisognerà attendere la legge n. 69/2009 per una DIA con effetto immediato (almeno per l'esercizio di impianti produttivi o prestazioni di servizi) e la legge 133/2008 per la c.d. 'impresa in un giorno', ossia l'impresa avviata immediatamente nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della DIA allo sportello unico per le attività produttive;

• la tutela giurisdizionale, con la previsione della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo (GA), ad es. ad opera di un privato che si ritenga leso da una DIA nei confronti della quale l'amministrazione non abbia esercitato alcuna potestà repressiva (accertamento autonomo), per cui si rafforza la tutela del terzo, che non solo potrà sollecitare l'esercizio dei poteri di revoca e annullamento della PA, ma potrà anche agire contro l'inerzia nell'esercizio dei poteri di autotutela.

Il silenzio- assenso. - L'innovazione più rilevante della legge n. 80/2005 riguarda l'istituto del silenzio-assenso, nei procedimenti ad istanza di parte, che da istituto 'a carattere eccezionale' , ammesso solo nei casi espressamente previsti, si trasforma in istituto ' di carattere generale'. Lo strumento del silenzio-assenso opera nei casi in cui l'amministrazione ometta di provvedere su un'istanza del privato, pur essendo obbligata a farlo; si tratta di una 'mera inerzia' a cui il legislatore attribuisce un valore legale tipico, tant’è che si parla di 'silenzio significativo' e può essere 'silenzio-rigetto' se alla conseguenza dell'inerzia viene dato valore negativo, 'silenzio-assenso' se alla conseguenza dell'inerzia viene dato valore positivo, quindi valore di accoglimento dell'istanza. In passato, con la legge 241/90 il silenzio-assenso aveva portata assai limitata (solo nei casi di 'limitata discrezionalità', e trattasi, poi, non di una forma di 'liberalizzazione' come nel caso della DIA, ma di una 'semplificazione procedimentale'. Con la legge 80/2005 si ha la generalizzazione del silenzio-assenso, sovvertendo i rapporti tra Amministrazione ed amministrati, facendo leva sul principio di 'autoresponsabilità', per evitare che l'inerzia dell'Amministrazione possa produrre effetti negativi a carico dell'interessato, in settori in cui l'iniziativa privata non può subire intralci burocratici non giustificati dalla necessità di accertamenti complessi, né di scelte comparative di interessi; per cui così l'Amministrazione si limita ad una verifica 'ex-post'.

Il nuovo art. 20 della legge 80/2005 stabilisce che, fuori dai casi in cui opera la DIA (per la quale quindi vi è preferenza), il silenzio protratto oltre il termine equivale ad assenso, senza necessità di istanze o diffide. Il silenzio-assenso non opera solo in alcuni casi, in particolare:

• quando si apre, entro 30 giorni dalla domanda, una conferenza di servizi facoltativa, e quindi se l'Amministrazione ritiene di dover effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti;

• quando si versa in una delle 'materie sensibili', quali patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza e immigrazione, salute e pubblica

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incolumità, asilo e cittadinanza (elenco più ristretto rispetto alla DIA, dove essa è esclusa anche per l'amministrazione della giustizia e per l'amministrazione delle finanze);

• quando la normativa comunitaria prevede l'adozione di provvedimenti amministrativi formali ;

• nei casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza; • nei casi eccezionali di 'atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente

del CdM' .

Parte della dottrina ha comunque rilevato che, in ogni caso, il silenzio-assenso è sempre limitato a quei casi in cui non si richiedono accertamenti complessi, anche in virtù del principio del 'giusto procedimento', principio costituzionale che non può essere superato in nome dell'esigenza di celerità e semplificazione. Così, però, si fanno più incerti i limiti tra DIA e silenzio-assenso, anche se, per il legislatore, le differenze tra i due istituti persistono, sia perchè si parla di preferenza della DIA, sia perchè il silenzio-assenso riguarda procedimenti ad istanza di parte, sia perchè l'ambito della DIA è più ristretto del silenzio-assenso.

Il regime procedurale per il silenzio-assenso a) parte dalla domanda dell'interessato (che dichiara la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti), b) qualora la domanda non sia regolare o completa, l'Amministrazione ne dà comunicazione all'interessato entro 10 giorni, indicando le cause di irregolarità e incompletezza, c) il termine per la formazione del silenzio-assenso può essere interrotto una volta sola dalla P.A. per richiedere integrazioni o altri elementi, nei casi in cui non siano nella disponibilità dell'Amministrazione ed essa non possa acquisirli autonomamente, d) il termine può invece essere sospeso qualora leggi e regolamenti prevedano l'acquisizione di valutazioni tecniche e ciò fino all'acquisizione delle valutazioni, ma per un periodo massimo non superiore a 90 giorni.

La particolarità sta nella ' fase decisoria', laddove l'Amministrazione ha l'alternativa di scegliere tra un provvedimento espresso e il silenzio-assenso, per cui l'Amministrazione non ha il 'dovere' di emanare un provvedimento espresso, ma ha un 'onere' , nel senso che è tenuta a provvedere in maniera espressa se intende negare l'interesse del privato; e poiché sarebbe illegittimo un provvedimento tardivo di rigetto, l'unica strada che potrà seguire l'Amministrazione è quella dell''autotutela', che opera nel caso, per l'appunto, di illegittimità del silenzio-assenso e si traduce nel potere di annullamento o di revoca dell'amministrazione, che ovviamente dovrà motivare la sussistenza di uno specifico interesse pubblico e rimuovere l'atto di assenso, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Circa la natura giuridica del silenzio-assenso, la tesi prevalente è quella della 'natura provvedimentale' , in quanto equivale a provvedimento di accoglimento della domanda.

La tematica dei tempi dell'azione amministrativa e il problema dei danni da ritardo.

Il tempo dell'azione amministrativa è uno dei capitoli centrali della semplificazione amministrativa, infatti ogni sforzo deve essere rivolto a superare i ritardi e le inefficienze del sistema amministrativo. Il perno, infatti, della politica di modernizzazione dell'Amministrazione è il 'principio di certezza temporale della conclusione del procedimento', sancito dalla legge 241/90, al fine di assicurare celerità e in linea con i principi di economicità, efficienza, buona amministrazione e correttezza. In passato la regola era nel senso della 'libera durata del procedimento' e delle singole fasi di esso, però si osserva che l'imposizione di un termine sia un rimedio insufficiente se non è assistito da alcuna sanzione, fatto che il legislatore, con la legge n. 59/97 ha tentato di porre rimedio, introducendo un indennizzo automatico e forfettario, ma non ha trovato alcuna attuazione, né altre iniziative di tipo sanzionatorio hanno trovato spazio; quindi l'inerzia dell'Amministrazione si qualifica come 'comportamento illegittimo', ma la

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sua portata pratica è assai limitata, perchè si traduce in danno risarcibile solo nei casi in cui si sia in presenza di elementi che costituiscono illecito aquiliano, e non è senz'altro facile riuscire a dimostrare che l'inerzia si sostanzi in comportamento illecito e abbia prodotto un danno all'interessato. L'eventuale danno 'da mero ritardo' derivante al privato, comunque, si qualifica non come 'responsabilità da provvedimento', ma come 'responsabilità da comportamento', nascendo da una scorrettezza comportamentale dell'Amministrazione. E', in ogni caso, una fattispecie controversa che fa nascere due problemi, quello dell'ammissibilità del risarcimento del danno e quello di giurisdizione. Quanto al primo problema, l'indirizzo prevalente è che il danno sia risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento finale, cioè se gli spetti 'il bene della vita', orientamento a cui si allinea anche l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato; quanto alla giurisdizione si riconosce al Giudice Amministrativo.

Novità rilevanti in questi campi si hanno con la previsione del d.d.l. Nicolais, che introduce sanzioni pecuniarie e forme di responsabilità volte a scoraggiare l'inerzia dell'Amministrazione. Il d.d.l. Nicolais, innanzitutto, restringe il termine di conclusione dei procedimenti a 30 giorni e poi introduce il principio per cui le PP.AA. sono tenute a risarcire il danno ingiusto causato dall'inosservanza dei termini procedimentali, indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto, assicurando la corresponsione, a titolo sanzionatorio, di una somma di denaro in misura fissa ed eventualmente progressiva; purtroppo la successiva legge n. 69/2009 sopprime tale previsione, confermando solo la riduzione del termine a 30 giorni e la giurisdizione ad opera del GA, però è innegabile che l'obiettivo sarà perseguito attraverso una maggiore responsabilizzazione dei dirigenti.

Il problema dell'applicabilità della riforma della legge 241/90 all'attività delle Regioni e degli enti locali.

Nell'attuale ordinamento 'multilivello', nessuna strategia di semplificazione può risultare efficace se condotta in ambito esclusivamente statale e in assenza di adeguati meccanismi di coordinamento fra Stato, Regioni ed enti locali, anche alla luce del mutato assetto delle competenze di cui al nuovo Titolo V della Costituzione. Solo con le iniziative legislative del 2005 si registra una piena sintonia tra Stato, Regioni ed autonomie locali, come si desume dal Piano d'azione del Governo, che affida la politica della semplificazione multilivello allo strumento consensuale dell''accordo', siglato in Conferenza unificata tra lo Stato e le autonomie territoriali; ciò è dimostrato anche dalla quarta legge di semplificazione n. 246/2005 che fissa dei livelli minimi essenziali di semplificazione uniformi su tutto il territorio nazionale.

Il “pacchetto” delle misure urgenti contenuto nel decreto-legge n. 112/2008 e le norme sulla digitalizzazione legge 69/2009.

Riguarda il Documento di programmazione Economico-Finanziaria per gli anni 2009-2013 (Piano per l'Italia) predisposto dal Governo Berlusconi e stabilisce 4 obiettivi essenziali:

1. ridurre il costo complessivo dello Stato, attuando una perequazione tributaria; 2. rendere più efficace l'azione della P.A.; 3. ridurre il peso burocratico che grava sui cittadini, attuando un vasto programma di

semplificazioni; 4. spingere l'apparato economico verso lo sviluppo, attraverso una politica di liberalizzazioni ed

altre iniziative innovative, quali la riforma del processo civile.

Il decreto-legge 112/2008 già anticipa alcune misure urgenti, il “pacchetto-semplificazioni”, introducendo:

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• il ' taglia-leggi', per lo sfoltimento dello stock normativo; • il ' taglia- oneri amministrativi' , con un programma prima di misurazione e poi di riduzione di

tali oneri; • l'adozione di 'regolamenti di delegificazione'; • il ' taglia-enti', una nuova procedura di soppressione degli enti pubblici non economici, aventi

una dotazione organica inferiore a 50 unità e di quelli per i quali, al 31 dicembre 2008, non siano stati emanati i regolamenti di riordino, soppressione che ha efficacia a partire dal 90° giorno dall'entrata in vigore, sempreché un decreto del Ministro per la PA e l'innovazione non provveda a confermarne la sussistenza;

• il ' taglia-carta', che si inserisce nel processo di 'dematerializzazione' e di informatizzazione della P.A., favorendo la sostituzione della documentazione cartacea con il fascicolo informatico;

• 'impresa in un giorno' , con norme dirette ad accelerare l'inizio e lo svolgimento dell'attività d'impresa, anche grazie al rafforzamento dello sportello unico per le attività produttive, quale unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l'attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte, a fronte della comunicazione unica del richiedente;

• novità delle 'Agenzie per le imprese' , soggetti privati accreditati, a cui la P.A. può affidare l'istruttoria e l'attestazione della sussistenza dei requisiti normativi previsti;

• possibilità per il privato, in caso di diniego, di ricorrere alla 'conferenza di servizi'.

Con la legge n. 69/2009 si mira ad una più ampia modernizzazione delle PP.AA., attraverso una più ampia diffusione delle nuove tecnologie e la riorganizzazione di alcuni istituti ritenuti strategici, quali il CNIPA (Centro Nazionale per l'Informatica della Pubblica Amministrazione), il FORMEZ (Centro di FORmazione studi), la SSPA (Scuola Superiore Pubblica Amministrazione), nonché semplificazione dell'adozione della firma digitale, obbligo per le PP.AA. di erogare i propri servizi, ove possibile, nelle forme informatiche e con le modalità telematiche.

Le misure per la riduzione dei tempi della giustizia contenute nel decreto-legge n. 112 del 2008 Uno dei principali freni dello sviluppo dell'Italia è proprio la lentezza dei processi, così come evidenziato anche nel Rapporto annuale Doing Business 2009 della Banca Mondiale, ove l'Italia, su 181 paesi, si colloca al 156° posto. A questo scopo interviene il d.l. 112/2008 e la legge 69/2009, in primo luogo, sugli effetti derivanti dalla mancata comparizione delle parti all'udienza. La versione originaria della normativa in questione era che, se nessuna della parti compariva in udienza, il giudice doveva fissare una nuova udienza, e solo in caso di perdurare dell'assenza, sin disponeva la cancellazione della causa dal ruolo, il cui effetto era di porre il processo in uno stato di quiescenza dal quale poter uscire se una delle parti avesse provveduto alla riassunzione nel termine di un anno; in assenza di ciò entro un anno il processo si estingueva.

La riforma del 2008 mira ad accelerare il meccanismo estintivo, attraverso la previsione, in caso di mancata comparizione alla nuova udienza, l'obbligo del giudice non solo di ordinare la cancellazione della causa dal ruolo ma anche di dichiarare l'estinzione del processo; ciò al fine di sfoltire i ruoli e il numero delle cause civili pendenti.

Inoltre, finalmente si comincia a parlare di “processo civile telematico”, ossia la gestione 'integrale' ed 'integrata' della documentazione e delle comunicazioni prodotte nell'ambito di un qualsiasi procedimento di contenzioso civile in forma digitale e telematica; si aggiunga la previsione di 'tempi certi per la decisione' (massimo 60 giorni).

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Altra iniziativa riguarda l'eliminazione dell'arretrato, che fa crescere di anno in anno le richieste risarcitorie ai sensi della cd. Legge Pinto, che comportano notevoli spese per l'erario, tant’è che il decreto 112/2008 interviene sul termine per la perenzione dei ricorsi, riducendo da 10 a 5 gli anni che devono trascorrere prima che si possa attivare la procedura volta a verificare il persistente interesse delle parti alla pronuncia del giudice, ed eventualmente a dichiarare la perenzione del ricorso.

Viene anche modificata la struttura del Consiglio di Stato, eliminando la previsione che voleva le 6 sezioni del Consiglio ripartite rigidamente in 3 sezioni con funzioni consultive e 3 con funzioni giurisdizionali. Spetterà, invece, al Presidente del Consiglio di Stato indicare all'inizio di ogni anno quante e quali sezioni svolgeranno funzioni consultive e quali funzioni giurisdizionali, oltre a designare i componenti dell'Adunanza Plenaria.

Ricordiamo, infine, un'altra misura rivolta all'”Accelerazione del contenzioso tributario”, tra cui spicca la previsione dell'estinzione automatica dei processi pendenti innanzi alla Commissione tributaria Centrale.