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Page 1: Alias supplemento del Manifesto (16 febbraio 2013)

MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 16 FEBBRAIO 2013 ANNO 16 N. 7

PITTORE, PARTIGIANO, MILITANTE DELL’ARTE REALISTA, ARMANDOPIZZINATO NELLE SUE OPERE RACCONTA LA TERRA DEL LAVORO, LA SUAGENTE E INDICA L’ARTE COME BISOGNO DI LIBERTÀ

MUTAZ ELEMAM

TRUFFE ROCK WOODY GUTHRIE, SCRITTORE INEDITO

EUGENIO BARBA FABRIZIO FERRARO THE CLONEWARS PALESTRA POPOLARE SAN LORENZO

UN FANTASMAPERCORRE L’EUROPA

Armando Pizzinato,«Un fantasma percorre l’Europa» (1949)

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●Armando Pizzinato(1910 – 2004)Nel segno dell’uomoGalleria di Arte Moderna eContemporanea Armando Pizzinatofino al 9 giugno, ingresso 5 euro, chiusalunedì. Informazioni e prenotazioni tel.0434/[email protected],artemodernapordenone.it

●Armando PizzinatoIl contesto pordenonese(1925 – 1940)Galleria Sagittaria del Centro CulturaleCasa A. Zanussifino al 9 giugno, ingresso gratuito, chiusalunedì. Informazioni tel. 0434/365387,centroculturapordenone.it

IN MOSTRA

«Io servo non sono nato, chinare la schienanon ero capace...», la vicenda umana e politicadel pittore del mondo operaio, «scomunicato»dal Pci, e i suoi rapporti con Pordenone

di LUCIANO DEL SETTE

●●●La Terra di Lavoro è a qualchecentinaio di chilometri, più giù.Porzione geografica un tempo dellaCampania soltanto, adesso spartitacon Lazio e Molise. Ma, togliendo alledue parole le iniziali maiuscole,salendo qualche centinaio dichilometri più su, fino al Nord Est, siincontra un’altra terra di lavoro. È unfazzoletto di Friuli Venezia Giulia, hala dimensione di una cittadina e deisuoi dintorni. Pordenone. Prima,molto prima, i campi, i boschi, levigne soltanto. Poi i mulini, lecartiere, le fornaci per le ceramiche, ipastifici, le fabbriche di birra, i filatoidella seta, le officine meccaniche, icotonifici, le industrie giganti dielettrodomestici. Scrivono FlavioCrippa e Ivo Mattozzi in Archeologiaindustriale di Pordenone (Del BiancoEditore) «... Nel raggio di duechilometri da piazza Cavour (lapiazza centrale, ndr) si trovano nelterritorio comunale di Pordenone lesopravvivenze, i resti o gli indizi(infrastrutture ed edifici) di unprocesso plurisecolare diconsolidamento del rapporto trauomini e ambienti, della suaevoluzione, delle attivitàmanifatturiere o industriali intrapresee continuate lungo i secoli, dal XVIalla metà del secolo XX, prima dellagrande trasformazione ambientaledegli anni ’60 e ’70».

L’antica Portus Naonis,cinquantamila abitanti, legataindissolubilmente al suo fiume, ilNoncello, comunica oggi unasensazione di tranquillità. Nulla a chevedere, però, con le dimensioniassonnate e inerti di tanti posti diprovincia. Qui c’è un teatro, il Verdi,capace di ottocento posti efrequentato da compagnie diimportanza nazionale; qui si danno ilturno Pordenonelegge, il Silent FilmFestival dedicato al cinema muto, ilPordenone Blues Festival; qui è natoil punk musicale dei Prozac+ e deiTre Allegri Ragazzi Morti; qui ci sonoun museo d’arte e una bibliotecamultimediale. Qui, da sette secoli, sicammina sulla spina dorsale di CorsoVittorio Emanuele: linea dritta eleggero saliscendi in un continuo diantichi palazzi appoggiati su solidiportici. Furono costruiti dopol’incendio del 1318 che distrusse lecase in legno, e le loro facciatevennero dipinte ad affresco. IlDominio della Serenissima, dallametà del ’400, esaltò ulteriormente labellezza della Urbs Pincta.

Non la diresti terra di lavoro,Pordenone. Almeno a vederla eviverla così, da pigro viandante tra ilDuomo, il Palazzo Comunale, CorsoGaribaldi, i bar uno in fila all’altro, inegozi in franchising e quelli chevantano un passato. Ma se appena tidiscosti, pochi minuti a piedi, eccolala terra del lavoro. O meglio, le suememorie, dimenticate nel lentocorrodersi di muri e macchinari.Testimonianze di archeologiaindustriale che, dopo l’abbandono,rischiano l’estinzione. Oppure, è ilcaso del setificio a vapore diGiuseppe Brunetta in largo SanGiovanni, diventate citazioni dascovare in un archivio. Il setificio,attivo dal 1898 al primo dopoguerra,aveva la sua sede a breve distanza davia Grigoletti. Nel 1921, un bambinoundicenne di nome Armando,cognome Pizzinato, guarda constupore e curiosità il portone alnumero 11 della via. Con lui ci sonola madre Andremonda, il padreGiovanni Battista e il fratello Dante.Arrivano da Maniago, 26 chilometri

di viaggio.Giovanni Battista, già titolare del

Caffè dell’Unità Italiana, in piazzaMaggiore a Maniago, vuole aprire unlocale nel centro di Pordenone. Labella casa induce a un sogno diserenità, spezzato quasi subito.Ottobre è un mese che Armandoricorderà tutta la vita, a cominciaredal 7, giorno della sua nascita. Inottobre guarda, stupito e curioso, ilportone di via Grigoletti. Il primoottobre del 1922 il padre si suicidagettandosi nelle acque della Dogana,porto fluviale di Pordenone. Le vocisussurrano di debiti contratti aMilano per aprire il nuovo caffè, altredi perdite al gioco e di truffe cheportano Giovanni Battista allavergogna insopportabile del debitocon le banche. Andremonda rimaneda sola, due figli sulle spalle. Nel 1925Armando termina la scuolacomplementare, dove Pio Rossi era

stato suo maestro di disegno. Lapassione per la pittura è talmenteforte in lui, da convincere la madre alasciarlo entrare come garzone nellabottega artistica di TiburzioDonadon. Ne uscirà, giocoforza, perentrare, fattorino e poi impiegato, inuna banca locale. Il ragazzo conl’estro del dipingere viene notato daldirettore della banca. A incuriosirlo èil fatto che il giovanissimo Pizzinato,appena trova un momento libero, situffi nella lettura delle Vite del Vasari,edite a dispense dalla Sonzogno.Così, il consiglio di amministrazionepaga ad Armando un ciclo di lezionipresso lo studio di Pio Rossi, che glipermetteranno, nel 1930, di iscriversiall’Accademia delle Belle Arti diVenezia.

Pendolare tra le due città, Pizzinatosi diploma 4 anni dopo, portandocon sé un bagaglio culturale fatto dinuove e importanti frequentazioni(Giulio Turcato e Afro, tra gli altri); diletture dei Cahiers d’Art che gli fannoconoscere Picasso, Braque, Matisse,Derain; di confronti che maturano lesue idee non solo artistiche. Il 1934segna, tuttavia, il ritorno al lavoro perguadagnarsi il pane. ScriveràArmando: «A Pordenone esisteva laCeramica Galvani e riuscii ad avereun posto lì come disegnatoreprogettista... La fabbrica era appuntodi Galvani, come di Galvani erano lecartiere, come di Galvani erano altreproprietà, e prima l’esperienza dellabanca e poi l’esperienza di questafabbrica fu una lezione che mi portòsulla strada del socialismo. Io servonon sono nato, chinare la schienanon ero capace, mia madrecontinuava a suggerirmi di essereossequiente ai padroni, di essereobbediente di qua e di là, e io erosolo disposto a lavorare per quelloche mi pagavano...».

Pordenone, in quegli anni, stavaperdendo il suo patrimonioeconomico più prezioso: i cotonificidi Roraigrande, Torre eBorgomeduna, capaci, nei tempimigliori, di dare lavoro a oltre 12 milaaddetti, in netta prevalenza donne. Eproprio dalle donne dei cotonificierano nati il movimento sindacale, larivendicazione e la difesa dei dirittidei lavoratori. L’era del tessile duròpoco meno di un secolo, dal 1840 alla

grande crisi del 1929 che spazzò viatutto. Intanto, lontano ma nontroppo da Corso Vittorio Emanuele,Antonio Zanussi aveva aperto, dal1916, una piccola fabbrica cheportava il suo cognome e producevacucine alimentate a legna.

Pizzinato se ne va da Pordenonealla volta di Roma nel 1936, grazie auna borsa di studio. Negli ambientiartistici della capitale conosce efrequenta il gruppo della Cometa:Mafai, Cagli, Mirko, Capogrossi eGuttuso. Torna a Venezia nel 1940, el’anno seguente incontra la futuramoglie, Zaira Candiani. Dal loromatrimonio nascerà Patrizia, unicafiglia. L’autunno del 1943 è stagionedi una maturità che vedrà Armando,di lì in poi, unire strettamente arte epolitica. Durante la Resistenzaconosce il carcere fascista fino allaLiberazione. «In quei due anni diResistenza ho sospeso la mia attivitàartistica, ho smesso di dipingere. L’hofatto senza fatica perché l’impegnoera immediato, sull’uomo». Tornaalla pittura aderendo al Fronte Nuovodelle Arti e poi, con Renato Guttuso,al Realismo Italiano, negli anni ’50.Del secondo, fondamentale, periododà conto una delle tre sezioni checompongono la mostra «ArmandoPizzinato (1910 – 2004). Nel segnodell’uomo» alla Galleria di arte

NORD EST

In movimentocon falcee pennello

PORDENONETERRA DI LAVORO

PIZZINATO

In pagina immagini di Pordenone, sottoun’opera di Pizzinato «Mondine» (1951)

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moderna e contemporanea diPordenone fino al 9 giugno.

Sui muri di una delle sale dellasezione, spicca una frase di Pizzinato«Sono sempre convissuti in me,senza alcun compromesso,l’impegno politico e l’interesse perl’arte. Tutti i critici e i letterati che sisono interessati alla mia opera dipittore, in sostegno o contro, hannosempre dovuto tirare in ballo anche ilcittadino Pizzinato». È l’artista, maanche il cittadino e l’uomo con uncredo politico, a realizzare, tra il 1950e il 1962, tele potenti ispirate allavoro: i muratori arrampicati sulleimpalcature, i saldatori avvolti dallescintille, lo spaccapietre, gliscaricatori di carbone, gli operaidurante la pausa per il pranzo, lemondine, il pescatore, i contadini, latrebbiatura. Sono figure e situazionifiglie di quel quadro, Un fantasmapercorre l’Europa, esposto alla XXVBiennale di Venezia, 1950, nellospazio dedicato al Realismo, cuiseguirà Tutti i popoli vogliono lapace. Nella sezione della mostraspiccano alcuni enormi bozzettirealizzati per la Sala Consigliare dellaProvincia di Parma. Pizzinato,vincitore del bando nel 1953,continua a raffigurare i mestieri delpopolo urbano e agricolo, ma conmaggior definizione, guardandoli più

da vicino. Come farà, negli stessianni, fissando sulla tela i partigiani diLiberazione di Venezia e dellaFucilazione di patrioti, gli sfollatidell’alluvione in Salvataggio nelPolesine.

Ma gli strali della CommissioneCulturale del Pci, che già inprecedenza si erano abbattutisull’astrattismo, colpiscono anche ilRealismo, sconfessato brutalmente.Pizzinato si ritira in solitudine, artistamilitante disorientato e amareggiato.La morte improvvisa di Zaira, nel1962, accelera la sua crisi e lo porta aestinguere l’esperienza realista. Ilpennello, paralizzato dal dolore, siferma per molti mesi. Riprenderà ascorrere con la serie Dal giardino diZaira, seppure su fronti espressividiversi, e grazie all’incontro diArmando con Clari, la secondamoglie.

Intanto, nella terra del lavoro, lecose stanno cambiando. La piccolafabbrica, è il 1951, conta adesso 300operai. Il suo pilastro produttivo sonole cucine a gas, seguite, a distanza ditre anni, dal primo frigorifero italianoe, nel 1958, dalla Rex, la primalavatrice nazionale. Da poco è statoaperto un nuovo stabilimento aPorcia; un altro, la Grandi Impianti, aVallenoncello, si specializza inapparecchiature per le collettività.

Lino prende il posto del padre fino al1968, quando morirà in un incidenteaereo in Spagna. Le sue strategiecreano la Zanussi Elettronica per laproduzione di televisori con ilmarchio Seleco. Il boom economicoporta all’azienda il 25% del mercatonazionale e il primato europeo nelsettore degli elettrodomestici. Dopola scomparsa di Lino, il gruppo crescecon l’acquisizione di Becchi, Castor,Triplex, Zoppas. Ma compie ancheoperazioni sbagliate e dubbie,portandosi in casa aziende decotte:Ducati Motori e Sole (edilizia), percitare due nomi. Così, un’aziendaproduttivamente sana finisce con ilibri in tribunale e sull’orlo delfallimento.

È il 1985, arriva il colosso svedeseElectrolux, l’asso pigliatutto. Belcolpo, visto che la Zanussi, secondaper dimensione industriale soltantoalla Fiat, conta circa 35miladipendenti. A Pordenone, in queglianni, Pizzinato ogni tanto fa ritorno,il suo legame con la città è profondo,la lontananza non lo ha affievolito.Dalla terra di lavoro è lecito pensareche avesse tratto ispirazione perdipingere la dura quotidianità dellacampagna. Non ci sono, invece, nelleopere del periodo realista, gli operaidelle ceramiche Galvani e quelli dellaZanussi, i cotonifici assediatidall’abbandono, le rovine dei mulini,le officine meccaniche dismesse. Laterra di lavoro, per Armando, era unaltrove senza geografie precise.Pordenone, forse, rimaneva per lui ilposto dell’infanzia, delle ambizionida realizzare contro la volontà dellamadre Andremonda, dei viaggiquotidiani a Venezia. Il posto da cuiandarsene, ma da non dimenticare.Chissà se oggi che la Electrolux tagliacentinaia e centinaia di posti in nomedella crisi, e se Pizzinato non avesseconcluso la sua esistenza, potrebbenascere una tela intitolata a quellaUrbs Pincta dove, a un passo dapiazza Cavour, i rumori e gli odoridelle fabbriche coprivano il sussurroe i profumi del Noncello. «Se percomunismo si intendesse solol’aspirazione all’uguaglianza sociale,con conseguente senso di rivoltaverso le ingiustizie sociali, potrei direche comunista lo sono sempre stato,vissuto da giovane in una cittadinadel Friuli dove ho imparato in mododiretto il significato di certe parole,servo, padrone, sfruttamento,privilegi e gerarchismi».

Silent Film festival, le Giornate del cinemamuto di Pordenone, conosciuto forse più alivello internazionale che nazionale, è ilfestival che coinvolge gli archivi di tutto ilmondo e studiosi e storici del cinema, maanche più recentemente un folto pubblicodi giovani. Nel lungo periodo dallafondazione ad oggi (quest’anno si terrà latrentesima edizione) ha svelato una nuovavisione del cinema, percorso teorico di cuinon si aveva più alcuna traccia. La chiusuradei cineclub aveva cancellato alla visione laprogrammazione di alcune delle operecanoniche, da Dziga Vertov a Lubitsch, latelevisione non ha mai dato spazio allastoria del cinema delle origini. Le rarità e larilettura di interi periodi sono emersi non acaso da questo festival nato dell’esperienzadei cineclub, promosso da Cinemazero.

La prima edizione delle Giornate delCinema Muto si tenne nel settembre 1982,quando Cinemazero presentò pressol'Aula Magna del Centro Studi diPordenone la collezione di film di MaxLinder della Cineteca del Friuli, titolo: «Leroi du rire: alle origini del cinema comico».Doveva trattarsi di un singoloappuntamento, ma Davide Turconi,autorevole storico del cinema (classe1911) suggerì che l’appuntamentosuccessivo poteva essere con MackSennett e da quel momento nacque ilfestival. Turconi diresse il festival dall’89,attualmente dal ’97 a dirigerlo è lo studiosoinglese David Robinson. Le prime personalidopo Mack Sennett furono dedicate aThomas H. Ince il profeta del western, ilmaestro di tutti Griffith, Buster Keaton,l’unico, Dreyer, poi Cecil De Mille, la divinaGarbo, il magico Mauritz Stiller. Enaturalmente la versione restaurata delVoyage dans la lune di Melès (nel 2011),Chaplin e Disney, tutti nomi presenti piùvolte nel corso delle successive edizioni,come sono stati gli appuntamenti periodicicon Griffith fino a The Struggle del ’31,durissima e inaspetatta rappresentazionedell’America. Il festival ha saputo metterein evidenza anche il rimosso del cinema, lepresenze dimenticate (una, recentemente èstata quella di W. C. Fields, l’irascibile,cinico grassone comico), le opereritrovate, gli effetti speciali, i cinegiornali del

secolo scorso. Incursioni nel cinema mutoindiano, nella terra dei soviet, la scopertadell’avanguardia belga. Un grande lavoronon di ordinata «composizione» dentroschemi cronologici, ma di viva attualità perla rilettura che provoca la visione di interiperiodi occultati, come è stato nel cinemaamericano la Grande Crisi, con tutto il latooscuro che le majors cancellavano, autoricome Augusto Genina, tra gli altri, perquanto riguarda il nostro cinema, le radicidelle cinematografie europee sconosciuteal pubblico per quanto riguarda i filmrecenti, figurarsi i prototipi. E si tratta divedere più di 150 film, con in più un riccomercato di libri e rarità.

L’edizione 2013 si terrà, a dispetto dellascure della finanziaria, dal 5 al 12 ottobre (arischio sono anche tutte le numerosemanifestazioni del Friuli Venezia Giulia: lerisorse che la Regione potrà dedicare allacultura ammontano all’1%). Le Giornategodranno di un accordo con l’Irca Spa diSan Vendemiano (Treviso) del gruppoZoppas che ha deciso di sponsorizzare larassegna messicana in programma, connumerosi documentari che testimoniano inparticolare gli anni della rivoluzione,protagonisti Emiliano Zapata e PanchoVilla, film con Dolores Del Rio, Lupe Veleze Ramón Novarro oltre a un omaggio aEjzenstejn con Que Viva México! e Lampi sulMessico.

GERENZA

MANGIARE & DORMIRE

●●●Pordenone vale senz’altro un weekend. Ecco dunque qualche consiglio intema di buon cibo e buon sonno. Perquanto riguarda aperitivi e bicchieri dellastaffa, la città vanta un primato: un barogni 186 abitanti. A voi l’imbarazzo dellascelta.

MANGIAREAntico burchielloCorso Garibaldi 11/d, tel. 0434/524886,chiuso martedìCristiana in cucina, Franco in sala. Arrediin legno chiaro, grandi foto in bianco enero alle pareti, ingresso con bancone,due sale per pranzare e cenare. Menulimitato per scelta, ma di grande qualità erivolto alla cucina del territorio. Vini acalice o in bottiglia. Sui 25 euro.Caldamente consigliato.

La vecia osteria del moroVia Castello 2, tel. 0434/28658, chiusodomenicaIn una traversa di Corso VittorioEmanuele, un locale antico e molto bello.Menu di tradizione (prosciutto di SanDaniele, pasta e fagioli, musetto conpolenta e brovada, trippa con polenta,dolci della casa), buoni vini. Si spendonouna trentina di euro.

DORMIREHotel DamodoroVia Montereale 20, tel. 0434/361803La doppia 65 • con prima colazione abuffetUn tre stelle nel cuore di Pordenone,accogliente e decisamente vantaggioso perrapporto qualità/prezzo. Camere moltocurate, wi fi gratuito.

Hotel ModernoViale Martelli 1, tel. 0434/28215La doppia 150 • con prima colazione abuffet.Un hotel anni ’30 in pieno centro. Stanzespaziose e ben accessoriate, ambienticomuni d’epoca, personale di estremagentilezza.

SILENT FILM FESTIVAL

Le Giornate del Muto,non solo Chaplin

In alto: il logo della manifestazione«Pordenonelegge»

A destra il logo delle Giornate del cinemamuto, la sala, una locandina

di SILVANA SILVESTRI

Il manifestodirettore responsabile:Norma Rangeri

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di GIUSEPPE ACCONCIA

●●●L’Odin Teatret di EugenioBarba ritorna a Roma a partire dal16 febbraio al teatro Studio e alVascello. Per un mese si terrannoconferenze, seminari, laboratori,firmati dalla compagnia diHolstebro in Danimarca:un’occasione unica per conoscereBarba e il suo teatro di periferia.Abbiamo incontrato il regista inoccasione del laboratorioorganizzato da Valerio Apice eGiulia Castellani per il FestivalFinestre sull'Uomo, nei comuni diSan Venanzo, Marsciano e MonteCastello di Vibio in provincia diPerugia. La cifra distintiva dell’OdinTeatret è la campagna, la periferia.«Certo lavoriamo in un villaggio di20.000 abitanti, non si può dire chesi tratta di un teatro non urbano maperiferico: questo è un vantaggio.Col tempo abbiamo stabilitorelazioni sempre più vaste con idiversi ambienti istituzionali dellacittà: chiese, caserme, polizia,associazioni sportive. All’inizio nel1966 i politici locali erano a favoredel nostro progetto ma lapopolazione lo rifiutava. Per noi èstata una grande vittoria che gentemolto religiosa accettasse deglistranieri come espressione dellacultura teatrale. Abbiamo costruitouna messa in scena in una piazzacon balle di fieno e contadini chevenivano ad aiutarci con i trattori,usando cavalli e pecore. Siamoentrati in relazione negli anni condecine di migliaia di contadini dellaregione. L’ambiente si è rivitalizzatocon la reciprocità di meccanismisemplici di baratto e anche i localihanno apprezzato la relazioneindividuale tra spettatore espettacolo. Andare fuori dal centrosignifica prendere un rischio,obbliga a dei cambiamenti, laperiferia è una zona esclusa in cuibisogna inventarsi un proprio sensodi fare teatro e di creare relazioni.In Italia ci presentiamo conun’identità artistica definita mavisitiamo ambienti periferici,incontriamo universitari, entriamonelle case degli anziani, facciamo

partecipare i bambini delle scuole,cerchiamo di trovare la periferiaanche in città», inizia Barba.

Per spiegare quale sia ladifferenza tra teatro tradizionale e«Potlach», Barba si rivolge agli attoricon queste parole: «Come ècambiato il teatro. Mi stupiscoquando entro nel Teatro reale diCopenaghen. È un luogoimponente come la Borsa e ilParlamento. Per prima cosa c’è unpreambolo architettonico comequello che si trova nelle chiese. Ilpubblico sale, lascia il quotidiano eentra in un altro spazio: è un luogo«Sacer», separato dalla comunità,come separato dalla comunità è il

criminale. A quel punto si registralo stacco, l’ingresso in un foyerenorme dove gli spettatori sono benvestiti per mettersi in mostra. Chiva a vedere un’opera ha lasensazione di quanto sia miserabileil nostro teatro. Noi facciamo unteatro dell’eccesso (Potlach), uneccesso di energie creative, checolpiscano oppure no. Dobbiamoessere consapevoli, non possiamocompetere con il teatro, siamo deibriganti con due soldi e dobbiamofare gli spettacoli lo stesso. Inquesto modo compensiamo questadebolezza materiale conun’aspirazione all’eccellenza.Tuttavia, il pubblico non ha gli

stessi criteri del passato, non savalutare la qualità degli attori. Perquesto non parliamo mai dipubblico ma di spettatori, ognunocon la sua storia e la suainterpretazione, non offriamo unmessaggio generalizzato, maesperienze e riflessione».

Non solo un teatro dell’eccessoma un luogo che accoglie chi nontrova posto nell’industria culturale.«Accogliamo chi viene rifiutato allascuola teatrale e permettiamo loro

di costruirsi la propria eccellenza.Facciamo un teatro di esclusi chel’attore deve pagare con le proprietasche. Il prezzo è un lavorocontinuo, duro, in cui lo spettatoredeve essere preso in considerazioneindividualmente. Si può arrivare aquesto in tanti modi. Superando lospettacolo frontale, dove l’attoredomina la scena, privilegiandospettacoli di gruppo con glispettatori ai lati. Non si riesce adominare la scena, è qui lasimultaneità a creare la contiguità,a mettere nello stesso spaziodiverse situazioni che non hannonulla a che vedere l’una con l’altra.Se ci sono dei genitori contrari alteatro - dice Barba rivolgendosi agliattori - spiegate loro che si può farealla stazione di Milano, si possonocreare rapporti ritmici, questa èl’immagine che si produce quando

costruisco uno spettacolo: azionisimultanee in uno spazio laterale.Vedere solo una parte dellospettacolo obbliga lo spettatore aduna tensione cognitiva comequando si arriva in una nuova città:non c’è angoscia madisorientamento. In questo modo ilteatro crea il segno dellostraniamento. E così riconosco chequesto è un teatro e comincia adapparire qualcosa che non riesco aconoscere sulla base dell’esperienzae la storia si sviluppa in manieracomprensibile».

Al laboratorio prendono parteanche attori non udenti. «Unospettatore sordo deve essere capacedi astrazione, di ascoltare lospettacolo con gli occhi. È moltoutile lavorare pensando ad unospettatore a cui manca un senso,far vedere un sordo, un ciecoattraverso la musicalità. Cerco dinon far dominare allo spettatorequello che avviene, quando silavora con sé stessi e con l’altro, laparte che non riusciamo adominare appare per casualità e fadire qualcosa all’attore. Per questoabbiamo coinvolto attori espettatori sordi, ciechi, muti sin dal1974 in Barbagia e in Salento», ciracconta Barba.

Molti dicono che un teatro diesclusi sia profondamente politico.«Tutto il teatro è profondamentepolitico, politica fatta con altri

INTERVISTA

Barba è Potlach:teatro degli esclusi

L’Odin Teatret a Roma al teatro Vascello.Il registra e l’attrice Julia Varley raccontanogli inzi a Holstebro, il lavoro con gli attori,i segreti di un teatro profondamente politico

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mezzi. Si identifica anche conun’ideologia: è un teatro che èsempre dalla parte delle vittime. Ioin verità non mi identifico inun’ideologia. Faccio teatro adessoper la necessità di non cambiare lasocietà ma le forze malefiche chesconvolgono la natura: una formadi educazione. Il regista per questoha un grande potere sugli attori. Ècome il sacerdote, lo psicanalista, ilpubblico ufficiale, ha unaresponsabilità che sviluppa inmodo diverso, è un poteretravolgente che può stimolare e farscoprire ad un attore energie,potenzialità, può imprigionarlo inuna gabbia di stereotipi o ferirloprofondamente, mutilarlo oppurepuò aiutarlo a conquistare lapropria differenza e questo è unmodo di vivere. Sono incapace didire agli attori come ragionare inmodo politico, ma li spingo adeliminare anche il voler fare. La vitanon si capisce con la testa, tutti laspiegano, se fosse comprensibile sipotrebbe cambiare. Forze cosìpotentemente razionali o irrazionalisfuggono alla nostra comprensione.Arriviamo ad un linguaggiopre-espressivo, più efficace per lospettatore. Ma una cosa è ilrisultato altra cosa è il processo: illavoro che precede l’espressione.Non è involontario ma viene senzapensarci troppo: il pensiero è unmoto mentale e spesso sfugge allaragione. Pensiamo in moti emotiviche decidono le nostre scelte».

Profondamente politico è ancheil lavoro dell’attrice Julia Varley cheprepara gli attori insieme a Barba.Ex esponente di Avanguardiaoperaia, viveva negli anni sessanta

in una casa occupata di Milano. Maad un certo punto ha deciso diportare la sua esperienza politicanel teatro, ha lavorato con IbenagRasmussen e Pina Baush,concentrandosi sulla differenza trateatro e danza. «Nelle cultureasiatiche gli attori sono danzatori.Dipende da come si definisce unadanza, massima estensione, dandoimportanza alla forma delmovimento, c’è un’azione dietroalla capacità di lavorare con laforma e di non rimanere prigionieridella forma. Teatro-danza è lacapacità di creare immagini: unanarrazione. Sono per un teatro chenon sia solo un’impresacommerciale o di intrattenimentoma un modello di nuove relazionisecondo le necessità che la storia ciha tramandato. E così siamoarrivati ad una forma di spettacoloche domina il cinema, ha generatoe stimolato scoperte e nuoviorizzonti, ma il teatro dal vivo restauna forma minoritaria», assicuraJulia, che ha appena messo in scenala sua Ave Maria.

Come imposta il lavoro con gliattori? «L’arte dell’attore è in via diestinzione, implica la conoscenzadelle proprie energie, l’attore non èconsapevole di tutto quello cheavviene lavorando con il teatro.Bisogna pensare per azioni, pensarecon i piedi, quello che trasforma ilpeso in energia. L’azione vocale halo stesso principio dell’azione fisicama è più difficile da descrivere. Sisegue lo stesso principio: riduzione,riduzione totale del volume, lavorocon la spina dorsale, con la voceposso negare l’azione. Anche per ilvolume della voce i piedi sonoessenziali». Sul tema intervieneBarba: «L’attore lavora, non pensa,pulisce, distilla e ha sempre inmente l’ombra dello spettatore, nonpuò fare quello che vuole. È unprocesso che si incorpora in due otre anni. L’attore apprende apensare in modo paradossale.Come diceva la danzatrice MartaGraham, ognuno di noi devedefinirsi. In questo ci aiuta la danza,andiamo indietro nel tempo, anchese non balliamo, passiamo il pesoda una gamba all’altra, un danzareche non corrisponde ad un codicema è un modo di ricreare laspontaneità quotidiana, ricrearla in

maniera individuale, presuppostiche hanno a che fare sul come simanifesta il corpo. Pensiamo alpavimento di una nave, oscillaverso sinistra e verso destra. Latesta è in accordo o opposizionecon il passo - a questo punto sirivolge agli attori - Mettete l’accentosui gomiti, cosa volete? Da chiandate via? Alzate le braccia, acoppie, rispondendo agli impulsi.Siate pesanti quando lo decidete,non accelerate diventando comedegli automi, lavorate con il peso.Ricordate i movimenti ditransizione, è sulle transizioni che silavora: il segreto è il passaggio nonil risultato. Siate consapevoli diquello che fa il compagno,reagendo alla qualità del ritmo.Cominciamo a pensare con i piedi enon con il cervello. La parterazionale guida lo sviluppo,riprende ciò che abbiamo fatto,come lavorare sul peso, permettealle braccia di agire quando ci sistacca dal suolo. Ogni passo deveavere un suo volto, una sua voceche obbliga lo spettatore ad esserepresente. Siate eleganti nel vostromodo di disegnare statuedinamiche, discofori. Non ciidentifichiamo in Tino Sehgal,questa non è contact dance,rendetevi conto che lo spazio èsolido. Se faccio un passo lo spazio

spinge il mio compagno nelladirezione in cui ho fatto il passo.Non diventate trampolieri chelavorano solo su una gamba»,continua Barba.

A questo punto, chiediamo aJulia, come fa l’attore a costruire lamemoria delle azioni simultanee?«Ho sempre elementi nello spazioche mi aiutano a ricordare. Quandoio faccio, la mia attenzione è su checosa provoca quello che io faccio.Questo mi aiuta a ricordare. Lamemoria si costruisce procedendopezzo per pezzo». A riprova diqueste parole, di fronte agli attori,Eugenio Barba le chiede di fare: «Labarca dalle vele nere». Juliaimprovvisa in modo discontinuo,aggiungendo sempre una nuovaazione per un totale di ottomovimenti. Muove le braccia comele vele di una nave, avanza, fa ilsegno del telescopio, tira l’argano econtinua l’azione. A questo puntoBarba le chiede di dareun’informazione dinamica e diricreare l’azione solo con i piedi. «Èuno dei processi cognitivi chel’attore deve saper dominare,togliere la forma per trapiantarla inun’altra forma», aggiunge Barba e lechiede di fare l’equivalente con gliocchi. «Pensare con il corpo.Diventa sempre più forte il volerfare invece del fare che si producese pensi con la testa. Ma se il corpocomincia a pensare da solo, il corpostesso diventa una necessità. Nonricordo l’immagine astratta ma latensione». A questo puntointerviene Julia che compie il gestodi un uncino: «Mi ricordol’opposizione della schiena cheserve per fare il segno dell’uncino

con le dita». E così accenna al gestodi un uncino con la spina dorsale enon con la mano. Julia, comecompie l’equivalenza tra piedi eocchi per costruire l’azione scenica?«Il concetto di equivalenza ci portaa comprendere che non è l’attoreche deve essere organico oartificiale, ma a riconoscere l’animadinamica dell’azione fisica edell’equivalente con i piedi e gliocchi: una traduzione che è il sensodi responsabilità dell’attore versoquello che ha creato. Devericonoscere ciò che è essenzialenell’azione che sta compiendo ecercare di mantenere quello che sache è essenziale», conclude Julia.

Molti credono che l’esperienzadell’Odin Teatret, sebbenestraordinaria, sia sulla via della fine.«Il mio duello è il centro del teatro.Che tipo di centro voglio essere,appartenere o trovare la forza dellamia libertà e tentare di conquistaregli spettatori uno alla volta. Questaè la mia lotta, conquistarli unodopo l’altro come abbiamo fattocon i cittadini di Holstebro cheall’inizio ci scacciavano dicendo:’Mandiamo via i parassiti’. Se èquesto che deve accadere lasciateche l’Odin muoia in pace. Questa èl’unica cosa che abbiamo, l’unicorisultato contro un’epoca che cipermette di stabilire una relazionecon la necessità. La solitudine è ilnostro compagno». Eugenio Barbae Julia Varley salutano attori espettatori. Questi sono gli spuntiper partecipare a lezioni sul teatro aRoma e alla messa in scena de Lavita cronica di Ursula AndkjærOlsen e dell’Odin Teatret: il teatrodell’eccesso o degli esclusi.

In basso a sinistra, Eugenio Barba (al centro)all’International School of Theatre Antropology, Polonia

2005 (foto Francesco Galli)A destra, Eugenio Barba con Jerzy Grotowsky

a Hostelbro nel 1971 (foto Roald Pay)Qui accanto la locandina dell’Odin Teatret

per «La vita cronica» a Roma dal 16 al 21 febbraioAuditorium Parco della musica- Teatro Studio,

al Teatro Vascello dal 27 febbraio al 17 marzo

IL RESISTENTEDI HOSTELBRO

A destra, l’attrice Julia Varley.Sopra, laboratorio «Isola di confine»

a Perugia, Eugenio Barbaal lavoro con gli attori

Eugenio Barba. Mi viene spontaneo iniziarequesto pezzo con la frase c’era una volta laricerca teatrale e aveva un certo peso nelmondo del teatro e, se non in quello deglispettacoli più commerciali che neignoravano beatamente l’esistenza, in quellodegli esperti professori e studiosiuniversitari. C’erano addirittura divisioni e«faide» tra gruppi e festival ches’indirizzavano verso l’una o l’altra forma disperimentazione. I capostipiti di quello che sichiamò teatro povero o terzo teatro eranoGrotowski e Barba poi c’era lapostavanguardia di cui i rappresentantierano La gaia scienza (gruppo romano),Falso movimento (napoletani) e ilCarrozzone (fiorentini) e chissà perché ledue fazioni furono a lungo contrapposte epatrocinate da critici che si sfidavano inpunta di penna. Ma questa è una storiavecchia che risale ai tempi in cui il teatro eraancora vivo nel nostro paese. Ora qui da noihanno addirittura rispolverato una legge deitempi del fascismo per negare agli artistianche quella miserabile forma di aiuto che ciarrivava sotto l’ipocrita dicitura di«disoccupazione» con la scusa che attori eregisti, e chiunque svolga un’attività artisticae non tecnica nel campo dello spettacolo,non sono dei lavoratori normali (e midomando chissà cosa siamo), e con questoci hanno definitivamente seppellito sottouna pesante lastra di marmo da cui non escesuono alcuno percepibile dall’esterno.Semplicemente noi non siamo. Nonesistiamo, non abbiamo motivo d’essere, equindi sarà meglio suicidarci (almenoprofessionalmente) tutti. Mi congratuloquindi con Eugenio Barba che ebbe lalungimiranza nei lontani anni ’60 del secoloscorso di trasferirsi dal natio Salento allanordica Hostelbroo (piccola cittadinaindustriale danese che lo accolse e tuttoralo ospita e finanzia i suoi lavori), micomplimento per il suo intuito nel capireprima degli altri che volendo fare un verolavoro di ricerca, il che comporta lunghitempi di preparazione e studio, dovevalasciare questo paese ed emigrare altrove, inun nord freddo e protestante che ha saputoapprezzare e proteggere questo maestromeridionale che ha pazientementemescolato la lezione grotowskiana con iricordi ancestrali delle tarantolate, le favoledi Andersen col rigido allenamento delKatakali indiano, i trampoli e le fisarmoniche,gli scambi tra culture e l’impegno politico trale tribù sperdute nelle giungle delSudamerica. Ha portato il suo teatro dove ilteatro non l’avevano mai visto, ha barattatoarte e cultura in cambio di ospitalità econoscenza, insomma ha resistito. Bravo!Adesso lo potremo vedere col suo gruppol’Odin Teatret, in cui lavorano ancora glistessi attori che lo formarono all’inizio tracui Roberta Carrero, Iben Nagel Rasmussene Tage Larsen, oltre ad altri che si sonoaggiunti nel tempo, a Roma dal 16 al 21febbraio dove presenterà il suo ultimolavoro La vita cronica dedicato a AnnaPolitovskaya e a Natalia Estemirova, unospettacolo che si svolge in un’Europa del2030 sopravvissuta ad un ennesima feroceguerra civile in cui un giovane sudamericanos’avventura alla ricerca del padre disperso.Tanti anni fa, credo nel 1993, incontraiEugenio Barba al festival delle Nazioni inCile, io ero là a rappresentare l’Italia conuno spettacolo che si chiamava Dialogo edera una composizione di testi di EdoardoSanguineti, lui rappresentava la Danimarca,in quel caso il nostro lavoro ebbe moltosuccesso e noi ne eravamo molto orgogliosi,adesso pur di poter lavorare vorreidiventare un po’ danese anche io!

(5)ALIAS16 FEBBRAIO 2013

Page 6: Alias supplemento del Manifesto (16 febbraio 2013)

(6) ALIAS16 FEBBRAIO 2013

LA LUNA CHE VORREI●●●Un quartiere diventato alla moda, il Pigneto, più Torpignattara e Prenestino, il sestomunicipio di Roma, ricco di storia e storie, personaggi, musicisti, cineasti, pittori e soprattutto ditanti giovani: è l’ultima incursione di Francesco Bernabei nel documentario con «La luna chevorrei» che sarà in programma lunedì 18 (alle ore 16) e martedì 19 (alle ore 18) al Nuovo CinemaAquila (Roma via L’Aquila ’68). Dalla via Francigena, alla resistenza partigiana dell’ultimo conflittomondiale, dal cinema dei grandi autori, Pasolini, Rossellini, Monicelli di cui si discutono ancora lelocation, alle migrazioni degli ultimi anni. Bangladesi sudamericani, cinesi, marocchini, albanesi, sonosolo alcune delle nazionalità che lo vivono portando cultura e lavoro, mostrandoci come si puòconvivere trasformando le diversità in ricchezza. Ingresso gratuito a esaurimento posti.

QUATTRO NOTTI DI UNO STRANIERO ■ CINEMA PRIME

L’oscurità della luce,la luminosità del buio.Fabrizio Ferraro

POSTUMIDI SAN VALENTINO

di BRUNO ROBERTI

●●●Sì, la luce stessa, così bella, cosìcangiante, la luce stessa èoscura…(Philippe Jaccottet) .

L’Attendere e il tendere,l’attenzione e la cura, la giustezzadello sguardo, il peso specifico delsilenzio, la distanza tra me e l’altro ela possibilità e necessità di misurarlacon il cinema come voleva SergeDaney: questo il sentimento chepersegue e fa circolare il nuovo film diFabrizio Ferraro Quattro notti di unostraniero, come una sorta didecantazione, di lavacro del filmare,una lucidità che non ha paura delbuio. Come già in altri film di Ferraro(laddove Parigi e la costellazione delmoderno, come stato continuo dipassage, e come lucida messa in giocodei rapporti umani e del lavoro comepratica di redenzione, era fattaemergere), come in Je suis Simone, Lacondition ouvrière, dedicato aFlaherty, che faceva rivivere erespirare i quaderni di Simone Weil(incarnata dalla sensibilità tagliente edall’anima intensa di un’attrice comeGiovanna Giuliani), qui è convocatauna intera costellazione, unacartografia dei gesti interiori e delladisposizione dello spazio urbano(benjaminianamente dellareviviscenza politica che si addensa esi dirada con il decadere, il depositarsidell’aura, del suo disperdersi nellamodernità), una condizione umanache attiene con precisione all’esserci,e al testimoniare il riflesso materialedell’apparire sullo schermo (e tale è ilretaggio straubiano del cinema di

Ferraro), e infine l’esplorazione di unatopografia, quella parigina, che(appunto da Baudelaire a Benjamin)si muove tra superficie e sotterraneo,tra inabissamenti e affioramenti, tracanali fognari e gallerie ferroviarie, tralo scorrere del lungofiume e losnodarsi delle sue strade sotto il cieloche annotta o rischiara, tra la sortiedalle fabbriche o dagli ospedali el’ingresso inferico oltre una sogliaqualsiasi dentro una chambre clairche ri-vela il biancore delle sue paretinel trascorrere della luce dall’aperturadi una finestra (come avviene anchein Garrell).

Questo nuovo film (che segue unitinerario di stringente ragione visualee di progressiva passione per l’umanoe per la necessità di un pensiero delcomune, della relazione, fin dalla

iniziale «tetralogia» con il GruppoAmatoriale, in cui il lavoro del cinemae quello umano, la concretezza esattae insieme sospensione dell’incontro siaccompagnavano a Beckett, a Brecht,a Guattari) è un ritorno sul passo, ilripercorrere un set come una città,ma rovesciandola come il diurno e ilnotturno di un cocteauniano guantoper tastare e rischiarare le nottiinfilate nelle nostre tasche. InfattiQuattro notti di uno straniero «segue»letteralmente il precedente Penultimopaesaggio, fin nel preciso ritrovare eribaltare lo stesso appartamento, lostesso quartiere parigino, il medesimosolcare e far scorrere verticalità eorizzontalità, lo stesso conficcare losguardo nella prossimità/lontananzadel corpo di un uomo e di una donna(in quel film era messo in questione illoro spingere il limite, la soglia dellarelazione fin dentro l’economialibidinale, come insorgenza einsubordinazione dall’interno stessodell’assoggettamento economico deicorpi e del loro abitare lo spazio, ildispositivo dei rapporti di potere e diforza nell’orizzonte di una«penultimità» del capitale, del suotendere allo sterminio postumo delresto e del senso) ma con unmovimento paradossale diarretramento/avvicinamento, diaddossamento della macchina dapresa allo stanziare e all’andaredell’uomo e della donna, al loroscambio di silenzi e parole, di sguardie di attese, in modo da liberareintensità proprio dallo stessomovimento di spossessamento, diattesa, di sospensione, di sottrazione,di estraneità. Ecco se in Penultimopaesaggio si trattava di un forzarel’intimo procedere in modo da faremergere il residuo come forzainsubordinante, come rimessa incircolo di ciò che non può essereridotto a rapporto economico, qui sitratta di uno sprigionarsi dell’intimoattraverso il cammino dell’estraneo,dello straniero, la cui condizioneinaugurale è appunto quellodell’«uomo del sottosuolo»dostoevskiano che enuclea con unalama di luce l’intima estraneità dellasua anima, e del suo inscriversi neicorpi. Il titolo del film è certoriferimento al film di Bresson Quattronotti di un sognatore, ma qui l’«aptico» bressoniano, il suo renderetattile l’immagine (e fare «monetavivente») viene spostato dallo statosognante allo stato «straniero» e tale«estraneazione» si esplicaprecisamente in una sorta di «nascitadella luce», in un film sulla luce,

appunto come condizioneparadossale della notte «bianca», delbuio, del silenzio, dell’invisibile da cuisi proviene e a cui si ritorna, in cui sirinasce. E ciò viene ripreso da Ferraronella esatta «luce delle cose», nelrendere materiale e concreta la duratadi questa ripresa, nel farla dischiudereattraverso il travelling come nelpersistere dell’inquadratura fissa,entro la quale tutto avviene, tutto èsorpresa nel mutare della luce con iltempo (come nello splendore di unpiano sequenza che dal cielo di nubirischiarantesi si abbassa lentamentesulla città e sul fiume). E da quiprocede nel film un paradosso:l’attendere la donna, la sua uscitadalla soglia, da quell’ingresso tra lavita e la morte, entro cui sempre puòavvenire un passaggio, un trapassoche è anche un incontro e unfuoriuscire, un rinascere, quellacondizione di attesa che l’uomo, lostraniero (che nella sua stanzacompita un lingua nuova) ri-percorree in cui trascina e si lascia trascinare,dal ricominciare continuodell’epifania di un rapporto, è unconvertire il buio in luce, uncircostanziare l’oscurità di una luce ela luminosità di un buio. Raccoglieretra le mani il silenzio, addossarsiall’ombra il paesaggio di semplicipareti bianche. Capire «come unanube di buio rischiarasse la notte» ,ricordando l’ esperienza materica delbuio, della «notte chiara» diS.Giovanni della Croce, comecondizione appunto di unachiarificazione della stessa lingua nelsuo risuonare dentro il silenzio.«Notte chiara, solitudine sonora». Inun bel libro di Antonella Anedda, Laluce delle cose (Feltrinelli), si legge:«Dunque esiste una notte rischiaratadal buio che stringe in sé il fulgore delgiorno (…) una notte senza bagliori,di ampia nube rovesciata su se stessa

eppure non solitaria. È la notte diogni autentica confessione econversione: quel buio che preme persalire fino a chi ascolterà, fino allecreature, fino agli alberi e alle cose,fino alla vita».

Ed è proprio questa condizionecreaturale, di cinema vivente, cheimprovvisamente diventa concreta,immanente nel film di Ferraroquando come un bagliore intimo edestraneo insieme, avviene quella cheWalter Benjamin chiamerebbe lo«shok» di una fuga delle immagini:l’uomo, lo straniero, che fino a quelpunto aveva attraversato e si eraattagliato al nostro sguardo, di colpocorre, si perde nelle strade, scompare,e noi, lo sguardo nostro, e quello dellamacchina da presa, restiamo soli, inun paradossale essere sospesi tral’esserci e l’andare, il sottrarsi e ilprocedere, l’oggettivarsi e ilsoggettivarsi.

Cominciamo allora un movimento,lento e incantato, di una ricerca, solae comune, nelle strade, svuotate eriempite di un senso nuovo e allora,da lontano, riprendiamo e ritroviamol’uomo, lo straniero a noi stessi che ciè diventato intimo e che non cessa diattendere e di cercare lo sguardodell’altro. «Il momento dopo,sembrava che qualcosa esplodesse difronte a lui; una meravigliosa luceinterna illuminò la sua anima. Questadurò forse un secondo, tuttaviaricordò distintamente l’inizio di ungrido, lo strano terribile lamento chegli sfuggì senza volere…»(F.Dostoievskj L’idiota).

Non sarà mai troppo tardi per godere aldi là del «fuori tempo massimo» di unraro capolavoro del contrappuntosentimentale (veri postumi di SanValentino) come The Heartbreak Kid (inItalia «Il rompicuori»), firmato nel 1972da Elaine May (È ricca, la sposo el’ammazzo, Ishtar). I neo-sposini ebreiCharles Grodin e Jeannie Berlin sispostano in luna di miele verso Miami, inun breve lasso di tempo sufficiente allosposo per capire quanto la suamogliettina gli sia in realtà distante ealtrettanto bastante per invaghirsiperdutamente di Cybill Shepherd, fulgidabionda del midwest che rivoluzioneràtutto il suo equilibrio esistenziale. Sullacarta una farsa di retroguardia suglieterni equivoci riferibili alla guerra deisessi, di fatto - grazie alla sceneggiatura diNeil Simon e alla regia di May - unfenomenale studio di caratteri salutatoda Vincent Canby del New York Timescome «la migliore e più originalecommedia americana del 1972». Rifattodal duo Farrelly con Ben Stiller nel 2007,collocabile nella categoria del«rispettabile fiasco»: il prototipo di ElaineMay è invece oggi comodamente visibilecaricato (completo e in originale) suYouTube.

Il sonetto visto. Un singolare short

(8 minuti) dall’ultimo Film Festival diRotterdam, By Pain and Rhyme andArabesques of Foraging (Usa, 2013),amorosamente e strenuamenteassemblato dal cineasta radicale DavidGatten. Ispirato dal naturalista del 17˚secolo Robert Boyle, Gatten haimpiegato appena quattordici anni permettere a punto il suo film nella formadefinitiva incidendo sul leitmotiv disperimentazioni e assimilazioni assortiteriguardanti i colori e le teorie a essiascrivibili. L’eccezionale risultato inducead avvicinare il rigoroso e luminescentemontaggio visivo ottenuto alla stregua diun sonetto petrarchesco, un lavoro dialta, solitaria erudizione che sembraprovenire da tempo e spazio ignoti. Dal1996 Gatten si muove nell’intersezionetra parola stampata e immagine inmovimento, ossessionato soprattuttodalla figura di William Byrd II diWestover (1674-1744), fondatore dellacittà di Richmond in Virginia.

Ad Amburgo la polizia tace.

Oltre ad aver brancolato nel buio,chiesto aiuto, incriminato mentre lalegge assolveva, ringraziato ed esserestata a guardare, la polizia e il(sotto)genere cinematografico ad essalegato nei primi anni ’70 concepì inGermania anche questo esempioampiamente misconosciuto: FluchtwegSt.Pauli («Hot Traces of St. Pauli» o «Lapolizia tace») di Wolfgang Staudte(1971), con Horst Frank e ChristianeKruger. Il tassinaro di Amburgo HeinzJensen una sera si vede costretto adaccompagnare al commissariato la riccasignora Berndorf, completamenteubriaca. Nel frattempo suo fratello Willy,un poco di buono fuggito dalla galera,sequestra la moglie Vera, ora conviventedi Heinz, e si macchia del delitto dellamedesima signora Berndorf a seguito diuna rapina finita male… Presentato daBarbarella Media, un dvd da ordinare sulsito tedesco di Amazon, nella gustosaversione combo che affianca un cd conle musiche originali kraut-funk di PeterSchirmann.

moderati arabi < 209 210 211 >

«Il Tribunale militare che sta processando a Rabat 24 attivisti sahrawi delcampo della protesta di Gdeim Izik, attraverso irregolarità giuridiche econtro cittadini di una terra colonizzata, mi riporta ai processi politici del-l’ultimo periodo Franchista» (Antonio Masip, europarlamentare spagnolo).

CINEMA

Due scene del film «Quattro notti di unostraniero» di Fabrizio Ferraro con MarcoTeti e la locandina francese del film

A Parigi,un uomo,una donna,un set ripercorsocomeuna città,rovesciandoil giornoe la notte

LA CRITICA

Page 7: Alias supplemento del Manifesto (16 febbraio 2013)

CLASSICI

STAR WARS

LA TRILOGIA DI TRAWN

Incontrocon la magiasconosciutadell’Imperostellaper stella

Alcune imagini della serie «The Clone Wars» realizzata in computergraphic e la copertina di «Sfida alla Nuova repubblica»

La vertiginedi Clone Wars di FRANCESCO MAZZETTA

●●●Torna in libreria la Trilogia diTrawn di Timothy Zahn grazie aMultiplayer.it edizioni che ha giàpubblicato sul finire dello scorsoanno il primo volume L'erededell'Impero ed è in libreria in questigiorni col secondo, Sfida alla NuovaRepubblica. La prima edizione diquesta trilogia è stata pubblicata inItalia tra il 1993 e il 1994 da Sperling& Kupfer (negli Usa nel 1991, 1992 e1994) e narra le vicende dell'universodi Star Wars circa cinque anni dopogli eventi di Il ritorno dello Jedi.

L'occasione per la ripubblicazioneviene dalla ricorrenza del ventennaledalla prima edizione, che vienefesteggiato non solo con laripubblicazione e con una nuovatraduzione ma con una versione«annotata» dall'autore. L'effetto dellibro, con le note più o menocorpose a margine, è quello di unasorta di dvd di carta dove, propriocome nell'opera cinematograficapresente sul supporto elettronico, siaffianca come bonus extra ilcommento degli autori, attivabile insincrono agli eventi che scorronosullo schermo. È del resto tipico dellastrategia artistico commerciale diGeorge Lucas non solo ampliare ilsuo universo fantastico, masoprattutto «implementarlo»,migliorarlo, rilasciandone versioniaggiornate e potenziate. Già latrilogia originale è stata oggetto di unrestyling, in particolare conl'aggiunta di effetti speciali migliorati

digitalmente e con la rilavorazione digirati non inclusi nella primaedizione delle pellicole ed ora,facendo seguito a La minacciafantasma, tutta la saga rivedrà la lucecinematografica in veste 3D.

Timothy Zahn è un autorestatunitense specializzato in«spin-off» da saghe fantascientifichecome Terminator e soprattuttoGuerre Stellari. Se l'iniziativapotrebbe sembrare eccessiva per illivello artistico del prodotto, occorreconsiderare che se da noi la primaedizione della trilogia di Zahn nonha commosso critica e pubblico,negli Stati Uniti si è trattato di unsuccesso editoriale di certo nonindifferente: arrivato primo nellaclassifica dei best-seller del New YorkTimes, l'Erede ha avuto numeroseristampe sia in edizione rilegata siain paperback, e insieme al resto dellatrilogia ha visto una piacevoleversione a fumetti adattata dallosceneggiatore americano Mike Baron(in Italia pubblicata nel 1999 daMagic Press).

Ecco allora pienamentegiustificata questa ripubblicazionearricchita della storia di alcuni deipersonaggi più interessantiall'interno della saga di Star Warsnon partoriti dalla mente di GeorgeLucas: il Grand Ammiraglio Thrawn,uno dei pochi alieni giunto ai verticidella potenza militare dell'Impero,che conta di distruggere l'ancorainstabile Repubblica mediante nonsolo i sistemi rimasti fedeliall'Impero, ma anche grazie alle armie ai progetti segreti dell'Imperatore;l'agente speciale dell'ImperatoreMara Jade, personalmenteaddestrata da Palpatine e a lui legatada un ambiguo ma profondosentimento di devozione, tanto dagiurare di vendicare la morte del suomentore uccidendo Luke Skywalker.A far fronte ai piani di tali nemicitroviamo un'ancora insicuraRepubblica in cui Luke Skywalkercerca potenziali Jedi per rifondare iCavalieri, mentre i coniugi Han eLeia devono prepararsiall'imminente arrivo di due gemelli.

Per quanto testi annotati nonsiano certo una novità (vedere adesempio la recente splendidaedizione della Divina Commediapubblicata da Olschki), tale libro,proprio per l'accostamento adanaloghi prodotti digitali della saga,fa pensare a quali potenzialitàpotrebbe avere l'ebook se slegato dai(per altro fastidiosi ed inutili) vincolidel Drm. Addirittura si potrebbepensare a ritornare - con mezziadeguati - alla narrativa interattivaipertestuale che aveva fatto parlare disé alla fine degli anni '80, graziesoprattutto all'opera di MichaelJoyce, Afternoon. Non che l'Erede,per ora almeno, sia disponibile inebook. Ma almeno Multiplayer.itprevede, oltre alla ripubblicazione ditutta la saga di Thrawn, lapresentazione della nuova trilogia incui Zahn riprende i suoi fortunatipersonaggi.

Alla scoperta di episodi memorabili con«Star Wars the Clone Wars» serie di cartonianimati prodotti da George Lucas. Le prime trestagioni sono ora distribuite anche in Italia

di FEDERICO ERCOLE

●●●Per la generazione che havissuto la propria infanzia e la primaadolescenza durante la seconda metàdegli anni ’70 del secolo scorso, perquei bambini e ragazzi che hannovisto Guerre Stellari e i suoi due seguitial cinema, la guerra dei cloni cheportò agli eventi che causarono laquasi totale estinzione dei cavalierijedi e alla nascita del malvagio imperogalattico era ammantata da un aloneleggendario, misterioso e mitico.Citata da Leila Organa all’inizio deUna Nuova Speranza, questa serie diferoci battaglie astrali tra la repubblicae i separatisti ha alimentato sogni efantasie dei fan fino alla nuova trilogia,così bella quanto incompresa.Tuttavia se la guerra dei cloni iniziaalla fine del secondo episodio,L’Attacco dei Cloni, già nel terzo, LaVendetta dei Sith, si può considerareconclusa.

Per colmare l’enigmatico vuototemporale e vivere le tragiche eviolente cronache di questa guerracosì odiata da Yoda, c’è Star Wars TheClone Wars, una serie di cartonianimati in computer graphic giuntagià alla quinta stagione, almeno negliStati Uniti. Ore e ore di guerre stellariche nessun fan, almeno quelli chehanno amato anche la secondatrilogia, dovrebbe perdere.

I disegni squadrati - sembranosculture di legno colorate - di alcunipersonaggi possono inizialmentedestare qualche dubbio nella psicheamorosa del fan, ma superandol’impatto iniziale con i visi di Anakimo di Obi-Wan, realizziamo di trovarcidi fronte ad una scelta artisticaautoriale e rivoluzionaria, così che sicominciano ad apprezzare le versionicartoonesche di eroi e malvagi.

Bisogna inoltre evitarel’ingannevole sensazione percepibile apriori che si tratti di un’opera pensataper un pubblico molto giovane.Guerre Stellari ha sempre avuto ilpregio di sapere coinvolgere sia ibambini che gli adulti, dialogando con

la passione e la psiche di ciascuno inmaniera diversa e operando unincanto simile a quello che avvienecon i film di Hayao Miyazaki; così TheClone Wars non è da intendersi comeserial realizzato esclusivamente perl’infanzia, perché vi sono momentitragici e addirittura spaventosi.

Ogni stagione è composta da 22episodi di circa 20 minuti (trannel’ultima in cui sono solo 20) e in Italiale prime tre sono disponibili in dvddistribuiti da Warner Home Video.

Al serial andrebbe aggiunta lavisione preludiante dellungometraggio omonimo uscito alcinema nel 2008, attraverso la quale sipuò essere introdotti gentilmente,anche in maniera un può fuorviante,allo stile e ai personaggi della serie,che nella sua lunghezza si rivelasuperiore al film per atmosfere,contenuti e racconto.

Sebbene durante ore e ore diavventure tanti personaggi dellatrilogia solo intravisti al cinema

assumano talvolta il ruolo diprotagonista, i due personaggiprincipali della serie sono Anakim e lasua padawan, Ahsoka, una fanciulladallo straordinario carisma e talentonella forza. La domanda fatale cheperseguita chi ha seguito tutte lestagioni è quale sarà il fato dellafanciulla, visto che nella sagacinematografica ella non è mainominata. Una sesta stagione ècomunque prevista, e dovrebbe esserela conclusiva.

Prodotta e supevisionata da GeorgeLucas e diretta da Dave Filoni, TheClone Wars brilla per la quantità distorie ed eventi che contiene e per losplendore iconografico etecno-feticista della rappresentazionedi astronavi, flore e faune spaziali,armi e robot.

Se è vero che talvolta la commediasostituisce l’epica, molto spessoavviene il fenomeno contrario e si puòcosì godere di un’epopea maestosa,stupefacente e rivelatrice.

Ci sono episodi memorabili in cuiapprendiamo dell’amore segreto diObi-Wan, del micidiale desiderio divendetta del giovane Boba-Fett, in cuiYoda ci illumina con rara profonditàdella singolarità di ogni clone oltre illoro aspetto identico, in cui viviamouna romeriana e carpenterianaepidemia di parassiti che potrebberodiffondersi in tutto l’universo, in cuiassistiamo al risveglio di un micidialemostro distruttore o alle malefichegesta di un cacciatore ditaglie-cyborg-pistolero chiamato CadBane.

Precipitiamo con un beato senso divertigine in tante vicende, cadendoalla velocità della luce tra colori, suonied emozioni mentre puntata dopopuntata la serie diventa sempre piùscura. disperata e cupa. Talvoltaquindi proviamo un’inquietantebrivido di paura e sgomento.D’altronde sappiamo già cosasuccederà dopo e intuiamo la mortenei volti di tanti personaggi.Soprattutto vediamo il lato oscurodella forza strisciare con lentezzaimplacabile nell’animo di Anakim,futuro Darth Vader, così appassionato,gentile ed eroico ma nello stessotempo ingenuo come un bambinocresciuto anzi tempo e fatalmentetriste per le perdite e i dolori subiti.

Attraverso romanzi, videogiochi efumetti la galassia lontana di GuerreStellari si è espansa a dismisura fino adiventare una proprietà disneyana, unfatto da non considerarsi negativo,considerando che J.J. Abrams di Lost eregista di quel capolavoro di uncinema latitante che è Super 8,dirigerà il settimo episodio.

Ma in tanto spazio e tempo, nellacronaca di tante vite, The Clone Warsrappresenta la più riuscita invenzionetra tante altre, una magnifica derivagalattica dalla saga principale. È ilsogno realizzato di una generazionecresciuta con la forza nel cuore che haappreso da Star Wars, più che da tantitelegiornali e dagli altri media, che laguerra è una cosa orribile, sempre,anche quando è stellare.

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ANTIFA BOXELa palestra popolare Antifa Boxe nasce nel 2001 presso il centro sociale Askatasuna di Torino conun corso di pugilato, recuperando materiale di seconda mano da altre palestre, un'occasione peravvicinare i giovani del quartiere a questo sport. È un’esperienza di autogestione in cui nessunoguadagna soldi e dove le conoscenze tecniche vengono messe a disposizione di tutti «conl’obiettivo di crescere allenamento dopo allenamento». Antifa Boxe coinvolge persone di ogni età,dai quindicenni all’ex operaio Fiat Giovanni di 60 anni, che ha scoperto la passione per il pugilatoche non aveva mai potuto coltivare. «La nostra scelta è di consentire a tutti di apprendere letecniche pugilistiche e raggiungere un livello atletico accettabile per confrontarsi in combattimento,sempre nell’ambito della palestra». Info: antifaboxe.blogspot.com

STORIE ■ INTERVISTA AL COORDINATORE STEFANO SALLUSTI

Politica per il corpo.A San Lorenzola palestra è popolare

di PASQUALE COCCIA

Popolare è un termine che non si usapiù, è stato cancellato innanzituttodal linguaggio della politica. I politicinegli studi televisivi, sostituiti datempo alle piazze, ormai non parlanopiù di masse popolari, e neppure diiniziative popolari o di manifestazionipopolari, eppure la crisi economica ciha uniti per farci sprofondare nellapovertà, una condizione comune auna moltitudine di persone, unacondizione popolare, che ci rendetutti vittime dello spread, delle bolle edelle speculazioni. A rievocare iltermine popolare e a unirlo allo sportci hanno pensato i giovani di tanticentri sociali sparsi in varie partid'Italia, in particolare nelcentro-nord, per nulla preoccupatiche quel termine fosse d'antan. Unadecina di anni fa, presi dalla passioneper lo sport, hanno dato vita allepalestre popolari, non solo nelladefinizione, ma anche nella politicasportiva attiva di tutti i giorni. Si eraall'inizio del nuovo secolo, quandoalcuni giovani dei centri sociali divarie parti d'Italia dettero vita ai corsiautogestiti, tendenti principalmentealla difesa personale, alle artimarziali, riservati esclusivamente aimilitanti di quei centri. Un'iniziativache ha avuto nel corso degli anni uncerto successo, perciò a Roma nelquartiere popolare di San Lorenzo, invia dei Volsci, una strada alquantofamosa negli anni Settanta del secoloscorso per essere stata la sede politicadi Autonomia Operaia, è nata lapolisportiva popolare, anche sequalche centinaio di metri più avantirispetto a quella storica sede. Lapolisportiva si definisce popolare,perché è andata ben oltre la ristrettacerchia dei militanti dei centri socialie si è aperta al territorio, ai comitatiper la casa, agli anziani e alle

casalinghe, ai bambini, insomma alpopolo, anche se con numeri nonmolto grandi, ma nel significatopolitico sì.

«Oggi a Roma esistono dodicipalestre popolari, nate sul modello diquella di via dei Volsci a San Lorenzo- dice Simone Sallusti, istruttore dipugilato della federazione pugilisticadel Coni e anima di una delle primepalestre popolari sorte in Italia -. Glispazi dove si svolgevano i primi corsinon erano stati progettati per leattività sportive, ma si trattava dicapannoni abbandonati, locali adestinazione commerciale diproprietà del comune di Roma vuotida anni, case sfitte di enti pubblicirimaste inutilizzate, da noi occupati aseguito delle lotte politiche per lacasa. Inizialmente le palestrepopolari avevano una forteconnotazione politica, poi con ilpassare del tempo abbiamo aperto icorsi ai territori e la gente chepartecipava ci ha chiesto di variarel'offerta. Abbiamo seguito i corsi diformazione, che riguardavano

principalmente le tecniche dellaginnastica dolce, come lo shiatsu e loyoga, per i corsi di queste disciplineabbiamo utilizzato anche spazi adimensione umana, come, adesempio, le case occupate di 150-200metri quadri».

Cambia, rispetto a un tempo, laprospettiva politica dei comitati diquartiere per la lotta alla casa, spazinon più concepiti quali luoghiesclusivi della discussione politica,dell'organizzazione dei cineforum e i

conseguenti dibattiti, ma anche comespazi per l'organizzazione di corsi peril benessere del corpo. Sotto questoaspetto la nascita delle palestrepopolari a opera dei centri sociali,rappresenta una svolta «politica» peril corpo, alcuni luoghi occupati pervivere e pensare diventano anchespazio per il benessere fisico, per lapromozione della ginnastica dolce.

«La logica che ci spinge apromuovere queste iniziative per ilbenessere fisico è in nettacontrapposizione con i centri fitness -continua l'istruttore di pugilato dellapolisportiva San Lorenzo di Roma -,che sono organizzati all'insegna delprofitto e della speculazione, i nostricorsi sono popolari anche nel prezzo,i partecipanti pagano una quotasimbolica, accessibile a tutti, unaquota popolare». Sui territori dovesorgono le palestre popolari, gliorganizzatori hanno conquistato lafiducia degli abitanti dei quartieri, dainonni alle casalinghe, che hannoapprezzato l'impegno e i corsiproposti dagli istruttori, e nellapolitica delle palestre popolari daqualche tempo hanno fatto capolinoanche i bambini, infatti quei giovaniorganizzano corsi per i più piccoli incollaborazione con le scuole e gli entilocali. A frequentare le palestrepopolari, però, sono anche degliadolescenti che nulla hanno a chefare con i centri sociali, e neppurecon la lotta per la casa portata avantidagli animatori di quei luoghi diaggregazione giovanile, perché solonegli spazi autogestiti trovanoaccoglienza e attenzione alle loroesigenze motorie. «Negli ultimi anniai corsi di shiatsu e yoga, se ne sonoaggiunti di nuovi. Su richiesta deiragazzi dei quartieri dove siamopresenti, organizziamo corsi diparkour, giocoleria e acrobaticaaerea.

Tutto quello che si muove inperiferia, riguardo alle mode sportivedei ragazzi e rappresenta il nuovo,passa prima qui da noi e poiraggiunge i circuiti ufficiali»,conclude con una punta di orgoglio ilcoordinatore delle palestre popolari.

L'esperienza della polisportivapopolare di San Lorenzo non solo hafatto da apripista alle altre di Roma,ma negli ultimi dieci anni sonoprogressivamente nate, su quelmodello, palestre popolari anche inaltre città italiane come Milano,Perugia, Bergamo, Torino, Livorno,Lecce, Taranto, Cagliari e altri centriminori, tanto che oggi sono operativesul territorio più di sessanta palestre,e i promotori stanno pensando difederarsi in un organismo nazionale.Una rete, quella delle palestrepopolari, che dal momento dellafondazione a oggi ha consentito acirca diecimila persone difrequentare corsi per il propriobenessere fisico e a due passi da casa,ma soprattutto a prezzi, è il caso didirlo, davvero popolari.

SPORT

L’esperienzaromanasi è via viaallargata a moltealtre cittàitaliane,da Torino a Lecce,da Perugiaa Cagliari

In grande l’interno della palestra popolaredi San Lorenzo a Roma. A destra unmomento di un incontro di boxe all’internodella struttura capitolina

INTERVISTA

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IL DOCUMENTARIO

LA SATIRA

IL FESTIVAL

A PEZZI - UNDEAD MENDI ALESSIA DI GIOVANNI, DANIELE STATELLA,CON ELENA DI CIOCCIO, MARCO SILVESTRI.ITALIA 2013

0La ricostruzione di un corpo èper due amiche il punto dipartenza di un viaggio nel

deserto del vecchio west, rivisitazionedel western in chiave di commedia.Statella è un disegnatore di Diabolik,Stivaletti agli effetti speciali, le musichesono di Manuel De Sica, la canzone dititoli di coda è composta dagli Extrema,band metal.

BEAUTIFUL CREATURES - LASEDICESIMA LUNADI RICHARD LAGRAVENESE, CON ALICE ENGLERTE ALDEN EHRENREICH. USA 2013

0Ethan, un ragazzo che abita inuna cittadina del Sud Carolinaincontra la nuova ragazza in

città, Lena Duchannes. È la ragazza deisuoi sogni e tra i due si instaura subitoun fortissimo legame, connessi tra lorocon il Metapensiero così che ognunosente i pensieri dell’altro. Ben prestoEthan scoprirà che la famiglia di Lena ètormentata da una terribile maledizionee che lui è l’unico in grado diproteggerla.

GANGSTER SQUADDI RUBEN FLEISCHER, CON RYAN GOSLING, SEANPENN. USA 2013

0Los Angeles, 1949. Lo spietatogangster Mickey Cohen (SeanPenn) domina la città,

raccogliendo guadagni illeciti dalla droga,dalle armi, dalla prostituzione e dallescommesse. E tutto questo avvieneanche con l’aiuto di politici e agenticorrotti. Ma la piccola e segreta squadraguidata dal sergente John O’Mara (JoshBrolin) e dal suo braccio destro JerryWooters (Ryan Gosling), sono decisi atutto per catturare Cohen.

PINOCCHIODI ENZO D'ALÒ. ANIMAZIONE. ITALIA 2013

0Le avventure del burattinoideato da Collodi portate sulgrande schermo dal regista

italiano Enzo D'Alò dopo quattro annidi lavoro, con fondali che ricordano gliorizzonti collinari toscani e poi «ipersonaggi che abbiamo conosciutonell’infanzia». Il regista lo definisce«quasi un musical».

VIETATO MORIREDI TEO TAKAHASHI, CON ARIANNA DI CORI,PATRICK RAMHALHO. ITALIA 2013

0Quattro storie si incrocianoall'interno della comunità direcupero per la

tossicodipendenza di Villa Maraini. Sullosfondo di una Roma scarna e reale ipersonaggi affrontano il murodell'abbandono sociale e gli operatorisociali, spesso ex tossicodipendenti, nonpossono che vegliare sulle tragedie chehanno di fronte.

BLUE VALENTINEDI DEREK CIANFRANCE, CON MICHELLEWILLIAMS, RYAN GOSLING, USA 2010

7In una cittadina dellaPennsylvania, isolatinell’ambiente familiare e sociale

che resta sullo sfondo purcaratterizzato precisamente, Dean(Ryan Gosling, ora in Gangster Squad)) eCindy (Michelle Williams, la Marylin diSimon Curtis) si offrono al pubblico nelpercorso inverso dell’happy end con unandamento di lieve sadismo. L’immagineappassionata del «come eravamo»interviene a spezzare il livore dei due.Cinema indipendente assai apprezzato alSundance e a Cannes, con occhioesperto da documentarista ma forseancor più da esperto d’avanguardia(allievo di Stan Brakhage), tanto da farriferimento non casualmente al film difamiglia in chiave «arty». E Non scivolasulle chine pericolose della narrazione.(s.s.)

LINCOLNDI STEVEN SPIELBERG, CON DANIEL DAY-LEWIS,SALLY FIELD. USA 2013

7Sul presidente più riverito degliStates Spielberg voleva fare unfilm da sempre, come lo fecero

tra gli altri, Griffith, Clarence Brown,Ford (più volte). Ma la chiave l’hatrovata solo nel libro della storica DorisKearns Goodwin. In realtà è un film «dacamera», il set dominante è dentro allaCasa bianca, una successione di scenerisolte quasi sempre con inquadraturefisse e quello che sembra il minornumero di stacchi possibile. Minimalistaanche l’oggetto apparente del film: ilpassaggio di una legge, quel tredicesimoemendamento della costituzioneamericana con cui il repubblicanoLincoln si assicurò - stato di guerra omeno - che la schiavitù sarebbe statabandita per sempre dal suo paese.(g.d.v.)

LES MISÉRABLESDI TOM HOOPER, CON RUSSEL CROWE E ANNEHATHAWAY, UK 2012

4Diretto dal regista di Il discorsodel re che sceglie la viadell’opera vera e propria, dove

tutto è cantato dal vivo, e un castimportante in cui si fronteggiano comeJean Valjean-Javert, Hugh Jackman eRussel Crowe, che molto si sforzano direcitare e cantare alla perfezione, anchese per il secondo lo sforzo è piuttostovano. Qui la novità, se vogliamo, è l’ideadi confrontarsi con l’opera di Hugo apartire da una «rilettura», il musicalappunto. Il fatto è che Hooper non èregista da respiro epico e tantomenovisionario, si adagia su scene sontuose,costumi, sull’accumulo di materiali eimmagini incastonandoli uno dopol’altro senza sfumature. I suoi bassifondidi Parigi, in cui si aggira l’umanitàdolente e stracciona, non mutano ditonalità né azzardano letturepoliticamente aguzze o spiazzanti. (c.pi.)

IL PRINCIPE ABUSIVODI ALESSANDRO SIANI, CON ALESSANDRO SIANI,CHRISTIAN DE SICA. ITALIA 2013

7Dopo il successo di Benvenuti alnord, ci si aspetta parecchio daldebutto alla regia di Alessandro

Siani (anche regista), che ha scritto ilfilm assieme a Fabio Bonifacci. Tornanoi conflitti di classe, i poveri e i ricchi, icafoni e gli eruditi, addirittura i popolanie i principi. Qui il povero napoletano(Siani) viene scelto da Anastasio, cioèChristian De Sica, ciambellano del re diun oscuro principato (il solito Trentino)come «fidanzato» della principessaSarah Felderbaum solo per farlepubblicità. Magari il film non brilla percostruzione di racconto e esplosione digag e battute, anzi spesso gira un po’ avuoto, e Siani-Bisio erano una coppiapiù affiatata di Siani-Christian, ma allafine è una graziosa commedia che sivede con piacere. (m.gi.)

PROMISED LANDDI GUS VAN SANT, CON MATT DAMON, FRANCESMCDORMAND. USA 2012

7Matt Damon è un agente di unagrande corporation del settoreenergetico, il suo lavoro è

acquistare le concessioni dai modestiagricoltori di una cittadina rurale delMidwest. È un piazzista del fracking,cioe’ la «fratturazione idraulica» che daqualche anno permette di estrarreidrocarburi (greggio pesante e gasnaturale) con conseguenze ambientalipotenzialmente devastanti. Ma anche lacrisi ha devastato le gia’ misereprospettive economiche dei farmercostretti a cedere. Il film di Gus VanSant è un classico di denuncia sociale, ilricco filone di cinema Usa che va daFurore a Norma Rae passando perMatewan di John Sayles. Van Sant simuove con facilità sia nel cinema degliampi consensi come Will Hunting e Milk,che in progetti di sensibilità artistica

come Elephant e Last Days. Qui adotta ilregistro classico del genere «sociale»hollywoodiano, una formula non senzaal sua quota di melò ma pur sempreimportante. (l.ce.)

QUARTETDI DUSTIN HOFFMAN, CON MAGGIE SMITH, TOMCOURTENAY, UK 2012

7All’origine della storia c’èqualcosa che ci riguarda: la casadi riposo per musicisti Giuseppe

Verdi di Milano, spostata in Inghilterra, arischio di chiusura, bisogna quinditrovare il modo di racimolare quattrinifreschi. Nel frattempo sta per arrivareuna nuova ospite: l’odiosa Jean che staper ritrovare lì l’ex marito. Suonamagnifico vedere i personaggi passaredal suggestivo eloquio raffinato alcolorito turpiloquio in un crescendo dagrandi interpreti che Dustin Hoffman inquesto suo esordio a 75 anni ha nonsolo lasciato lavorare al meglio ma hasaputo valorizzare al massimo. (a.ca.)

OPERAZIONE ZERO DARKTHIRTYDI KATHRYN BIGELOW, CON JESSICA CHASTAIN,JOEL EDGERTON. USA 2013

7Zero Dark Thirty, in gergomilitare, è il il cuore della notte.È anche l'ora (le 24.30) in cui i

Navy Seals di Team Six, il primo maggio2011, misero piede nel cortile delleresidenza fortificata di Osama BinLaden. Il film apre su un'oscurità ancorapiù profonda e vertiginosa. La mise enscène classica e precisissima di Bigelownon ci risparmia niente, e non cercascorciatoie: quello che si vede è unacombinazione di metodicità scientifica emacelleria medioevale. I rituali e gliattrezzi di scena svelati al mondo dallemicidiali foto di Abu Ghraib ci sono tutti- cappio, cappuccio, collare da cane,waterboarding, le umiliazioni sessuali,l'heavy metal a volume assordante... Èun film che non prevede «zone diconforto» per lo spetattore. (g.d.v.)

RE DELLA TERRA SELVAGGIADI BENH ZEITLIN, CON QUVENZHANE WALLIS EDWIGHT HENRY, USA 2012

7Zeitlin porta il suo amore perl’acqua, New Orleans e il sensodi uno spiazzamento

fisico/cultural/social/mentale nelle sferedel mito, della fiaba e della tragedia.L’idea di partenza era di spiegareperché, dopo il disastro di Katrina, moltiavevano rifiutato di andarsene. Suoialleati imperdibili sono una bimba di 6anni (l’esordienteQuvenzhane Wallis,una forza della natura, nominata ancheagli Oscar) e Dwight Herny, unpanettiere. A cavallo tra mitologia,realismo fantastico e news, il film buca iltetto di timidezza e grigiore che spessoopprime il cinema indipendente Usa, dicui è una delle avventure più affascinantidegli ultimi anni. (g.d.v.)

VIVA LA LIBERTÀDI ROBERTO ANDÒ, CON TONI SERVILLO EANNA BONAIUTO, ITALIA 2013

7A parte il titolo, che ci riportaun po’ al Rene Clair di A nous laliberté, un po’ a Roberto

Rossellini di Dov’è la libertà, con Viva lalibertà di Roberto Andò per una volta ilcinema italiano quasi ci piglia. A neanchedieci giorni dalle elezioni più incasinateche si siano svolte in questi ultimi anni,ci arriva una vera bombacomico-politico. Pure parecchiodivertente grazie a un Toni Servillo chesembra rifare il Totò sdoppiato, anzitriplicato di Totò terzo uomo di MarioMattoli. Qui Servillo si sdoppia dadepresso leader bersaniano che haridotto il partito al 17% a un gemellopazzo, colto e allegro che, prendendo ilsuo posto, porterà il Pd al 66%. Cicredi? No. Infatti è solo un film. E allafine la parte sana del marchingegno,puro slapstick alla Capra, funziona.(m.gi.)

A CURA DISILVANA SILVESTRICON ANTONELLO CATACCHIO,ARIANNA DI GENOVA, GIULIAD’AGNOLO VALLAN, MARCOGIUSTI, CRISTINA PICCINO

MAGICO

I FILMCAPTIVEDI BRILLANTE MENDOZA, CON ISABELLE HUPPERT, KATHERINE MULVILLE, MARC ZANETTA,RUSTICA CARPIO, TIMOTHY MABALOT, MARIA ISABEL LOPEZ . FILIPPINE 2013Captive si ispira a un fatto di cronaca, i rapimenti di turisti da parte di gruppiislamici e indipendentisti nelle Filippine, qui più precisamente per l’indipendenzadell’isola di Mindanao. Un’assistente sociale francese e la sua collega filippinasono anch’esse portate via per sbaglio tutti trasportati su una barca da pesca percentinaia di chilometri e poi su per le montagne con i militari sulle loro tracce.Una estenuante esperienza che dura più di un anno. Il regista, Brillante Mendoza,è uno dei nomi di punta delle nuove onde del cinema filippino che hannoconquistato mercati e platee mondiali. È interpretato da Isabelle Huppert, il suopersonaggio è quello della volontaria religiosa che si trova all'improvvisocatapultata tra gli altri. Per interpretarlo l’attrice dice di aver pensato a Ingrid deBetancourt, «avevo letto il suo libro un po' per caso, che rende in modo moltopreciso quella sensazione di perdita di riferimenti, di essere in balia a decisionibrutali, in un movimento continuo. E la reazione alla natura che spesso èspaventosa. Ho conosciuto Brillante Mendoza al festival di Cannes, è un registache mi è subito piaciuto molto. Fa un cinema che non somiglia a niente,totalmente libero, si muove in un caos che solo lui riesce a controllare. Anchesulla lavorazione di Captive le cose sono andate in questo modo. Avevamo unasceneggiatura ma la scommessa per lui era di trasformarla sul set». (c.pi.)

IL NUOVO MALEFEBBRAIO 2013 N. 12, EURO 2.50È in edicola Il nuovo Male, il mensile disatira diretto da Vincenzo Sparagna, chefirma in questo numero un editoriale colnome del suo storico alter ego Tersite,dal titolo «Le mani sull'Italia», sull'orribilecampagna elettorale 2013. Tra gli autoridella «Rassegna stampa dei Mali piùdiffusi», curata da Cleono Zanzara,Piefrancesco Cantarella e Pablito Morellipiù «Il Malinteso». Guido GiacomoGattai apre un nuovo capitolo con «Lasporca storia di Sofia». Letteratura esatira anche nell'articolo sulle nuovereligioni (assurde e reali) di Teodonio Diodato (Graziano Graziani), che racconta il«Dudeismo», ispirato allo stile di vita del Grande Lebowski. Un'intervista «postuma»al regista Mario Monicelli, brevi testi sull' «Astrofisica dell'urna». Tra i vignettistiGiuliano, che firma la copertina e l'intera pagina eroticomica, Giorgio Franzaroli, conun fumetto sulle tresche del trio Berlusconi-Alfano-Samorì, e poi Ugo Delucchi, Frago,Giulio Laurenzi, Giuseppe Del Buono, Antonio Vecchio, Malù, SS-Sunda, Cecigian, lenew-entry Paolo Cammello e Stefano Tirasso, Filippo Scòzzari. Il giornale falso/veronelle pagine centrali, è «Il Porco» fondato e diretto da Libero Suino, illustrato con legrottesche incisioni di Massimo Boccardini e una vignetta di Giuliano.

ALIVEUk, 2013, 3'30'", musica: Ayah Marar con PMoney, regia: Luke Biggins, fonte: Youtube

6La cantante di origini giordane,ma ormai inglese di adozione,accompagnata dal dj P Money, si

esibisce in questo Alive (trattodall’album The Real) filmata in unclaustrofobico interno illuminato da tubial neon e decolorato nella fotografia. Lacamera di Biggins si muovenervosamente sul corpo della Marar edegli altri performer, sagome nellapenombra. Stacchi e piani ravvicinatirendono caotico e angosciante il visual,raddoppiando l’effetto di soffocamentodato dal martellante sound elettronico.Un modo come un altro perneutralizzare l’eventuale (e rischioso)glamour.

STAYUsa, 2013, 4',,musica: Rihanno con Mikky Ekko,regia: Sophie Muller, fonte: Youtube

7Il volto gonfio di pianto (o dibotte?), lo sguardo quasi sottol’effetto di qualche droga è

quello di Rihanna, il cui corpo èimmerso per tutta la durata del video inuna vasca da bagno avvolta nellapenombra. Ekko non compare mai nellostesso ambiente, ma è ripreso a parte inaltri angoli della stessa sala da bagno osu una poltrona. Ancora una volta lamaestra del music video Sophie Mullerriesce a fare centro con poco, quasinulla. Il suo proverbiale minimalismofatto di corpi e volti in primo piano creacome sempre uno strano magnetismoche ipnotizza lo spettatore, senzaneppure regalargli banale eros benconfezionato

I’M A WOMANFrancia, 2002, 3’55”, musica: Cassius (con JocelynBrown), regia: autore ignoto, fonte: Youtube

8L’energia delle donne salverà ilmondo? A quanto pare sivedendo questo ennesimo clip

prodotto dalla Partizan per Cassius. Ilvideo inizia con il volto della vocalistafro Jocelyn Browne che si apre in due,rivelandoci un immaginario cosmico dalsapore fortemente hi-tech, dominato daalcune danzatrici moltiplicate all’infinitoche ballano scatenate contornate dacanne di pistola lucidamente metallicheda cui vengono esplosi numerosi colpi.Ne scaturisce del sangue (violenza maanche passione) che colora di rosso icorpi sensuali delle performer e ricopreil pianeta. I’m a Woman è un’apoteosi diraggi lumninosi e deflagrazioni, untrionfo coreografico tra il mistico e ilfantascientifico, realizzato conridondanza di effetti speciali. Nel finale ilglobo diventa una sorta di atomo e i varicontinenti si riunificano in un soloblocco.

L’ENERGIADELLE DONNE

IL FILM

THE SUMMITDI FRANCO FRACASSI, MASSIMO LAURIA. ITALIA2012Diretto dai giornalisti d'inchiesta FrancoFracassi e Massimo Lauria, getta luce, adieci anni di distanza, su molte zoned'ombra del G8 di Genova, (19-21 luglio2001), le speranze dei manifestanti, imeccanismi che hanno portato allaviolenza indiscriminata da parte delleforze dell’ordine e di una parte deimanifestanti, gli interessi politiciinternazionali. The Summit è il frutto dilavoro di oltre cinquanta persone, più dicento intervistati, più di mille pagine didocumenti, mille ore di registrazioni audio e oltre cento ore di video. Tra gli intervistati,oltre a numerosi manifestanti vi sono anche don Gallo, Vittorio Agnoletto, ClaudioGiardullo segretario generale Silp/Cgil, il generale Fabio Mini, Vincenzo Canterini excomandante VII nucleo sperimentale squadra mobile, Dario Rossi avvocato del GenovaSocial Forum. Sergio Finardi esperto di tattiche di guerre informali dice nel film: « Ci fuin Germania una dimostrazione contro i bastioni nucleari e la polizia intervenne in modoestremamente duro. Questo ha portato poi questo movimento antinucleare a essere unpo’ l’espressione dei primi passi di quelli che si sarebbero chiamati black bloc perchéportavano abiti e cose di difesa neri e volti mascherati. Sanno che verranno filmati».

BERGAMO FILM MEETING9 - 17 MARZO 2013Sarà Robert Guédiguian, il protagonistadel Bergamo Film Meeting 2013: alfamoso regista marsigliese è infattidedicata la personale di quest’anno. I suoifilm ambientati nei quartieri popolari,raccontano la vita dei lavoratori e lasolidarietà che emerge nei momentidifficili. Saranno presentati accompagnatida un volume monografico, i diciassettefilm del regista tra cui Marius e Jeannette(1997), A l’attaque! e La ville est tranquille(2000), fino ai più recenti Le promeneur duchamp de Mars (Le passeggiate al campo diMarte, 2005) e Les neiges du Kilimandjaro (Le nevi del Kilimangiaro, 2011) il film cheracconta l’attuale stato di crisi. Il regista sarà presente alla manifestazione e terrà unamaster class per gli studenti di cinema. In concorso lungometraggi inediti in Italia, tra cuiChaika (Spagna, Georgia, Russia 2012) di Miguel Ángel Jiménez, opera seconda delregista spagnolo, già ospite a Bergamo Film Meeting nel 2010, Mobile Home di FrançoisPirot (Francia, Belgio, Lussembrugo 2012), racconto di due trentenni disoccupati, Lemonde nous appartient di Stephan Streker (Belgio 2013). Inoltre produzioni indipendenti,un omaggio ad Alec Guinness, sette film della recente produzione europea e la sezione«Falso d’autore» con 10 film di maestri del genere: Losey, Mankiewicz, Clément, Hawks,Orson Welles, Hitchcock. (s.s.)

SINTONIE

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(10) ALIAS16 FEBBRAIO 2013

STORIE ■ GRUPPI INVENTATI A TAVOLINO. COSÌ BELLI, COSÌ IMPERFETTI

di GUIDO MARIANI

Nel pop mai nulla è come appare.Ogni canzone è una piccola finzionee ogni interprete veste anche i ruoli diun personaggio. Ma se travestitismi,trucchi scenografici e esagerazionifanno parte della stoffa stessa con cuiè cucito il grande sognodell’immaginario musicale, in alcunicasi l’industria discografica haprodotto dei clamorosi falsi e dellevere e proprie truffe. L’era del rock hacollezionato furbi inganni, astutipiani di marketing e autentici raggiri.A volte i protagonisti hanno subitoamare conseguenze, più spesso icolpevoli si sono redenti e sono statiamati proprio per il loro inganno.Perché nel magico mondo dellospettacolo il talento è anche l’arte dimascherare la realtà.

THE MONKEESSull’onda della Beatlemanianell’autunno del 1966 negli StatiUniti si pensò di confezionare unserial televisivo che conquistasse iteenager come aveva fatto il film AHard Day’s Night. Nacque così loshow The Monkees in cui unquartetto musicale proponevacanzoni e situazioni divertentiesattamente sull’esempio dei Fabfour nei loro film musicali. Iprotagonisti della serie (Davy Jones,Micky Dolenz, Peter Tork e MichaelNesmith) erano solo degliattori-musicisti, reclutati dopodiverse audizioni. Le canzoni deltelefilm erano state confezionate,ideate e registrate da session men ein sala di registrazione i Monkeeserano poco più di figuranti cheobbedivano solo agli ordini sulle particantate. Il successo dello spettacolofu clamoroso e altrettanto clamorosofu quello dei brani dello show.All’atto, però, di vendere i dischi sipensò di veicolare l’immagine deiMonkees come quella di una bandautentica, esattamente come iBeatles, senza accennare che eranoin realtà un prodotto di una fiction.La scelta sorprese gli stessi membridella formazione. Ricorderà Nesmith:«Quando vidi il nostro primo albumlo guardai con orrore. Non c’eranessun accenno ai musicisti. Cipresentavano come se fossimo statiuna rock’n’roll band. Stavamoprendendo in giro il pubblico: noinon eravamo una gruppo rock,stavamo solo recitando!».

Dal punto di vista commerciale iltrucco fu un trionfo, l’lp di esordiorimase 13 settimane al numero unodella classifica di vendita Usa (unrecord rimasto imbattuto per più di15 anni) e i Monkees vennerofrettolosamente paragonati ai loromodelli di Liverpool. Eroi intelevisione, nelle classifiche e nelleradio, i quattro protagonisti deciserodi non mentire ai media e nelleinterviste scelsero, sin dalla fine del’66, a dichiarare candidamente dinon essere una vera rock band masolo di recitare. Il loro successo eraperò ormai assolutamenteinarrestabile e Jones, Dolenz, Tork eNesmith iniziarono quindi aprendere gli strumenti in mano, asuonare dal vivo e lottarono perinterpretare completamente lecanzoni della serie. Il loro terzoalbum, Headquarters, pubblicato nelmaggio 1967, era tutta farina del lorosacco e finì ancora al primo posto inclassifica. Fino al 1970 pubblicaronoaltri sei album usciti anche dopo lafine della serie televisiva che li avevainventati. Collaborarono con ungiovanissimo Neil Young e JimiHendrix andò in tour con loro. Lafiction era diventata realtà.

THE ARCHIESFirmarono la più grande hit del 1969,ma non sono mai esistiti. Il branoSugar Sugar dominò le classifiche dimezzo mondo e divenne unevergreen. Gli Archies erano sullacarta formati da Archie, Reggie,Jughead, Bette e Veronica, ma dicarta erano anche fatti, visto cheerano una band nata da un fumettodiventato poi un cartone animato (i

Gorrilaz non hanno inventatoniente). Le loro hit erano frutto di unteam produttivo capitanato daldiscografico Don Kirshner che era giàstato tra gli ideatori del fenomenoMonkees. Voci e cori degli Archiesappartenevano a due cantanti RonDante, lead vocalist, e Toni Wine cheimpersonava le parti femminili.Proprio quando Sugar Sugardominava le classifiche, nella top tenamericana arrivò anche il singoloTracy opera dei The Cuff Links. Sitrattava di un’altra band virtuale, ilcui cantante era ancora Ron Danteche si trovò così leader di due bandda top ten pur essendo un perfettosconosciuto. Niente di nuovo per luiche già nel 1965 aveva avuto unsuccesso sotto falso nome con ibizzarri Detergents («i detersivi») ungruppo parodia che aveva pubblicatola hit Leader of the Laundromat («Ilcapo della lavanderia a gettoni»,rilettura ironica di Leader of the Packdelle Shangri-Las). In una recenteintervista ha elencato il numero digruppi, veri o finti, a cui avevaprestato la voce: «The Pearly Gate,The Eight Day, The Two DollarQuestion, The Webspinners, Ronnieand The Dirt Riders. Ho inciso undisco con il nome C. G. Rose. E questisono solo quelli che ricordo». Dante,nomen omen, per un inspiegabilegioco del destino, divenne poil’editore della prestigiosa rivistaletteraria americana Paris Review chepubblicò negli Stati Uniti anche

alcuni inediti di Italo Calvino. Ilcavaliere inesistente del pop.

DRIFTERSIniziarono la carriera agli alboridell’era pop e sfornarono hit aripetizione per vent’anni, ma furonouna delle band più taroccate dellastoria. Gli originali Drifters, guidati daClyde McPhatter, dopo una sfilza disuccessi doo-woop e R&B decisero disciogliersi alla fine degli anni ’50 difronte alla prepotente invasione delleband di rock’n’roll che facevaapparire il loro stile vocale un po’datato, ma anche per le continue liticon il loro manager George Treadwell(trombettista jazz e marito di SarahVaughan), che sottopagava i suoiartisti.

All’atto dello scioglimento delgruppo, però, Treadwell aveva giàfissato alcune date al celeberrimoApollo Theater di Harlem. Nonvolendo rinunciare alla prestigiosaribalta, decise di scritturare ungruppo chiamato Five Crowns, il cuileader era uno sconosciuto chiamatoBenjamin Nelson, e di spacciarli per iDrifters confidando che gli spettatorinon conoscessero bene i volti degliartisti. Il manager si trovava anche inmano un contratto con l’etichettaAtlantic e decise di continuare iltrucco. I nuovi Drifters andarono intour per un anno guidati daBenjamin Nelson. In alcuni casi perògli spettatori non si dimostraronocosì ingenui e riconobbero che la

Le granditruffe del rock

Invenzioni popche hanno fattoepoca raggirandofan e istituzioni.Tra produttori,manager e autoripronti a tuttopur di sbancarele classifiche

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band sul palco non aveva nulla a chefare con quella che conoscevano.Piovvero fischi, ma l’ingannocontinuò. I Five Crowns divennero atutti gli effetti i Drifters e incisero ilsingolo There Goes My Baby chedivenne il più grande successo dellaformazione. Il brano, ormai unclassico, fu la prima hit da classificaad avere un arrangiamentoorchestrale con i violini e consacrò iDrifters con la nuova line-up. Ma iproblemi non finirono qui. Verso lafine del 1960 il leader BenjaminNelson litigò con Treadwell perquestioni di soldi e lasciò il gruppo.Da allora i Drifters hanno avuto unacarriera infinita ma con formazionisempre rinnovate. Lo stesso marchioè stato al centro di lunghe disputelegali proseguite fino ad anni recentitra gli eredi di Treadwell (morto nel1967) e i numerosissimi ex membridella band.

Negli ultimi vent’anni sui palchi dimezzo mondo sono salite diverseincarnazioni dei Drifters coninterpreti che magari avevanopassato solo poche settimane nelgruppo. Ma che fine fece BenjaminNelson? Subito dopo aver sbattuto laporta decise di cambiare nome edarsi alla carriera solista. Il suo nomed’arte divenne Ben E. King e nel 1961pubblicò Stand by Me.

THE CRYSTALSOggi è un recluso con una condannadi omicidio, ma prima di rovinare lasua vita, Phil Spector è stato uno deigeni indiscussi e indiscutibili dellamusica pop. Non solo aveva il gustodelle melodie, sapeva anche comevenderle. Anche ricorrendoall’inganno. Nei primi anni ’60 ilproduttore ascoltò un demo dellacanzone di Gene Pitney He’s a Rebelin una casa discografica di New York.Il brano era già stato prenotato dalproduttore Snuff Garrett.Riconoscendone però il valore,Spector decise di ottenerne in segretouna copia dall’autore e portò il demoin California per inciderlo per la suaetichetta, la Philles. Avendo sottocontratto il gruppo femminile delleCrystals, ormai già conosciute, deciseche il disco doveva uscire a loronome. La formazione però era in toure poiché l’operazione doveva essere

svolta in tempi rapidissimi, Spectornon si fece problemi. Reclutò ungruppo emergente sconosciuto, leBlossoms, e fece incidere loro lacanzone che fu stampata sui 45 giri anome delle Crystals che rimaseroall’oscuro di tutto fino a che il branonon divenne una hit.

Spector usò le royalties del discoper comparare le quote azionarie dalsuo socio alla Philles Records, LesterSill, con l’accordo che Sill avrebbepercepito anche i diritti sui prossimidue singoli delle ormai popolarissimeCrystals.

Il mefistofelico produttore poidecise di ripetere ancora il truccodelle Blossoms per incidere un’altrahit a nome Crystals He's Sure the BoyI Love. In seguito, per assolvereall’obbligazione contrattuale, feceregistrare alle Crystals (questa voltaquelle autentiche) una altro singolo(Let's Do) The Screw, una canzoncinain cui il ritornello consisteva nellavoce dell’avvocato di Spector cheripeteva Do the Screw. Spectorstampò solo una copia che distribuìal suo socio. La canzone non generòovviamente alcun profitto, ma gliobblighi contrattuali di Spector eranocompletamente assolti e divennel’unico padrone della Philles Records.«Screw» in inglese significa «vite, main gergo vuol dire anche fottere (intutti i sensi) qualcuno.

Una vera e propria «stangata»degna del film di George Roy Hill.

SPINAL TAPDi tutti i falsari dell’epopea pop rockloro sono forse i più onesti. Gli SpinalTap nacquero nel 1979 come sketchcomico all’interno di uno showtelevisivo della Abc, su un’idea delregista e attore Rob Reiner. Erano lapresa in giro di tutti i luoghi comuni

delle band hard rock e heavy metal.Lo show fu un fiasco e vennerapidamente cancellato, ma Reiner ciriprovò nel 1984, quando vennedistribuito il documentario (anzi«rockumentario») comico This IsSpinal Tap. Nel film Reinerraccontava vita ed eccessi di questaimmaginaria band inglese i cuimembri principali (David St.Hubbins, Nigel Tufnel, Derek Smalls)erano gli attori Michael McKean,Christopher Guest e Harry Shearer. Ilsuccesso del film e lo stiledocumentaristico diederoconsistenza reale alla barzelletta. Se iBlues Brothers erano attori-musicisticon pseudonimi, gli Spinal Taprecitarono il ruolo come una vera epropria band, senza ovviamenterinunciare al loro intento parodisticoe ironico. Da allora sono diventatiun’insolita icona nel mondo dell’harde dell’heavy e McKean, Guest eShearer, compatibilmente con i loroimpegni di attori (sono tutti e trecaratteristi molto affermati) hannovestito più e più volte i panni dellestar del metal partecipando a festival,comparendo in diversi progetti

musicali e incidendo altri due album.E risultando assai meno ridicoli ditante «autentiche» band di metallari.Nel 2009 hanno annunciato un tour«mondiale» di una sola data tenendoun unico concerto alla WembleyArena. Ad aprire l’esibizione c’era iltrio esordiente dei Folksmen, unafolk band fittizia animata dagli stessitre attori.

MILLI VANILLIRob Pilatus e Fab Morvan siconobbero a Monaco di Baviera allafine degli anni ’80. Afro-americanicapitati per caso nella città tedesca,iniziarono a esibirsi nei locali comeballerini e cantanti utilizzando ancheil nome d’arte di Rob & Fab. Il loropercorso artistico si incrociò con ilproduttore tedesco senza scrupoliFrank Farian che decise di scritturarli.Farian sapeva bene qual era la ricettadei successi pop: l’immagine eratutto, la musica un accessorio. Erastato la mente del progetto Boney M.un gruppo che aveva dominato lascena disco dance negli anni ’70 eche era formato da ballerini figuranti,visto che le parti vocali erano spessodi cantanti invisibili tra cui lo stessoFarian. Il produttore decise diripetere il trucco con le sue duenuove reclute. Scelto il nome di MilliVanilli, Pilatus e Morvan divennerosemplicemente la confezione di unavera e propria truffa musicale. I vericantanti si chiamavano Charles Shawe Brad Howell che però Fariangiudicava non adatti a comparirenell’epoca in cui la videomusica siera ormai imposta e l’aspetto eradecisivo. Cavalcando l’ondata delgrande successo del genere che univarap, r&b e pop ballabile, i Milli Vanilliebbero un successo mondiale e al dilà delle attese. La loro immagineconquistò Mtv, il loro singolo GirlYou Know It's True divenne ilsuccesso dell’anno. Pilatus e Morvanvinsero il Grammy Award nel 1990come migliori nuovi artisti. Con unalbum da sei milioni di copie vendutenegli Stati Uniti e singoli al verticedelle classifiche di tutto il mondo,invidie e frustrazioni emersero.

L’autentico cantante Charles Shawminacciò di confessare la truffa e fuzittito con un assegno. Ma quandoPilatus e Morvan pretesero di cantaresul nuovo disco, Farian decise dismascherare il suo bluff, confessandoalla stampa tutti i particolari. La casadiscografica Arista, dichiarandosiignara dell’inganno, licenziò ilgruppo e cancellò il disco dal propriocatalogo. Farian cercò di protrarre lacarriera della band con i veri cantantie con il marchio «Real Milli Vanilli»ma fu un fallimento, così comedisastroso fu l’album uscito a nomeRob & Fab con cui i due figuranticercarono una loro carriera musicale.Intanto alcuni tribunali Usasentenziarono che gli acquirentidell’album del duo avevano diritto aun risarcimento di 2 dollari e mezzoper ogni copia. Nel 1998 Pilatus,Morvan e Farian, riconciliati dopoanni di accuse e litigi, ci riprovaronoincidendo un album intitolato Backand in Attack. Ma alla vigilia dellapubblicazione Rob Pilatus morìimprovvisamente, vittima degli abusie dei farmaci che aveva iniziato adassumere quando era scoppiato loscandalo. L’album non uscì mai.

ANDREW WKNel 2001 la scena musicale venne

scossa dalla presenza decisamentescalmanata di un ragazzettoamericano chiamato Andrew WK(all’anagrafe Andrew Wilkes-Krie). Ilsuo disco d’esordio I Get Wet eraun’esplosiva mistura di inni dastadio, hard rock radiofonico, pop adalto volume. C’è chi definì la suamusica un capolavoro di Abba-metal,facendo riferimento alle contagiosemelodie della band svedese. AndrewWK sulla copertina dell’album sipresentava con una vistosa macchiadi sangue che sembrava sgorgare dalnaso, sul palco si dimenava come unincrocio tra Angus Young e Iggy Pop:un headbanger esagitato,autolesionista e senza freni. Dichiaròche il sangue sulla copertina se l’eraprocurato colpendosi violentementein faccia con un mattone. C’è chirimase vivamente impressionatodalla personalità di questo nuovorocker nato in California e cresciuto aAnn Harbour in Michigan (guardacaso la città di nascita di Iggy Pop).La rivista Nme parlò del suo albumcome di «un’esperienzastraordinaria», lo mise in copertinaper due volte in poche settimanedefinendolo il salvatore e il nuovomessia del rock. L’album generò unsingolo di successo Party Hard maraccolse assi meno trionfi delprevisto, diventando più un disco diculto che un bestseller e bazzicandoin posizioni di rincalzo delleclassifiche Usa e britanniche. AndrewWK ci riprovò poi nel 2003 conl’album The Wolf, mancando però laconsacrazione che cercava. Nel 2005ha così deciso di affiancare allazoppicante carriera musicale quelladi «motivational speaker», unmaestro-motivatore che illustra adirigenti d’azienda e aspiranti uominidi successo i segreti per riuscire nellavita. Durante uno di questi incontri lostesso Andrew ha candidamenterivelato (come testimonia un videoancora reperibile su YouTube) che ilsuo personaggio era frutto di unostudio a tavolino creato da un gruppodi musicisti e produttori. Le incisionierano autentiche ma quel rockerscatenato era solo il protagonista diuna sceneggiatura basata su diversistereotipi del rock.

È successivamente emerso che unodei suoi produttori dal nome SteevMike era uno pseudonimo di fantasiache celava un musicista piuttostoaffermato (c’è chi sostienecorrisponda all’ex Nirvana DaveGrohl). Andrew WK ha poi in parteritrattato ma di fatto è diventatosempre meno rocker e sempre piùpersonaggio televisivo e di spettacolo,presentando anche un suo realityshow. Peraltro anche il sangue sullacopertina era falso. Era stato raccoltoin una macelleria.

JOEY RAMONE, GLI OGGETTI PERSONALI ALL’ASTAdi FRANCESCO ADINOLFI

Ottantuno oggetti, tutti di gran culto, tutti appartenuti a Joey Ramone, il cantante dei Ramones,scomparso nel 2001. Vanno all'asta fino al prossimo 21 febbraio (si è aperta ieri) e partono da offertecontenute: $200 per i caratteristici occhiali graduati e $300 per il passaporto (foto)! Il sito online cheorganizza l'asta (previa registrazione) è all'indirizzohttp://www.rrauction.com/preview_gallery.cfm?Category=123. Tra gli oggetti spiccano giubbotti di pellenera, chitarre, una collezione di vinili (97 titoli con dentro Led Zeppelin, Who, T. Rex, Cream, BobDylan, Human League, Iggy Pop, Doors, Temptations, Ventures ecc.), magliette (New York Dolls, MC5,

Misfits, Beavis and Butt-head ecc.), jeans, guanti di pelle borchiati, bracciali, poster, testi di canzoni ecc.Ogni articolo è meticolosamente descritto, spesso con foto dell’artista accanto all'oggetto in questione.Si apprende così che il numero di passaporto era lo 061041624 e che era stato emesso il 9 settembre1986. La firma è di Jeff Hyman, vero nome di Joey. Solo la foto vale, con lui a 35 anni, una nuvola dicapelli, il volto lattiscente. Quarantaquattro pagine colme di marche da bollo, timbri e visti da tutto ilmondo. Le marche vanno dalla fine degli anni Ottanta al 1996. Il passaporto - come il resto degli oggetti- proviene dalla Joey Ramone Estate che fornisce anche un certificato di autenticità. Leggere lecaratteristiche dei singoli oggetti è come immergersi nella storia e nella vita del cantante e della band. Sicapiscono gusti musicali, vezzi estetici, pratiche di scrittura: il pezzo Elevator Operator appuntato su uncartoncino dell'Alka-Seltzer, Suey Chop (dal film cult dell'83 Get Crazy) su una busta da lettera ecc.Insomma un'asta che serve anche a ricostruire un pezzo di rock.

A sinistra i Monkees e gli Archies, sotto PhilSpector con i soldi in bocca. Qui accantoi Milli Vanilli, in grande i Drifters,le Crystals, Spinal Tap e Andrew WK

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PAGINE ■ UN INTRECCIO DI AMORE E POVERTÀ SCRITTO NEL 1947

Woody Guthrie,l’insolito casodel libro ritrovato

di GORDON POOLE

Woody Guthrie è uno spettro ches’aggira per l’America, e in particolareper la cittadina di Okemah,Oklahoma, dove nacque il 14 lugliodel 1913. Per l’Fbi Guthrie era«comunista», ma in realtà il direttoredell’agenzia, J. Edgar Hoover, dava aquesto termine un’accezionepiuttosto ampia, seguito in questo dalsenatore Joseph McCarthy.

Un sito internet, Famous Peoplefrom Oklahoma, elenca ventiduenomi famosi. L’unico nato a Okemahè Woody Guthrie, a cui si concedonosolo tre righe in cui si ammette adenti stretti che fu un folksinger,chitarrista e compositore chepubblicò oltre mille canzoni di «socialcommentary». Nulla se paragonatoalle dieci righe dedicate a CarrieUnderwood sullo stesso sito, che «èdivenuta una delle più importantifigure nella musica di questo secolo».Okemah, cittadina conservatrice, haavuto difficoltà a riconoscere, per nondire onorare, Guthrie.

Però agli inizi degli anni SettantaEarl Walker, un industriale petrolifero,come lo era stato il padre di Woodyprima di finire in fallimento, riuscì afar dipingere su uno dei tre grandiserbatori d’acqua che si elevano soprail suolo piatto, ventoso e, sì, polverosodi Okemah le parole «Home of WoodyGuthrie», e anche a superare l’inizialerifiuto della biblioteca pubblica localea custodire una raccolta di dischi, librie memorabilia di questo figliodegenere. Molti cittadini si opposeroa qualsiasi riconoscimento perchéGuthrie aveva curato una rubrica,Woody Sez («sez» per «says», cioè«dice»), su un quotidiano della costaoccidentale, People’s’World, ripresapoi dal Daily Worker che usciva sullacosta est, entrambi organi del partitocomunista statunitense. Nelle paroledi un suo concittadino, Guthrie «erauna nullità. L’ho picchiato più volte».

Ma da allora qualcosa è cambiato,anche a Okemah, dove oggicampeggia un grosso murale dedicatoa Guthrie. Recentemente sono statiistituiti un nuovo museo e un archivioa Tulsa, sempre in Oklahoma, con ildichiarato intento di mettere da parteil «populismo» dell’artista econcentrarsi sulla sua musica. Questoper uno che aveva scritto sulla propriachitarra «This machine kills fascists»(questa macchina uccide i fascisti)!

Woody Guthrie cercava sempre discansare la domanda se egli fossecomunista o no. Una volta rispose: «Idon’t know, but I’m always in thered», cioè: «non lo so, ma i miei contisono sempre in rosso», alludendoanche alle sue frequentazionicomuniste, e al suo sostegno ailavoratori negli scontri con i padroni,e ai sindacati. Solo una volta, duranteil maccartismo, quando molti excomunisti cercavano di evitare laquestione o di evitare le conseguenzedelle proprie trascorse militanze,Guthrie sostenne, probabilmentefalsamente, di essere stato iscritto alpartito dal 1936. Scrisse una lettera

aperta al procuratore generale degliStati Uniti per confermare le proprieconvinzioni socialiste. Nella stessalettera ammise, forse mentendo, dinon essere mai stato un «bravostalinista». La destra ha delle difficoltàrispetto a Guthrie. Nato nel cuore delcontinente nordamericano, figlio diun imprenditore borghese,giramondo con una chitarra sullespalle, simpatico, creativo, semplice eschietto nel linguaggio, affascinante,un po’ donnaiolo, esemplarmentenonideologico, sincero, appare comeuna versione di sinistra di personaggicinematografici come James Stewarto Gary Cooper. Insomma un «allamerican boy».

A Guthrie veniva naturale usare lapropria dizione, intonazione e

grammatica middle west e westTexas, come il veicolo più adatto per ipropri messaggi musicalmentetrasmessi. Presso la Library ofCongress sono conservate leregistrazioni delle sue interviste conAlan Lomax, durante le quali Guthriecommenta e canta molte delle suecanzoni più note. Ascoltare quei dueparlare col dialetto del midwest ètalmente contagioso che anche a unbostoniano, per non parlare di uncolto ebreo di Chicago come BobDylan, viene la tentazione di imitarli.

Però Guthrie non era soltanto ilcantante girovago: egli aveva anche lacapacità di scrivere libri - comeBound for Glory (Questa terra è la miaterra) e Seeds of Man - e sketchradiofonici, raccolti in Woody Sez conuna prefazione dello storico dellavoro Studs Terkel (Grosset &Dunlap, N.Y., 1975).

E ora arriviamo a una sorprendenteed emozionante scoperta. Neanche lafiglia Nora sapeva che Guthrie nel1947 stava scrivendo un romanzo,House of Earth (Casa di terra), il cuimanoscritto rimase abbandonatonello sgabuzzino di un appartamentoa Coney Island, New York. Non ve n’èmenzione nelle due biografie suGuthrie, di Ed Cray e Joe Klein.L’unica traccia che ne era rimasta èun ricordo trasmesso da Alan Lomax,al quale Woody aveva fatto leggere ilprimo capitolo. Lomax l’aveva trovatodi straordinario interesse, un testoinsieme letterario e colloquiale cheera la voce di Guthrie al cento percento, e lo aveva incoraggiato a

continuare. Infatti, Guthrie finì ilromanzo. Ma nel 1947, in un clima disempre più forte anticomunismo, erainimmaginabile far pubblicare unlibro simile. Venendo a tempi piùrecenti, un giovane professore dellaRice University, Douglas Brinkley,avuto sentore del romanzo, lo ritrovò.Verrà pubblicato quest’anno,probabilmente in corrispondenza delcentesimo anniversario della nascitadi Guthrie.

Serendipity è, in inglese,l’intervento imprevedibilmentepositivo del «caso» negli affari umani.Quello che mosse Buster Keaton,verso la fine della sua vita, a rivelare lapresenza nel garage sotto casa dirullini e rullini di suoi vecchi film, leultime copie rimaste di un patrimoniodi inestimabile valore culturale, cheegli stava per mandare al macero. Nelnostro caso, l’agente del «caso» è undetective culturale, il professoreuniversitario Douglas Brinkley, chestava intervistando Bob Dylan sututt’altro argomento. Senonché il

discorso portava inevitabilmente aGuthrie. Guthrie portava a Lomax.

Lomax, fu un musicologo eraccoglitore di canti folkloristici chemeriterebbe una statua, una piazza,perlomeno una viuzza a lui intestatain tante città italiane, per aver girato ilpaese, insieme a Diego Carpitella,allievo di Ernesto De Martino,registrando un gran numero di cantipopolari nostrani, raccolti dalle labbradei popolani e delle popolane che licantavano, registrazioni ora presso laLibrary of Congress statunitense. Lastessa attività musicologica che avevagià svolto negli Stati Uniti con suopadre, prima di espatriare per sfuggireal maccartismo.

L’accenno di Lomax a un ignotoromanzo di Guthrie spinse Brinkleyalla ricerca del testo, e lo condussealla fine a un dattiloscritto cheGuthrie aveva inviato a un cineasta,Irving Lerner, sperando che questil’avrebbe usato come soggetto per unfilm. Lerner poteva forse sembrare aGuthrie una buona scelta: era statomembro della Workers Film andPhoto League (Lega dei lavoratori delcinema e della fotografia) nei primianni Trenta. Però, nel periodo in cuiGuthrie gli sottopose House of Earth,era sotto accusa per spionaggio afavore dell’Unione sovietica. Le stesseragioni che rendevano improbabile lapubblicazione del romanzonell’epoca della guerra fredda - ilcomunismo di Guthrie,l’ambientazione nella depressionedegli anni Trenta, scene di esplicitadescrizione sessuale - avrannosconsigliato a Lerner, nella suaposizione divenuta precaria, diprenderlo in considerazione per unfilm - in una Hollywood messa increscente difficoltà ideologicamenteda McCarthy, culturalmente dalmoralismo bacchettone del comitato

Breen e economicamente dallaconcorrenza della televisione.

Il dattiloscritto del romanzo,rimasto fra i documenti di Lerner,morto nel 1976, è ora archiviato aTulsa, Oklahoma, nella McFarlinLibrary, dove Brinkley finì pertrovarlo. Brinkley lo ha così propostoa Johnny Depp, con il quale aveva giàcollaborato artisticamente, e l’attorecinematografico, nonché editore,bravo chitarrista e appassionato diGuthrie, ne ha condiviso a pienol’entusiasmo. Scontata la decisione dipubblicare il libro.

Il romanzo, a dire di coloro chel’hanno letto, è inconfondibilmente lavoce di Guthrie, quella dei suoi sketchradiofonici e delle sue canzoni.Brinkley e Depp hanno fatto leggereuna copia pre-pubblicazione a BobDylan, il quale ha commentato: «Itblew my mind!» (Mi ha messo ilcervello in cortocircuito).

House of Earth racconta di unacoppia, Tike Hamlin e sua moglie EllaMay, agricoltori poveri nel Texas deglianni Venti, alle prese con una diquelle tempeste di polvere che spessofigurano nei canti di Guthrie comenella storia di quelle zone. A Tike,come realmente a Guthrie, viene inmente di costruire dimore comequelle degli indiani pueblo nel NewMexico, cioè di adobe, un misto difango e paglia, tali da resistere alleinfiltrazioni della polvere, invece dellecapanne di legno multistrato cheallora erano tipiche degli agricoltori diquel luogo. L’idea è magari buona insé, ma il suolo dove vive la coppia è diproprietà delle banche, che sono incombutta con le aziende del legname,con conseguenze prevedibili. Brinkleydice che Guthrie «voleva edificare unacomunità di case adobe, ma questoavrebbe significato un dannoeconomico per le aziende dellegname. Woody sosteneva che agliagricoltori affittuari dovesse essereconsentito di costruire le proprie casein adobe. Quindi il libro costituisceun commentario critico sul ruolodelle grandi banche e dell’agro-business durante la Depressione».

Guthrie si sarà reso conto che unromanzo sulla «conca di polvere»,sugli anni della depressione,sull’espropriazione delle terre degliagricoltori sarebbe stato difficilmentepubblicabile. I critici letteraridell’epoca della Guerra fredda nonmostravano interesse per la narrativadel New Deal rooseveltiano e l’esododei lavoratori verso la California. Lacelebrazione della fertilità che siesprimeva in una torrida scena diamplesso sulla paglia avrebbeincontrato i divieti della censura.Sembra che, dopo Lerner, Guthrienon abbia mai più mostrato ilromanzo a nessuno. Fra l’altro,cominciava ad avvertire i sintomidella malattia degenerativa che, dopolunghe sofferenze, l’avrebbe ucciso.

Quanto al romanzo adesso sembraarrivato il momento di pubblicarlo.Nelle parole degli editori Brinkley eDepp, «il romanzo è una meditazionesu come due persone povere cercanol’amore, cercano di dare unsignificato alla vita in un mondocorrotto, in cui i ricchi hanno perdutola bussola morale. Sebbeneraccontato sullo sfondo dei campiagricoli del Texas sfruttati finoall’esaurimento, il romanzo potrebbeessere ambientato facilmente in unaccampamento di rifugiati nel Sudano in una baraccopoli di Haiti».

O forse non è necessarioallontanarsi tanto dagli Usa. QuandoBrinkley, in un articolo sul New YorkTimes (luglio 2012) annunciò laprogettata pubblicazione di House ofEarth, egli scrisse tra l’altro che «ilTexas oggi si trova nel mezzo di unaprolungata siccità; il riscaldamentodel globo terrestre è un fattoscientifico; incendi, tempeste di nevee tornado sempre più spessodevastano il paesaggio americano.L’incontestabile convenienza delleabitazioni in adobe è evidente ora piùche mai prima. È quasi come seGuthrie avesse scritto House of Earthprofeticamente pensando all’estatedel 2012».

RITMISta per uscirenegli Usa «Houseof Earth»,romanzo ineditodell’artistaambientatonel Texasdella «GrandeDepressione»

Nella foto grande Woody Guthrie.In alto a destra il serbatoio di acqua di

Okemah con la scritta «Home of WoodyGuthrie»; sotto il titolo il manifesto di unfestival dedicato all’artista e in basso unmurales in onore di Guthrie ad Okemah

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(13)ALIAS16 FEBBRAIO 2013

Sigur RósIl ritorno della band islandese, una dellepiù interessanti realtà della musicaalternativa.Jesolo (Ve) LUNEDI' 18 FEBBRAIO (PALAARREX)Assago (Mi) MARTEDI' 19 FEBBRAIO(MEDIOLANUM FORUM)

Two Door CinemaClubTorna in Italia la band indie popnordirlandese.Milano VENERDI' 22 FEBBRAIO (MAGAZZINIGENERALI)Ciampino (Rm) SABATO 23 FEBBRAIO(ORION)

TamarynLa band dream pop statunitense.Roma SABATO 16 FEBBRAIO (CIRCOLODEGLI ARTISTI)Milano DOMENICA 17 FEBBRAIO (TNT)

DarkstarArriva l'elettronica del trio inglese.Roma SABATO 16 FEBBRAIO (LANIFICIO 159)

BradIn Italia la rock band di Seattle,side-project di Stone Gossard dei PearlJam e Shawn Smith dei Satchel.Milano SABATO 23 FEBBRAIO (MAGAZZINIGENERALI)

Crystal CastlesDal Canada i paladini dell’elettropop

sperimentale.Bologna SABATO 23 FEBBRAIO (ESTRAGON)

MetzLa band canadese, all'esordio, si rifà alpost punk di Pixies, Pil ecc.Segrate (Mi) MERCOLEDI' 20 FEBBRAIO(MAGNOLIA)Roma GIOVEDI' 21 FEBBRAIO (TRAFFIC)Bologna VENERDI' 22 FEBBRAIO(FREAKOUT)

Simone WhiteLa cantautrice pop folk incide per laHonest Jon's di Damon Albarn.Mantova SABATO 16 FEBBRAIO (FUZZY)Marostica (Vi) DOMENICA 17 FEBBRAIO(PANIC)Bologna LUNEDI' 18 FEBBRAIO (CHET'S)

U.K. SubsIl loro primo album risale al 1979.Esperienza da vendere per la punk bandlondinese. Con loro Tv Smith.Milano SABATO 16 FEBBRAIO (ZAM)Bologna DOMENICA 17 FEBBRAIO(FREAKOUT)

Peter DohertyL'ex leader di Libertines e Babyshamblesin versione solista.Brescia VENERDI' 22 FEBBRAIO (LATTE+)Monte San Savino (Ar) SABATO23 FEBBRAIO (LE MIRAGE)

Lucy RoseUnica data italiana per la cantautrice

inglese.Segrate (Mi) GIOVEDI' 21 FEBBRAIO(MAGNOLIA)

Julia KentIn Italia la violoncellista di Antony andThe Johnsons.Soragna (Pr) DOMENICA 17 FEBBRAIO(NUOVO TEATRO)

The RaveonettesSbarca in Italia la indie band danese.Roma DOMENICA 17 FEBBRAIO (CIRCOLODEGLI ARTISTI)Milano LUNEDI' 18 FEBBRAIO (TUNNEL)Rimini MARTEDI' 19 FEBBRAIO (VELVET)

MonoL’art rock sperimentale della bandgiapponese.Roma SABATO 16 FEBBRAIO (TRAFFIC)Mezzago (Mb) DOMENICA 17 FEBBRAIO(BLOOM)

YellowcardUna data per la band punk pop diJacksonville, Florida.Ciampino (Rm) GIOVEDI' 21 FEBBRAIO(ORION)

Gallon DrunkL’antitesi del brit pop è racchiusa nelsound di questa band dell’undergroundlondinese, superstite degli anni Novanta.Genova MARTEDI' 20 FEBBRAIO (TEATROLA CLAQUE)Madonna dell'ALbero (Ra)

VENERDI' 22 FEBBRAIO (BRONSON)Cavriago (Re) SABATO 23 FEBBRAIO(CALAMITA)

KorpiklaaniFolk metal in salsa finlandese.Gualtieri (Re) SABATO 16 FEBBRAIO(TEMPO ROCK)Settimo Torinese (To) DOMENICA17 FEBBRAIO (SUONERIA)Ciampino (Rm) LUNEDI' 18 FEBBRAIO(ORION)Roncade (Tv) MARTEDI' 19 FEBBRAIO(NEW AGE)

Glen Hansard + LisaHanniganNella stessa serata il leader dei Framese degli Swell Season e la raffinatacantautrice irlandese.Milano MERCOLEDI' 20 FEBBRAIO(LIMELIGHT)Roma GIOVEDI' 21 FEBBRAIO (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)Firenze VENERDI' 22 FEBBRAIO (VIPER)

Kendrick LamarL'hip hop dell'artista californiano per laprima volta in Italia. Unica data.Milano MARTEDI' 19 FEBBRAIO (MAGAZZINIGENERALI)

Paolo BenvegnùIl cantautore, ex Scisma e leader dellaband che prende il suo nome.Vigonovo (Ve) SABATO 16 FEBBRAIO(STUDIO 2)

Offlaga Disco PaxProsegue il Gioco di società del trioreggiano.Torino SABATO 23 FEBBRAIO (HIROSHIMAMON AMOUR)

Linea 77Il crossover della band piemontese dinuovo in tour.Perugia SABATO 16 FEBBRAIO (URBAN)San Vittore di Cesena (Fc)SABATO 23 FEBBRAIO (VIDIA)

Xabier IriondoIl chitarrista e sperimentatore, già congli Afterhours, presenta il suo primoalbum solista, Irrintzi.Prato SABATO 16 FEBBRAIO (CAPANNOBLACK OUT)

Tre Allegri RagazziMortiIl trio indie rock friulano in tour.Roncade (Tv) SABATO 16 FEBBRAIO(NEW AGE)Cagliari SABATO 23 FEBBRAIO (FBI)

Go Dai FestCinque serate, cinque mesi, cinquedirettori artistici sull'idea dei cinqueelementi, terra, acqua, fuoco, aria evuoto. Il terzo appuntamento è affidatoalla regia di Roberta Sammarelli, bassistadei Verdena, e ospita Verbal, Spread,Edible Woman e il dj set di Demons atPlay.Roma VENERDI' 22 FEBBRAIO (ANGELO MAI)

ROCK

Cuneiform,etichetta cosmica

FRASCATIDOC

A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

ULTRASUONATI DALUCIANO DEL SETTEGIANLUCA DIANAGUIDO FESTINESESIMONA FRASCAMARIO GAMBAROBERTO PECIOLA

ARBOURETUMCOMING OUT OF THE FOG (Thrill Jockey)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Nuovamente in pista gliArbouretum. La formazione capitanata daDave Heumann rinchiude in otto tracceun piccolo gioiello. La loro visionepsichedelica, ammantata da un retrogustoSeventies, non risulta mai posticcia néderivativa. L’apertura The Long Night apre icuori rock di tanti, e ha ancor più valorese accostata al sapore stoner di ThePromise e World Split Open. Saper tirare ilfreno in un disco del genere, non è cosada poco. E loro non sbagliano: latitle-track finale è languidamente poggiatasu visioni americana sound, compliceanche una pedal steel ebbra di DeepSouth. Complimenti. (g.di.)

NICK CAVE & THE BAD SEEDSPUSH THE SKY AWAY (Kobalt)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ «All’albero non interessa che cosacantano gli uccellini» attacca We No WhoU R, uno dei pezzi migliori di questa nuovasortita con i Bad Seeds. Cave restal’emblema del cantore delle tragediepersonali alla ricerca di redenzione. Sa farsfilare la sua natura poetica «nera», densae ossessiva con una caricapsicodrammatica lucida ed elegante comeun corvo parlante investito di tutta lasaggezza della follia. Questo discoracconta il tragico e il morboso, ilcrepuscolare e il commovente, la tracciadi sempre di uno spirito maudit chespinge ogni cosa verso l’ineluttabile. (s.fr.)

ALESSANDRO FILIPPIGQUARTETPHIL'S FEELINGS (Artesuono)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ C'è anche il pianoforte del grandeClaudio Cojaniz a nobilitare il disco delbatterista e compositore Filippig, dedicatoal tema della libertà in ogni forma. Elibertà di usare ogni forma ce n'è in tutti ibrani, in questo disco palpitante: con il saxcoltraniano di Clarissa Durizzotto, ilbasso pulsante di Franco Feruglio. Setrovate echi di Rota, del Dixieland, di DonPullen, di Haden e di Ayler tutti assiemenon meravigliatevi: fa tutto parte di ununico racconto. (g.fe.)

LOCAL NATIVESHUMMINGBIRD (Pias/Self)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ L’esordio, Gorilla Manor, risale al2009 e ne avevamo parlato benino. E diquesto facciamo ammenda, perché dopopiù ascolti quel disco si rivelò a noi benpiù interessante di quanto ci erasembrato. Oggi i Local Natives tornanodopo un lungo periodo passato on theroad che ha lasciato qualche strascico ditroppo. In Hummingbird ci sono questi treanni, e con loro un approccio più maturo.Un lavoro più introspettivo e malinconico,a metà tra easy e indie pop, più british cheUsa, ma molto ben fatto. Bello! (r.pe.)

Si potrebbe iniziare con una citazione daGiovanna Marini, che, a richiesta di unsuo commento sul fenomeno dellacosiddetta «world music» rispose conunderstatement che poco ne sapeva,avendo lei impiegato decenni solo adecifrare Frascati e gli altri contornisonori del territorio attorno a Roma.Affermazione con gran messe di verità,ovviamente: perché il grandangologlobale sulle musiche di tradizione oralee il microscopio locale bisognamaneggiarli (e, all'occorrenza, saperliintegrare) con eguale perizia. Suquest'ultimo tema, il locale che si rivelascorcio umano, sociale, culturale diincredibile ricchezza, nella tessiturapolifonica di voci da salvare prima chesia troppo tardi, e, ancora una volta, amarcare la stretta interdipendenza traculture urbane e culture contadine halavorato una vita Alessandro Portelli,firma ben nota ai lettori del Manifesto. Ilpresidente del Circolo Gianni Bosio edocente de La Sapienza ha la curatela diun magnifico cofanetto che riunisce unlibro corposo e un doppio cd, Mira larondondella/Musica, storie e storiadei castelli romani (Squilibri edizioni,seconda edizione per la serie cherecupera il glorioso marchio «I GiorniCantati»). All'opera per il testo UgoMancini, Lidia Liccioni, Omerita Ranalli,per rimettere assieme i pezzi dispersi diuna ricerca quarantennale che hainteressato i Castelli romani. Gramsci eGaribaldi, la Resistenza el'anticlericalismo popolare, il povero«tempo libero» delle gite ai Castelli e unfilo teso che arriva fino all'oggi deimigranti e delle lotte per l'ambiente, conapparato iconografico curato dallostesso Portelli. Parodie, canzoni,saltarelli, stornelli, canti ritualidefiniscono nei cd un panorama sonorovariegato che rischiava, almeno in parte,il consueto oblio.

¶¶¶UN ALTRO OBLIO scongiuratocon le pagine, le tracce sonore e lefonti video che riempionorispettivamente il testo, il cd e il dvdche assieme formano i Patrimonisonori della Lombardia/ Lericerche dell'Archivio diEtnografia e Storia Sociale(Squilibri Edizioni), a cura di RenataMeazza e Nicola Scaldaferri. Nel testo ilpunto su trent'anni di ricerche per unadelle più significative realtà divalorizzazione del cosiddetto«patrimonio immateriale», nel cd lariproposta di un raro disco in vinile chefu curato da Roberto Leydi nel 1972,completamente inediti i materialiproposti nel dvd, distinti in Spettacoloambulante, Carnevali, Rituali urbani,Feste religiose, Ritratti di grandiprotagonisti della cultura popolare.

Grande cosa, quando un disco ci lasciastupiti e convinti, anche se, a priori,sappiamo più o meno cosa attenderci.Alec K. Refearn da anni imprime unsuggello di qualità a ogni uscita. Stavoltaperò, con Sister Death (Sorella Morte, manel senso francescano), il bizzarrofisarmonicista e compositore art rockstatunitense approda in puro territoriodell'eccellenza. Brani che sembranoschegge lunari strappate al circo, o derivepsichedeliche, o ancora riflessioni sullaeversiva carica liberatrice dei principiiterativi in musica come li affrontavano igruppi kraut rock, una quarantina d'anni fa.Bello perdersi in queste noteinclassificabili, come è bello lasciarsiandare nel sontuoso paesaggio elettronicoanalogico e digitale disegnato da SteveMoore in Light Echoes. Chi ha amato idischi «cosmici» dei Tangerine Dream e ditutta la variopinta schiera dei CosmicJokers troverà qui nostalgici ma assai vitaliriferimenti, chi invece ama le acrobazieaggressive, tra prog rock, metal, grindcoree rumorismo assortito si ascolti Heads Fullof Poison degli Ahleuchatistas. Il tutto dacasa Cuneiform, quasi un garanzia diqualità. (Guido Festinese)

Tre giovani soliste italiane checonfermano maturità e talento, bravura epassione, a cominciare da FedericaColangelo, pianista, compositrice, leaderdel quintetto multietnicoAcquaphonica in Private Enemy(distribuzione propria inwww.acquaphonica.com) in Germaniaraduna musicisti statunitensi, lituani,bulgari, olandesi per un delicato sound unpo’ world jazz in stile Oregon. Menosanguigno e più cerebrale l’approccio aljazz di Cettina Donato che, inCrescendo (Jazzy/Egea), dirige la propriaorchestra, arrangiando e scrivendo sei deisette brani in scaletta, con il finalededicato a Duke Ellington (il suo punto diriferimento), in un turbinio di stimoli vicinianche al magma estetico di un Gil Evans.Per Silvia Manco in Casa Azul(Dodicilune) il caso è un po’ diversotrattandosi di cantante/pianista, ma anchecompositrice di metà dei brani (talvoltastrumentali, in trio o quartetto) cheomaggiano la musica latinoamericana,come del resto avviene pure quando sitrasforma in originale vocalist perstandard celeberrimi come Cielito lindo oBesame mucho. (Guido Michelone)

ON THE ROAD

SPERIMENTALE

«Homosapien»d’Australia

JAZZ

Silvia Manco,talento a colori

INDIE ITALIA

Una sigaretta«dopo la quiete»

CHARLES LLOYD/JASONMORANHAGAR’S SONG (Ecm/Ducale)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Sonorità e pronuncia di fascinoenorme, specie al sax tenore (all’alto eai flauti si perde una bella porzione).Una strategia di lirismo intriso dicarnalità blues e di magnifiche sensualiruvidezze nel fraseggio. Lloyd esalta ilsuo talento in questi 14 brani (5 fannoparte della Hagar Suite, non la cosamigliore della raccolta, anzi) infitto/rilassato dialogo col pianistaMoran. Che trova spunti sontuosi,

lascia da parte il tocco lieve e opta perquello incisivo e pieno, anche luiecheggiando la spiritualità e lasensualità della musica nera. Moltistandard famosi, da Mood Indigo aRosetta, trattati con acume, dedizionee inventiva. (m.ga.)

RICCARDO TESICAMERISTICO (Materiali Sonori)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ L’organetto diatonico diRiccardo Tesi va in giro per il mondoin nutrita compagnia. Tra gli altri, ilpiano di Daniele Biagini, l’oud di Elias

Nardi, la voce di Lusia Cottigli, ilclarinetto di Michele Marini, il caxixi elo shaker di Ettore Bonafè. L’ascoltodegli undici brani somiglia allanarrazione di altrettanti viaggi, fatta daun amico appena tornato: miscela dicitazioni, rimandi, episodi. Chiudi gliocchi, e subito sai di essere ilviandante a Istanbul, in Macedonia, aPraga la notte, ballerino di La valse dePierre. Cameristico è una narrazionedelicata, soppesata in ogni singolanota, leggera ma decisamente ricca diemozioni. (l.d.s.)

L'indipendenza e il desiderio di fare un beldisco. A volte si può. Tre esempi italici.Partiamo con Vera e il suo HeavyButterflies (Vera Records), in cui lacantautrice salentina dichiara amoretotale per quella forma canzone figlia digente come Zee Avi e Ingrid Michaelson.Acerba sì, ma ricca di talento. Tra i branila title-track è la migliore del lotto. DallaSardegna, via atto di devozione al film diReitman, con passione e maestria ThankU for Smoking, band che con Dopo laquiete (Tufs Records) rilasciano un lavoroin cui post rock, noise e aspetti folk dimarca scandinava si confondonoottimamente. Allegato anche uninteressante dvd. Scintillano Delitto e Ilponte di Einstein-Rosen. L'intero lavorocomunque merita. Finale con AriannaAntinori e il suo esordio omonimo perla Abnegat Records. Croce e delizia,avere una voce molto simile a Janis Joplin.Ci vuole una maturità notevole perscrivere una storia rock che non siaepigona di JJ. Lei ci riesce grazie alleradici blues e a una indubbia personalitàche propone in una veste 2.1. Bravalei e brava la band. Brillano Freedom eGone. (Gianluca Diana)

La sperimentazione in musica ha molte faccee qui vogliamo provare raccoglierne tre, trealbum, quasi in antitesi. A partiredall’ennesimo grande lavoro degli australianiPvt (già Pivot). Homosapien (Felte/Audioglobe) prosegue un percorso chemette insieme digitale e analogico,elettronica e rock. A unire tecnologia etradizione come riescono a fare i tre«aussie» sono davvero in pochissimi. Maforse sui Pvt siamo poco obiettivi.Decisamente più estreme si fanno le cosequando si parla del giapponese Merzbow,vero guru della sperimentazione. In Cuts(RareNoise) si accompagna alla batteria delpolacco Balasz Pandi e ai fiati dello svedeseMats Gustaffson, e il risultato è un muro disuono invalicabile. 71 minuti di noise-jazzsenza un minimo cedimento verso qualcosadi «fruibile» all’orecchio. Per appassionati.Chiudiamo con gli esperimenti fatti da dieciartisti (da Zulus a Black Dice, da PhilippePetit a Ema) dell’album del trio psych popitaliano Father Murphy Anyway YourChildren Will Deny It, in uscita per AagooRecords. Le Remix Series danno un tagliodecisamente sperimentale e «disturbato» aibrani della band nostrana, e il risultato non èniente male. (Roberto Peciola)

DI GUIDO FESTINESE

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INCONTRO CON L’ARTISTA SUDANESE MUTAZ ELEMAM

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di VINCENZO MATTEI

●●●«African Art: così amanoetichettarci gli artisti occidentali. Ècome dire: ’voi avete quello spazio là,diciamo un 10%, dove rimarretesempre, per noi invece l’arte è tutto, èil 100% in assoluto dello spazio,perché siamo l’espressione della veraarte’. È veritiero questo? Che cosadifferenzia un artista africano,asiatico… da uno europeo? È come seesistessero due livelli e concezionidell’arte e della pittura, è unapproccio sbagliato». Questa è unadelle risposte di Mutaz Elemam,pittore sudanese di spessore cheattraverso i suoi quadri estrapola ilSudan, l’Africa e qualcosa che va oltrei confini continentali per abbracciareun discorso più ampio, più umanoche non conosce barriere.

«Clima», «Black Touch», «Il fiume»,«Co2» … sono questi alcuni deiconcetti che Mutaz tratta, ma sonosolo dei cliché, degli stereotipi con iquali è costretto a etichettare la suapittura per evitare di essere tagliatofuori, per non uscire dal business.Parte da Kassala, un minuscolo paesesudanese al confine con l’Eritrea,vecchio possedimento italianodurante l’era del colonialismo. Là ilclima è mite, le arance nascono senzaadditivi e le montagne roccioseproteggono il villaggio dalleintemperie naturali e dagli attacchiculturali. È stata una sfida quella di ElImam diventare pittore, perché inSudan gli artisti vengono consideratipersone strane, fuori dal comune.«Negli anni ’50 e ’60 - dice MutazElemam - molti artisti andavano astudiare all’estero. Ritornavano inpatria con un atteggiamentodistaccato, parlavano un linguaggio(europeo) che nessuno comprendeva,lontano dal popolo e dalla realecondizione del paese. Parlavano con illinguaggio dell’arte occidentale,moderna, che non aveva alcuna base

e riferimento con il Sudan. Cosìfurono visti come degli ’stranieri’ inpatria. I miei genitori, all’inizio, eranocontenti della mia scelta di diventarepittore, poi dovettero confrontarsicon il disprezzo e la diffidenza deipropri amici, dei conoscenti edell’intero villaggio. Il loro appoggiovenne meno, fino a quando capironoche il mio modo di comunicare nonera distante dalla realtà che licircondava ogni giorno. Hannocompreso che io parlo del Sudan, eattraverso il Sudan affronto lacondizione dell’uomo edell’individuo». Erano pochi gli artistiche riuscivano ad andare a studiareall’estero, soprattutto quelliraccomandati e che compiacevano igoverni in carica. Costituivano lacerchia di artisti sudanesi menoquotati, che vincevano borse di studioattraverso la corruzione e la vicinanzaa qualche politico in carica. In questomodo si mostrava una facciaretrograda e priva di vigore dellaproduzione «africana», perché nonera l’espressione autentica dell’artedel Continente Nero.

Mutaz ha viaggiato moltonell’Africa orientale. Uno dei suoisogni era riuscire a dipingere il Nilodalla fonte allo sfociare nel mareMediterraneo. Attraverso le sue acquevoleva parlare dei paesi e delle cultureche questo fiume millenarioattraversa. Poi si è imbattuto nellareale condizione che caratterizzaquasi tutto il continente africano: losfruttamento. Ha visto le faldeinquinate delle acque, l’immondiziaendogena che si trova lungo il lettodel fiume, le lotte fratricide per laconquista delle risorse e del controllo,appoggiate di volta in volta dapotenze esterne interessate solo aldepauperamento del suolo e dellerisorse naturali. Quel Nilo che tantoplatonicamente vedeva come fonte dicontatto e di idillio è apparso svilito,svuotato della sua potenzacomunicatrice, ridotto a mera fonte difaide di potere e di giochi pocointeressati alla reale condizione dellegenti che vi vivono intorno. Così sononati i suoi concepts painting.Discutere di clima, inquinamento,Black touch, Co2 è solo un modo ditrattare altre tematiche più profonde,che riguardano le malversazioni chedevono sopportare quotidianamentele genti africane.

È una storia conosciuta: lecorporation approfittano dellediatribe esistenti all’interno dellediverse nazioni quali Sudan, Etiopia,

Somalia, Nigeria, Ghana… per fare ilpropri comodi. Il political vacuiabbinato alla confusionesocio-economica di questi paesi portaal malaffare e le aziendeinternazionali trovano terreno fertileper attuare le proprie politicheeconomiche spregiudicate. L’ecodello smaltimento tossico dei rifiuti èconosciuto, le organizzazioniinternazionali sono a conoscenza cheil Ghana è diventato la pattumieraamericana ed europea per losmaltimento dei rifiuti hi-tech, che laSomalia è la discarica dei rifiutisanitari italiani, che il Niger e il Malisono le miniere di uranio dellaFrancia (vedi guerra in corso nel norddel Mali)… Ciò che colpisce, e chedovrebbe fare scandalo, è lamancanza della risposta politicainternazionale e dei cosiddetti «paesicivili», il vuoto giornalistico su questetematiche così scottanti cheriguardano la vita di milioni dipersone nel mondo. E non è unabuona giustificazione lasciar correre,pensando che si tratti di posti lontanimigliaia di km, perché forse, senzasaperlo, quei rifiuti tossici allontanatitanto facilmente e frettolosamente,possono ripresentarsi sulla tavola osui mobili di casa di molte ignarefamiglie occidentali. «Il Nigercostituisce la miniera di uranio per laFrancia ed è uno dei paesi più poveriin Africa. Le politiche di sfruttamentofrancesi non favoriscono ilmiglioramento delle condizioni di vitanel paese, favoriscono invecel’emigrazione illegale verso l’Europa.Quelli che emigrano sono personeche hanno vissuto di stenti e sotto unregime di segregazione. Quandoarrivano in Francia o in Spagna,pensano solo a loro stessi, senza farenessun tentativo per sensibilizzarel’opinione pubblica su ciò che accadenel proprio paese. Questa purtroppo èuna situazione molto diffusa inAfrica»

Le uniche relazioni artistiche chesussistono tra il Sudan e i paesioccidentali sono legate intimamentecon quelle politiche. Gli artisti chenon rientrano in questa specialecategoria sponsorizzata dallepubbliche istituzioni, si ritrovano adessere semplicemente emigranti.«Conosco centinaia di sudanesi chevivono in Europa, Australia,America… che erano artisti bravi equotati, ora lì fanno i meccanici,lavorano nei campi o come commessiin un negozio. È un vero peccatoperché molti avevano delle ottimepossibilità nel campo artistico».

Per Mutaz, esistono moltissimiproblemi nel suo paese d’origine,come nel resto dell’Africa, ma unartista vero è colui/colei che riesce ascardinare i propri confini personali eprovinciali per poter comunicare conil mondo. «Un artista che fa arte soloper il proprio interesse, solo per farsipubblicità a livello internazionale epoter accrescere la sua fama, non èun artista. Costui è quello che mandaun messaggio ancora più forte, cheracconta delle problematiche esistentiper fare in modo che siano risolte, perdare voce alla gente. Solo così l’artepuò raggiungere il proprio obiettivo.Se sei intellettualmente onesto, lagente ti ricorderà anche dopo la tuamorte, e si ricorderà della tua arte».

«In Sudan la maggior parte degliartisti ’ufficiali’ sudanesi è classificatodentro gli schemi del governo; se si hal’appoggio dello Stato si ha lapossibilità di poter partecipare abiennali e mostre in tutto il mondo,altrimenti sei tagliato fuori». Glischemi sono talmente rigidi chelambiscono una struttura artistica distampo sovietico, infatti sono i regimidittatoriali che esistono in Africa adettare le linee guida. «Purtroppo il90% dei governi in Africa sono ilrisultato delle scelte fatte fuori iconfini continentali, sono i governidei potenti e delle multinazionali chedecidono i governanti delle nazioniafricane, sono loro che stabiliscono lalinea politica per i propri interessicorporativi, l’individuo non esiste,

«La mia Africaè intossicatae terra di faide»

SEGUE A PAGINA 16

I miei genitori erano contenti della mia sceltadi diventare pittore, poi arrivò il disprezzodel villaggio. Il loro appoggio venne meno, finoa quando capirono che parlavo del mio paese

A sinistra, grande, l’artista Mutaz Elemamnel suo studio (foto di Vincenzo Mattei);qui accanto, «Fiume» (particolare)e sotto, «Autoritratto»

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il cittadino è una parola stampatasu carta che vale meno di zero. Gliartisti di Stato non servono anessuno, tanto meno alla nazioneda cui provengono, tutto l’opposto,creano antipatia nei loro confrontiperché visti come alieni, che noncapiscono la realtà in cui si trova ilpaese. Solo l’artista che lotta edesprime l’anima del paese da cuiproviene può essere chiamatoartista, gli altri sono solo scarti chela società reale non riconosce»

Mutaz ha studiato Belle arti aKhartum, fin da piccolo eraaffascinato dalla pittura,esternandola prima attraverso gliesercizi di grafica calligrafica diarabo scritto, poi attraverso imurales sparsi nel suo villaggio diKassala, fino ad approdare neglianni all’accademia della capitale.«Il viaggio è molto importante perla maturazione individuale einconscia dell’artista». Sono i coloriche caratterizzano le pennellate ele spatolate di Elemam. «Perchéprovengo dal Sudan, un paese cheracchiude i quattro microclimidell’intero pianeta: il deserto, laforesta equatoriale, la steppa aridosso del mar Rosso, letemperature temperate vicinoall’Eritrea con le sue alluvioniannuali. È così che sono riuscito eripetere la stessa gamma di coloriche ci sono nel mio paese». I trattia volte sono fermi e fluidi, altrevolte gettati di scatto, in unfigurativo contemporaneo chesupera l’etichetta di «africano». Siritrovano nei suoi quadri i milionidi africani incolonnati dentro unasocialità collettiva di persone fuoriuna moschea, oppure lasoggettività di una ragazza vistaattraverso le sue ginocchia e il suoabito rosso. La fragilità femminile èracchiusa nelle spalle cadenti,

mentre la forza e la determinazionecaratteriali sono raccontate dallapostura delle ginocchia chesembrano sfidare il mondo.

La dedizione nel lavoro e latecnica sono fondamentali nelleopere di Mutaz Elemam. A voltesono figure morbide, altre voltedure e marcate. In alcuni momentirichiama le figure piane, di unapittura primitiva, piatta, senzaspessore né profondità, comel’incubo della matematicarappresentato in un dipintoautobiografico, dove l'artista stessoappare intrappolato nel lettocircondato da numeri e formuleincomprensibili. Eppure, anche inquella rappresentazione tantoscarna di un uomo addormentato,consunto e tormentato, traspareuna tecnica che sviscera il corpo efa trasparire tutta la sofferenza delviso e dell’animo. Altre volte lepennellate si fanno soavi, senza cheil messaggio si perda, come nelcaso della donna dall’abito rosso, oin un altro autoritratto (per lamostra dal titolo Co2) in cuil’immagine dell’artista sembraingabbiata dentro una camicia diforza insanguinata. Ricorda da unaparte le foto, mostrate durante

l’intervista, di un Mutaz Elemampiù giovane, che impugna unkalashnikov a causa della guerracivile che ha martoriato il Sudandal 1989, dall’altra le lacerazioni diun qualsiasi africano costretto asubire le vessazioni e le umiliazionidelle multinazionali. Molti quadrisembrano reinterpretazioni deipropri incubi e paure, altriabbracciano un concetto piùampio che supera i confini

dell’individuo e di una solanazione. Ci si imbatte nel colossaledipinto del Fiume, lungo 8 metri,che parte dal lago Vittoria fino adarrivare al delta del Nilo. In quegliotto metri sono racchiuse lesofferenze, le paure,l’inquinamento e lo sfruttamentodi milioni di persone, di uomini edonne che reclamano il diritto auna vita decente senza doversiprostrare ai favori dei potenti.

La mancanza di supportopubblico (e privato) in Sudan fa inmodo che molti artisti emigrino pertrovare l’ambiente idoneo perfocalizzarsi sulla propria arte.Parafrasando l’aforisma non è ladestinazione che conta, ma ilviaggio, questo vale anche perMutaz. «Andare da Kassala aKhartum è stato molto importanteper migliorare il mio stile pittorico.Però trasferirmi al Cairo è stato un

ulteriore passo per sviluppare ilmio inconscio artistico e ilmessaggio che voglio trasmettereattraverso la mia pittura. Il Cairo dàla possibilità a molti artisti diproporsi senza dover fare i lacchè anessun governo. Quello che chiedocome artista è di poter vivere dellamia arte, mi piacerebbe che ognimio quadro fosse venduto e vissutoper il valore che ha,permettendomi di viveredecentemente. Ora sono contentoperché i miei quadri si trovano inmolte gallerie cairote e onlinepresso la galleria Saatchi, è unasoddisfazione personale».Recentemente, Mutaz Elemam hapartecipato alla Biennale diPechino 2012, come unico artistasudanese. È stato ospite delAfroCam di Casoria, in Macedonia,a Berlino, a Sarajevo, e in moltealtre capitali europee.

Il concetto è alla base dellapittura ma non solo, tra gli intreccie i colori c’è l’Africa, ma anche losfruttamento e il riciclaggio deirifiuti tossici. Mutaz racconta comel’immondizia venga raccolta edivisa per materiali, per poi esserecaricata su navi cinesi, dirette versopiattaforme in mezzo all’oceano, inpieno mare internazionale, dovenon vige la giurisdizione dinessuno. Lì, su piloni conficcatinelle acque, ci sono vere e propriefabbriche cinesi che producono ditutto: sigarette, cemento,ornamenti per la casa, forchette,bottiglie di plastica … prodottisenza nessun controllo cheverranno riversati dentro il mercatoafricano. Un mercato alla deriva,nelle mani di chi pensa soloall’ottimizzazione del profitto, costiquel che costi. Ci sono prove ditutto ciò? «Noi sappiamo che èvero. Ho attraversato l’Egitto, ilSudan, l’Etiopia, la Somalia, ilKenya, l’Uganda … tutti sono alcorrente di come funzioni e tutti siaccontentano di pochi spicci. Nonho prove, ho solo storie che sitramandano di bocca in bocca, chevalicano i confini …». Le storie, inqualche modo, hanno sempre,amaramente, un fondo di verità.Co2, Fiume, Black touch, Clima…le figure nei quadri di Mutaz sonospesso circondate da un alonetratteggiato come le sagome deicadaveri sulla strada di un filmpoliziesco, perché - qualsiasi sia iltitolo della mostra o qualsiasi storiasia raccontata - un messaggioinquietante rimane sottintesodietro i colori e le pennellate: siamotutti vittime.

SEGUE DA PAGINA 15

Piccola, Mutaz Elemam;sopra a sinistra, «Moltitudine africana

astratta; sopra a destra, «Testa di uomo».Sotto: «Gruppo di donne sudanesi»

L’IMPEGNO CIVILE È ANCHE UN FATTO CREATIVO

PENNELLI CONTROLO SFRUTTAMENTO