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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 5 GENNAIO 2013 ANNO 16 N. 1

GRAZIE, LOU

WILLIAM BURROUGHS E SCIENTOLOGY

I SING ITALIANO DR. DRE, VENT’ANNI DI HIP HOP

ADAIEVSKY RAVI SHANKAR ARGENTO MARK COUSINSJUZO ITAMI MAURO VALERI PANEM ET CIRCENSES

HA DETTO SÌ A BELLOCCHIOE NO A VISCONTI

DALLA GIUNGLA, AI PUGNIDI UNA GENERAZIONE,

ALLA SCONFITTA,ALLE MERAVIGLIOSE INVENZIONI

DI RAUL RUIZ.E A UN CERTO PUNTO

SCOPRE DI AVERE LA VOCECHE IL CINEMA ITALIANOGLI AVEVA CANCELLATO.

UNA INTERVISTA SENZA FRONTIERECHE CI RIPORTA

UN COMPAGNO DI STRADA

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L’ATTORE

di ELFI REITER

●●●Ospite del Torino InternationalFilm Festival essendo tra gli interpretidel nuovo film di Tonino De Bernardi,Casa dolce casa, abbiamo incontratoLou Castel per parlare della sua vitatra una forte militanza politica e illavoro di attore. Nato a Bogotà nel1943, padre svedese emigrato e madreirlandese, era cresciuto in vari luoghi,tra cui Giamaica e New York. Hafrequentato il Centro sperimentale diRoma per studiare recitazione e haesordito nel film manifesto dellaribellione negli anni sessanta, I pugniin tasca di Marco Bellocchio. Un ruoloche gli rimane addosso comemarchio, il giovane ribelleprovocatore che massacra la propriafamiglia (sul piano simbolicoovviamente, la morte della famigliaera un tema frequente nel cinemadegli anni settanta), e molti registiitaliani lo chiameranno a interpretarepersonaggi inquietanti (da Damiani aLizzani, da Festa Campanile aFerrara). Quell’aria inquietante però èanche e soprattutto fonteinestinguibile di turbamento percreare le più svariate figuredis/turbanti, e non a caso LilianaCavani lo scrittura per FrancescoD’Assisi e per (il quasi sconosciutoperché scomodo) Galileo (nel 69);Rainer Werner Fassbinder lo vuole inAttenzione alla puttana santa (71);Bellocchio lo richiama nel 72 per Nelnome del padre e dieci anni dopo perGli occhi, la bocca; Chabrol gli affida ilruolo di terrorista di sinistra nel suoaffresco politico-rivoluzionarioispirato alle vicende della Raf inGermania e delle Br in ItaliaSterminate il Gruppo Zero girato nel1974. Recita a Berlino guidato daHelke Sander in Der Beginn allerSchrecken ist Liebe (t.l. L’inizio di ogniterrore è l’amore, nell’84) e, ormaitrasferitosi in Francia, è con Raul Ruiz(La presenza reale, L’isola del tesoro,entrambi nell’85), Philippe Garrel (Ellea passé tants d’heures sous lessunlights…) nell’85 e più tardi nel piùnoto La naissance de l’amour con JeanPierre Léaud. Entra in contatto conGérard Courant, cineasta, scrittore,critico e poeta francese tra i piùprolifici nel campo sperimentale, perpartecipare alla sua opera mammuthCinématon (da Cinéma ephotomaton) composta da tantissimibrevi ritratti delle più diversepersonalità del mondo della cultura ingenerale (da Samuel Fuller a YoussefChahine, da Arrabal a Jean FrançoisLyotard, Otto Sander, François

Mitterand, Félix Guattari, pernominare alcuni degli attualmente2.716 ritratti raccolti). Lo stesso LouCastel (il cui ritratto è il numero 501)ha iniziato da tempo a creare leproprie opere (in video) seguendouno schema di inquadrature fisse dipiù o meno lunga durata nel tempo.

●Ci racconti il tuo iter da attore aautore e viceversa?La mia prima regia risale al 1998,quando realizzai Just in time conRobert Kramer (chi non ricorda imitici film Route One e Doc’s Kingdomdi questo grandioso cineasta di originiUsa morto a soli sessant’anni nel 1999in Francia? ndr). La storia narrata intredici minuti, vedibile su youtube, sipuò riassumere in tre parole: sesso,pistole e droga. Avevamo capito dasubito che eravamo uguali… A partireda lì era nata per me una ricercadurata alcuni anni per cui producevoinquadrature fisse con un determinatonumero di immagini che poimoltiplicavo dapprima sedici volte,poi nove e infine sei volte, creando un

legame col fattore tempo, usando variargomenti, evitando il montaggio. Perporre fine a questo periodo avevospaccato la lente del proiettore…

●Per passare a quale arte?Nel 1999 mi sono operato all’anca evolevo fare 99 dipinti di un metroquadrato, una visione cronologica, poiridotti a quadrati di 33 centimetri. Neho realizzati cinquanta. Ora sonoarrivato al rettangolo, più piccolo,colorati nella più pura astrazione.

●Sei stato assente dall’Italia peroltre vent’anni, come mai?RISPOSTA:Me n’ero andato negli anni ottanta,uno dei motivi, non l’unico, era cheall’epoca nel cinema italiano c’era ilcosiddetto volto-voce degli attoriitaliani, per cui molti doppiatoriavevano trovato una loro faccia e unaloro notorietà. Mi spiego, all’epocamolti attori erano doppiati, io ero traquelli e a dire il vero mi sentivo moltoalienato. Non avevo voce, ero soltantoun volto, un corpo. Ciò mi aveva

creato un’esistenza monca sul pianoprofessionale come attore. A mioavviso questo mio «essere muto» si erapoi protratto anche nella mia vitaprivata. Mi sono sentito comecentrifugato, buttato «fuori» dalmondo, e avevo capito - e quindideciso - che avrei potuto recitareunicamente nel cinema francese, concerti autori però. Con cui poi ho anchelavorato: Philippe Garrel, nel suo Lanaissance de l’amour, Gerard Courant,Pascal Bonitzer. Ho partecipato anchea un corto, di cui non ricordo il titolo,in cui si era sperimentata per la primavolta la skycam a distanza e lacinepresa volava sopra di me comeuna farfalla mentre recitavo unmonologo.

●Prima ancora eri in un paio difilm di Wenders, hai girato conFassbinder in Germania…Avevo girato un po’ l’Europa, ma ilmio centro artistico era la Francia,dove uno dei più importanti incontriera Raul Ruiz, nei primi anni ottanta epoi a metà anni novanta per Tre vite euna morte con Marcello Mastroianni:avevamo inventato lì per lì una scena,talmente forte era l’affinità attoriale eRuiz ci chiese come mai nessunoaveva fatto recitarci assieme prima. Dacopione c’era Roland Topor in coppiacon me per fare due mendicantistraccioni.

●Com’era lavorare con Ruiz?C’era una gran stima reciproca. Mi

conosceva dai precedenti film girati inItalia e Germania, e mi fece recitareliberamente. Era nata un’intensaamicizia intellettuale che ci avevaavvicinato molto, forse per analogheesperienze vissute? Anche lui venivadal Sudamerica e la Francia non era ilsuo paese. Mentre girava, ciraccontava il film come l’aveva intesta, le inquadrature, le scene, i taglinel montaggio, aveva previsto tutto!Mi ricordo che rimasi moltoimpressionato dai suoi racconti e dicome si ricordava la prefigurazione dioltre duecento scene. Meraviglioso! Eancor più affascinante sono i suoilavori più sperimentali, per nonparlare di lui come teorico del cinema.

In occasione della sua morte(agosto 2011, ndr) ho ritrovato un suosaggio sul tempo nel cinema, che sonodue tempi che si accompagnanovicendevolmente, uno più inciso chedetermina tempi e forme nellinguaggio cinematografico, e l’altroche scorre, e lui era sempre alla ricercadel primo da far incrociare con l’altroe gli stimoli per il suosperimentalismo, li prendevaovunque.

●Hai accennato a esperienzeanaloghe sul pianopolitico-culturale tra te e Ruiz, ciracconti un po’ di più?Forse perché entrambi venivamo dapaesi latino-americani? L’aver vissutoin Colombia e nella giungla, credo,abbia influenzato il mio immaginario,ne avevo sentito rumori e profumi, lasua dimensione selvaggia da bambinol’ho sempre vissuta tra choc esorpresa. Ruiz è stato militante nellefile del partito di Allende… Perentrambi però ai tempi del nostroincontro era già tutto molto cambiato,come lo è oggi rispetto ad allora.Certo, le idee sono sempre le stesse!(sorride) Ricordo che gli portavo inumeri di Alfabeta sul set, avendosempre con me gli scrittipolitico-culturali che risalivano aitempi in cui vivevo a Milano, doveconoscevo l’ambiente attorno allarivista. Per farla breve, lavorando nelcinema con tutti quegli autori hopotuto portare avanti un discorsopolitico dopo che qua era finito tutto,dopo il 1979.

●In che senso?C’è stata una sconfitta, benchéavessimo cambiato molte cose, dopola repressione del 7 aprile e gli arrestidi Autonomia Operaia. Ci siamo dettipiuttosto che farci ammazzare… Delresto ero già stato espulso in modo

violento dall’Italia nel 1972, in base auna legge del Codice Rocco per cuipotevano dire che ero un elementopericoloso e chiedere l’espulsione.Assieme a me c’erano alcunipalestinesi, anche loro espulsi.

●Perché ti avevano espulso?Non lo so. Alla conferenza stampaorganizzata da un gruppo di cineasti,tra cui Liliana Cavani, per denunciarela mia situazione assurda, in Vico delPiombo c’erano 15 poliziotti adaspettarmi, perché mi ero nascostoper qualche giorno, mi invitarono asalire in macchina e mi portarono alcommissariato centrale. Pensavanofossi armato, mi perquisirono einsultarono, per poi condurmidirettamente a Fiumicino eaccompagnarmi fin dentro l’aereo. Perfortuna ci fu un giornalista delMessaggero che scattò quella foto dime col pugno alzato mentre salgosull’aereo. Mi fecero partire senzaniente, a inizio inverno, perStoccolma, che non conoscevo, maavendo il passaporto svedese... Là miaspettarono i giornalisti di destra,perché ero il divo italo-svedese! Miricordavo il nome di un registasvedese, la cui sorella mi ospitava,mentre da subito c’eranomanifestazioni a mio favore essendosiformato un movimento nella scenateatrale e cinematografica. Il gruppodel Filmverlag der Autoren era già alcorrente, Wim Wenders mi volle per ilsuo film La lettera scarlatta e michiamò a lavorare con sé. Dopo eroandato su un’isola greca con unascrittrice nel periodo dei colonelli…Ma il filo conduttore era sempre statofare l’attore, era la bussola che mimotivava nella mia vita.

Voglio aggiungere due cose sulrapporto con la cinepresa: non eromai passivo, ho sempre voluto saperedov’era, fin dove si sarebbe mossa,eccetera. Gli altri attori no. Forse eradovuto a quella separazione tra voce ecorpo, tra l’attore che agisceunicamente col corpo e l’attore cheparla ripetendo le battute in scena?

●Tu che hai vissuto quel periodo incui si girava e poi si doppiava conaltre voci: quali impressioni ti portidietro?Di storie del cinema ce ne sono tante,in fondo, a Roma non c’era un veromovimento, incisivo e importante,come lo era quello dei Cahiers duCinema in Francia. EsistevaFilmcritica, ma non aveva cineastiseguaci per generare qualcosa diinnovativo e fondante capace di creareuna controcorrente. C’era un «essere

Un incontro che ci fa scoprire come ha vissutoall’estero l’attore che è stato il simbolo di unagenerazione dai «Pugni in tasca» di Bellocchio,all’impegno politico interrotto per estradizione

NON CHIAMATEMIRIBELLE

Gli occhi, la bocca,la voce ritrovata

LOU CASTEL

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nell’azione», come nel mio caso inPugni in tasca, agito da pulsioni, dagliscatti durante le scene. Questo miomodo di recitare poi è proseguito neglialtri film, alternando produzioniautoriali a commerciale, ma al centrorimaneva sempre il mio corpo, il mioagire fisico. La mia storia l’ho fattacosì: ho detto no a Visconti e sì aBellocchio. Nel Gattopardo non misarei sentito a mio agio come attore, ein questa scelta era già forte la miaconsapevolezza politica. Sembraniente, ma definisce molto bene glianni settanta.

●Intendi il dualismo tra Gattopardoe I pugni in tasca?Non dei film in sé, ma per quantoriguarda il mio destino. Viscontiaveva quasi tutti attori della mia

generazione, mi aveva visto comecomparsa nella scena del ballo e michiamò per chiedermi se ballavo iltango. Gli dissi di no, lui mi avrebbevoluto, ma la mia giornata di lavoroera già terminata… Ricordo che eraun’estate caldissima, girare quellascena in quel palazzo fu un veroinferno, le donne strette nei corsettisvenivano una dopo l’altra, gliuomini stavano in un altro piano,più riparati. Era tutto un po’ stranoquel dietro le quinte, di cui per altronon si parla mai in generale, di queirapporti di forza e di potere che siinstaurano su un set. Visconti miaveva notato perché già allorarappresentavo quel che si diceva «unribelle», termine che mi dava moltofastidio. Ricordo che entrò ildirettore di produzione, io erosdraiato per terra e lui mi disse, ininglese, che non si poteva staresdraiati e che Visconti mi volevavedere, subito! Io gli risposi concalma dicendo che mi poteva parlarein italiano e che non c’era bisogno diagitarsi… Eravamo oltre trecentocomparse, la scena finita è

bellissima! Mi piace molto con tuttiquei costumi.

●Toglimi una curiosità: all’epocanon ti hanno fatto dire le battuteperché eri straniero e non parlavi unitaliano, come dire, perfetto, oppureperché era la prassi, come narranocerte leggende a proposito delleriprese dei film di Fellini, di far dire«un, due tre» agli attori e registrarel’intera colonna sonora in fase dipost-produzione?La mia storia è più complessa. Avevofrequentato i corsi dell’Actor’s Studio aRoma in cui insegnavano sia tecnichedi recitazione di Strasberg che latranse africana. Subito dopo ho fatto IPugni in tasca buttandomici conimpeto, in tutta la mia vulnerabilità,senza alcuna difesa dalle emozioni delpersonaggio, e ho inventato la tecnicache poi avrei chiamato «deformazioneprofessionale» in cui usavounicamente il corpo mosso da scattinervosi. Una tecnica latente, perchénon ne ero cosciente all’epoca. Solonel 1984 ho scoperto cosa voleva direrecitare, ossia lavorare con la voce. Fudurante le riprese di Campo Europanelle Cinque Terre, per la regia dellosvizzero Pierre Maillard, in cui recitavoin inglese, e quindi la ragione non erala lingua avendo già recitato più voltein inglese mantenendo ferma quellaseparazione, no, il fattore importantefu il luogo: eravamo sul mare, c’erasilenzio, i treni passavano o nonpassavano, i marinai parlavano a vocealta… Un giorno nel riguardare unascena sul monitor sentivo la miavocina, piano piano, in lontananza, etutto d’un tratto mi era salitaun’identificazione, dentro. Quella erala «mia» voce?! Di getto scrissi un testosulla separazione di lavoro che avevosempre cercato di superare, ilmontaggio, le posizioni dellacinepresa, etc., pensando che eranomomenti di interruzione, di rottura,ma avevo capito che fino a quelmomento mi ero sentito sdoppiatoperché espropriato appunto dellabattuta. ●È stato pubblicato?Sul catalogo della retrospettivadedicatami nel 2000 a Parigi.

●In che lingua avevi recitato conBellocchio?Dapprima in inglese, poi in italiano,anche se non bene, l’ho imparatorecitando. Nella figura di Bellocchiovedevo una certa cultura italiana,d’impegno, lucida, il suo crearetensione nel senso positivo - hoincorporato tutto. C’erano stati dueregisti a farmi recitare in passato:Monicelli e Chabrol. A Monicelliandava bene il mio accento romanoper il suo Rosa, in teatro nel 1981 conCarla Gravina. Mi aveva visto comeattore comico e aveva ragione! AChabrol suonava un accento di unacerta regione francese e anche per luiero comico, d’altronde lui ha unhumour incredibile! Va aggiunto,forse, che in Francia ho passato alcunianni felici della mia infanzia, tra i diecie i tredici anni, nella scuola conpedagogia rivoluzionaria di Freinet(fondata nel 1935 da Céléstin Freinet aVence fu la prima scuola senza classi,

in spazi aperti, supportata dalmovimento operaio, dovel’insegnamento era basatosull’espressione libera dei bambini;ndr). Poi c’era il condizionamento diparlare cinque lingue, di cui una solasenza accento, lo svedese. Tardi, manon troppo ho cominciato a vivere lospazio attorno a me come casa, e ciò èavvenuto grazie alla pittura. Ero nellacasa vuota a Parigi, piena di enormirulli di plastica trasparente, mi piacevarollarmici dentro e dipingere sul miocorpo nudo, protetto dalla pellicola, avolte in modo anche violento colcolore steso a mani nude nel buio osul balcone sotto la pioggia. Miscatenavo per l’effetto finale dove,appena srotolato dalla plastica, ladimensione della pittura era sparita esentivo attivarsi profondamentedentro di me quella dell’abitare: stavoconquistando un nuovo stare nellospazio. Un fenomeno bellissimo,tuttora lo pratico, in modo diverso,raccogliendo pezzi per strada da cuicompongo sculture. Il mio periodofrancese è stato per me una veraliberazione, un’apertura in me.

●Com’eri passato a suo tempo dalpersonaggio dei Pugni in tasca alFrancesco d’Assisi sotto la guida diLiliana Cavani? Così diversi maanche simili…Ci fu una grande distanza: un anno diinattività nonostante il successo delprimo film. Ricordo con affetto unavisita di Stefania Sandrelli perincoraggiarmi… Poi, improvvisamente,per strada il figlio di Prosperi mi disseche la Cavani faceva i provini per il suoFrancesco, c’andai e appena mi vide,disse: è lui! Secondo me, non eraproprio così, so che le era piaciutomolto anche un mio amico fotografoche lavorava per un quotidiano diRoma, con cui una volta ero andato incasa di Gina Lollobrigida, giusto pervederla dal vivo! Fu lui, benché nonattore, a rappresentare per lei la figurafragile di Francesco d’Assisi, ma pois’era convinta grazie al rapportoinstauratosi durante il provino,analogo a quanto era avvenuto conBellocchio. Un episodio stranoto: lacinepresa pronta, lui dà «azione»,sento il click, la macchina non parte eio scoppio in un fou rire, per cui rido acrepapelle e lui grida felice: è lui, è lui!Per me fu davvero comico il fatto chela cinepresa non fosse partita. Poi,dopo Francesco arrivò il ruolo nelwestern Quien Sabe? di Damiani,seguito da Requiesciant di Lizzani,personaggio nuovamente opposto.Questo alternarsi si era fermato nel 68con Grazie zia!, opera prima diSalvatore Samperi, che in modosbagliato vedevo comecontinuazione dei Pugni in tasca,quando fu un film molto creativo esperimentale e il regista aveva sceltome perché avevo appena recitato conAldo Braibanti in una piècesperimentale, accusato di plagio.

●Un compagno di strada di AlbertoGrifi…Ho girato con lui Virulentia, dove Grifisperimentava coi suoi obiettivi. Mifece vedere un video poco prima dimorire, una delle ultime volte chevenne a Parigi per mostrare le sueopere vidigrafate, era diventato unvero scienziato del cinema! Eravamoun bel gruppo allora, con Aldo,Alberto e altri, ci divertivamo unsacco, negli anni sessanta. È curiosocome di quel gruppo poi non fosserimasto quasi nulla. In Germania, neparlo perché sono appena tornato daBerlino dove ho partecipato a unamanifestazione sulle esperienzeteatrali negli anni sessanta, c’eral’Aktionstheater e una volta scioltoognuno ha intrapreso carriere diverse,da Werner Schroeter a Fassbinder, daMargarethe von Trotta, HannaSchygulla. E non è importante quelloche facevano dopo, ma bisognaimmaginare che erano un gruppo diamici che vivevano e lavoravanoinsieme nella quotidianità. Comeavevamo fatto noi, e il tema a Berlinoera proprio questo: condividereesperienze artistiche nel quotidianoper poi elaborarle professionalmente.

In alto «Attenzione alla puttana santa» diFassbinder, in basso a sinistra da «I pugniin tasca»foto grande da «Lapidation» diPere Vilà i Barceló, sotto da «Francesco» diLiliana Cavani, manifesto di «Matalo», inbasso «Bullet general»

GERENZA

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Alias a cura diRoberto Silvestri

Francesco Adinolfi(Ultrasuoni),con Massimo De Feo,Roberto Peciola,Silvana Silvestri

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In copertina una fotoche ha scattato lo stessoLou Castel

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PIONIERE

Ella Adaïevsky compositrice e pianistadi famiglia lituana fondò l’etnomusicologiacon ricerche sul campo in Val Resia, superandoi divieti che l’epoca imponeva alle donne

di FEBO GUIZZI

●●●Nell’autunno del 1883 Ella vonSchultz Adaïevsky feceimprovvisamente la sua comparsa inVal Resia (Friuli) in veste dietnomusicologa, anche se questoruolo scientifico all’epoca non avevaancora ricevuto riconoscimenti, e ilnome stesso della disciplina -etnomusicologia - era ben lungidall’essere stato coniato. La Adaïevskyera innanzitutto una pianista, unacompositrice, che partiva da questaqualità per interrogarsi sulle ragioni ei destini della musica in generale,quindi con una precisa attitudine damusicologa. Nata a San Pietroburgonel 1826 in una famiglia lituana, fu dasempre abituata a considerarerilevanti le diversità culturali, a partireda quelle linguistiche. Influenzata dallavoro dei folkloristi, che scavavano inquesta materia vivente, acquisìprecocemente una vivace curiositàper le intersezioni che le parveroinevitabili tra la musica, di cuiprincipalmente si nutrivano il suospirito e il suo intelletto, e le tradizionidei popoli forgiate dalle diversitàetnico-linguistiche. È qui, in questasostanza, che si fonda la suaformazione da etnomusicologa antelitteram, che per perfezionarsi avevabisogno solo di un ulteriore passometodologico, quello consistentenell’osservazione diretta dei fenomenimusicali delle tradizioni. Il suointeresse specialistico era rivolto, inmodo non episodico né dilettantesco,alle forme musicali basate sullatradizione orale; nel coltivare questointeresse la musicista baltica affinòl’attenzione ai modi e alle procedureche regolano la composizione,l’apprendimento e l’esecuzione entrolinguaggi musicali non rispondentialla teoria e alle norme della musica«accademica», che peraltro leapparteneva in pieno. Come le suericerche a Resia dimostrano, fucentrale per lei indagare il ruolo dellamusica e della danza entro gruppisociali privi di scrittura, la cui vita erabasata - all’epoca di cui parliamo - suimestieri primari della sopravvivenza,quelli della condizione contadina; erainfine suo intento quello di scoprire,per via di congetture, le radiciprofonde dei linguaggi e dei significatidella musica presumibilmente rimastiimmutati nei secoli e dunqueaccostabili alle origini stesse delletradizioni musicali dell’antica Europa,di quella «classica» in particolare.L’insieme di queste linee di pensiero edi comportamento scientifico sicompendia in un quadro che ritraefedelmente la prima, fondamentalefisionomia dell’etnomusicologia inquanto tale, quale sarebbe stata piùtardi delineata - sotto il nome dimusicologia comparata - dallacosiddetta «Scuola di Berlino» di CurtSachs, Erich Möritz von Hornbostel,Carl Stumpf e altri; o quale fu per altrevie sviluppata - con il nome di folkloremusicale - da Béla Bartók eConstantin Brailoiu. In questa veste esu queste basi dunque Ella Adaïevskyaffrontò quel suo viaggio; lo fece concompetenza ma anche con coraggio,proseguendo il suo cammino diautonomia che già dalla giovinezzal’aveva vista impegnata a divincolarsidalle convenzioni che la società delsuo tempo avrebbe voluto imporle, apartire dalla subalternità di fattoimposta al mondo femminile: è notala riluttanza con cui nel XIX sec. siconsentiva a fatica alle donne diesercitare attività «pubbliche», fosseroanche di tipo creativo, quali eranoquelle della composizione in musica edella pratica concertistica ad altolivello, o di saggista di rango; figurarsiquindi l’andare in giro per l’Europa adascoltare «sul campo» e a studiare adiretto contatto con contadini,allevatori e boscaioli le loro musiche

«primitive», le loro arcaiche arie didanza. L’altra interdizione culturaleche Ella Adaïevsky violòsistematicamente consisteva nelpregiudizio con cui le musiche delpopolo erano esclusedogmaticamente dalla considerazionescientifica ed estetica che si volevafosse riservata solo alla musica d’artedelle classi egemoni.

Il viaggio di ricerca compiuto in ValResia rappresenta dunque la tappafondamentale del percorso con ilquale l’Adaïevsky si guadagnò a pienotitolo il riconoscimento di pionieradell’etnomusicologia attribuitole ainostri giorni da studiosi quali RobertoLeydi, Diego Carpitella e JulijanStrajnar. Sino ad oggi, tuttavia, diquesto percorso, conoscevamo soloun ristretto compendio degli esiticognitivi e scientifici ricavati da quelviaggio: poche cose e nemmenopubblicate da lei direttamente, bensìda altri; e che pure le avevanocomunque meritato l’apprezzamentodel nostro «senno di poi», per la cura,l’attendibilità e la precisione con cuitrascrisse le straordinarie musichecoreutiche dei resiani dopo averleascoltate per trasferirleimmediatamente dopo supentagramma, senza ausilitecnologici per la registrazione delsuono, che a quel tempo erano lungidall’essere disponibili per questericerche. Conoscevamo solo traccesemplificate di ciò che il raffinatoorecchio dell’Adaïevsky avevarilevato: tracce capaci di renderemerito al suo lavoro per ciò checomunque ne trapelava, soprattutto

per una spiccata sensibilità per le«singolari» peculiarità di quellemusiche per violino, intrise diradicale alterità ritmica e melodica. Cimancava una documentazioneadeguata a consegnarci un quadrocompleto, non solo delle specificità diquella musica, ma soprattutto delvero e proprio sistema compositivoche la sorregge e della rispettivacomplessità teorica in esso implicita.Non sapevamo inoltre quasi nulla,per via diretta, delle ragioni cheavevano portato questa pianista russadel Baltico, legata alla corte dello Zar,ad inoltrarsi in carrozza su per laValle di Resia, né dei legami da lei

ipotizzati tra i suoni e i ritmi deiResiani e la loro vita sociale;altrettanto carente era la nostraconoscenza delle ragioni addottedalla Adaïevsky a spiegazione dellaspecifica alterità del sistema musicaleresiano a confronto con le grandicorrenti carsiche della più anticastoria musicale d’Europa e del nessotra antica Grecia e mondo slavomediato dalla cultura Bizantina chetanto le stava a cuore. Oggi, quasimiracolosamente, abbiamorecuperato tutto questo, e anchealtro: il ritrovamento, da parte deglieredi, del manoscritto compilatominuziosamente per oltre 140

fittissime pagine dalla Adaïevsky acompendio narrativo e riflessivo diquel viaggio straordinario è messo anostra disposizione grazie almusicologo Quirino Principe che ne èil donatario cui gli eredi stessi lohanno affidato; e del quale oraabbiamo la pubblicazione integrale(Un Voyage à Résia - Il manoscritto diElla Adaïewsky del 1883 e la nascitadell’etnomusicologia in Europa, testooriginale francese e traduzioneitaliana, con saggi introduttivi ecritici, edizioni L.I.M.). Esso ciconsegna un quadro di grandefascino, cui contribuisconoequilibratamente informazione esuggestione: vi leggiamo unameticolosa restituzione della musica,trascritta con tutte le sue complessestrutture, soprattutto ritmiche, e unappassionato resoconto di incontri

con donne e uomini, suonatori edanzatori, con il loro mondospirituale sentitocontemporaneamente molto vicino enettamente diverso da ogni altra realtàconosciuta; vi si trova la descrizioneetnografica di un viaggio nell’alterità,nel tempo, nei meandri di unacomplessa mappa di discendenze, diaffinità, di morfologiesorprendentemente comparabili tramondo greco antico e unacontemporaneità di una minoranzasparuta e isolata ma saldissima nellasua identità; insieme con latestimonianza personale di una seriedi relazioni vissute ancheemotivamente, che segna il lavoro conuna sorprendente attualità, per nullaestranea, nei suoi passaggi narrativi,alle più scoperte attitudini «insoggettiva» della cosiddetta

Due ritratti di Ella AdaïevskyNella pagina a destra due immaginidalla «Trilogia» di Satyajit Ray

Una pionieraalle originidella musica

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meta-antropologia contemporanea.Entro un denso testo scritto infrancese e vergato con grafia lucida edelegante, Ella Adaïevsky ci consegnarigorosissime trascrizioni degli eventiglobali, performativi, della danza,audaci interpretazioni delle struttureritmiche che li sorreggono, esitipreziosi di un solido sguardo «tecnico»e penetrante, a fianco di espressionipartecipate relative all’«angoloignorato, adorabile idillio in unpaesaggio vergine», svelato da ciò dalei stessa definisce «il nostro viaggio discoperta»... «in questo piccolo angolodella terra che ho tanto desideratovedere». Ove è vero che si manifestal’apprezzamento per aspetti tuttosommato pittoreschi dell’ambienteesterno; ma è anche vero che essifanno da cornice a valutazioni sullospirito dei luoghi intesi quali

espressioni riflesse dell’ethos dellepersone che vi abitano, di cui si tentaun approccio conoscitivo per mezzodel loro mondo sonoro e musicale:esemplari, a tal proposito, gli episodi,poco più che accennati, degli incontricon donne e uomini a cui si rivolgecon domande e richieste di variogenere, ma soprattutto per ottenerneprestazioni musicali; in questi casi ildiscorso intreccia sempre elementidescrittivi con notazioni partecipatesui modi, sulla riservatezza,l’amabilità, l’orgoglio dei tratti deiResiani. Piccole ma significativenotazioni che non è dato trovarefacilmente in testi dei folkloristi coevie che dichiarano implicitamente uncoinvolgimento dialogico, un rispettovotato alla reciprocità dellacollaborazione che è presupposto econdizione della ricerca.

Erano i nostri miti, io li avevo letti a 15 anni avoce alta insieme a mia cugina e poi ancora a17, 18, insieme alle canzoni di Dylan, noncapivamo tutto ma sentivamo il ritmo, eranocosì diversi da tutti quelli che campeggiavanonelle librerie delle nostre madri erano vivi etravolgenti i versi dei poeti della beatgeneration, erano musica e trasgressione esesso e libertà, erano ali per volare altrove,almeno col pensiero. Al festival dei poeti diCastelporziano giugno del 1979 c’erano tutti,proprio tutti i poeti del mondo, ospiti dellascuola alberghiera in via di smobilitazione aOstia, a disposizione del festival organizzatoda Simone Carella, Franco Cordelli e UlisseBenedetti e prodotto da Renato Nicoliniassessore alla cultura di Roma, e finalmente liconoscemmo di persona. Erano tempi eroicidi tentativi libertari in cui per usciredall’angoscia degli anni di piombo Nicolini aprìla città alla cultura, ai giovani, all’arte tutta checi si riversò felicemente dentro. Cosìcominciò la piccola Woodstock poetica tra ledune e velocemente si trasformò in un grancasino, si era sparsa la voce per tutta lapenisola che a Castelporziano sarebbearrivata anche Patti Smith e magari pure LouReed e, conseguentemente, migliaia difricchettoni armati di sacchi a pelo si eranoaccampati sulla spiaggia vicino e sotto, perripararsi dal sole, al grande palco 20x20 inattesa del grande evento. Il primo giornocominciarono i poeti italiani, contestatissimi,Dario Bellezza scatenò quasi una rissa e DaciaMaraini rinunciò, il popolo della spiaggiarivendicava il diritto a leggere i propri versi almicrofono e voleva salire sul palco. Laseconda sera c’erano gli europei con letraduzioni ma si alternavano con «poeti dellafolla», anche lì si scatenò la contestazione, laragazza «cioè» probabilmente in acido nonscendeva più e requisiva il microfono e ci fu ilproblema del minestrone, i fricchettoniaffamati avevano cucinato un minestrone etentarono l’assalto al palco per distribuirlo alpopolo, alla fine intervenne Ginsberg checantò con Orlowski e li placò. L’ultimo giornoci fu una riunione all’albergo con tutti: poeti,organizzatori e Nicolini, per decidere cosafare, noi «ragazzi del beat» fummo precettaticome servizio d’ordine sul palco (più lopresidiavamo noi meno spazio c’era per gliassalitori) e dopo aver fatto le più assurdeipotesi (che la contestazione fosse stataorganizzata dalla Cia o dal Kgb e chedovessimo reagire con un gesto simbolico dipace buddista tipo riempire il palco di fiorigialli, proposta di Ginsberg, caldamentesconsigliata da noi italiani) fu deciso che i poetiavrebbero letto continuativamente per 7minuti ognuno e che poi si sarebbe datospazio ai poeti della spiaggia. Fu una grandemagia, i poeti americani, anche il russoEvtushcenko, usavano la voce con potenza emusicalità e i loro versi risuonavano sulle dunefinalmente silenziose, freddo nasale e taglienteBurroughs, caldo e travolgente Amiri Barakae Ted Jones con Money, Money, Moneyverso la fine e in mezzo Gregory Corso eJohn Giorno, Anne Waldman e Ferlinghetti etanti altri e per finire il mantra di Ginsberg eOrlowski con James Demby alla chitarra.Grandi. Ci alzammo tutti in piedi perapplaudire, poi, alla prima invasione losentimmo cedere sotto i nostri piedi,dolcemente, senza rumore il grande palco sipiegò sulle proprie fragili gambe di tubiinnocenti, con grazia al rallentatore…il mioprimo pensiero furono le persone che magarierano rimaste schiacciate, mi tuffai sotto leassi a cercare insieme agli altri mentre sopradi me sentivo la voce di Ginsberg che cercavaossessivamente alcuni suoi fogli manoscrittiche si erano persi. Miracolosamente non c’eranessuno accampato sotto come, invece,sempre, durante il giorno. Potenza dellapoesia e fine di un mito.

ERANO I NOSTRIMITI

UN RICORDO ■ RAVI SHANKAR

George Harrisonlo chiamòil «Godfatherdella world music»

di FABIO FRANCIONE

●●●Il cordoglio che è seguito allamorte di Ravi Shankar, avvenuta l'11dicembre scorso a San Diego inCalifornia, ha dato l'esatta misura e lagiusta distanza della popolaritàconquistata in Occidente dal musicistae compositore indiano. Non solo, maha fatto di più. È andato ad illuminareretrospettivamente zone della sualunga esistenza, era nato nel 1920 in unvillaggio del distretto di Varanasi, vicinoBenares nell'Uttar Pradesh, che proprioquella e mantenuta fino alla mortecelebrità aveva relegato neldimenticatoio. Ma c'è voluta comedetto la morte perché neppure lapubblicazione nel 1997 della suaautobiografia Raga Mala (la traduzioneitaliana uscita per Arcana edizioni è del2010) era riuscita a evitare il luogocomune che vedeva il grande sitarista,l'autore di raga, composizioniraffinatissime il cui «tlin tlon»sottilmente variato era capace diincantare nei grandi raduni degli annisessanta migliaia di giovani, nient'altroche un sodale dell'ex-Beatle GeorgeHarrison. D'altronde non si può negarel'importanza avuta da Harrison nellosviluppo della carriera discografica econcertistica di Shankar, peraltro finoal 1965 l'anno in cui il chitarrista glichiese lezioni di sitar era di per sé giàprestigiosa e basta la cronaca minutadei suoi viaggi in Europa e negli StatiUniti del jazz, e persino nell'Urss doveè appellato per il colore della pelle allagloria nazionale Puskin per giungerefino alla collaborazione con il violinistaYehudi Menuhin in un album che erapiù di un indirizzo West meets Est(uscito nel 1967, ma registrato qualcheanno prima; nei settanta c'era statol'incontro con André Previn e ancora

nei tardi anni ottanta tenterà unincontro con il minimalismocollaborando con Philip Glass). Ma allostesso tempo non si può nonconsiderare uno Shankar pre epost-Harrison.

Come è innegabile che, anche dopola morte dell'autore di Here Comes theSun nel 2001, Ravi si è fatto testimonedella conquistata spiritualità dell'amicoe vecchio allievo andandolo a ricordareogniqualvolta se ne presentaval'occasione. Insomma, in quest'imbutotemporale dell'immaginariooccidentale che, per rubare una frase alRossellini indiano, fu «stregato dal suofascino», Ravi Shankar è sembratocome assorbito, anche se nella realtàdei fatti e più tardi lo si sarebbecompreso pienamente, era statocapace di non farsi travolgere dalloshow-biz e di riflettere e ragionaresull'importanza di come questa suaimmagine poteva farsi ambasciatricenel mondo della sua musica. Il«Godfather», come lo chiamò Harrison,della «world music» era nato e nonpoteva non servirsi del cinema. Ma,anche per il cinema ci sono due tempi.Il primo rivelato dalla sua ultimacomposizione contenuta in The LivingRoom Session part 1, uscito a Gennaio2012 e registrato in Californianell'ottobre precedente: Raga Satyajit.Satyajt è il grande cinesta indianoSatyajt Ray, uno dei padri delneorealismo dell'India, con cuiShankar collaborò in 4 film tra cui lacelebre Trilogia di Apu, realizzata tra il1956 e il 1959, e al quale il musicista sesi vuole sorprendentemente rivolgel'ultimo saluto. Retrocedendo aquell'epoca sono da analizzare anchele collaborazioni con il poeta Tagore econ il cineasta Ritwik Ghatak più che leapparizioni in cult-movie comeChappaqua di Conrad Rooks deldecennio successivo. Ed è qui che sicompie il capolavoro di Shankar,auspice ancora una volta Harrison checon la Apple, nel 1971, distribuisce,prima della grande impresa, ispirataperaltro da Shankar, del Concert forBangla-Desh, album e film al MadisonSquare Garden, che resta l'apice dellacelebrità dei due musicisti, un altrapellicola: Raga. A film journey into soulof India. La regia è di Howard Worth,ma è in tutto e per tutto un film di RaviShankar. L'edizione in dvd, distribuitadalla Ducale, purtroppo non èdoppiato né ha i sottotitoli in italiano,consente attraverso l'immagine di unuomo e della sua musica di uniremondi apparentemente distanti ediversi e in uno svolgersi che si fapedagogia rosselliniana e gioiositàhippie forse sta il segreto di questoinimitabile artista del '900.

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Un vampiroaristocraticoe capitalista

di GABRIELLE LUCANTONIO

●●●Dracula 3D, con ThomasKretschmann, Marta Gastini, AsiaArgento e Rutger Hauer, è il migliorefilm di Dario Argento degli ultimiquindici anni. Dalla Sindrome diStendhal, per intenderci. Filmsperimentale, libero degli schemihorror tradizionali, rinnova il mitocon l'utilizzo del 3D e un personaggiodi Dracula trasformista, ma anchesensuale, affascinante, crudele. Neparliamo con il regista romano.

●Che sistema hai utilizzato per il3D ?In Dracula 3D è stato realizzato condue macchine, una dritta cheriprende direttamente le scene, l’altraperpendicolare che filma la stessaimmagine in uno specchio, che sitrova all’interno della macchina.L’ultimo tipo di 3D è fatto cosi.

●Il set è stato lento o veloce?C’è una perdita di tempo fisiologicatra un’inquadratura e l’altra, perchéla troupe 3D deve ricollimare lamacchina sulla nuova inquadratura.Ci vogliono 15/20 minuti tra dueinquadrature. Intanto si fanno le luci,parlo con gli attori....

●Ti penti di non avere usato unatecnologia più maneggevole, comele telecamere a mano con dueobiettivi, che danno l'effetto 3D,impiegata da Herzog?È un modo di fare ormai vecchio.Non si usa più. Viene un’immaginetroppa piatta. Io invece ho usatocome alternativa alla macchinaprincipale, che è un baraccone moltogrande (ci volevano quattro personeper spostarlo. Basta pensare che oltrealle due macchine, c’era tuttal’apparecchiatura elettronica, che ciera attaccata), un nuovo sistemacreato dalla Sony. Ha creato unamacchina che impiega lo stesso tipodi 3D con lo specchio, ma che èmolto più leggera. Si poteva ancheusarla come una steadycam.

●Perché un film su Dracula?Avevo una mia idea del mito diDracula, poi quando ho saputo diquesto nuovo 3D, che privilegiamolto la profondità dell’immagine,ho pensato che questa nuova

tecnologia mi avrebbe permesso didare una nuova dimensione al mito.

●Ma come leggi Dracula?È un personaggio moltocontraddittorio, pieno diromanticismo, ma anche feroce,aggressivo, tenero, che ama e cheviene anche tradito. Gli ho datomolte dimensioni.

●Come lo situi rispetto ai vecchifilm del passato?Mi sono molto ispirato al Nosferatu(1922) di Murnau. È stato la miafonte di ispirazione, soprattutto per ilsuo romanticismo, non per leimmagini. Anche se in Dracula 3D cisono molti riferimenti all’esteticadell’espressionismo, con le sueombre.

●La prima sceneggiatura era fedeleal romanzo?No, con gli sceneggiatori, Antonio

Tentori e Stefano Piani, abbiamoriletto il romanzo di Bram Stoker ealtri libri su Dracula. E poi abbiamoscritto la sceneggiatura,distaccandoci dal testo originale.Abbiamo impiegato diversi mesi.

●Mi è molto piaciuto il personaggiodi Dracula interpretato da ThomasKretschmann, molto sensuale eelegante, sexy e affascinante quasicome il Lestat interpretato da TomCruise in «Intervista con ilvampiro».Kretschmann si è molto impegnatonella ricerca del personaggio. Hasempre sognato di interpretarlo.Quando gliel'ho proposto eraraggiante. Abbiamo parlato molto percostruirlo insieme.

●Dracula rappresenta di piùl’arcaicità aristocratica o lamodernità capitalistica?Tutte e due. Da una parte èaristocratico, ma è anche capitalista.Tiene in pugno tutto il paese. Lui è ilpadrone, gli abitanti sono tutti i suoischiavi. Questa gente lo adora ma ècompletamente sfruttata da lui.

●Hollywood rivisita un po’ tutti imiti, cercando di renderli piùrealistici, fino al capovolgimentodel mito stesso. Il tuo Dracula èl’opposto, arriva quasi allastilizzazione dell’eroe. È una criticadello spettacolo horror vigente?Sì, come lo è stato in tutti i miei filmprecedenti. Sono semprecontrocorrente rispetto all’horror cheimpera al momento. È per questo chei registi americani e orientali miamano così tanto. Faccio sempre unpasso diverso, un passo che li spiazzatutti.

●Ci sono molte citazioni cheprovengono dalla storia del cinemahorror. Per citare un esempio, ilcorpo putrefatto sotto la camicia diDracula, nel finale del film, ricordaquella della strega in «La mascheradel demonio» di Mario Bava...È infatti una citazione, inconsciaperò. C’è comunque questa visione.

●Alcuni critici dicono che sei unregista manierista...Non sono un regista manierista:Tarantino lo è, io no. Penso di seguirela mia strada, anzi dò la maniera adaltri di imitarmi. Il manierista èquello che prende a destra e a sinistraper creare il suo film. Ovviamentesono conficcato nel mondo delcinema, quindi tutte le impressioniche ho avuto dei film sono nella miatesta, ci sono, però le trasformo con ilmio stile. È una cosa molto diversa.

●Ci sono anche molte

autocitazioni, c’è «Phenomena»,«Suspiria»... Alcune citazionisembrano rispondersi da un filmall'altro. Il prete definisce Draculacome il Male. In una scena, unanuvola di mosche si trasforma inDracula e torna in mente«Phenomena», un'altra nuvola dimosche e un personaggio cheparlava di Belzebù, il «signore dellemosche»... È quasi come se«Dracula 3D» rispondesse a unquesito posto da «Phenomena»...Infatti anche il «signore dellemosche», come Dracula, arrivava inuno stuolo di mosche.

●Cosa pensi del ciclo di«Twilight?»Sono delle commedie, fatte per gliadolescenti. Piacciono a loro proprioper questo. Si svolgono nell’ambienteuniversitario. C’è un grande occhio almondo dell’adolescenza.

●Ti sei ispirato a dei pittori, comefai spesso, per la fotografia?Sì, mi sono ispirato ai soliti pittorifiamminghi che amo molto.

●Perché ci sono così tantetrasformazioni?Quando ho iniziato a pensare aDracula, ho subito pensato ai diversifilm che sono stati realizzati. Inalcuni il protagonista si trasforma inpipistrello, in altri in lupo. Se sipoteva trasformare in questi animalidiversi, poteva farlo in qualsiasi cosa.Quindi ogni volta che si presenta, cheviene per ascoltare quello che dicono

Da «Dracula 3D»: backstage con il registache si posiziona nella bara, e con Asia eKretschmann. Accanto, Dario Argento conThomas Kretschmann

DARIO ARGENTO

Incontro con Dario Argento per parlare del suoultimo film, «Dracula 3d», con ThomasKretschmann nei panni del vampiro,Marta Gastini, Asia Argento e Rutger Hauer

HORROR

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●●●Il 20 dicembre del 1997 ilregista e attore giapponese Juzo Itamiveniva «suicidato» con un salto dallafinestra del suo ufficio. Quindici annisono passati dal quel giorno e nessunaltro regista sembra sia riuscito acolmare quel vuoto lasciato da Itaminel mondo del cinema e nella societàgiapponese, la sua feroce satira dellaquotidianità e soprattutto la suadescrizione impietosa della yakuza, lohanno reso un unicum nel panoramaartistico nipponico. Inoltre Itami èstato un regista che ha saputoinventarsi tale ad un’eta piuttostotarda, al suo debutto dietro lamacchina da presa aveva infatti 50anni, dopo aver svolto una serie dialtri lavori, fra cui anche l’attore, ilsaggista ed il reporter televisivo. Isuoi lavori sono forse quelli che piùhanno caratterizzato quel decennio dioscurità artistica che sono consideratiancora oggi gli anni ottantagiapponesi, il periodo della grandebolla economica per intendersi, Itamiè stato uno dei pochi che è riuscito adistinguersi per qualitàcinematografica in un momento in cuila televisione ed i suoi stilemidominavano il panorama artistico.Nel 1984 debutta con The Funeral,un’opera che nel presentare unafamiglia alle prese con la morte delpadre della moglie, mette alla berlinacerti aspetti della famiglia, fulcro emonade della società giapponese.L`inatteso successo gli permette digirare un altro film l’anno successivo,si tratta di Tampopo l’opera di Itamiforse più conosciuta sia in patria cheall`estero. Incentrato sul cibo, graziealla feticizzazione che la gran partedei giapponesi hanno verso la cucinae le sue innumerevoli varianti, riescea raccontare con uno stile dacommedia amara, tutta la gamma deisentimenti umani, dall’amore allamorte fino alla violenza e alla stupiditàdegli yakuza. Tampopo non è solo unodei migliori film realizzati che abbianocome protagonista il cibo, ma sipresenta anche figlio del suo tempo,nel modo migliore, con un’insistitapropensione verso il metafilmico el’ammiccamento cinematografico, laprimissima scena del film che si svolgein una sala di proiezione con il bossche si rivolge direttamente verso lacamera da presa e dialoga con «noi»ne è l`esempio più lampante. Semprenei suoi film la malavita giapponese è

descritta con una caustica ironiacome un’organizzazione piena dipersone di piccolo spirito, vigliaccheed opportuniste, siamo anni luce didistanza dalla yakuza «classica» delcinema degli anni cinquanta e sessantae, per restare più vicino a noi, quellache popola i film di Kitano. Proprioquesto uso della satira da parte diItami per sberleffare la mafianipponica sarà ciò che lo ucciderà.

Dopo una serie di altri filmrealizzati nella seconda metà deglianni ottanta, fra cui i due A TaxiWoman, nel 1992 il regista scrive edirige, come del resto è avvenuto pertutti i suoi film, Minbo: the Gentle Artof Japanese Extortion. Come è chiarofin dal titolo il tema principale del filmè l’estorsione subita dal padrone diun albergo di lusso da parte di unagang di yakuza che solo l’interventodi un avvocato donna specializzatanello sbrogliare la matassa in questotipo di occasioni riuscirà a fermare.La donna è interpretata dalla mogliedi Itami stesso, Nobuko Miyamoto,protagonista in quasi tutti gli altri filmdiretti dal marito e la yakuza qui piùche mai è trattata e descrittaimpietosamente, in pratica come ungruppo di stupidotti di quartiere.

Sei giorni dopo la première delfilm alcuni membri del gruppoGoto-gumi attaccano Itami a pochipassi da casa sua, lo picchiano e losfregiano con un coltello. Itami se lacaverà, ma sarà solo questione ditempo, dopo altri due lavori, uno deiquali, Shizuka na seikatsu, da un librodi Kenzaburo Oe, suo cognato, il 20dicembre 1997 viene trovatofracassato al suolo dopo un saltodalla finestra del suo ufficio.Ufficialmente si tratta di suicidio,legato ad un presunto scandaloamoroso con una giovane donna, manel 2005 il giornalista Jake Adelsteinafferma di aver parlato con unmembro della yakuza che avrebbe difatto ucciso Itami.

La «colpa» fatale ad Itami è stataquella di satireggiare senza scrupoli,con lavori molto popolari nondimentichiamolo, la societàmaschilista nipponica, la yakuza inprimis ma anche la pochezza delpadre di famiglia. Secondo le suestesse parole «Il Giappone non haancora inventato l`essere padrecome parte della sua cultura. Quandomolte società hanno tre figureprincipali – il padre, la madre ed ilfiglio – il Giappone ne possiede solodue e gli uomini crescono solo perdiventare bambini».

su di lui, che sorveglia, spia, Draculaha sempre un aspetto diverso.

●Quando arriva il personaggio diMina, ci sono tre insetti...Sono tre scarafaggi. All’inizio sonotutti e tre attaccati insieme, sono unacosa sola e poi si separano ediventano tre...

●Quando Dracula si trasforma inlupo, sembra più un lupo mannaropiù che un lupo vero....È un lupo umanizzato, quindi unlupo mannaro.

●Come hai lavorato sul cast per iruoli secondari?Volevo facce nuove, interessanti; conesperienze di teatro. Dovevano fareanche azioni teatrali.

●E per la scelta di Marta Gastini?L’avevo già vista nel Rito. Era moltobrava ed era il suo film d'esordio. Poilei mi ha fatto vedere alcuni pezzidella serie televisiva Borgia, che avevainiziato a girare. Ed era bravissima,carina, giovane, fresca... perfetta perquesta parte.

●C'è voluto molto tempo per glieffetti speciali, durante lapost-produzione...Anche immotivatamente. Si possonofare in minor tempo. Una parte deglieffetti si realizzava in Italia, un'altranegli Stati-Uniti. C'è stata unacomunicazione pessima. Alcune cosesono state rifatte anche 3 o 4 volte. Èstato molto laborioso.

●Come è stato accolto il film aCannes?Mi ha commosso quello che ha fattoil direttore del festival, ThierryFrémeaux, che prima dellaproiezione di Dracula 3D hamostrato un collage di estratti di tuttii miei film. Mi ha detto che non loaveva mai fatto per nessuno prima.La sala era pienissima. C’erano moltepersone che non sono potuto entraree che sono dovuti andare alleproiezioni dei giorni seguenti. C’èstato un grande applauso alla fine.

●E i mercati esteri?Lo hanno venduto dappertutto. NegliStati Uniti esce in marzo, in Francia agennaio o febbraio. Uscirà in India,in Corea del Sud e in tutto ilSudamerica. Mi hanno chiesto diandare al Festival di Buenos Aires,che è molto importante per quellaparte del mondo.

JUZO ITAMIÈ STATO SUICIDATO

INTERVISTA ■ MARK COUSINS

2012, l’Odissea del filma puntate, un preziosocofanetto in 8 dvddi GIANCARLO MANCINI

●●●Quindici ore di film realizzatein cinque anni di lavoro perraccogliere quanti più spunti,quante più scene da ricordare dallastoria più che centenaria del cinemamondiale. Ed è solo una deipossibili usi, a parte il semplicegodimento, ai quali si può volgere lavisione di The Story of Film: anOdissey di Mark Cousins, uscito orain dvd (Bim/01 Distribution, 8dischi, • 49,90) dopo unacoraggiosa distribuzione nelle saledi alcune città italiane.

Raccontare la storia del cinemamondiale con un’articolazione euna distensione così smisurata èun’operazione che ha sicuramentedei germi di follia, didonchisciottismo, specie secontestualizzati nell’ambito dellagenerale crisi dei consumi legatiall’audiovisivo. Ma questo irlandesetrapiantato da diversi anni in Scozianon è nuovo a tentativi del genere,basti vedere l’afflato con cui in Thefirst Movie (2009), ha raccontato delsuo viaggio a Gotapa, nel Kurdistaniracheno, dove si è dedicato adinsegnare ai ragazzi le tecniche pergirare un film spingendoli poi ametterle in pratica. Oppuredell’avventuroso viaggio da unacosta all’altra della Scozia assieme aTilda Swinton, per proiettare,paesino per paesino, le pietre miliaridella storia del cinema.

«Il cinema è ancora giovane, lasala non è più il luogo principale incui la gente si reca per vedere i film,ci sono i dvd, internet, ma lanecessità è rimasta intatta perchéha una dimensione in un certo

senso religiosa, in ogni luogo èlecito pregare per poi ritrovarsi tuttiinsieme il giorno della funzione».

Un mistico della celluloide?Cousins non ha paura di questoaccostamento: «I registi devonodiventare come dei missionari perfar arrivare il cinema dove nonarriva. Se c’è una cosa alla qualetenevo mentre pensavo a questofilm era di dimostrare quantoancora oggi il cinema che conta,quello che ricordiamo non abbiamai tenuto conto né del marketingné dei soldi».

Questo irlandese dalla vocemorbida sembra uno di quelli a cui ifilm hanno salvato la vita, ildiscepolo di una setta dolce.«Quando ero un bambinoimpaurito, nella Belfast in guerradegli anni settanta il cinema ha fattoda cuscinetto rispetto al mondoesterno. E quando sono stato aSarajevo, durante il più lungoassedio dai tempi della secondaguerra mondiale ho potuto vederequanto forte era il desiderio dellepersone comuni di evadere da tuttaquella violenza. Ho capito che nonsi trattava solo di rilassarsi altermine di una dura giornata dilavoro seguendo sullo schermo unastoria ben scritta e ben recitata madi qualcosa di più profondo enecessario».

Prodotto dalla Hopscotch Films edal canale televisivo britannicoChannel4, The Story of Film, non èun atto di protesta per come sonoandate le cose dentro e fuori i set,come nelle Histoire(s) du cinema diGodard, quanto piuttostol’occasione per ricordare e magaririvedere i film che ancora oggi ci

emozionano, ci fanno ridere, ciscuotono con la loro forza,inserendoli nel tempo in cui furonoprodotti e dal quale inevitabilmentefurono contaminati.

Il neorealismo italiano dopo laseconda guerra mondiale per primoha fatto capire l’esigenza di tornarea raccontare i fatti, le persone, non ipersonaggi; da lì osserva Cousins, èiniziato un nuovo modo di guardareil mondo. In un salto che può forseanche a ragione apparire azzardato,si passa dal finale di Ladri dibiciclette di De Sica, con Maggioraniinseguito dalla folla dopo il furtodella bicicletta, a Fred Mac Murray eBarbara Stanwick in La fiamma delpeccato (1944) di Billy Wilder che siperdono entrambi a causa della loroavidità. In modi completamentediversi entrambi raccontano lasocietà del proprio tempo, l’Italiadistrutta dalla 2˚ guerra mondiale el’America delle assicurazioni sullavita, del benessere a ogni costo.

Anche se l’Europa e gli Stati Unitila fanno giustamente da padroni,The story of film persegue unastruttura a salti, in cui a fianco diCharlie Chaplin, Jean Renoir eFederico Fellini figurano KenjiMizoguchi, Satyajit Ray e SembeneOusmane. Un’odissea, come recitail sottotitolo, un viaggio a ritrosonell’evoluzione del cinematografoche tiene in conto dei passi indietro,delle trappole, delle tempeste(storiche), degli esaltanti momentidi liberazione.

Un capitolo interessante riguardaquella vena di cineasti americaniche Cousins definisce satirici. FrankTashlin, Mike Nichols, Bob Altman,ovvero coloro a cui premeva più di

ogni altra cosa rovesciare con i filmla realtà. Opere come Comma 22,con Orson Welles ancora ubriacodalla notte precedente che si fa direpasso passo le battute da Nichols. Epoi M.A.S.H., con lo sgangherato,lascivo ospedale da campoamericano durante la guerra diCorea, del quale basti ricordare lamemorabile scena dell’orgasmodell’infermiera trasmesso attraversogli altoparlanti. O Artisti e modellecon Jerry Lewis che sovverte ognibuon senso combinandone di ognimentre Tashlin induce oltre ognimisura dell’epoca (siamo nel’55)nell’inquadrare leggiadre silouhettesfemminili in costume da bagnoquando da noi ancora negli annisessanta si dovevano andare avedere i film mitologici per sbirciaretra le scollature di regine e deevenerande.

Il cinema è in The story of film lalingua globale del nostro tempo,l’esperanto del XX˚ secolo, la stele ingrado di oltrepassare nazionalismi edivisioni etniche. «Quando sonoandato in Iraq quei ragazzi nonavevano mai visto un film in vitaloro ma capivano il linguaggio delleimmagini perché è un linguaggiouniversale, era l’unico modo cheavevamo per comunicare».

ORIENTEESTREMO

DI MATTEO BOSCAROL

UN COFANETTO

DVD

Una scena da «2001 Odissea nello spazio»di Stanley Kubrick

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(8) ALIAS5 GENNAIO 2013

pre moderati arabi < 203 204 205 >

Abdulahi Lakfawni, Abdullahi Toubali, Ahmed Sbai, BabaitMohamed Juna, Brahim Ismaïli, Cheikh Banga, Deich Eddaf, ElAyoubi Mohamed, El Bachir Khadda, El Houssin Ezzaoui, EnaamaAsfari, Hassan Dah, Lbakai Laarabi, Laaroussi Abdeljalil, Mach-doufi Ettaki, Mohamed Bani, Mohamed Bourial, Mohamed ElBachir Boutinguiza, Mohamed Embarek Lefkir, Mohamed LaminHaddi, Mohamed Tahili, Sid Ahmed Lemjiyed, Sidi Abdallah B’hahe Sidi Abderahmane Zayou sono i militanti sahrawi incarcerati peraver partecipato alle proteste iniziate a Gdeim Izik nell’ottobre 2010.A distanza di due anni dal loro arresto, e da due sospensioni del pro-cesso, saranno giudicati dal Tribunale militare di Rabat a febbraio.Ma «il procedimento è illegale: secondo le convenzioni internaziona-li, sottoscritte dal Marocco, i tribunali del re non hanno titoli per giu-dicare reati commessi fuori dal territorio nazionale» (www. arso.org).

INTERVISTA ■ MAURO VALERI

Come tirare un grancalcio di rigoreai buu e uh uh razzisti

CHE RAZZA DI TIFO●●●Una storia che deve finire, concordano tutti, quella dei cori e degli striscioni razzisti sugli spalti degli stadi, masta di fatto che la rivolta e la sospensione della partita è stata possibile in Italia solo nell’ormai celebre amichevolePro Patria - Milan disputata giovedì scorso a Busto Arsizio (Varese). Mauro Valeri che cura anche la rubricasettimanale «All’ultimo stadio» sul sito www.italiarazzismo.it, ha esaminato nel suo recente «Che razza di tifo. Diecianni di razzismo» (ed. Donzelli, 17 euro) gli ultimi dieci campionati di serie A, B, Prima e Seconda Divisione e CoppaItalia; attraverso le sentenze del giudice sportivo e le denunce della stampa, analizza oltre cinquecento episodi dirazzismo di diversa gravità, a opera delle tifoserie e dei calciatori. Quello che sorprende è la difficoltà di contrastaree punire il concetto stesso di razzismo. Infatti il giorno dopo «l’amichevole», nelle radio sportive già si sente dire: vabene, ma ora parliamo di calcio. E domani dopo la pausa delle feste ricomincia il campionato. (s.s.)

di PASQUALE COCCIA

●●●Patrick Vieria, ex calciatore diJuve, Inter e Milan, oggi dirigente delManchester City, ha dichiarato alTimes che secondo lui i calciatori dicolore che militano nel campionatoitaliano devono rassegnarsi alrazzismo che vige in campo e suglispalti, perché l'Italia non vuolecombattere il razzismo.Sull’argomento abbiamo rivoltoalcune domande a Mauro Valeri,sociologo e psicoterapeuta, che dirigel’Osservatorio sul razzismo eantirazzismo nel calcio. Valeri hapubblicato La razza in campo. Peruna storia della rivoluzione nera nelcalcio (Edup, 2005), Black italians.Atleti neri in maglia azzurra (Palombi,2007), Nero di Roma. Storia di LeoneJacovacci, l’invincibile mulatto italico(Palombi, 2008), Che razza di tifo.Dieci anni di razzismo nel calcioitaliano (Donzelli, 2010), Stare aiGiochi. Olimpiadi tra discriminazionie inclusioni (Odradek, 2012).

●In questi dieci anni hai osservatoil fenomeno del razzismo nel calcio.Qual è il risultato?Ho iniziato il mio lavoro con lo scopopreciso di dimostrare che nel calcioitaliano esiste il razzismo, a fronte dichi, come molti dirigenti dellaFederazione italiana gioco calcio(Figc), riteneva che fosse unfenomeno limitato o addiritturainesistente. Analizzando le sentenzedei giudici sportivi e le notizie distampa, ho documentato oltre 500episodi registrati nei campionatiprofessionistici. Oggi nessuno puòdire che negli stadi il razzismo non visia o sia limitato a qualche tifoseria.In questa stagione, in cui di razzismosi parla poco, siamo arrivati a 25episodi, lo stesso numero degli ultimidue campionati, 500 episodi sono unnumero rilevante, in 10 anni sonocostati alle società di calcio oltre 3milioni di euro.

●Che fine fanno i soldi delle multe?Da anni propongo che vadano afinanziare le attività antirazziste tra itifosi. Invece, da quel che so,finiscono per pagare i costi digestione della Figc e delle leghecalcio.

●Il tifo italiano è razzista?Ci sono almeno due tipi di razzismo.Il primo è «di propaganda», messo inatto da tifosi legati a gruppi diestrema destra, che vanno allo stadiocon l’obiettivo di fare proselitismo,anche a prescindere da quello cheavviene in campo. È stato il razzismopredominante negli anni ’90. Ilsecondo è il razzismo «degli spalti»,che se la prende con i «diversi» incampo. È il razzismo più recente enon sempre è connesso con quello dipropaganda. In 10 anni le tifoseriecoinvolte a vari livelli sono state uncentinaio. È un fenomenodecisamente diffuso.

●Cosa fanno le società di calcio perla lotta al razzismo negli stadi?Poco, o se lo fanno tendono a nonpubblicizzarlo. Ci sono due problemidi fondo. Il primo è che molte societàsubiscono il ricatto di gruppi di tifosidi estrema destra (spesso legati allamalavita). Gestire una curva vuol dire

anche fare affari: dal marchendisingalla vendita dei biglietti omaggio,dalla gestione dei parcheggi a ciò chesi vende in curva. Molte società dicalcio, anziché tagliare i ponti conquesti gruppi hanno finito per fareaccordi, tra i quali rientra il divieto dipromuovere attività antirazziste.Basta ricordare che fino a qualcheanno fa alcune tifoserie impedivanoalle società di tesserare calciatori nerio ebrei. L’altro problema è che inItalia, a differenza di altri paesieuropei, la lotta contro il razzismoviene intesa come lotta di una partepolitica. Ci sono, però, anche societàche fanno un buon lavoro, come ilVerona o il Genoa. Anche l’iniziativadella Lazio di scendere in campo conla maglia con su scritto «No Racism» èun segnale positivo. Il problema è chespesso sono iniziative estemporanee.In altri paesi europei quasi tutte lesocietà promuovono costantementeiniziative antirazziste, come durantel’Action Week, ogni anno proclamatadalla Uefa ad ottobre.

●E la Figc?Dopo che per anni ha negato ilproblema, ultimamente c’è statamaggiore consapevolezza, ancheperché l' Uefa è diventata piùintransigente. L’Italia ha perso lapossibilità di organizzare gli ultimiEuropei di calcio perché non hadimostrato di fare abbastanza controil razzismo. La lezione è servita, vistoche negli ultimi due anni tutte lesocietà professionistiche partecipanoalla giornata di formazionesull’antirazzismo «imposta» dallaUefa. È un’adesione che per alcunesocietà è più che altro una formalitàburocratica, ma ci sono altre cheiniziano a fare iniziative interessanti.

Quello che più mi colpisce è che moltidirigenti rilasciano dichiarazionisconfortanti: di fronte al razzismonon si può fare nulla. Certo, le misurerepressive non hanno determinatouna riduzione del razzismo. Ma lecose da fare sono molte. Un’iniziativache non costerebbe nulla sarebbequella di dedicare un’ora al mese aspiegare ai ragazzi e alle ragazze chefrequentano le scuole calcio cosa è ilrazzismo. Non c’è niente diideologico, visto che la lotta contro ladiscriminazione razziale è previstadallo stesso codice della giustiziasportiva, che proibisce a tutti itesserati, quindi dal calciatoreall’allenatore al dirigente, ma anche altifoso, di avere comportamentirazzisti.

●E perché non si fa?Perché bisognerebbe entrare nelmerito di cosa sia la discriminazionerazziale, e la Figc e le società di calciotemono che in questo modo si facciapolitica. Mi ha sempre colpito che inItalia, a differenza degli altri paesi,non vi sia alcuna chiarezza su qualisiano i simboli razzisti vietati allostadio. Se sostieni che la croce celticaè vietata, trovi sempre quello che diceche allora sarebbe da vietare anche ilsimbolo della falce e martello. Lostesso vale per i cori. Ci sono tifoserieche sostengono che i buuu indirizzatiai calciatori di colore non sonorazzisti, mentre lo sono soltanto gli uhuh uh, cioè il verso della scimmia.Sarebbe importante provare a farechiarezza.

●Non pensi che ci sia un rapportotra il calcio e la politica?Assolutamente sì. Questo è ilparadosso. L’attività antirazzista viene

ostacolata dalle società di calcioperché «politica», mentre poiabbiamo presidenti che fanno politica(come Berlusconi, o anche Zamparinidel Palermo o Lotito della Lazio che sipropongono perfino come leaderpolitici). Anche molti dei cosiddetticapicurva, appartenenti a tifoserie diestrema destra o alla Lega Nord, sonostati eletti nei consigli comunali oregionali. I casi più eclatanti sonoquelli di Verona, Roma, Padova, e laLombardia. Penso che anche lenomine dei dirigenti delle istituzionicalcistiche siano condizionatedall’appartenenza politica.

●Cosa fanno le tifoserie di sinistranella lotta al razzismo?Ci sono tifoserie che da sempre

hanno fatto della lotta contro ilrazzismo una componenteimportante del modo di stare allostadio. Negli ultimi anni, però, mentrele tifoserie di estrema destraconquistavano le curve con laviolenza, quelle di sinistra sono statequelle che più hanno subito le misurerepressive. E la repressione ha finitoper far passare in secondo piano iltema del razzismo e prioritaria la lottacontro la repressione, arrivandoperfino a stabilire qualcheimbarazzante connubio tra tifoserie di«destra» e tifoserie di «sinistra»nell’individuazione del nemicocomune.

●Perché all’estero i calciatori dicolore denunciano episodi dirazzismo messo in atto da altricalciatori e in Italia no?

In altri paesi europei è un temacentrale. Basta vedere quello che èaccaduto anche di recente inInghilterra con la squalifica a JohnTerry, capitano della nazionale e lamulta a Luis Suarez. In Italia, invece, idati sono molto più contenuti, mapenso che questo dipenda da altrifattori, come la solitudine in cui vienein genere lasciato il calciatore chedenuncia di essere stato vittima dirazzismo da parte di un avversario. Inaltri paesi sarebbe impensabile che,come è avvenuto in Italia, ungiocatore che aveva denunciato diessere stato insultato da unavversario, sia stato anche richiamatodal suo allenatore perché riteneva chesono episodi che non vanno

denunciati. Denunciare il razzismoviene inteso come un atto di slealtànei confronti dell’ambiente, se lo faivieni emarginato da tutti, anche daicompagni di squadra, perciò meglionon denunciare. Il vero cambiamentosi ha se la società, in primisl’allenatore, si dichiara antirazzista esi impegna personalmente nella lottaal razzismo. Quando a un allenatoreitaliano gli fu chiesto cosa pensassedel fatto che lo stadio Olimpico fossepieno di svastiche, rispose che luiguardava solo fino all’altezza dellatraversa. È anche importante che icalciatori non a rischio di esserevittima di razzismo si dichiarinoapertamente antirazzisti. Invece inItalia questo non accade. Anzi,abbiamo calciatori che si sonodichiarati apertamente di estremadestra.

●Pensi che i giovani calciatoriextracomunitari, rispetto ai lorocoetanei italiani, abbiano menopossibilità di sfondare?Va detto chiaramente che nel calcioitaliano, e in molti altri sport, vige unvero e proprio razzismo istituzionale.Un ragazzo figlio di migranti hamolte difficoltà ad emergere, perchéle regole per il tesseramento sonopiù rigide. La Figc sostiene chedipende dal rischio della tratta deibaby calciatori, dalle normeinternazionali, dalla legge sullacittadinanza, ecc. Io invece sonoconvinto che risponde a interessipolitici ed economici. Politici perchéc’è chi rivendica l'idea che nellesquadre italiane debbano giocaresolo calciatori italiani, come mi èstato detto da un alto dirigente dellaFigc. Economico perché, per come èfatto oggi il sistema, i procuratoripuntano quasi esclusivamente suigiovani italiani che frequentano lescuole calcio.

●Prevedi una recrudescenza dirazzismo nel calcio?Nei prossimi anni ci saranno moltesfide. Penso a cosa potrebbe accaderequando avremo il primo arbitro neroin serie A! Di sicuro ci saranno piùcalciatori italiani con un colore piùscuro della pelle. Le ultime prese diposizione del presidente della FigcGiancarlo Abete, anche sull’omofobiae sull’antisemitismo, fanno bensperare, così come le parole e icomportamenti del ct della nazionalePrandelli. Anche qualche calciatoreinizia a metterci la faccia, comeMarchisio della Juve. Ma è ancorapoco.

SPORTTifoserie e simbolinazisti allo stadio

NO AL RAZZISMO

«...Molte societàsubiscono il ricattodi gruppi di tifosidi estrema destra(spesso legati allamalavita). Gestireuna curva vuoldire anche fareaffari...»

Page 9: Alias supplemento de Il Manifesto (05.01.2013)

(9)ALIAS5 GENNAIO 2013

IL DOCUMENTARIO

LA RASSEGNA

LA MOSTRA

ASTERIX E OBELIX AL SERVIZIODI SUA MAESTÀ (3D)DI LAURENT TIRARD, CON GÉRARD DEPARDIEU,CATHERINE DENEUVE. FRANCIA 2012

0Cesare alla testa delle suegloriose legioni decide di invadereun’isola chiamata Britannia. La

vittoria è rapida e totale. Ma un piccolovillaggio riesce a resistere. Cordelia,Regina della Britannia, decide allora diinviare il suo ufficiale più fedele Beltoraxin Gallia per chiedere aiuto ad un altropiccolo villaggio, noto per la sua tenaceresistenza ai Romani...

CLOUD ATLASDI ANDY WACHOWSKI E LANA WACHOWSKI, TOMTYKWER, CON TOM HANKS, HALLE BERRY. USA2012

0La storia si dipana nell’arco dicinque secoli. Le azioni e leconseguenze delle nostre vite

hanno impatto l'un l'altra attraversopassato, presente e futuro. Basato sull’omonimo romanzo di David Mitchell e uncast spettacolare.

QUELLO CHE SO SULL'AMORE -PLAYING FOR KEEPSDI GABRIELE MUCCINO, CON DENNIS QUAID, UMATHURMAN. USA 2012

0Uno sfortunato ex calciatoretorna a casa per rimettere inpiedi la sua vita. Con la speranza

di ricostruire il rapporto con il figlio, siritrova ad allenare la squadra di calcio delbambino. Ma le attraenti madri dei babycalciatori sono in agguato per sedurlo.

A ROYAL WEEKENDDI ROGER MICHELL, CON BILL MURRAY, LAURALINNEY. USA 2012

0Nel giugno 1939 il PresidenteFranklin Delano Roosevelt e suamoglie Eleanor ospitano il re e la

regina di Inghilterra per un week-end nellaloro casa di Hyde Park on Hudson. Laprima visita di un monarca inglese inAmerica sarà l’occasione per una specialerelazione tra i due Paesi, ma anche peruna profonda comprensione dei misteridell’amore e dell’amicizia.

LA SCOPERTA DELL'ALBADI SUSANNA NICCHIARELLI, CON MARGHERITA BUY,SERGIO RUBINI. ITALIA 2013

0Roma, 1981: il Professor MarioTessandori viene ucciso da duebrigatisti, nel cortile dell'università

e sotto gli occhi di tutti. Muore tra lebraccia di Lucio Astengo, suo amico ecollega. Poche settimane dopo, LucioAstengo scompare nel nulla. Nel 2011,Caterina e Barbara Astengo, che avevanosei e dodici anni quando è scomparso ilpadre, mettono in vendita la casetta almare della famiglia. In un angolo della casac'è un vecchio telefono. Quando Caterinasolleva la cornetta e scopre che dàsegnale di libero, prova, quasi per gioco, afare il numero della loro casa di città ditrent'anni prima. Le risponde una voce dibambina. È lei, a dodici anni, una settimanaprima della scomparsa del papà.

I 2 SOLITI IDIOTIDI ENRICO LANDO, CON FABRIZIO BIGGIO,FRANCESCO MANDELLI. ITALIA 2012

1Pieno di parolacce e scurrilità perla gioia dei ragazzini in liberauscita da genitori, scuola, internet

e calcio, Biggio&Mandelli scippanoletteralmente, dopo 27 anni, ilcinepanettone a De Laurentiis. Lotrasferiscono in una Milano chescimmiotta volutamente la romanità diChristian e del Cipolla e lo risputanocome prodotto «alto», colto, moderno,del tutto ringiovanito, privo di scorietelevisive (nella casa di Gianluca non c'èneanche la televisione, con orrore delpadre) e, soprattutto, politicamentescorretto. Al punto che al berlusconismoromanizzato di Ruggero De Ceglie sicontrappone il montismo del futurosuocero di Gianluca, sobrio e antipaticocome Monti. Tutto è fin troppo teorico eintelligente. (m.g.)

ERNEST ET CÉLESTINEDI BENJAMIN RENNER, STÉPHANE AUBIER, VINCENTPATAR. ANIMAZIONE. FRANCIA 2012

7Ernest è un grosso orsobohemien. Célestine una topolinache vive in orfanotrofio e riempie

i suoi taccuini da disegno di orsi, il che ègià un sacrilegio. Topi e orsi infatti vivonorigorosamente separati, gli uni nella cittàsotterranea, gli altri di sopra, i lorouniversi sono nemici. Un’animazione lieve.col tratto dell’acquerello che esaltal’universo poetico della storia sceneggiatadalla penna di Daniel Pennac. A ispirare loscrittore sono stati gli album della serie diGabrielle Vincent, disegnatrice belga(nell'edizione italiana le voci sono diClaudio Bisio e di Alba Rohrwacher).Regalo di Natale della Sacher di NanniMoretti. (c.pi.)

LO HOBBIT, UN VIAGGIOINASPETTATODI PETER JACKSON, CON AIDAN TURNER, ANDYSERKIS. UK 2012

1Prima parte di una nuovaincredibile trilogia che ciaccompagnerà fino al 2014.

Anche se non c'è molta storia da seguire aparte questi dodici nani+Gandolf+l'hobbit, che si menano a sanguecon una massa sterminata di orchi, troll, eCrosetti vari che incontrano durante illoro viaggio verso la Montagna Solitariadove vive un drago più assatanato di soldie potere di Berlusconi, i ragazzi di tutto ilmondo cresciuti con la Trilogia degliAnelli non hanno altro desiderio cherivedere i loro eroi. E sono assolutamentestrepitosi i dodici nani della compagnia,quasi tutti attori inglesi di gran classe.(m.g.)

LOVE IS ALL YOU NEEDDI SUSANNE BIER, CON TRINE DYRHOLM, PIERCEBROSNAN. DANIMARCA 2012

6La regista danese la definisce una«commedia romantica», masembra di più l'ennesima

variazione sul tema familiare che le ètanto caro. Certo siamo a Sorrento, ilmassimo del kitsch sdolcinato, si devecelebrare un matrimoni, i parenti si dannoappuntamento e ovviamente sarà undisastro orchestrato tra battutine dispirito e momenti melensi. Il punto è cheil cinema di Susanne Bier non sorprendemai, e tantomeno questa volta, in cui piùdel solito la regista sembra appoggiarsicon sicura astuzia a un impiantocollaudato e molto, molto ammiccante.(c.pi.)

JACK REACHER - LA PROVADECISIVADI CHRISTOPHER MCQUARRIE, CON TOM CRUISE,ROSAMUND PIKE. USA 2012

7Tra Rambo e Sherlock Holmes ilpersonaggio dell’ex agentesegreto creato da Lee Child, è

ripensato in questo adattamento sumisura del suo protagonista, Tom Cruise.Un po’ intuitivo un po’ sterminatore, ilquasi supereroe permette infatti alla stardi sfoggiare tutto il repertorio macho diabilità (mentale) e soprattutto di muscoliche lasciano senza respiro la biondaavvocatessa Rosamund Pike, imbarazzatama già perduta. Dietro all’apparentebanalità di superficie, però, il giocattolonedi lusso, controllatissimo da Cruise(seppure con una certa abilitàprofessionale del regista) che ne è ancheproduttore, rivela una cifra ambigua moltopiù inquietante. Si parla di armi, di guerra,di reduci, tutti temi complessi econflittuali nella cultura – enell’imnmaginario – americani. (c.pi.)

LA MIGLIORE OFFERTAGIUSEPPE TORNATORE, CON GEOFFREY RUSH,DONALD SUTHERLAND. ITALIA 2013

6Antiquario di fama mondiale,battitore alle astepiù ambite,VirgilOldman(Geoffrey Rush, il

protagonista di Il discorso del re) èossessionato dall’arte e dalla sua bellezza.Non ha amori Virgil né amici tranne il

socio e complice Billy (DonaldSutherland), che ha ambizioni di artista dalui mai riconosciute ma che gli èindispensabile nelle sue spericolate eambiziosissime ricerche di opere rare. Lasua unica emozione è nel possesso di queicapolavori, il mondo è qualcosa di remotoda cui proteggersi. Ma non è un omaggioall’arte, piuttosto un film sul cinema nonsolo per i riferimenti cinefili, ma anche perla parola come messinscena, ilcollezionista a evocare il regista. Ma il filmnon raggiunge mai la necessaria magia.(c.pi.)

THE MASTERDI PAUL THOMAS ANDERSON, CON JOAQUINPHOENIX, PHILIP SEYMOUR HOFFMAN, AMYADAMS, LAURA DERN. USA 2012

7Paul Thomas Anderson ricordal'America delle sette religiose.Sempre più ambizioso e

concentrato, il più bertolucciano deicineasti hollywoodiani (ricordate ilussuriosi affreschi epici «volanti»Magnolia e Il petroliere?), è qui al suosesto lungometraggio. Il rapporto difiducia tra salvezza eterna e conto inbanca è alle origini della fondazionepuritana e proprietaria del paese e anchedello sterminio dei nativi, benedettocertamente dal cielo calvinista che tifasempre e solo per le mentalità vincenti.Con The Master si arriva alle scaturiginidelle varie sette Moon. (r.s.)

MOONRISE KINGDOMDI WES ANDERSON, CON EDWARD NORTON,BRUCE WILLIS. USA 2012

7Anderson disegna il primo filmd'animazione con attori in carne eossa, figurette stagliate nei fondali

verdi, a dimensione geometrica dove ilregista di Fantastic Mister Fox, esercita lasua poetica su musica di Benjamin Britten.Una galleria di ritratti magnifici, Bill Murraye Frances McDormand, i genitori maleassortiti di Suzy, Bruce Willis, il poliziottosolitario, afflitto da un passato d'amore noncorrisposto, Tilda Swinton in tenuta blu daaguzzina per giovani «devianti», EdwardNorton, tenero e incapace di mantenere ladisciplina a Camp Lebanon, e un HarveyKeitel comandante Pierce, generalissimoscout.(m.c.)

LA PARTE DEGLI ANGELIDI KEN LOACH, CON PAUL BRANNIGAN E JAMESCASEY, UK 2012

7Loach ridimensiona il macho diperiferia in questa commedia dalritmo rockettaro, dialoghi

scoppiettanti e una storia finalmente nonapologetica del «povero cristo». Glasgow, ilprologo è una esilarante galleria di tipettifuorilegge. La Scozia, dice Loach, è «unaterra di solidarietà». Saranno tutti destinatiai «lavori socialmente utili». Poi il film siscatena in un rocambolesco furto di whiskydal prezzo «inestimabile», un milione disterline per una botticella conservata nel«sacrario» di una cantina esclusiva. Unaserie di gag, equivoci, incidenti si trasformada film sugli emarginati no-future in unascrewball comedy. (m.c.)

LA REGOLA DEL SILENZIO - THECOMPANY YOU KEEPDI ROBERT REDFORD, CON ROBERT REDFORD, SHIALABEOUF. USA 2012

7Avevano dei «buoni motivi» iWeathermen per rispondere alfuoco dei massacri in Vietnam e

sulle strade e sui campus del Movement,all'eliminazione capillare dei militanti dellaStudents for a Democratic Society e delleBlack Panthers. Indagine trent'anni dopo sui«clandestini» che colpivano stazioni dipolizia, basi dell'esercito, uffici delPentagono con ordigni destinati a non farevittime. Jim Grant (Robert Redford),avvocato a difesa dei diritti civili,combattente nel passato e nel presentedalla parte della «brava gente», scovato dalreporter di provincia, collega indizi su indizi,e non molla la presa anche se il direttoredel giornale di Albany (Stanley Tucci) temela reazione rabbiosa dell'Fbi. (m.c.)

A CURA DISILVANA SILVESTRICON MARIUCCIA CIOTTA,GIULIA D’AGNOLO VALLAN,ARIANNA DI GENOVA,MARCO GIUSTI, CRISTINA PICCINO,ROBERTO SILVESTRI

I FILM

50 ANNI DI CINEMAGIAPPONESEROMA, ISTITUO GIAPPONESE DI CULTURA,VIA ANTONIO GRAMSCI 7410 GENNAIO - 19 FEBBRAIOUna bellissima rassegna di cinemagiapponese si inaugura giovedì 10gennaio all’Istituto giapponese di culturadi Roma divisa per decenni e registi diculto rappresentati da tre film ciascuno,con proiezioni alle ore 17 e alle ore19.30. Masahiro Shinoda, specializzato infilm tratti da opere letterarie rappresentagli anni ’60, Tai Kato (1916-1985) con isuoi film di genere samurai e yakuza (l’11gennaio è programmato il suo Red Peony Gambler her Life) gli anni ’70, Seijun Suzuki,conosciuto soprattutto per La farfalla sul mirino, gli anni ’80 (i suoi primi film inprogramma sono Zigeunerweisen lunedì 14 e Kagerosa) autore che iniziò con il genereyakuza e poi si dedicò a un filone più artistico e fu per questo licenziato dallaNikkatsu. A rappresentare gli anni ’90 sarà Takeshi Kitano con i suoi celebri GettingAny (15 gennaio e 28 gennaio), Kids Return (28 gennaio e 18 febbraio), Hanabi (15gennaio e 18 febbraio). Infine gli anni 2000 sono rappresentati da Shinobu Yaguchi,l’autore di Waterboys (il 17 gennaio), Happy Flight (4 febbraio), Swing Girls (2005) Oscargiapponese, in programma il 17 gennaio. info: 063224794 (s.s.)

LANGUAGEUsa, 2012, 3’30”, musica: Porter Robinson, regia:Jonathan Desbiens, fonte: Mtv

7Inseguita da un branco dianimali simili a lupi (vediamosolo le loro sagome in campo

lungo), una ragazza si getta da unascogliera, prima precipita nel vuototra suggestivi scenari naturali, poiricomincia ad essere nuovamenteinseguita dal branco; ma stavolta,sulla punta del precipizio, sarà lei afar fuggire via questi misteriosianimali che materializzano le suepaure più recondite. Sulle noteincalzanti della musica elettronica diRobinson, il regista (che si firma neititoli come Jodeb) si inventa un clipdalle immagini stroboscopiche (eastratte in alcuni punti), fortementeonirico.

STUDENTESSAUNIVERSITARIAItalia, 2005, 4’, musica: Simone Cristicchi, regia:Gaetano Morbioli, fonte: Video Italia

7Cristicchi testimone-attore(nei panni del bidello) dellevicende che vedono

protagonista la classica studentessafuorisede, «triste e solitaria». Con laproverbiale scioltezza che locontraddistingue e un montaggiocondito da morphing e altri effetti,Morbioli costruisce una narrazioneper quadri, con interessanti tagli diinquadratura e altre soluzionistilistiche, senza peraltro tradurrepedissequamente in immagini il testodella canzone che, pure, sipresterebbe ad essere sceneggiato.Nei panni della laureanda ValentinaCorreani, attrice e attualmenteconduttrice di MTV.

BAMBINAGiappone, 1999, 4’50”, musica: Tomoyasu Hotei,regia: Hiroyuki Nakano, fonte: Dailymotion

1All’inizio sembra un teneropadre che porta alla figlia,estraendolo da una valigetta,

un orso di pelle marrone, maappare sempre più chiaro che sitratta di un satiro attratto dalleadolescenti il rockettaro stile Elvisimpersonato dal giapponese Hotei(musicista, produttore e ancheattore). Ma Bambina ènaturalmente un clip oltre chedivertente e autoironico pieno didelicatezza, dove Nakano offre ilmeglio di sé, con qualche tocco diefficace sgangheratezza e dirudimentale videografica.Montaggio, taglio delleinquadrature e invenzionicoreografico-visive rendono bene ilrock demenziale di Hotei econtribuiscono alla costruzione diun personaggio davveroirresistibile. Nakano ha diretto perHotei altri 6 music video, tra cuiPoison e Vampire.

LA STUDENTESSADI CRISTICCHI

MAGICO

IL FILMBUON ANNO SARAJEVODI AIDA BEGIC, CON MARIJA PIKIC, ISMIR GAGULA, BOJAN NAVOJEC, SANELA PEPELJAK. BOSNIAERZEGOVINA FRANCIA GERMANIA TURCHIA 2012Magnifico film del dopoguerra. Sono già passati venti anni dall’inizio dell’assedio diSarajevo e i bambini sotto tiro, rimasti orfani e cresciuti in orfanotrofio, sonodiventati grandi. Così è Rahima (Marija Pikic, premio come miglior attrice al festivaldi Sarajevo) ora cuoca in un ristorante e vigile sul fratello quattordicenne che deveessere controllato a vista per evitare che finisca in mano alle assistenti sociali comeavvenne a lei. È una giovane donna che non si fa indimidire dalla prepotenza e dalpotere e con orgoglio cerca di difendere quello che è rimasto della sua famiglia chela guerra le ha portato via. Non usa le armi - non che le siano estranee - molto dipiù il silenzio, ma il risultato è comunque una storia spettacolare. Un film dove apercorrere le strade si incontrano pericoli di diverso tipo, ma non meno cruenti,dove i rumori della quotidianità rimandano inevitabilmente alle carneficine di anniaddietro. E dove raccontati in piano sequenza i viadotti e i sottopassi sono staticerto protagonisti allora di qualcosa di terribile. Il velo che Rahima legastrettamente attorno alla sua testa la difende dal mondo esterno: quel velo esprimemolte più cose di quante siano state raccontate nel corso di questi anni. Titolooriginale Djeca (bambini), distribuito dalla Kitchen Film, rappresenterà la BosniaErzegovina agli Oscar, dopo aver ricevuto premi al Certain Regard di Cannes, alfestival di Sarajevo e di Gijón. (s.s.)

IL MESE DEL DOCUMENTARIOROMA, CASA DEL CINEMA, LARGO MASTROIANNI7 FENNAIO - 15 FEBBRAIOL’associazione Doc/it Associazioneitaliana documentaristi proprone inrassegna la migliore produzione con 10film italiani e stranieri in competizione. Èun evento che nasce dal premio Doc/itProfessional Awards, il premio per ilmiglior documentario dell’Anno con isuoi 5 finalisti e il Doc International conuna cinquina in concorso che vengonoproposti per tutto il mesegratuitamente alla Casa del Cinema perconcludersi con la premiazione il 15febbraio. I film italiani saranno proiettati ogni lunedì alle ore 21.30 alla presenza degliautori con replica martedì alle 21.30: Lasciando la baia del re di Claudia Cipriani, BadWeather di Giovanni Giommi, FrekBeat di Luca Pastore, Tahir di Stefano Savona,L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin. I film stranieri verranno proiettati ognivenerdì alle ore 21.30 con replica domenica alle 18.30 e la presenza degli autoritramite skype: The interrupters di Steve James (Usa), China Heavyweight di YungChang (Cina-Canada), Steam of Life di Joonas Berghall, Mika Hitakainen (Finlandia),Five Broken Cameras di Emad Burnat, Guy Davidi (Palestina), The Arbor di ClioBernard (Uk). (s.s.)

FABRICA PARTECIPA ALLAMOSTRA «I BAMBINI DELLASHOAH»MUSEO ARCHEOLOGICO DELLA VALLE DEL SARNO,VIA CAVOUR, 9, SARNO2-27 GENNAIOL’area di comunicazione visiva di Fabrica, ilcentro di ricerca sulla comunicazione diBenetton Group, partecipa alla mostra «Ibambini della Shoah». L’idea è di creareuna mostra sui bambini che parli sia agliadulti che ai più piccoli, con l’obiettivo disensibilizzarli sul drammatico temadell’Olocausto, nella convinzione che laconoscenza della storia e la presa dicoscienza degli orrori del passato sono il migliore antidoto affinché questi non siripetano. Le 7 illustrazioni di Fabrica prendono spunto dai poemi composti dai piccolidetenuti di Terezín, campo di concentramento situato nell’attuale Repubblica Ceca. Igiovani borsisti, di nazionalità russa, ucraina, ecuadoregna, italiana e australiana, si sonoimmedesimati nei versi dei piccoli prigionieri e hanno dato forma di immagine al loromessaggio. Un filo spinato che diventa il gambo di una rosa, cosparso di boccioli; uncavallino a dondolo dietro le sbarre di una gabbia; le strisce nere della divisa da detenutiche si trasformano nei tronchi di un albero su cui nascono delle foglie. Questi sono itemi di alcune delle tavole, che rappresentano la tragedia della Shoah ma contengono altempo stesso un messaggio di speranza. Orario: 9-18, ingresso libero. Chiusa il lunedì.

SINTONIE

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(10) ALIAS5 GENNAIO 2013

di STEFANO TELVE

«L’italiano ha un suono bellissimo,molto romantico»: è con queste paroleche la mezzosoprano ingleseKatherine Jenkins, la «Callas del rock»,giustifica la scelta di tradurredall’inglese I Will always Love You diDolly Parton e di cantarla initaliano col titolo L’amore seitu (2005).

Il caso non è isolato.Perlomeno non lo èall’interno di uno dei generimusicali attualmente piùinternazionalizzati, ilcosiddetto operatic pop,una delle ultimeinvenzioni dell’industriadella musica commerciale. E dato chenella storia il binomio canto e linguaitaliana ha sempre sortito fortuna eapprezzamenti internazionali (dalSettecento di Metastasio all’Ottocentodei grandi compositori fino alNovecento di Puccini e poi di Caruso edei grandi tenori sull’orlo della musicaleggera), questo episodio sembra nonessere altro che l’ennesimo rilancio, inchiave contemporanea, della linguaitaliana come «lingua per musica» pereccellenza.

Si dice, ed è vero, che l’italiano nonsia una lingua adatta al rock, genereche invece perfettamente si abbinaall’inglese. Sarà che tutto ciò èpossibile per un fatto strutturale (ladiversità delle caratteristiche sillabichee accentuative delle due lingue) eanche per un fatto storico e culturale(se l’Italia è la culla del melodramma,l’Inghilterra rimane priva di una suatradizione fino al primo Novecento).Ma cambiando genere, cambia la

musica e cambia anche la lingua, e nelgenere lirico, potremmo dire, l’italianosembra riprendersi una rivincitasull’inglese, al punto da esserediventato un importante banco diprova per chiunque si cimenti colcanto lirico, foss’anche nel generepop.

Accanto e prima di KatherineJenkins ecco dunque fiorire, a partiredagli anni Novanta e soprattuttonell’ultimo decennio, artistiacclamatissimi soprattutto fuorid’Italia - si ricorderà il caso clamorosodei Tre tenori, Carreras, Domingo,Pavarotti - che in italiano cantano eall’Italia in qualche modo si ispirano: ilnome Il Divo è stato scelto, adesempio, per un quartetto di vocipop-liriche di provenienzainternazionale che interpreta canzonicon parole o titoli spesso in italiano e

che è arrivato a vendere più di 25milioni di copie. Il repertoriointerpretato da questo come da altrigruppi canori di profilo simile è spessomolto standardizzato e oscilla di fattotra le arie d’opera più celebri (CastaDiva, Nessun dorma e così via) e iclassici della tradizione napoletana (I’te vurria vasà, Torna a Surriento ecc.).Ma tra questi titoli compaiono anchepezzi originali e molto recenti, comead esempio Nella fantasia, brano contesto in italiano di Chiara Ferraù emusiche composte da EnnioMorricone per il film Mission (1986),che dopo l’interpretazione di SarahBrightman è diventata di fatto unnuovo standard del genere.

Se poca originalità parecontrassegnare il repertorio dei gruppi(Il Divo, Amici Forever, Ten Tenors ealtri), qualche spunto più innovativo siintravede nei singoli: c’è, ad esempio,chi compone pezzi in un italiano daitoni più moderni, come il baritonostatunitense Josh Groban, e chi siavventura persino nel terrenodell’italiano antico e letterario, dandovita a un patchwork che campiona emette insieme immagini e espressioniestratte da Dante, Petrarca, Leopardi.È il caso della soprano pop pariginaEmma Shapplin: «Veggio ’lcontrasto/vedi l’inganno/veggio,ardendo/dal diaspro il rogo[…]/Queste lacrime/smortevedove/cangiati sembianti/ciechi…sordi…».

Il lancio del genere operatic popcomporta dunque anche il ricorsoall’italiano in quanto ancorapercepito, come da tradizione, linguadella musica e del canto. Certo, sipotrà osservare, che l’italiano cantatonon significa che sia anche compresodal pubblico straniero, tanto piùquando è la musica, come in questocaso, a dominare la scena (del restoanche nell’opera capita che ilpubblico non capisca le parole, se non

ha davanti agli occhi il libretto). Ma ilpunto sembra essere proprio questo.Un tempo le difficoltà per l’Italiaerano dovute alla moda deicantautori, «troppo legati al testo persfondare dove la lingua non ècompresa», afferma Graham Johnson,in questi anni responsabile dell’ufficioestero dell’Ariston, ma con il ritorno almelodico tra gli anni ’70 e i primi anni’80 «la canzone italiana ha trovatopubblico anche se cantata in linguaoriginale» (come nel caso di Vado viadi Drupi, entrata nel mercato inglese).

All’estero, possono diventarepersonaggi di successo anche cantantinon tipicamente italiani, comeDonatella Rettore in Francia e GiannaNannini in Germania, che cantano initaliano e vengono apprezzate anchesenza che il pubblico capisca il testo.

Chi ascolta una canzone apprezzainnanzitutto la musica, prima che leparole. Il confine tra l’una e le altrenon è però così netto, e se ilsignificato delle parole può sfuggire onon essere compreso quello che nonpuò sfuggire è il loro suono, cioèquello che consente a chiunque didistinguere una lingua da un’altra eche una cantante come KatherineJenkins dice di apprezzaredell’italiano. D’altra parte, nonpotrebbe non essere così: due linguepossono esprimere gli stessisignificati, ma non possono farlo nellostesso modo e con le stesse sonorità eprosodie. L’italianità all’esterocoincide dunque, innanzitutto, conl’impronta della sua musicalità,caratteristica e riconoscibilissima: lamusica delle note che compongono lamelodia e la musica dei suoni checompongono le parole.

Il mainstream commerciale ricercae ritrova lo stile italiano nellaperpetuazione dei caratteri storicidella cantabilità e dell’espressivitàche, per accennare al primoNovecento, quando gli strumenti perla diffusione internazionale dellamusica erano decisamente menopotenti rispetto a quelli attuali,arrivano a toccare intorno alla metàdel secolo confini culturalmentelontani come ad esempio la Finlandia,

Tu vuo’ fa’l’italiano.Ecco l’operatic

FENOMENI ■ UN GENERE SPECIFICO E ALTRI FILONI PRO-PENISOLAUna teoriadi artisti stranieriche privilegianola nostra lingua.Con testi che sonoun modoper capire comeveniamo percepiti,cantati e fraintesi

In basso, da sinistra a destra: KatherineJenkins, Matze+Knop, Rainhard Fendrich,Kahimi Karie, Rosemary Clooney,Josh Gobran e il gruppo vocale Il Divo

In queste pagine, da sinistra a destra:in alto, i Knorkator, Dean Martine Louis Prima; al centro, gli Haggarde Mafalda Minnozzi

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con Modugno e Carosone, e Israele,con Rita Pavone, Bobby Solo e LittleTony.

La lingua è però anche veicolo dicultura, che spesso si cristallizza inparole che divengono emblemiidentitari. Nelle canzoniitalo-americane dei primi decenni delNovecento, erano ad esempiofrequenti parole dal sapore piùregionale. In Mambo italiano diRosemary Clooney, «calabrese»,«siciliano», «paesano», «tarantella»,«mozzarella», «baccalà» e «vino» sialternano a espressioni cheriproducono il dialogo spontaneo(«ehi cumpà», «Hello, che si dice?»),mentre in Angelina di Louis Primatroviamo accanto ad «antipasto» e«pizzeria» persino «minestrone» e larima «matrimoni : spumoni», checoniuga il sentimentale colmangereccio, un abbinamento chetorna anche in altre canzonidell’artista, come Felicia no capicia: «Itook Felicia out to Coney/She ate afortune in ziti and macaroni».L’accoppiata di questi italianissimitemi è tipica di un certo stile che,com’è noto, fa scuola: Dean Martin lareinventa come similitudine diruspante romanticheria in That’sAmore («When the moon hits youreye/like a big pizza pie, that’samore!») intercalandola anche lui allagenuina e spontanea nota di coloredel parlar cortese («Scuzza me, butyou see, back in old Napoli, that’samore!»). Cibo, amore e affabilitàsono insomma tessere fondamentalidell’identità italiana come vienerappresentata all’estero. Lotestimoniano le molte voci daprontuario turistico, cioè espressionielementari di saluto («addio»,«arrivederci», «buongiorno», «ciao») edi cortesia («grazie», «prego»),corredate da un lessico sentimentalefondamentale («amore», «bacio»,«bella»), che finiscono col mescolarsiad altre voci già note in inglese e inaltre lingue europee («concertino»,«grotto ‘grotta’», «piano», «piccolo»,«primadonna», «signorina», «viva»).

Dopo gli anni Cinquanta ci pensa ilboom economico ai nuovi apportilessicali. La vita bella cantata da DeanMartin in That’s Amore è oraribattezzata dolce vita e l’italianismosi diffonde per tutto il mondo. Leicone del lusso italiano finiscono colriversarsi soprattutto nei testi hip hopstatunitensi, in cui l’aspirazioneedonistica del rapper si concretizzanell’esibizione del lussuoso brand

made in Italy, dividendosi tra l’altamoda (Dolce & Gabbana, Fendi,Gucci, Prada, Sergio Tacchini, Versaceed anche Emilio Pucci e Pelle pelle) ele auto sportive (Ferrari, Lamborghini,Maserati) e mescolandosi al mito delpotere spregiudicato, evidenziato daparole come «familia» e «mafia», dallarima tra «Beretta» e l’italianismoottocentesco «vendetta» e dapersonaggi come Cesare Borgia eMachiavelli, ricordati come modelli dicomportamento.

Ma l’italianità non si riducenaturalmente a questo. Ancora unavolta, cambiando genere musicale ecambiando latitudine, cambianoanche i modi di rappresentare il BelPaese. Nella musica pop melodicaprodotta soprattutto in Europa sirievocano personaggi storici italianiper tratti indubbiamente positivi, perquanto ugualmente stereotipici:Rodolfo Valentino e Monna Lisaincarnano ancora una voltal’emblema italiano del fascino,Leonardo da Vinci, Michelangelo,Cristoforo Colombo, GugliemoMarconi quello del genio, insiemenaturalmente a Rossini, Verdi,Puccini, fino a Caruso. Il lessico èancora ridotto a italianismi noti eappartenenti alla consuete sferesemantiche: espressioni come «amoremio», «romantica» e «arrivederci»tornano sullo sfondo di luoghi comeCapri, Venezia, Roma, Portofino,Napoli, ma anche - per turisti europei,specie tedeschi e austriaci - comeJesolo. La compattezza e l’omogeneitàdel lessico con cui si raffiguranoaspetti stereotipati e oleograficidell’Italia è tale da prestarsi benissimoa stravolgimenti e rovesciamentiparodici.

Quelle parole ritornano, mainsieme a molti altri ingredientilinguistici italiani eterogenei, in

canzoni del genere rock o folk cherimescolano il tutto con finalitàperlopiù sarcastiche, dando vita acanzoni che sfiorano il nonsense(Zuppa romana dei tedeschi Schrottnach 8 e Numero Uno di Matze Knop,e in parte anche Bohemian Rhapsodydei Queen) oppure che ritraggonostorie amorose poco o nullaromantiche (anche se ambientateproprio a Roma o a Venezia) edunque pronte ad accogliere unvocabolario che per effetto delcontatto diretto con l’Italia è moltopiù variato e fresco, al punto daarrivare a comprendere anche ilturpiloquio (Strada del Soledell’austriaco Rainhard Fendrich eCarbonara degli Spliff, ma soprattutto,per l’ultimo aspetto, Ich will nur fickndella rock band berlinese Knorkator,Turisto Lituano del gruppo lituanoŽAS, Venezia del gruppo rockspagnolo Hombres G). Questo è adesempio uno stralcio da Unagiapponese a Roma della giapponeseKahimi Karie: «Una Giapponese a

Roma/Ai giardini di VillaBorghese/Voglio mangiare igelati/Modernista,futurista/Manifestazionequalunquista/Al Gianicolo».

Volendo schematizzare la presenzadell’italiano nella musica leggerastraniera si potrebbero individuarealcune etichette. C’è l’«italianoriproposto» di alcuni successisempreverdi italiani che vengono avolte anche fusi insieme a formare ununico brano (come in Balla balla diFrancesco Napoli e nell’Italian medleydegli australiani The Ten Tenors) eche danno modo a cantanti stranieredi guadagnarsi una popolaritàamplissima, come ad esempio inBrasile Mafalda Minnozzi.

Ma a volte non ci si accontenta direinterpretare i soliti successi e siprova con brani dimenticati o quasisconosciuti in Italia: è l’«italianoriscoperto», che può portare arinverdire brani del passato se nonanche ad affermarli definitivamentesul piano internazionale (come nelcaso eccezionale di Estate, scritto nel1960 e diventato nel corso degli anniuno standard jazz).

Ancora più interessante èl’eventualità di brani originali scrittidirettamente, in parte, o tutti, initaliano. L’«italiano originale» è unascelta che può nascere da più fattori,eventualmente concomitanti. Se siesclude la forza trainante di un genere,come nel caso dell’operatic pop, puòessere un’aspirazione multietnica eplurilingue (come ad esempio inalcune canzoni di Manu Chao e DanaInternational), una situazionepersonale contingente (Bella faccina diSananda Maitreya, sposato con unamilanese), un certo gusto dellasperimentazione (Mani meme, deibelgi Pas De Deux) oppure tutte questecose insieme (come per i Tuxedomoon)per progetti di più ampio respiro chetrovano nella cultura italianariferimenti stilisticamente importanti(come per i gruppi heavy metalDreams Of Sanity o gli Haggard, che sirichiamano al regno oltremondano diDante e al genio di Galileo).

Il panorama della presenza della

lingua e della cultura italiana nellamusica leggera straniera apparecomplessivamente ampio e variato.Innanzitutto, come è stato visto, inrelazione al genere musicale; insecondo luogo, alla latitudine,rimanendo i paesi europei piùsensibili al cantautorato italiano e alpop (si pensi alla notorietà in Franciao in Germania di artisti come PaoloConte, Pippo Pollina, GianmariaTesta).

Colpisce ad ogni modo chel’italiano nella musica stranieratestimoni una vitalità in parteautonoma e distaccata dall’Italia: sipensi all’evoluzione della sceneggiatanapoletana negli Stati Uniti,all’enorme successo all’estero (menoin Italia) dell’operatic pop, allaricorrenza e alla stabilità di iconestorico-culturali italiane (vere o falseche siano) e infine all’accreditamentodi autenticità di cui godono fuorid’Italia sia artisti come FilippoVoltaggio e la già ricordata MafaldaMinnozzi, sia alcune canzoni, comead esempio Nella fantasia, La califfa,Zuppa romana, Mamma Leone.

Si tratta di artisti e canzoni spessocompletamente sconosciuti in Italia,eppure decisamente affermati e notiin altri paesi. Certe immagini dellalingua, della musica e della culturaitaliane correnti all’estero nonriflettono insomma in modo direttoquanto avviene in Italia, ma sonoinvece in buona parte frutto direinterpretazioni e di tradizioni«esogene», che possono nascere esvilupparsi in un’altra lingua e inun’altra cultura in modorelativamente libero e autonomo.Potremmo dire che questo è ilcorrispettivo culturale e musicale diun fenomeno che è avvenuto e ancoraavviene per certe parolepseudoitaliane, cioè voci di origine oaspetto italiano che, sconosciute inItalia, trovano in un’altra lingua pienosignificato. Se gli italiani nonconoscono uno dei cantanti sopracitati, allo stesso modo faticherebberoa ricondurre alla propria linguaun’espressione come «alles paletti»,che i tedeschi usano per dire «tuttobene» percependone, loro sì, unaqualche origine italiana.

«SOUL FOOD JUNKIES», IL CIBO CHE UCCIDEdi FRANCESCO ADINOLFI

Byron Hurt (foto), regista afroamericano, ha 42 anni e vive in New Jersey. Il suo ultimodocumentario si intitola Soul Food Junkies e colpisce. Dopo aver intervistato storici, studiosi,medici, cuochi, attivisti e consumatori, il filmmaker ha concluso che il cosiddetto soul food,tipico del sud degli Stati Uniti ma diffuso ovunque negli Usa, è sempre più responsabile di unalto numero di decessi tra i neri. Il film, che debutta il prossimo 14 gennaio sulla tv pubblica Usae che presto sbarcherà su YouTube, rileva come l'identità culturale black sia intimamente legataa calorie e grassi presenti in cibi ricorrenti come pollo fritto o costolette di maiale. Ossia il soul

food, il cibo degli schiavi neri. Intervistata nel film, Jessica B. Harris, storica del cibo, rileva comele origini del soul food risalgano ai tempi della schiavitù quando l'assunzione di cibi grassi eipercalorici consentiva allo schiavo di bruciare durante il lavoro 3mila calorie al giorno. Il cibodel sud degli Usa cominciò ad essere chiamato soul food durante gli anni dei diritti civili e delblack power. Secondo il regista (suo anche il film Hip-Hop: Beyond Beats and Rhymes) esiste,infatti, un legame emotivo (che è anche orgoglio culturale) con quello che viene percepitocome il cibo che ha aiutato un popolo a sopravvivere in condizioni estreme. Insomma un cibodell’anima, dello spirito. Oltre a raccontare la storia del padre - morto nel 2006 per un cancroal pancreas scatenato da una dieta ricca di grassi - Hurt gira in lungo e in largo gli Usa arrivandoa Jackson, Mississippi. Qui banchetta con alcuni fan di football che si fanno fuori una raffica dicostolette, zamponi e colli di tacchino. SEGUE A PAGINA 12

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SOUL FOOD/2Visita poi lo storico Peaches Restaurant(foto), fondato nel 1961, e frequentatoda militanti e attivisti per i diritti civiliincluso Martin Luther King Jr. ByronHurt, nato in Georgia e cresciuto perpropria ammissione con una dieta a basedi cibi ipercalorici, sostiene che lacomunità nera sia devastata da malattieconnesse ad una scorretta

alimentazione. Rispetto ai bianchi, i nerisarebbero così più soggetti ad obesità ediabete. Inoltre - secondo i Centri Usaper lla prevenzione e il controllo dellemalattie - la probabilità che un nero siacolpito da infarto prima dei 75 anni èdue volte superiore rispetto ad altrecomunità. Di più: per Hurt, oltre allatradizione e alle abitudini, anche povertàe quartieri con supermercati di scarsaqualità giocano un ruolo importante.

«Capisco sempre quando sono in unazona nera, ci sono pochissimisupermercati e mancano negozi chevendano cibi sani». Insomma, una speciedi «apartheid culinario» come sostieneHarris nel suo libro High on the Hog: aCulinary Journey from Africa to America. Ilfilm si auspica che si possa avere - perlegge - un maggiore accesso a cibi diqualità e che i menu dei ristorantiriportino accanto ad ogni piatto il

di U_NET

«Just another motherfucking day forDre/So I begin like this/Nomedallions, dreadlocks or blackfists», così rappa Dr. Dre nel video diLet me Ride su una base musicaleche suona sample dei ParliamentFunkadelic, James Brown e BillWhithers. Mentre viaggia su unaLowrider del 1964 tra gli isolati diCompton, il rapper/producer di LosAngeles dichiara senza mezzi terminila propria filosofia, un elogio dellavita gangsta e il proprio rifiuto perl’impegno politico e il suoimmaginario: niente medaglioni,pugni chiusi né dreadlocks, simbolidell’estetica della scena rapmilitante.

Per i quattro anni precedenti il rapsi era indirizzato infatti verso unamusica impegnata, mentre Dre, conun abile gioco di rime, lasciavaintendere che The Chronic, il suodebutto di 20 anni fa, non sarebbestato così. La nuova G Thang nonaveva nulla a che vedere conl’impegno politico. Non si dovevaesser down for the cause per esserparte del gangsta shit! Let Me Ride,così come tutti i singoli estrattidall’album, divenne un verosuccesso e rifletteva una svoltaradicale sia nella produzionemusicale, sia nei testi, una chiarapresa di distanza dallo stile iperaggressivo di gruppi come i PublicEnemy o artisti come Ice Cube. LetMe Ride era irresistibile, la colonnasonora delle feste; il singolo esaltaval’attitudine gangsta e idealizzava ilghetto. In Rat tat tat tat, peresempio, Dre campionava una scenada The Mack, un film blaxploitation,dove Olinga, attivista comunitario ecoscienza morale del film, afferma:«Tu davvero non capisci, non è così.Devi capire che per far funzionare lecose dobbiamo liberarci di papponi,spacciatori, prostitute e ricominciaretutto daccapo».

Nel momento stesso in cuil’ascoltatore inizia a riflettere suqueste parole, un socio di Dre entracon un esagerato, «Nigga is youcrazy!» cui segue una canzone cheparla di omicidi vari e scene di caosnella comunità. A quella delmilitante rivoluzionario si stavasostituendo l’immagine di un ribelleche non rappresentava più unaminaccia per la società.

A partire dalla foglia di marijuanaraffigurata sulla copertina, daicampioni dei PFunk, per giungere

alla voce suadente, melliflua, dallachiara cadenza californiana, tutto eracreato con l’intento di far staretranquilli. Se Death Certificate di IceCube incitava alla rivolta, TheChronic suggeriva di farsi un tiro dauna canna d’erba e rilassarsi. Eramusica chiaramente influenzatadalle rivolte di Los Angeles ma chenon s’interessava né alle sue cause (oagli effetti), né tantomeno a trovareuna soluzione alle ingiustiziepresenti nella società.

The Chronic fondeva insiemeinfluenze diverse e contraddittorie,ghetto e sobborghi, strada etecnologia, primo e quarto mondo,insomma era una specie di palazzoGehry coperto di graffiti. Da un latodunque, l’album impresseun’accelerazione all’evoluzioneestetica e musicale dell’hip hop,dall’altro evidenziò anche undrammatico cambio d’indirizzo.Come afferma Greg Tate: «Da TheChronic in poi le etichettediscografiche delimitarono la musicarap in una formula ben definita -sesso, droga e violenza - nel tentativodi piazzare un nuovo prodotto sulmercato statunitense einternazionale. Ma quella transizionecoincise anche con l’acuirsi dellecontraddizioni associate al rapnazionalista e con la disintegrazionedell’attivismo politico nero di base

negli anni Novanta - una volta liberoMandela il movimentoanti-apartheid, fulcro vitaledell’attivismo durante gli anniOttanta, perse di rilievo - rimanendosettoriale e frammentato finoall’avvento di Obama. Il rapimpegnato ebbe il suo posto al soleper un breve periodo e poi vi fu uncontrattacco. La gente che durantegli anni Ottanta aveva attraversatouna fase dura contrassegnata daviolenza, omicidi e povertà oravedeva una via di fuga da quellarealtà e il big business sfruttò almeglio quella possibilità. Da quelmomento, infatti, le etichette

entrarono prepotentemente nell’hiphop intravedendovi profitti milionari,investendo in pesanti operazioni dimarketing e nella produzione divideoclip musicali. Mentre il suonospigoloso e scarno delle produzionihip hop affascinava fette di mercatosempre maggiori, il sistemacapitalista iniziò ad attivarsi percooptare questa cultura, diluendolaper renderla più appetibile a unpubblico bianco». La ribellionecambiò le tecniche di marketingdegli album e della stessa cultura hiphop. Come afferma il giornalista hiphop Jeff Chang nel libro Can’t StopWon’t Stop: «Durante i disordini deglianni Sessanta e Settanta, RichardNixon ebbe un’epifania. Ciò che imilitanti rivendicavano non era laseparazione bensì di esser inclusi,disse, non come dei mendicanti, macome concittadini, comeimprenditori, to have a share of thewealth and and a piece of action».Qualche anno prima, lo storicoHarold Cruse aveva scritto: «Laleadrship nera non sta combattendocontro il sistema, ma contro la

propria esclusione… ciò chepreoccupa l’establishment non ètanto il clamore della protestaquanto come assorbirla senza troppostress né problemi». Così una voltache la Corporate America scoprìcome «assorbire» lo spirito del BlackPower, non si fece scapparel’occasione. Dre e Snoop erano lamanna dal cielo dopo aver avuto ache fare con Chuck D e Ice Cube.Erano altrettanto talentuosi e disicuro più spendibili all’interno diuna cultura che stava diventandoprogressivamente ossessionata dallepersonalità ribelli.

Il GFunk rappresentaval’equivalente nero rispetto allagrunge music che proveniva daSeattle, catturando l’immaginario diun’intera generazione. Entrambi igeneri erano immersi nella culturadella droga, dell'autoproduzione edella decadenza. Dre e Snooprappresentavano le icone perfetteperché esprimevano una culturaribelle senza essere militanti. Nel girodi brevissimo tempo Snoop divenneuna personalità televisiva corteggiatada Mtv, attraendo legioni di fan siaper il suo rap, sia per il suo status diconsumatore accanito d’erba.Quando venne accusato d’omicidionel bel mezzo della sua carriera inemersione, Mtv fece una cronaca

puntale dell’evento come se sitrattasse di una notizia degna deitelegiornali serali a livellointernazionale. L’industria mediaticatutta non avrebbe potuto concepireuna sceneggiatura migliore.

Solo un anno prima le etichetteerano preoccupate per leripercussioni politiche di certecanzoni, ora in una sorta di mix trarealtà e fiction, la più grande rapstardel periodo stava affrontandoun’accusa per un reato tipico dagang. La «realtà» fu che le vendite deidischi toccarono cifre altissime divendita. La sommossa aveva mutatola percezione delle masse e la musicadi The Chronic fu salutatadall’industria dell’intrattenimentocome verace musica Usa,paragonabile alle sempiternevibrazione estiva dei Beach Boys odei Mamas & Papas. Se il movimentoper la pace sperava di integrare igang banger nella società civile, TheChronic invece puntava a integrare ilrap gangsta nel pop. Basta con lerichieste di riparazioni: ora c’era ilgangsta imborghesito al qualeinteressavano solo party & bullshit.Come afferma il giornalista Davey D,«Se non puoi uccidere il rapimpegnato, lo puoi far passare insecondo piano togliendogli ognivisibilità».

Grazie a questi cambiamenti diparadigma - che l’industriadell’intrattenimento, le etichette e ibrand internazionali furono abilinello sfruttare - il superfluo divenneindispensabile. La black thing che untempo non si capiva si eratrasformata nel G Thang sul quale sipoteva investire: chronic (erba diqualità), crip walk (la camminata allaCrip), preservativi, ConArt,Chevrolet, Pendleton, ZigZag,Seagram, Remy, Hennessey,Tanqueray, Desert Eagle, DoggPound, Death Row. Da The Chronicin poi, le potenzialità del rap furonodiluite e riciclate nel dolce suonodella rapsploitation e nel nuovomulticulti promosso dalle grandiaziende. In giro per strada a fumareerba, e bere gin’n’juice, rilassato, conla testa ai soldi e i soldi nella testa.

ANNIVERSARI ■ UN DISCO CHE HA CAMBIATO LA STORIA DELL’HIP HOP

Come inventammola nuova pilloladel gangsta pop

RITMIVent’anni fa uscival’album che harimescolato le cartedi un generee di un’interacultura. La stradadiventaval’ultimo regnodel marketing

Dr. Dre, il suo discoe la caratteristica fogliad’erba (qui sul cd)che campeggiava sul retrocopertina dell’album

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numero di calorie. Sullo schermo scorreanche la testimonianza di Brian Ellis, 21anni, impiegato alla Growing Power inc.organizzazione no profit che gestiscefattorie a Chicago e nel Milwaukee eche rifornisce molti quartieri di verdurefresche: «Quando ho cominciato alavorare a 14 anni mangiavo solo fastfood; poi ho cominciato ad assaggiarecibo di cui non conoscevo l'esistenza:cavoletti di Bruxelles o bietola».

FOLLIAAGIOGRAFICA

ULTRASUONATI DASTEFANO CRIPPAGUIDO FESTINESEGUIDO MICHELONEROBERTO PECIOLAMARCO RANALDI

Che l'agiografia sia una brutta bestia, èben noto. Che l'agiografia al negativo, nelproprio rovescio, sia anche peggio, nons'è ancora sottolineato abbastanza.Prendete i casi del rock e avrete unasequela piuttosto impressionante diillustri scomparsi debitamente ricondottia perversa santità. Da Jim Morrison aJimi Hendrix, da Cobain a Nico, eognuno aggiunga i nomi che vuole. Nonsarebbe un gran male, in fondo: però èben fastidioso che nel tritacarneagiografico finiscano per scomparire ireali meriti dello scomparso agiografato,o ne escano evidenziate caratteristichetutto sommato secondarie oaneddotiche. Prendete il caso (e lapersona) Syd Barrett, il «diamantepazzo» dei Pink Floyd, per usare il titolodi una non troppo riuscita (ma assaiagiografica e troppo celebrata) canzonedei Pink Floyd stessi, a lui dedicata. Lecronache del rock sono sature di storiee storielle su Barrett, genio istintivologorato precocemente dalle droghe,fino a diventare il «lunatic», il pazzototale che vive solo nell'abisso franato diun suo mondo senza più alcun contattocon l'esterno. Un libro bello eimportante, costruito sull'imponenzadocumentaria reale, e non sugli aneddoti,ci permette finalmente di capire chi fossedavvero Roger «Syd» Barrett. È SydBarrett/Un pensiero irregolare(Stampa Alternativa). L'autore RobChapman, che al testo ha dedicatotrent'anni di ricerche, ci narra di ungenio istintivo, è vero, un genio che hadispiegato il suo talento realmentesmisurato per una manciata esiguad'anni, tra lo scorcio dei Sessanta el'affacciarsi dei Settanta, nei primi Floyd ein un paio di album solistici anch'essi finitinell'agiografia collezionistica. Ma Barrettè stato tutt'altro che un pazzo colcervello sfondato dagli acidi: la suatecnica chitarristica destrutturata èparente delle pratiche jazzistiche coevedell'Amm, l'etichetta avantgarde jazzinglese, i suoi testi invece debitori diattente letture da Lewis Carroll, EdwardLear, Kenneth Grahame, edell'automatismo surrealista. Tesigenerose e giuste per Barrett, meno pergli «altri» Floyd, descritti più o menosempre come glaciali architetti delsuono.

¶¶¶NON IL GELO, ma un caloreempatico avvolgente ispira lemeravigliose, imprevedibili fotografie diDavid Belisle dedicate ai Rem, e aMichael Stipe in particolare, raccolte inR.E.M./Hello (Isbn). Il magneticofrontman calvo della band orapensionata con onore dopo Collapse intoNow firma la nota introduttiva,ricordando come Belisle ha un dono noncomune tra i fotografi (quale lo stessoStipe, peraltro): la discrezione felpata.

Un ritorno definitivo coi fiocchi. Quellodegli Swans di Michael Gira (orfanicomunque dell’altra metà, Jarboe) che neldoppio cd (triplo vinile) The Seer (YoungGod/Goodfellas) si attornia di personalitàtra le più rappresentative di un certomondo indie d’oltreoceano, con ospiti daband come Low, Yeah Yeah Yeahs, CopShoot Cop e altri. La cupezza che dasempre contraddistingue il verbo sonoro diGira è portata all’ennesima potenza. Oltre ilnoise, verso la sperimentazione. Un viaggioin un mondo spettrale e post atomico.Apolicalittico e post atomico, in forma piùdecisamente metal e industrial, è il mondo incui si muovono da molti anni anche iNeurosis, giunti alla prova numero 10 conHonor Found in Decay (Neurot/Goodfellas).Un monolite, un muro di suono invalicabile,ma anche idee ancora in grado di fare ladifferenza rispetto a una pletora di gruppiche di alternativo hanno solo la facciata.Sperimentazione in una chiave dance deltutto particolare nel nuovo cd di DavidThomas e i suoi Pere Ubu. Lady fromShangai (Fire/Goodfellas) nelle intenzioni è,appunto, un album di musica dance. Rivistasotto l’occhio alternativo e mai omologatodel leader della band Usa. (Roberto Peciola)

LA CANZONE GIUSTA AL MOMENTO SBAGLIATO.QUALE PEZZO VORRESTI CHE VENISSE SUONATO AL TUO FUNERALE?

Raccontaci in massimo 1250 caratteri (spazi inclusi) le incredibili, folli e vitalissime motivazioniche ti hanno indotto a scegliere quell’artista o quel gruppo.

Gli scritti vanno firmati e inviati via e-mail a [email protected] si riserva il diritto di pubblicare e di editare i testi a seconda delle esigenze redazionali.

E comunque, live on!

AVVISO AI LETTORI

IN USCITA A GENNAIO

JAZZ ECM

L’estetica visionedi Jan Garbarek

ALT ROCK

Sperimentazionipost atomiche

Poppy Ackroyd Escapement (Donovali/Goodfellas)Amen Ra Mass V (Neurot/Goodfellas)Avenue X s/t (Goodfellas)Bad Brains Into the Future (Megaforce/Goodfellas)Bad Religion True North (Epitaph/Self)Lionel Belmondo Trio EuropeanStandards (Discograph/Self)Massimo Bubola In alto i cuori (Eccher)Delphic Collections (Chimeric/CoopMusic)Dropkick Murphys Signed and Sealed inBlood (V2/Coop Music)Ducktails The Flower Lane (Domino/Self)Esben and The Witch Wash the Sinsnot Only the Face (Matador/Self)Foxygen We Are the 21st CenturyAmbassadors... (Jagjaguwar/Goodfellas)Ryan Francesconi & Mirabai PeartRoad to Palios (Bella Union/Coop Music)Frei 2013: Odissea nello spiazzo (Autopr.)Ghetto Brothers Power Fuerza (Truth &Soul/Goodfellas)Valentina Gravili Arriviamo tardicomunque (Carbon Cook)Petra Haden Petra Goes to the Movies(Anti/Self)I Am Kloot Let it All in (Pias/Self)Indians Somewhere Else (4Ad/Self)Eric Legnini The Vox II (Discograph/Self)Local Natives Hummingbird (Pias/Self)Lone Wolf The Lovers (It Never Rains/Goodfellas)Lord Huron Lonesome Dreams (Pias/Self)Memory Tapes Grace/Confusion(Carpark/Goodfellas)Merzbow/Pandi/Gustaffson Cuts(RareNoise)Nightlands Oak Island (SecretlyCanadian/Goodfellas)Nosaj Thing Home (Innovative Leisure/Goodfellas)Cristopher Owens Lysandre (Pias/Self)Pantha du Prince & The BellLaboratory Elements of Light (RoughTrade/Self)Pere Ubu Lady from Shangai (Fire/Goodfellas)Riverside Shrine of New Generation Slaves(Inside Out-Cmr/Emi)The Scantharies s/t (MemphisIndustries/Goodfellas)Sin Fang Flowers (Morr/Goodfellas)Tomahawk Oddfellows (Ipecac/Goodfellas)Toro y Moi Anything in Return (Carpark/Goodfellas)Matthew White Big Inner (Domino/Self)Wooden Wand Blood Oaths of the NewBlues (Fire/Goodfellas)Yo La Tengo Fade (Matador/Self)Rachel Zeffira The Deserters (Loog/Self)

NEOCLASSIC

Poppy Ackroyd,anima onirica

DENISEUNIVERSE (Ala Bianca/Warner)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Peccato che il mercato ormai allostremo non abbia la forza di accoglierenomi nuovi che stanno emergendoprepotentemente sulla scena italiana. Lacantante salentina al suo secondo album èmolto cresciuta, voce maliziosa e duttilecon materiali di peso, trattati con unagiusta dose di elettronica e interpretaticon piglio a volte sognante, talvoltaimperioso. Prodotto a otto mani conRoberto Vernetti, Cristian Milani eMichele Clivati, ospita in tre brani (voce epianoforte) Marco Guazzone. Teniamolaveramente d'occhio. (s.cr.)

ELINA DUNI QUARTETMATANE MÄLIT (Ecm/Ducale)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Al terzo album, dopo i due perMeta Records, la trentenneelvetico-albanese con l’abitualepiano-jazz-trio svizzero (Colin Vallon,Patrice Morte, Nobert Pfammatter) nelpassaggio all’etichetta bavarese proponeun vocalismo ancor più rarefatto,arrangiando, con dodici seducentiinterpretazioni, brani del folklore esteuropeo o musicando liriche di poetilocali (Ismail Kadare, ad esempio, notoanche in Italia), il tutto verso uncamerismo post-bop. Sono dieci i brani incui la forma canzone viene dilatata tra glispazi e i silenzi del classico jazz acusticoprodotto da Manfred Eicher, lasciandoaltresì larghi margini di improvvisazione edi vocalese. (g.mic.)

FAVONIOBRUTTO DI FACCIA BRUTTO DI CUORE (Self)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Band foggiana al secondo disco, unquintetto dalle eterogenee provenienzeartistiche che mescola con grande abilitàla canzone d'autore, il canto popolare,declinando qua e là certe inusitateaperture al rock e al jazz. Pasticcio?Tutt'altro, talento e estrema godibilità eun omaggio - assai giustificato - alloscomparso Franco Fanigliulo e al suopezzo celebre A me mi piace vivere allagrande accanto a un brano di MatteoSalvatore, L'uomo del tavoliere. (s.cr.)

JANO QUARTETDISTANTE (ViaVenetoJazz)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ In copertina una scritta ben visibileavvisa che il cd è «featuring Luca Aquino»,ed è doverosa indicazione: la formazionemarchigiana a quattro con l'apporto delfunambolico trombettista emergente dellascena italiana ha catalizzato idee edenergie. Molta elettronica in dialogo congli strumenti acustici, o lasciata a«colorare» spazi e silenzi tra le note, beitemi senza faticose rincorse all'hard bopche fu, un clima rilassato che convince dalprimo ascolto. Eccellenti i sassofoni diGianluca Caporale. (g.fe.)

FAUSTO ROSSIBLANK TIMES (Interbeat/Egea)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Faust’o, uno dei personaggi più«veri» della new wave italiana, artistaschivo e lontano da logiche di mercato edal mainstream, dopo molti anni diassenza dalle scene è tornato, prima conun paio di episodi elettroacustici, e oracon un nuovo album. Blank Timescontiene 10 brani dalla strutturaessenziale - chitarra, basso, batteria evoce -, brani di blues sofferto ecantautorale (in italiano e inglese), permolti versi sorprendenti. (r.pe.)

FABRIZIO SFERRA QUARTETUNTITLED # 28 (Millesuoni)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Non è nuovo a progettid'eccellenza il batterista Fabrizio Sferra,ma qui intenti e risultato finale siuniscono in maniera superlativa. Alpianoforte c'è Giovanni Guidi, al sax DanKinzelman, al basso Joe Rehner. Musicaconcentrata e tesa, con frequentirarefazioni, studio delle dinamiche, e laleggerezza frusciante delle pelli e deipiatti di Sferra, memore della seminalericerca che si faceva a Chicago qualchedecennio fa. (g.fe.)

AGOSTINO STEFFANIMISSION (Decca)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Cecilia Bartoli, sempre più eroinadella lirica esposta alla speculazione degliStates, ha il merito di aver recuperato lemusiche del compositore secentescoAgostino Steffani. È però opera dimarketing. Se c’è un senso in questamessa in scena, lo si trova nellaprofessionalità della Bartoli e di DiegoFasolis, che però potrebbero nonammiccare all’uso pop lirico degli States,cercando di vendere i dischi di liricacome lirica e non come altro. (m.ra.)

Per un pianista deve essere davvero difficileritrovarsi con un dito (il pollice della manosinistra) rotto a tal punto da doversi farinserire delle viti per rimetterlo in sesto. MaNils Frahm, uno dei paladini della scenaneoclassica, non si è dato per vinto, e nottedopo notte, usando le nove dita rimasteintatte ha composto 9 brevi nuove tracce,raccolte in questo cd intitolatoopportunamente Screws (Erased Tapes/Self).Livello sempre alto. E il musicista tedesco èanche dietro al bel lavoro della londinesePoppy Ackroyd, Escapement (Denovali/Goodfellas), del quale ha curato lamasterizzazione. Un disco autoprodotto,suonato e registrato dalla artista inglese, chegira su armonie e melodie dettate da pianoe violino di una bellezza a tratti struggente.Un’anima cinematica e sognante pervadel’album e avvolge l’ascoltatore in una sortadi bozzolo fragile e delicato. Lo strumentoprincipale di Ryan Francesconi, già conJoanna Newsom, è la chitarra acustica, chein Road to Palios (Bella Union/Coop Music) siaccompagna con il violino di MirabaiPeart. È la storia di un viaggio che la coppiaha fatto nell’isola di Lesbo, e la musica diquei posti è parte dell’ispirazione che haportato a questo bel lavoro. (Roberto Peciola)

Due dischi all'attivo, e molti concerti. Iltutto in epoca non sospetta per la worldmusic: anche perché la definizione ancoranon esisteva, sarebbe arrivata anni dopo.Non si parlava neppure di «etno jazz», maciò che non poteva essere nominatomolto semplicemente era vissuto esuonato, come avevano dimostrato DonCherry, gli Embryo, gli Area. I due dischierano opera di un trio che riuniva Europa,America del Nord e del Sud: JanGarbarek, Charlie Haden ed EgbertoGismonti. Carta de amor, uscito per Ecm,recupera un bel concerto tedescodell'aprile 1981, dipanato su due cd. Temimagnifici, di un'intensità passionale, incastricertosini di timbri che non smarriscono,però, una certa deriva visionaria che anchetrent'anni dopo incanta. Altri sviluppiemotivi in Résumé di Eberhard Weber,che nel disco accorpa dodici assoli di bassoregistrati tra il '90 e il 2007 con il gruppo diGarbarek, opportunamente «trattati» conelettronica povera e qualche intervento dimusicisti amici. Jazz austero e acustico,infine, quasi paradigmatico di certaestetica «scandinava» Ecm con il nuovocapitolo del trio di Bobo Stenson:Indicum. (Guido Festinese)

DI GUIDO FESTINESE

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di ELISA VERONICA ZUCCHI

●●●Per alcuni versi, la dottrina diScientology delineata da L. RonHubbard in Dianetics. La scienzamoderna della salute mentale(pubblicato nel 1950; oggi appare conil sottotitolo La forza del pensiero sulcorpo), visualizzando alcuni usualiprocessi mentali, inventa una sorta di«tecnologia della mente umana»antipsichiatrica di relativo interesse –in particolare il meccanismo dellacosì detta mente reattiva (reactivemind) – e, come sostiene in unarticolo lo scrittore visionario WilliamSeward Burroughs, («drogatoomosessuale pecora nera di buonafamiglia»), «alcune delle tecnichesono molto valide e meritanoulteriori studi ed esperimenti» («someof the techniques are highly valuableand warrant further study andexperimentations») e «L’E – Meter èun utile congegno» («The E – Meter isa useful device»). Ne parleremo piùavanti. Per altri versi, la pretesa degliScientologist di un’adesione acriticaal loro pensiero è ingiustificabile,oltre che sospetta. ContinuaBurroughs: «Sono in netto disaccordorispetto alla polizia organizzativa.Nessun corpo di conoscenze habisogno di una polizia organizzativa.La polizia organizzativa può soloimpedire l’avanzamento dellaconoscenza. C’è un’incompatibilitàdi base tra qualsiasi organizzazione ela libertà di pensiero» («I am in flatdisagreement with the organizationalpolicy. No body of knowledge needsan organizational policy.Organizational policy can onlyimpede the advancement ofknowledge. There is a basicincompatibility between anyorganization and freedom ofthought»). L’articolo di Burroughs,Scientology Revisited, è apparso per laprima volta su Mayfair (Londra,gennaio 1968) ed è stato ripubblicatonel marzo del 1970 dal Los AngelesFree Press con il titolo Burroughs onScientology; infine viene incluso nellaraccolta di saggi Ali’s Smile / NakedScientology.

L’E-meter o elettro-psicometro –secondo Burroughs «invenzioneinteressante e sorprendentementeaccurata nel calcolo delle reazionimentali» («this instrument is themost interesting development. It isamazingly accurate in gaugingmental reactions», in Lettera a JoeGross, da Londra, 1968, in Letters, volII; va segnalato che una scelta dellelettere sarà pubblicata da Adelphi) - èun apparecchio elettronico brevettatodallo stesso Hubbard nel 1966 ingrado di misurare lo stato dellecaratteristiche elettriche del campostatico che circonda il corpo umano,al fine di evidenziare eventuali massedi energia mentale condensate checorrisponderebbero ad altrettantiimpedimenti spirituali o alterazionielettriche causate dall’attivazionedella mente reattiva. La mentereattiva viene distinta da quellaanalitica: la prima archivia e conservale emozioni dolorose, la secondaorganizza i dati per risolvereproblemi. I problemi fisici e psichicinon sarebbero altro chemanifestazioni degli eventi traumaticida noi registrati, denominati Engram,eliminati i quali si perverrebbe allo

stato di Clear, ovvero uno stato diigiene mentale senza «aberrazioni»(sic!) in cui l’individuo sarebbe ingrado di «funzionare» (!?) al massimodelle sue potenzialità (resta dastabilire cosa significhi il «massimodelle potenzialità»).

E il pensiero? La memoria che ilnostro pensiero abita? Cancellatisenz’oblio. «Il soggetto non mi pareidoneo… Digli di presentarsi alloSmaltimento» (La seduta di IgieneMentale del dottor Berger nel Pastonudo). Afferma Burroughs: «Ilcontrollo non può mai essere unmezzo per perseguire un finepratico… Non può mai essere unmezzo per perseguire qualcosa chenon sia un controllo maggiore…Come la droga»: «Polizia del Sognoche si disintegra in gocce diectoplasma putrido, spazzate vie daun vecchio tossico che tossisce esputa nell’astinenza del mattino»(Pasto nudo). L’incontro di Burroughscon Scientology avviene a cavallodegli anni sessanta, poco dopo lapubblicazione del Pasto nudo (NakedLunch, scritto a Tangeri e pubblicatosu sollecitazione di Jack Kerouac eAllen Ginsberg nel 1959) e la scopertadell’efficacia della terapiadell’apomorfina; se inizialmente ne èattratto, credendo la dottrina unaiuto per sottrarsi al controllo, inseguito rifiuta la natura autoritaristicadell’organizzazione, l’oscurantismo(non rivela la propria scienza se nonagli iniziati: che cos’è, ad esempio, latecnica di assassinio conosciutacome R-2-45, «Hubbard assassinationtechnique known as R-2-45»?) e idettami fascisti («fascist utterances»)di Hubbard, che «non può tollerarealcuno che abbia un briciolod’intelligenza nel suo territorio.Comunque, il concetto di bodythetans (spirito bloccato in un corpoumano) espresso certo in differentitermini è stato avanzato da unnumero di studiosi, per esempio nelLibro dell’Es di Georg Groddeck» («hecannot tolerate anyone with an iotaof intelligence in his vicinity.However, the concept of bodythetans expressed of course indifferent terms has been put forwardby a number of investigators, forexample in Groddeck’s Book of theIt»). A Hubbard nega anche lapaternità dell’idea: «È venuto fuoriche uno di nome Asturias (sicAnastasius ndr) Nordenholz nel 1934ha pubblicato un libro intitolatoScientology. La scienza di saperecome conoscere. Naturalmentenessuna menzione da parte diHubbard. Così io sono sicuro che v’èuna fonte non rivelata riguardo aquesto libro. Probabilmente

Dapprima ne fuaffascinato perle sue intuizionie le sue macchine,poi respinsela dottrinache aveva bisognodi un controllopoliziesco

WilliamBurroughssu Scientology

BEAT GENERATION

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Al centro William Burrougs, a sinistra RonHubbard, sotto «L’isola dei morti», diArnold Böcklin

fantascienza… Come molti scrittoridi fantascienza, Hubbard deve averspeso molto tempo in bibliotecacercando idee di altri» (in Lettera aBarry Miles, da Londra, 1970, inLetters, vol. II).

Il 21 dicembre dell’anno cheabbiamo appena salutato dovevaesserci la fine del mondo. Così non èstato, ma speriamo che, invece, il2013 si apra a nuove visioni. La spintadi molti verso la dottrina diScientology è un sintomo che attestauna generica volontà ditrasformazione, nonché una febbreche indica una malattia. Chi è ilmalato? Si ha l’impressione che tuttisoffrano d’ipocondria, come se chi èdavvero malato passi in secondopiano, come se uno stato di malattiacancellasse, rimuovesse un file con letracce del reale e, con esse, la realtàdella malattia. La malattiatecnologica, ovvero la volontà e itentativi più o meno riusciti ditecnologizzazione dell’attività umana,deve però, ancora una volta, fare iconti con il pensiero, il vero malato,l’Asmatico, l’Epilettico, il Drogato, econ le sue visioni. Vede il poeta AllenGinsberg, l’«angelico» (Pasolini,Lettera a Ginsberg, ottobre 1967),«poeta fratello e viventecontestazione» (Pasolini, Poeta delleceneri): «Ho visto le migliori mentidella mia generazione / distruttedalla pazzia, affamate, nude isteriche/ trascinarsi per strade di negriall’alba in cerca di droga rabbiosa /

hipster dal capo d’angelo ardenti perl’antico contatto celeste…» (AllenGinsberg, Urlo, il Saggiatore, 2010).Ma «che cosa significa pensare? Checos’è quello che ci chiama nelpensiero?» domandava Heideggerdurante il secondo corso tenutopresso l’Università di Friburgo, inBrisgovia, nel semestre estivo del1952 (Che cosa significa pensare?Qual è l’essenza nascosta della tecnicamoderna. SugarCo edizioni, 1971). Ilpensiero, custode del passato e delpresente, pur il più dotato di capacitàanticipatrice, è chiamato: «Noi stessientriamo nel testo della domanda,nel suo tessuto … Con essa siamo,nel senso più rigorosodell’espressione, messi noi stessi inquestione». Il pensiero serba ciò a cuiè chiamato, la memoria dunque è il«raccoglimento del pensiero(Andacht) – quel raccoglimentograzie al quale tutto ciò che resta dapensare è protetto e nascosto».Pertanto, la «serbanza (Verwahrnis) èil fondamento essenziale dellamemoria». Ma che cosa hanno incomune memoria, serbanza e sogno,se non una visione di quello che èstato, che è e che sarà e di quello chenon è stato, che non è e che forsesarà o non sarà mai? Il pensiero nonviene forse continuamentetraghettato lungo il fiume Lete cheunisce chiarità e oscurità, vita emorte? L’oblio del fiume Lete è unapietà del pensiero che custodisce lamemoria, non la cancella, anzi, labagna di mistero. Così come, forse, lasperanza del pensiero è una visione.Avverte lo stesso Burroughs,scrivendo ad Allen Ginsberg (daParigi, 27 ottobre 1959, in Lettere vol.II): «quanto alle visioni, raffreddale, ousale» («General advice on visions:‘cool it or use it’») e, quanto aldesiderio, «di chi è il desiderio»(«Whose will???»). Il legame diBurroughs con la beat-generation (dacui, peraltro, si dissociò), l’amorericambiato per Ginsberg, checonobbe nel 1943 e con il quale ebbeuna lunga relazione, l’amicizia conJack Kerouac, - nacquero e vissero inseno all’idea di una «nuova visione»per la letteratura e per l’America: «Lacosa più pericolosa è rimanereimmobili» (Burroughs).

Ricco di visioni e suggestioni, unafra tutte le macchine per scrivere chesi trasformano in scarafaggi giganti, èIl pasto nudo di David Cronenberg,del 1991, ispirato all’omonimoromanzo e alla vita di Burroughs. Ilquale, peraltro, aveva lavorato comedisinfestatore per sei mesi. Ilprotagonista del film William Lee(interpretato da Peter Weller) è unoscrittore e «sterminatore» di insetti.William Lee, peraltro, è lopseudonimo con cui Burroughs firmòLa scimmia sulla schiena (Junk). Sinarra del viaggio che intrapresero, nel1957, Ginsberg e Kerouac – nel filmrispettivamente Martin (Michael

Zelniker) e Hank (Nicholas Campbell)- : ritrovarono Burroughs a Tangeri,sotto effetto di droga e sommerso difogli di carta che - riuniti insieme -diedero vita al Pasto nudo.

Talvolta accade che una visioneanticipi la realtà. Leggendo WilliamBlake in un appartamento di Harlem,in una giornata estiva del 1948, AllenGinsberg ebbe una visione auditiva –in seguito denominata la sua «visioneBlake» - nella quale udì il suono dellavoce del poeta. S’impara, fin dapiccoli, a «non dar corpo a fantasmi».Sovente si continua, con deliziosanoncuranza, a parlare con amiciinvisibili, a evocare lo spirito delPifferaio Magico o di Jean-PaulMarat, di Tom Sawyer o di WilliamLee, di Catherine Hearnshaw o diAlioscia – lo spettro di Dostoevskij siaggira oggi lungo le nostre strade,magari a braccetto con Heathcliff e laBrontë.

C’è un’intera legione di spettri lacui percezione intona l’Inno allagioia accanto all’Isola dei morti op.29 di Rachmaninov - poemasinfonico ispirato all’omonimoquadro del pittore simbolistasvizzero Arnold Böcklin. Come sipotrebbe rinunciare a tali miracoloseesplosioni di presenze? All’Isola deimorti (in una seconda versionechiamata anche L’isola dei sepolcri) -quadro che ossessionò Hitler e che ilführer possedeva nella terza versioneoriginale - e affascinò Freud, Lenin,Georges Clemenceau, Salvador Dalì,nonché ispirò a Strindberg la Sonatadegli spettri - si affianca un altroquadro, L’isola dei vivi, sempre delpittore di Basilea. All’impressione disilenzio assoluto, alla figura in piediammantata di bianco accanto ad unbara posta di traverso sulla barca, alsuono dei remi di Caronte, sisovrappongono bianchi cigni edelicate movenze di bagnanti.Afferma Nietzsche ne La nascitadella tragedia: «Si trasformi l’Innoalla gioia di Beethoven in un quadroe non si rimanga indietro conl’immaginazione, quando i milioni siprosternano nella polvere: così ci sipotrà avvicinare al dionisiaco (...) Aicolpi di scalpello dell’artista cosmicodionisiaco risuona il grido dei misterieleusini: - Vi prosternate milioni?Senti il creatore, mondo? – ».Insomma, diamo corpo a fantasmi!Ché gli spettri sono scomodi echiedono di essere ascoltati, visti:«Nient’altro da dire, e niente per cuipiangere salvo gli Esseri nel Sogno,intrappolati nel suo sparire,singhiozzando, urlando per questo,comprando e vendendo pezzi difantasma, l’un dell’altro adoranti,adorando il Dio che dentro vi èincluso – per nostalgia oinevitabilità? – mentre dura, unaVisione – e poi cos’altro?» (AllenGinsberg, Kaddish, per NaomiGinsberg, 1894-1956, la madre mortain manicomio).

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Panem et circenses...non catering

di NATASHA CECI

●●●Ludovico Pensato e AlessandraIvul, a cavallo tra l’Italia (romagnololui, veneta lei) e Berlino, ribaltanoludicamente e positivamente ladefinizione al vetriolo di Giovenaleda cui il loro progetto(http://www.panem-et-circenses.me/) prende il nome. Un gioco e unasfida alla base della loro proposta:cibo e cultura del cibo attraversol’esperienza artistica. Il cibo comevissuto profondo e serio, strumentodi comunicazione e universoaltamente simbolico. Ludovico dopouna laurea in scienze dellacomunicazione a Bologna e unmaster in storia e culturadell’alimentazione incappanell’associazione culturale La pillola400 di via Algardi, di cui è uno deisoci fondatori, occupandosi dipromozione artistica e sostenibilitàoltre alla gestione dello spazio percoworker, realtà innovativa maancora acerba in Italia. Nella stessaassociazione culturale entraAlessandra, laureata in filosofia,come fundraiser. Dopo l’esperienzadella pillola 400 arriva la fuga in unagriturismo toscano, come attoistintivo di ribellione: «Eravamostanchi di tutte quelle regole emeccanismi che regolano il farecultura in Italia. Per cui siamo andatia lavorare per una stagione in unagriturismo facendo tutto:dall’ospitalità alla cura degli animali.Qui comincia a nascere in nucel’idea di Panem et Circenses, comeidea, ancora vaga, di legare cibo ecultura»

●Ma è solo a Berlino che l’ideaprende concretamente forma eviene materialmente sfornata.Perché Berlino?

Berlino è indubbiamente una cittàeconomica, anche se all’iniziopensavamo a Londra ma i costisarebbero stati insostenibili. Inoltre èintrisa di fermenti e ricettivitàculturale e in altri paesi, come peresempio la Spagna, la culturagastronomica è già molto forte especifica e il nostro progetto forseavrebbe avuto difficoltà ad imporsi.

L’incontro con l’artista BarbaraFragogna, curatrice del leggendarioTacheles, è l’occasione per proporsial pubblico berlinese eitalo-berlinese. Lo scenario è quellodella Emerson Gallery di Mitte e delfestival «Buongiorno e Arrivederci»che chiama all’appello diversi artistiitaliani tra cui la Fragogna con il suo«My cage is your palace project» in

cui partoriscono il loro primoesperimento di «Food andTranslation».

●Tradurre l’opera d’arte in cibo?Abbiamo pensato ad una propostagastronomica che si legasse al temadell’esposizione di Barbara, pittoricae non solo. Barbara esponeva deilavori in cui vengono rappresentatigli organi interni del corpo umano, amo’ di tavola anatomica ma in cui èforte un richiamo all’autoritratto. Ilconcetto di bello, dunque, sisovrapponeva a qualcosa che siritiene debba essere nascosto perchévicino ad una idea di malessere.

Un lavoro provocatorio ma nonscandaloso, a cui Alessandra eLudovico affiancano l’installazione

«Cuore di bambola», ovvero unpiccolo cuore di pollo cotto conburro, vino bianco e alloro,appuntato con uno spillone sulcuore (inesistente?) di una Barbie.Hanno dato un cuore ad unabambola e la Barbie è viva, riscattatadalla sua condizione. Ma una voltamangiato il suo cuore la bambolatorna ad essere tale. «Alla scultura increta che raffigura l’intestino io eAlessandra -continua Ludovico-abbiamo associato una lungasequenza di tamarindi, chericostruisce visivamente l’intestino.Il tamarindo è un frutto brutto madolcissimo e il suo seme è davverouna perla. Infine, in un percorso dalcotto al crudo, abbiamo scelto uncavolo, il cosiddetto cavolo frattale,perché può spiegare l’omonima

teoria di Mendelssohn, da intingerein una salsa di semi di zucca. Lacollaborazione con la EmersonGallery ha portato poi il nostrolavoro accanto a quello di uncollettivo di artisti di Vicenza checon il progetto «Twins» esponevanopiù di 1500 scatti di coppiegemellari». La soluzione è ghiottaquanto geniale: Panem et circensestraducono la gemellarità incollandosu 2 piastre di legno 50x50,oscillanti, circa 500 arachidi, unicocibo gemello esistente in natura incui in uno stesso guscio sonopresenti due elementisostanzialmente uguali. Ma nonchiamatelo catering, per carità. Enemmeno food design, poichéquesto progetto non è prettamenteestetico, e non assecondaesclusivamente il gusto che pure èuna conditio sine qua non.L’espressione identitaria di Panem siraduna in entrambi i filoni, con ilcollante della cultura e della ricerca.Un esempio è racchiuso in unevento che Alessandra e Ludovicohanno proposto a Reggio Emilia, loscorso settembre, per il Foodimmersion Festival: l’arte dellacucina creativa. Oltre al concetto di«Food Translation» si giunge qui a

concretizzare l’idea di «Foodspecific», come propostagastronomica sviluppata in uncontesto geografico e storico moltopreciso: il Chiostro della Ghiara.

«Dopo una lunga ricerca, raccontaAlessandra, siamo giunti al mito difondazione del Chiostro della Ghiarache neanche tutti i reggianiconoscono e questo è per noimotivo di orgoglio: far sì che il cibotrasmetta anche conoscenza insenso lato. In base al mito un certoMarchino di Castelnuovo Monti,sordomuto, nel 1596 fu ilprotagonista di un miracolo marianograzie al quale prese parola. Conmattoni e ghiaia abbiamo creato lanostra installazione e servito deibiscotti, tra cui lingue di gatto».

●Il legame con il territorio è moltoforte. Che ruolo ha Berlino e laGermania nel vostro progetto?Si è molto forte. Ora diamo anchespazio al progetto di gruppo diacquisto di prodotti tipici delle zoneterremotate dell’Emilia ecollaboriamo con il quotidianoberlinese per italofoni Il Mitte, su cuiabbiamo una rubrica in cuiraccontiamo del cibo a Berlino dalnostro punto di vista. Possiamo

affermare che il rapporto traGermania e gastronomia ha degliaspetti spesso spinosi e grotteschi,ma non diamo nulla per scontato eci lasciamo sorprendere volentieri.

Non si può omettere la questionedell’emigrazione se si parla diGermania, Italia, italiani e non solo.«ReFoodGees» è l’interessante eoriginale perfomance teatrale delTheater am Tisch, teatro alla «carta»,di Serena Schimd, già nato in Italia.Un gruppo di attori, di varianazionalità, propone al tavolo dellospettatore un monologo sullapropria esperienza di esuli. Tranostalgia e aspettativa si crea ilcortocircuito tra cibo, convivialità eteatro in cui Panem et circenses puòesprimersi al meglio. L’aspettativa,calda e promettente, è quella dellamortadella, ricordo di un lido natio,avvolta da una teutonica patata nellevesti multiculturali di un involtinoprimavera. La nostalgia, fredda, macon un cuore caldo, ha la forma diuna lacrima di pasta di parmigianoche protegge il friggione,potentissimo ragù bolognese a basedi cipolle cotto per almeno cinqueore. Due snacks per pochi euro.

Non ci sono particolari segreti mauna bibbia forse sì, ed è quella diPellegrino Artusi autore di La scienzain cucina e l’arte di mangiare benecompendio di tutto il saperecasalingo in cucina datato 1891. Le790 ricette, raccolte dall’autore conpazienza e passione, rappresentanola nascita di una nazione, ancoraprima della televisione. L’unitàd’Italia è prima del resto avvolta inuna larga tovaglia. I principiartusiani sono quelli di una cucinache va provata e rodata molte volte,in cui la variazione non è banditama non è possibile prescindere dauna grande cultura e conoscenza difondo.

Se le fettuccine ci hanno legatil’uni agli altri in momenti dellastoria terribili e deprimenti, sottoogni dominazione e partito, forsenegli ultimi anni i racconti mediaticidel cibo e sul cibo ci hannosoffocato, in una overdose dipadelle, salse, cenoni, cucinecreative, chef da salotto e casalinghesaccenti. Un immaginario coltivatoche ha scalciato le trame delletelenovele con le loro sagheimprobabili e impossibili. La famed’amore forse si è trasfigurata inbulimia e ha cercato altrove la suavittima. C’è ancora un vuoto dacolmare o tutto è già saturo e il sugoè solo quello che trasborda?

●Forse il cibo è l’unica sostanzache possiamo assumereliberamente, o quasi, en plein air,senza i veti della società? O cirestano solo avanzi?Il cibo e la fame sono sempre statitemi centrali per l'uomo, se oggi,usando la tua espressione, si puòparlare di «ossessione» è soltantoperché nella nostra società lamaniera di approcciarsi a tutto ènevrotica e schizofrenica. Il cibo«parlato» è sempre stato argomentodi poeti e artisti, trattatisti, scienziati,letterati, santi, statisti, è il modo incui se ne parla oggi che è ossessivo,asfissiante, «dopato» e lo strumentotelevisivo e informatico (con ledinamiche dei social networkl'ossessione diventa esponenzialedata la velocità di trasmissione e laquantità mostruosa dei dati) nonfanno che acutizzarne la percezione.Se la gente non avesse la tv e nonusasse smartphone e facebook siparlerebbe di cibo in modo ancora«nobile». Dall'altra parte il tuoragionamento sul cibo comesostanza per colmare assenza èsenz'altro vero (considerando che siparla di sostanze chimiche cheinteragiscono con il nostroorganismo), ma anche questo non èrecente, recente è soltanto l'overloaddi informazioni, immagini e paroleche a ciò si lega.

Non resta che meditarci lavando ipiatti.

FOOD ARTARTE E CIBO

Nella foto grande Ludovico Pensato eAlessandra Ivul creatori del progetto«Panem et circenses». In pagina, alcuneloro opere

Dopo il cibo scrittoe quello televisivoo da socialnetwork, ecco leopere d’arteispirate dall’Emiliae create a Berlino.Con cuore di polloe tamarindo