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di DAVIDE MANULI *

●●●Vorrei raccontare la vicenda del mio ultimo filmLa leggenda di Kaspar Hauser per far capire a che puntostiamo in Italia con l’auto-produzione.

Rifaccio il secondo Kaspar Hauser 35 anni dopo iltentativo di Werner Herzog del 1975, che vince il premiodella giuria a Cannes. Rifaccio il secondo Kaspar Hauserdella storia cinematografica, in bianco e nero, conVincent Gallo doppio protagonista (dopo che ha appenavinto la Coppa Volpi a Venezia)…mi sembravaun’operazione culturalmente interessante…misembrava…

Ho co-prodotto il film con la mia casa di produzione,la Shooting Hope Productions srl, che ho fondato nel2005 per poter lavorare…da solo, poiché non mi

sembrava che attorno a me produttori, distributori eistituzioni si strappassero i capelli per lavorare con me.Mi sono rimboccato le maniche e ho portato inconcorso a Torino un documentario girato al Polo NordInauditi-Inuit! Poi in concorso a Locarno nel 2008 Beket,vincendo il premio della critica e il Miami Film Festival,e adesso portando in anteprima mondiale a RotterdamLa leggenda di Kaspar Hauser con Vincent Galloprotagonista che interpreta 2 personaggi (il film verràproiettato il 30 gennaio). Rotterdam presenta 4 gioielli opunte di diamante in anteprima assoluta: James Franco,Takeshi Miike, Davide Manuli e Lav Diaz. Ci ho messo 4anni per arrivare al festival di Rotterdam, 4 anni dilavoro durissimo spesi a cercare partnership efinanziamenti con un cast che prevedeva: Vincent Gallo,Vincent Gallo, Charlotte Rampling poi rimpiazzata da

Claudia Gerini, Elisa Sednaoui e Fabrizio Gifuni. Perfinire colonna sonora di uno dei più famosi compositoridi musica electro-techno del mondo, e cioè Vitalic. Chedire…a Rai Cinema il direttore Paolo Del Broccoincontra me e i co-produttori della Blue Film e si dicenon interessato dopo che Brancaleoni aveva giàbocciato il progetto definendolo nero su bianco «pocointeressante, per una sceneggiatura piena di lacune». Ilno di Rai Cinema mi fa saltare immediatamente lapresenza di Charlotte Rampling per il ruolo daprotagonista, poiché senza la Rai non abbiamo i soldiper pagarle il cachet. Il percorso dei 3 anni per metteresu il film – in auto-produzione – diventa un’incubo inperenne salita: essendo piccoli produttori nonriusciamo a trovare gli agganci giusti per leco-produzioni europee, per i bandi esteri, per i diritti

d’antenna esteri (tipo Canal+, Arté-Zdf) ecc… Tuttoquesto infine non ha aiutato nel processo selettivo perBerlino e Cannes che oramai sono grandi centricommerciali e certificati per il Mainstream. Non sodavvero più che dire dell’auto-produzione….So solouna cosa però: con la crisi economica e finanziariaglobale anche il «Sistema Cinema» tende come lebanche ad accorparsi, per diventare più grande in vistadi reggere l’onda d’urto della crisi. Diventando piùgrandi, vogliono meno prodotti ma più grandi. Perl’auto-produzione non vedo via d’uscita. Dal tunnel,non si vede luce penetrare.

* regista cinematografico autore di Girotondo,giro intorno al mondo (1998), Inauditi, Inuit! (2006) Beket

(2008), La leggenda di Kaspar Hauser (2012).

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Androginia,futura umanità

DAVIDE MANdi ROBERTO SILVESTRI

●●●Nessuno mette in discussione,se il contatto è avvenuto - e non èfacile (come abbiamo letto in primapagina) perché film di godimento«francescano» come Girotondo eBeket sono stati nascosti agli sguardiindiscreti dal nostro submercato edalle nostre istituzioni culturalipubbliche - la prepotenza visuale, la«superbia» espressiva, lo charmemagnetico, e lo stile saturo fino aesplodere dei film in bianco, nero &grigio di Davide Manuli. Storieaffascinanti e incantate, perché abilinel mettere in moto un differenteprocesso spirituale, nel traghettarci edeviarci dall’opulenza rassicurantedell’imitazione della vita (complicequesta volta un cast mozzafiato:Vincent Gallo, Claudia Gerini, ElisaSednaoui, Marco Lampis e FabrizioGifuni per il quale ha scritto il«Monologo del Prete» GiuseppeGenna che per Munli è «il più grandescrittore vivente in Italia») aldenudato, allo stilizzato, alloscarnificato, come nella basilicabizantina quando tutti gli sguardicullati dall’ampia spazialità e dagli orisi ghiacciano d’un tratto scontrandosicon gli occhi dell’icona... Vincono leossessioni, insomma, dello stiletrascendentale nel senso che davaPaul Schrader a questo concetto:quello capace di trasportare lospettatore dall’abbondanza allararefazione, dal familiare verso unadimensione aliena che si sbarazzadell’effetto di realtà. Ciò che distingueuna sequenza di Manuli (o di Bene,Dreyer, Ozu, Godard, Bresson, Ciprì &Maresco...) da un solo «frame» di Virzìo Lars von Treir o Emmerich è infattiche in questi ultimi casi,comico-satirico o tragico oiperspettacolare non conta, puressendo il cinema riuscito atraghettare ogni altra arte nel XXsecolo, il loro (e la maggior parte delcinema di qualità commerciale od’autore) è rimasto tristemente legatoal XIX secolo, alla brama diverosimiglianza, a una narrativainutilmente realista, sia del sensibileche dell’interiorità, dell’azione comedell’affabulazione, tutta però fattasolo di mezzi temporali «ricchi», comeavrebbe detto Jacques Maritain.Questo misterioso e esoterico KasparHauser (appare la «nuda vita», e per laciviltà è insostenibile, la rimuove, lacancella, la imprigiona, la rimodella oributta in mare, come si fa con gliextracomunitari) che Manuli presentain prima mondiale in questi giorni aRotterdam rischia di diventare lapunta più avanzata di questoprocesso di depurazione stilistica, unmoltiplicatore di movimenti emotiviper lo spettatore, quando l’immaginesi ferma, e di discesa nelle profonditàsubumane quando la cinepresa diManuli ha il coraggio di sollevarsi e diinquadrare il cielo, in porzioneesagerata. «Prendo molto dalsubconscio e dall’etere che cicirconda, l’analisi del mio lavoro nonlo faccio, in parte, neanche durante ilprocesso creativo» ci confessa. «Dueartisti mi assomigliano. Genet, cheuscito di prigione anche grazie a unsaggio di Sartre, voleva accoltellarloper averlo analizzato a sua insaputa einutilmente, e De Niro, geniomondiale dei nostri tempi, definito datutti quelli h provano a intervistarlo«tonto spaesato e sempliciotto»,perché non trova mai le paroleadeguate al suo genio....»

●Perché rifai oggi Kaspar Hauser?Da 15 anni tenevo sul cassetto KasparHauser – ou le combat pour l’esprit diPeter Tradowsky (allievo di RudolfSteiner) senza finirlo perché è davverotroppo incasinato ed euforico.

Conoscendo bene la vera vicenda miattirava molto il titolo, «la lotta perl’anima». Da 15 anni volevo tornare aKaspar Hauser, poiché il film diWerner Herzog non rende giustizia aquello che è accaduto e a tutte le sueimplicazioni archetipe, poetiche,esoteriche, spirituali, religiose, umanee esistenziali…Il film di Herzog è undeclassamento della vicenda, poichéè narrata in modo troppo letterale.Come mai Kaspar Hauser è diventatoin questi ultimi 100 anni, un mito, unarchetipo, un Cristo, un idiota,un’enigma, ecc, insomma unaleggenda alla quale ancora oggi si

interessano milioni persone? Perché èun essere speciale.

●Il tuo Kaspar Hauser cosa ha dispeciale?Per il mio Kaspar Hauser volevo ungiovane contorsionista russo dellascuola circense, perché volevo che isuoi poteri fossero principalmenteginnici, poi la cosa è saltata in fretta,difficile da rintracciare o difficilmentedisponbile. Allora mi sono ricordatodi un’attore androgino che avevovisto a teatro anni fa con laCompagnia della Valdoca nellospettacolo Paesaggio con fratello rotto,

Silvia Calderoni, che adesso lavora coiMotus. Utilizzare la sua androginicitàper il mio Kaspar mi avrebbepermesso di portare il lavoro a unlivello superiore, e cioè l’androginicitàcome archetipo per il futurodell’umanità. Avere un Kaspar Hausermaschio/femmina mi permetteva diriattaccarmi alla più pura tradizioneinduista e shivaita, e cioè quella dellaperfezione quando Shiva (maschio) eShakti (femmina) si fondono inArdhanarishvara, e cioè«l’Androgino». L’androginicità del mioKaspar ha letteralmente salvato ilfilm, introducendo l’elemento

esoterico che cercavo da sempre.

●Ma il tuo K.H. arriva dal marementre si comunica con gli ufo...Ho lottato anni per rifare KasparHauser perché lo trovo moderno eallineato col presente: è una grandemetafora dei giorni nostri: «…lostraniero, lo sconosciuto arriva sullaterra dal mare, viene accolto e reclusosenza ascoltarlo, conoscerlo o capirlo,lo si prova ad addestrareall’occidentale, lo si uccideinteriormente e una volta reputatoinutile poiché inquietante, lo siammazza anche fisicamente». In

occidente non c’è più tempo perconoscersi, comunicare, accogliere,aiutare, scambiarsi riti ed usanze.Cosa ha imparato Kaspar Hauser neisuoi 2/3 anni di vita sociale eborghese concessigli a Norimberga?Nulla! Siamo sicuri che sia lui l’idiota,e noi gli intelligenti? Intanto in cieloiniziano a farsi vivi gli Ufo chevegliano e monitorano la terra primadi un eventuale loro sbarco nel futuro.Il personaggio del «pusher»interpretato da Gallo è in contattocon gli alieni per svolgere la suamissione, di contro-esoterismo neiconfronti di Kaspar, che va eliminato.Gli ufo nel film vengono utilizzati perdichiarare da subito che la vicenda hadei connotati anche extra-umani edesoterici (infatti si fermano in cieloformando il triangolo del terzo occhioinduista e shivaita, per il qualel’androginicità è la perfezione). Eanche per elevare in senso letterale lavicenda, portarla in cielo, perguardare all’insù, dove noi nonguardiamo quasi più. L’etere per gliinduisti è uno dei 5 elementiindispensabili alla vita. Le navicellerappresentano l’etere, la sospensione.

●Kaspar Hauser è un «criminale»perchè è nuda vita e basta?

LAV DIAZCorruzione, colonialismo, povertà. La storia delle Filippine attraverso l’odissea di dueoperi che lasciano la città alla ricerca di un tesoro. Sei ore: Florentina Hubaldo, CTE è ilremake in alta definizione di Agonistes, Myth of a Nation (2009). Cte è la sindrome dirincretinimento da pugni. Nella sezione non competitiva «Spectrum» di Rotterdamanche Century of Birthing (già a Venezia e Toronto), un cineasta in lotta per completare ilsuo nuovo film e per non farsi sbranare dagli avidi direttori di festival, paragonato a unleader religioso che guida, non senza problemi di fede, una setta di sole donne. 355’ intutto. Ma di Lavrente Lidico Diaz (vegetariano, classe 1958) promette di aggiungeredopo questa proiezione altre due ore. E chi vuole divertirsi (o intristirsi) confronti lascheda Wikipedia «Lav Diaz» in lingua italiana (tremenda) con quella in lingua inglese.

IL RITORNODI KASPAR HAUSER

Silvia Calderoni in «La leggenda di KasparHauser». Nelle foto piccole Davide Manuli (inalto), Vincent Gallo (a destra) e foto di scenacon Claudia Gerini e Vincent Gallo

«Come mai Kaspar Hauser è diventato negliultimi 100 anni, un mito, un archetipo, unCristo, un idiota, un’enigma che affascinal’umanità? Perché è un essere speciale...»

41˚ FESTUIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI ROTTERDAM

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41˚ IFFR, ARTE E MERCATO

L’ANTICO FERTILE E IL «NOVISSIMO».A ROTTERDAM VINCE LA RICERCA A 360˚●●●L’Iffr, «International Film Festival Rotterdam» (25 gennaio-9 febbraio),manifestazione competitiva per giovani cineasti (ma nessun film italianoconcorrerà ai Tiger Awards) e aggiornamento d’alto livello su ciò che si producedi importante e nuovo nel mondo, è diventato negli anni (siamo al 41˚appuntamento) il Sundance europeo e, con 341 mila biglietti venduti nel 2011,anche una delle più popolari rassegne planetarie. 2.500 i professionisti attesi e250 i registi ( Michel Gondry, Wang Xiaoshuai, Lucas Belvaux, Miike Takashi,Mohammad Rasoulof, Tsukamoto Shinya, Aki Kaurismäki, Andrea Arnold,Steve McQueen, Julió Bressane, Kobayashi Masahiro, Eric Khoo, Bouli Lanners,Pietro Marcello, Boris Lehman, Ruben Östlund e Garin Nugroho...), mentre tragli attori invitati ricordiamo Sophie Quinton e Nicole Garcia, protagonisti di «38Témoins» di Belvaux, Silvia Calderoni e Elisa Sednaoui (top fashion model nellerecenti campagne di Armani e Cavalli), protagoniste del film di Manuli; AggelikiPapoulia («Alps» di Yorgos Lanthimos); Niels Gomperts e Jeroen Willems(«Lena» di Christophe van Rompaey). Al mercato di Rotterdam del film«d’essai», il CineMart (29 gennaio-9 febbraio), sono attesi 800 compratori evenditori provenienti da 70 paesi, con 36 progetti selezionati in cerca didistribuzione. Retrospettive e focus sul cinema trash brasiliano (Joaquim Pedrode Andrade, Reichenbach, Sganzerla, Mojica Marins, Bressanre, Khouri...), idocumentari siriani e i giovani cineasti egiziani. E gioielli di Isou («Trattato dibava e di eternità»), Grifi («Anna»), Brakhage, Malas, Jacobs, Kuchar, PedroCosta, Raul Ruiz, un doc su Maya Deren e uno filippino su Jacopetti; un corto diTekla Taidelli, Koreda, «L’estate di Giacomo» di Comodin, «Joule» di NadiaRanocchia e David Zamagni, «Hugo Cabret» di Scorsese nelle altre sezioni. (r.s.)

NULI

Kaspar Hauser nasce al mondo comeun criminale, poiché non si sa nulla dilui. Per questo solo motivo, lui/lei èun essere dal quale bisogna stare allalarga, stare attenti, è pericoloso. Nell’occidente moderno vogliamo saperetutto di tutti, pensando che questo siail vero antidoto alla criminalità. Lasocietà oggigiorno galleggia smarritain un nulla comunicativo tra essereumani. Chiamando questo nullascambio e comunicazione.

●Di nuovo la Sardegna, perché?È il secondo film consecutivo che gironei paesaggi desertici e lunari dellaSardegna, regione alla quale io saròsempre grato e debitore. L’esperienzadi Beket, sempre prodotto con la BlueFilm, era stata così positiva da volercontinuare e provare a formare undittico: stessi paesaggi, stesso numerodi personaggi, stesso bianco e nero(migliaia di film a colori dovrebberoessere girati in b&n. Bisognerebbechiedere più spesso a chi gira a coloriperché lo fa...), stesse ottiche largheda film western, stesso direttore dellafotografia (il tunisino Tarek BenAbdallah), stesse tematicheesistenzialiste che pongono l’uomo alcentro dell’universo...

●Già, il paesaggio è da «cinemanovo» o da western all’italiana...Mi piace l’accostamento a Rocha:«una macchina da presa in mano eun'idea in testa», poiché cercosempre di trasformare la povertàproduttiva in virtù poetica e narrativa.Quando giri un film in 2, 3 o massimo4 settimane con pochissimi soldi devicome professionista alzare molto illivello, per fare in modo che poi lospettatore non se ne accorga: lospettatore non deve avere degli alibida parte del regista o dellaproduzione, ma deve pensare «questofilm è ricco!, ricco di poesia, ricco dinarrativa, ricco di contenuti». Ecco, laSardegna, il bianco e nero, le ottichelarghe mi hanno aiutato tanto percreare un’immaginario unico eirripetibile nel suo genere. La miapoetica è una poetica della solitudine,legata anche ad una produttività dellasolitudine: questa solitudine habisogno di spazi ampi per esprimersi.Niente città, niente società. Ilpensiero del cinema novo brasiliano edei western all’italiana era proprioquesto: meno mezzi hai per girare,più idee devi avere. E niente scuse:bisogna garantire un risultato forte.

●Parlami del rapporto con GalloÈ una professionista stupendo egenerosissimo, tra l’altro ariete comeme (stesso giorno, 11 aprile) e cisiamo capiti benissimo. Vincent mi haaiutato tanto e ci siamo sentitiassiduamente senza sosta per 3 anni.Ha delle giornate nelle quali siinnervosisce, capita a tutti, anche ame. Nient’altro. Sul set è statosbalorditivo vederlo lavorare, il suotalento è immenso, uno dei più

grandi al mondo. Posso solo dire chegli sarò grato tutta la vita perl’esperienza professionale e umanache mi ha fatto fare. Sono cresciutotanto soprattutto grazie lui.

●E la musica?Sogno da anni di fare un film muto,senza dialoghi, ma con solo un fondonarrativo di musica techno, dellaquale sono un malato cronico.Purtroppo questo film è parlato, mace l’ho messa tutta sia durante leriprese (abbiamo girato con partedella musica suonata in presa diretta,cosa che non fa quasi più nessuno. Eusando un dolby digital surround a 6piste in presa diretta, cosa non faproprio nessuno!) sia al montaggio,grazie al genio davvero illuminatodella star dell’electro-technomondiale Vitalic (il francese PascalArbez) che mi ha fornito di musichestraordinarie della colonna sonora.Non potendo fare un film muto con«dialoghi elettronici»...ho cercato difar diventare il film un’operaelettronica.

●Lo stile?Pochi attori. Stile teatrale. Anni ’70. Edesiderio di raccontare ifondamentali. Io parto dal teatro e lamia formazione, newyorkese, èteatrale: attore, organizzatore,sceneggiatore, produttore. Poi nel1995 sono passato a scrivere per ilcinema, a cominciare da Girotondo,giro attorno al mondo. Tutti i mieifilm li ho scritti da solo, usando la miaesperienza teatrale. Ma tutte le regolenel cinema son fatte per essereribaltate. Negli anni 50 e 60 i filmerano girati quasi esclusivamente conun’ottica larga e in piano sequenza,ma nessuno definiva teatrale Simondel deserto di Bunuel. Era cinemavero. Oggi il «cinema» è al 95%para-tv. Ho sentito così il dovere ditornare ai fondamentali, a una sortadi purismo, eliminando ogni orpello.Avevo bisogno di fare pulizia etornare all’essenza. Un bisognoprimario per prendere ossigeno...

GERENZA

ROTTERDAM FILM FESTIVAL

«Poco primadella fine»Incontro conHeddy Honigmann

di SILVIO GRASSELLI

●●●Poche ore prima di morire TheoAngelopulos, interrogato sulle vie disopravvivenza alla crisi, ha risposto che il mondosi potrà salvare solo grazie a un nuovoumanesimo. Di questo stesso umanesimo HeddyHonigmann ha fatto il fondamento del suolavoro di cineasta.

Nata in Perù da padre austriaco e madrepolacca, cresciuta culturalmente in giro per lecapitali d’Europa, Heddy Honigmann conosce ilcinema a Parigi e lo impara al CentroSperimentale di Roma. Il suo primolungometraggio è un film a soggetto (The FrontDoor, 1985), e nonostante alcune prove più checonvincenti nel cinema di finzione (tra gli altriMind Shadows,1988-89 e Au revoir, 1995, passatipuntualmente per i grandi snodi festivalieri delleplatee internazionali), è il cinema documentarioche le concede riconoscimenti e autorevolezza,ormai stabilizzata ben oltre i confini d’Olanda,patria che Honigmann si è scelta già adulta.

Se il perno dell’inquadratura è sempre lafigura umana, e i temi espliciti del discorsovanno dalla funzione esistenziale e umanitariadell’arte al senso della perdita, dalla potenzavitale del sesso alla potenza creatrice dellaparola, quel che distingue il cinemadocumentario di Heddy Honigmann e lo rendestilisticamente unico sta nell’uso raffinato che laregista fa dell’intervista.

Nelle sue «conversazioni» – come preferiscechiamarle lei – si condensano il gusto e la sintesidel ritratto, l’uso consapevole e controllato deglielementi essenziali del dispositivo (la costantedialettica tra elementi pittorici e fotograficidell’immagine e il movimento, l’amplificazionedel processo riproduttivo, la modulazione delrapporto tra obiettivo e mondo), ladimostrazione del talento tutto speciale diarrivare al senso attraverso l’emozione e disuscitare l’emozione dentro la relazione.

Che si tratti di finzione o documentario, HeddyHonigmann costruisce i suoi film intorno ai corpidei suoi protagonisti, intorno alle loro voci, ailoro gesti, scegliendo e usando i luoghi comecasse di risonanza perfettamente adattate ognivolta a un tono emotivo differente. L’eventoimpercettibile della relazione è la forza chetrasfigura persone e contesti, che invita losguardo a sfondare la superficie del fatto, aspingere l’occhio oltre l’immagine evocata.

Al Festival di Rotterdam il «NederlandsInstituut voor Beeld en Geluid» (Istituto olandeseper il suono e l’immagine) presenta l’anteprimadel nuovo film di Heddy Honigmann, And ThenOne Day, un cortometraggio che unisce – in unaformula quasi del tutto inedita per la regista –commedia e pamphlet.

E insieme l’Istituto presenta il primo dvdbox che si occupa - dopo le molte personalinei festival e nelle istituzioni museali delmondo – di canonizzare e rendere disponibileal grande pubblico e agli studiosi un’ampiaselezione del suo cinema.

SEGUE A PAGINA 4

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In copertina:Vincent Gallo nel ruolo delpusher in «La leggenda diKaspar Hauser» di DavideManuli, selezionato al 41˚Festival Internazionale delcinema di Rotterdan

MMIKE TAKASHIUn’altra anteprima mondiale attesa di Rotterdam è il film di Miike Takashi AceAttorney, tratto dal popolare video-game Nintendo (prima Game Boy Advance, poiNintendo DS) Phoenix Wright: Ace Attorney e dimostrazione di come un cineastadell’iperviolenza e specializzato in drammi sappia maneggiare meglio di altri letonalità comiche e fumettistiche. Le avventure dell’avvocato Phoenix Wright e deisuoi compari Miles Edgeworth e Larry Butz, alle prese con casi giudiziariintricatissimi (e qui la caricatura del sistema giudiziario nipponico è scatenata),permettono a Miike di incrociare ritmo da cartoon, stile live action classico e giocovisuale barocco e dinamico tipico del manga. I confini tra cinema e videogame sonoormai flebili. Su internet: http://aceattorney.sparklin.org.

JULIO BRESSANEJúlio Bressane, con Rogerio Sganzerla anima del movimento anni 70 «udigrudi»(ovvero cinema novo e oltre),, è da 40 anni uno dei cineasti brasiliani più profondi,raffinati e graffianti, e nel 2000 Rotterdam gli ha dedicato una retrospettiva completa.Questa volta presenta in prima mondiale al Iffr «Rua Aperana 52», un docufictionraccontato in prima persona singolare maschile monologante, ma anche uninquietante musical sul paesaggio urbano, dedicato a un angolo di Rio de Janiero cheha fotografato e filmato personalmente tra il 1957 e il 2005 (viveva lì) ma che si avvaleanche di materiale cinefotografico d’archivio, familiare o prestato dai vicini di casa,realizzato dal 1909 al 1955 in questa (traducendo il portoghese) «strada sbagliata»,che Bressane dovette precipitosamente abbandonare con l’arrivo dei carri armati...

Incontro con due protagonisti dello scenariodi ricerca, il cineasta viscerale Davide Manuli,già autore di «Beket», e Heddy Hanigmann,documentarista peruviana «di profondità»

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(4) ALIAS28 GENNAIO 2012

SEGUE DAS PAGINA 2

●Ho letto una sua dichiarazionein cui dice di detestare i simboli.Nei suoi film gli oggetti sonoimmagini dense e forti, hannospesso un’importanzafondamentale, sono veicoli disenso, e ancor di più servonosempre da generatori e mediatoridel racconto. Qual è allora ladifferenza tra immagine esimbolo?I simboli sono una scorciatoia.Molti, nelle mie immagini, vedonosimboli perché ci scoprono dentrouna grande varietàd’interpretazioni possibili. Credoinvece che un'immagine possaessere tanto più apertaall’interpretazione dello spettatorequanto più riesce a essere concreta,esatta. Usare simboli sarebbe unaforma d’impotenza a mostrare ilreale. Forse è per questo che hoiniziato a fare documentario. Cipenso ora per la prima volta.

●In «Forever» (2006, quasicompletamente girato nel cimiteromonumentale di Parigi) c'è unmomento che credo molto utile acomprendere meglio tutto il suocinema, precedente e successivo. Sitratta della conversazione con ilfumettista che lavora su Proust, inparticolare il breve passaggio incui lui le spiega il meccanismodella memoria involontaria,citando l'episodio proustiano dellamadeleine. Il ricordo è ilmovimento che produce i suoifilm; le emozioni, sono invece lasostanza dalla quale scaturiscel'immagine nel suo modo di farecinema. Pensavo allora al suo

lavoro come a una sorta ditriangolo delle madeleine. Perprima cosa la scelta deipersonaggi, quel che lei riconoscein queste persone sembraqualcosa di simile a unamadeleine, qualcosa che fascattare dentro di lei unamemoria involontaria, emotiva; ilsecondo vertice del triangolo è lei,che forse può dirsi funzioni damadeleine per la persona che hadi fronte, che riprende, facendoscattare in loro il ricordoinvolontario; il terzo vertice è lospettatore - dal momento che ilfilm non si articola sullaprogressione di un'azione o di unanarrazione in senso classico (le«azioni» sono i gesti, mani che simuovono, sorrisi, sguardi, capellitirati dietro un orecchio, lenarrazioni frammenti d’emozionelegati a un fatto, un episodio, unaneddoto) - che si trova davanti al

film come a una madeleine inpotenza.È possible che sia vero, che siacome dice. L'importanza delcasting, tanto nel documentarioquanto nel film di finzione - perme funzionano allo stesso modo -è cruciale.

●Nei due film che ha girato aLima («Metal and Melancholy»,1993 e «Oblivion», 2008), la suacittà, penso che almeno qualcunodei personaggi possarappresentare per lei qualcosa disimile.Dovrei pensarci un po'. Comunqueche io sia la madeleine per lepersone che incontro nei miei film,non c’è dubbio. Spesso, mentregiro, mi rendo conto che quelloche sto facendo lo sto facendo inmodo tale che la madeleine cheaspetto – o quella che nemmenoimmagino - sorge alla coscienza eai sensi della persona che hodifronte.

Il mio film davanti allospettatore è senza dubbio unamadeleine: i miei film precipitanosempre, immediatamente, lepersone dentro situazioni anchemolto distanti da loro. AncoraForever. Alla prima visione ho deltutto trascurato il discorso centralesul senso dell’arte e mi sono invececoncentrato sul motivo ricorrentedell’assenza come esperienza dipienezza. Penso alle persone cheattraversano il cimitero: la donnache ha perso il marito molto piùgiovane di lei, per esempio, va alcimitero per poter sopravvivere esopravvive solo nella constatazionedella distanza che la separa dal suoamore. Non c'è alcuna illusione di

presenza.Quella donna dice: «All'inizio

avevo l'illusione che mio maritofosse ancora con me». Dopo unpaio d'anni accetta questa distanzae inizia ad andare al cimitero.Mentre è lì, sulla tomba delcompagno forse ha dei ricordi chela fanno stare insieme al marito,pur esistendo questa distanza. Ilparadosso è che la distanza è piùforte lì di quanto non le succeda disentirla a casa sua. Si pensa che alcimitero ci si vada per stare conchi è morto: non è così, è persentire più forte che questapersona non c'è più e ricordarlapiù fortemente. Mi piaccionomolto i cimiteri.

●Passiamo a parlare del film chepresenta in anteprima aRotterdam: il cortometraggio«And Then One Day». Come maiha deciso di impegnarsi, proprio

in questi mesi, in unatragicommedia a tema sociale?Volevo lavorarci già da tempo, inrealtà.

In Olanda c'è un partito politico,di destra che appoggia il governopur non essendo partito digoverno. Dicono cose terribili. Unavolta Geert Wilders – il leader - hadetto che sarebbe bene introdurreuna tassa che lui ha chiamato«tassa delle teste di straccio» (main olandese esiste un terminediverso per indicare la testa degliesseri umani e quella deglianimali: lui ha usato in questocaso la parola che si usa per glianimali) riferendosi alle donne cheindossano il velo. Progettano unalegge simile a quella francese, cheproibisca l'uso del velo nei luoghipubblici. Odio questo politicoolandese e odio le cose che dice,ma non ha nessun senso fare unfilm basato sull'odio: perciò hodeciso che era giusto fare unacommedia per parlare del velo.

È un film in tre parti. La primaparte è una lunga sequenza disette-otto minuti tutta d’immaginid’archivio e musica che illustratutti i tipi di copricapo. Poi si passaa vecchie interviste molto comichesui bellissimi copricapo delledonne del Suriname che hannofogge particolarmente strane, nateal tempo della schiavitù, quandogli schiavi non potevano parlare ele donne usavano la forma delcopricapo per comunicare. Unavecchia spiega che questicopricapo erano dei veri e proprivocabolari.

Poi si passa alle interviste adonne di tre diverse nazioni:Pakistan, Marocco e Ghana,ciascuna spiega la tradizione delproprio abbigliamento. Una diqueste donne è poi anche l'attriceprotagonista dell'ultima parte, unbreve racconto di finzione. Lastoria di una giovane coppia dimarocchini, che si amano molto,lei lavora in un ufficio e indossa unfoulard molto colorato.

Un certo giorno arriva unfunzionario che comunica allaprotagonista – olandese, di originemarocchina - la notizia che è invigore una legge che vieta l'uso delvelo nei luoghi pubblici e che senon provvederà, sarà costretta adandarsene. Lei si toglie il foulardche le copre la testa. Sta moltomale. Un giorno vede un posterdel film A qualcuno piace caldo diBilly Wilder. Il giorno dopo arrivain ufficio con un foulard bello,grande, colorato, si avvicina ilsolito funzionario che ripete la suaparte, ma con sorpesa intorno aloro tutte le donne nell'ufficio sicoprono la testa nei modi piùdisparati. Lei si toglie il foulard esotto mostra una parrucca bionda,come la criniera di MarylinMonroe. È un film molto politicoma anche molto comico.

●Più volte ha raccontato di averdiscusso con i suoi operatoriperché nella sua personalegerarchia i valori fotograficidell'inquadratura non vengonomai al primo posto. Lostrumento linguistico che lainteressa di più allora è la

distanza della macchina dalsoggetto?L'aspetto fotografico m'interessa,ma solo nel senso che il lavoroestetico sulla costruzionedell'inquadratura deve esserepensato in funzione dellacentralità della figura umana.Questo è l'aspetto fotografico chem'interessa, e non è semplicecome si potrebbe pensare.

●Guardando l’insieme di tutti isuoi film – documentari e film asoggetto - in un unico campolungo, ho l’impressione che ilsuo, pur non essendo un cinemaapocalittico, un cinema sulla finedel mondo, abbia a che fare conil presentimento di un termine,di una sparizione: come se ilsentimento e l'emozione, standodavanti alle persone e dentro ailuoghi, fosse sempre quellodell'ultimo testimone che scopreun pezzo di mondo prima di unevento ineluttabile, primadell’oblio, prima della rimozione.Penso allora che il suo cinemadocumentario più che in unadimensione riduttivamentedocumentaristica, possa essereinteso meglio come «cinemadella testimonianza».Non ci ho mai pensato, ma misembra che abbia ragione. Hodetto che mi piace sottolinearequello che è più bello nellepersone che scelgo: questo è quelloche sparirà. Nei miei film poi c’èmolta felicità: anche questo èdestinato a sparire. Il mio ultimocortometraggio finisce con unaserie di didascalie. Uno dei cartellidice più o meno: «Nel 1942 il re diDanimarca - già occupata daitedeschi - indossò la stella di Davidper protestare contro l'obbligoimposto ai cittadini ebrei. Fuseguito da altri 50000 danesi».

Cartello numero due: «Questastoria così bella è risultata essereuna invenzione». Io l'ho sentitaraccontare quando ero giovane eho scoperto andando a cercare suGoogle che era un'invenzione, chenon era mai successo. Quando mela raccontava mio padre midicevo sempre: che bellezza,ormai questa solidarietà nonesiste più. Il film è il desiderio diuna cosa che non esiste più, unafelicità, una comunione, che sivorrebbe che potesse ancoraesistere da qualche parte. Invecec'è la crisi e allora «sauve qui peutla vie». Se andiamo avanti cosìsiamo perduti. Esistono ancoradimostrazioni di umanità, ma stadiventando tutto sempre piùpiccolo.

41˚ ROTTERDAM INTERNATIONAL FILM FESTIVAL

DOCUMENTARIDI PROFONDITA’

HEDDY HONIGMANNÈ nata a Lima, l’1 ottobre 1951, ha studiato in Israele, Spagna, Francia e cinema in Italia. Suo nonno polacco abbandonò il paese prima dell’invasione tedesca, gli altri componenti della sua famiglia furono tutti sterminati. Tra le sueopere più importanti El olvido (2008), Forever (2006) Privé e Dame la mano (2004), Good Husband, Dear Son (2002), Crazy (2000), 2000 Hanna lacht (2000 short), De juiste maat (1998 tv movie) 2 minuten stilte a.u.b. (1998) Hetondergrondse orkest (1998) O Amor Natural (1996), Tot ziens (1995), Metaal en melancholie (1994), Ghatak (1990), dedicato al grande documentarista bengalese; Uw mening graag (1989), Hersenschimmen (1988), De deur van hethuis (1985). Forever ha vinto il festival internazionale del documentario di Navarra nel 2007.

La documentaristaperuviana parladel suo cinemae del nuovo corto,«And Then OneDay», pamphletsatirico sul veloislamico cheterrorizza l’ovest

La regista Heddy Honigmann e alcuneimmagini tratte dai suoi film