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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI www.avvenirelavoratori.eu La più antica testata della sinistra italiana,
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e-Settimanale - inviato oggi a 44203 utenti - Zurigo, 5 marzo 2015
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IPSE DIXIT
Sotto qualsiasi forma - «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi
forma, del disciolto partito fascista.». – Costituzione della
Repubblica italiana
Qualche giorno fa ignoti hanno oltraggiato la Cascina
Raticosa, luogo simbolo della Resistenza umbra, rimuovendo
una targa commemorativa e disegnando una svastica. L'ex
partigiano novantenne Enrico Angelini (foto) è salito alla
Cascina e ha rimosso l'oltraggio armato di spazzola e
sverniciatore.
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LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
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Oltre l'Otto Marzo
Guardare il mondo con gli occhi delle donne. Nella classifica
mondiale della parità di genere restiamo tra i paesi con minore
partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e tra quelli con le
maggiori disparità salariali.
di Susanna Camusso
Chi ha paura delle donne? È arrivato il momento di rompere il tabù che
imperversa nel nostro paese, dove la questione delle pari opportunità e
del superamento delle diseguaglianze tra uomini e donne è ampiamente
occultata. Il governo italiano si è perfino dimenticato di aver ratificato
la Convenzione di Istanbul, che dal 1° agosto 2014 rendeva
obbligatoria l'applicazione dei principi e delle normative contenuti in
quel testo, definito storico, che al primo articolo recita '...contribuire ad
eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere
la concreta parita tra i sessi...'. Ma il silenzio che è seguito dimostra
che il tema non rientra nell'agenda politica italiana.
Susanna Camusso
Eppure occupazione e redditi delle donne sono da tempo i principali
problemi, seguiti, ma non per ordine di importanza, dalle troppe
diseguaglianze acuite da questa lunga crisi. E, nonostante leggi
nazionali e internazionali prevedano parità di trattamento e di
retribuzione, nella classifica mondiale della parità tra uomini e donne
restiamo tra i paesi con minore partecipazione delle donne nel mercato
del lavoro e tra quelli con le maggiori disparità salariali. Con l'effetto
di un maggior divario pensionistico a sfavore delle donne, a cui non
viene garantito il diritto all'autonomia economica a conclusione della
loro vita lavorativa.
Quello dell'Italia è una grave ritardo, non esclusivamente di ordine
culturale, che penalizza il genere femminile e l'intera economia. Lo
confermano studi, ricerche e statistiche nazionali e internazionali, il più
recente dei quali è l'ultimo studio del Fmi, che quantifica i danni del
sessismo nel mondo in 9.000 miliardi di dollari all’anno, a causa di
restrizioni legali e della parità di genere ancora lontana da raggiungere.
Una discriminazione contro il genere femminile che all'Italia fa perdere
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più del 15% della ricchezza potenziale.
Dagli Stati Uniti è partita in questi giorni una vera e propria
offensiva perché la partecipazione paritaria delle donne al mercato del
lavoro, oltre che una battaglia di equità e democrazia, diventi
prioritaria per la crescita. Il “tam tam” dell’equal pay lanciato da
Barack Obama mobilita attori, politici, gente comune. Sul fronte
europeo, negli ultimi anni, Francia, Belgio, Austria e Portogallo si
stanno muovendo verso la parità retributiva con l'approvazione di
apposite leggi che spaziano dal rafforzamento dei controlli all’obbligo
periodico di presentazione di analisi comparative tali da monitorare
quella che in azienda è la struttura salariale.
La situazione italiana è una delle più contraddittorie: il formidabile
avanzamento delle donne in politica – il governo è composto al 50% da
donne, che nel Parlamento sono il 30% – è speculare all'aumento delle
disuguaglianze economiche e sociali, al peggioramento sul piano
occupazionale e retributivo, che penalizza la vita materiale delle donne
che lavorano. E di quelle che non lavorano più: le pensionate, spesso
costrette dalla crisi, dallo svuotamento del welfare e dalla precarietà
dei figli a svolgere il ruolo improprio di ammortizzatore sociale.
La politica finge di non sapere che la mancanza di servizi è un freno
all’occupazione femminile e allo sviluppo. Le donne sono penalizzate
anche dalla maternità, come se non avesse un valore sociale. Soltanto
43 su 100 mantengono il lavoro dopo la nascita di un figlio, che
insieme al lavoro di cura troppo spesso favorisce la loro uscita dal
mercato del lavoro. Le aziende devono sapere che la diversità è una
risorsa, bisogna solamente essere capaci di gestirla.
Con i decreti attuativi, il Jobs Act è entrato nel vivo. Presentato
come una misura a favore dei giovani e delle donne, è in realtà privo di
un'analisi di genere e iniquo sul piano della parità e dell'equità. È il
mantenimento delle differenze e non la lotta alla precarietà. I
provvedimenti del governo hanno complessivamente saccheggiato il
diritto del lavoro e per questo la Cgil presenterà una proposta di legge
per un nuovo Statuto dei lavoratori, per estendere tutele e diritti a tutti i
lavoratori e lavoratrici, indipendentemente dalla tipologia contrattuale.
Il 9 marzo a New York si apre la 59a sessione della Commissione
sullo stato delle donne delle Nazioni Unite, che valuterà i progressi
compiuti dalla Conferenza mondiale di Pechino nel 1995, in cui si
stabilì la necessità di una verifica ogni cinque anni rispetto
all'attuazione del Programma d'azione fondato sue tre pilastri: genere e
differenza, empowerment, mainstreaming. Ovvero: guardare il mondo
con gli occhi delle donne.
La Conferenza di Pechino ha rappresentato una pietra miliare nel
riconoscimento dei diritti umani delle donne. Venti anni dopo,
attraverso i rapporti quinquennali dei governi, si esamineranno i
traguardi raggiunti rispetto agli obiettivi strategici delle 12 aree critiche
individuate dalla Piattaforma di Pechino. Da allora in tutto il mondo
sono state implementate nuove leggi, prodotte ampie documentazioni
statistiche su discriminazioni e disuguaglianze, sono proliferate reti e
associazioni di donne finalizzate al raggiungimento della parità di
genere. Ma nessun paese ha ancora portato a termine gli impegni
assunti e le condizioni di vita materiale di due terzi delle donne nel
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mondo non sono cambiate: guadagnano meno degli uomini e la loro
occupazione è meno qualificata.
L'appuntamento di New York dovrebbe essere dunque l'occasione
per rinnovare la volonta politica e l’impegno di tutti i governi verso un
cambiamento, che tarda troppo ad arrivare. Ci sono voluti secoli prima
che i diritti delle donne fossero riconosciuti, almeno teoricamente,
come diritti umani universali. Il problema non si risolve lasciando
totale libertà al mercato, è necessaria la volontà politica e una
sensibilità di genere di tutte le parti sociali.
Per dare significato alla giornata dell'8 Marzo dobbiamo proseguire
la nostra mobilitazione perché il governo metta in campo misure e
investimenti che affrontino seriamente un problema non delle donne,
ma di democrazia e di pesanti vincoli allo sviluppo di tutto il paese.
Che vanno oltre l'8 Marzo, perché per dirla con le parole di Amartya
Sen: “Il sessismo ci impoverisce tutti”.
Un disegno di accentramento autoritario?
In difesa della
democrazia costituzionale
di Felice C. Besostri
In maggio si vota per il rinnovo di consigli regionali. Con metodo
collaudato, le modifiche alla legge europea nell'imminenza delle
elezioni del 2009 con la l.n. 10/2009, si modificano le leggi elettorale
regionali in senso maggioritario con premi di maggioranza
spropositati, in Umbria siamo arrivati al 65%.
Se non si reagisce il Senato prossimo venturo sarà ancora peggio di
quanto possiamo immaginare e/o temere. Tuttavia il pericolo maggiore
è politico.
Una caratteristica comune sono soglie di accesso differenziate,
minori per le forze in coalizione, elevate per le liste singole. Le liste
minori coalizzate beneficiano inoltre del premio di maggioranza:
un'attrazione fatale e gli effetti si sono visti nelle elezioni emiliano-
romagnole e calabresi.
Il desiderio di essere eletti, con la giustificazione della
sopravvivenza della propria formazione, genera una spinta di
"corruzione politica" da parte del PD.
C'è un nesso preciso tra abbassamento delle soglie di accesso delle
forze coalizzate ed aumento del premio di maggioranza. Devi poter
premiare le forze vassalle, ma nel contempo non dipendere da loro. La
maggioranza assoluta deve spettare al partito guida della coalizione.
Può sembrare paradossale ma il sistema politico più somigliante è
quello delle ormai defunte democrazie popolari nell'Est europeo. Un
partito egemone e una pletora di partitini satelliti senza potere reale.
Accanto alle regioni l'altro punto di forza del PD è il governo locale,
sia dove vi è elezione diretta del Sindaco collegato a un premio di
maggioranza del 60%, sia nelle Province e Città metropolitane con
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elezioni di secondo grado.
Come si è puntualmente verificato tra settembre e ottobre del 2014
quelle elezioni sono state sottovalutate, mentre erano un notevole
esperimento di soppressione della democrazia rappresentativa.
Qual formidabile passo in avanti sapere chi governerà gia la sera…
prima delle elezioni!
Nel sistema ci sono state falle come i sindaci arancioni, ma a
distanza di pochi anni non sembrano modelli di successo, anche a
causa della riduzione dell'autonomia comunale e dei tagli agli enti
locali.
In conclusione, la difesa della democrazia costituzionale non può
limitarsi al contrasto alla revisione costituzionale e all'Italikum, se chi
si oppone a livello nazionale non sarà capace di presentarsi in maniera
coordinata per un progetto alternativo.
* * *
Assemblea pubblica promossa dal
COORDINAMENTO
PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE
Un disegno di accentramento autoritario?
Modifiche della Costituzione e legge elettorale:
Difendere la Costituzione nata dalla Resistenza per impedire
lo stravolgimento dei suoi valori fondamentali
ROMA LUNEDI 9 MARZO
Aula dei gruppi parlamentari della Camera in via di Campo Marzio
dalle ore 15 alle ore 18.30
MOSTRO ITALICUM - 3/3 Puntate 1/3 e 2/3 apparse sull’ADL
del 12 e del 19 febbraio 2015
NON E’ MITE
Sulla legge elettorale partorita dal patto del Nazareno molti si
affannano a spiegare che si tratta di un mostro legislativo meno
mostruoso della sua versione primitiva. Per noi una cosa è certa: che
questo mostro non è mite.
di Luciano Belli Paci
Le preferenze come ludi cartacei. - L’altro motivo di incostituzionalita
del Porcellum statuito dalla sentenza n° 1/2014 riguarda le liste
bloccate che, sottraendo all’elettore la facolta di scegliere l’eletto,
violano i precetti costituzionali sul voto “libero, personale, diretto”
(artt. 48, 56, 58 Cost.).
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Nella legge Calderoli, osserva la Corte, “tale libertà risulta
compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare
l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco
spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che
difficilmente conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di
scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione,
sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo
stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità
di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre
circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito”.
L’Italicum tenta di aggirare l’indicazione della Corte, lasciando
“bloccati” solo i capilista delle nuove 100 circoscrizioni e consentendo
invece all’elettore di esprimere il voto di preferenza per gli altri
candidati.
Oltre al danno, la beffa.
Infatti, salvo casi del tutto eccezionali, il sistema funziona in modo
tale per cui tutte le liste diverse da quella che si vedrà attribuito il
premio di maggioranza – il che significa liste che potrebbero avere
raccolto complessivamente fino al 60 % del voto popolare, e anche
oltre se si è andati al ballottaggio – non avranno altri eletti all’infuori
dei capilista. In altre parole, per la maggior parte degli elettori, tutti i
deputati eletti con il loro voto saranno quelli individuati sulla base di
scelte operate dai partiti; e neppure potranno dire di avere scelto il
capolista, essendo rimasta inalterata la possibilità di candidature
multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni
sulla base delle indicazioni del partito.
Anche in questo caso la situazione, rispetto al Porcellum, è per certi
versi addirittura peggiorata perché il meccanismo è ingannevole:
milioni di elettori, la maggioranza, saranno chiamati ad esprimere un
voto di preferenza del tutto virtuale, privo a priori di ogni possibilità di
tradursi in autentica scelta dell’eletto. Così la consultazione elettorale
viene degradata a recita, si sprofonda nei “ludi cartacei” di
mussoliniana memoria.
Le istituzioni di garanzia col trucco contabile. Il presidenzialismo
come male minore. - Gli inventori dell’Italicum, per ripararsi dalle
critiche di chi paventa che dal rischio della classica “dittatura della
maggioranza” si scivoli addirittura verso quello della “dittatura della
minoranza”, hanno proposto la riforma dell’art. 83 Cost., prevedendo
che per l’elezione del Presidente della Repubblica, dopo i primi tre
scrutini nei quali è richiesto il quorum dei 2/3, occorra una
maggioranza qualificata dei 3/5 (oggi basta la maggioranza assoluta
dei grandi elettori). Apparentemente questo dovrebbe impedire alla
lista che ottiene il premio di eleggersi da sola anche il Presidente della
Repubblica, mantenendo in tal modo a quest’ultimo il ruolo di organo
di garanzia.
Peccato che ci sia una sorta di trucco contabile che rende ben poco
rassicurante la riforma.
Infatti, il quorum dei 3/5 (equivalente al 60 %) non si calcola solo
sulla Camera, dove la lista vincitrice ha già il 55 %, bensì sul collegio
dei grandi elettori che comprende anche il Senato.
E qui si capisce l’utilità della curiosa riforma del Senato. La
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seconda camera, privata ormai del potere di dare la fiducia al Governo
e relegata al ruolo di comparsa anche nel processo legislativo, avrebbe
potuto essere abolita del tutto per evitare un nuovo organismo senza
sostanza, tipo Cnel. Oppure, se proprio la si voleva mantenere, avrebbe
potuto essere eletta in modo proporzionale per fungere da “specchio
del Paese”, con competenza sulle questioni più delicate, come le leggi
costituzionali, le leggi elettorali e, appunto, l’elezione degli organi di
garanzia.
Invece il Senato riformato, grazie all’elezione di secondo grado da
parte dei Consigli Regionali - che a loro volta sono frutto di elezioni a
turno unico che assegnano alla coalizione del presidente (con la
semplice maggioranza relativa) un premio abnorme - avrà una
conformazione iper-maggioritaria. In tal modo vi sono elevate
probabilità che quel 5 % mancante perché la lista che domina la
Camera arrivi al 60 % complessivo possa essere garantito proprio
dall’apporto dei senatori, tra i quali la medesima “maggioranza” potra
essere ulteriormente sovra-rappresentata.
A ciò si aggiunge il fatto che nell’ultima versione dell’Italicum il
premio non va più alla coalizione bensì alla singola lista; il che rende
possibile che chi vince (specie se vincesse solo al ballottaggio, avendo
perciò ottenuto al primo turno meno del 40 %) abbia in parlamento
altre liste alleate che portino in dote quel 5 % mancante per fare
cappotto.
Questa elevata probabilita che l’effetto della combinazione tra
Italicum e riforma del Senato porti ad un sistema in cui con una sola
votazione, di fatto, si prende tutto – parlamento, governo, presidente
della repubblica e, a cascata, maggioranza della corte costituzionale,
ecc. – dovrebbe indurre a riflettere attentamente sull’opportunita di
preferire, al confronto, un sistema di elezione diretta del Capo dello
Stato.
I critici del presidenzialismo (tra i quali si colloca chi scrive) si sono
sempre opposti all’elezione diretta temendo che da essa, in una
democrazia fragile come quella italiana ed in presenza di già eccessivi
fenomeni di personalizzazione, potessero scaturire degenerazioni
plebiscitarie.
Oggi però si rischia qualcosa di molto peggio: un presidenzialismo
di fatto, ma senza neppure il bagno democratico dell’investitura
popolare e senza alcun sistema di checks and balances.
Insomma, rispetto al quadro che emergerebbe dalle riforme del
Nazareno, il presidenzialismo o meglio ancora il semi-
presidenzialismo sarebbe di gran lunga il male minore.
Un sano esercizio: immaginare la vittoria degli altri. - Il dibattito
sulle riforme in commento si sta svolgendo in un contesto di scarsa
attenzione, se non di anestesia delle coscienze.
La ragione di questo inquietante fenomeno solo in parte può essere
individuata nella mitridatizzazione prodotta da anni e anni di
demonizzazione del proporzionale, di delegittimazione del parlamento
come sede della mediazione politica e di crescita del leaderismo.
In una buona parte dell’opinione pubblica solitamente sensibile al
tema dei valori costituzionali prevale, oltre alla stanchezza, l’idea che
si tratti di riforme fatte su misura, che potranno avvantaggiare solo il
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PD del 40 % alle europee ed il suo capo; soggetti ritenuti dai più
magari criticabili, ma non sospettabili di involuzioni anti-
democratiche.
Chi scrive non condivide questo pregiudizio favorevole, ma il punto
non è questo.
In materia elettorale le “leggi-fotografia” sono un grave errore ed il
legislatore dovrebbe sempre decidere “dietro il velo dell’ignoranza”,
ma ancor più sbagliato sarebbe giudicare le regole come se la
situazione data fosse immutabile.
Poiché le riforme elettorali ed istituzionali si fanno,
tendenzialmente, per sempre, è doveroso interrogarsi sui risultati che
produrrebbero in presenza di equilibri politici completamente diversi
dagli attuali, nei quali potrebbero prevalere forze che sono le più
lontane da noi.
Dobbiamo immaginare che possa rivincere, se non Berlusconi in
persona, un altro come lui; che possa vincere Salvini con una specie di
Front National italiano; o che possa vincere Grillo, magari uscendo da
un primo turno molto distaccato e poi raccogliendo al ballottaggio un
ampio voto di protesta goliardica e trasversale (come è già accaduto a
Parma e a Livorno).
Ecco che l’eliminazione di pesi e contrappesi e l’impossibilita di
realizzare una convergenza repubblicana per sbarrare la strada in un
secondo turno ad una forza eversiva che dovesse arrivare al 40 %
(come avvenne in Francia alle presidenziali del 2002 quando anche la
sinistra votò per Chirac contro Le Pen) risulterebbero esiziali per le
sorti della Repubblica nata dalla Resistenza.
Se oggi si prende alla leggera il problema, si rischia di svegliarsi
quando il danno è fatto.
(3/3 – Fine)
* * *
PER UNA DEMOCRAZIA
COSTITUZIONALE Tra Italicum e Riforma del Senato.
I rischi di un modello sconosciuto al mondo occidentale.
Incontro con
VITTORIO ANGIOLINI,
ordinario di Diritto Costituzionale, Università degli Studi di Milano
FELICE BESOSTRI,
avvocato, direzione nazionale PSI
ALFREDO D'ATTORRE,
deputato Partito Democratico
FABIO MUSSI,
coordinamento nazionale Sinistra Ecologia Libertà
Intervistati da
LUCIANO BELLI PACI
MILANO
CAM Ponte delle Gabelle
9
via San Marco, 45
MM2 Moscova
Venerdì 6 marzo 2015 | ore 21,00
organizza Circolo SEL Zona 1
SPIGOLATURE
E sulle loro tombe
cadrà il fiore dell'oblio…
di Renzo Balmelli
OBLIO. Forse non basterebbe nemmeno tutta la sagacia di Petrovic
Fandorin, l'investigatore uscito dalla penna di B. Akunin, per fare
piena luce sui gialli politici russi. In quei meandri è facile perdersi
senza mai trovare una traccia precisa di chi può essere stato il vero
assassino. La storia si ripete con la morte di Boris Nemtsov per la
quale è stata formulata, ripresa con enfasi dalla destra nostrana,
l'ipotesi che il Cremlino non avesse interesse a zittirlo non essendo
catalogato tra i potenziali nemici del sistema. Figuriamoci gli altri!
Comunque sia, adesso Nemtsov, definito una persona onesta, è sepolto
guarda caso accanto ad Anna Politkovskaya, la giornalista sgradita al
potere e uccisa in circostanze mai chiarite. Sulle loro tombe cadrà il
fiore dell'oblio e nessuno pagherà per il duplice delitto.
MACCHIA. Mancano ancora quasi due anni alle presidenziali
americane, ma i repubblicani , che da quando Obama siede alla Casa
Bianca hanno perso la testa, già affilano le armi per riconquistare il
potere con qualsiasi candidato disponibile sulla piazza, purché sia
conservatore a tutto tondo, militarista senza riserve e disponibile a
scendere a compromessi con i più facoltosi centri di potere.
Ovviamente per il bene supremo della Nazione. Orbene, come se due
non fossero bastati , sulla scena sta facendo le sue prime apparizioni un
terzo Bush, John Ellis, detto " Jeb", già governatore della Florida
grazie ai voti degli immigrati anti-castristi. Per i repubblicani Bush III
sarebbe il candidato ideale a meno di non evocare la guerra in Iraq che
oscura il ritratto di famiglia.
INTRUGLIO. Capita anche in politica che in tavola arrivino pietanze
per le quali occorre uno stomaco di ferro. Ma se il cuoco confonde la
cucina con il rancio , nemmeno l' Alka-seltzer potrà servire allo scopo.
Neppure presa in dosi industriali la celebre polverina potrebbe
facilitare la digestione della miscela in salsa nostalgica servita da
Salvini e che ha quali ingredienti di base la nuova Lega " lepenista" , il
fascismo di Casa Pound, le croci celtiche, le foto di Mussolini, il
linguaggio sboccato, gli slogan di facile presa e abbondanti spruzzate
di " vaffa..." per "impreziosire" le varie portate. Se questo è il pantheon
della destra italiana, in fuga dal berlusconismo, c'è poco da stare
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allegri, soprattutto pensando alle future generazioni. All'apposto del
famoso slogan questo intruglio più lo mandi giù e meno ti tira su.
TRAPPOLA. Rimpiangere Berlusconi? Non sia mai. Troppe ne ha
fatte e altre potrebbe ancora combinarne non appena riavrà la piena
agibilità politica. Qualcuno però , ancora sotto choc per quanto
proposto dal vociante sabato romano del Matteo lombardo, potrebbe
essere indotto a credere che l'anziano sultano di Arcore sia tutto
sommato il male minore. Sarebbe una trappola. Dall'ex ormai al
tramonto, l'astro nascente del Carroccio ha ereditato il populismo
incantatore che passa attraverso l'uso disinvolto dei social media.
Considerarlo una meteora sarebbe un sbaglio che la sinistra potrebbe
pagare a caro prezzo, soprattutto se dovesse continuare a sfarinarsi
nella litigiosità , riesplosa alle recenti primarie, e che è tutta olio che
cola per chi spinge il Paese alla deriva qualunquista.
FALCATE. Da quando è salito sul soglio di Pietro circa due anni fa
(13 marzo 2013) Papa Francesco ha dovuto sgomitare. Fin dal primo
giorno gli ossequi ingannevoli hanno fatto il paio con le critiche e gli
attacchi, diventati sempre più manifesti nello svolazzare delle tonache
curiali. Anticonformista anche nel rifiutare scarpette e mantelline
rosse, il Vescovo di Roma attraversa a larghe falcate il rosario delle
lamentele, nella consapevolezza che ai gesti simbolici e mediatici
dovrà fare seguire presto atti ben più significativi per non deludere i
fedeli, specie dopo le aperture in fatto di morale sessuale, familiare,
matrimoniale e sociale. Ma Jorge Bergoglio potrebbe essere sotto tiro
dei tradizionalisti, allo scopo di rendere se non impossibile perlomeno
difficile un dibattito approfondito sulla questione.
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Economia
HSBC
Una banca al centro di frodi fiscali
e operazioni finanziarie illecite
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
E’ dal 2008 che liste di grandi evasori fiscali sono emerse e portate
all’attenzione degli organi di vigilanza finanziaria e dei governi di
molti Paesi. In primis degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Finora
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però vi sono stati solo grandi polveroni mediatici, misere condanne
ufficiali e scarse contromisure legali.
Prima Hervè Falciani, poi SwissLeaks e infine il Consorzio
Internazionale di Giornalisti Investigativi hanno indicato la HSBC
Private Bank SA di Ginevra in Svizzera come uno dei centri operativi
che organizzano servizi finanziari illegali, lavaggi di soldi sporchi e
frodi fiscali per cittadini e organizzazioni interessati.
Le frodi fiscali complessivamente coinvolgerebbero almeno 130.000
potenziali evasori internazionali (industriali, politici, attori, sportivi,
ecc.) per parecchie centinaia di miliardi di dollari. Oltre 7.000
sarebbero cittadini italiani.
A questo punto riteniamo sia indispensabile gettare luce sulla HSBC
e sul suo ruolo di leader della grande finanza globale. La banca di
Ginevra è la filiale delle britannica Hong Kong and Shanghai Banking
Corporation. E’ la maggiore banca europea ed è la terza al mondo. Fu
fondata nel 1865 da un consorzio di interessi coinvolti nel commercio
della seta, delle spezie e, si dice, anche dell’oppio. Oggi ha 60 milioni
di clienti in 80 Paesi e ha attività pari a 2,7 trilioni di dollari.
E’ la classica banca “too big to fail” con una capacita di fuoco ed
una influenza politica senza pari. Gli uffici centrali e le sue filiali sono
coinvolti in tutte le indagini più grandi ed esplosive. Finora però ne è
sempre uscita quasi indenne, pagando pochi spiccioli di multa.
Le autorità americane hanno denunciato la HSBC Bank Usa
(HBUS) per complicità nel lavaggio dei soldi sporchi dei cartelli della
droga messicani e in operazioni fatte per aggirare le sanzioni nei
confronti di Paesi come Cuba e l’Iran. Secondo l’Office of the
Comptroller of the Currency americano dal 2006 al 2009 la HBUS
avrebbe incrementato del 50% i trasferimenti di denaro via wire fino a
raggiungere i 94,5 trilioni all’anno senza veri controlli e avrebbe
permesso in particolare il trasferimento di 15 miliardi in contanti da
parte delle filiali messicane.
La Commissione per le Indagini del Senato, guidata dal democratico
Carl Levin, nel 2012 ha formalmente denunciato la HBUS di
riciclaggio di soldi provenienti dal traffico di droga. La HSBC
messicana nel 2008 aveva creato anche una filiale nel paradiso fiscale
delle Cayman Islands, senza uffici e senza impiegati, con oltre 50.000
conti correnti di clienti anonimi.
Nel suo rapporto “US vulnerability to money laundering, drug and
terrorist financing. HSBC case history” di 330 pagine la Commissione
sostiene anche che i controlli messi in atto dalla banca per evitare che
la propria struttura fosse sfruttata da organizzazioni criminali erano
inefficaci e che i campanelli d'allarme suonati da alcuni dipendenti
sono stati regolarmente ignorati dal top management.
Di fronte ad innumerevoli ed inconfutabili prove, nel 2012 la banca
ha preferito pagare una multa complessiva di 1,9 miliardi di dollari e
chiudere convenientemente i casi legali. D’altra parte questa cifra era
solo l’8,6% dei 22 miliardi di profitto di quell’anno. Nessuno venne
condannato per i crimini penali.
Questo “lassismo” nei controlli sui movimenti finanziari sembra sia
stato sfruttato anche da reti e sospette organizzazioni fondamentaliste
islamiche.
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Si ricordi che la HSBC è anche sotto inchiesta per i noti scandali
Libor ed Euribor. Nel 2012 gli organismi di controllo finanziario,
l’americana SEC e la britannica FSA denunciarono una ventina di
banche internazionali per aver manipolato il famoso London interbank
offered rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti
gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. La HSBC era
in testa alla lista. Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano
gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo
lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per
mascherare le proprie difficoltà ed abbassare il costo dei prestiti di cui
avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente
fornito informazioni fasulle a proprio profitto.
La HSBC è anche una delle 5 grandi banche internazionali che
hanno manipolato per anni, almeno dal 2009 fino alla fine del 2013, i
cosiddetti tassi Forex, i tassi di scambio delle valute, sfruttando la
conoscenza di informazioni confidenziali dei clienti e operando pochi
secondi prima che i tassi di riferimento fossero fissati. Ogni giorno sul
mercato dei cambi si fanno operazioni per 5,3 trilioni di dollari. Anche
per queste manipolazioni la multa da pagare avverrà con la solita
completa sanatoria delle violazioni e dei reati.
E’ chiaro che se la HSBC fosse una banca italiana verrebbe
chiamata la “banca della mafia e del crimine organizzato”. Il fatto che
non sia un semplice sportello locale “occupato” dalla camorra, ma una
delle principali banche globali, pone delle domande inquietanti
sull’intero sistema delle grandi banche internazionali e della “finanza
ombra”.
Ne abbiamo scritto altre volte, ma ora riteniamo che la riforma e la
trasparenza del mondo finanziario e bancario non siano più eludibili.
Sono troppi gli squilibri economici che di volta in volta questo sistema
malato provoca.
Da Avanti! online www.avantionline.it/
Àncora Italia
Ancora morti nel Mediterraneo. Ancora una tragedia figlia della
disperazione. Dieci i migranti morti e novecento quarantuno i salvati
nel Canale di Sicilia martedì dalla Guardia Costiera.
di Ginevra Matiz
In meno di 24 ore, sono state in totale 7 le operazioni di soccorso
coordinate dalla Guardia Costiera in una zona di mare a circa 50 miglia
a nord della Libia. Dirottati anche 3 mercantili, uno dei quali ha salvato
183 persone. Disposto l’invio della nave Fiorillo della Guardia
Costiera, che ha tratto in salvo 319 migranti. Richiesto l’impiego di
una unità della Marina Militare inserita nel dispositivo Triton che è
intervenuta anch’essa nei soccorsi.
Tra le varie operazioni coordinate dal Centro nazionale di soccorso a
13
Roma, quella di un barcone rovesciato con 121 persone salvate e 10
corpi recuperati dalla nave Dattilo che già aveva a bordo 318 migranti
salvati in una precedente operazione.
Eventi che hanno acuito ancora di più il senso di emergenza. Tanto
che, come ha affermato il primo vicepresidente della Commissione Ue,
Frans Timmermans, la Ue ha deciso di accelerare sull’Agenda europea
sulle migrazioni anticipandola a metà maggio, mentre prima era
previsto a meta luglio. “Occorre – ha detto Timmermans – un
atteggiamento aggressivo nella lotta ai trafficanti di esseri umani
responsabili di tragedie” come quelle avvenute stanotte.
“L’immigrazione – ha aggiunto – è un problema che riguarda tutti gli
Stati membri, non è più Mare Nostrum, ma Europa nostra. Dobbiamo
fare in modo – ha detto ancora Timmermans – che gli strumenti
esistenti funzionino meglio e che tutti gli stati membri applichino le
regole nello stesso modo. Attualmente non c’è l’ipotesi di modificare il
sistema, ma di migliorarlo, prima di pensare a modificare le regole”.
Timmermans ha sostenuto che la Ue deve cooperare anche con i regimi
dittatoriali per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione, contrastare
i trafficanti e “proteggere meglio” i propri confini.
Il commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, nel
presentare i risultati del primo dibattito orientativo del collegio dei
commissari sull’Agenda europea sulle migrazioni, ha affermato che è
arrivato il momento di dire basta alla “politica dello scaricabarile,
abbiamo un atteggiamento realistico e chiaro su quello che l’Ue può
fare e ciò che non può fare. Frontex non è la guardia delle frontiere Ue,
se vogliamo un sistema di guardie di frontiera dobbiamo crearlo: se
vogliamo che Frontex faccia di più, dobbiamo dargli più risorse.
L’operazione congiunta Triton – ha aggiunto – ha già permesso di
salvare migliaia di vite umane, ma è vero che bisogna fare ancora di
più ed è compito sia dell’Ue sia degli Stati membri salvare vite, non
abbiamo altra scelta. La discussione di oggi sull’Agenda europea delle
migrazioni – ha concluso Avramopoulos – è stata offuscata dagli
eventi vicino alla costa libica, che ci ricordano ancora una volta che le
sfide dell’immigrazione non spariranno da sole e che ora più di sempre
abbiamo bisogno di una strategia omnicomprensiva e a lungo termine
in aggiunta al supporto agli Stati membri che affrontano alte pressioni
migratorie”.
L’operazione congiunta Triton torna così al centro delle polemiche
per le modalità in cui viene gestita, argomento su cui è intervenuto
anche il segretario socialista Nencini ribadendo che: “Triton non
risolve il problema”.
Naturalmente l’occasione è stata ghiotta per la Lega che ne ha
approfittato per lucrare qualche consenso in più speculando
sull’ennesima tragedia: “A Roma e a Bruxelles ci sono tasche piene e
mani sporche di sangue. Stop alle partenze, stop alle morti, stop
invasione! Renzi e Alfano, siete pericolosi per gli italiani e per gli
immigrati”, – hanno commentato i padani.
Il tema dell’immigrazione sara discusso nel Consiglio Esteri del 16
marzo. Lo ha annunciato l’Alto rappresentante, Federica Mogherini.
“La gestione ordinata e lungimirante delle politiche migratorie – ha
detto – è un preciso dovere strategico della Ue. Per fare in modo che
14
non si ripetano più le tragedie nel Mediterraneo – ha aggiunto
Mogherini – dobbiamo mettere insieme tutti gli strumenti della Ue”.
Vai al sito dell’avantionline
FONDAZIONE SOCIALISMO www.fondazionesocialismo.it/
mondoperaio www.mondoperaio.net/
Fare del Mediterraneo
un mare di pace e di progresso
Una proposta per la politica estera dell’Italia: il ripristino della
stabilità e dello sviluppo nel Sud del Mediterraneo. Pubblichiamo qui
di seguito il testo introduttivo al Convegno promosso dalla
Fondazione Socialismo e da MondOperaio e tenutosi a Roma il 3
marzo 2015 sul tema “Italia e Mediterraneo”. Il video integrale dei
lavori del convegno sarà consultabile a partire da domani sul sito
della Fondazione Socialismo (www.fondazioneoscialismo.it).
di Antonio Badini
1. Un’Italia non più protagonista. - I più recenti sviluppi della
vicenda politica nella regione mediterranea hanno visto l’Italia
impreparata ed anche poco pronta ad assumere iniziative capaci di
prevenire minacce esterne alla sua sicurezza. La sensazione che si
percepisce é che il nostro Paese – anche in ragione delle caratteristiche
epocali della crisi che lo attraversa – sembra aver perso ruolo ed
influenza sugli accadimenti alle sue porte di casa, con conseguenze di
rilievo nelle aree che toccano direttamente la sua geo-politica e che
incidono inevitabilmente anche sullo sviluppo della sua economia.
È un fatto comunque che quelle che sporadicamente si sono potute
udire sono state voci per invocare, spesso a sproposito, il ricorso
all’intervento delle «Istituzioni Internazionali»: per intendere, si
presume, ONU, NATO e UE, un insieme che fa a pugni. Rispetto a
queste modalita prevalenti noi pensiamo, al contrario, che per l’Italia
sia oggi più utile parlare poco ma con chiarezza, ricordando sempre
che senza una preparazione previa ed una sicura conoscenza delle
mosse concordabili sia sempre meglio lavorare al riparo dei media.
Forse qualcuno ancora ricorderà che, non molto in là nel tempo,
l’opinione dell’Italia aveva un suo peso, e la sua azione diplomatica era
spesso sollecitata e comunque sempre ben accetta. Assai apprezzate
erano ad esempio le iniziative dell’Italia nella regione Mediorientale ed
in particolare quelle per il Sud del Mediterraneo. Nel 1998 ad esempio
l’Italia riuscì a evitare, riunendo in fretta una riunione di emergenza a
Palermo, che l’impianto di partenariato euro-mediterraneo istituito a
Barcellona nel novembre del 1995 andasse anzitempo in frantumi. Si
riuscì in quell’occasione, ministro degli Esteri Lamberto Dini, a
riprendere in fretta le fila di un dialogo che l’Italia seppe poi gestire
con autorita, anche avvalendosi dell’efficace sostegno del ministro
15
degli Esteri egiziano Amr Moussa.
2. Un passato di forte dinamismo. - Non fu quello un episodio isolato.
Non appena nella Regione prendeva spessore una nuova tensione o
apparivano focolai di crisi all’orizzonte si mettevano rapidamente in
moto, spesso su impulso italiano, consultazioni con i partner più in
sintonia per studiare il da farsi. Senza inutili proclami, si faceva
trapelare che intese suscettibili di serrare i ranghi erano nell’ordine
delle cose. Algeria, Tunisia, Egitto e Arabia Saudita erano allora le
prime direttrici del dialogo, che coinvolgeva regolarmente Francia e
Spagna, e talvolta Malta e Portogallo.
Erano i Paesi da cui presero origine il «Gruppo dei Cinque più
Cinque» prima, e l’Iniziativa Mediterranea voluta da Mitterrand dopo.
Oltre i già citati, nei due Gruppi confluirono Grecia e Mauritania
mentre l’Arabia Saudita restò attento interlocutore, solo
geograficamente separato, soprattutto dell’Italia.
La Libia non volle allora formalmente partecipare ad alcuno dei due
Gruppi, ma Italia e Tunisia a turno tenevano al corrente la sua
dirigenza politica. Il monito a Gheddafi avanzato da Craxi nel 1986
dopo il lancio, di uno Scud libico deliberatamente fuori misura
(secondo le analisi quasi subito disponibili), fu seguito da intense
consultazioni a livello Esteri-Difesa- Servizi, con questi ultimi molto
attivi con i loro omologhi nei cui confronti avevano stretti rapporti di
colleganza, utilizzando l’ovvio beneplacito dello stesso Colonnello. E
tutto si acquietò; con il Ministro Andreotti che discretamente si disse
disponibile ad avviare con la dirigenza libica una maggiore
cooperazione aprendo il discorso anche su di un «gesto riparatore» su
cui insisteva Gheddafi per le perdite inferte al popolo libico durante il
periodo coloniale.
Oggi molti potrebbero replicare che erano altri tempi: ma è fuori di
dubbio che diversi erano anche lo spessore dei soggetti in campo ed il
livello di guardia per l’azione. In quegli anni lo si poté costatare
nell’affare Sigonella, con la nostra Marina e Aereonautica pronte ad
aiutare Palazzo Chigi sulle manchevolezza del nostro grande alleato,
che si serviva delle informazioni solo parzialmente esatte dei Servizi di
Israele per indurre il nostro Governo a rilasciare Abou Abbas (ritenuto
responsabile in solido dell’uccisione del cittadino americano Leo
Klinghofer).
3. Il caso Libia : mandato dell’Onu. - Siamo sfortunatamente tutti
testimoni che a muoversi nei momenti di crisi acuta sono
autonomamente gli Stati membri, non l’Ue. Dei quattro Paesi europei
che fanno parte del G7 (Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia)
oggi sulla scena manchiamo soprattutto noi: e di conseguenza siamo
poco presenti quando si parla di Mediterraneo, nonostante che il
fardello che ci portiamo sulle spalle, a causa dello sconquasso della
regione e del nuovo terrorismo, sia tra i più inquietanti.
Il punto cruciale di qualsivoglia soluzione politica per la Libia è la
formazione, anche embrionale, di un governo di unità nazionale, che
molti auspicano e altrettanti attendono possa scaturire da una
risoluzione onusiana. Si tratta di un auspicio di assai difficile
16
realizzazione. Più praticabile, al momento, è lavorare su una rete di
contatti che siano facilitati da esponenti di prestigio delle diverse tribù,
cui in qualche modo restano legati uomini di primo piano delle opposte
milizie. Il Trattato di Amicizia con la Libia, per chi lo ha vissuto,
nacque con una tattica «a tentoni» per superare la diffidenza di
Gheddafi; ma poi negli anni si sviluppò, trovò forma e contenuti equi e
divenne vincolante per i due Paesi con il consenso di chi in Libia
cercava, insieme a noi, di preparare un passaggio di potere morbido,
senza risvegliare lo spirito tribale del Paese.
Purtroppo quel Trattato non venne invocato da chi ne aveva il diritto
per sospendere l’avvio dell’azione architettata da Nicolas Sarkozy con
la collaborazione di Bernard-Henry Levy.
Sarebbe bastato in quell’occasione accodarsi alla Germania per
tentare di guadagnare tempo e investigare sull’asserito genocidio che
secondo Levy si stava perpetrando contro i rivoltosi inermi a Bengasi.
E poi vi era allora la disponibilità del Colonnello a lasciare a favore del
figlio Seif El Islam, persona assai moderata.
Nelle attuali condizioni, appare molto arduo intraprendere la via
della «legalità internazionale» per un possibile intervento militare: per
l’Onu, vista con ostilita dagli islamisti, i tempi non sono maturi, e le
condizioni sul terreno non propizie, specie dopo le pur comprensibili
incursioni dell’aviazione egiziana, che ha mosso ulteriormente le acque
senza incidere negli equilibri di potere. Va anche detto che nel paese é
verosimilmente in corso una guerra per procura (Qatar e Turchia da
una parte – Egitto e EAU dall'altra), i cui effetti non sono ancora
decifrabili completamente.
Occorre dunque attendere una certa decantazione, anche perché gli
analisti non escludono che tra il Governo islamista di Tripoli
(internazionalmente non riconosciuto) e i gruppi dell’Isis possa crearsi
in un prossimo futuro una frattura. E d’altra parte isolare dal contesto
regionale – ricolmo di tensioni e di alleanze da chiarire – l’apertura di
un dossier per la ricerca di una soluzione di pace per la Libia appare
sinceramente opera ardua. Urterebbe con una mappa in itinere dei
gruppi jihadisti: sia quelli che si ricollegano ad Al Qaeda, al momento
in declino, che gli altri che si proclamano «province» dello « Stato
islamico » apparentemente in ascesa, cui vanno poi aggiunti i
movimenti islamisti vicini ai Fratelli musulmani e la vecchia ma chissà
se veramente tramontata «Jamaa Islamiya».
4. Una possibile offensiva diplomatica dell’Italia. - In questa nuova
costellazione del terrore – di Stati «falliti» e in ricostruzione e di
possibili nuovi Stati (da non sottovalutare, in un futuro non lontano, il
Kurdistan) – l’Italia, che in questi anni oggettivamente ha perso colpi e
fatto troppi passi indietro, ha oggi l’occasione di prodursi in un colpo
d’ala efficace, capace di farle finalmente rialzare la testa.
È un fatto che le condizioni di fragilità e di indeterminatezza che
hanno presieduto alla gestione del nostro sistema politico negli ultimi
venticinque anni abbiano molto pesato anche nella conduzione della
politica estera del Paese. La scomparsa, ben presto rivelatasi effimera,
della contrapposizione ideologica Est-Ovest con la caduta del Muro di
Berlino, abbinata alla convinzione che democrazia e mercato
17
costituissero i due cardini di un pianeta in corsa verso l’armonia, deve
aver influito non poco nel farci rinchiudere in un stato di benessere
rivelatosi alla lunga non solo fragile ma anche banalmente provinciale.
Eppure l’Ostpolitik percorsa da Bettino Craxi negli anni ’80 avrebbe
dovuto nei suoi piani preludere, dopo l’attesa implosione del Comecon,
a una espansione economica ad Est delle nostre PMI, a cominciare da
quelle più dinamiche, da collocare utilmente soprattutto in Ungheria ed
in Polonia.
Oggi abbiamo perso identità e forse una reale capacità di contribuire
agli obbiettivi del G.7, che noi stessi avevamo rafforzato schivando, al
vertice di Tokio del 1985, la mossa anglofrancese di sottometterlo al
G.5. Va detto che ora é tutto l’Ovest ad apparire in declino, con il G.7
che ha ceduto quote crescenti del commercio mondiale ai paesi BRICS
e con il ritorno delle battaglie ideologiche con la «Grande Russia» di
Putin, impegnata a rimontare la china della disciolta Unione Sovietica.
In questa fase di ripiegamento e di malaise l’Europa, e l’Italia
soprattutto, sono state colte di sorpresa dall’ascesa dell’Islamismo
radicale, mentre siamo penalizzati anche dagli abusi del capitalismo
non corretti da una governance appropriata. Avremmo dovuto avere
più piglio nel G.7, e nell’Ue e quindi gestire meglio la «primavera
araba»: adoperandoci in particolare nel far capire che il vero movente
di quelle rivolte non era la lotta per la democrazia ma piuttosto la
conquista della dignità umana, allo scopo di farne il perno di future
libere scelte di quei popoli pur se non necessariamente favorevoli al
nostro modello politico.
Il risultato é stato che, anche per colpa delle incerte politiche
dell’Occidente, anziché le porte dello stato di diritto i moti popolari
hanno in realtà aperto fronti di lotta del tutto inattesi, con la
conseguenza ultima di aver reso il Mediterraneo un’area di transito
verso il nostro Paese di migliaia di transfughi in cerca di rifugio. È per
queste ragioni che lo sforzo del recupero di una azione e di una
presenza italiana, anche se complesso, va intrapreso senza indugi per
ricostruire una discernibile politica estera che si ponga come primo
obiettivo di ripristinare condizioni di stabilità e sviluppo alla nostra
frontiera Sud: un’area che per il nostro Paese é sempre stata di
importanza strategica.
Dobbiamo tuttavia essere coscienti che il nuovo rapporto da
costruire tra l’Italia e il Sud del Mediterraneo, che deve imperniarsi su
di uno sviluppo condiviso, non può prescindere dalla sicurezza e dalle
tensioni che oggi insidiano la regione, come si é detto parlando della
Libia.
Né una azione siffatta, pur dovendo rispondere a caratteristiche di
politica autonoma, può prescindere dalle nostre alleanze (a partire da
quella con gli Stati Uniti), e dal nostro essere membri dell’Unione
europea.
5. Modalità e direttrici di Azione. - Al di là delle iniziative caute ma
ben mirate per fronteggiare la caotica situazione in Libia, appare
necessaria innanzitutto la presa in conto di misure destinate alla
crescita economica, ma anche alla stabilità politica dei Paesi della
sponda Sud, promuovendo e sollecitando da parte dei nostri partner
18
europei, d’intesa con gli S.U., interventi in grado di contrastare le
attuali minacce e prevenendo la nascita di nuovi focolai di tensioni.
Un primo tema riguarda il modo di percepire l’Islam e il radicalismo
islamico e a seguire come viene visto o dovrebbe essere considerato il
dialogo interreligioso, oggi troppo enfatico e fuori centro.
Contemporaneamente andrebbero affrontati anche altri aspetti che
hanno un più o meno forte impatto sul punto: in particolare il processo
di pace israelo-palestinese, i conflitti in atto nell’Africa profonda, e più
in generale i problemi della sicurezza nella regione mediorientale che,
lo si voglia o no, passano per un processo di riconciliazione o quanto
meno di dialogo e di coesistenza tra sunniti e sciiti. Importante al
proposito l’appello all’unita dei musulmani fatto dal Grande Imam
dell’Azhar,El Tayeb.
Lo Jihadismo rappresenta appena il 3 % dei sunniti; il che mostra
che la capacità di mobilitazione rimane contenuta; é importante non
sopravvalutare il fenomeno, nonostante la gravità delle sue azioni. Una
constatazione immediata che suggerisce prudenza e conoscenza nel
prescrivere le riforme agli arabi moderati é che «riformisti» si
autodefiniscono coloro che si richiamano alle forme di lotta praticate
sul terreno: una modalita che sarebbe senz’altro più corretto definire,
per i metodi violenti e disumani usati, come quella di un vero e proprio
terrorismo.
L’avvento dello “Stato islamico”, che occupa al momento un
territorio di circa 270 mila mq tra la Siria e l’Iraq, ha reso ancor più
brutale il fanatismo che strumentalizza il credo dell’Islam per folli lotte
di potere. E tuttavia il Califfato, oggi arbitrariamente riesumato dallo
Stato islamico, non durerà probabilmente a lungo avendo attirato su di
se lo sdegno e un forte senso di rivalsa di una larga parte del mondo
arabo e musulmano. Nondimeno non é da escludere, anzi é probabile,
che la sua scomparsa si accompagni a nuove forme di terrorismo
presumibilmente non meno violente.
Era già successo ad Al Qaeda, e prima ancora al « Fronte del rifiuto
», allora accusato di azioni riprovevoli ed in qualche modo strumentali
per negare credibilita all’opzione negoziale dell’OLP di Arafat. Durera
certamente più a lungo il movimento «Boko Haram», le cui aree di
dominio sono considerate una «Provincia» dello Stato islamico, e che
rischia di diventare seme di contagio nei paesi che confinano con il
lago Chad.
È dunque importante che nel contrastare anche militarmente il
terrorismo non si dimentichi che la madre di tutte le tensioni resta il
senso di oppressione, di ingiustizia e discriminazione che gran parte
del popolo arabo avverte nei confronti dell’Occidente, visto come
alleato acritico di Israele. L’irrisolta causa palestinese resta tuttora una
ferita aperta per il popolo arabo. Pericoloso negligere sulla creazione
dello Stato palestinese a cui i precedenti governi italiani avevano dato
priorità costante, anche rischiando gravi crisi (come nel caso di
Sigonella) con il nostro maggiore alleato.
Su questo punto l’Italia deve tornare ad essere parte attiva per la
ripresa del processo di pace, dando il suo tenace concorso per
coinvolgere seriamente Stati Uniti, Israele e Paesi arabi. Le basi ci
sarebbero tutte, essendo costituite da due iniziative solenni e importanti
19
che la memoria corta dell’Occidente sembra avere dimenticato:
l’iniziativa dell’Arabia Saudita del 2002 e quella dei «due Stati», con
George W. Bush sponsor e garante, approvata nel Maryland, ad
Annapolis, nel 2007.
Trent’anni fa, nel novembre del 1984, Re Fahd chiese a Craxi di fare
appello a Simon Peres affermando che lui avrebbe lavorato per
convincere Arafat a passare dalla strettoia di una Confederazione
giordano-palestinese: un obiettivo decisivo che venne fallito nel
febbraio dell’anno dopo, nel 1985, ad Amman, per le mancate,
modeste concessioni che venivano richieste a Simon Peres, allora
Primo Ministro di Israele, per costruire una delegazione giordano-
palestinese che non facesse perdere la faccia ad Arafat.
Oggi, tre decenni dopo quella mancata svolta che poteva essere
decisiva, l’Unione Europea, si é rivelata del tutto inadeguata a
rimettere il processo di pace su binari solidi, e ha di fatto rinunciato a
convincere il Governo di Gerusalemme che Israele é Stato invasore,
ultimo Paese dei tempi moderni che ricorre agli insediamenti in
territori altrui per modificare il dato demografico che alla fine dovrà
determinare la linea di confine. Ed é innegabile che l’intransigenza di
Gerusalemme stinge in qualche modo sul problema più vasto della
sicurezza della regione.
(1/2 – continua)
Il video integrale dei lavori del convegno sarà consultabile a partire
da domani sul sito della Fondazione Socialismo
(www.fondazioneoscialismo.it).
Dalla Fondazione Rosselli di Firenze http://www.rosselli.org/
Quello straordinario 1944
Presentazione a Roma
presso la Fondazione Basso
Venerdì 6 marzo, ore 17.30
Quello straordinario 1944,
antologia di scritti di personaggi che hanno fatto e
raccontato la Liberazione del capoluogo toscano.
N. 4/2014 dei "Quaderni del Circolo Rosselli"
L'incontro vuole essere anche l’occasione per festeggiare la rivista
“Quaderni del Circolo Rosselli”, diretta da Valdo Spini, giunta con
questo numero al 120° fascicolo. Seguirà quindi un brindisi.
Fondazione Lelio e Lisli Basso,
via della Dogana Vecchia 5 a
Roma
20
Da vivalascuola riceviamo
e volentieri pubblichiamo
Succederà qualcosa
Anzi, ormai è già successo.
di Giorgio Morale
Carissimi, oggi è il 27 febbraio, e vi dico che il 3 marzo, succederà
qualcosa che riguarderà la scuola.
Fino a qualche giorno fa non si sapeva bene se una “riforma” o un
decreto legge o un decreto e una legge delega insieme: adesso dalle
parole di Renzi pare sia da attendersi quest’ultima soluzione: ne diamo
conto nelle notizie della "settimana scolastica":
https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2015/02/23/vivalascuola-190/#6
Perché non si decida per decreto d’urgenza anche su una materia
fondamentale che richiede i tempi della discussione e della
partecipazione come la scuola; perché non sia ignorato un disegno di
legge sottoscritto da più di 1.000.000 persone e che nasce da chi nella
scuola vive e lavora; per chiedere che la L.I.P sulla scuola sia ammessa
alla discussione parlamentare sta circolando in questi giorni una
petizione al Presidente della Repubblica che invitiamo a firmare.
Intanto, a scuola e su vivalascuola, ci interroghiamo su come fare
meglio il nostro lavoro: ad esempio insegnare letteratura italiana:
https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2015/02/23/vivalascuola-190/
Grazie dell'attenzione, e un cordiale saluto.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
21
Dalla Società e Scuola
Dante Alighieri Zurigo
Dillo in italiano #dilloinitaliano
Qui sotto potete leggere il testo che accompagna una petizione in
favore di un uso più accorto della lingua italiana da parte di chi ha
ruoli e responsabilità pubbliche. Non è una battaglia di retroguardia,
e non è un tema marginale. Non è neanche una battaglia contro
l’inglese ma va, anzi, in favore di un reale bilinguismo. La petizione chiede all’Accademia della Crusca di farsi portavoce di
questa istanza, che può aver peso e buon esito solo grazie all’appoggio
di tutti noi.
Perché è importante che firmiate? Perché la lingua italiana è un bene
comune: ci appartiene, ha un valore grande ed è nostro compito
averne cura.
Se siete d’accordo potete firmare su Change.org: vi basta un
minuto. E poi parlatene e fate girare il testo in rete. E dai… fatelo
subito. L’hashtag è #dilloinitaliano
La lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. Oggi parole
italiane portano con sé dappertutto la cucina, la musica, il design, la
cultura e lo spirito del nostro paese. Invitano ad apprezzarlo, a
conoscerlo meglio, a visitarlo.
Le lingue cambiano e vivono anche di scambi con altre lingue.
L’inglese ricalca molte parole italiane (manager viene dall’italiano
maneggiare, discount da scontare) e ne usa molte così come sono, da
studio a mortadella, da soprano a manifesto. La stessa cosa fa
l’italiano: molte parole straniere, da computer a tram, da moquette a
festival, da kitsch a strudel, non hanno corrispondenti altrettanto
semplici, efficaci e diffusi. Privarci di queste parole per un malinteso
desiderio di “purezza della lingua” non avrebbe molto senso.
Ha invece senso che ci sforziamo di non sprecare il patrimonio di
cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra
lingua, c’è già. Ovviamente, ciascuno è libero di usare tutte le parole
di qualsiasi lingua come meglio crede, con l’unico limite del rispetto e
della decenza. Tuttavia, e non per obbligo ma per consapevolezza,
parlando italiano potremmo tutti cominciare a interrogarci sulle parole
che usiamo. A maggior ragione potrebbe farlo chi ha ruoli pubblici e
responsabilità più grandi.
Molti (spesso oscuri) termini inglesi che oggi inutilmente ricorrono
nei discorsi della politica e nei messaggi dell’amministrazione
pubblica, negli articoli e nei servizi giornalistici, nella comunicazione
delle imprese, hanno efficaci corrispondenti italiani. Perché non
scegliere quelli? Perché, per esempio, dire form quando si può dire
modulo, jobs act quando si può dire legge sul lavoro, market share
quando si può dire quota di mercato? Perché dire fashion invece di
moda, e show invece di spettacolo?
Chiediamo all’Accademia della Crusca di farsi, forte del nostro
22
sostegno, portavoce e autorevole testimone di questa istanza presso il
governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese. E di farlo
ricordando alcune ragioni per le quali scegliere termini italiani che
esistono e sono in uso è una scelta virtuosa.
Adoperare parole italiane aiuta a farsi capire da tutti. Rende i
discorsi più chiari ed efficaci. È un fatto di trasparenza e di
democrazia.
Per il buon uso della lingua, esempi autorevoli e buone pratiche
quotidiane sono più efficaci di qualsiasi prescrizione.
La nostra lingua è un valore. Studiata e amata nel mondo, è un
potente strumento di promozione del nostro paese.
Essere bilingui è un vantaggio. Ma non significa infarcire di termini
inglesi un discorso italiano, o viceversa. In un paese che parla poco le
lingue straniere questa non è la soluzione, ma è parte del problema.
In itanglese è facile usare termini in modo goffo o scorretto, o a
sproposito. O sbagliare nel pronunciarli. Chi parla come mangia parla
meglio.
Da Dante a Galileo, da Leopardi a Fellini: la lingua italiana è la
specifica forma in cui si articolano il nostro pensiero e la nostra
creatività.
Se il nostro tessuto linguistico è robusto, tutelato e condiviso,
quando serve può essere arricchito, e non lacerato, anche
dall’inserzione di utili o evocativi termini non italiani.
L’italiano siamo tutti noi: gli italiani, forti della nostra identita,
consapevoli delle nostre radici, aperti verso il mondo.
Se siete d’accordo firmate su Change.org, parlatene, condividete in
rete. E fatelo adesso.
Per leggere l’articolo di Annamaria Testa
> Vai al sito de L’Internazionale
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.
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