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Indice
1 – IL POTERE REGOLATORIO DELL’ANAC TRA SOFT LAW E IMPLIED
POWERS : CdS, parere 14 settembre 2016, n. 1920; parere 2 agosto 2016, n. 1767 in
giustizia-amministrativa.it
2- I REGOLAMENTI AMMINISTRATIVI TRA DISAPPLICAZIONE ED
INVALIDAZIONE: Consiglio di Stato, sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154.
3 - I BANDI DI GARA TRA ANNULLAMENTO E DISAPPLICAZIONE:
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1; Corte di giustizia delle Comunità
europee, Sez. VI, 27 febbraio 2003, C-327/00
4 - I RAPPORTI TRA RICORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE IN
MATERIA DI APPALTI PUBBLICI: Corte di Giustizia, 15 aprile 2016, in C- 689/13
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Selezione giurisprudenziale
1 – IL POTERE REGOLATORIO DELL’ANAC TRA SOFT LAW E IMPLIED
POWERS :
CdS, parere 14 settembre 2016, n. 1920
Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di schema di regolamento redatto dall’Anac per il
rilascio dei pareri di precontenzioso ai sensi dell’art. 211, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in giustizia-
amministrativa.it
1. L’oggetto
Il regolamento in oggetto costituisce attuazione dell’art. 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante il
nuovo Codice dei contratti pubblici, il quale stabilisce che: “Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più
delle altre parti, l’ANAC esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di
gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente
consentito ad attenersi a quanto in esso stabilito. Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi
della giustizia amministrativa ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del
ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti
dell’articolo 26 del codice del processo amministrativo.”
Il provvedimento sostituisce i regolamenti già approvati ai sensi dell’art. 6, comma 6, lett. n) del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il vecchio Codice dei contratti pubblici, secondo cui l’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – poi assorbita dall’ANAC – “su iniziativa della stazione
appaltante e di una o più delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante
lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione; si applica l’articolo 1,
comma 67, terzo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”.
La principale novità introdotta dal regolamento in esame risiede nella possibilità per le parti interessate di
manifestare la volontà di uniformarsi al parere, con la conseguenza di renderlo vincolante, attraverso un duplice
alternativo meccanismo:
- su istanza singola, qualora le altre parti esprimano il loro consenso entro dieci giorni dalla comunicazione
dell’istanza;
- su istanza congiunta, nella quale sia stata espressa la volontà di attenersi al parere.
L’istruttoria dell’istanza è caratterizzata dalla massima celerità e dal metodo scritto, affinché la procedura
possa concludersi entro trenta giorni dalla sua presentazione.
2. Le questioni generali
Molteplici e delicate, anche sul piano squisitamente teorico, le questioni affrontate dal Consiglio di Stato.
a) Il rapporto tra primo e secondo comma dell’art. 211 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Il comma 2 attribuisce all’ANAC un potere di invito nei confronti delle stazioni appaltanti ad agire in autotutela. Il
potere di raccomandazione così introdotto è presidiato da una sanzione pecuniaria nei confronti del dirigente
responsabile e dalla previsione della sua incidenza sulla reputazione delle stazioni appaltanti. Il rapporto naturale
tra parere e raccomandazione è di alternatività, in guisa da dar luogo ad un sistema di tutela pre-processuale
completo, attivabile su iniziativa di parte, o, in mancanza, d’ufficio. Tuttavia è possibile che le due procedure si
intreccino, come si evince dallo stesso regolamento, che sancisce l’inammissibilità delle istanze di precontenzioso
interferenti con esposti di vigilanza e procedimenti sanzionatori in corso di istruttoria presso l’Autorità. Né può
escludersi che l’ANAC usi il potere di raccomandazione a seguito del precontenzioso. Il Consiglio di Stato, pertanto,
ha ravvisato la necessità di una disciplina di regolamentazione della fattispecie, che delimiti i presupposti di
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esercizio del potere e individui le procedure su cui intervenire, anche alla luce del considerando n. 122 della direttiva
UE 24/2014.
b) Il fondamento del potere regolamentare dell’ANAC, in assenza di un’espressa previsione di legge.
Dopo un excursus di carattere generale sul potere regolamentare delle Autorità Indipendenti, in cui si sottolinea
l’importanza della fase istruttoria e, in particolare, dell’intervento consultivo del Consiglio di Stato, la Commissione
ha affrontato il problema dell’inquadramento del regolamento in esame, riconducendolo alla categoria dei
regolamenti di organizzazione, essendo principalmente volto a disciplinare lo svolgimento della funzione
precontenziosa definita dalla fonte primaria. Ciò implica, da un lato, che non occorre evocare la teoria dei poteri
impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato, la teoria dei poteri impliciti per ravvisare
una base legale al potere regolamentare esercitato, esso trovando fondamento nel potere di auto-organizzazione
dell’ANAC, dall’altro, che il regolamento incontra dei limiti legati alla sua incidenza sulle posizioni giuridiche degli
interessati.
Tuttavia, deve essere attentamente considerato il carattere necessariamente subordinato della fonte
regolamentare in esame e la sua possibile incidenza sul diritto di difesa delle parti che intendono attivare lo
strumento di tutela.
c) La distinzione dalle linee guida.
Dopo aver richiamato le considerazioni già svolte in precedenti pareri sulla natura delle linee-guida, la Commissione
ne evidenzia la tipica efficacia “esterna”, come si conviene ad uno strumento di soft law, la cui origine è nella
comunità degli affari – cosmopolita e in perenne movimento, bisognosa di regole transnazionali che siano dotate al
tempo stesso di flessibilità e effettività, sovente originate dalle stesse pratiche commerciali che intendono regolare –
e promana da fonti (gli usi non normativi, i codici di condotta, l’interpretazione e le clausole generali, i principi, la
lex mercatoria, le regolamentazioni delle Associazioni di categoria, etc.) che trovano fondamento nell’effetto pratico
che le relative disposizioni producono sui destinatari. Per contro, il regolamento dell’ANAC resta ancorato al
sistema delle fonti di matrice kelseniana, costruito come un’architettura geometrica, sulla base del valore formale
dell’atto, ed ha la funzione di dettare norme di azione per la Pubblica Amministrazione, non già regole di condotta
per gli operatori.
d) La natura giuridica del precontenzioso.
Dopo aver agevolmente ricondotto il parere non vincolante alla moral suasion, con un quid pluris che lo avvicina ai
responsa di romanisticaa memoria, la Commissione ha affrontato la complessa questione della qualificazione
dogmatica del parere vincolante, o, più precisamente, della procedura da cui esita, inquadrandolo nelle ADR
(Alternative Dispute Resolution), sia pure con indiscutibili tratti di specialità, poiché la procedura riposa sulla
volontà delle parti, in base a un sistema binario, a seconda che vi sia o meno l’assenso all’efficacia vincolante del
parere, e sfocia in un atto amministrativo che, quando ha efficacia vincolante, può essere impugnato in sede
giurisdizionale.
Su tale profilo, il problema della giustificazione teorica dell’istituto all’interno del sistema amministrativo
– dove vige il principio di indisponibilità dell’interesse legittimo e il conseguente divieto di arbitrato – si incrocia
con quello del modello ad efficacia soggettiva variabile scelto dal regolamento, ed ancor prima dalla legge, per cui il
parere è vincolante solo nei confronti delle parti che hanno aderito alla procedura.
La Commissione ha osservato che l’ancoraggio della vincolatività del parere al consenso delle parti è
necessario se si vuole mantenere la distanza dai mezzi processuali, essendo la caratteristica principale delle tecniche
di risoluzione alternativa delle controversie. È ben vero che le ADR attengono a diritti disponibili, ma tale
principio appare insuperabile solo nell’ambito dei mezzi non aggiudicativi, come la mediazione o la negoziazione
assistita, che hanno una connotazione marcatamente privatistica, in attuazione del principio di sussidiarietà
orizzontale. Nell’ipotesi in esame, invece, la procedura è svolta e decisa da un organo pubblico, che appartiene al
novero delle Autorità indipendenti di settore, come AGCM, cui sono riconosciute funzioni non lontane dalla
giurisdizione. Il pericolo, allora, è proprio quello di una processualizzazione dell’istituto, contraria alla sua ratio,
che la Commissione suggerisce di evitare indicando una serie di specifici correttivi.
e) Le residue criticità
La Commissione individua quattro aree di criticità della procedura costruita dal regolamento, in larga
misura dipendenti dal modello previsto dalla fonte primaria.
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In primo luogo, una volta sancita l’impugnabilità del parere, non sembra più necessario subordinare
l’efficacia vincolante al previo consenso delle parti. Nell’ordinamento, quando è previsto il ricorso (facoltativo) ad
Autorità indipendenti, l’efficacia vincolante della decisione non è subordinata al previo consenso delle parti (si pensi
al ricorso al difensore civico o alla commissione per l’accesso), ma tale soluzione non è perseguibile de iure condito.
In secondo luogo, l’efficacia soggettiva variabile compromette, se non l’effetto di deflazione, la linearità del
sistema. Si pensi al caso della stazione appaltante che, sottoposta all’efficacia vincolante del parere, decida di
adeguarsi ad esso. La parte che non è sottoposta alla forza vincolante del parere potrà limitarsi a dedurne
l’inefficacia nei suoi confronti, con la conseguenza che – se sfavorevole – non sarà tenuta per tutelarsi a impugnarlo
o a partecipare al giudizio da altri instaurato. Tuttavia, resterà pur sempre pregiudicata dal provvedimento
adottato sulla base di tale parere, ragion per cui dovrà impugnarlo, ciò dando luogo a un problematico rapporto tra
i due giudizi.
In terzo luogo, il parallelismo con l’arbitrato evidenzia un’aporia nella natura consensuale del meccanismo:
in ambito civilistico, la struttura contrattuale del compromesso e dalla clausola compromissoria fa sì che non è
revocabile l’assenso; nell’istituto in esame, invece, il carattere unilaterale del vincolo fa pensare alla possibilità di un
ripensamento della parte stessa.
In quarto luogo, si pone il problema di individuare la disciplina applicabile al procedimento (termini,
rapporti con la tutela giurisdizionale, inammissibilità e improcedibilità, revocazione, etc.) laddove non
espressamente prevista.
Su questi punti occorre un espresso intervento normativo, anche in via legislativa.
3. Le questioni particolari
Diversi rilievi sono stati formulati al fine di migliorare la procedura e garantire le parti interessate alla
decisione, per cui si dà conto dei più importanti.
In primo luogo è stato chiarito l’ambito di applicazione dell’istituto, che riguarda “questioni” e non “controversie”
e si estende anche oltre la stipulazione del contratto, sempre che abbia ad oggetto situazioni relative alla procedura
di gara, poiché in tal senso milita la lettera della legge e non può escludersi l’utilità di una soluzione precontenziosa
anche in una fase avanzata dell’appalto.
In secondo luogo si è suggerito di precisare che l’istanza di parere precontenzioso, salva l’ipotesi in cui sia
stata proposta contestualmente da tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, venga comunicata a “tutti i soggetti
interessati alla soluzione della questione oggetto della medesima”, dovendosi intendere nell’ampia dizione di
“interessati” anche quelli che nel processo amministrativo sarebbero controinteressati, coerentemente al significato
che detto termine ha negli articoli in esame, allorquando si usa l’espressione “parti interessate” per designare tutti
coloro la cui posizioni giuridiche sono toccate dal parere. Tale soluzione è apparsa preferibile, oltre che per ragioni
di coerenza sistematica, anche sul piano strettamente lessicale: il termine controinteressato assume una diversa
valenza secondo che si riferisca al procedimento o al processo, poiché nel primo il controinteressato è colui che è,
senza essere destinatario dell’atto, può riceverne pregiudizio (cfr. art. 7 della legge n. 241 del 1990) e perciò è
legittimato ad impugnare il provvedimento finale, nel secondo il controinteressato è colui che vanta un interesse
uguale e contrario a quello del ricorrente, quindi nella posizione di resistere al ricorso. Impiegare il termine
“controinteressato” nel contesto della procedura di precontenzioso, dunque, darebbe adito a dubbi interpretativi.
In terzo luogo è apparso opportuno ripristinare l’audizione delle parti dinanzi all’Autorità, almeno per le
controversie di maggior rilievo, collocandola dopo la scadenza del termine per prestare l’eventuale assenso al parere.
La brevità del termine per concludere il procedimento non costituisce un impedimento assoluto, sol che si abbia
l’accortezza di prevedere modalità di convocazione rapide, ad esempio in forma telematica, e un contraddittorio
orale semplificato e senza formalità.
In quarto luogo è stata suggerita l’eliminazione della disposizione relativa al riesame del parere vincolante,
foriera di ulteriori complicazioni, nell’ipotesi – piuttosto probabile – di un’interferenza tra il procedimento di
riesame e il processo, attesa l’impugnabilità dei pareri vincolanti dinanzi al giudice amministrativo.
Da ultimo, è stata integralmente riformulata la disposizione relativa agli effetti del parere. La
Commissione ha distinto tre ipotesi.
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La prima è l’obbligo di comunicazione all’ANAC della stazione appaltante che abbia manifestato la
volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto la eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale avverso il
parere ovvero le determinazioni adottate al fine di adeguarsi al parere stesso.
La seconda è l’obbligo di comunicazione all’ANAC delle parti diverse dalla stazione appaltante che abbiano
manifestato la volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto la eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale
avverso il parere ovvero l’avvenuta acquiescenza al parere.
La terza è l’obbligo di comunicazione all’ANAC delle parti che non hanno manifestato la volontà di
attenersi al parere, avente ad oggetto le proprie determinazioni conseguenti al parere.
(omissis)
CONSIDERATO
Non essendovi precedenti del Consiglio di Stato sui regolamenti in questione e, comunque, tenuto conto
della modifica sostanziale della fonte primaria, la Commissione Speciale ritiene di non limitare l’analisi alle novità
introdotte dal decreto, rivolgendo uno sguardo d’insieme al provvedimento.
Occorre muovere dalla fonte primaria, richiamando quanto osservato in proposito dal Consiglio di Stato nel
parere dato sullo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici.
L’art. 211 prevede due strumenti in funzione deflattiva del contenzioso.
Nel comma 1 il parere di precontenzioso dell’ANAC è ricondotto, in asserita attuazione della delega,
nell’ambito dei rimedi alternativi alla giurisdizione, relativamente alle “questioni insorte durante lo svolgimento delle
procedure di gara”: previa dichiarazione di consenso delle parti, si attribuisce al parere carattere vincolante per le
stesse. Tale parere, per non divenire un surrogato della giurisdizione amministrativa, confliggente con il principio
di indisponibilità dell’interesse legittimo, è stato opportunamente costruito dal Governo alla luce delle indicazioni
fornite dal Consiglio di Stato, precisandone la natura di decisione amministrativa e, dunque, l’impugnabilità del
parere innanzi agli organi della giustizia amministrativa, nonché l’assenza di un vincolo di “adeguata
motivazione”, invece presente nel testo originario.
Il comma 2 attribuisce all’ANAC un potere di invito nei confronti delle stazioni appaltanti ad agire in
autotutela. Il potere di raccomandazione così introdotto è presidiato da una sanzione pecuniaria nei confronti del
dirigente responsabile e dalla previsione della sua incidenza sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti. Si
tratta di un meccanismo non meramente sollecitatorio, poiché la stazione appaltante è vincolata a conformarsi
alla raccomandazione, benché in caso contrario non sia previsto un potere sostitutivo.
Il regolamento in esame riguarda la sola ipotesi contemplata dal comma 1, ma non è inutile considerare l’intera
disposizione, poiché le due fattispecie presentano una funzione complementare, com’è dimostrato già dalla
collocazione nello stesso articolo.
Il rapporto “naturale” tra la prima e la seconda ipotesi è di alternatività, in guisa da dar luogo ad un
sistema di tutela pre-processuale completo, attivabile su iniziativa di parte, o, in mancanza, d’ufficio. Tuttavia è
possibile che le due procedure si intreccino, come si evince dalla previsione di cui all’art. 6, comma 2, lett. e) del
regolamento, che sancisce l’inammissibilità delle istanze di precontenzioso “interferenti con esposti di vigilanza e
procedimenti sanzionatori in corso di istruttoria presso l’Autorità”. Né può escludersi che l’ANAC usi il potere di
raccomandazione a seguito del precontenzioso.
(omissis)
L’art. 211 non contiene un’espressa previsione del potere regolamentare, ma non vi è dubbio circa la
legittimazione dell’ANAC ad adottare questo tipo di regolamenti, che in passato nessuno ha mai messo in
discussione.
Alle Autorità indipendenti in generale ed a quelle di regolazione in particolare il potere regolamentare
spetta quale corollario delle attribuzioni loro riconosciute dalla legge, strettamente connesso
all’elemento di indipendenza che le connota, esso traducendosi nel riconoscimento del potere di
esercitare direttamente i compiti di regolamentazione e controllo dei settori alla cui salvaguardia sono
preposte.
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Per quanto concerne la tipologia di regolamenti che le Autorità indipendenti sono legittimate ad adottare, la
disamina può prendere come punto di riferimento il catalogo previsto dall’articolo 17 della legge 23 agosto 1988,
n. 400.
Così, né la dottrina né la giurisprudenza dubitano che le Autorità possano adottare regolamenti di
esecuzione, di attuazione e di organizzazione, anche a prescindere da un’esplicita autorizzazione di
legge.
Il regolamento in esame può ascriversi alla categoria dei regolamenti di organizzazione, essendo volto a
disciplinare lo svolgimento della funzione precontenziosa definita dalla fonte primaria, benché per
taluni aspetti contenga precetti attuativi del dettato legislativo.
A tal proposito occorre ricordare che l’art. 17, comma 1, lett. d) della legge 23 agosto 1988, n. 400
prevede che il potere regolamentare possa essere esercitato per “l’organizzazione ed il funzionamento
delle amministrazioni” e non vi è dubbio che il regolamento del precontenzioso aderisca pienamente a
questo schema.
Secondo l’impostazione dominante in dottrina l’organizzazione è astratta prefigurazione dell’azione. In
senso statico è la struttura di cui dispone il soggetto investito di compiti amministrativi, preordinati al
soddisfacimento dell’interesse generale. In senso dinamico è attività di predisposizione della struttura all’esercizio
di questi compiti e di indirizzo dell’azione amministrativa verso il raggiungimento dei fini. Per dirla con le parole
di Mario Nigro «la strumentalità dell’organizzazione non rappresenta un passivo ed esteriore asservimento di essa
all’attività sostanziale di soddisfazione dei fini e degli interessi, ma è partecipazione attiva, cooperazione al
movimento, avvio del movimento nella direzione scelta: la decisione organizzativa si rileva, quindi,
necessariamente come decisione di indirizzo dell’attività… appunto perché modellata sugli interessi che deve
curare, l’organizzazione reagisce su tali interessi e ne influenza la realizzazione, assumendo una funzione attiva e
direttiva nell’intero processo di soddisfazione di essi».
D’altra parte, la connessione tra organizzazione e azione amministrativa è positivamente scolpita
dall’art. 5, comma 1 d.lgs. 165/2001 (“Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione
organizzativa al fine di assicurare … la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”).
Non occorre, dunque, evocare la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere
regolamentare esercitato.
Tuttavia, deve essere attentamente considerato il carattere necessariamente subordinato della fonte
regolamentare in esame e la sua possibile incidenza sul diritto di difesa delle parti che intendono attivare lo
strumento di tutela.
Sicché il regolamento in oggetto può senz’altro indicare le attività strettamente organizzative degli Uffici
dell’ANAC e alcune modalità estrinseche di compimento degli atti delle parti, ma non può limitare la protezione
del diritto di azione delle parti stesse.
(omissis)
Per quanto attiene, invece, al rapporto con il principio di legalità sostanziale, maggiormente compromesso
dall’assenza di una disciplina dell’esercizio di tale potere, oltre a utilizzare i dati di sistema e lo stesso contenuto
dell’art. 211 del Codice dei contratti, occorre far riferimento all’orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto di
poter superare la genericità della fonte primaria e il deficit di legittimazione democratica delle Autorità
indipendenti, valorizzando gli aspetti relativi alla c.d. legalità procedimentale e potenziando il sindacato
sull’eccesso di potere.
(omissis)
Si è così instaurata una correlazione inversa tra legalità sostanziale e legalità procedurale: quanto meno è
garantita la prima, per effetto dell’attribuzione alle Autorità indipendenti di poteri regolatori e amministrativi in
bianco, tanto maggiore è l’esigenza di potenziare le forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessanti nel
procedimento finalizzato all’assunzione di decisioni che hanno un impatto così rilevante sull’assetto del mercato
e sugli operatori.
È così emerso un fenomeno in parte nuovo nel nostro ordinamento: la sottoposizione di un’attività
sostanzialmente normativa al principio del giusto procedimento e del contraddittorio. Questo ha spesso
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contribuito a migliorare la qualità della regolazione, che si è arricchita anche grazie ai contributi conoscitivi che
provengono dagli operatori di settore e dalle relative associazioni di categoria.
Sul piano del sindacato sostanziale, l’assenza di parametri rigidi volti a delimitare gli spazi di intervento
del regolatore ha certamente determinato un ridimensionamento del vizio di violazione di legge, a fronte però di
una crescente valorizzazione dell’eccesso di potere. L’eccesso di potere è stato utilizzato tenendo conto della
particolare natura (più di regolazione che amministrativa) dell’atto oggetto di sindacato. L’eccesso di potere è
diventato così lo strumento per valutare il rispetto da parte dei regolatori dei principi della coerenza,
proporzionalità, ragionevolezza, logicità, adeguatezza della regola imposta agli operatori di settore.
Nel caso in esame la novità della richiesta di parere al Consiglio di Stato è, quindi, un importante elemento a
garanzia della legalità sostanziale, mentre appare ancora carente l’istruttoria. (omissi).
Distinto e più complesso problema attiene alla natura “reale” di questo regolamento, che, rispetto ai
precedenti, disciplina un parere che può essere vincolante.
Inevitabile, allora, il raffronto con le nuove linee guida previste dal Codice dei contratti, che sostituiscono il
regolamento di esecuzione.
Nel parere reso sullo schema del nuovo Codice il Consiglio di Stato ha distinto tre tipologie di linee guida.
I decreti ministeriali contenenti le linee guida adottate su proposta dell’ANAC, e sottoposti a parere delle
commissioni parlamentari, sono veri e propri regolamenti, che seguono lo schema procedimentale disegnato
dall’art. 17, legge n. 400 del 1988.
Le linee guida vincolanti dell’ANAC, sono (non regolamenti, bensì) atti di regolazione di un’Autorità
indipendente, che devono seguire alcune garanzie procedimentali minime: consultazione pubblica, metodi di
analisi e di verifica di impatto della regolazione, metodologie di qualità della regolazione, compresa la
codificazione, adeguata pubblicità e pubblicazione, se del caso parere (facoltativo) del Consiglio di Stato.
Le linee guida non vincolanti dell’ANAC hanno un valore di indirizzo a fini di orientamento dei comportamenti
di stazioni appaltanti e operatori economici.
Questa classificazione è stata puntualizzata nel parere 2 agosto 2016, n. 01767, proprio con riferimento alle linee
guida dell’ANAC in materia di responsabile unico del procedimento, offerta economicamente più vantaggiosa,
servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria.
Il Governo ha recepito tale impostazione, prevedendo all’art. 213, comma 2 del Codice che “(omissis)
Allo strumento delle linee guida, più agile del regolamento, è stato dunque riservato un compito strategico ed
essenziale nella definizione delle disciplina normativa secondaria.
Il problema che si pone per le linee guida vincolanti è quello del loro inquadramento nel
sistema delle fonti, che deve essere coerente da un lato con l’assenza di una potestà normativa in senso
proprio, dall’altro con la loro natura vincolante e con la funzione che sono chiamate a svolgere.
Secondo la concezione tradizionale le linee guida costituiscono un’espressione propria del potere di direttiva
(come si desume anche dalla valenza semantica dell’espressione usata per il loro nome), che si declina, a sua
volta, per mezzo di raccomandazioni, istruzioni operative e, quindi, in definitiva, mediante l’indicazione delle
modalità attuative del precetto normativo, ma mai per mezzo di regole cogenti e vincolanti (che, semmai,
costituiscono il presupposto logico dei chiarimenti affidati alle linee guida).
La segnalata discrasia tra il nome e la sostanza delle linee guida in esame ha, da subito, rivelato la singolare
complessità della loro classificazione dogmatica e ha legittimato due distinte ipotesi ricostruttive.
Premesso, infatti, che la natura vincolante, oltre alla portata certamente generale, astratta e innovativa, del tipo di
atto in questione (si pensi, ad esempio, alle linee guida previste dagli artt. 83 e 84 del Codice), si pone in tensione
con i tratti tipici dell’atto amministrativo, anche in considerazione della loro preordinazione a sostituire il regime
normativo contenuto nel regolamento di attuazione del previgente Codice dei contratti pubblici, il Consiglio di
Stato, nel formulare il parere sullo schema di decreto legislativo, ha dovuto esaminare due diverse (e
incompatibili) tesi: la qualificazione delle linee guida vincolanti come atti normativi atipici; la loro classificazione
come atti di regolazione del tipo di quelli adottati dalle Autorità amministrative indipendenti. La preferenza
accordata alla seconda soluzione, poi seguita nel testo definitivo del Codice, e circondata da opportune garanzie
procedurali (la consultazione degli operatori, l’AIR, la VIR, la raccolta in testi unici, l’adozione di forme di
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adeguata pubblicità), può essere giustifica solo a patto di inquadrarla nella soft law, riconoscendo loro natura
amministrativa, altrimenti si finirebbe per derogare al principio di tipicità delle fonti normative, che presidia
la hard law.
In tal senso, allora, la loro distinzione con il regolamento ex art. 211, comma 1 sarebbe netta, appartenendo
quest’ultimo, invece, al sistema delle fonti di matrice kelseniana, costruito come un’architettura geometrica, sulla
base del valore formale dell’atto.
Se, però, si guarda ai contenuti, si scopre come detto regolamento presenti una rilevante analogia con le linee
guida, posto che esso disciplina un atto – il parere precontenzioso – che appare una sorta di direttiva del caso
concreto alle parti in lite. E di raccomandazione parla espressamente il comma 2 dell’art. 211, con riguardo alla
complementare figura dell’invito all’esercizio dell’autotutela.
Allora non basta limitarsi ad osservare che il regolamento costituisce una fonte normativa tipica, tanto più che la
sottoposizione al principio di legalità è scolorita, ma occorre guardare alla sostanza della fattispecie, che è quella
di dettare norme di azione per la Pubblica Amministrazione e non già regole di condotta per gli operatori.
Dunque, il decreto in esame è essenzialmente rivolto all’interno, anche se con inevitabili ricadute sui terzi, mentre
le linee guida vincolanti sono rivolte all’esterno; ciò conferma la sua natura di regolamento di organizzazione.
Si deve ricordare che l’origine della soft law è nella comunità degli affari – cosmopolita e in perenne movimento,
bisognosa di regole transnazionali che siano dotate al tempo stesso di flessibilità e effettività, sovente originate
dalle stesse pratiche commerciali che intendono regolare – e le fonti da cui promana (gli usi non normativi, i
codici di condotta, l’interpretazione e le clausole generali, i principi, la lex mercatoria, le regolamentazioni delle
Associazioni di categoria, etc.) sono accomunate dal carattere essenzialmente non vincolante delle regole che con
essi vengono poste, trovando fondamento nell’effetto pratico che le relative disposizioni producono sui
destinatari.
Per quanto le linee guida di cui si discute siano giuridicamente vincolanti, è pur sempre vero che sulla fase
dell’adozione prevale quella dell’attuazione e che la loro fortuna riposa sul principio di effettività assai più che su
quello della cogenza formale.
Evocare il principio di effettività per un regolamento di organizzazione – qual è il decreto in esame – ha molto
meno senso, giacché ciò che davvero rileva è la forza prescrittiva sul destinatario, a garanzia dei terzi e, ancor
prima, dell’interesse pubblico che ispira la funzione disciplinata.
Raggiunta la conclusione che il decreto in esame si differenzia dalle linee guida vincolanti, consegue
che esso si sottrae all’art. 213, comma 2 del Codice dei contratti.
In termini generali è ancora da affrontare l’esatta definizione dell’oggetto del regolamento,
chiamato a disciplinare – ai sensi dell’art. 1 – “il procedimento per il rilascio dei pareri di
precontenzioso”.
Il regolamento null’altro enuncia in termini espliciti, lasciando all’interprete il compito di inquadrare la natura di
siffatto procedimento.
Richiamato quanto osservato con riguardo alla genesi dell’art. 211, comma 1 del Codice (alla luce del principio
espresso, sia pure sinteticamente, dalla legge delega), l’inquadramento più convincente è nelle ADR, sia pure con
indiscutibili tratti di specialità, poiché la procedura riposa sulla volontà delle parti, in base a un sistema binario, a
seconda che vi sia o meno l’assenso all’efficacia vincolante del parere, e sfocia in un atto amministrativo che,
quando ha efficacia vincolante, può essere impugnato in sede giurisdizionale.
È da ritenersi che il consenso debba essere esplicito e non possa desumersi dalla formulazione dell’istanza di
parere, che è un mero atto di impulso, di per sé privo di una manifestazione di volontà diretta ad assoggettarsi al
parere.
Non è chiaro, piuttosto, se il parere acquisti efficacia vincolante solo in presenza dell’assenso di tutte le parti
interessate o anche solo nei confronti di quelle che hanno prestato il consenso.
La formulazione letterale della disposizione primaria, secondo cui “Il parere obbliga le parti che vi abbiano
preventivamente consentito ad attenersi a quanto in esso stabilito” depone per la seconda soluzione e in tal senso dispone il
regolamento.
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È dunque possibile che il parere non sia vincolante nei confronti di tutte le parti tra cui sorge contenzioso. Tale
variabilità soggettiva di effetti complica il meccanismo, ma estende l’ambito di applicazione dell’istituto, che
altrimenti sarebbe stato limitato all’ipotesi – poco realistica – che stazione appaltante, interessato e
controinteressati fossero concordi nel demandare la soluzione della questione all’ANAC o a quella di
controversie tra stazione appaltante e destinatario dell’atto.
L’ancoraggio, nei termini appena visti, della vincolatività del parere al consenso delle parti è giustificato se si
vuole mantenere la distanza dai mezzi processuali ed è la caratteristica principale delle tecniche di risoluzione
alternativa delle controversie.
È ben vero che le ADR attengono a diritti disponibili, ma tale principio appare insuperabile solo nell’ambito dei
mezzi non aggiudicativi, come la mediazione o la negoziazione assistita, che hanno una connotazione
marcatamente privatistica, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Nell’ipotesi in esame, invece, la
procedura è svolta e decisa da un organo pubblico, che appartiene al novero delle Autorità indipendenti di
settore, come AGCM, cui sono riconosciute funzioni non lontane dalla giurisdizione.
La distinzione si apprezza ancor più mettendo a confronto le fattispecie di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 211,
poiché la seconda si distacca maggiormente dal modello arbitrale, accostandosi a quello dei ricorsi amministrativi.
(omissis)
Meno problemi crea l’ipotesi in cui il parere non sia vincolante, inquadrandosi nella moral suasion,
qualcosa di più di una consulenza qualificata, sul modello dei responsa di romanistica memoria, poiché il terzo da
cui proviene non è un privato ma un’Autorità pubblica, che ha compiti di vigilanza e regolazione del settore.
La distinzione dal processo non può implicare una riduzione delle garanzie al di sotto dello standard minimo, che
è quello della legge sul procedimento amministrativo.
Poiché, però, il parere precontenzioso va reso, per legge, entro 30 giorni dalla richiesta, la disciplina
regolamentare tende a ridurre al minimo istruttoria e garanzie di partecipazione, rendendo l’iter molto veloce, ma
anche sommario e, forse, superficiale. (omissis)
L’architettura sin qui delineata soffre di alcune criticità, che dipendono in larga misura dalla costruzione della
norma primaria, sicché se ne tratta in vista di una possibile futura modifica della stessa.
La previsione dell’efficacia vincolante su richiesta di parte, unita alla facoltà di fare ricorso giurisdizionale avverso
il parere, complica il sistema.
(omissis)
CdS, parere 2 agosto 2016, n. 1767
Il Consiglio di Stato ha reso il parere sulle linee guida del Codice dei contratti pubblici concernenti il Rup, l’offerta
economicamente più vantaggiosa e i servizi di architettura ed ingegneria in giustizia-amministratviva.it La competente commissione speciale istituita presso le sezioni consultive di Palazzo Spada ha compiuto il
richiesto esame delle linee guida in oggetto, predisposte in attuazione delle seguenti norme del Codice degli appalti:
art. 31, comma 5, in tema di Rup; art. 213, comma 2, in tema di offerta economicamente più vantaggiosa e di
servizi di architettura ed ingegneria. Il parere, estremamente articolato sia nell’inquadramento teorico delle
questioni che nel conseguente esame di dettaglio, è accompagnato da una serie di proposte di modifica.
1. Inquadramento.
Preliminarmente, evidenziando l’assenza di obbligatorietà nella richiesta del parere, il testo prende le mosse dalla
valorizzazione del ruolo consultivo del Consiglio di Stato, richiamando quanto già sottolineato con riferimento ai
pareri resi sulla c.d. riforma Madia.
Dopo aver ribadito la qualificazione delle Linee guida, nei termini indicati in sede di parere reso sul testo del nuovo
Codice dei contratti pubblici (parere 1 aprile 2016, n. 855), la Commissione speciale ha condiviso la forma di
esposizione discorsiva del contenuto attuativo delle Linee guida, in quanto coerente con la predetta natura
giuridica.
Peraltro, a fronte del carattere sostanzialmente vincolante di alcune previsioni occorre, secondo il parere, che tali
punti siano specificamente evidenziati al fine di garantirne una maggiore certezza del diritto per gli operatori.
12
Viene ribadita la necessità di speciali misure che consentano di recuperare in sede procedimentale il rischio di “gap
democratico”, tipico di regolazioni predisposte da Autorità amministrative indipendenti; ad esempio: una
sistematica fase di consultazione dei soggetti interessati, lo svolgimento di un’attenta analisi di impatto della
regolamentazione (c.d. a.i.r.) nonché della successiva verifica di impatto (c.d. v.i.r.), evitare una proliferazione di
Linee guida e la conseguente inflazione di regolazione.
Analoghe considerazioni vengono svolte dal parere anche per le Linee guida non vincolanti.
2. Offerta economicamente più vantaggiosa.
Nel dettaglio il parere ha prima esaminato le Linee guida in tema di offerta economicamente più vantaggiosa. In
proposito, il parere sottolinea il carattere che emerge dall’analisi delle Linee guida sul punto, le quali appaiono alla
stregua di mere istruzioni operative per le stazioni appaltanti, in prevalenza finalizzate ad offrire a queste ultime
formule e metodi di natura tecnico matematica sulla valutazione delle offerte e sull’assegnazione alle stesse di un
punteggio numerico.
Il parere, dopo aver evidenziato l’impostazione mininale seguita dall’Anac sul punto, da un lato ritiene
condivisibile ed apprezzabile l’assenza di eccessivo dettaglio al fine di rispettare la discrezionalità delle stazioni
appaltanti nella scelta dei criteri e dei metodi di analisi delle offerte più coerenti con le specifiche esigenze
dell’appalto in questione; dall’altro, reputa nel dettaglio troppo generiche le indicazioni.
Vengono quindi svolte una serie di indicazioni di dettaglio sulla scorta del seguente criterio. Le Linee
guida, infatti, attengono in questa parte ad uno dei punti maggiormente qualificanti della riforma della materia, la
valorizzazione del metodo di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che assume il connotato
di modalità ordinaria e generale di aggiudicazione degli appalti, a fronte del dichiarato sfavore per il metodo del
prezzo più basso.
A titolo esemplificativo, a fronte della raccomandazione relativa all’introduzione nei bandi di criteri compensativi,
il parere segnala la necessità di impartire istruzioni più stringenti ed efficaci, quale, ad esempio, il suggerimento
dell’attribuzione di un peso massimo a tale tipologia di criteri.
3. Il responsabile unico del procedimento.
Con riferimento al secondo ambito interessato dallo schema in esame, la disciplina del Rup, le Linee guida hanno,
nella ricostruzione del parere, un duplice contenuto: da un lato, con portata vincolante, l’attuazione dell’art. 31,
comma 5; dall’altro lato, la formulazione di indicazioni interpretative delle disposizioni dell’art. 31 del Codice nel
suo complesso. Per questa seconda parte sono adottate ai sensi dell’art. 213, comma 2, del Codice ed hanno una
funzione di orientamento emoral suasion.
Sulla base di tale ricostruzione il parere suggerisce, per ragioni di certezza e chiarezza in ordine a portata e
contenuti, di distinguere le Linee guida in due parti, differenziate già in base al relativo titolo, e di esplicitare in
modo chiaro (per evidenti ragioni di certezza per gli operatori) che soltanto la seconda di esse assume portata
vincolante.
Vengono quindi elencate una serie di modifiche di dettaglio, sempre proposte alla luce del predetto criterio. A titolo
esemplificativo, il parere segnala come esuli dai limiti individuati dalla norma del Codice oggetto di attuazione la
fissazione del contenuto indefettibile del provvedimento di nomina del Rup, ivi compresa la necessaria indicazione
dei poteri di delega conferiti e delle risorse messe a disposizione per lo svolgimento delle funzioni.
4. Affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria.
Il terzo ed ultimo gruppo di Linee guida, avente carattere non vincolante, viene inquadrato dal parere come
connesso alla condivisa esigenza di riordino della materia dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria.
Viene quindi richiamata, in termini di inquadramento, la primaria finalità di sostituire la previgente, complessa
disciplina con quella, di carattere certamente «più snello ed essenziale» ma comunque frammentaria, contenuta nel
nuovo Codice dei contratti pubblici. In definitiva, emerge come l’atto regolatorio proposto intervenga a colmare da
subito alcune lacune venutesi a creare nel passaggio alla nuova disciplina, al fine di assicurare quella «ordinata
transizione» prevista dalla legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 (art. 1, comma 1, lett. b), e auspicata nel parere reso
dal Consiglio di Stato sul nuovo Codice.
Dall’esame del testo proposto emerge prima la definizione dell’ambito di applicazione, in specie attraverso il
richiamo alla nozione recata dall’art. 3, lett. vvvv), del Codice, Sul punto peraltro viene segnalata la mancanza di
ulteriori specificazioni, richieste in sede di consultazione pubblica. Quindi, le Linee guida passano ad enunciare i
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principi generali ricavabili dalla normativa primaria, ed in particolare dagli artt. 23 e 24 del Codice. Sul piano
formale, la lettura di questa parte dell’atto consente, pur nell’ambito di un registro discorsivo, di enucleare in modo
chiaro i singoli precetti in esso contenuti.
In termini applicativi di tale quadro, le Linee guida dettano alcune indicazioni operative a beneficio delle stazioni
appaltanti in sede di affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria. In via generale, il parere
evidenzia una funzione generale delle Linee guida in esame, quella di interpretazione del dato normativo primario.
Vengono quindi elencate una serie di modifiche di dettaglio, sempre proposte alla luce del predetto inquadramento.
A titolo esemplificativo, il parere segnala, fra le varie indicazioni estremamente dettagliate, l’esistenza di una
disciplina non univoca in ordine alla la necessità della relazione geologica e, quindi, della presenza della figura del
geologo negli appalti integrati.
Sempre a titolo esemplificativo del livello di approfondimento e delle questioni affrontate, anche sulla scorta
dell’esperienza giurisprudenziale, in tema di criteri per la valutazione delle offerte il parere segnala i rischi insiti
nella prevista commistione tra requisiti di partecipazione ed elementi di valutazione delle offerte, ulteriormente
aggravati dalla richiesta che sia «in ogni caso prevista» nel bando «una soglia di sbarramento al punteggio tecnico,
non superando la quale il concorrente non potrà accedere alla fase di valutazione dell’offerta economica». Né
quest’ultima previsione appare conforme al carattere non vincolante delle Linee guida, nella misura in cui
introduce un obbligo normativamente non previsto.
(omissis)
2. Le differenti tipologie di atti attuativi del codice
Il Legislatore del 2006 aveva optato per un modello unitario di attuazione delle regole da esso poste, mediante
l’adozione di un generale regolamento governativo (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207).
Il Legislatore della riforma ha optato per un sistema diversificato e più flessibile basato essenzialmente su tre
differenti tipologie di atti attuativi:
a) quelli adottati con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, su proposta dell’Autorità nazionale
anticorruzione (d’ora innanzi solo ANAC o Autorità), previo parere delle competenti commissioni parlamentari;
b) quelli adottati con delibera dell’ANAC a carattere vincolante erga omnes, e in particolare le linee guida;
c) quelli adottati con delibera dell’ANAC a carattere non vincolante.
(omissis)
3. I decreti ministeriali
I decreti ministeriali devono qualificarsi quali atti sostanzialmente normativi, dotati dei caratteri della generalità,
astrattezza e innovatività, soggetti allo statuto proprio dei regolamenti ministeriali.
3.1. L’art. 117, sesto comma, Cost., ammette l’adozione di regolamenti statali soltanto in materie di competenza
legislativa esclusiva statale. Nelle materie di potestà legislativa concorrente o residuale regionale, la normativa di
attuazione spetta alle Regioni. Nella fase di adozione di tale tipologia di atti attuativi è necessario qualificare il
precetto primario per evitare non consentite incidenze in ambiti materiali di competenza regionale.
3.2. Gli atti in esame devono osservare le regole sostanziali poste dal d.lgs. n. 50 del 2016 e le regole
procedimentali prefigurate dall’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con obbligo, tra l’altro, di:
comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione; adozione previo parere del
Consiglio di Stato; visto e registrazione della Corte dei conti; pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Le amministrazioni e gli enti aggiudicatori sono obbligati a osservare il precetto normativo, senza che
alle stesse sia attribuito il potere di disattenderne il contenuto. La violazione dei decreti comporta
l’illegittimità del provvedimento attuativo.
3.3. I decreti, essendo privi di immediata lesività per la loro natura sostanzialmente normativa, potranno
essere impugnati, normalmente, unitamente al provvedimento della stazione appaltante che ad essi dà
attuazione. Non può, però, escludersi che particolari enti, portatori di interessi diffusi, possano essere
legittimati ad una impugnazione immediata senza che sia necessario attendere il provvedimento di
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svolgimento attuativo (in questo senso Cons. Stato, Commissione speciale, 26 giugno 2013, n. 3014, che si è
espresso in ordine alle modalità di impugnazione del d.P.R. n. 207 del 2010).
4. Le linee guida vincolanti dell’ANAC
Le linee guida vincolanti adottate dall’ANAC, come questo Consiglio ha già avuto modo di chiarire con il parere
sopra citato, non hanno valenza normativa ma sono atti amministrativi generali appartenenti al genus
degli atti di regolazione delle Autorità amministrative indipendenti, sia pure connotati in modo
peculiare.
Gli atti di regolazione delle Autorità indipendenti si caratterizzano per il fatto che il principio di legalità assume
una valenza diversa rispetto ai normali provvedimenti amministrativi. La legge, infatti, in ragione dell’elevato
tecnicismo dell’ambito di intervento, si limita a definire lo scopo da perseguire lasciando un ampio potere
(implicito) alle Autorità di sviluppare le modalità di esercizio del potere stesso. Nella fattispecie in esame, la legge,
invece, ha definito in modo più preciso le condizioni e i presupposti per l’esercizio del potere, lasciando
all’Autorità un compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono a un livello di
puntualità e dettaglio non compatibile con la caratterizzazione propria degli atti legislativi.
4.1. L’esercizio del potere in esame non rientra nel modello di amministrazione pubblica contemplato dalla
Costituzione e fondato sulla “concezione governativa”, che attribuisce agli organi politici le funzioni di indirizzo
politico-amministrativo e agli organi dirigenziali le funzioni gestionali di attuazione. La Costituzione, pur
prevedendo questo modello, non esclude quello fondato sulle Autorità indipendenti, che agiscono con poteri
neutrali di attuazione della legge e non anche degli atti generali di indirizzo politico.
La natura non regolamentare delle linee guida adottate direttamente dall’ANAC consente, inoltre, che la fase di
attuazione delle disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici che rinviano a esse non incontri i limiti che
il sesto comma dell’art. 117 Cost. pone all’esercizio del potere regolamentare statale.
4.2. L’ANAC, sul piano delle modalità di adozione, ha optato per una “esposizione discorsiva” del contenuto
attuativo delle linee guida.
Questa Commissione speciale, pur condividendo tale impostazione, che risulta coerente con la natura non
normativa degli atti in esame, segnala in via generale (e salve le osservazioni specifiche che seguiranno) la
necessità che:
- laddove si tratti di linee guida vincolanti, l’Autorità delinei in modo chiaro e preciso il “precetto” vincolante da
osservare da parte dei destinatari, pubblici e privati, dello stesso;
- l’indicazione “discorsiva” sia in ogni caso chiara e univoca (e tale indicazione vale anche in caso delle linee
guida non vincolanti di cui al successivo punto 5).
4.3. L’esistenza di quello che è stato definito un “gap democratico” nell’adozione di tali atti,
riscontrabile in tutti i provvedimenti adottati dalle Autorità indipendenti, impone, inoltre, sul piano
procedimentale, forme di “compensazione” assicurate da una serie di strumenti di better regulation,
approfonditamente trattati nel citato parere n. 855 del 2016.
In primo luogo, è necessaria una sistematica “consultazione”, «che costituisce ormai una forma
necessaria, strutturata e trasparente di partecipazione al decision making process dei soggetti
interessati e che ha anche l’ulteriore funzione di fornire ulteriori elementi istruttori/motivazionali
rilevanti per la definizione finale dell’intervento regolatorio». Nella fattispecie in esame, l’Autorità ha
rispettato questa modalità procedimentale di adozione delle linee guida, che sono state precedute da molteplici
osservazioni fatte pervenire dai soggetti interessati con espressa indicazione dei motivi per i quali taluni rilievi
non sono stati recepiti.
In secondo luogo, sempre in coerenza con la natura e le finalità dei provvedimenti in esame, è necessaria una
attenta analisi di impatto della regolazione (AIR). (omissis)
In terzo luogo, il Consiglio di Stato pone in rilievo la necessità che alla fase di adozione delle linee guida segua
poi una attenta verifica ex post dell’impatto della regolazione (VIR), ai fini di un eventuale adattamento del
contenuto delle linee guida alle esigenze emerse nella fase di concreta ed effettiva applicazione.
(omissis)
15
4.4. La natura vincolante delle linee guida non lascia poteri valutativi nella fase di attuazione alle amministrazioni
e agli enti aggiudicatori, che sono obbligati a darvi concreta attuazione. È bene puntualizzare che la
“vincolatività” dei provvedimenti in esame non esaurisce sempre la “discrezionalità” esecutiva delle
amministrazioni. Occorre, infatti, valutare di volta in volta la natura del precetto per stabilire se esso sia
compatibile con un ulteriore svolgimento da parte delle singole stazioni appaltanti di proprie attività valutative e
decisionali. La particolare natura delle linee guida in esame comporta che, in mancanza di un intervento
caducatorio (da parte della stessa Autorità, in via di autotutela, o in sede giurisdizionale), le stesse devono essere
osservate, a pena di illegittimità degli atti consequenziali.
4.5. (omissis)
5. Le linee guida non vincolanti dell'ANAC
Le linee guida non vincolanti sono anch’esse atti amministrativi generali, con consequenziale
applicazione dello statuto del provvedimento amministrativo. Esse perseguono lo scopo di fornire indirizzi
e istruzioni operative alle stazioni appaltanti.
Il principio di legalità si atteggia, in questo caso, in modo ancora differente, in quanto il d.lgs. n. 50 del 2016 si è
limitato ad autorizzare, con previsione generale, l’esercizio di tale potere dell’Autorità, al fine di garantire «la
promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche
facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo
delle migliori pratiche» (art. 213).
La diversità ontologica rispetto alle linee guida vincolanti segna anche la diversità di disciplina.
5.1. Le implicazioni di natura costituzionale, in ragione della natura non normativa degli atti in questione, non
cambia quanto già esposto in relazione al rispetto del sesto comma dell’art. 117 Cost.
5.2. Le modalità di adozione osservate dall’ANAC seguono anch’esse la forma espositiva. La natura non
vincolante delle linee guida giustifica, in questo caso, un minore rigore nell’enucleazione dell’indirizzo impartito
all’amministrazione.
L’Autorità ha opportunamente anche in questo caso optato per una modalità di adozione preceduta dalla
consultazione dei soggetti interessati. Per quanto la natura flessibile della regolazione avrebbe potuto giustificare
un’adozione unilaterale, il confronto dialettico con alcuni dei possibili destinatari degli atti di indirizzo deve
essere considerato con favore, migliorando la qualità della regolazione stessa e l’efficienza ed efficacia dello stesso
svolgimento dei compiti demandati all’ANAC.
5.3. In relazione al comportamento da osservare da parte delle stazioni appaltanti, questa Commissione speciale
rileva che, se esse intendono discostarsi da quanto disposto dall’Autorità, devono adottare un atto che contenga
una adeguata e puntuale motivazione, anche a fini di trasparenza, che indichi le ragioni della diversa scelta
amministrativa. Ferma la imprescindibile valutazione del caso concreto, l’amministrazione potrà non osservare le
linee guida – anche se esse dovessero apparire “prescrittive”, magari perché riproducono una disposizione del
precedente regolamento attuativo – se, come in molti casi previsto da queste ultime, la peculiarità della fattispecie
concreta giustifica una deviazione dall’indirizzo fornito dall’ANAC ovvero se sempre la vicenda puntuale
evidenzi eventuali illegittimità delle linee guida nella fase attuativa.
Al di fuori di questa ipotesi, la violazione delle linee guida può essere considerata come elemento
sintomatico dell’eccesso di potere, sulla falsariga dell’elaborazione giurisprudenziale che si è avuta con
riguardo alla violazione delle circolari.
5.4. La diversa natura delle linee guida in esame comporta anche una parziale diversità dei rilievi che
questa Commissione è chiamata ad esprimere sugli schemi di atti.
Il controllo di legalità verrà svolto, mancando un puntale parametro legislativo di riferimento, alla luce
delle norme generali di disciplina dell’attività amministrativa. Maggiore spazio avrà il controllo di
ragionevolezza e anche la valutazione in ordine all’opportunità di talune scelte di regolazione, ovvero di estendere
l’ambito delle direttive per offrire agli operatori del settore un quadro completo di indirizzi in grado di evitare
distorsioni della concorrenza.
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B. Analisi dei singoli schemi di linee guida
(omissis)
2. Le linee guida sull’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV)
Le linee guida sull’offerta economicamente più vantaggiosa (di seguito OEPV) sono emanate ai sensi dell’art.213,
comma 2, e, cioè, nell’ambito di una competenza generale dell’ANAC e vanno qualificate, con tutte le
implicazioni precisate nella parte introduttiva del presente parere, come linee guida non vincolanti.
Si tratta, a ben vedere, di istruzioni operative indirizzate alle stazioni appaltanti e finalizzate, perlopiù, ad offrire
alle amministrazioni aggiudicatrici formule e metodi, di natura tecnico-matematica, sulla valutazione delle offerte
e sull’assegnazione alle stesse di un punteggio numerico.
L’ANAC ha preferito, al riguardo, un’impostazione minimale, astenendosi dall’indirizzare alle stazioni appaltanti
raccomandazioni operative puntuali e limitandosi a chiarire alcuni aspetti applicativi dell’art. 95 del Codice.
Tale struttura del documento se, per un verso, risulta condivisibile ed apprezzabile, nella misura in cui rispetta la
discrezionalità delle stazioni appaltanti nella scelta dei criteri e dei metodi di analisi delle offerte più coerenti con
le specifiche esigenze dell’appalto in questione, sconta, per un altro, un deficit di utilità.
(omissis)
3. Le linee guida sulla nomina, sul ruolo e sui compiti del responsabile unico del procedimento per
l’affidamento di appalti e concessioni (RUP)
Le linee guida sulla nomina, sul ruolo e sui compiti del responsabile unico del procedimento per l’affidamento di
appalti e concessioni (RUP) sono emanate ai sensi dell’art. 31, comma 5 del nuovo ‘Codice’.
Ai sensi della disposizione appena richiamata l’ANAC, con proprio atto, definisce una disciplina di maggiore
dettaglio sui compiti specifici del RUP, nonché sugli ulteriori requisiti di professionalità rispetto a quanto
disposto dal Codice, in relazione alla complessità dei lavori, e determini l’importo massimo e la tipologia dei
lavori, servizi e forniture per i quali il RUP può coincidere con il progettista o con il direttore dell’esecuzione del
contratto.
Sebbene l’art. 31, comma 5, codice, non specifichi a quale tipologia di linee guida sia da ascrivere tale intervento
dell’ANAC, è da ritenere che si tratti di linee guida di natura vincolante.
Si tratta, infatti, di disposizioni integrative della fonte primaria, in materia di status (requisiti di professionalità) e di
competenze di un organo amministrativo.
Le linee guida elaborate dall’ANAC e sottoposte al parere del Consiglio di Stato hanno un duplice
contenuto: da un lato attuano l’art. 31, comma 5, dall’altro lato sembrano voler fornire indicazioni interpretative
delle disposizioni dell’art. 31 codice nel suo complesso.
Mentre nella parte in cui attuano l’art. 31, comma 5, del codice, hanno portata vincolante, nella parte in cui
forniscono una esegesi dell’art. 31 nel suo complesso, sono adottate ai sensi dell’art. 213, comma 2, codice, e
hanno una funzione di orientamento e moral suasion.
All’ANAC è sempre consentito emanare indicazioni interpretative, utili soprattutto nell’immediatezza dell’entrata
in vigore della nuova disciplina, al fine di prevenire incertezze esegetiche e contenziosi, e indicare alle stazioni
appaltanti le migliori prassi.
Ciò posto, per ragioni di certezza e chiarezza in ordine a portata e contenuti, è bene distinguere le linee
guida in due parti, distinte già in base al relativo titolo ed esplicitare in modo chiaro (per evidenti ragioni di
certezza per gli operatori) che soltanto la seconda di esse assume portata vincolante):
I) Indicazioni di carattere generale in materia di RUP ai sensi dell’art. 213, comma 2, codice dei contratti pubblici;
II) Compiti specifici del RUP, requisiti di professionalità, casi di coincidenza del RUP con il progettista o il direttore dei lavori o
dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 31, comma 5 codice dei contratti pubblici.
(omissis)
4. Le linee guida relative all’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria (SIA)
Le linee guida relative all’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria sono emanate ai sensi
della generale disposizione abilitante di cui all’art. 213, comma 2 del nuovo ‘Codice’.
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Le linee guida (non vincolanti) in esame nascono dalla condivisibile esigenza di riordino della materia dei servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria. Come infatti evidenziato dall’Autorità nazionale anticorruzione
nell’analisi di impatto della regolamentazione (§ 1), alla previgente ed organica disciplina, contenuta nel codice dei
contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e nel regolamento di attuazione (d.P.R. 5 ottobre 2010, n.
207), si è sostituita quella, di carattere certamente «più snello ed essenziale» (capitolo I delle linee guida), ma
comunque frammentaria, del nuovo codice dei contratti pubblici.
Quindi, molto opportunamente l’atto regolatorio in esame interviene a colmare alcune lacune venutesi a creare
nel passaggio alla nuova disciplina, al fine di assicurare quella «ordinata transizione» prevista dalla legge delega 28
gennaio 2016, n. 11 (art. 1, comma 1, lett. b), e auspicata nel parere reso da questo Consiglio di Stato sul nuovo
codice (parere 1° aprile 2016, n. 855, sub art. 216).
(omissis)
Pertanto, le linee guida in esame costituiscono innanzitutto uno strumento di ricognizione normativa e del
suo tessuto connettivo, attraverso l’enucleazione dei principi generali in materia e la loro riconduzione in un
quadro organico (cap. I e II). Inoltre, sotto quest’ultimo profilo, nel contesto della loro non vincolatività, le linee
guida si prestano a svolgere la fondamentale funzione di atto di indirizzo generale, al precipuo fine di delimitare
la cornice della discrezionalità della committenza pubblica.
Dall’altro lato, la predeterminazione di regole uniformi, ancorché subordinate quanto alla loro applicazione
concreta ad una decisione della stazione appaltante, si colloca nell’auspicabile obiettivo di aumentare i livelli di
trasparenza ed imparzialità di quest’ultima, con positive ricadute tanto sulla prevedibilità dell’azione
amministrativa quanto sui comportamenti degli operatori economici del settore.
Sul piano dei principi direttivi che animano l’intervento regolatorio, va segnalato con particolare rilievo il
dichiarato obiettivo “pro-concorrenziale”, a fronte di una congiuntura economica non favorevole, orientato
verso l’incremento della concorrenzialità nei servizi di progettazione per la committenza pubblica, attraverso una
ridefinizione dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento (§ 4 dell’analisi di impatto della
regolamentazione). Altro punto fondamentale, di notevole importanza per assicurare la qualità dei servizi di
progettazione acquisiti presso il mercato, è la disciplina dei criteri di valutazione delle offerte, nell’ambito della
quale l’Autorità – con scelta condivisa da questo Consiglio – ha ritenuto di privilegiare il criterio di
aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (ibidem).
4.1. I contenuti principali delle linee guida
Come accennato nel precedente paragrafo, la decisione dell’Autorità di emanare linee guida non vincolanti nella
materia della progettazione di contratti pubblici all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice è
particolarmente opportuna, in ragione della disorganicità della nuova disciplina, in cui in base alle norme di
coordinamento, transitorie e ad abrogazione differita del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - artt. 216, commi 4 - 6, e
217, comma 1, lett. u - sopravvivono tuttora alcune disposizioni del regolamento di attuazione ed esecuzione del
previgente Codice, e cioè il d.P.R. n. 207 del 2010 (si rinvia al riguardo al già citato cap. I delle linee guida).
In questa direzione l’Autorità ha operato nella giusta direzione di non estendere regole e principi fissati dal
Codice oltre gli ambiti di applicazione definiti dalla norma primaria, o al contrario di formulare interpretazioni o
ricostruzioni del quadro normativo in funzione disapplicativa dello stesso, anche contravvenendo alle richieste
degli stakeholders in sede di consultazione pubblica (dandone adeguata evidenza e motivazione al § 5 dell’analisi di
impatto).
(omissis)
4.2. Profili applicativi delle linee guida
Questa Commissione ritiene che la direzione intrapresa dall’Autorità si collochi armonicamente nella cornice
delineata dal Legislatore, con la riserva della disciplina di dettaglio della materia dei contratti pubblici non più allo
strumento tradizionale del regolamento generale di attuazione del codice, ma ad atti di «regolamentazione flessibile»,
anche non dotati di efficacia vincolante (art. 213, comma 2, d.lgs. 50 del 2016).
18
A questo specifico riguardo, la mancanza di forza cogente delle linee guida deve essere recuperata sul piano della
capacità di fornire adeguate spiegazioni circa le ragioni (derivanti dalla normativa primaria o di buona
amministrazione) delle regole introdotte negli ambiti lasciati dalla legislazione primaria all’attività regolatoria di
attuazione.
In questa attività devono tuttavia essere evitati eccessi di raccomandazione o chiarificazione che possano
compromettere l’agevole individuazione del precetto, pur non vincolante, formulato nelle linee guida. Ulteriore
e più rilevante rischio insito nel nuovo strumento è quello di trascendere rispetto alla funzione tipica di
soft law, attraverso l’irrigidimento delle regole, intervenendo così in modo tendenzialmente
onnicomprensivo nei margini di apprezzamento discrezionale riconosciuti dal codice alle stazioni
appaltanti e di appesantimento dell’azione amministrativa, in una materia in cui le implicazioni a livello
economico e di efficace gestione delle risorse pubbliche pongono con forza l’esigenza di adeguati livelli
di certezza e chiarezza sostanziale del quadro regolatorio (come sottolineato da questo Consiglio di Stato
nel citato parere sul codice dei contratti; §§ II.e).2-5 e II.g).5).
Il rischio descritto alligna nella formulazione di precetti in modo tale da non consentire alle stazioni appaltanti
scelte diverse da quelle operate nelle linee guida, se adeguatamente motivate, laddove l’essenza della non
vincolatività dell’atto regolatorio risiede proprio nella possibilità dell’amministrazione di discostarsi rispetto alla
regola generale fissata in quest’ultimo, al ricorrere di situazioni specifiche (ad es. il singolo incarico di
progettazione) che rendano opportune soluzioni alternative.
Quindi, dal punto di vista ora evidenziato, nello svolgere la funzione di orientamento e supporto della
discrezionalità delle stazioni appaltanti, le linee guida non vincolanti devono coniugare la loro ontologica
mancanza di forza cogente - che non ne consente la riconduzione nella categoria dell’atto amministrativo
generale (qualificazione invece attribuibile alle linee guida vincolanti: cfr. parere 1° aprile 2016, n. 855, più volte
citato; § II.g).5) - con l’enunciazione chiara ed intellegibile delle ragioni alla base delle regole da esse dettate, in
conformità all’obbligo generale di motivazione enunciato dall’art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241. Ciò al fine di un
efficace svolgimento dell’azione di indirizzo nei confronti delle stazioni appaltanti, in virtù della quale
l’adeguamento di quest’ultime alle linee guida risieda nell’intrinseca capacità regolatoria di queste ultime e la scelta
conformativa dell’amministrazione possa legittimamente essere espressa anche in assenza di specifica
motivazione, poiché essa è ricavabile nell’atto presupposto emanato dall’Autorità.
(omissis)
2- I REGOLAMENTI AMMINISTRATIVI TRA DISAPPLICAZIONE ED
INVALIDAZIONE:
Consiglio di Stato, sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154;
Il contrasto tra norma legislativa e regolamentare si risolve sulla base del principio di sovraordinazione di una
fonte ad un’altra. Deve ritenersi, quindi, inapplicabile la disposizione regolamentare ove contrastante con
specifica norma di legge, pur in difetto di specifica doglianza di parte, essendo consentito al giudice sindacare
gli atti di normazione secondaria al fine di accertarne l’idoneità ad innovare l’ordinamento e, in concreto, a
fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa.
Il contrasto tra norma legislativa e norma regolamentare di esecuzione che incida su diritti soggettivi di terzi,
comporta la disapplicazione della disposizione della fonte gradata.
(omissis) Dall’esame delle due disposizioni legislativa e regolamentare è evidente il contrasto tra le stesse. Anche se
ambedue adoperano il concetto di interruzione per specificare la sorte dei termini per l’esercizio del potere di
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annullamento in seguito della richiesta di chiarimenti disposta dall’organo di controllo, la prima fa decorrere
«nuovamente» gli stessi dalla ricezione dei chiarimenti mentre la seconda comporta che, da quest’ultimo
momento, «i termini riprendono a scorrere per il tempo ancora mancante alla scadenza». In sostanza, si
verifica che una norma regolamentare di esecuzione della legge non solo si discosta dalla stessa (che,
peraltro, è conforme anche a quanto disposto in tema di controlli dell’art. 59, 2° e 3° comma, della legge statale
10 febbraio 1953, n. 62), ma introduce una norma del tutto contraria, stabilendo che, una volta ricevuti i
chiarimenti, il termine per l’esercizio del potere di annullamento non riprende il suo decorso ex novo
ma solo per quel numero di giorni mancante al 20°, contando il tempo già trascorso dal ricevimento
della deliberazione da controllare e sino al momento della richiesta di elementi integrativi.
3. Ciò premesso, e prima della risoluzione dell’esposto contrasto normativo, il Collegio ritiene che le
deliberazioni della Giunta della Provincia Autonoma di Trento, n. 569/6 – Comp. in data 11 luglio 1986 e n.
1216/4 – Comp. in data 7 agosto 1986 siano comunque illegittime per tardività, anche se si propendesse per la
tesi più favorevole all’appellante. (omissis)
4. Diverso discorso è invece a farsi per le deliberazioni della Giunta provinciale in data 27 giugno 1986, in quanto
queste risultano rese 14 giorni dopo la ricezione dei chiarimenti (avvenuta il 13 giugno precedente). Residuavano
però solo 5 giorni per l’esercizio del controllo in ossequio al disposto dell’art. 53 D.P.G.R. n. 12/L del 1984,
detraendo i 15 giorni già maturati tra il ricevimento degli atti deliberativi del Comprensorio (5 maggio 1986) e le
richieste istruttorie (20 maggio successivo). Nel conflitto tra due norme di rango diverso il Collegio non può
che dare preminenza a quella legislativa, di livello superiore rispetto a quello regolamentare. Questo in
applicazione degli artt. 1, 3 e 4 delle disposizioni preliminari al codice civile e in ossequio ai principi generali sulla
gerarchia delle fonti per i quali non è consentito ad un regolamento di esecuzione dettare disposizioni in
contrasto con quelle, di carattere superiore e prevalente, contenute per la stessa materia in un provvedimento
legislativo, a meno che in questo non vi sia un’espressa previsione di deroga. Inerisce al rapporto di
sovraordinazione di una fonte ad un’altra l’idoneità dell’atto maggiore a determinare l’abrogazione delle
norme di minor forza (oltre che di quelle di pari rango) che racchiudono precetti incompatibili. Per
converso, ogni ordinamento non può non prevedere altresì un meccanismo invalidante delle norme di grado
inferiore che sopraggiungano e urtino contro precetti poziori dell’ordinamento medesimo. Per l’atto avente
forza di legge il meccanismo, nel nostro ordinamento, è dato dall’invalidazione a seguito di pronuncia
di incostituzionalità. Per l’atto normativo emanato dalla pubblica amministrazione il meccanismo è
rappresentato, innanzi al giudice civile e penale, dalla disapplicazione dell’atto stesso, anche se le parti
non controvertono sul punto. Ma se si tratta di un atto di normazione secondaria, e se quindi per esso possano
valere criteri analoghi a quelli recepiti in qualunque caso di concorso di norme, fra loro contrastanti pur se idonee
in astratto a regolare la medesima fattispecie, deve proporsi identica soluzione ove quell’atto (di normazione
secondaria) sia in conflitto con un atto di normazione primaria e non sia oggetto di impugnazione innanzi al
giudice amministrativo. Ne consegue che, qualora la norma primaria preesista all’atto amministrativo a
contenuto normativo, questo deve essere considerato non idoneo, a causa della maggiore forza della
norma primaria, ad innovare sulle statuizioni da essa recate. Anche nei giudizi amministrativi, quindi, l’atto
regolamentare sarà inapplicabile, come qualsiasi atto legislativo altrettanto inidoneo a regolare la fattispecie.
In tal modo – senza violare i principi che informano il processo amministrativo e sulla falsa riga di quanto
avviene per gli atti di normazione primaria per mezzo del sindacato di costituzionalità – al giudice
amministrativo è consentito, anche in mancanza di richiesta delle parti, sindacare gli atti di normazione
secondaria al fi ne di stabilire se essi abbiano attitudine, in generale, ad innovare l’ordinamento e, in
concreto, a fornire la regola di giudizio per risolvere la questione controversa. Va rilevato, inoltre, che la
disposizione regolamentare di cui trattasi incide direttamente su di un diritto soggettivo di una persona giuridica
di diritto pubblico; tale diritto costituisce manifestazione di quella particolare posizione di supremazia nei
confronti della rispettiva comunità locale e del corrispondente territorio propria in via generale degli enti
territoriali a carattere locale ai quali l’art. 5 della Costituzione riconosce ampia autonomia. In sostanza, il potere di
controllo della Giunta provinciale, così come conferito e definito dalla legge (D.P.G.R. n. 6/L del 1984)
rappresenta una posizione di supremazia riconosciuta, nella rispettiva sfera di attribuzioni, all’Ente Provincia in
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tal modo qualificato all’esercizio di potestà amministrative, e costituisce un diritto soggettivo (a carattere
costituzionale). Ne consegue che la disapplicazione di una norma regolamentare (emanata dalla Regione),
la quale ha in qualche modo limitato – anche se temporalmente – l’esercizio del detto potere di controllo
della Provincia in contrasto con la legge attributiva dello stesso, e resa possibile dal fatto che ci si trova
in presenza di un diritto soggettivo perfetto, non essendo consentito al giudice amministrativo
disapplicare soltanto atti amministrativi autoritativi, in applicazione della regola del giudizio di
impugnazione, con tutte le decadenze conseguenti, connesse a situazione di interesse legittimo. Ma nel
caso de quo si è in presenza di un rapporto paritetico (tra Regione e Provincia) e di diritti soggettivi il cui
contenuto è completamente riconducibile ad una norma di legge.
5. (omissis)
2 - I BANDI DI GARA TRA ANNULLAMENTO E DISAPPLICAZIONE:
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1
L’onere di immediata impugnazione del bando di gara deve, normalmente, essere riferito alle clausole
riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione. Non può tuttavia essere escluso un dovere di immediata
impugnazione delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli oneri imposti all’interessato ai fini della
partecipazione risultino, manifestatamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto
sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale.
1. Deve, innanzi tutto, essere osservato che con l’ordinanza n. 2406 del 6 maggio 1992 la Quinta Sezione,
investita della decisione dell’appello interposto dal Comune di Aversa avverso la sentenza del Tribunale
Amministrativo regionale della Campania, ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato una serie di
importanti questioni, concernenti la portata dell’onere di immediata impugnazione delle clausole dei
bandi di gara diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, la
possibilità per il giudice amministrativo di disapplicare clausole del bando di gara o di concorso
eventualmente in contrasto con il diritto comunitario, e la rilevanza dell’intervenuta realizzazione
dell’opera pubblica oggetto dell’appalto ai fini della procedibilità del ricorso proposto avverso
l’esclusione od il diniego di aggiudicazione.
(omissis)
Con riferimento a tale doglianza ed alla relativa soluzione, la V Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che si
pone l’esigenza, di carattere generale, di procedere all’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a
pena di decadenza, l’immediata impugnazione dei bandi di gara (o di concorso) senza attendere gli atti
applicativi. In particolare, la Quinta Sezione, in riferimento ai due diversi argomenti con cui il Tribunale ha
disatteso l’eccezione di omessa tempestiva impugnazione della lex specialis della gara, di cui uno attinente alla
natura ed ai contenuti del bando, ed alla individuazione dell’interesse al ricorso, e l’altro attinente alla
interpretazione del bando, ha ritenuto che si pongono due questioni di massima:
- se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti di
partecipazione alle procedure selettive, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro
conoscenza legale, ovvero se possano essere impugnate contenstualmente all’atto applicativo che conclude la
procedura selettiva;
- se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito possano essere disapplicate per contrasto
con il diritto comunitario.
(omissis)
4. Ai fini della decisione sul primo motivo dell’appello proposto dal Comune di Aversa appare, invece, rilevante
la generale questione, individuata nell’ordinanza di rimessione concernente “l’esatta delimitazione dell’ambito
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oggettivo dell’onere di immediata impugnazione dal bando di gara o di concorso”.
a) In proposito la Quinta Sezione, dopo avere provveduto ad un’ampia rassegna delle opinioni di recente
manifestatesi in giurisprudenza, ha segnalato che, accanto al consolidato indirizzo interpretativo volto a
richiedere l’immediata impugnazione del bando solo con riferimento alle clausole impeditive dell’ammissione
dell’interessato alla selezione, si sono sviluppati orientamenti di segno diverso e tra di loro contraddittori.
La Quinta Sezione ha fatto presente che la soluzione tradizionale appare preferibile, in quanto utile ad
individuare un criterio normalmente di facile applicazione, e che, tuttavia, i principi generali potrebbero
autorizzare un parziale ampliamento delle ipotesi di impugnazione immediata, con particolare ed esclusivo
riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara.
5. L’Adunanza condivide l’avviso espresso dalla V Sezione con l’ordinanza n. 2406 del 2002, e ritiene di
conseguenza, che l’onere di immediata impugnazione del bando di gara debba, normalmente, essere
riferito alle clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione. L’Adunanza ritiene, tuttavia, che,
non possa essere escluso un dovere di immediata impugnazione delle clausole del bando in quei
limitati casi in cui gli oneri imposti all’interessato ai fini della partecipazione risultino,
manifestatamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per
eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale.
In proposito, si osserva che i problemi affrontati e risolti dalle numerose decisioni richiamate dall’ordinanza della
Quinta Sezione, dai diversi indirizzi in cui le stesse possono essere inquadrate e sistematizzate, attengono tutti
alla più generale questione riguardante la determinazione del momento della tempestiva impugnazione degli atti
generali e delle clausole e prescrizioni in essa contenuti; problema questo che, in linea di principio si pone
proprio per la natura ed il contenuto degli atti in questione.
Per gli atti amministrativi a carattere generale, destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con
effetti nei confronti di una pluralità di destinatari, non determinati nei provvedimenti, ma chiaramente
determinabili, si pone il problema della loro lesività immediata prima dell’adozione degli atti
applicativi: prima cioè che gli atti puntuali che delle clausole degli atti generali fanno applicazione, identifichino
in concreto i destinatari da essi effettivamente lesi nella loro situazione soggettiva.
Poiché il problema è destinato ad avere rilievo specifico con riferimento alla tutela (giurisdizionale ed
amministrativa) nei confronti di tali tipi di provvedimenti, esso è stato tradizionalmente (e correttamente)
risolto alla luce dei principi che regolano l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale (o amministrativo).
Tali principi richiedono che sia l’interesse sostanziale (a tutela del quale si agisce) che l’interesse ad agire siano
caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità. Tali interessi devono, cioè, essere propri del soggetto
ricorrente e devono avere riferimento ad una fattispecie già perfezionatasi; diversamente, infatti, si sarebbe di
fronte ad interessi meramente potenziali.
Anche la lesione subita dall’interesse sostanziale del ricorrente (ed in conseguenza della quale egli agisce in
giudizio) deve, in linea di stretta conseguenzialità, essere contrassegnata dai caratteri della immediatezza, della
concretezza e dell’attualità.
La lesione deve, cioè, costituire una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e
dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al
momento della decisione del ricorso.
Applicando tali principi consolidati al problema riguardante l’identificazione del momento della tempestiva
impugnazione degli atti generali, è stato, così affermato con indirizzo giurisprudenziale ormai risalente, che i
bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno, normalmente impugnati unitamente agli atti che
di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto
leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva
dell’interessato.
A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura
concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se
l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione
alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può
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derivare. D’altra parte, ove l’esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l’atto
che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di
concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l’atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi,
ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo
astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del
provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva.
In questa prospettiva, ciò che, quindi, appare decisivo ai fini dell’affermazione dell’esistenza di un onere di
tempestiva impugnazione è la sussistenza di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva
dell’interessato, che determina, a sua volta, la sussistenza di un interesse attuale all’impugnazione; e
quindi, con riferimento al bando di gara o di concorso o alla lettera di invito, l’attitudine (sua o di alcune clausole
in essi contenute) a provocare una lesione di tal genere.
6. E’ per tale ragione che è stato, pertanto, tradizionalmente affermato che il bando di gara o di concorso, o la
lettera di invito, normalmente impugnabili con l’atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale,
devono tuttavia, essere considerati immediatamente impugnabili allorché contengano clausole impeditive
dell’ammissione dell’interessato alla selezione.
In tale ipotesi, infatti, la clausola del bando o della lettera di invito, precludendo essa stessa la partecipazione
dell’interessato alla procedura concorsuale, appare idonea a generare una lesione immediata, diretta ed attuale,
nella situazione soggettiva dell’interessato, ed a suscitare, di conseguenza, un interesse immediato alla
impugnazione, dal momento che l’interesse all’impugnazione sorge al momento della lesione (Cons. Stato, Sez.
V, 20 giugno 2001 n. 3264). E’ stato, così, correttamente affermato che l’onere dell’immediata impugnativa
degli atti preliminari costituenti la lex specialis della gara è ipotizzabile soltanto quando questa
contenga prescrizioni dirette a precludere la stessa partecipazione dell’interessato alla procedura
concorsuale (Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2001 n. 3507; Sez. VI, 18 dicembre 2001 n. 6260). In tale
prospettiva, è stato osservato che le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di
norma, quelle che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alle gare per l’aggiudicazione, dal
momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì
nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l’amministrazione (Cons. Stato,
Sez. IV, 27 marzo 2002 n. 1747).
Ciò che quindi, appare decisivo, ai fini dell’affermazione dell’onere di immediata impugnazione delle clausole che
prescrivono requisiti di partecipazione è pertanto non soltanto il fatto che esse manifestino immediatamente la
loro attitudine lesiva, ma il rilievo che le stesse, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto che ha
chiesto di partecipare alla gara, risultino esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara
stessa, e non condizionate dal suo svolgimento e, perciò, in condizioni di ledere immediatamente e
direttamente l’interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara od alla
procedura concorsuale.
Clausole così caratterizzate riguardano, in primo luogo, requisiti soggettivi degli aspiranti partecipanti al
concorso. Val quanto dire che esse riguardano direttamente ed immediatamente i soggetti stessi (e non le loro
offerte o le ulteriori attività connesse con la partecipazione alla gara), e per tale ragione producono nei loro
confronti effetti diretti, identificando immediatamente i soggetti che, in quanto privi dei requisiti richiesti, da tali
clausole sono immediatamente e direttamente incisi.
Esse fanno pure riferimento ad una situazione (di norma, una situazione di fatto) che è preesistente rispetto al
bando, e totalmente indipendente dalle vicende successive della procedura e dei relativi adempimenti, e non
richiede valutazioni o verificazioni particolari. Sotto questo profilo, non è la procedura concorsuale ed il suo
svolgimento a determinare l’effetto lesivo (come avviene nel caso della valutazione dell’anomalia dell’offerta), ma
direttamente il bando, che prende in considerazione una situazione storicamente ad esso preesistente e
totalmente definita.
In terzo luogo, le clausole ricollegano alla situazione di fatto presa in considerazione un effetto giuridico
diretto (l’impossibilità di prendere parte alla gara o alla procedura concorsuale) che appare immediatamente
lesivo dell’interesse sostanziale degli aspiranti. E’ quindi il bando, e non il successivo svolgimento della
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procedura concorsuale, a determinare esso stesso la lesione dell’interesse degli aspiranti, escludendo per i
medesimi, con la partecipazione alla procedura concorsuale, la possibilità di conseguire l’aggiudicazione ovvero
(nel caso di concorso in materia di pubblico impiego) la collocazione utile in graduatoria.
Sotto questo profilo, acquista un rilievo significativo la tradizionale opinione dottrinale e giurisprudenziale che
vede nei bandi di gara e di concorso (e più ampiamente, negli atti generali) dei provvedimenti destinati (a
differenza degli atti normativi) alla cura concreta degli interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti dei
destinatari: e, in effetti, le clausole che identificano requisiti soggettivi di partecipazione degli interessati,
provvedono esse stesse direttamente alla cura dell’interesse pubblico per la realizzazione del quale il bando è
stato emanato, escludendo immediatamente dalla platea dei partecipanti – e quindi dalla possibilità
dell’aggiudicazione o della collocazione utile nella graduatoria del concorso - quei soggetti il cui esito positivo
nella procedura concorsuale non sembra realizzare, con una valutazione formulata direttamente con il bando,
l’interesse pubblico perseguito.
L’eventuale atto dell’Amministrazione procedente, volto ad escludere l’interessato privo dei requisiti previsti dal
bando dalla procedura concorsuale avrà, pertanto, valore meramente dichiarativo e ricognitivo di un effetto e di
una lesione già prodottasi nei confronti di chi, avendo comunque chiesto di partecipare alla procedura, attraverso
la presentazione della domanda, appare già identificato come destinatario direttamente inciso dal bando di gara o
di concorso. La presentazione della domanda di partecipazione, nell’evidenziare l’interesse concreto
all’impugnazione, fa del soggetto che ha provveduto a tale adempimento un destinatario identificato,
direttamente inciso del bando.
L’orientamento giurisprudenziale che prevede la normale impugnabilità del bando di gara o di concorso
unitamente agli atti applicativi, con l’eccezione del caso che si sia di fronte a clausole riguardanti requisiti di
partecipazione alla procedura concorsuale fa, pertanto, corretta applicazione, nell’ipotesi generale ed in quella
configurata come eccezione, dei principi in tema di interesse a ricorrere, dal momento che, sia con riferimento
all’una che all’altra, afferma l’esistenza dell’onere dell’impugnazione in relazione all’esistenza di una lesione
concreta ed attuale della situazione soggettiva dell’interessato, alla sua chiara ed immediata percepibilità, ed alla
correlativa sussistenza di un interesse (processuale) a ricorrere.
7. Anche gli altri orientamenti giurisprudenziali, diversi da quello che circoscrive l’onere di immediata
impugnazione del bando alle sole clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione, e ricordati
nell’ordinanza di rimessione, intendono, peraltro, fare applicazione dei principi consolidati di tema di interesse a
ricorrere. Tali orientamenti operano o affermando che l’interesse ad impugnare il bando sorge sempre ed
unicamente con l’atto applicativo, perché solo esse genera una lesione attuale, ovvero (e secondo una
impostazione di segno opposto) postulando l’esistenza, in certe situazioni, e con riferimento esclusivo al
bando di gara, di un interesse, diverso dall’interesse a conseguire l’aggiudicazione o ad essere collocato
in posizione utile in graduatoria, che sarebbe immediatamente leso dal bando, senza necessità di atti
applicativi, e che giustificherebbe di conseguenza, l’onere di immediata impugnazione del bando.
(omissis) L’Adunanza Plenaria, pur apprezzando le esigenze che sono alla base della loro formazione, ritiene che
non possano essere condivisi gli esiti di tali indirizzi giurisprudenziali, dal momento che essi conducono ad una
non esatta applicazione del principio generale che connette l’onere di immediata impugnazione all’esistenza in
capo al ricorrente di una lesione non potenziale, ma concreta ed attuale, ed alla sussistenza di un altrettanto
attuale interesse ad impugnare. Essi, infatti, o posticipano erroneamente all’atto applicativo la sussistenza di una
lesione già, in certe specifiche situazioni, prodotta attualmente dal bando, ovvero si risolvono – quando
affermano l’onere di immediata impugnazione del bando anche con riferimento a clausole diverse da quelle
concernenti i requisiti di partecipazione – in una impropria frammentazione e polverizzazione, in una serie di
interessi diversi, dell’unico interesse sostanziale protetto.
8. Non può innanzi tutto, essere condiviso quell’orientamento, pure richiamato nell’ordinanza di rimessione della
Quinta Sezione che vorrebbe il bando sempre ed in ogni caso impugnabile unitamente all’atto applicativo, anche
nell’ipotesi in cui si sia di fronte a clausole riguardanti requisiti di partecipazione alla procedura concorsuale. Si è
visto sopra come tali clausole, in quanto riferentesi a presupposti di fatto indipendenti da ogni valutazione da
esprimersi nel corso della procedura concorsuale, appaiano idonee a produrre non una lesione potenziale, ma una
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lesione già esistente ed efficace nei riguardi dei soggetti che hanno chiesto di prendere parte alla procedura
concorsuale. Il posticipare, in tali casi, l’impugnazione del bando all’atto ricognitivo dell’effetto lesivo già
prodottasi non apparirebbe, pertanto, giustificato e si porrebbe in contrasto con i principi generali sull’interesse a
ricorrere.
9. Non può, altresì, essere condivisa la tesi che postula la necessità dell’immediata impugnazione di tutte le
clausole del bando, in quanto incidenti nella lex specialis della gara o della procedura concorsuale. Tale
circostanza, infatti, non implica di per sé che tali clausole producano una lesione diretta ed immediata
dell’interesse protetto, senza necessità di attendere gli atti di gara che di tali clausole facciano applicazione.
Non vale a fondare un diverso avviso la circostanza che con le clausole del bando l’Amministrazione provveda a
predeterminare la propria discrezionalità, sicché, rispetto ad essa, la successiva attività procedimentale
apparirebbe come vincolata. Tale circostanza non esclude, peraltro, sia che nello svolgimento della gara
l’Amministrazione debba operare, in applicazione delle clausole del bando, accertamenti e valutazioni, sicché solo
in esito a questi e con riferimento ad essi si manifesta ed opera effettivamente l’astratta capacità lesiva della
clausola; sia il fatto che, comunque, la lesività delle clausole del bando, ove effettivamente ravvisabile prima
ancora dell’applicazione, appare al più meramente potenziale ed in quanto tale, non idonea a fondare l’onere di
immediata impugnazione.
Né, in contrario, possono acquistare rilievo le osservazioni secondo cui la lesione provocata dal bando
all’interesse dei partecipanti sarebbe immediata perché riguardante la loro condizione di concorrenti, mentre
l’interesse differenziato che giustificherebbe il ricorso riguarderebbe la pretesa autonoma alla legittimità delle
regole e delle operazioni di gara, distinta dall’aspettativa all’aggiudicazione del contratto. Da una parte, infatti, la
“condizione di concorrenti” dei partecipanti alla gara può essere apprezzata e valutata esclusivamente con
riferimento all’unico interesse sostanziale di cui essi sono titolari, che è quello all’aggiudicazione e, comunque,
all’esito positivo della procedura concorsuale, sicché l’eventuale incidenza di clausole che conformino
illegittimamente la condizione di concorrenti dei singoli partecipanti, può acquistare rilievo esclusivamente se si
traduce in un diniego di aggiudicazione o, comunque, in un arresto procedimentale con riferimento al medesimo
obiettivo; dall’altra non appare configurabile un interesse autonomo alla legittimità delle regole e delle operazioni
di gara, distinto dalla pretesa all’aggiudicazione o alla stipula del contratto. L’interesse alla legittimità della
procedura costituisce un aspetto ed un riflesso dell’interesse all’aggiudicazione, ed è anzi quest’ultimo che può
fondare e sostenere il primo, sicché l’eventuale illegittimità della procedura acquista significato e rilievo soltanto
se comporta il diniego di aggiudicazione, in tal modo ledendo effettivamente l’interesse protetto, di cui è titolare
il soggetto che ha preso parte alla gara.
Quanto, infatti, all’interesse protetto, o comunque alla situazione soggettiva di cui è titolare il partecipante alla
gara, occorre ribadire che il suo contenuto è costituito non dall’astratta legittimità del comportamento
dell’Amministrazione, ma dalla possibilità di conseguire l’aggiudicazione. L’aggiudicazione costituisce il
bene della vita che l’interessato intende conseguire attraverso la gara; ed è il medesimo bene della vita che si
intende conseguire attraverso la tutela giurisdizionale, nell’ipotesi di illegittimo diniego di aggiudicazione.
L’affermazione talvolta operata in giurisprudenza secondo cui l’interesse al quale l’ordinamento garantirebbe
tutela non sarebbe quello di ottenere un risultato vantaggioso ma l’altro, “a che la scelta del contraente sia
effettuata nel rispetto delle norme che impongono all’amministrazione comportamenti obbligati nel disciplinare,
a mezzo del bando, il relativo procedimento” si risolve, oggettivamente, in una confusione tra l’oggetto
dell’interesse ed il tipo di protezione ad esso accordato. L’oggetto dell’interesse protetto riguarda, infatti,
l’aggiudicazione, mentre tale interesse è protetto dall’ordinamento – come esattamente si osserva nell’ordinanza
di rimessione – nei limiti della legittimità del procedimento di gara.
Alla base dell’indirizzo volto ad affermare l’immediata impugnabilità dei bandi di gara, sta, pertanto, - come già
accennato - una impropria e non condivisibile frammentazione dell’unico interesse protetto in un fascio diverso
di interessi, ai quali si vorrebbe fornire, attraverso l’immediata impugnazione del bando, tutela autonoma ed
anticipata, in situazioni nelle quali in realtà non si sa ancora se l’evento lesivo si verificherà ovvero se esso ha una
portata meramente potenziale.
Un tal modo di pensare opera, in via di stretta conseguenzialità, sullo stesso modo di intendere la tutela
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giurisdizionale, attribuendo impropriamente ad essa finalità e connotati propri di una giurisdizione di tipo
obiettivo: esito questo, incompatibile con la configurazione dell’attuale sistema della giustizia amministrativa,
nella quale il processo amministrativo – ancor più dopo la legge n. 205 del 2000 – si configura esclusivamente
come un processo di parti, espressione di una giurisdizione di tipo subiettivo.
10. Non può, altresì, essere condivisa quella tesi volta ad imporre l’onere di immediata impugnazione delle
clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara. Non può, infatti, essere
configurato un autonomo interesse del ricorrente ad una certa composizione del seggio di gara ed a
certe sue modalità di funzionamento, diverso dall’interesse (sostanziale) all’aggiudicazione, e cioè al
conseguimento di quell’assetto degli interessi in gioco a lui favorevole che è lo scopo che l’interessato
intende perseguire con la presentazione della domanda di partecipazione. D’altra parte, una lesione
concreta ed attuale della situazione soggettiva del partecipante alla procedura concorsuale potrà derivare soltanto
dal diniego di aggiudicazione, dal momento che soltanto con esso diviene effettiva la potenziale illegittimità
connessa con la sua composizione e con le sue regole di funzionamento. E’ solo, infatti, con il diniego di
aggiudicazione che si verifica l’evento lesivo, e con esso, quel fenomeno in base al quale la possibile anomalia
della composizione e del funzionamento del seggio di gara si traduce in una certa ed effettiva anomalia dell’intera
procedura concorsuale e del suo esito.
11. Non può, altresì, essere condiviso quell’indirizzo interpretativo che è volto ad estendere l’onere di
impugnazione alle prescrizioni del bando che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell’offerta
economica tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell’anomalia. Anche con
riferimento a tali clausole, infatti, l’effetto lesivo per la situazione del partecipante al procedimento concorsuale si
verifica con l’esito negativo della procedura concorsuale o con la dichiarazione di anomalia dell’offerta. L’effetto
lesivo è, infatti, conseguenza delle operazioni di gara, e delle valutazioni con essa effettuate, dal
momento che è solo il concreto procedimento negativo a rendere certa la lesione ed a trasformare
l’astratta potenzialità lesiva delle clausole del bando in una ragione di illegittimità concreta ed
effettivamente rilevante per l’interessato.
In tali ipotesi è il concreto svolgimento della gara e delle relative operazioni, nonché l’adozione delle valutazioni
all’uopo necessarie, a produrre l’effetto lesivo ricollegabile all’astratta previsione contenuta nel bando: devono
pertanto ritenersi impugnabili unitamente all’atto applicativo, le clausole riguardanti i criteri di aggiudicazione,
anche se gli stessi sono idonei ad influire sulla determinazione dell’impresa relativa alla predisposizione della
proposta economica o tecnica, ed in genere sulla formulazione dell’offerta, i criteri di valutazione delle prove
concorsuali, i criteri di determinazione delle soglie di anomalie dell’offerta, nonché le clausole che precisano
l’esclusione automatica dell’offerta anomala. L’effettiva – e non potenziale – lesività di tali clausole nei riguardi
della situazione soggettiva dell’interessato dipende, infatti, dalla loro effettiva applicazione e dalla loro concreta
incidenza nei confronti dell’impresa o del partecipante alla procedura concorsuale.
12. L’Adunanza Plenaria ritiene, poi, opportuno ribadire l’indirizzo tradizionale, che normalmente
esclude l’onere dell’immediata impugnazione del bando, anche nei riguardi delle clausole che
definiscono gli oneri formali di partecipazione.
A tale esito sembra necessario pervenire considerando che non sempre le cennate clausole appaiono, in
realtà assimilabili, quanto alla struttura ed al modo di operare, a quelle che, definendo requisiti
soggettivi di partecipazione sono tradizionalmente considerati immediatamente impugnabili.
Si è visto sopra come tali clausole riguardino direttamente qualità dei soggetti partecipanti e non le loro attività
connesse alla partecipazione alla gara, e come esse facciano riferimento a situazioni preesistenti rispetto al bando.
Al contrario, le clausole che introducono oneri formali di partecipazione sembrano riguardare proprio l’attività
dei soggetti interessati alla procedura concorsuale, devono essere poste in essere in vista della partecipazione alla
gara ed in relazione ad essa, non paiono fare riferimento a situazioni oggettive definite prima della gara e da essa
indipendenti, e possono richiedere – con riferimento soprattutto al loro effettivo rispetto, alla possibilità di
adempimenti equivalenti ed alla loro incidenza concreta rispetto alla conclusione negativa della procedura
concorsuale per l’interessato – accertamenti e valutazioni dall’esito non scontato.
Riguardate, poi, nel loro modo di operare, le clausole che richiedono adempimenti formali, quali la presentazione
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di documenti, non sembrano agire in modo diverso dalle ordinarie clausole del bando, impugnabili insieme
all’atto applicativo.
Esse, infatti, possiedono una astratta potenzialità lesiva, la cui rilevanza e concreta capacità di provocare una
lesione attuale può essere valutata solo con l’atto applicativo. Si tratta, in particolare, di clausole che, imponendo
un certo comportamento alle imprese ed ai soggetti interessati alla procedura concorsuale, potranno produrre un
concreto effetto lesivo soltanto dopo che tale comportamento sia stato posto in essere e nei limiti della concreta
rilevanza di esso ai fini della determinazione dell’esito negativo della medesima procedura. Clausole del genere
potrebbero essere ritenute immediatamente impugnabili soltanto affermando l’esistenza di un autonomo
interesse dell’impresa a conformare le modalità di partecipazione alla gara indipendentemente dall’aggiudicazione
ed a prescindere da essa: esito questo, obiettivamente non condivisibile per le ragioni già diffusamente illustrate.
13. Non può, invece, essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di
invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri
assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura
concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il
conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere
ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui, al quale, per i suoi
intrinseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo
all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente
ed immediatamente la partecipazione.
(omissis) Le clausole in questione, infatti, manifestano immediatamente la loro lesività, appaiono sostanzialmente
idonee a precludere immediatamente la stessa partecipazione alla procedura concorsuale e ricollegano alle
prescrizioni introdotte un effetto giuridico diretto (l’impossibilità di prendere atto alla gara) che appare
immediatamente lesivo dell’interesse sostanziale degli aspiranti.
14. (omissis)
Corte di giustizia delle Comunità europee, Sez. VI, 27 febbraio 2003, C-327/00
La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992,
92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, deve essere
interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità aggiudicatrice con il suo comportamento ha
reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico
comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità - impone ai giudici nazionali
competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con
il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se
del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza
delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale
incompatibilità.
(omissis)
Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima questione va intesa come diretta a stabilire, in sostanza, se
la direttiva 89/665 debba essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità
aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei
diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione
di tale autorità - impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di
diritto basati sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di
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un'impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal
diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine
per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità.
Per rispondere alla questione così riformulata, occorre rammentare che la Corte ha già avuto occasione di
pronunciarsi in via generale sulla compatibilità con la direttiva 89/665 di norme nazionali che prevedono termini
di decadenza per le impugnazioni avverso decisioni delle autorità aggiudicatrici di cui alla detta direttiva.
(omissis)
In particolare, la Corte ha constatato che, sebbene spetti all'ordinamento nazionale di ogni Stato membro
definire le modalità relative al termine di ricorso destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti
conferiti dal diritto comunitario ai candidati e agli offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni
aggiudicatrici, tali modalità non devono mettere in pericolo l'effetto utile della direttiva 89/665, la quale
è intesa a garantire che le decisioni illegittime di tali amministrazioni aggiudicatrici possano essere
oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile (sentenza Universale-Bau e a., cit., punti 71, 72
e 74).
È in tale contesto che la Corte ha rilevato che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza
risponde, in linea di principio, all'esigenza di effettività derivante dalla direttiva 89/665, in quanto costituisce
l'applicazione del principio della certezza del diritto (sentenza Universale-Bau e a., cit., punto 76).
Si deve pertanto verificare se il termine di decadenza di cui trattasi nella causa principale risponda alle esigenze
della direttiva 89/665, come elaborate dalla giurisprudenza ricordata ai punti 50-52 della presente sentenza.
A tale proposito occorre rilevare, da un lato, che il termine di decadenza di 60 giorni applicabile in materia di
appalti pubblici in forza dell'art. 36, n. 1, del regio decreto n. 1054/1924, come interpretato dal Consiglio di
Stato, risulta ragionevole sotto il profilo sia dell'obiettivo della direttiva 89/665 sia del principio della certezza del
diritto.
Dall'altro, occorre constatare che un tale termine, che decorre dalla data di notifica dell'atto o dalla data in cui
risulta che l'interessato ne ha avuto piena conoscenza, è conforme anche al principio d'effettività, in quanto non
è idoneo, di per sé, a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti
eventualmente riconosciuti all'interessato dal diritto comunitario.
Tuttavia, ai fini dell'applicazione del principio d'effettività, ciascun caso in cui si pone la questione se una norma
processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario
dev'essere esaminato tenendo conto, in particolare, del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento,
nonché dello svolgimento e delle peculiarità di quest'ultimo (v. sentenza 14 dicembre 1995, causa C-312/93,
Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 14).
Pertanto, se un termine di decadenza come quello della causa principale non è, di per sé, contrario al principio di
effettività, non si può escludere che, nelle particolari circostanze della causa sottoposta al giudice a quo,
l'applicazione di tale termine possa comportare una violazione del detto principio.
In tale prospettiva, occorre prendere in considerazione il fatto che, nel caso di specie, sebbene la clausola
controversa sia stata portata a conoscenza degli interessati all'atto della pubblicazione del bando di gara, l'autorità
aggiudicatrice, con il suo comportamento, ha creato uno stato d'incertezza in ordine all'interpretazione da dare a
tale clausola e che questa incertezza è stata dissipata solo con l'adozione della decisione di esclusione.
Infatti, come risulta dalle informazioni fornite dal giudice a quo, l'USL all'inizio ha lasciato intendere che avrebbe
tenuto conto delle riserve espresse dalla Santex e che non avrebbe applicato nella fase dell'ammissione delle
offerte il requisito economico di cui alla clausola controversa. Soltanto con la decisione di esclusione, che ha
estromesso dalla procedura di gara tutti gli offerenti che non rispondevano al detto requisito, l'autorità
aggiudicatrice ha espresso la sua posizione definitiva sull'interpretazione della clausola controversa.
Si deve pertanto riconoscere che, nella fattispecie principale, l'offerente leso ha potuto conoscere l'effettiva
interpretazione della detta clausola del bando di gara da parte dell'autorità aggiudicatrice soltanto quando è stato
informato della decisione di esclusione. Orbene, tenuto conto del fatto che, a quel punto, il termine previsto per
l'impugnazione del detto bando era già scaduto, tale offerente è stato privato, per effetto delle norme di
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decadenza, di qualsiasi possibilità di far valere in giudizio, nei confronti di successive decisioni arrecantigli
pregiudizio, l'incompatibilità di tale interpretazione con il diritto comunitario.
Nella fattispecie principale, si può affermare che il comportamento mutevole dell'autorità aggiudicatrice,
vista l'esistenza di un termine di decadenza, ha reso eccessivamente difficile per l'offerente leso
l'esercizio dei diritti conferitigli dall'ordinamento giuridico comunitario.
Poiché solamente il giudice a quo è competente a interpretare e applicare la normativa nazionale, spetta ad esso,
in circostanze quali quelle della causa principale, interpretare, per quanto possibile, le norme che prevedono tale
termine di decadenza in modo da garantire il rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva 89/665.
Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, infatti, spetta al giudice nazionale conferire alla legge
nazionale che è chiamato ad applicare un'interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del
diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 1994, causa C-165/91, Van Munster, Racc. pag. I-
4661, punto 34, e 26 settembre 2000, causa C-262/97, Engelbrecht, Racc. pag. I-7321, punto 39).
Se una tale applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare
integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente
disapplicando ogni disposizione nazionale la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie,
condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 5 marzo 1998, causa
C-347/96, Solred, Racc. pag. I-937, punto 30, e Engelbrecht, cit., punto 40).
Ne consegue che, in circostanze quali quelle della causa principale, spetta al giudice a quo assicurare il
rispetto del principio di effettività derivante dalla direttiva 89/665, applicando il proprio diritto
nazionale in modo tale da consentire all'offerente leso da una decisione dell'autorità aggiudicatrice,
adottata in violazione del diritto comunitario, di conservare la possibilità di addurre motivi di diritto
inerenti a tale violazione a sostegno di impugnazioni avverso altre decisioni dell'autorità aggiudicatrice,
ricorrendo, se del caso, alla possibilità, derivante secondo il suddetto giudice dall'art. 5 della legge n.
2248/1865, di disapplicare le norme nazionali di decadenza che disciplinano tali impugnazioni.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione pregiudiziale dichiarando
che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa - una volta accertato che un'autorità
aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti
conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell'Unione leso da una decisione di tale autorità -
impone ai giudici nazionali competenti l'obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati
sull'incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un'impugnazione
proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità prevista dal diritto nazionale
di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il
bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità.
(omissis)
3 - I RAPPORTI TRA RICORSO INCIDENTALE E PRINCIPALE IN
MATERIA DI APPALTI PUBBLICI: Corte di Giustizia, 15 aprile 2016 in C-689/13
Il ricorso incidentale dell'aggiudicatario non può comportare il rigetto del ricorso di un offerente escluso
nell'ipotesi in cui la legittimità dell'offerta di entrambi gli operatori venga contestata nell'ambito del medesimo
procedimento, in quanto in una situazione del genere ciascuno dei concorrenti può far valere un analogo
interesse legittimo all'esclusione dell'offerta degli altri, che può indurre l'amministrazione aggiudicatrice a
constatare l'impossibilità di procedere alla scelta di un'offerta regolare. Quindi l'articolo 1, paragrafo 3, della
direttiva 89/665 osta a che il ricorso di un offerente la cui offerta non è stata prescelta sia dichiarato
inammissibile in conseguenza dell'esame preliminare dell'eccezione di inammissibilità sollevata nell'ambito del
29
ricorso incidentale dell'aggiudicatario, senza che ci si pronunci sulla conformità delle due offerte in discussione
con le specifiche tecniche indicate nel piano di fabbisogni.
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva
89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti
pubblici di forniture e di lavori (GU L 395, pag. 33), come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007 (GU L 335, pag. 31; in prosieguo: la «direttiva 89/665»),
dell’articolo 267 TFUE, nonché dei principi del primato e dell’effettività del diritto dell’Unione.
(omissis)
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
12 Con bando pubblicato il 18 gennaio 2012 la Airgest, società di gestione dell’Aeroporto civile di Trapani-Birgi
(Italia), ha avviato una procedura aperta, avente ad oggetto l’affidamento del servizio di pulizia e manutenzione
delle aree verdi presso tale aeroporto per un periodo di tre anni. L’importo dell’appalto in parola, esclusa
l’imposta sul valore aggiunto, era pari a EUR 1 995 496,35 e il criterio di aggiudicazione previsto era quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’appalto è stato attribuito, con provvedimento di aggiudicazione
definitiva del 22 maggio 2012, all’associazione temporanea di imprese creata fra la GSA e la Zenith Services
Group Srl (ZS).
13 La PFE, che aveva partecipato all’appalto e che si era classificata seconda, ha proposto un ricorso dinanzi al
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, chiedendo, inter alia, l’annullamento del provvedimento di
aggiudicazione e, in via consequenziale, l’aggiudicazione dell’appalto a suo favore e la stipula del relativo
contratto. Gli altri offerenti non hanno impugnato il provvedimento di aggiudicazione di cui trattasi.
14 La GSA, capogruppo dell’associazione temporanea di imprese cui è stato affidato l’appalto, si è costituita in
giudizio e ha interposto un ricorso incidentale basato sul difetto di interesse della PFE, ricorrente principale, alla
coltivazione dell’impugnativa, giacché quest’ultima non avrebbe soddisfatto i requisiti di ammissione alla gara
d’appalto e, di conseguenza, avrebbe dovuto essere esclusa dal procedimento di aggiudicazione. Il Tribunale
amministrativo regionale per la Sicilia ha esaminato gli argomenti delle due parti e ha accolto i due ricorsi. A
seguito di tale decisione la Airgest, quale amministrazione aggiudicatrice, ha escluso le due ricorrenti nonché tutti
gli altri offerenti inizialmente inseriti nella graduatoria, a causa dell’inidoneità delle rispettive offerte rispetto ai
documenti di gara. Gli altri offerenti non avevano proposto ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione
dell’appalto. È stata allora indetta una nuova procedura, negoziata, di attribuzione dell’appalto in parola.
15 La PFE ha impugnato tale sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia dinanzi al Consiglio
di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Quanto alla GSA, essa ha interposto appello incidentale
dinanzi a quest’ultimo organo giurisdizionale, adducendo, segnatamente, che il Tribunale amministrativo
regionale per la Sicilia, procedendo alla disamina dei motivi dedotti nel ricorso principale, aveva disatteso i
principi relativi all’ordine di esame dei ricorsi enunciati dalla sentenza del 7 aprile 2011, n. 4, dell’adunanza
plenaria del Consiglio di Stato. Secondo detta sentenza, in caso di ricorso incidentale volto a contestare
l’ammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale deve essere valutato prioritariamente, prima del ricorso
principale. Nell’ordinamento giuridico nazionale un siffatto ricorso incidentale è qualificato come «escludente» o
«paralizzante» poiché, qualora ne constati la fondatezza, il giudice adito deve dichiarare inammissibile il ricorso
principale senza esaminarlo nel merito.
16 Il giudice del rinvio osserva che la Corte, nella sentenza Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448),
pronunciata successivamente alla menzionata sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ha giudicato
che l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato nel senso che osta ai principi, stabiliti
da detta ultima sentenza, riportati al punto precedente della presente sentenza. La causa all’origine della sentenza
Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448) riguardava due offerenti che erano stati selezionati dall’amministrazione
aggiudicatrice e invitati a presentare delle offerte. A seguito del ricorso proposto dall’offerente la cui offerta non
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era stata prescelta, l’aggiudicatario aveva presentato un ricorso incidentale, con il quale faceva valere che l’offerta
che non era stata prescelta avrebbe dovuto essere esclusa in quanto non rispettava uno dei requisiti minimi
previsti dal piano di fabbisogni.
17 Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se l’interpretazione fornita dalla Corte nella
sentenza Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448) valga anche nella fattispecie in discussione, considerato
che, nella causa all’origine della citata sentenza, le imprese partecipanti alla gara erano solo due ed
entrambe si trovavano portatrici di interessi contrapposti nel contesto del ricorso principale per
annullamento presentato dall’impresa la cui offerta non era stata prescelta e del ricorso incidentale
presentato dall’aggiudicatario, mentre, nel procedimento principale di cui alla presente fattispecie, le
imprese partecipanti sono più di due, anche se soltanto due fra loro hanno proposto ricorso.
18 In secondo luogo, il giudice del rinvio rileva che, conformemente all’articolo 1, paragrafo 2, del
decreto legislativo del 24 dicembre 2003, n. 373 – Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione
siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato, esso costituisce una
sezione del Consiglio di Stato e che, in quanto tale, è un giudice nazionale avverso le cui decisioni non può
proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE. Orbene, in
ragione della norma processuale ex articolo 99, paragrafo 3, del codice del processo amministrativo, esso sarebbe
tenuto ad applicare i principi di diritto enunciati dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, anche sulle
questioni afferenti all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione, fatta salva la facoltà della sezione,
quando intenda discostarsi da detti principi, di rimettere le questioni in discussione all’adunanza plenaria onde
sollecitare un revirement della sua giurisprudenza.
19 Il giudice del rinvio, a tale riguardo, pone in rilievo i contrasti fra la sentenza n. 4 dell’adunanza plenaria del
Consiglio di Stato, del 7 aprile 2011, e la sentenza Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448) per affermare che,
nell’ipotesi in cui il vincolo procedurale descritto al punto precedente si applicasse parimenti alle questioni
attinenti al diritto dell’Unione, il medesimo sarebbe incompatibile con il principio di competenza esclusiva della
Corte in materia di interpretazione del diritto dell’Unione e con l’obbligo incombente a ogni organo
giurisdizionale di ultima istanza degli Stati membri di adire la Corte ai fini di una pronuncia pregiudiziale, quando
siano sollevate questioni di interpretazione di tale diritto.
20 Alla luce delle suesposte considerazioni, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se i principi dichiarati dalla [Corte di giustizia] con la sentenza [Fastweb (C‑ 100/12,
EU:C:2013:448)], con riferimento alla specifica ipotesi, oggetto di quel rinvio pregiudiziale, in cui due
soltanto erano le imprese partecipanti a una procedura di affidamento di appalti pubblici, siano anche
applicabili, in ragione di un sostanziale isomorfismo della fattispecie contenziosa, anche nel caso
sottoposto al vaglio di questo Consiglio in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara, sebbene
ammesse in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dalla stazione appaltante, senza che
risulti l’intervenuta impugnazione di detta esclusione da parte di imprese diverse da quelle coinvolte nel
presente giudizio, di guisa che la controversia che ora occupa questo Consiglio risulta di fatto
circoscritta soltanto a due imprese;
2) se, limitatamente alle questioni suscettibili di essere decise mediante l’applicazione del diritto
dell’Unione europea, osti con l’interpretazione di detto diritto e, segnatamente con l’articolo 267 TFUE,
l’articolo 99, comma 3, [codice del processo amministrativo], nella parte in cui tale disposizione
processuale stabilisce la vincolatività, per tutte le Sezioni e i Collegi del Consiglio di Stato, di ogni
principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria, anche laddove consti in modo preclaro che detta
adunanza abbia affermato, o possa aver affermato, un principio contrastante o incompatibile con il
diritto dell’Unione europea; e, in particolare,
– se la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato investiti della trattazione della causa, laddove
dubitino della conformità o compatibilità con il diritto dell’Unione europea di un principio di diritto già
enunciato dall’adunanza plenaria, siano tenuti a rimettere a quest’ultima, con ordinanza motivata, la
decisione del ricorso, in ipotesi ancor prima di poter effettuare un rinvio pregiudiziale alla [Corte di
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giustizia] per accertare la conformità e compatibilità europea del principio di diritto controverso, ovvero
se invece la Sezione o il Collegio del Consiglio di Stato possano, o piuttosto debbano, in quanto giudici
nazionali di ultima istanza, sollevare autonomamente, quali giudici comuni del diritto dell’Unione
europea, una questione pregiudiziale alla [Corte di giustizia] per la corretta interpretazione del diritto
dell’Unione europea;
– se – nell’ipotesi in cui la risposta alla domanda posta nel precedente [trattino] fosse nel senso di
riconoscere a ogni Sezione e Collegio del Consiglio di Stato il potere/dovere di sollevare direttamente
questioni pregiudiziali davanti alla [Corte di giustizia] ovvero, in ogni caso in cui la [Corte di giustizia]
si sia comunque espressa, viepiù se successivamente all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato,
affermando la sussistenza di una difformità, o di una non completa conformità, tra la corretta
interpretazione del diritto dell’Unione europea e il principio di diritto interno enunciato dall’adunanza
plenaria – ogni Sezione e ogni Collegio del Consiglio di Stato, quali giudici comuni di ultima istanza
del diritto dell’Unione europea possano o debbano dare immediata applicazione alla corretta
interpretazione del diritto dell’Unione europea per come interpretato dalla [Corte di giustizia] o se,
invece, anche in tali casi siano tenuti a rimettere, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso
all’adunanza plenaria, con l’effetto di demandare all’esclusiva valutazione di quest’ultima, e alla sua
discrezionalità giurisdizionale, l’applicazione del diritto dell’Unione europea, già vincolativamente
dichiarato dalla [Corte di giustizia];
– se, infine, un’esegesi del sistema processuale amministrativo della Repubblica italiana nel senso di
rimandare all’esclusiva valutazione dell’adunanza plenaria l’eventuale decisione in ordine al rinvio
pregiudiziale alla [Corte di giustizia] – ovvero anche soltanto la definizione della causa, allorché questa
direttamente consegua all’applicazione di principi di diritto eurounitario già declinati dalla [Corte di
giustizia] – non sia di ostacolo, oltre che con i principi di ragionevole durata del giudizio e di rapida
proposizione di un ricorso in materia di procedure di affidamento degli appalti pubblici, anche con
l’esigenza che il diritto dell’Unione europea riceva piena e sollecita attuazione da ogni giudice di
ciascuno Stato membro, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione siccome
stabilita dalla [Corte di giustizia], anche ai fini della massima estensione dei principi del cd. “effetto
utile” e del primato del diritto dell’Unione europea sul diritto (non solo sostanziale, ma anche
processuale) interno del singolo Stato membro (nella specie: sull’articolo 99, comma 3, del codice del
processo amministrativo della Repubblica italiana)».
Sulla prima questione
21 Con detta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3,
della direttiva 89/665, debba essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto
da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia
stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di
appalti pubblici o delle norme che recepiscono tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro
offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono
l’esame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente.
22 Il giudice del rinvio desidera accertare, in particolare, se l’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo
3, della direttiva 89/665 data dalla Corte nella sentenza Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448) si applichi
nell’ipotesi in cui le imprese partecipanti alla procedura di gara controversa, sebbene ammesse
inizialmente in numero maggiore di due, siano state tutte escluse dall’amministrazione aggiudicatrice
senza che un ricorso sia stato proposto dalle imprese diverse da quelle – nel numero di due ‑ coinvolte
nel procedimento principale.
23 Al riguardo è d’uopo ricordare che, secondo le disposizioni dell’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e
3, della menzionata direttiva, affinché i ricorsi contro le decisioni adottate da un’amministrazione aggiudicatrice
possano essere considerati efficaci, devono essere accessibili per lo meno a chiunque abbia o abbia avuto
interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una
presunta violazione.
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24 Al punto 33 della sentenza Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448) la Corte ha considerato che il ricorso
incidentale dell’aggiudicatario non può comportare il rigetto del ricorso di un offerente escluso
nell’ipotesi in cui la legittimità dell’offerta di entrambi gli operatori venga contestata nell’ambito del
medesimo procedimento, in quanto in una situazione del genere ciascuno dei concorrenti può far
valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta degli altri, che può indurre
l’amministrazione aggiudicatrice a constatare l’impossibilità di procedere alla scelta di un’offerta
regolare.
25 Al punto 34 della succitata sentenza la Corte ha pertanto interpretato l’articolo 1, paragrafo 3,
della direttiva 89/665 nel senso che tale disposizione osta a che il ricorso di un offerente la cui offerta
non è stata prescelta sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell’esame preliminare dell’eccezione
di inammissibilità sollevata nell’ambito del ricorso incidentale dell’aggiudicatario, senza che ci si
pronunci sulla conformità delle due offerte in discussione con le specifiche tecniche indicate nel piano
di fabbisogni.
26 La sentenza in parola costituisce una concretizzazione dei requisiti posti dalle disposizioni del diritto
dell’Unione citate al punto 23 della presente sentenza, in circostanze nelle quali, a seguito di una procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico, due offerenti presentano ricorsi diretti ad ottenere la reciproca esclusione.
27 In una situazione siffatta ciascuno dei due offerenti ha interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato
appalto. Da un lato, infatti, l’esclusione di un offerente può far sì che l’altro ottenga l’appalto direttamente
nell’ambito della stessa procedura. D’altro lato, nell’ipotesi di un’esclusione di entrambi gli offerenti e
dell’indizione di una nuova procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe
parteciparvi e, quindi, ottenere indirettamente l’appalto.
28 L’interpretazione, ricordata ai punti 24 e 25 della presente sentenza, formulata dalla Corte nella
sentenza Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448) è applicabile in un contesto come quello del procedimento
principale. Da un lato, infatti, ciascuna delle parti della controversia ha un analogo interesse legittimo
all’esclusione dell’offerta degli altri concorrenti. D’altro lato, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 37
delle sue conclusioni, non è escluso che una delle irregolarità che giustificano l’esclusione tanto dell’offerta
dell’aggiudicatario quanto di quella dell’offerente che contesta il provvedimento di aggiudicazione
dell’amministrazione aggiudicatrice vizi parimenti le altre offerte presentate nell’ambito della gara d’appalto,
circostanza che potrebbe comportare la necessità per tale amministrazione di avviare una nuova procedura.
29 Il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui
trattasi, così come il numero di partecipanti che hanno presentato ricorsi e la divergenza dei motivi dai
medesimi dedotti, sono privi di rilevanza ai fini dell’applicazione del principio giurisprudenziale che
risulta dalla sentenza Fastweb (C‑ 100/12, EU:C:2013:448).
30 Tenuto conto delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione sottoposta
dichiarando che l’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665 deve essere interpretato
nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a
ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una
presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono
tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in
applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l’esame prioritario del ricorso incidentale
presentato da detto altro offerente.
(omissis)
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre
1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori,
come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre
2007, deve essere interpretato nel senso che osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il
33
quale abbia interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di
essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o
delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere l’esclusione di un altro offerente, sia
dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l’esame prioritario
del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente.
2) L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto
nazionale nei limiti in cui quest’ultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione
vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, una sezione di un organo
giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l’orientamento definito da una decisione
dell’adunanza plenaria di tale organo, è tenuta a rinviare la questione all’adunanza plenaria e non può
pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale.
3) L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che, dopo aver ricevuto la risposta della Corte
di giustizia dell’Unione europea ad una questione vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione
da essa sottopostale, o allorché la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha già
fornito una risposta chiara alla suddetta questione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima
istanza deve essa stessa fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione del diritto
dell’Unione.
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