FRANCESCO GALGANO*
DIRITTO DEI CONTRATTI
1. – L’odierno diritto dei contratti ruota, in Italia come altrove,
intorno al dilemma fra libertà contrattuale e giustizia del contratto:
se la libertà di contrarre e di determinare i contenuti del contratto
debba essere difesa fino al punto di accettare che il contratto possa
risultare ingiusto, ossia economicamente incongruo, con squilibrio
fra le prestazioni corrispettive, o se in nome della giustizia del
contratto si debbano, all’opposto, accettare limitazioni della libertà
contrattuale. Tre recenti monografie, che sono opera, se non erro, di
studiosi debuttanti, si sono con decisione pronunciate per il primo
termine dell’alternativa1. Per contro, la più recente giurisprudenza
della nostra Cassazione, che pure è opera di giuristi di matura età (i
nonni di quei debuttanti) opta per il primo corno del dilemma.
Sviluppa il concetto di buona fede contrattuale, e di equità quale
fonte di integrazione (e di correzione) del contratto, fino al punto di
introdurre i seguenti principi:
a) è nulla, per violazione del canone della buona fede nella
formazione del contratto, la clausola contrattuale che il contraente
forte impone alla controparte, rendendo incongruo lo scambio
contrattuale2;
b) il contratto, anche se il senso letterale delle parole rende
certa l’intenzione delle parti, deve essere interpretato secondo
buona fede, non essendo il canone interpretativo di cui all’art. 1366
c.c. da intendere, come in passato era stato inteso, quale canone da
* Professore Ordinario nell’Università di Bologna1 Mi riferisco ai libri di VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, Napoli, 2004;
PERFETTI, L’ingiustizia del contratto, Milano, 2005; CACCAVALE, Giustizia del contratto e presupposizione, Torino, 2005, sui quali v. PIERAZZI, La giustizia del contratto, in Contratto e impresa, 2005, p. 647.
2 Cass., 2 novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, c. 2081.
1
adottare solo in presenza di clausole ambigue3;
c) la buona fede è, per il giudice, strumento di «governo della
discrezionalità nell’esecuzione del contratto», da ricondurre allo
«standard di normalità sociale e, quindi, a ragionevolezza»4;
d) il giudice può rilevare d’ufficio la eccessività della penale
contrattuale e d’ufficio procedere alla sua riduzione secondo equità,
e ciò non nell’interesse delle parti, ma «per evitare che l’autonomia
contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni
soggettive delle parti appare meritevole di tutela»5.
2. – Sul tema bisogna introdurre la dimensione dello spazio. Ripeto
qui quanto ho scritto nel mio recente libro su La globalizzazione
nello specchio del diritto, ossia che la realtà oggi muta rapidamente
nel tempo, ma si rende sempre più uniforme nello spazio. Gli indirizzi
giurisprudenziali ora segnalati altro non sono, in verità, se non
l’emersione, in ambito nazionale, di tendenze che dominano la scena
mondiale.
Sta oggi prendendo vita un diritto uniforme spontaneo; e mi
riferisco alla lex mercatoria, della quale si parla, in giurisprudenza,
come di un «ordinamento giuridico», separato dagli ordinamenti
statuali e dotato, al pari di questi, del carattere di ordinamento
originario, quale espressione della «business community» o
«societas mercantile». Sono parole usate da una sentenza della
nostra Cassazione6, e a questo modo gli usi del commercio
internazionale vengono assunti quali veri e propri usi normativi, vere
e proprie fonti di diritto oggettivo; ma di un diritto oggettivo non
3 Cass., 17 febbraio 2004, n. 2992; e su di essa v. il commento di TODARO, Buona fede contrattuale: nuovi sviluppi della Cassazione, in Contratto e impresa, 2005, p. 579.
4 Cass., 11 febbraio 2005, n. 2855; e su di essa v. il commento di BARALDI, Il governo giudiziario della discrezionalità contrattuale, in Contratto e impresa, 2005, p. 501.
5 Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, che così risolve il contratto al riguardo manifestatosi fra le sezioni semplici, facendo eco a Corte di giustizia Ce, 27 giugno 2000, nn. 240 e 244/98, sulla rilevabilità d’ufficio della vessatorietà delle clausole nei contratti con il consumatore.
6 Cass., 8 febbraio 1982, n. 722, in Foro it., 1982, I, c. 2285.
2
statuale, bensì sovranazionale: di un diritto oggettivo della societas
mercatorum, della comunità internazionale degli operatori
economici.
Ad una simile costruzione, largamente diffusa in ambito
internazionale, mostrano di avere aderito i legislatori nazionali: i
codici di procedura civile si uniformano a principi dettati dai
regolamenti delle camere arbitrali internazionali, stabilendo che gli
arbitri internazionali debbono comunque attenersi, quale che sia il
diritto nazionale applicabile al contratto (per scelta delle parti o per
il criterio del più stretto collegamento), agli «usi del commercio».
Così l’art. 1496 del codice di procedura civile francese, come
modificato nel 1981; così il nostro codice di procedura civile all’art.
834 introdotto con la riforma dell’arbitrato del 1994.
3. - Della lex mercatoria è fatta da Unidroit una organica
compilazione, che va sotto il nome di Principi dei contratti
commerciali internazionali. Si tratta di una «parte generale» sulle
obbligazioni e sul contratto, coestensiva per intenderci alle norme
sulle obbligazioni e sul contratto in generale di cui agli artt. 1321-
1469 del nostro codice civile, ma con forti elementi di originalità
rispetto ai diritti codificati: basti pensare che unico requisito del
contratto è la volontà dei contraenti, escluso ogni altro requisito (art.
3.2.); ciò che, per un verso, esclude l’esistenza di contratti reali, che
si perfezionino cioè solo con la consegna della cosa oggetto del
contratto, e decreta, per altro verso, l’irrilevanza tanto del requisito
della causa, presente nei sistemi di civil law a diritto romano-
francese, quanto di quello della consideration, proprio del contratto
in common law. E l’irrilevanza tanto della causa quanto della
consideration spiega come possa il contratto essere valido
nonostante l’impossibilità originaria dell’adempimento
dell’obbligazione assunta (art. 3.3), che è equiparata all’impossibilità
3
sopravvenuta, con la conseguenza che il contraente ad essa
obbligato sarà inadempiente se l’impossibilità originaria era a lui
imputabile.
Per contro, assume rilievo preponderante il canone della buona
fede (art. 1.7), che può fra l’altro comportare l’imposizione di
obbligazioni implicite, non previste cioè dal testo contrattuale (art.
5.1.2, lett. c); ciò che lega la Nuova lex mercatoria all’antica, che dal
diritto romano si era andata differenziando soprattutto per l’appello
ai valori dalla buona fede e dell’equità. Le regole di diritto che
compongono la lex mercatoria sono, per alcuni aspetti, il frutto della
generalizzazione di principi vigenti in alcuni sistemi statuali, in
ragione della loro conformità agli usi del commercio internazionale.
Altre volte la regola accolta è del tutto originale, priva di
riscontro nei sistemi nazionali. Così è la disciplina della forza
maggiore, quale risulta dall’art. 7.1.7, difforme sia dalla frustration
di common law sia dalla impossibilità sopravvenuta di civil law, ma
conforme alla clausola costantemente ripetuta nei contratti
internazionali, ispirata da un più forte favor creditoris: è forza
maggiore, che libera il debitore, qualsiasi impedimento
all’adempimento che non solo derivi da cause estranee alla sua sfera
di controllo, ma che sia altresì estraneo al prevedibile rischio da lui
assunto con il contratto (ossia che «non era ragionevolmente tenuto
a prevedere al momento della conclusione del contratto o ad evitare
o a superare»); sicché il contraente inadempiente può essere
chiamato a rispondere, per lex mercatoria, anche in casi nei quali,
per i diritti nazionali, conseguirebbe la propria liberazione (lo
sciopero dei portuali, ad esempio, che gli impedisce di consegnare la
merce è impedimento estraneo alla sua sfera di controllo, ma non
imprevedibile al momento della assunzione dell’obbligazione, e
perciò rientrante nella sfera di rischio assunto con il contratto).
Quanto mai originali sono le figure della Gross disparity (art.
4
3.10) e dell’Hardship (artt. 6.2.1, 6.2.2, 6.2.3), che portano a
conseguenze estreme, in precedenza sconosciute a tutti i diritti
nazionali (sconosciute, quanto meno, al tempo della prima
apparizione dei Principi Unidroit), quel criterio di equità contrattuale
che la Nuova lex mercatoria ha ereditato dall’antica. C’è Gross
disparity quando il contratto o una sua clausola attribuisce ad una
parte un vantaggio eccessivo sull’altra, quale che sia il fattore che
l’ha provocato, facendo sì che il contratto – secondo la formula che
figura nell’art. 3.10, comma 2° - risulti non «conforme ai criteri
ordinari di correttezza nel commercio». Solo a titolo esemplificativo
(«fra gli altri») sono indicati fattori quali la dipendenza economica,
l’approfittamento dello stato di bisogno, l’imperizia o l’inesperienza e
simili (art. 3.10, comma 1°, lett. a), mentre assume autonomo rilievo
«la natura o lo scopo del contratto» (art. 3.10, comma 1°, lett. b),
sicché lo squilibrio fra le prestazioni può risultare oggettivamente
ingiustificato, in considerazione della natura o dello scopo del
contratto, a prescindere dalla presenza delle condizioni soggettive
predette.
Già sotto questo aspetto la figura della Gross disparity si
discosta dal modello originario e si rivela priva di riscontro nei
fondamentali sistemi giuridici nazionali7, presente solo nel diritto
olandese e nei diritti scandinavi, che prevedono l’inefficacia del
contratto «contrario ad equità», mentre l’Uniform Commercial Code
degli Stati Uniti, che pure conosce la unconscionability, ossia la
irragionevolezza, del contratto (sec. 2.302), come poi il Restatement
of contracts, che si esprime in termini di gross disparity (§ 208), sono
di fatto applicati sul solo dimostrato presupposto che il contraente
forte abbia abusato della propria posizione di potere a danno della
controparte.
7 Cfr. la ricognizione che ne fa la M. TIMOTEO, Nuove regole in materia di squilibrio contrattuale: l’art. 3.10 dei Principi Unidroit, in Contratto e impresa-Europa, 1997, p. 141 ss., dove i riferimenti ai dati normativi qui utilizzati.
5
Il diritto italiano, come è ben noto, dà rilievo allo squilibrio
originario fra le prestazioni contrattuali solo in una serie di situazioni
fortemente tipizzate, che muovono dalla rescissione per lesione ultra
dimidium con approfittamento dell’altrui stato di bisogno (art. 1447
del codice civile), per poi pervenire ai contratti con il consumatore
finale, predisposti dal professionista in contrasto con la buona fede e
tali da determinare «un significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi derivanti dal contratto» (art. 1469 bis, introdotto per
direttiva comunitaria), e ancora ai contratti di subfornitura nelle
attività produttive con «abuso di dipendenza economica», che
provoca «un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi» (art. 9, legge
18 giugno 1998, n. 192), e infine al contratto usurario, che preveda
«vantaggi sproporzionati» a danno di chi «si trova in condizioni di
difficoltà economica o finanziaria» (art. 1, legge 7 marzo 1996, n.
108).
Dove il Principio Unidroit si rivela del tutto originale è in ciò che
attiene ai rimedi predisposti per la Gross disparity, che non risiedono
solo nell’annullamento del contratto o della clausola con prestazioni
squilibrate (art. 3.10, comma 1°), eventualmente evitabile, per il
contraente che lo subirebbe, con l’offerta di un adattamento del
contratto o di sue clausole, in modo da renderlo «conforme ai criteri
di correttezza nel commercio» (art. 3.10, comma 3°), ciò che
corrisponde all’offerta di riconduzione ad equità che anche il codice
civile italiano conosce in materia di rescissione (art. 1450). Altro
rimedio, privo di precedenti nei sistemi giuridici occidentali, è il
provvedimento del giudice-arbitro che, su richiesta della parte che
ha diritto all’annullamento, modifica il contratto per adattarlo ai
predetti criteri di correttezza (art. 3.10, comma 2°). Si è qui in
presenza di quella che viene definita come equità correttiva: figura
che si è soliti definire come eccezionale nell’ambito di sistemi retti
dal principio della libertà contrattuale, nei quali il giusto prezzo è
6
quello che si determina spontaneamente nel libero gioco delle forze
economiche.
L’altra figura, l’Hardship, riguarda lo squilibrio sopravvenuto fra
le prestazioni contrattuali, provocato da eventi successivi alla sua
stipulazione, il cui rischio non sia stato assunto dalla parte
svantaggiata. Anche qui si rende generale un rimedio che, nei
sistemi nazionali, è ammesso solo in presenza di situazioni
fortemente tipizzate, come nel caso della eccessiva onerosità
sopravvenuta provocata da eventi straordinari e imprevedibili di cui
all’art. 1467 del codice civile italiano. L’Hardship legittima la parte
svantaggiata a chiedere alla controparte la rinegoziazione del
contratto, e fin qui non si va oltre ciò che, nei diritti nazionali, si
suole desumere dal canone della buona fede nell’esecuzione del
contratto; come non si va oltre con la norma che prevede la
risoluzione del contratto se il contraente avvantaggiato si rifiuta di
rinegoziare (art. 6.2.3, comma 4°, lett. a), giacché anche a tanto si
può arrivare nei diritti nazionali con la risoluzione del contratto per
inadempimento all’obbligazione di esecuzione secondo buona fede.
Ciò a cui nessun diritto nazionale era arrivato, quanto meno in
Occidente, è l’ulteriore rimedio che consiste nel potere del giudice di
«modificare il contratto al fine di ripristinare l’originario equilibrio»
(art. 6.2.3, comma 4°, lett. b).
L’equità correttiva diventa, a questo modo, una regola generale,
operante sia per correggere lo squilibrio originario del contratto, sia
per ripristinare l’equilibrio successivamente alterato. La libertà
contrattuale resta un valore fondamentale, espresso dall’art. 1.1; ma
è una libertà che, per lex mercatoria, trova limite in altri valori, quali
la buona fede e la correttezza nel commercio internazionale, alla cui
violazione la lex mercatoria reagisce con la sostituzione autoritativa
del contratto equo al contratto voluto dalle parti.
7
4. - Il diritto prodotto in Occidente dalle codificazioni del
diciannovesimo secolo e sviluppato dalla legislazione statuale
successiva affonda le sue radici culturali nell’Illuminismo e in quella
sua traduzione in valori e concetti giuridici che siamo soliti
riassumere nel giusnaturalismo del diciassettesimo e diciottesimo
secolo. Ma l’Illuminismo, e tutto ciò che ad esso si collega, è stato un
fenomeno solo occidentale 8, cui sono rimaste del tutto estranee
quelle vaste aree del pianeta, dall’Islam all’India e soprattutto dal
Giappone alla Cina, che solo a partire dal ventesimo secolo sono
entrate in competizione economica e culturale con l’Occidente9. A
queste vaste aree del pianeta dice poco o nulla tutto ciò che, in
Occidente, è «diritto di natura» o «diritti di ragione», quale base del
diritto codificato e, al tempo stesso, quale permanente meta da
realizzare, quale limite inviolabile alla potestà legislativa degli Stati;
né dice gran che ciò che in Occidente si definisce come «principi
generali del diritto generalmente accettati», là dove l’avverbio
«generalmente» è pur sempre riferito alla generalità dei Paesi
occidentali. È vero che, fra la fine del diciannovesimo e l’inizio del
ventesimo secolo, il Giappone e la Cina hanno recepito i codici
occidentali e che essi vi sono tuttora in vigore (mentre i Paesi
islamici hanno adottato codici modellati sull’esempio occidentale
solo per regolare i rapporti con l’estero); è però altrettanto vero che,
8 BERMAN, Diritto e rivoluzione, trad. it., Bologna, 1998, p. 49, fa notare che: «l’Illuminismo del diciottesimo secolo fu un fenomeno esclusivamente occidentale, che fornì le basi ideologiche delle rivoluzioni non solo francese ed americana, ma anche dei sommovimenti a favore di cambiamenti radicali in Inghilterra ed altrove. La Rivoluzione russa nacque dal movimento comunista internazionale fondato da due tedeschi; le sue radici si rinvengono nella Comune di Parigi del 1870. Similmente, le rivoluzioni nazionali ebbero enormi ripercussioni – tutte occidentali – dopo il loro scoppio».
9 Già al principio degli anni ottanta BERMAN, cit. alla nota prec., p. 63, scriveva che «oggi c'è di nuovo che la trasformazione investe tutta la tradizione giuridica nel suo complesso e non solo alcuni elementi o aspetti di essa; ciò appare chiaro soprattutto nel confronto con le civiltà e le filosofie non-occidentali. In passato, l'uomo occidentale ha fiduciosamente portato con sé il suo diritto per il mondo. Oggi, tuttavia, il mondo è diffidente — più che mai diffidente — nei confronti della ‘legalità’ occidentale; i popoli orientali e meridionali propongono delle alternative e l'Occidente stesso mette in dubbio la validità universale della propria tradizionale visione del diritto, soprattutto nei confronti delle culture non-occidentali. Il diritto, che finora appariva ‘naturale’, appare oggi ‘occidentale’ e molti sostengono che esso sia obsoleto anche per l'Occidente».
8
nell’applicazione di quei codici, giapponesi e cinesi non si riflettono
affatto nello «specchio dei diritti occidentali», e anzi rifiutano le
prassi interpretative e le sistemazioni teoriche di giudici e giuristi
dell’Occidente10.
L’adozione dei codici occidentali volle essere una ostentazione
di modernità rivolta all’Occidente, da parte di Paesi che, come in
particolare la Cina, avevano alle proprie spalle una propria
millenaria tradizione giuridica. In sede di applicazione si è dato
particolare risalto alle clausole generali, come quella della buona
fede contrattuale, le cui applicazioni, per il rifiuto di una tipizzazione
delle fattispecie, danno luogo ad una sorta di diritto libero; e si è
finito con il far coincidere la buona fede con l’equità, approdando al
risultato di svuotare di contenuto tanto la volontà contrattuale
quanto la disciplina codicistica del contratto11. La recente legge
cinese sui contratti del 1° ottobre 1999 si colloca in questa
prospettiva: eleva la manifesta iniquità a causa di annullamento del
contratto (art. 52, n. 2); consente al giudice di integrare il contratto
con prescrizione relative alla qualità dei beni che ne sono oggetto, al
prezzo, al luogo, al tempo e alle modalità dell’adempimento (art. 61),
ciò su cui i giuristi cinesi fondano le Gross disparity e l’Hardship12.
Per contro, la responsabilità per inadempimento prescinde dalla
colpa (art. 107), ed è irrilevante il fatto del terzo che abbia impedito
l’adempimento; lungi dal liberare il debitore, esso instaura un
rapporto fra il debitore e il terzo (art. 121).
Il tasso di sviluppo dei Paesi orientali emergenti è in crescita
incessante; la capacità di competizione economica di questa nuova
frontiera del capitalismo è ora in una fase che in Occidente si giudica
allarmante. L’antico dogma della statualità del diritto rappresentava
10 Cfr. TIMOTEO, Il contratto in Cina e in Giappone nello specchio dei diritti occidentali , Padova, 2004.
11 TIMOTEO, cit. alla nota prec., p. 352 ss. 12 La testimonianza è in TIMOTEO, cit. alla penult. nota, p. 24.
9
una invalicabile barriera difensiva; nel pensiero dei suoi teorici,
«all’intangibilità fisica dei confini corrisponde l’esclusività
dell’ordinamento giuridico»13. Ma era la filosofia giuridica di
un’epoca nella quale i confini territoriali erano, al tempo stesso,
confini politici ed economici. Nel tempo presente l’ordine basato
sulla intangibilità del territorio si è spezzato; il monopolio dello
Stato, ed i fondamenti ideali sui quali poggiava, non hanno retto,
all’interno degli Stati, alla pressione esercitata dalla società civile, e
non hanno retto all’esterno, all’urto della globalizzazione dei
mercati, alla invasione delle imprese transnazionali14. Il monopolio
statuale della produzione del diritto ha ceduto il posto ad un diverso
sistema che ammette, al di là della legge, altre non statuali fonti del
diritto, e fonti di un diritto doppiamente globale, per il suo ambito di
applicazione, essendo destinato a trovare applicazione oltre ogni
confine statuale, e per il suo modo di produzione, essendo
suscettibile di formarsi nei più diversi punti del pianeta.
L’odierna lex mercatoria, per quanto dotata di alcuni elementi di
significativa originalità, può ancora dirsi prevalente espressione
della civiltà giuridica occidentale. Ma questo suo attuale marchio
d’origine riflette l’odierno, tuttora persistente, predominio delle
imprese occidentali e dei valori culturali che esse portano con sé e
diffondono nel mondo. Non sappiamo se e fino a quando perdurerà
una lex mercatoria di prevalente ispirazione occidentale, qual è
quella che oggi troviamo consacrata nei Principi Unidroit, o se e a
partire da quando i mutati rapporti di forza fra Oriente e Occidente
non porteranno ad una diversa lex mercatoria, lontana dai suoi
attuali contenuti, ispirata dalle consuetudini commerciali dei mercati
orientali. Che sarà allora, in un mondo giuridico non più 13 Così N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Bari, 2001, p. 5, con riferimento alla
concezione dello Stato propugnata da Jellinek, che fu al principio del Novecento fra i massimi artefici della concezione assolutizzante del potere statuale.
14 Così B. BADIE, La fine dei territori. Saggio sul disordine internazionale e sull’utilità sociale del rispetto, trad. it., Trieste, 1996, p. 33 ss.
10
eurocentrico, del formalismo europeo e del razionalismo occidentale
di smittiana memoria? La lex mercatoria è ora un contenitore di
principi di matrice in prevalenza occidentale; ma essa può in futuro
trasformarsi in un veicolo che traghetta in Occidente principi nati in
altre latitudini giuridiche.
Qualcosa sta già accadendo: le figure della Gross disparity e
dell’Hardship, che sono nate in Oriente, frutto della equitativa
concezione del contratto nutrita da quelle civiltà, ha trovato
accoglimento nei Principi Unidroit, pur in assenza di riscontri nei
sistemi occidentali. E ciò è senza dubbio conseguenza della vastità
delle relazioni commerciali fra Oriente e Occidente, cui va
ricollegandosi una commistione di rispettivi principi regolatori del
contratto. Ma c’è ben di più: con la recente riforma tedesca del
diritto delle obbligazioni, entrata in vigore nel 2002 e dettata
all’insegna della Modernisierung des Schuldsrecht, ha fatto la
propria comparsa, al § 313 del BGB, sotto la rubrica «Alterazione
della base negoziale», la norma che, di fronte al mutamento
successivo delle circostanze che erano state poste a fondamento del
contratto, consente al giudice di «imporre ad una delle parti
l’adeguamento del contratto». E così l’Hardship è passato dal diritto
interno della Cina ai Principi Unidroit e da questi al diritto interno
della Germania: i Principi Unidroit, ossia la lex mercatoria, hanno già
cominciato ad operare come veicolo che trasporta nei diritti
nazionali dell’Occidente figure giuridiche nate in Oriente15. Ecco le
rivincite della storia: cent’anni or sono la Cina aveva importato il
diritto tedesco; ora, e sia pure attraverso la lex mercatoria, è la
Germania che importa il diritto cinese.
Quanto all’Italia, l’Hardship può ora dirsi penetrato grazie ad un 15 L’introduzione dell’Hardship ha, come era prevedibile, suscitato perplessità in settori della
dottrina tedesca, che hanno denunciato il pericolo di un eccessivo ridimensionamento del principio pacta sunt servanda, cioè dell’efficacia vincolante del contratto. Sul punto D. MEMMO, Il nuovo modello tedesco della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni , in Contratto e impresa, 2004, p. 821.
11
lodo arbitrale che, in rapporto ad un contratto internazionale, ha
sviluppato il concetto di buona fede contrattuale fino al punto di
procedere, sul rifiuto della parte controinteressata di rinegoziaziare
il contratto a prestazioni resesi squilibrate a seguito della crisi di
mercato delle azioni di new economy, alla determinazione del più
ridotto, ed adeguato ai nuovi valori di mercato, prezzo di
compravendita di un pacchetto azionario16.
5. - L’Istituto sorto per promuovere l’uniformità internazionale della
legislazione si è trovato ad assolvere la funzione, impensabile al
tempo della sua costituzione, di compilatore di un diritto uniforme
spontaneo, qual è la Nuova lex mercatoria. L'effettività di questa
sorta di nuovo Digesto è attestata nel crescente numero di lodi
arbitrali internazionali che, nel risolvere controversie in applicazione
della lex mercatoria, fanno testuale riferimento ai principi Unidroit,
assumendoli come accreditata sua fonte di cognizione17. Si assiste a
questa singolare divaricazione: la lex mercatoria è diritto
consuetudinario: la sua fonte di produzione è l'uso; e tuttavia i
Principi Unidroit ne costituiscono autorevole fonte di cognizione.
A partire dagli anni sessanta i collegi arbitrali internazionali, in
difetto di una opzione delle parti per un dato diritto nazionale,
avevano manifestato la sempre più netta propensione ad applicare la
lex mercatoria18: a volte, la lex mercatoria è stata applicata in
concorso con il diritto nazionale richiesto dalle parti19; più
recentemente, a partire dal 1995, si è fatta applicazione dei Principi
16 Mi riferisco al lodo ALPA-NANNI-SBISÀ del 15 luglio 2004, sul quale rinvio al commento di MARASCO, La rinegoziazione e l’intervento del giudice nella gestione del contratto, in Contratto e impresa, 2005, p. 539.
17 Un lodo recente è quello della Corte arbitrale internazionale della Camera di commercio internazionale, 28 luglio 2000, n. 9797, pubblicato in Rivista del commercio internazionale, 2001, p. 211, con nota di BONELL, che fa riferimento ai Principi Unidroit « quale fonte attendibile del diritto commerciale internazionale ». Ampi riferimenti in MARRELLA, La nuova lex mercatoria, Padova, 2003.
18 Documentazione al riguardo in MARRELLA, Nuova lex mercatoria, cit., p. 319 ss.19 Ancora MARRELLA, cit., p. 349 s.
12
Unidroit, laddove le parti avevano espressamente scelto la lex
mercatoria o, più genericamente, gli usi del commercio
internazionale20; oppure la scelta era stata effettuata dagli arbitri,
facoltizzati dalle norme del regolamento arbitrale (così, in
particolare, i regolamenti della Camera di commercio internazionale
di Parigi, della Camera arbitrale nazionale e internazionale di
Milano, di quella di Roma) che attribuiscono loro la scelta del diritto
più appropriato alla natura della controversia21. Infine, i Principi
Unidroit sono stati applicati in assenza di qualsiasi riferimento delle
parti al diritto applicabile22, o anche, pur in presenza di una opzione
delle parti per un dato diritto nazionale, come fonte di integrazione
di questo23
Un diritto regolatore degli scambi transnazionali non può essere
se non un diritto a produzione diffusa, creato in forza delle
consuetudini, quali emergono dalla giurisprudenza arbitrale
internazionale e da quell’opera di ricognizione e di sistemazione cui
sta attendendo Unidroit. Il Grande Diritto del passato fu (così era
stato definito il BGB tedesco) un «diritto dei professori», o un
«diritto dei giuristi», la cui forza di penetrazione era riposta nella
sua «scientificità»(24). Alla mediazione politica degli interessi in
20 MARRELLA, cit., p. 405 ss.21 Come nel lodo n. 10422 del 2001, pubblicato in Rivista del commercio internazionale, 2004, p.
483, con nota di Peleggi. Sulla premessa che l’art. 17 (1) del Regolamento di arbitrato dispone che, «in assenza di accordo delle parti, il Tribunale arbitrale applica le regole di diritto che ritiene più appropriate nel caso di specie», il lodo individua la soluzione più appropriata nell’«applicare le regole e i principi generali dei contratti internazionali e cioè la cosiddetta lex mercatoria». Quindi, preso atto che «numerose sentenze arbitrali hanno applicato i Principi Unidroit come espressione della lex mercatoria», e citati vari precedenti, il lodo ne fa applicazione al caso di specie «nella misura in cui questi ultimi costituiscono una fedele trasposizione delle regole riconosciute dagli operatori del commercio internazionale come applicabili ai contratti internazionali». Altre citazioni in MARRELLA, cit., p. 441 ss.
22 MARRELLA, cit., p. 410 ss.23 MARRELLA, cit., p. 427 ss.24 In una più ampia prospettiva si colloca B. LEONI, La libertà e la legge, trad. it., Macerata, 1994,
quando scrive che «i Romani e gli Inglesi condividevano l’idea che il diritto è qualcosa da scoprire piuttosto che da decretare e che nessuno è così potente nella società da essere in posizione di identificare la propria volontà con la legge del paese» (p. 13); e aggiunge: «la parola tedesca Rechtsfindung, cioè l’operazione di trovare il diritto, sembra rendere bene l’idea centrale dello juristenrecht e del complesso della attività del giurista dell’Europa continentale» (p. 158).
13
gioco, che è propria del diritto legislativamente creato dagli Stati (o
del diritto uniforme creato per convenzioni fra Stati), è qui sostituita,
come al tempo dell'antica lex mercatoria, la mediazione culturale dei
giuristi. È vero sì che la Nuova lex mercatoria è diritto
unilateralmente creato dalla classe imprenditoriale e che essa può,
per ciò stesso, meritare il giudizio di diritto non democratico, bensì
tecnocratico e, perciò, dispotico. Ma è vero anche che essa viene
applicata dopo avere ricevuto il filtro culturale di Unidroit, che la
rimodella secondo i consolidati principi di civiltà giuridica, cui
nessun operatore economico può sottrarsi, nella ricerca del giusto
punto di equilibrio fra gli opposti interessi in gioco, fra le ragioni
dell'impresa e le esigenze di protezione del contraente debole. E
basti riferirsi ad alcune figure proprie della Nuova lex mercatoria,
come la Gross Disparity o come l’Hardship, che realizzano in modo
compiuto quella congruità dello scambio contrattuale, o equità del
contratto, verso la quale i diritti nazionali dell’Occidente tendono in
modo ancora incerto e frammentario.
Il concetto di dispotismo è però richiamato fuori luogo: neppure
nel moderno dibattito sulla legittimazione del potere la procedura
democratica di assunzione delle decisioni viene assunta come la sola
procedura idonea a produrre legittimità. Produce legittimità, per
restare al campo del diritto, anche l’opinio iuris atque necessitatis,
ossia quella forma di consenso diffuso, o di volonté gènèrale, che si
traduce in fonte del diritto senza passare attraverso le procedure
della rappresentanza politica. E’ ben vero che, nella elaborazione del
concetto di Stato di diritto, quale è stata condotta nell’Europa
continentale, si è affermata l’idea che il diritto, per essere tale,
debba promanare da assemblee legislative elette a suffragio
universale; ma è altrettanto vero che l’altra metà del mondo del
diritto, ossia il common law, può celebrare il rule of law pur
ammettendo che il diritto sia, in prevalenza, prodotto da fonti non
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legislative, quali la consuetudine e il judge made law. La lex
mercatoria è fonte di diritto – la sola possibile fonte di diritto capace,
nel tempo presente, di produrre diritto transnazionale – non solo
perché è usus, cioè pratica costante dei traffici sul mercato globale,
ma anche perché è usus assistito dalla opinio iuris, ossia perché le
camere arbitrali internazionali lo applicano nella convinzione che
esso debba essere applicato, siccome sistema di vere e proprie
regole giuridiche, proprie della business community, e perché le
stesse leggi e gli stessi giudici degli Stati le riconoscono questa
attitudine regolatrice.
6. – Infine, uno sguardo all’Europa, che il tema generale di questo
convegno sollecita.
Non si pongano sullo stesso piano, come talora è dato di
constatare, i Principi Unidroit e i vari progetti di codice civile
europeo. Questi ultimi sono prospettazioni di un futuro auspicato; i
primi sono, all’opposto, diritto vigente. Lo loro effettività è data –
come si è già segnalato - dai tanti lodi arbitrali che, dovendo
applicare la lex mercatoria, hanno fatto riferimento ai Principi
Unidroit, quale loro riconosciuta fonte di cognizione (fermo restando
che la loro fonte di produzione è la consuetudine).
Un diritto europeo dei contratti, che non siano i contratti con il
consumatore, reso tendenzialmente uniforme in Europa per direttiva
comunitaria, oggi non può dirsi esistente. Lo si può certo auspicare,
come contributo alla creazione di un altrettanto auspicabile mercato
europeo, quale mercato interno delle imprese europee. E’ però un
fatto, allo stato attuale delle cose, che per una impresa italiana
vendere in Francia è ancora vendere all’estero, non diversamente
che vendere in Cina; come è un fatto che un contratto fra una
impresa italiana e una impresa francese non è sottoposto ad un
diritto diverso dal diritto destinato a regolare un contratto fra una
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impresa italiana e una impresa cinese. Nell’uno o nell’altro caso, se
si vuole fare capo ad un diritto transnazionale uniforme, si deve fare
pur sempre capo alla lex mercatoria: non ad un diritto europeo dei
contratti, che oggi come oggi ancora non esiste, ma ad un diritto
regolatore dei rapporti transnazionali, che non fa differenza fra
rapporti endoeuropei e rapporti extra-europei, essendo
semplicemente il diritto regolatore dei rapporti contrattuali entro
l’odierna società globale. Fare del mercato europeo il mercato
interno delle imprese europee è un obiettivo che si persegue da
quasi cinquant’anni; non basta, per realizzarlo, il superamento delle
barriere giuridiche; permangono, e sono sotto gli occhi di tutti,
barriere politiche, sociali, economiche.
Né è detto che la neoilluministica idea di un codice civile per
l’Europa – neoilluministica o, se si preferisce, neoromantica – sia il
solo strumento di edificazione dell’unità giuridica europea. Un altro
strumento sta oggi facendo notevoli passi avanti, ed alludo alla
competizione fra i diversi sistemi, ossia allo shopping endoeuropeo
del diritto, avallato da molteplici ben note decisioni della Corte di
giustizia25. Quando sarà certo che due italiani potranno regolare i
loro interni rapporti scegliendo, anziché il diritto nazionale, quello
francese, senza incontrare ostacolo nelle norme imperative del
diritto interno, allora saremo più vicini all’unità europea di quanto
non si possa esserlo con l’esperanto giuridico di un codice civile
comunitario, formato con la tecnica del mosaico fra i vari codici
nazionali. Il modello della competizione, anziché della convergenza,
dei sistemi giuridici ha dato buoni frutti negli Stati Uniti, e ben potrà
darli anche in Europa.
25 Mi riferisco alle sentenze 9 marzo 1999, causa C212/97; 5 novembre 2002, causa C208/00; 30 settembre 2003, causa C167/01.
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